Archivio del Tag ‘scisma’
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Sarà il Sole a svegliarci: lo teme la Religione della Paura
La deriva transumanista a cui stiamo assistendo è il frutto di uno scontro di civiltà. Un emblenatico, inesauribile scontro: non solo fra due culture, fra due concezioni del mondo, ma addirittura fra due opposte e inconciliabili forme di civiltà. Una potremmo definirla algida, fredda, pseudo-lineare, agorafobica, già vecchia e stantia nonostante i suoi appena tre secoli di età. E’ una cultura sorta dal razionalismo di fine Seicento e da quella che è passata alla storia come la rivoluzione scientifica. Una cultura che è stata nutrita da una miope incomprensione dell’esperienza illuministica, pur liberatoria, che però si è incanutita precocemente, fossilizzandosi negli ingranaggi del pensiero meccanicistico. L’altra cultura è invece antica come l’alba della conoscenza (e della coscienza), come e più delle stesse piramidi e di quei miti che produssero. Eppure quella cultura è sempre giovane: perché è immortale, orgogliosa e ottimistica, come quegli stessi dèi che la donarono agli esseri umani.E’ una cultura inclusiva, conciliatrice dei complessi rapporti tra uomo e natura. E soprattutto: è profondamente radicata nella più arcaica e radicale delle esperienze umane: la percezione magica del sacro. Lo scontro in corso rappresenta una delle ultime fasi di un conflitto, molto antico, tra la dimensione gnostica – prometeica, titanica, estatica – e la sua drammatica emarginazione e persecuzione ad opera di una falsa religiosità assolutistica, quella del monoteismo patriarcale che si instaurò con il rovesciamento degli antichi dèi. Una deriva che, poi, ha portato a quel delirio teologico che è stato fatto proprio dalla cultura giudaico-cristiana. Ha pesato la sua applicazione totalmente exoterizzante, che ha escluso ogni aspetto esoterico-iniziatico. E ha voluto ritagliare, nella grande spirale del tempo eterno (venerata da tutte le antiche culture del pianeta), un segmento progettuale artificioso: quello di un dio totemico, tanto geloso quanto violento, nemico di tutte le tradizioni fondate sulla conoscenza e sull’esperienza.Razionalismo, rivoluzione scientifica e rivoluzione industriale: oggi Klaus Schwab parla di Quarta Rivoluzione Industriale, a conferma del fatto che sono sempre gli stessi, a cantarsela e suonarsela da soli. Hanno voluto separare il sacro dal profano, l’immanente dal trascendente. Negli ultimi tre secoli hanno tentato, in tutti i modi, di estirpare la spiritualità dalla concezione umana, dalle espressioni della nostra cultura. E spesso e volentieri lo hanno fatto a braccetto con la Chiesa cattolica. Ora siamo giunti a una fase ancora più avanzata: non servono neppure più, le masse. Lo spiega bene Marco Della Luna: le masse sono ormai divenute superflue, per questo potere che vorrebbe “depopolare” il pianeta. Ormai mirano solo al controllo: si aggrappano come pazzi ai residui brandelli del loro potere. Puntano al controllo totale: quindi vogliono la digitalizzazione forzata, il transumanesimo, la sostituzione definitiva dell’uomo con le macchine e la riduzione in schiavitù dei pochi superstiti.Schiavi: privati di coscienza, di libero arbitrio, di raziocinio. Privati di ogni libertà, di ogni diritto. Un po’ come recita lo slogan dell’europea Id 2030: non possiederemo più nulla, ma saremo tutti felici. Vi piacerebbe, vero? Ma non andrà così. Pensiamo a quelli che oggi recitano l’Om nelle piazze: sono comunque segnali di un risveglio spirituale. In tutte le grandi epoche di crisi e transizione, c’è sempre stato anche un grande impulso della spiritualità. L’umanità ha periodicamente compiuto balzi quantici, a livello intellettuale e spirituale. Ebbene: sono stati determinati anche dalle eruzioni solari. Ce ne ha appena riparlato anche l’astrofisica Giuliana Conforto: ci ha spiegato che il campo magnetico della Terra sta mutando velocemente, andando a saldarsi con quello del Sole, oltre che con il campo magnetico della galassia.La prima tempesta solare registrata con strumentazioni moderne risale negli anni Sessanta dell’800: mise fuori uso i telegrafi di tutto il mondo. Se dovesse avvenire oggi, una tempesta solare di quel tipo farebbe saltare tutti i satelliti e le reti di telecomunicazione, inclusa la telefonia cellulare, e probabilmente manderebbe in tilt le stesse centrali elettriche. Non è detto che certi preparativi di una crisi energetica – vera o presunta che sia – non siano anche finalizzati a “coprire” eventuali tempeste solari in arrivo. Ma attenzione: tempeste solari di entità ben maggiore, avvenute ciclicamente, sono state ben documentate: dall’analisi degli anelli degli alberi, secondo la “dendrocronologia”, e anche dai carotaggi dei ghiacci, effettuati sia in Groenlandia che in Antartide. Fra l’altro, è stato anche dimostrato che nel VII secolo avanti Cristo si verificò una tempesta solare oltre 10 volte più devastante di quella del 1864. Non esitendo la telematica, l’umanità la percepì in maniera molto diversa: al limite la videro, sotto forma di aurore boreali alle nostre latitudini e forse ancora più a Sud.Gli effetti sull’uomo, però, non tardarono a manifestarsi: nel VI secolo avanti Cristo l’umanità visse un vero salto quantico. Se è vero che può distruggere, il Sole può anche dare la vita: può fornire un impulso vitale per la nostra intelligenza. Nel VI secolo, infatti, nacquero – simultaneamente – decine di movimenti religiosi innovativi, senza contare l’esplosione della filosofia in Grecia. Nacquero Pitagora, Zarathustra, il Buddha. Fenomeni che rispondono a regole cosmiche, magnetiche? Come in alto, così in basso: quello che accade nella galassia è interconnesso con ciò che avviene sul nostro pianeta. Noi siamo un microcosmo, in rapporto con un macrocosmo. Evidentemente, le tempeste solari sono in grado di farci evolvere anche da un punto di vista spirituale. Altre tempeste solari, del resto, erano avvenute anche in precedenza: una – grandissima, risalente al 1200 avanti Cristo – si verificò in concomitanza con la nascita dei Misteri Eleusini, cioè con l’arrivo a Eleusi della dea Demetra. E ne sono avvenute moltissime altre, sempre in corrispondenza di fatti epocali.Quindi, probabilmente, i gestori della Matrix – quelli che ci dominano – sono anche terrorizzati dalla possibilità di eventi (incluse appunto le tempeste solari) che possano determinare un balzo evolutivo, un salto quantico dell’umanità. Ovvero: se l’umanità prende coscienza di sé, si libera delle proprie catene. Come hanno potuto assoggettare gli esseri umani, per oltre 10.000 anni? Con l’inganno, con i dogmi: con catene mentali e spirituali. Un bravissimo ricercatore come Sabato Scala, studioso del Cristianesimo delle origini, insiste sulla necessità del saper diversificare il Cristianesimo originario dal Cristianesimo “politico”, creato a tavolino – per fini di potere – da personaggi come Giuseppe Flavio, Paolo di Tarso e il filosofo romano Seneca. Ci sono le prove, dei loro complotti: molto abilmente, crearono una nuova religione solo in apparenza derivata dal Cristianesimo delle origini. L’obiettivo qual era? Prendere il potere a Roma e impadronirsi delle redini dell’Impero. E ci riuscirono.Il coronamento del loro delirio fu il famigerato Editto di Tessalonica, promulgato da Teodosio. Non è sbagliato paragonarlo al Green Pass: l’obbligo di aderire alla nuova religione fu imposto con la forza a una popolazione di 60 milioni di abitanti, di cui soltanto il 15% aveva aderito al nuovo credo. A tutti gli altri, il Cristianesimo “paolino” venne imposto con la violenza: chi non si fosse convertito avrebbe perso ogni diritto civile (rischiando anche la vita, in molti casi). Comunque: si perdeva il diritto a frequentare le scuole, a entrare nell’esercito, a rivestire cariche pubbliche, persino ad accedere ai pubblici edifici. Esattamente come oggi: questi non hanno fantasia, ripetono sempre gli stessi atti.Quello che Sabato Scala ci ha indicato è la presenza di precise leve psicologiche, utilizzate dalla nuova religione romana proprio per assoggettare le masse. Secondo la scienza di oggi, queste leve sono elementi certi, assodati, per la manipolazione comportamentale. Si tratta di elementi – scrive Scala – che intervengono nel minare i fondamenti di una psiche sana: perché è proprio la psiche sana, che vogliono attaccare, rendendola malata. Come? Introducendo degli effetti, rinforzati da un apparato mitologico e simbolico creato ad arte, che vanno a scardinare alla radice i pilastri di un sano equilibrio psichico (equilibrio che, nelle antiche tradizioni religiose, era sempre esistito). Quali sono, questi obiettivi? Primo: l’autostima (e l’auto-efficacia). Secondo punto: la consapevolezza delle proprie azioni, e di conseguenza l’assenza di sensi di colpa. Terzo: un equilibrato rapporto corpo-psiche, ovvero una relazione armonica con la propria istintualità.Fin dalla sua prima elaborazione, il Cristianesimo “politico” imposto a Roma, quello che poi ha preso il potere arrivando fino all’Inquisizione e alla caccia alle streghe, ha costruito ad arte un sistema mitologico, un “palinsesto” di rituali e di norme, comportamentali e morali, finalizzato a utilizzare in modo coordinato, secondo un’accurata programmazione neuro-linguistica, tutte e tre le leve citate: autostima, consapevolezza ed equilibrio corpo-psiche. In pratica, attraverso questa manipolazione, sono arrivati a sottomettere le masse con il dogma, impedendo e mortificando l’accesso alla conoscenza. Perché Eva fu cacciata, insieme ad Adamo, dal Paradiso Terrestre? Perché aveva colto il frutto dall’Albero della Conoscenza. Non sia mai: l’essere umano non deve avvicinarsi alla conoscenza. Se lo fa, i dominatori sono perduti.Prometeo, il grande dio Titano, tentò in extremis di salvare l’umanità, che già era caduta sotto il giogo dei nuovi dèi, rubando a Zeus la fiaccola della conoscenza per donarla a noi. Purtroppo quel suo gesto non servì, perché Zeus riprese il sopravvento. Ma quello di Prometeo resta un gesto simbolico importantissimo. Quella stessa fiaccola è rappresentata dalla Statua della Libertà che si erge davanti al porto di New York (e pochi sanno che il prototipo di quella statua è presente sulla facciata del Duomo di Milano). Lo ribadisco: questo è un momento storico, tutti i nodi verranno al pettine. Ci saranno tante macerie, ma siamo sicuramente all’alba di una nuova era. E c’è qualcuno che sta facendo di tutto per non farla cominciare, questa nuova era. L’intento dei dominatori è quello di ancorarsi al loro potere: per questo stanno facendo di tutto per sottomettere l’umanità, per impedirle di evolversi e di compiere questo salto quantico. Soprattutto: all’umanità vogliono impedire di ricordare chi è.Se noi ricordiamo chi siamo – se riconnettiamo la nostra parte animica, divina, con gli dèi creatori, recuperando la memoria genetica che ci hanno trasmesso – allora non ci incatena più nessuno. Se riprendiamo possesso delle nostre capacità, delle nostre vere facoltà, questo li spaventa. E tanto per essere chiari: era scomodo anche il Cristianesimo delle origini, che infatti è stato perseguitato dal Cristianesimo “politico”, progettato per il dominio. E’ proprio al Cristianesimo delle origini che si ispirarono i Catari e anche i Templari, che volevano rovesciare il Papato (si rifacevano infatti alla tradizione giovannita, che era stata spodestata). Erano scomode anche moltissime tradizioni misteriche – come quella eleusina, a cui io appartengo. Entrate in clandestinità, nel medioevo hanno tentato anch’esse, a più riprese, di spodestare la Chiesa: non ci sono riuscite, ma c’è mancato veramente poco.Il Rinascimento non è stato solo una rinascita delle arti e della cultura classica: ha rappresentato una vera rinascita delle scienze e delle coscienze, guidata (sottotraccia) proprio dalle antiche tradizioni misteriche che, come un fiume carsico, erano sopravvissute nel sottosuolo per tornare a riaffiorare e alzare la testa, con la stagione rinascimentale. Potevano farlo, avendo in mano la maggior parte degli Stati e delle signorie dell’epoca, contrapposte al Vaticano. Oggi la Chiesa è molto preoccupata, dalla rinascita di certe tradizioni, che vede esprimersi anche nella new age. Premetto: io non l’ho mai amata, la cultura new age; magari era nata con buone intenzioni, ma poi è stata manipolata (soprattutto negli Usa, dalla Cia) per finalità politiche. Diciamo che, anche in questo caso, bisogna separare la farina dalla crusca.Tornando alla Chiesa cattolica: sta procedendo ormai verso una deriva transumanista, improntata al Grande Reset di Davos. Lo dimostrano anche le scandalose politiche vaccinali del Vaticano: una deriva totalitaria che non trova invece il consenso della maggior parte delle Chiese Ortodosse. Il cattolicesimo romano, al contrario, è totalmente appiattito sull’Operazione Corona, anche perché rappresenta un potere che di cristiano non ha più niente. Ebbene: il potere cattolico è oggi spaventato anche da quello che, genericamente, chiama “gnosticismo”. Il termine però è impreciso: c’è infatti anche uno gnosticismo cristiano, c’è uno gnosticismo di origine ermetica, e c’è uno gnosticismo impropriamente definito “pagano”. Comunque, “gnosi” vuol dire “conoscenza”: quindi, nello gnosticismo possiamo annoverare tante tradizioni. Le gerarchie vaticane usano questo termine, in modo un po’ dispregiativo, per indicare qualcosa di pericoloso. E la polemica non è solo di oggi, risale agli anni Novanta.Interessante il caso di Louis Pauwels, autore de “Il mattino dei maghi”: un libro che, negli anni Sessanta, ha fatto la storia dell’esoterismo occidentale (e anche, in parte, del movimento new age). Poi, in età avanzata, Pauwels ebbe un repentino cambio di rotta: divenne un intransigente cattolico e si mise ad attaccare tutte quelle dottrine esoteriche che escono dai binari della Chiesa. Molto strana, la sua pseudo-conversione: avvenne in seguito a uno strano incidente che quasi gli costò la vita. Mi ricorda la situazione di oggi, in cui molte persone si lasciano manipolare dalla paura, al punto da rinunciare ai loro diritti costituzionali e alla propria libertà. Negli ultimi anni della sua vita, Pauwels arrivò a parlare di un “complotto mondiale neo-gnostico”, ordito da “forze anti-cristiane” che mirerebbero a “indebolire la fede dei cattolici”(sembrano parole di Don Curzio Nitoglia). Comunque, gli attacchi allo gnosticismo – che stanno avvenendo proprio in questi giorni – hanno svariati precedenti nei decenni scorsi, ben oltre il semplice caso Pauwels.Nel 1990, all’indomani del crollo dei regimi dell’Est Europa, l’arcivescovo di Bruxelles, cardinale Godfried Danneels, in una sua lettera pastorale fece una dichiarazione molto inquietante, poi pubblicata nel 1991 sul settimanale “Il Sabato”. «La riesumazione della vecchia gnosi – scrisse, testualmente – è un rischio mortale, che potrebbe portare alla distruzione del Cristianesimo. E il clima di festa e di liberazione dal comunismo non può assolutamente far dimenticare il sorgere di questo nuovo, insidioso avversario». A breve distanza, anche il Pontefice (Giovanni Paolo II) fece una dichiarazione simile, poi inclusa nel libro-intervista “Varcare le soglie”, curato da Vittorio Messori. Lo stesso Wojtyla, dunque, espresse preoccupazione per «la rinascita delle antiche idee gnostiche». Rinascita definita «un nuovo modo di praticare la gnosi, cioè quell’atteggiamento dello spirito che, in nome di una profonda e presunta conoscenza di Dio, finisce poi per stravolgere la sua parola».Obiettivamente parlando, qui siamo al ridicolo. Una religione che si considera solida – plurimillenaria – di cosa può mai avere paura? Del risorgere di forme di consapevolezza legate al passato? Evidentemente sì: ne ha tanta paura. E in questi giorni, sempre in ambiti cattolici – anche ambienti giornalistici, persino quelli della cosiddetta controinformazione – si levano le voci di chi pure asserisce di essere contrario alla “deriva autoritaria” in corso, ma poi si mette, curiosamente, ad attaccare proprio lo gnosticismo. Mi domando: ma dov’è, questo gnosticismo? Vedete chiese gnostiche? Movimenti gnostici al potere? Evidentemente, costoro temono una presa di coscienza: temono la riscoperta, da parte delle masse, di antiche tradizioni spirituali (mai sopite). E in maniera un po’ generica e ipocrita, le definiscono con l’etichetta di “gnosticismo”. Lo fanno per non nominarle, per non pronunciare i loro veri nomi.E’ emblematico, il fenomeno: conferma la paura del risveglio. A Firenze, il 14 novembre, sono state schierate le camionette della polizia davanti alla Porta del Paradiso, al Battistero del Duomo, dove si erano radunate migliaia di persone a recitare l’Om. A chi potevano far paura, quelle persone? Alla Curia, immagino, ben più che al governo Draghi. A quanto pare, a quella ritualità di piazza viene attribuita un’importanza enorme. In effetti, davanti alla Porta del Paradiso si prega per qualcosa che va contro i dettami globalisti e transumanisti dell’attuale Chiesa. E allora si sprecano gli attacchi contro queste “nuove forme di gnosticismo”, pericolosissime. In realtà attaccano la rinascita della consapevolezza: è quella, che fa paura. Parallelamente, da parte dell’élite di potere, ci sono progetti per arrivare a una nuova religione mondiale. In realtà risalgono all’Ottocento, e molti sono già naufragati: ma certe fazioni non vi hanno mai rinunciato. Nell’ottica della Quarta Rivoluzione Industriale, vorrebbero arrivare a fondere le tre grandi religioni monoteistiche in una nuova pseudo-religione con i suoi dogmi, i suoi riti e i suoi simboli.Il piano però è già fallito in partenza, sia per il rifiuto (motivato) da parte dell’ebraismo, che per il rifiuto (più che motivato) da parte dell’Islam: quando Bergoglio è andato a Baghdad, per poi animare un incontro interreligioso davanti alla ziqqurat babilonese di Ur, il grande ayatollah Al-Sistani (una delle massime guide spirituali dell’Islam sciita) gli ha risposto: potevi anche fare a meno di venire qui. Come a dire: noi non ci stiamo, non accettiamo questa deriva globalista né tantomeno accettiamo di rinunciare alla nostra tradizione, per fonderci in una religione che sia consona ai poteri di certe élite. Non ha funzionato nemmeno l’incontro interreligioso tenutosi nella Piramide di Astana, in Kazakhstan, perché non ci sono i presupposti per realizzare quel progetto. Aderendo a questa operazione, fino ad imporre addirittura il Green Pass a messa (siamo al delirio, ormai), la Chiesa dimostra di aver perso ogni legittimità residua, agli occhi dei fedeli.Così come gli stessi media manistream, giudicati inattendibili, anche il Vaticano sconta ormai la sfiducia della maggioranza della popolazione: oltre il 60% dei cattolici italiani, probabilmente, rifiutano la piega mondialista del pontificato di Bergoglio, non riconoscendosi più in questa Chiesa. E’ probabile che il cattolicesimo romano vada incontro a uno scisma, che per ora è stato soltanto rimandato. Ed è interessante che gli attacchi anti-gnostici provengano anche da ambienti clericali tradizionalisti: alcuni sono stati sferrati da personaggi come quel noto arcivescovo (Carlo Maria Viganò, ndr) che pure ha fatto proclami importanti, contro la politica di Bergoglio. Anche lui s’è messo a denunciare lo gnosticismo montante. Mi domando: di cosa hanno paura? Del risveglio delle coscienze? Temono di non riuscire più a irreggimentarle?Intendiamoci: la spiritualità non può essere ingabbiata, recintata. Secondo me, l’umanità è destinata (in buona parte) a un grande balzo evolutivo, a una rinascita della coscienza, a una nuova consapevolezza. E questo la porterà davvero ad evolversi, e a liberarsi finalmente da tante catene e da tanti condizionamenti. Il che spaventa enormemente il potere. E’ probabile che ci sarà il tentativo di creare nuovi movimenti di stampo new age, riadattati al presente, per cercare di ingabbiare le persone. E invece, secondo me, oggi possono nascere nuove, grandi correnti spirituali, di portata epocale. Perché siamo veramente a un momento di svolta. Chi vivrà vedrà, ma a mio parere assisteremo a eventi incredibili. Se ci sarà un risveglio della consapevolezza, ci sarà anche un balzo in avanti della società, sotto tutti gli aspetti: un salto quantico, dal mondo scientifico fino alla dimensione del sociale. C’è solo da augurarselo. Prima, però, deve cadere questa impalcatura malvagia, legata all’anti-umanesimo.(Nicola Bizzi, “La spiritualità della nuova era”: dichiarazioni rilasciate a Gianluca Lamberti il 14 novembre 2021, nella trasmissione “Il Sentiero di Atlantide”, sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”).La deriva transumanista a cui stiamo assistendo è il frutto di uno scontro di civiltà. Un emblematico, inesauribile scontro: non solo fra due culture, fra due concezioni del mondo, ma addirittura fra due opposte e inconciliabili forme di civiltà. Una potremmo definirla algida, fredda, pseudo-lineare, agorafobica, già vecchia e stantia nonostante i suoi appena tre secoli di età. E’ una cultura sorta dal razionalismo di fine Seicento e da quella che è passata alla storia come la rivoluzione scientifica. Una cultura che è stata nutrita da una miope incomprensione dell’esperienza illuministica, pur liberatoria, che però si è incanutita precocemente, fossilizzandosi negli ingranaggi del pensiero meccanicistico. L’altra cultura è invece antica come l’alba della conoscenza (e della coscienza), come e più delle stesse piramidi e di quei miti che produssero. Eppure quella cultura è sempre giovane: perché è immortale, orgogliosa e ottimistica, come quegli stessi dèi che la donarono agli esseri umani.
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L’Italia affonda e la Chiesa gareggia in ricchezza con gli Usa
Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma. Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato italiano ed anche di Matteo Salvini («pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro», ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero. Con la fine del potere universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo Stato sovrano più piccolo del mondo. Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.Come molti ricorderanno dagli insegnamenti scolastici, l’allora sovrano d’Inghilterra Enrico VIII pronunciò l’atto di supremazia sul cattolicesimo perché le alte sfere pontificie non accettarono il divorzio tra il Re e la sua consorte Caterina d’Aragona. Non si trattò di uno scisma teologico e dottrinale, dunque, ma di una disputa personale del Re con il Papa ed il suo cardinale di riferimento, Reginald Pole. Quel che non viene mai detto con sufficiente enfasi, invece, è che la disputa tra le due organizzazioni consentì all’Inghilterra di sanare il proprio debito pubblico. La dissoluzione dei monasteri, infatti, fu un processo che dal 1536 al 1540 permise ad Enrico VIII di confiscare le proprietà della Chiesa cattolica nell’isola. Grazie al possesso dei terreni d’Oltremanica, infatti, la Chiesa vantava entrate 3 volte maggiori rispetto a quelle dello Stato. A ben guardare, il ricavato delle vendite dei monasteri e dei terreni fu piuttosto deludente rispetto alle aspettative iniziali, ma consentì comunque all’Inghilterra di avere meno problemi economici di altri Stati in quell’epoca.Tornando all’attualità, e come si può ben immaginare, la Chiesa cattolica possiede, in Italia e fuori dal Belpaese, immobili che per quantità e qualità farebbero impallidire 100 confische di Enrico VIII. Il 20 per cento del patrimonio immobiliare italiano è in mano alla Chiesa, ma se calcoliamo anche quanto c’è fuori dai confini italiani, il papato può contare sullo stesso numero di ospedali, scuole e università di un gigante come gli Stati Uniti d’America. A Roma, città dai prezzi esorbitanti al metro quadro, un quarto degli immobili presenti è di proprietà del Vaticano. Secondo studi del “Sole 24 Ore”, solo in Italia, la Chiesa possiederebbe beni per miliardi di euro; e contando anche ciò che il Papa possiede fuori dall’Italia, la cifra supera i 2.000 miliardi solo di immobili. Va anche ricordato, a tal proposito, che la Città del Vaticano è una monarchia assoluta, una delle pochissime rimaste al mondo assieme al Brunei, all’Oman, agli Emirati Arabi e all’Arabia Saudita, e che il Papa – personalmente – risulta anche il proprietario “in solido” dei beni citati. In questo veloce conteggio, sono ovviamente esclusi conti bancari, depositi vari e oro, la cui consistenza è avvolta nel più assoluto mistero.Stiamo forse dicendo che sarebbe bene confiscare le proprietà della Chiesa? Non diamo nessuna valutazione, ma non sarebbe la prima volta che uno Stato lo fa a seguito di ingerenze politiche di stampo teocratico. Oltre ad Enrico VIII ci furono anche i francesi nel periodo della Rivoluzione, che dopo la Costituzione Civile del Clero provvidero ad assegnare ai cittadini i beni ecclesiastici presenti in Francia. Inoltre, che ci fosse bisogno di andare d’accordo col clero fu un’idea del Duce, che nel 1929 sottoscritte i Patti Lateranensi; ma i grandi protagonisti risorgimentali – Mazzini, Garibaldi, Cavour e i liberali che governarono l’Italia per più di sessantanni dopo l’Unità – non fecero concordati con la Chiesa e governarono tranquillamente il paese anche senza avere la simpatia e il consenso del Papa di turno.(Massimo Bordin, “Viene da Enrico VIII d’Inghilterra la soluzione per il debito pubblico italiano”, dal blog “Micidial” del 14 maggio 2019).Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma. Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato italiano ed anche di Matteo Salvini («pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro», ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero. Con la fine del potere universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo Stato sovrano più piccolo del mondo. Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.
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Perché alla fine Berlusconi dovrà cedere a Salvini e Di Maio
Ok, è da pazzi lanciarsi in una profezia sul prossimo governo italiano, ma dopo il vertice di Arcore del centrodestra, dopo quel comunicato che mette nero su bianco unità d’intenti nel proporre Salvini premier e nel cercare i numeri per governare in Parlamento e dopo l’ennesimo (mezzo) strappo dello stesso Salvini, che ribadisce la volontà nel cercare un accordo con Luigi Di Maio, sono evidenti almeno due cose: che una maggioranza di governo c’è, in Parlamento, ed è quella tra Lega e Cinque Stelle. E che il problema, ora, è come far sì che questa maggioranza si concretizzi in un incarico di governo e in un voto di fiducia parlamentare. Lo diciamo senza retroscena in tasca, ma ragionando per deduzioni successive: prima o poi accadrà. Magari non al secondo giro di consultazioni, in cui il centrodestra si presenterà unito, ma accadrà: esattamente come ha fatto per l’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati a presidente del Senato, il leader del Carroccio strapperà con la sua coalizione e porterà ad Arcore una bozza di patto per il governo coi Cinque Stelle, con un premier di centrodestra – non lui, magari un altro leghista come Giancarlo Giorgetti – o comunque d’area. A quel punto si vedrà chi bluffa, che solitamente corrisponde a chi ha più da perdere. E non abbiamo dubbi che il più debole del mazzo risponda al nome di Silvio Berlusconi.Primo: perché ci sono un sacco di parlamentari di Forza Italia che seguirebbero Salvini in quest’avventura, magari attraverso una scissione, come fece Angelino Alfano col Nuovo centrodestra in direzione Pd. Al contrario, non abbiamo notizia di parlamentari leghisti che farebbero il percorso inverso. Secondo: perché le giunte regionali e gli enti locali, a dispetto delle minacce, non sarebbero in pericolo. Non la Liguria, di sicuro, dove il buon Toti se ne starebbe tranquillamente al suo posto. Non il Veneto, dove la rielezione di Zaia, anche col centrodestra diviso, non sarebbe in discussione. E nemmeno la Lombardia, dove già nella scorsa consiliatura la maggioranza di centrodestra non si era divisa né quando il Pdl aveva sostenuto Enrico Letta, né quando c’era stato lo scisma tra Berlusconi e Alfano. Terzo: perché per il Berlusconi imprenditore, a questo giro, avere un governo amico è fondamentale. Lo è per l’happy ending della sua carriera politica, che non vuole si concluda con un Nino Di Matteo ministro della giustizia, ad esempio. Lo è soprattutto per le sue aziende, in primis Mediaset, spettatrice interessata del balletto tra Telecom, Vivendi, Elliot e Cassa Depositi e Prestiti.Un balletto in cui si registra la convergenza d’interessi e intenti tra Cinque Stelle, Lega e Forza Italia, tutte e tre favorevoli alla mossa della fondazioni bancarie e di Costamagna. Al netto di ogni valutazione di merito, qualcosa vorrà pur dire. Ecco perché alla fine Berlusconi cederà: perché è uno abituato a fare bene i conti e sa che gli conviene star dentro, seppur defilato, anziché fuori. Perché sa che è fondamentale tenere unita Forza Italia, più che il centrodestra – magari trovando un leader in pectore in Antonio Tajani – se vuole cercare perlomeno di rallentare il disegno egemonico di Salvini. Perché mai come oggi il peso degli amici di sempre, quelli che lo chiamano Silvio o Dottore, come Confalonieri, Letta, Galliani, lo spingerà al pragmatismo. Un lieto fine val bene un pranzo con Luigi Di Maio. A volte bisogna sapersi accontentare di non prenderle. Anche se ti chiami Berlusconi e hai giocato all’attacco per tutta la vita.(Francesco Cancellato, “Berlusconi cederà: e (presto o tardi) sarà governo Lega-Cinque Stelle”, da “Linkiesta” del 9 aprile 2018).Ok, è da pazzi lanciarsi in una profezia sul prossimo governo italiano, ma dopo il vertice di Arcore del centrodestra, dopo quel comunicato che mette nero su bianco unità d’intenti nel proporre Salvini premier e nel cercare i numeri per governare in Parlamento e dopo l’ennesimo (mezzo) strappo dello stesso Salvini, che ribadisce la volontà nel cercare un accordo con Luigi Di Maio, sono evidenti almeno due cose: che una maggioranza di governo c’è, in Parlamento, ed è quella tra Lega e Cinque Stelle. E che il problema, ora, è come far sì che questa maggioranza si concretizzi in un incarico di governo e in un voto di fiducia parlamentare. Lo diciamo senza retroscena in tasca, ma ragionando per deduzioni successive: prima o poi accadrà. Magari non al secondo giro di consultazioni, in cui il centrodestra si presenterà unito, ma accadrà: esattamente come ha fatto per l’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati a presidente del Senato, il leader del Carroccio strapperà con la sua coalizione e porterà ad Arcore una bozza di patto per il governo coi Cinque Stelle, con un premier di centrodestra – non lui, magari un altro leghista come Giancarlo Giorgetti – o comunque d’area. A quel punto si vedrà chi bluffa, che solitamente corrisponde a chi ha più da perdere. E non abbiamo dubbi che il più debole del mazzo risponda al nome di Silvio Berlusconi.
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Odio, nemico, guerra: potere cannibale, siamo tutti soldati
1. Empatia. Poniamo che io sia un pastore errante per l’Asia, con il mio picciol gregge. Che salga il pendio di un colle, e affacciato dalla sommità, veda un pastore errante per il Sahel, con pochi dromedariucci. Ciascuno di noi sorriderà all’alterità che così gli si rivela. Empatia. Che è, sì, partecipazione emotiva, è sì affinità, ma non elettiva, non dunque cercata, non voluta, e neppure passivamente accettata. Senza l’empatia, molto si può fare, non però le cose che si sottraggono alla sfera razionale, alla Discorsività. Si può per esempio tradurre un testo in modo che appaia accettabile alla scrittura (intesa come opposta alla letteratura che è al servizio del potere e delle sue norme grammaticali e sintattiche)? Si può eseguire, cioè tradurre in sonorità, uno spartito musicale, in modo che si distacchi e redima dalla discorsività che si esprime nel battito ritmico del piede dell’ascoltatore? Penso che né il testo né lo spartito possano venire degnamente interpretati muovendo dalla convinzione che soprattutto per la traduzione di opere scritte sia necessaria un’attività affine a un esercizio algebrico. A contestare l’empatia, interviene però quella prescrizione imposta dal beato Sigmund da Vienna laddove categorizza: “Wo Es war, soll Ich werden”, cioè al posto dell’Es è necessaria l’instaurazione dell’Io e, va da sé, del super-Io. Ed è la messa in mora della poiesis, la dichiarazione della sudditanza al discorso. Interviene insomma il potere, metaforizzato dal super-Io fallico nelle metastasi del dominio, che sono potere politico, potere religioso e potere di preparare e condurre la guerra.2. Dominio. Perché il dominio, per perdurare in ciascuna delle sue manifestazioni, ha bisogno di nemici che lo giustifichino. E non c’è differenza effettiva tra l’una delle metastasi in questione. Il potere politico si fonda e si replica in quello religioso e in quello bellico. E ciò fin dalla sua invenzione e introduzione nel mondo, risalente a circa quindicimila anni fa. E per la persistenza delle metastasi e dunque del Dominio stesso, è sempre indispensabile una forma o l’altra di mobilitazione. Necessaria per garantire il funzionamento degli stabilimenti industriali e degli uffici, perché occorre persuadere i dipendenti, operai o impiegati dell’opportunità di non opporsi alle rigide norme della produttività. Così, per riaffermare la fede dei credenti occorrono, certo, processioni, encicliche, corali, altre prediche e altre parafernalia, ma in primo luogo quella componente selettivamente mobilitatoria, persuasiva, che è la messa o il suo equivalente, la quale comporta l’inghiottimento del dio fatto particola o pane, di solito con accompagnamento del vino sacramentale riservato al sacerdote.In tutti i casi, la mobilitazione si basa sull’asserto che senza l’obbedienza ai superiori – manager, ministri del culto, gerarchie ecclesiastiche, comandanti militari – i nemici sempre in agguato (concorrenza nazionale e internazionale, crisi finanziarie causate da incompetenza o più spesso da malafede, eccetera) il sistema correrebbe seri pericoli. La funzionalità della mobilitazione si rivela, e anzi salta agli occhi anche di chi, operaio o impiegato, la vive o la subisce, sia pure in maniera meno palese, e anzi spesso senza che gli uni e gli altri si rendano conto della sua astanza. Ben più esplicita è la mobilitazione militare che riguarda tutti, intendo per tutti gli appartenenti alla Patria o alle strutture che parzialmente o totalmente l’hanno effettivamente o presuntamente vicariata. A questo punto, per i reggitori del sistema, padroni, uomini politici, dirigenti militari, si pone il problema, di fondamentalissima incidenza, consistente nel mascherare le esigenze e le pretese della patria o dei suoi equivalenti. Che hanno in comune i denti lunghi che sono un’eredità del cannibalismo degli antichi tempi e dei superstiti selvaggi.La Patria, voglio dire, imperversa, esige, pretende, impone – s ìenza proporre giustificazioni – il supremo sacrificio, considerandolo aprioristicamente un dovere al quale nessun mobilitato può sottrarsi. Con l’avvertenza che la preparazione alla guerra, che è perenne in tutti gli stati, non si traduce necessariamente nel richiamo immediato, urgente, alle armi. Ma è, ripeto e sottolineo, presente a tutti i livelli produttivi, persino alle attività di svago e riposo. Le quali sono appunto attività, dal momento che la consumazione esige la preventiva creazione dei mezzi, finanziari ma anche e soprattutto psicologici, che permettono lo spreco festoso. Quella che diciamo Patria, e quale che ne sia la struttura, è cannibale, pronta all’occorrenza a divorare i suoi figli, insensibile alle angosce e alle paure dei singoli mobilitati. La Patria-cannibale imperversa e a nulla serva implorare dal fondo di una trincea che si astenga dall’impiego e dall’essere il bersaglio di letali proiettili, razzi, gas tossici, assalti e distruttive manovre. La patria va però opportunamente mascherata, le sue pretese vanno attenuate, i suoi denti e le sue unghie limati. Non è bene inteso una giustificazione: è solo un sipario calato di fronte agli attori e spettatori. E lo si cala rendendo accettabile, addirittura affabile l’eventualità della morte che è lo scotto aprioristicamente imposto a chi si sia messo volontariamente o obbligatoriamente al suo servizio.3. La mobilitazione. Che, ripeto, ha luogo a tutti i livelli, compreso quelli scolastici, accademici, di produzione culturale e nell’ambito di tutte le attività economiche e produttive, comporta anche un’altra forma di persuasione, non meno importante, del richiamo del dovere verso la Madre, ed è la denigrazione sistematica del nemico. Occorre infatti che il nemico venga descritto come pericoloso, spietato, implacabile, proditorio, assetato di sangue, ma alla fin fine superabile dalle nostre armi e più ancora dal fegato e dal cuore dei nostri militi. Allo stesso modo il concorrente industriale, l’appartenente a un altro esercito produttivo che in ogni momento possa diventare ostile, sarà anch’esso necessariamente calunniato, fatto prescrittivamente oggetto di sospetto, deprecazione, finanche odio. Solo così la mobilitazione sarà effettiva ed efficace.L’operazione – odio del nemico – implica di necessità che il potenziale o attuale avversario, e in primo il nemico per antonomasia della società, il criminale comune o politico, giudicato, condannato e variamente isolato dal resto dei componenti la società mediante chiusura in carcere, detenzione in un campo di concentramento, esilio o internamento di altro genere, non sia oggetto di simpatie o anche solo di commiserazione. La punizione che gli viene inflitta deve essere pertanto resa nota, sottolineata, giustificata, spesso anzi proclamata. Il nemico interno della società deve essere cioè oggetto di disprezzo, deve essere calunniato, fatto segno di riprovazione e odio, esattamente come il nemico esterno. È quanto si è visto accadere nel caso dei campi di concentramento tedeschi, ma anche nei campi di lavoro, i gulag dei deportati sovietici. Nulla di nascosto: anzi, tutto dichiarato, esposto del ludibrio della parte “sana” delle popolazioni.4. L’Odio. Ma come si suscita ostilità e odio totale nei confronti del nemico esterno e ostilità e disprezzo di quello interno, il criminale comune o politico che sia? Va premesso che l’odio totale o l’odio temperato dal disprezzo, comunque l’ostilità, cresce – e si vuole appunto che accada – su se stessa. Una volta che il dominio sia riuscito ad avviare il meccanismo, di importanza fondamentale per al sua stessa sopravvivenza, chi se ne fa interprete o strumento andrà come alla scoperta di un continente, l’oscura, torbida regione della negatività. Io, l’odiatore, colui che ha fatto propria l’ostilità, divengo il mezzo per cui l’altro si è rivelato, si è attuato come oggetto della mia insopportabilità. Io, l’odiatore, sono l’arnese che serve ad attuare uno scopo specifico. Che è la dichiarata superiorità della mia parte – la patria o la parte sana della società. Scopro l’insopportabilità di ogni gesto, pensiero, azione del nemico dichiarato tale. Non posso – non devo – ignorare la presenza del nero accanto a me; buon cittadino di uno stato razzista, dovrò nutrire paura nei confronti dello zingaro; e, apertamente o meno, debitamente, desiderare di fargli del male, di perseguitarlo, di appenderlo a un ramo.E sono atteggiamenti emozionali in cui si riassume il desiderio di distruggere, o almeno di mettere in condizione di non nuocere, tutti i simili a lui, il nero o lo zingaro, cioè tutti quelli che stanno al di là, oltre la barricata: nei confronti dei quali, chiunque vi si trovi o corra il rischio di collocarvisi, l’odio dev’essere sempre pronto a scattare. E nell’odio, l’odiatore simboleggerà la volontà di affermare il proprio assoluto valore, la propria indiscutibile superiorità. L’odiatore sa che gli è propria una indiscutibile superiorità. L’odiatore sa che gli altri, oggetto prima del suo disprezzo (dal momento che la scuola dell’odio procede per crescenti fasi: disprezzo determinato dal fatto di detestare, via via, una, poi molte delle sue qualità) saranno al termine il bersaglio della negativa globalità dell’ostilità e dell’odio.5. Inutilità dell’Odio. Ma anche inutilità dell’odio. Per il fatto stesso di esistere, l’altro, l’odiato, costituisce un pericolo e una minaccia, ma l’odio non può sopprimere il fatto primordiale dell’esistenza altrui. L’odio è così minato da se stesso: non può impedire all’altro di rivelarsi quale presenza indispensabile. Qualcosa dell’altro mi sfugge sempre, o lo distruggo, e porto a compimento l’odio, ma in pari tempo nullifico l’odio (l’altro è esistito, l’altro fu una presenza: dell’altro aleggia il ricordo, i suoi occhi, il suo sguardo, la certezza che per questo spiraglio di luce che qualcosa mi è sfuggito) oppure gli do modo di crearsi una zona sua, non più grande di un’unghia ma imprendibile: l’odiato mi odia a sua volta, è me stesso in carne d’altri; e, a questa stregua, il mio odio non tocca il culmine, è un meccanismo che gira a vuoto. Con l’odio, la mia sconfitta è certa.Infatti, se odio faccio un ricorso come ultima istanza… che cosa mi resterebbe, che cosa ho concluso, una volta salito su un monte di cadaveri? La guerra – ogni guerra – finisce; poniamo che io, qualunque sia la nazione di mia appartenenza, abbia vinto, che guardiano di un campo di concentramento e di sterminio, abbia celebrato quella che allora è diventata la mia vittoria: ecco che mi ritrovo davanti a una folla di schiavi, che non ho più né scopo né ragione di odiare, dal momento che hanno cessato di costituire un pericolo. Ma riconquistare la propria integrità – ed è ciò che avviene al termine di ogni guerra, per quanto catastrofica sia stata – sarà tanto più difficile quanto più è avanzato il processo di decomposizione, di semplificazione, di riduzione: insomma, quanto più vasta è stata l’abiura alla mia umanità.6. Guerra. L’altra faccia della medaglia: guerra. Il problema, si è visto, è rappresentato dalle modalità usate per rendere il soldato invulnerabile alla pietà. Che il soldato possa diventare da semplice cittadino un carnefice, colui cioè che è incaricato di distruggere carne umana, è dimostrato dai campi di concentramento della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. I guardiani dei detenuti erano perlopiù SS che dopo aver combattuto su vari fronti, erano stati ritirati dal servizio attivo perché feriti o perché troppo usurati per venire impiegati in prima linea. Assurto alla figura di eroe, di collerico semidio incaricato di combattere e all’occorrenza eliminare, i nemici della “patria” e del sistema politico dominante: trasfigurato come tutti i guerrieri in incarnazione della violenza, dell’aldilà incontrollabile, l’SS ne reca addosso la maschera e il paludamento.Il soldato ridotto a stizzoso guardiano è anch’egli un masochista, anzi un sadomasochista. In quanto masochista, pronto a pagare uno scotto prima di commettere l’azione che sa o sospetta riprovevole. In quanto sadico, non è esattamente il beccaio: è un carnefice che deve riuscire a rendere masochista la vittima. Il suo proposito sarà dunque quello di escogitare tormenti tali da tappare la bocca del martire le cui lamentele lo irritano e incattiviscono. E martire e carnefice si vedranno così impegnati in un duello che non potrà, a un certo punto, non assumere l’apparenza della lealtà, dello scontro aperto, dichiaratamente senza esclusione di colpi. Col carnefice che dovrà, almeno con se stesso, ammettere la propria sconfitta, quando la vittima non si sia trasformata in oscurità rantolante, in annebbiamento e abiura, ma anche qualora il rantolo sia diventato irreversibilmente agonico.Supremo ideale del sadico: riuscire a trasformare l’altro in carne senza che costui cessi di essere strumento. Gli basta, per convincerlo di avere toccato la propria meta, l’implorazione della vittima? No, poiché anche nelle grida di terrore può celarsi la soperchieria. E l’atteggiamento del sadico, in questo caso soldato – carnefice, è dettato da volontà di potenza. Definizione che è una mera tautologia: resta da spiegare, infatti, il perché del gusto di dominare gli altri. E se il sadico questo impulso lo prova, è perché vede in esso la possibilità di avere la rivelazione dell’altro, – e di sé per riflesso – attraverso l’oppressione. Ma l’accettazione a cui l’altro si obbliga deve essere senza residui; e non basta neppure che la vittima rinneghi e abiuri, che strisci e urli. Occorre che quegli urli siano per così dire assoluti. In un certo senso, frutto di una libera scelta, e che tuttavia codesta scelta non lasci residui, ombre, ambiguità. La vittima dovrà interamente trasferirsi in quest’esito, senza avere più un secondo fine, soprattutto quello di convincere il sadico-carnefice di avere già pagato abbastanza e pertanto di persuaderlo a rinunciare alla continuazione della tortura. E allora?La tortura cessa: o la vittima è un freddo cadavere, o è tornata coscienza, astuzia, gioco, inganno. Il sadico-carnefice si sente defraudato nell’uno come nell’altro caso. Deve pertanto impedire che venga superata una linea di confine non oggettivamente determinabile, una soglia solo probabilisticamente fissabile. La sua è quindi la condanna alla tortura perenne: in ogni istante dovrà essere circondato almeno dagli emblemi del suo potere, e come un Dracula banchettare tra i cadaveri, o come i quattro signori delle Centoventi giornate di Sodoma, prescriversi un rigido rituale, un crescendo dell’orrore. Il sadismo diviene pertanto consumazione e autofagia: il sadismo perciò stesso si rifà al suo contrario, gli estremi finiscono per toccarsi. Il sadico può scoprire la possibilità che venga applicata a lui stesso l’impresa tentata a spese degli altri. Può allora accadere che il masochismo prevalga. Che il combattente veda, nel suo avversario, il nemico che dovrebbe odiare senza remissione, ed è ormai vano farlo; che scopra, nell’uomo dell’opposta trincea, il suo simile. Può accadere dunque che si verifichi un istante di empatia, quasi un ritorno a un’origine mai dimenticata, perché indimenticabile, un vuoto di memoria che può all’improvviso colmarsi. È accaduto tante volte, durante le stragi della prima e della seconda guerra mondiale.Può accadere, in qualunque guerra, che questa divenga ritualistica – che a prevalere sia la stanchezza e che ne derivi compassione per il nemico, e che dia luogo alla rassegnazione (di chi, sepolto nel rifugio, sperimenti, cieco, l’ossessione dei bombardamenti) e alla stanchezza dei disertori e addirittura degli ammutinati. Gli eserciti zaristi, nel 1917, proprio per questo si sono disfatti. È come se la vittima, anziché semplicemente soccombere – e pur restando condannata – sia entrata nel seno della sacralità. Che divenga intoccabile, ancorché si continui a toccarla, a disfarla. Si constata allora che il gioco dell’angoscia sia sempre lo stesso, angoscia fino alla morte, al sudore di sangue. E al di là della morte e della rovina, il superamento dell’angoscia, quello che ha popolato la terra di eroi e taumaturghi, di figli del sole e nati da vergini minacciati e invincibili come il sogno dell’uomo. Viene allora fatto di chiedersi: può allora l’uomo rinunciare ai sacrifici, concreti o simbolici? Può fare a meno di vittime a carnefici? Ed è legittimo il dubbio che anche tra i nostri progenitori paleolitici – e tra gli ultimi selvaggi – superstiti della civiltà – si desse e si dia la nostra stessa, attualissima suddivisione tra sofferenti e apportatori di sofferenza? In altre parole: l’uomo poteva allora, e può ancora, rinunciare all’angoscia? O l’angoscia è costitutiva dell’umanità?7. Beltran de Born. Dante lo incontra nel suo XXVIII dell’Inferno, ai versi 118 – 149. Nona Bolgia riservata ai seminatori di scandalo e scisma, e dunque «mali consiglieri». Dove i dannati girano perennemente tutt’attorno e vengono feriti di spada dal Diavolo. Le loro ferite si rimarginano prima che gli ripassino davanti. «Io vidi certo… / un busto senza capo andar…// e il capo tronco tenea per le chiome, / presol con mano a guisa di lanterna…». È Bertram de Born (per Dante, dal Bormio) trovatore (ca.1140-1215) signore del Castello di Hautefort tra il Périgord e il Limosino, coinvolto – si dice – in dispute feudali tra Francia e Inghilterra e suscitatore, forse, di discordia tra Enrico di Inghilterra e il padre, re Enrico II. Gli si devono una trentina di sirventesi in cui celebra le virtù cavalleresche, esalta la guerra come unica fonte di gloria, la morte in battaglia come liberazione dalle miserie terrene. La più celebre di tali composizioni è stata tradotta in toscano nel XV da un poeta di cui mi sfugge il nome. Dopo aver celebrato la primavera, la bella fioritura, i dolci canti degli uccelli, Bertram cambia di colpo registro: “Ma più mi piace veder per li prati alzar le tende e stendardi piantare. / E per i campi cavalieri andare. Tutti in ischieri su cavalli armati. / E piacemi se vedo scorridori, molti ed armati a tumulto venienti. / E piacemi se vedo inseguitori. Che fan fuggire con loro robe el genti. / Et ho allegrezza assai grande mirando. Forti castelli assaltati e crollare muri abbattuti / E le schiere ristare presso le fosse steccati innalzando”.Mi si farà notare che la guerra può eccitare con l’allucinazione del potere che conferisce, con la speranza di premi e ricompense, con la liceità di “perversioni” giudicate ammissibili e anzi consigliabili; e tuttavia potrebbe in ultima analisi esercitare un fascino solo per chi attribuisce scarso e nullo significato alla propria esistenza, e dunque per quelli che ci si ostina a chiamare «dannati della terra,» o a giovani incapaci di trovare una nobile ragione per vivere. Ma mi si farà anche notare che la guerra, ogni guerra, rappresenta la prosecuzione di un clima di festa, di messa in mora delle norme consuete. Di sospensione della separazione tra realtà e sogno, tra quotidianità e avventura. Né si mancherà di ricordarmi che la guerra è necrofila, in quanto esige dal combattente familiarità con la morte propria e altrui. Un fascino oscuro, quello esercitato dalla guerra: ma sono tutte considerazioni di accento negativo, laddove la celebrazione di Bertran de Born è una affermazione di vitalità spinta ai limiti.Gli è che la guerra ha una sua intrinseca bellezza, e lo comprovano i molti, celeberrimi dipinti di ogni secolo – a partire, facile notarlo, dal Neolitico, e più avanti dirò perché – i quali illustrano fatti d’armi, si tratti delle Termopili, della carica della cavalleria scozzese alla battaglia di Waterloo, o dell’enorme numero di film che continuano ad esaltarne l’importanza, la torbida bellezza, insomma l’incidenza enorme che le guerre, e soprattutto certe battaglie conclusive, hanno avuto e hanno sulle vicende sociali. Persino sulla delimitazione dei periodi che usiamo chiamare storici. L’Inghilterra è nata dalla conquista normanna del 1166. Cos’è dunque la guerra? Risposta di Karl von Clausewitz: «Limitiamoci alla sua essenza, il duello». Dove il grande teorico della guerra rischia la confusione tra violenza e guerra, come se fossero un’unica cosa. L’errore di Clausewitz è consistito nell’aver equiparato la guerra a un atto, o una serie di atti, istintuali. Quasi si trattasse di un litigio da osteria che finisca a coltellate.Ma la guerra non è l’istintuale. Non si guerreggia obbedendo a impulsi prerazionali. No, perché le guerra sono proprie, ed esclusivamente, di società gerarchiche, strutturate in piramidi formate da un vertice autorevole e da una successione di sudditi convinti all’obbedienza. Senza questa struttura, eminentemente razionale, e di ascendenza neolitica (e come tale furto dello stanziamento, della produzione agricola, dell’allevamento del bestiame, dell’invenzione della divinità, del dominio nella sua triplice articolazione, dell’invenzione della macchina, della proprietà privata – in una parola dell’epoca, appunto il Neolitico, di cui siamo gli eredi, e anzi i continuatori). Clausewitz, celebre autore del suo celeberrimo “Della guerra”, 1832-34, si è reso conto del suo errore. Dicendo che per il militare non esiste «la pace»: esiste solo la non-guerra, la tregua armata. E alludendo dunque alla perennità della mobilitazione continua a tutti i livelli della società e di conseguenza alla condanna del militarismo inteso quale politica che abbia a propria finalità e conclusione la guerra. Della politica, infatti, la guerra è, al più, la forma suprema, il culmine. E soltanto una politica stupida (e ne abbiamo avuto nel secolo scorso esempi clamorosi, Vietnam, Iraq, Afganistan…) si tramuta senz’altro in guerra, al di là di ogni considerazione di carattere razionale e utilitaristico.8. Meccanismo della Persuasione. Sì, perché esiste una tecnoscienza, ripetuta di generazione in generazione, della mobilitazione. Ed è quella che da altri, in particolare Clyde Miller, è stata chiamata Meccanismo della Persuasione. Né è certo una novità l’intervento di «persuasori occulti,» cioè di appelli all’irrazionale nella vita delle nazione: irrazionale camuffato, sia chiaro, da richiami ai principi di realtà. Elaborata da secoli a scopi mobilitatori, la propaganda politica nella fase attuale dello sviluppo civile ha investito la società in maniera un tempo sconosciuta. Le forme di propaganda rispecchiano i fondamenti economici della società che la usa, nonché gli intenti della sua classe dirigente; e, per ciò che riguarda le società odierne – tutte borghesi seppure con varie connotazioni, che siano o meno sottoposte al controllo di un partito unico – il modulo, l’insieme di tecniche impiegate allo scopo, è sempre lo stesso, che si tratti di agire nell’ambito della caserma o del supermercato, quale che sia la merce da indurre ad apprezzare, ad accettare, ad acquistare, formaggi o ideologie.Perché i problemi della persuasione si riducono a uno solo: sviluppare certi riflessi condizionati mediante ricorso a parole-chiave. A simboli-chiave, ad azioni-chiave. Il consumatore-mobilitando, il compratore-soldato, viene “precondizionato”, gli si stampa nel cervello l’elogio del prodotto in modo da escludere dubbi sulla sua assolutezza. Si tratta di agire programmaticamente su tutti i livelli dell’opinione, soprattutto a quelli consci o preconsci, (pregiudizi, terrori, credenze ancestrali, impulsi emotivi), applicando nei confronti del milite come del consumatore i ritrovati della ricerca motivazionale, dell’analisi delle motivazioni. Il prodotto – e l’ideologia – dovrà esercitare una suggestione sui sentimenti annidati nella psiche. Ma non si tratta di prassi inedite, inaspettatamente iniettate nelle vene della società borghese, anche se hanno assunto, soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e della guerra fredda, un’estensione rilevantissima in concomitanza con l’espansione del mercato. E la cura costante per le esigenze psicologiche degli eserciti (fino a tempi recentissimi quelli di massa, oggi in apparenza composti da volontari salariati) ha avuto uno sviluppo parallelo a quello dell’economia di mercato. Il cliente, milite o compratore, dovrà innamorarsi del prodotto, a esso legarsi mediante una fedeltà irrazionale.Per quanto riguarda il compratore, il prodotto apparirà ( anche se in effetti contenga veleni), casalingo, puro, cortese, pulito, onesto, paziente. Nel caso dell’acquirente del prodotto patria, dovrà apparire virile, forte, potente, autoritario. Sempre il prodotto dovrà avere una personalità, la stessa della patria o dei suoi equivalenti. Si offrirà così al mobilitando un’illusione di razionalità, un pretesto con il quale nascondere a se stesso l’irrazionalità su cui si fa leva. L’estetica dell’arma, da lustrare e curare, l’arma che prolunga la personalità del combattente, kalascnicov o elicottero che sia, fa il paio con l’idea dell’automobile come mezzo di espressione dell’“aggressività” di chi la acquista. Importantissime, ai fini della mobilitazione, le parate militari, che altro non sono se non l’esposizione di certi prodotti sapientemente architettati, accuratamente designed, carri armati dall’aria cattiva, di fosco colore, dalle minacciose torrette, mostri scientifici e metafisici insieme; e velivoli senza pilota, invisibili, irrintracciabili in cielo, di invincibile pericolosità; caccia-bombardieri nei quali la funzionalità si sposi alla misteriosità, all’incomprensibilità per il profano, e la cui efficienza sia già rivelata dal fracasso che producono volando o decollando e dalle enigmatiche scie di condensazione. Se al consumatore del supermercato piace vedere una grande abbondanza di merci che lo sazia letteralmente e preventivamente, al milite piace la sensazione di essere in tanti che partono in missione, e la constatazione di disporre di tante armi, presuntamente efficientissime, che si aggiungono all’euforia tipica delle manifestazione di massa, soprattutto quelle patriottiche-militaristiche.9. Il Militarismo. Il Militarismo è l’esplicita o sottilmente insinuata finalizzazione della politica alla guerra proclamata come necessaria. E tale è stata dichiarata, a sua giustificazione, la guerra del Vietnam, come quelle successive. Noi viviamo così in società della paura (qualcuno può sempre e comunque sganciare la BOMBA). Ma l’oscuro fascino della guerra è lungi dall’essersi spento e anche solo eclissato, e sussiste pur sempre la possibilità di sottrarsi collettivamente al logos inteso come super-Io, e di abbandonarsi lontano dalla città con le sue forclusioni, a una sorta di stravolta empatia (o controempatia) con la rivelazione però, non dell’Alterità, bensì della Morte. L’ostilità è così calata dal cielo a funestare la terra – ogni lembo di terra abitato dalla civiltà, che è per definizione bianca, occidentale. Né chiamatela follia. Poiché quella che si usa definire follia – oppure psicosi o altri presunti equivalenti – è innanzi tutto condizione della poiesis.Ed è hybris, è dissoluzione del soggetto, rifiuto dell’obbligatoria felicità, contestazione della volgarità sotto forma del rappresentabile e rappresentato – pittura, teatro, danza, o dalla rappresentabilità della Logica del Tempo, della Logica dell’Inconscio, in nome dell’eccesso, dell’estremismo, dell’ekstasis, parola greca che può indicare l’uscita dai ceppi della ratio come assoluta egemone, ma dalla quale deriva, guarda caso essere, non esser-ci: voglio dire l’inattingibile Carne, mai matrugiata dalla carne, forse intravista – budella squarciate, sublime dolore, dal samurai che pratica il seppuku, – e forse per un istante raggiunga il fondo supremo della rivelazione, il simbolo palpabile dell’aldilà, della sua presenza in noi. Cosa non data al soldato, e tanto meno al cosiddetto eroe. E mai al soldato. Soldato che inesorabilmente scopre la sua propria miseria.(Francesco Saba Sardi, “Istituzione dell’ostilità”, dalla pagina Facebook di Giovanni Francesco Carpeoro, 14 aprile 2016. Scrittore, saggista e traduttore, eminente intellettuale italiano, ha tradotto i maggiori scrittori mondiali dell’800 e del ‘900, nel 1958 ha firmato “Il Natale ha 5000 anni” e, in un altro saggio, “Dominio”, edito nel 2004, ha tracciato una lucida analisi della natura autoritaria del potere che ha guidato la civilizzazione terrestre, dall’avvento del neolitico ai giorni nostri).1. Empatia. Poniamo che io sia un pastore errante per l’Asia, con il mio picciol gregge. Che salga il pendio di un colle, e affacciato dalla sommità, veda un pastore errante per il Sahel, con pochi dromedariucci. Ciascuno di noi sorriderà all’alterità che così gli si rivela. Empatia. Che è, sì, partecipazione emotiva, è sì affinità, ma non elettiva, non dunque cercata, non voluta, e neppure passivamente accettata. Senza l’empatia, molto si può fare, non però le cose che si sottraggono alla sfera razionale, alla Discorsività. Si può per esempio tradurre un testo in modo che appaia accettabile alla scrittura (intesa come opposta alla letteratura che è al servizio del potere e delle sue norme grammaticali e sintattiche)? Si può eseguire, cioè tradurre in sonorità, uno spartito musicale, in modo che si distacchi e redima dalla discorsività che si esprime nel battito ritmico del piede dell’ascoltatore? Penso che né il testo né lo spartito possano venire degnamente interpretati muovendo dalla convinzione che soprattutto per la traduzione di opere scritte sia necessaria un’attività affine a un esercizio algebrico.