Archivio del Tag ‘sexgate’
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Sovragestione buia: Epstein sacrificato in nome della Rosa
La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.Dare in pasto al popolino in astinenza da rogo un singolo caso di un presunto colpevole, talvolta innocente, come fu in piccolo per il caso di Kevin Spacey, oppure, di un vero colpevole, in modo da fare distrazione di massa. La cosa importante è spostare i bersagli e l’attenzione in modo da non far percepire l’elefante in salotto, continuando ad aggiornare questo secolare sistema criminale, con il suo annesso mercato, mentre si fa credere alla massa dei sudditi che si combatte strenuamente il problema, che sia in corso addirittura una rivoluzione dei “buoni”, che interverrà la giustizia divina e sanerà tutto. E’ lo stesso semplice e basico meccanismo che avviene quando si fanno le guerre ai vertici delle mafie, che a loro volta fanno le loro guerre interne per il controllo del narcotraffico, facendo credere che si stia operando per il bene della comunità, quando invece si sacrifica il superfluo (morto un Papa…). Alcuni reparti dei servizi segreti, attigui soprattutto a una certa ala conservatrice americana, trasversale partiticamente, quelli che appunto gestiscono storicamente il narcotraffico, i colpi di Stato, il mercato di minori e la pedofilia, si sono inventati il vendicatore Q, fantomatico vendicatore degli oppressi che, curiosamente, colpisce solo una certa parte politica e determinati ambienti, salvandone altri.Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere, e la gente ci crede; una parte della controinformazione si affida a questo nuovo Zorro digitale 2.0, un po’ come nel film “V x Vendetta”, credendo di essere riscattata dall’oppressione dell’élite; invece, questo rappresenta il punto massimo della manipolazione che si presenta al grande pubblico con la maschera dei buoni. Epstein, il miliardario pedofilo arrestato e ucciso in carcere dallo stesso sistema di cui in piccolo faceva parte, come monito e ricatto a tutti gli altri attori coinvolti riguardo a cosa potrebbe succedere se qualcuno si esponesse malamente o rischiasse di svuotare il sacco per crisi di coscienza od opportunità, rientra in questo gioco. Sacrificato per evitare che altri parlino, ucciso perché non si sappia cosa c’è oltre al suo specifico caso giudiziario, per evitare che si vada oltre e si comprenda la vera natura sacrificale ed infernale della nostra realtà. Nessuna giustizia è stata fatta, anzi, il sistema si è parato il culo e ha fatto credere si trattasse della solita mela marcia da dare in pasto ai media e agli indignati di ogni dove, affinché le persone ingenuamente pensassero che l’autorità, lo status quo, li difende come un buon padre di famiglia è solito fare, rimuovendo, come nella sindrome di Stoccolma, il vero padre padrone pedofilo.Cambiare tutto per non cambiare nulla: Trump prova a colpire il Deep State per proteggersi dagli attacchi dei nemici e dal “fuoco amico”, c’è una guerra in atto fatta a suon di scandali sessuali; ma lo stesso Stato Parallelo lo controlla, nel senso che si aspetta proprio questo dal suo operato, essendo in qualche modo un suo prodotto o sottoprodotto. Il presidente Usa, essendo da sempre uomo di quel sistema, conoscendolo ed avendolo frequentato assiduamente in passato, ha piazzato trappole e uomini chiave in molte stanze dei bottoni, per salvarsi e difendersi dalle minacce di morte che riguardano la sua persona e anche i suoi figli. A sua volta, però, Trump è stato costretto, “convinto”, a scendere in campo, come successe in piccolo in Italia per Berlusconi, proprio perché è un prodotto di questo sistema, restituendo in questo modo favori all’entità, che sono stati parte della sua fortuna imprenditoriale. Tutti gli attori sono coinvolti loro malgrado nella stessa sceneggiatura; anche se talvolta se lo scordano o fingono di non saperlo, sono manipolabili dallo stesso network di potere.Esiste una sovrastruttura che attende in silenzio si “faccia un po’ di apparente pulizia”, tramite araldi come Trump, tramite inchieste come quella contro Epstein e altri personaggi, per aggiornare il sistema. Un po’ come per Mani Pulite, lo schema è identico; i giudici furono occultamente protetti e spinti nella loro opera di destrutturazione della 1° Repubblica dai servizi Usa, utilizzati come cavalli di Troia, strumentalmente per poter aggiornare il nostro sistema in termini più liberisti, creando i presupposti di una nuova Italia che rispondesse maggiormente ai bisogni della globalizzazione in atto. Una sovragestione “permette” si colpiscano alcuni attori, alcune comparse, alcuni più noti (per rendere credibile l’operazione), altri meno, 4 mosche in croce in una palude immensa di insetti, per cambiare alcuni vertici nelle posizioni chiave dello Stato Parallelo, per spostare in termini reazionari e sempre più antidemocratici il sistema e magari giustificare nuovi Patriot Act, leggi liberticide, implementare lo stato marziale, ove questo ancora non ci fosse.Tre sono i livelli di potere in campo. 1- Il primo livello è quello del backstage di certi poteri massonici che hanno favorito strumentalmente l’ascesa di Trump, proprio per cercare di produrre discontinuità positiva e costruttiva nel sistema, in modo da poter impostare in futuro nuove politiche keynesiane che ribaltino l’attuale paradigma neocon, ma che rischiano di aver creato un mostro che si ribella al proprio creatore e che potrebbe favorire, direttamente o indirettamente, la fazione dei poteri forti avversari. Una trappola rischiosa che, a mio avviso, si sta rivelando una fregatura. 2- Il secondo livello è quello che riguarda il Deep State, quello che controlla il traffico di bambini, la vendita illegale di organi, si occupa della gestione e delle controversie riguardo la guerra per il controllo del narcotraffico, produce conflitti e colpi di Stato, invisibili e meno invisibili, nel terzo mondo, e di cui spesso ignoriamo l’esistenza, con i relativi indotti bellici, ma anche come agenzia criminale di omicidi mediatici, politici, rituali; una sovragestione assolutamente apolitica, anche se, nel metodo, conservatrice e reazionaria.3- Infine, esiste un terzo livello che riguarda la sovragestione complessiva che “contiene” tutte le fazioni in campo e le guerre fratricide interne in atto, che permette possa accadere qualcosa, per poi raccoglierne i frutti. Questo processo occulto e magico servirà a favorire una trasformazione più dispotica e distopica dell’intera globalizzazione, colpendo il cuore delle democrazie mondiali, facendola accettare alla popolazione, attraverso i vari capri espiatori o pesci piccoli sbattuti in prima pagina, veicolandosi sistema buono e saggio dalla parte della gente. I social giocano un ruolo importante, ovvero: far credere ci sia un vero cambiamento, per far accettare nuove visioni totalitarie e incanalare il pensiero e la psicologia di massa verso altri lidi. L’avallo politico, energetico e religioso dei sudditi è fondamentale per la riuscita del progetto. L’accettazione dal basso di certe dinamiche è di primaria importanza. Ogni attore in campo lavora per il suo livello di appartenenza, spesso non conosce e non ha interesse a comprendere il progetto e la sua visione complessiva.Il 3° livello, che oltre ad essere incarnato da uomini, è anche un modello astratto e concettuale, potrebbe coincidere con tutto ciò che incarna lo schema del potere attuale e che, a mio modesto avviso, sta ben sopra le massonerie, le Ur-logge, le Corporation, l’apparato militare, i servizi segreti e ovviamente la politica, che conta poco più di zero. Vive come “idea del potere”, questa è la sua linfa vitale. Anche all’interno di questo livello di potere “arcontico” esistono scissioni dell’atomo infinite e contrapposizioni fratricide, perché esse fanno parte della natura di tutti gli esseri viventi. Questo permettere di scorgere gli scheletri nei vari armadi, di capire le contraddizioni e le dinamiche del potere al suo interno, e ci consente di sopravvivere in questo inferno. Quando non sarà più così, se un giorno mai ci sarà solo un grande vecchio al timone dell’arca – e la visione generale del progetto tende proprio a questo modello unico – saremo in pieno transumanesimo realizzato e potremo candidamente implodere. “Snowpiercer”, capolavoro del sud-coreano Bong Joon-ho, è un film che parla in termini metaforici di come la testa del serpente caldeggi e prepari il terreno per colui che lo sostituirà; con la sua morte favorirà una rinascita, nuova vita e nuova linfa allo schema del potere: quello che, in altri termini, chiamo “aggiornamento di sistema”.(“Epstein sacrificato in nome della Rosa”, post pubblicato il 29 agosto 2019 dal blog “Maestro di Dietrologia”, curato da Simone Galgano).La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.
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Il peggiore dei mondi possibili, nutrito dalla nostra paura
Sembrava il migliore dei mondi possibili, quello che l’Europa aveva di fronte a sé fino al 2001, precisamente il 20 luglio, quando al G8 di Genova esplose la follia opaca della violenza e a lasciarci la pelle fu Carlo Giuliani, immortalato mentre col suo estintore minaccia i carabinieri intrappolati in un gippone. Ma Genova era solo l’antipasto dell’inferno: due mesi dopo, crollarono di colpo le Torri Gemelle di Manhattan. Tremila vittime l’11 settembre, e altre 12.000 negli anni seguenti a causa dei tumori provocati dalla nube d’amianto. Nel 2003, in Italia, le prime ipotesi sul possibile auto-attentato vennero avanzate da Giulietto Chiesa, nel bestseller “La guerra infinita”, ignorato dai media. Nel 2005, a “Matrix”, in prima serata su Canale 5, Enrico Mentana ebbe il coraggio di trasmettere “Inganno globale”, esplosivo documentario in cui Massimo Mazzucco dimostra che la versione ufficiale (terrorismo islamico) è integralmente falsa. Era già cominciata, la grande retromarcia dell’Occidente, ma pochissimi se n’erano accorti. Tra questi Bettino Craxi, che da Hammamet spiegò che l’euro-finanza avrebbe spolpato l’Italia. E prima ancora l’economista keynesiano Federico Caffè, sparito nel nulla nel 1987. E così Olof Palme, l’inventore del welfare svedese, ucciso l’anno prima a Stoccolma. Doveva aver capito tutto anche Aldo Moro, minacciato di morte da Henry Kissinger poco prima che di lui si occupassero, teoricamente, le Brigate Rosse.
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Ieri Borrelli e Craxi, oggi paga Salvini: farà posto a Draghi?
Fu Christine Lagarde a organizzare la caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto dallo scandalo per uno stupro (mai avvenuto): Strauss-Kahn ha fatto la fine di ogni vero socialista, liquidato per via giudiziaria. La Lagarde voleva semplicemente prendergli il posto, alla guida del Fmi: spero che mi quereli, la signora, perché posso dimostrare quello che dico. Ora guiderà la Bce, con l’incarico di “normalizzare” ulteriormente l’Europa. Lavorerà in tandem con la tedesca Ursula von der Leyen, una nazistella che fino a ieri faceva la yes-girl della Merkel. E’ stata messa a capo della Commissione Europea con il contributo determinante dei grillini, che non sanno che sarà proprio lei a decretare la loro morte. E questo conferma che c’è qualcosa di strano, dietro alla gestione dei 5 Stelle, che ora contestano a Salvini il caso delle presunte promesse di finanziamento da Mosca. L’avevo anticipato settimane fa, che contro Salvini si sarebbe scatenata una grossa tempesta giudiziaria. Rinaldi e Borghi gridano al golpe, denunciando le manovre per un governo tecnico presieduto da Draghi, con Pd e 5 Stelle, e Conte commissario europeo? Avevo previsto in anticipo anche il piano per un governo Draghi – che ora va avanti, visto che Draghi ha rifiutato di prendere il posto della Lagarde al Fmi. L’innesco è sempre la magistratura, oggi per eliminare Savini? Giustizia a orologeria? Ne sapeva qualcosa Francesco Saverio Borrelli, appena scomparso.Borrelli è una figura che si è prestata a una manovra non legittima, nel modo in cui è stata condotta, benché l’indagine fosse di per sé legittima. E’ stata una trappola, in cui Craxi è caduto: si era fidato di personaggi che lo attorniavano, da Paolo Pillitteri al magistrato Livia Pomodoro, che lo avevano rassicurato sulla linearità di Borrelli, che poi invece non c’è stata. D’altro canto, lo stesso Borrelli era stato nominato alla guida della Procura di Milano con una manovra simil-Palamara: corsi e ricorsi storici. Quel periodo ha fatto danni che tuttora perdurano, sia nell’ambito della giustizia che in quelli della società e della politica. E se c’è gente che ancora oggi queste cose non le vede, e quando sente parlare di Craxi e di Mani Pulite gli salta il sangue agli occhi, aspettiamo: perché poi magari in un bel tritacarne giudiziario ci capitano pure queste persone, così mi sapranno dire cosa significa e come si sta. In Italia è diminuita, la corruzione, dopo Tangentopoli? Per certi aspetti, Tangentopoli non c’entra niente con la corruzione, intesa come fenomeno sociale. Tangentopoli si rivolse innanzitutto nella direzione del finanziamento illecito dei partiti, nel cui alveo era rifiorita la corruzione: perché quando tu consenti qualcosa di illecito, dall’illecito derivano altri illeciti. Se non fai una normativa di trasparenza, sul finanziamento dei partiti, prima o poi dal finanziamento illecito si passa al vendersi l’appalto (che è cosa diversa).Un conto è il finanziamento illecito: qualcuno ti dà dei fondi, che poi non risultano a bilancio. Altra cosa è il fatto che tu ti sei venduto un appalto per averli, quei fondi. In Italia c’era un sistema di spartizione, per arrivare al finanziamento: se l’erano inventato i partiti più piccoli, per cercare di bilanciare i finanziamenti illeciti provenienti dall’estero, e precisamente dall’America (diretti alla Dc) e dalla Russia (destinati al Pci). Era un finanziamento necessariamente illecito: con che voce mettere a bilancio soldi che venivano dagli Usa e dall’Urss? Questo ha provocato il fatto che i partiti non sono stati trasparenti nei bilanci. E non essendo trasparenti nei bilanci, ne sono discese una serie di cose: era una situazione a catena. Poi, ovviamente, nei partiti, quelli più corrotti facevano carriera: perché al partito portavano finanziamenti che, magari, quelli meno corrotti non riuscivano a portare. In altre parole, il problema era sistemico. Nel momento in cui si doveva dare un giro di vite, dopo l’amnistia dell’89, i partiti hanno rifiutato il “dimagrimento”: erano così grossi, da non saper ridurre le strutture – ormai elefantiache – di cui si erano dotati.Peraltro, l’avvento della televisione commerciale aveva resto costosa la pubblicità elettorale, che prima – con le varie Tribune Politiche – era gratuita. Questo ha provocato un aumento dei costi della politica. E non essendoci più i soldi dell’America e della Russia, quei costi hanno gravato sul sistema degli appalti, anche da parte dei partiti maggiori, e quindi il sistema è esploso. Per questo dico che l’inchiesta Tangentopoli era inevitabile. Quello che era evitabile è che venisse strumentalmemte diretta solo contro Craxi e contro i democristiani. E invece, con la copertura di Borrelli – che pure, comunista non era – il Pci è stato completamente graziato. Il motivo? I comunisti (come s’è visto anche dalle ultime vicende) si erano infiltrati in modo talmente capillare, nella magistratura – istituzionalmente, oserei dire – per cui, tramite personaggi come D’Ambrosio e Caselli, il dialogo era continuo. Perdura anche oggi, questa coltre pseudo-comunista? Sembra evidente, se si pensa all’incrocio tra Palamara, Pd e Csm. Aveva ragione Berlusconi, quando parlava di toghe rosse? Non diceva una bugia. Ma siccome in Italia il più pulito ha la rogna, questa cosa Berlusconi la diceva mescolata a talmente tante bugie, da non essere credibile. Devi poterle dire, certe cose: Berlusconi invece è sempe sceso a patti, sottobanco, con tutti i poteri di cui aveva denunciato l’illegittimità. L’ha fatto per tutelare i suoi interessi, il suo patrimonio, e non c’è nemmeno riuscito fino in fondo – però ci ha provato, certo.Sbagliato considerare la corruzione una piaga italiana? Niente affatto: l’Italia ce l’ha nel Dna, la corruzione. Da noi, se hai bisogno di un certificato non vai al Comune: cerchi un amico, specialmente nel Meridione. E questo deriva da un’atavica assenza di senso dello Stato, e dall’assenza dello Stato stesso. Sicché, non funzionando le cose, le gente si arrangia. Se si arrangia un povero diavolo qualsiasi di un paesino del Sud, poi chi può ci piglia gusto, e magari cerca anche di farci dei soldi. La gente, insomma, si accorge che lo Stato non funziona. Quelli più semplici si limitano a fare in modo che funzioni per loro, ricorrendo a vie traverse. Poi ci sono quelli che dicono: ma visto che il sistema non funziona, perché non ci guadagno sopra? Bisogna ristabilire il senso dello Stato, e quindi innanzitutto la presenza dello Stato: a quel punto sarà facile distinguere gli onesti dai disonesti, mentre ora non lo è. E’ come il mondo degli evasori fiscali: ci sarà pure una percentuale di contribuenti che proprio non ce la fanno, a pagare quelle tasse, ma sono mescolati con delinquenti che le tasse non le pagano perché non le vogliono pagare. Come fai a distinguerli? Devi rendere diverso il sistema fiscale, se vuoi che la differenza risulti evidente. A quel punto diventa facile fare un’agevolazione solo per chi non ce la fa. Invece oggi le agevolazioni si chiamano condoni, e favoriscono pure gli evasori veri, quelli che i soldi per pagare le tasse li avevano, ma se li sono messi via.Ora siamo all’attesissima lapidazione giudiziaria di Salvini? Tanto per cominciare, nell’Eni – che è stata privatizzata – lo Stato ha ormai solo una “golden share”. Tecnicamente, l’Eni non è più una società pubblica. Quindi come si giustifica l’ipotetico reato di corruzione? Senza contare che, a quel tavolo, dell’Eni non c’era seduto nessuno. A Mosca non è stata nemmeno nominata, l’Eni. A quel tavolo semmai c’era qualcuno che rappresentava la Gazprom, che però è russa: quindi dove li stanno ravvisando, i reati? Certo, si sta gonfiando il caso lo stesso: perché l’Italia è fatta così. Ci sono una serie di giornali, di media, che sono sempre pronti a montare meccanismi mediatico-giudiziari. Lo specialista direi che è Marco Travaglio. Ma ci sono altri fior di specialisti, come Peter Gomez, che fanno un giornalismo molto simile alla macelleria. Sono macellai del giornalismo, e quindi vendono coratelle: smembrano manzi e vendono frattaglie, quinto quarto, mezzene. Questo modo di fare, che ha anche delle regie, comporta il fatto che, se una cosa si profila anche solo lontanamente utile per un piano che serva a incastrare qualcuno, il caso viene montato: sottacendo le cose che non fanno comodo e sottolineando gli aspetti che invece fanno comodo per quel progetto.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Carpeoro Racconta” dei 21 luglio 2019).Fu Christine Lagarde a organizzare la caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto dallo scandalo per uno stupro (mai avvenuto): Strauss-Kahn ha fatto la fine di ogni vero socialista, liquidato per via giudiziaria. La Lagarde voleva semplicemente prendergli il posto, alla guida del Fmi: spero che mi quereli, la signora, perché posso dimostrare quello che dico. Ora guiderà la Bce, con l’incarico di “normalizzare” ulteriormente l’Europa. Lavorerà in tandem con la tedesca Ursula von der Leyen, una nazistella che fino a ieri faceva la yes-girl della Merkel. E’ stata messa a capo della Commissione Europea con il contributo determinante dei grillini, che non sanno che sarà proprio lei a decretare la loro morte. E questo conferma che c’è qualcosa di strano, dietro alla gestione dei 5 Stelle, che ora contestano a Salvini il caso delle presunte promesse di finanziamento da Mosca. L’avevo anticipato settimane fa, che contro Salvini si sarebbe scatenata una grossa tempesta giudiziaria. Rinaldi e Borghi gridano al golpe, denunciando le manovre per un governo tecnico presieduto da Draghi, con Pd e 5 Stelle, e Conte commissario europeo? Avevo previsto in anticipo anche il piano per un governo Draghi – che ora va avanti, visto che Draghi ha rifiutato di prendere il posto della Lagarde al Fmi. L’innesco è sempre la magistratura, oggi per eliminare Savini? Giustizia a orologeria? Ne sapeva qualcosa Francesco Saverio Borrelli, appena scomparso.
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Italian Russiagate: le bufale di BuzzFeed, che odia Salvini
«L’attacco mondialista a Salvini dimostra proprio questo intento, riprendere il flusso dell’immigrazione fuori controllo e continuare a produrre dumping salariale». Tanto, «il presunto argine ‘antisistema’ rappresentato dai 5 Stelle appare sempre più inadeguato, incoerente e ambiguo», visto che lo stesso Di Maio – nel tentativo disperato di tamponare l’emorragia di voti verso la Lega – partecipa volentieri all’ultimo gioco al massacro contro Salvini, invitandolo a rispondere dei presunti finanziamenti russi davanti al Parlamento: «Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione». Sovranità limitata, in realtà: è Bruxelles, non Roma, a stabilire cosa può fare l’Italia, la cui Costituzione è stata deturpata dall’inserimento suicida del pareggio di bilancio. Se n’è dimenticato, Di Maio? È evidente, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, che il capo politico del Movimento 5 Stelle cita “BuzzFeed” come fonte d’informazione altamente attendibile, «celando di proposito le rivelazioni pregresse sulla macchina di propaganda web del MoV, e sul fatto che Alberto Nardelli interpreterebbe un trend politico decisamente di sinistra, avverso al governo gialloverde».
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Christine Lagarde: la macellaia della Grecia a capo della Bce
«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.Non è invece una montatura il ruolo che l’Fmi ebbe nella crisi della Grecia. Pur avendo preso avvio prima del suo insediamento, l’intervento si è concretizzato sotto la presidenza Lagarde. Con i risultati che tutti conosciamo. La Troika era sì composta, oltre che dal Fondo, anche da Unione Europea e Bce. Marchiani furono però gli errori commessi in sede di analisi da parte del primo, che sottostimò clamorosamente i moltiplicatori fiscali (a livello 0,5: erano fra tre e cinque volte più alti), imponendo misure draconiane che riuscirono persino a peggiorare una già drammatica situazione. Il Pil si è così contratto di oltre il 20% in più rispetto alle previsioni e la disoccupazione, che non doveva superare il 15%, è schizzata al 25%. L’Fmi ha scontato, scrisse l’editorialista economico del “Daily Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchars, un “pregiudizio pro-euro” che l’ha portato di fatto a «sacrificare la Grecia per salvare l’euro e le banche del Nord Europa». Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire. Al quale dobbiamo aggiungere il tentativo esperito nel 2011 per tentare di costringere l’Italia ad accettare un intervento finanziario. In cambio ovviamente delle solite “riforme”. Berlusconi e Tremonti si opposero, ma il commissariamento arrivò comunque a novembre di quell’anno con la crisi speculativa sui nostri titoli di Stato e l’insediamento di Mario Monti alla presidenza del Consiglio.Con la piena benedizione di Emmanuel Macron, Christine Lagarde arriva così fino al vertice dell’Eurotower. Non un fulmine a ciel sereno, dato che il suo nome era fra quelli papabili. Ma che dice molto sui nuovi equilibri che regneranno in Europa: a questo giro l’ha spuntata la Francia, riuscendo in qualche modo a ridimensionare una Merkel (la quale ha comunque un’ottima stima della Lagarde) sempre meno leader indiscusso. Tandem Christine Lagarde – Ursula von der Leyen? Se le nomine dovessero essere confermate dal Parlamento Ue, ai vertici delle istituzioni comunitarie siederanno così due donne. Detto delle esperienze della Lagarde, non va meglio con quelle di Ursula von der Leyen. Tedesca, classe 1958, ininterrottamente dal 2005 ha rivestito per tre volte la carica di ministro nel governo federale tedesco. Torniamo di nuovo all’annus horribilis 2011. Proprio mentre Lagarde premeva per il nostro commissariamento, la von der Leyen si spingeva oltre, proponendo di legare eventuali aiuti ai membri in crisi dell’Eurozona in crisi con la richiesta di depositare beni in garanzia. Nello specifico, il nostro oro o le nostre aziende strategiche. L’unione di intenti fra le due nuove “teste” dell’Ue condurrà al disastro? Nonostante i “precedenti”, infatti, già da qualche anno l’Fmi ha iniziato, sia pur timidamente, a ripensare i propri modelli.Se prima l’austerità e le riforme strutturali erano l’unica via da percorrere, oggi la musica sembra in minima parte cambiata. E’ quindi estremamente probabile che, seguendo la nuova trama, che Christine Lagarde possa riprendere in mano il “bazooka” lanciato da Draghi con il nome di Quantitative Easing. Modificandolo, dandogli forse una diversa taratura. Ma certo non riponendolo in soffitta. Altro ossigeno, insomma, per un’Eurozona che è e rimane disastrata e preda delle contraddizioni intrinseche di una moneta unica architettata male e realizzata peggio. Un effetto placebo che, come già dimostrato fino ad oggi (nonostante l’invasione di liquidità l’inflazione, zavorrata da una crescita che resta asfittica, di salire non ne vuol proprio sapere) rischia solo di procrastinare la nostra agonia. Evitando forse manovre lacrime e sangue. Ma non per questo affrontando qui problemi talmente connaturati all’euro dal non poter essere in alcun modo risolti. A meno di non voler dare una nuova forma all’unione monetaria, magari iniziando a discutere di trasferimenti monetari dalle zone più ricche a quelle più in difficoltà. Scelta di politica economica standard in condizioni “normali”, ma che la Germania non accetterà mai. E anche qualora si dimostrasse aperta all’ipotesi, chiederebbe in cambio di scrivere – insieme a Bruxelles e alla Bce stessa – direttamente le nostre finanziarie. Sarebbe desiderabile?(Filippo Burla, “La macellaia della Grecia a capo della Bce: ecco chi è Christine Lagarde”, da “Il Primato Nazionale” del 3 luglio 2019. Laureato in scienze politiche ed economia aziendale, Burla è un analista economico del giornale, indipendente, ascrivibile all’area culturale della nuova destra sovranista italiana. Quanto alla Lagarde, nel saggio “Massoni” edito da Chiarelettere, Gioele Magaldi svela che la presidente uscente del Fmi milita stabilmente in svariate Ur-Lodges, come le superlogge “Three Eyes” e “Pan-Europa”, espressione dell’ala reazionaria e oligarchica del supremo potere massonico mondiale).«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.
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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.
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Imane Fadil, terza morte sul caso Ruby. Evocò il satanismo
È morta Imane Fadil, giovane modella e testimone-chiave nei processi Ruby, che vedono Berlusconi tra gli imputati. Trentatreenne, marocchina, era stata la prima a far aprire il caso nel 2011, e poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al processo Ruby ter. Ma il 29 gennaio è stata ricoverata in ospedale, dove è morta il 1° marzo dopo un mese di agonia. «Prima di morire – scrive Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto” – ha telefonato al fratello e all’avvocato, dicendo loro di essere stata avvelenata». Dall’esito dell’esame tossicologico è emersa la morte per avvelenamento. Secondo Gianfranco Carperoro, quella delle “sostanze radioattive” rintracciate nel corpo della ragazza sarebbe una voce solo giornalistica: la stranezza, semmai – dice Carpeoro – sta nel fatto che Imane Fadil avrebbe agonizzato per un mese, senza diagnosi né cure, in un centro sanitario di assoluta eccellenza come l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, a Milano Sud. Quella di Imane Fadil, osserva Stefania Nicoletti, è la terza strana morte collegata al caso Ruby, dopo quelle di Egidio Verzini, ex legale di “Ruby Rubacuori”, e del giornalista Emilio Randacio, che si stava occupando del caso. Altro dettaglio: la ragazza stava per pubblicare, in un libro, la sua versione – decisamente horror – sulle famose “notti di Arcore”.Impossibile, scrive Stefania Nicoletti, non richiamare alla memoria l’intervista che la Fadil aveva rilasciato l’anno scorso al “Fatto Quotidiano”. «Parlò di una sorta di “setta satanica” che praticava riti». Ovvero, fatti molto più gravi di qualche cena a sfondo sessuale. Facile screditarla, la ragazza, anche perché aveva detto di essere “una sensitiva” e di aver “sentito e visto presenze ed entità negative e malefiche”. «Quando uscì quell’articolo, molti commentarono che non era credibile, che queste cose non esistono, che lei era solo una in cerca di visibilità, eccetera. Ma chi dice questo – obietta Stefania Nicoletti – non sa che queste organizzazioni esoteriche ai piani alti del potere esistono eccome, e che parlarne pubblicamente non ti dà fama, anzi: ti espone a dei rischi notevoli». Infatti, continua Stefania Nicoletti, «leggendo quell’intervista pensai che la ragazza rischiava di essere fatta fuori: anche perché annunciò che stava scrivendo un libro su tutta la vicenda, dove avrebbe raccontato tutto questo e molto di più». Un libro che a quanto pare stava ormai finendo di scrivere, prima di morire avvelenata.Raccontò la ragazza, nell’intervista pubblicata dal “Fatto” il 24 aprile 2018: «La cosa non si limita a un uomo potente che aveva delle ragazze: c’è molto di più in questa storia, cose molto più gravi». Un’accusa esplicita: satanismo. «Questo signore – disse Imane di Berlusconi – fa parte di una setta che invoca il demonio». Ammise: «Sì, lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri». Una sorta di setta, dunque, «fatta di sole donne». Tante: «Decine e decine di femmine complici». In quella saletta «dove si faceva il Bunga Bunga», racconta Imane, «c’era uno stanzino con degli abiti, tutti uguali, come delle tuniche, circa venti o trenta: a cosa servivano?». Poi, continua la ragazza, «c’era un’altra stanzetta sotterranea con una piscina, con a fianco un’altra saletta, totalmente buia, senza nessuna luce». Una piscina sotterranea e una stanza senza luci: perché? Aggiunge Imane: «Ho visto presenze strane, sinistre. Io sono sensitiva fin da bambina: da parte di mio padre discendo da una persona che è stata santificata». Insiste Imane, parlando con Luca Sommi del “Fatto”: «Le dico che in quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c’è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero».Da parte sua, Carpeoro – che non crede all’esistenza del demonio, anche se non si nasconde l’esistenza del satanismo – ritiene che quelle dell’allira giovanissima Imane Fadil fossero essenzialmente suggestioni. Il che non migliora il giudizio su Berlusconi, che allora era primo ministro. Le notti brave di Arcore? «Non credo che abbia commesso reati – dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – ma a me non piace un premier che si comporta in quel modo: come la prenderebbe, Berlusconi, se a partecipare a feste di quel tipo fossero le sue figlie?». Stefania Nicoletti, intanto, sottolinea la presenza delle altre due morti «inquietanti e anomale», legate al caso in questione. Verzini, ex avvocato di “Ruby”, il 4 dicembre 2018 aveva dichiarato pubblicamente che Berlusconi avrebbe versato 5 milioni di euro alla sua assistita. «Il giorno dopo è morto, tramite eutanasia, in una clinica svizzera». Randacio invece si stava occupando del caso, seguendo il processo, ed è morto improvvisamente il 13 febbraio per un “malore” (forse un infarto), «ma pare che i risultati dell’autopsia non siano mai stati comunicati». Insomma: Egidio Verzini, Emilio Randacio, Imane Fadil: «Tre morti strane nell’arco di tre mesi, e tutte legate al processo Ruby. Un po’ troppe per essere un caso».È morta Imane Fadil, giovane modella e testimone-chiave nei processi Ruby, che vedono Berlusconi tra gli imputati. Trentatreenne, marocchina, era stata la prima a far aprire il caso nel 2011, e poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al processo Ruby ter. Ma il 29 gennaio è stata ricoverata in ospedale, dove è morta il 1° marzo dopo un mese di agonia. «Prima di morire – scrive Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto” – ha telefonato al fratello e all’avvocato, dicendo loro di essere stata avvelenata». Dall’esito dell’esame tossicologico è emersa la morte per avvelenamento (da metalli, probabilmente). Secondo Gianfranco Carpeoro, avvocato e saggista, quella delle “sostanze radioattive” rintracciate nel corpo della ragazza sarebbe una voce solo giornalistica: la stranezza, semmai – dice Carpeoro – sta nel fatto che Imane Fadil avrebbe agonizzato per un mese, senza diagnosi né cure, in un centro sanitario di assoluta eccellenza come l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, a Milano Sud. Quella di Imane Fadil, osserva Stefania Nicoletti, è la terza strana morte collegata al caso Ruby, dopo quelle di Egidio Verzini, ex legale di “Ruby Rubacuori”, e del giornalista Emilio Randacio, che si stava occupando del caso. Altro dettaglio: la ragazza stava per pubblicare, in un libro, la sua versione – decisamente horror – sulle famose “notti di Arcore”.
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Sinistra, magistrati e stampa: ci indicano sempre chi odiare
Sms è il nome in codice di Sinistra Magistrati Stampa, il serpentone trasversale che ci dice cosa dobbiamo pensare, chi dobbiamo condannare e come dobbiamo indignarci. L’Sms ci dice ogni giorno che stiamo vivendo sotto il peggiore dei regimi possibili, nel peggiore dei tempi possibili, sotto il tallone di un criminale in divisa di nome Matteo Salvini che va subito processato. Ma questo film horror mi pare di averlo già visto. E così sono tornato con la memoria all’inizio del presente decennio. La scena era totalmente diversa, i protagonisti pure. Il peggiore dei regimi possibili in quel tempo pessimo era il centro-destra e il tallone del criminale, con alzatacco, era quello di Silvio Berlusconi. Non era diverso l’allarme, l’accanimento, l’odio per un’altra emergenza democratica, un’altra situazione “senza precedenti”. Vivevamo anche allora in “una dittatura sudamericana”, populista e malandrina, eravamo anche allora fuori dall’Europa, dalla Modernità e dalla Democrazia, e naturalmente fuori dalla legalità. Ma non solo. A chi dice oggi che viviamo in un tempo allucinante, in cui tutti i problemi vengono ridotti a uno, gli sbarchi dei migranti, vorrei ricordare qual era il menu di quei giorni.Non si parlava dei problemi reali del paese, di crisi economica ormai scoppiata negli Stati Uniti e destinata a contagiare l’Europa, non si parlava di lavoro, opere pubbliche e sanità, o di mille altre emergenze. No, gli occhi dei media, dei magistrati inquirenti e della sinistra erano interamente riservati alle gesta erotiche del premier in carica nel regno delle Mignotte. Eccolo, è lui, Priapo, re di Troia. Il tema che divideva l’opinione pubblica non era quota 100, i porti chiusi o il reddito di cittadinanza ma se il Cavaliere sapeva che Ruby era minorenne, se c’è stato o no sesso tra i due o con Noemi Letizia, se i festini ad Arcore erano orge oppure no, se pagava o no le case alle olgettine e come si sdebitava con le damine di corte che popolavano Zoccolandia. I temi di politica estera erano sfiorati solo attraverso l’accenno al lettone di Putin, dove si sarebbe consumato il misfatto con la d’Addario, o alla nipote di Mubarak, come fu sontuosamente presentata la giovane marocchina per dissimulare la libidine nella ragion di Stato. L’intrigo nazionale che assorbiva il dibattito pubblico e le conversazioni private era come funzionava la meccanica sessuale del Cavaliere, se si trattava di un sistema a pompa, a gettoni o a pulsante.La narrazione dominante era una favola capovolta, il Nano e le sette Biancaneve. Un paese intero veniva istigato a dimenticare la realtà e i suoi problemi per curarsi d’interessi privati in atti d’ufficio, molto privati, e a dedicarsi esclusivamente al gossip erotico-giudiziario sul premier, per esprimere condanna morale e penale. La politica spariva, tutto veniva ridotto a intercettazioni, toccatine e fotoshop. Moralismo & Puttanate. Con questi precedenti vi chiedete a che punto siamo arrivati? Facendo questi paragoni ritenete che oggi abbiamo toccato il fondo? E quello cos’era, il fondoschiena? Volete dire che occuparsi di migranti, spacciatori o quota 100 sia più infame che occuparsi di tette, culi e bunga bunga? Quanto al leader delinquente, Salvini è solo l’ultimo arrivato per il quale si invocano i giudici e la galera. Chissà per quale maledizione, ma chi si oppone alla sinistra in Italia è per definizione criminale: lo fu Almirante ma anche i partigiani Pacciardi e Sogno, lo fu Craxi ma anche Fanfani, i presidenti Cossiga e prima di lui Leone, lo fu Berlusconi, naturalmente. Smise di esserlo Fini appena si prestò al gioco della sinistra. Ma che sfiga, questa sinistra non ha mai avversari decenti, sono sempre tutti criminali, o meglio lo diventano appena si oppongono alla sinistra medesima.Oggi i grillini offrono generosi motivi di satira, sconcerto e derisione; ma vogliamo dire come ci eravamo ridotti dieci anni fa, a seguire col vivavoce i sospiri nella camera da letto di Berlusconi o a seguire sul maxischermo dal buco della serratura, le imprese erotiche vere o presunte del satiro regnante? Testimonianze, dossier, pacchi di documenti, fiumi di intercettazioni, centinaia di persone assorbite da questo minuzioso lavoro, tutto per sapere se la gnocca c’era stata, se aveva preso e quanto aveva preso. Ecco cos’era l’emergenza democratica, il senso dello Stato (o meglio lo stato dei sensi), insomma il tema politico di quei giorni. Avendo una memoria corta, vivendo ormai totalmente persi nel presente, tendiamo a dimenticare il passato prossimo, non siamo in grado di fare paragoni e ci pare di vivere in chissà quale incubo senza precedenti. Ma se fate un piccolo sforzo, ricordatevi come eravamo combinati, non un secolo fa, ma agli inizi di questo decennio. Non stavamo messi meglio di oggi, credetemi. E per l’Sms eravamo anche allora nel peggiore dei mondi possibili.(Marcello Veneziani, “Un film già visto”, da “La Verità” del 2 febbraio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Sms è il nome in codice di Sinistra Magistrati Stampa, il serpentone trasversale che ci dice cosa dobbiamo pensare, chi dobbiamo condannare e come dobbiamo indignarci. L’Sms ci dice ogni giorno che stiamo vivendo sotto il peggiore dei regimi possibili, nel peggiore dei tempi possibili, sotto il tallone di un criminale in divisa di nome Matteo Salvini che va subito processato. Ma questo film horror mi pare di averlo già visto. E così sono tornato con la memoria all’inizio del presente decennio. La scena era totalmente diversa, i protagonisti pure. Il peggiore dei regimi possibili in quel tempo pessimo era il centro-destra e il tallone del criminale, con alzatacco, era quello di Silvio Berlusconi. Non era diverso l’allarme, l’accanimento, l’odio per un’altra emergenza democratica, un’altra situazione “senza precedenti”. Vivevamo anche allora in “una dittatura sudamericana”, populista e malandrina, eravamo anche allora fuori dall’Europa, dalla Modernità e dalla Democrazia, e naturalmente fuori dalla legalità. Ma non solo. A chi dice oggi che viviamo in un tempo allucinante, in cui tutti i problemi vengono ridotti a uno, gli sbarchi dei migranti, vorrei ricordare qual era il menu di quei giorni.
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Carpeoro: se il governo tiene duro, l’Ue subirà una lezione
Se non hanno scheletri negli armadi, Salvini e Di Maio possono tenere testa a Bruxelles. E se resistono, alla fine possono vincere. Letteralmente: «Se il governo tiene duro, l’Europa subirà una dura lezione». Parola di Gianfranco Carpeoro, scrittore e saggista, solitamente prudente sul governo gialloverde: un’alleanza anomala e provvisoria, costruita per fare di necessità virtù dopo lo spiazzante risultato elettorale del 4 marzo, che ha rottamato Pd e Forza Italia. Ora però le cose sono cambiate: il braccio di ferro con l’Unione Europea sul deficit al 2,4% nella previsione 2019 del Def potrebbe rappresentare una sfida estremamente seria. La prima vera crepa nel cosiddetto Muro di Bruxelles, finora intoccabile. Strano, che Di Maio litighi con Salvini proprio mentre la Commissione Ue spara contro l’Italia? Un’abile manovra per distrarre l’opinione pubblica dall’attacco dell’Ue sul deficit? «No, quello tra Salvini e Di Maio è uno scontro su una cosa importante», sostiene Carpeoro: «I 5 Stelle sono giustizialisti, mentre Salvini vuole salvare il suo elettorato – che è fatto di imprenditori, in una buona quota evasori». Carpeoro crede si sia trattato di un incidente di percorso: «Per tutelare il suo elettorato, Salvini ha deciso di dare alla “pace fiscale” una certa veste, e Di Maio non voleva. Ma la ricomporranno, questa lite».Semplicemente, aggiunge Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, i due azionisti del governo «non si sono chiariti», soprattutto perché «in questo periodo non si sono parlati, dato che Salvini è sempre in Trentino», impegnato nella campagna per le elezioni regionali. «Alla fine, grazie a Giorgetti, il decreto sulla parte fiscale è uscito come lo voleva Salvini (e come non lo voleva Di Maio)». “Elementare”, quindi, il risentimento del leader grillino. Che però, secondo Carpeoro, è destinato a rientrare, visto che «i due ormai hanno maturato un rapporto abbastanza forte», capace di tenerli insieme. Al punto che, sempre secondo Carpeoro, i due alfieri gialloverdi sono a un passo dall’incassare un successo clamoroso: se il governo Conte non si piega al diktat di Bruxelles, potrebbe vincere: davanti a tutta l’Europa, l’Italia dimostrerebbe che gli oligarchi della Commissione non sono imbattibilli. «Avranno la forza di tenere duro? Se non hanno scheletri negli armadi e non vengono ricattati adeguatamente, sì. E se così fosse – aggiunge Carpeoro – paradossalmente, quello che voleva fare Bettino Craxi prima di essete “archiviato” lo farebbero questi personaggi. La loro è una linea craxista, e io ne sono soddisfatto».Da sempre convinto socialista, Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt e autore di saggi illuminanti sulle tante manipolazioni del potere – insiste sul pericolo (teorico) degli “scheletri negli armadi” dei gialloverdi: «Se ne non ne hanno, possono resistere. Se ne hanno, faranno marcia indietro». Non scordiamoci che siamo in Italia: «Da noi i dossier e gli archivi funzionano. Ricordo che, anni fa, una legge finanziaria molto importante fu cambiata perché l’allora presidente del Consiglio (non dico il nome, per evitare querele) aveva avuto la disaccortezza di non evitare che certe sue foto con una minorenne – anzi, con un congruo numero di minorenni – finissero nelle mani sbagliate». Beninteso: «Io dei fatti privati degli attuali politici non so nulla», sottolinea Carpeoro, che ribadisce: «Se non sono ricattabili, per qualunque motivo, e se tengono duro, alla fine questa battaglia la vincono, i signori Conte, Salvini e Di Maio». Nonostante gli altri possibili inciampi interni? Due nomi: il potente Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (l’ipotetica “manina” evocata da Di Maio sul condono fiscale) e il presidente della Camera, il grillino Roberto Fico, che critica la linea dura di Salvini sui migranti. «Fico è un idealista e come tale si comporta», secondo Carpeoro. E Giorgetti? «Fa parte di un establishment sicuramente lontano da Di Maio e dallo stesso Salvini, anche se poi Salvini l’ha comunque utilizzato».Ostacoli interni e, soprattutto, nemici esterni: come George Soros. Intervistato da un giornale israeliano, Marcello Foa avrebbe accusato Soros di “pagare” europarlamentari del Pd, salvo poi correggersi: ci sono parlamentari europei del Pd “che sostengono Soros”. «Ha fatto bene a correggersi – dice Carpeoro – perché da anni Soros non ha più bisogno di pagare, per avere favori (che infatti riceve). E vorrei precisare – aggiunge – che Foa ha detto la verità: ancora una volta, il neo-presidente della Rai l’ho trovato condivisibile e coerente». Il magnate Soros, principe della peggiore speculazione finanziaria, è notoriamente il patron di Open Society, fondazione che finanzia le Ong incaricate di trasferire in Europa i migranti africani. Buonismo ipocrita: si predica l’accoglienza di profughi che provengono da paesi che l’Europa stessa depreda. La Francia di Macron sottrae ogni anno 500 miliardi di euro a 14 sue ex colonie, ma ovviamente il cattivo è Salvini, secondo i media mainstream che “sostengono” la dottrina Soros. Quanto incide, davvero, il supermassone Soros? «Tanto», ammette Carpeoro, «ma – aggiunge – la battaglia si può vincere». Nessuno è imbattibile, neppure Soros: «E’ un figlio del potere, del dominio. Ma, a prescindere dai suoi interessi, è comunque anche lui manovrato».Se non hanno scheletri negli armadi, Salvini e Di Maio possono tenere testa a Bruxelles. E se resistono, alla fine possono vincere. Letteralmente: «Se il governo tiene duro, l’Europa subirà una dura lezione». Parola di Gianfranco Carpeoro, scrittore e saggista, solitamente prudente sul governo gialloverde: un’alleanza anomala e provvisoria, costruita per fare di necessità virtù dopo lo spiazzante risultato elettorale del 4 marzo, che ha rottamato Pd e Forza Italia. Ora però le cose sono cambiate: il braccio di ferro con l’Unione Europea sul deficit al 2,4% nella previsione 2019 del Def potrebbe rappresentare una sfida estremamente seria. La prima vera crepa nel cosiddetto Muro di Bruxelles, finora intoccabile. Strano, che Di Maio litighi con Salvini proprio mentre la Commissione Ue spara contro l’Italia? Un’abile manovra per distrarre l’opinione pubblica dall’attacco dell’Ue sul deficit? «No, quello tra Salvini e Di Maio è uno scontro su una cosa importante», sostiene Carpeoro: «I 5 Stelle sono giustizialisti, mentre Salvini vuole salvare il suo elettorato – che è fatto di imprenditori, in una buona quota evasori». Carpeoro crede si sia trattato di un incidente di percorso: «Per tutelare il suo elettorato, Salvini ha deciso di dare alla “pace fiscale” una certa veste, e Di Maio non voleva. Ma la ricomporranno, questa lite».
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Grossi: reinventare i Bot, e svanirà l’incubo dello spread
Come “smontare” il grande inganno e liberarsi del capestro del debito pubblico? Bastano 200 miliardi, “pescati” dall’enorme risparmio italiano, pari a 4.200 miliardi di euro (senza contare i 5.000 miliardi di patrimonio edilizio). Siamo un paese ancora ricchissimo: per questo ci stanno “rapinando”. Come uscirne? Recuperando il controllo della moneta. Ma la stretta del debito è risolvibile da subito: basta abilitare la Cassa Depositi e Prestiti. Obiettivo: offrire ai risparmiatori titoli-sicurezza, non speculativi, come ai tempi dei Bot. In pochi mesi, l’incubo dello spread sarebbe un ricordo. Lo Stato tornerebbe a finanziarsi con denaro italiano. Tutto ciò non accade per un solo motivo: manca la volontà politica. Se non potesse più “ricattare” lo Stato, un enorme sistema di potere finirebbe a gambe all’aria. Per questo non mollano, i boss della finanza che hanno “sequestrato” le nostre vite. Secondo Guido Grossi, ex manager Bnl, la politica ha rinunciato in modo folle al controllo della moneta. Prima, il cittadino portava i risparmi in una banca pubblica e quei soldi venivano investiti nell’economia reale, creando lavoro: lo Stato li usava per fare spesa pubblica. Oggi invece le banche private fanno solo speculazione, e i cittadini non possono più finanziare lo Stato, mentre gli interessi sempre più alti fanno salire l’indebitamento.Ci hanno messo un cappio al collo, sostiene Grossi, intervistato da Ignazio Dessì su “Tiscali Notizie”. Una trappola: lo spread, il rating, il meccanismo perverso che porta lo Stato a svendere i beni pubblici, fino al caso drammatico della Grecia. La canzone è nota anche in Italia: abbassare il debito pubblico, chiedendo “sacrifici” ai cittadini, pena l’imminente disastro. Diventa un caso persino l’esiguo 2,4% di deficit nel Def gialloverde, per finanziare reddito di cittadinanza, Flat Tax e riforma della legge Fornero. Ma perché rastrellare soldi in prestito sul mercato finanziario estero, quando in Italia c’è una massa enorme di liquidità? Proprio l’internazionalizzazione del debito pubblico ha messo un cappio al collo agli Stati e impedisce loro di impostare liberamente le politiche economiche e sociali. Per questo, quello del debito pubblico è un grande inganno: Usa e Giappone hanno debiti record, eppure scoppiano di salute. Certo, americani e giapponesi sono sovrani: possono fare deficit per aumentare il Pil e non devono far approvare i bilanci a Bruxelles. Ma persino noi, sotto le forche caudine dell’Eurozona, potremmo uscire dal tunnel anche subito.«L’obiettivo finale – sostiene Grossi – è riportare l’emissione monetaria sotto il controllo pubblico, sotto la politica. Ma la cosa da fare subito è smetterla di farci prestare i soldi dagli investitori istituzionali. Non ne abbiamo alcun bisogno». Oggi, un risparmiatore non compra più Bot o Cct. Non conviene. Gli unici che li comprano sono le banche centrali, i fondi di investimento. «Bisogna trasformare le emissioni», dice Grossi. «Negli anni ’70, Bot e Cct erano comprati dal sistema-Italia, dalle famiglie, dalle aziende e dalle banche italiane». Quando si è passati a chiedere i soldi agli “investitori istituzionali”, i titoli sono stati trasformati «sia nel modo in cui vengono offerti sul mercato, sia nella struttura del titolo stesso». Prima, i Btp erano una eccezione. «Erano nati per andare incontro alle esigenze degli speculatori: una durata lunga con un tasso fisso più alto dell’inflazione va bene sia a un “cassettista” (li compro, li tengo da parte, aspetto la scadenza e intanto guadagno più dell’inflazione), sia a uno speculatore o a un trader che continuamente compra e vende». La durata del Btp è lunga, e il prezzo si muove ogni volta che il tasso di mercato cambia. «Gli speculatori ci vanno a nozze». I risparmiatori, invece, chiedono semplicemente sicurezza: quella che avevano, quando lo Stato controllava la moneta e investiva sull’economia, prima che arrivasse l’Ue a impedirglielo, frenando i deficit.Secondo Grossi bisogna tornare ai titoli di Stato di durata breve: al cittadino (che non fa speculazione) i soldi risparmiati possono servire da un momento all’altro. Un tempo c’erano i Bot a 3 mesi, comodissimi e sicuri. «Invece il Btp a 7 anni, che ho pagato 100, se lo rivendo dopo un anno può darsi valga 90. Il rischio in questo caso è molto più consistente. E magari, a me cittadino, correre quel rischio non interessa». Il Btp è solo «uno strumento per speculare sui tassi», adatto quindi alle grandi banche e ai fondi d’investimento. «Serve solo a chi vuol fare soldi con i soldi», e quindi «va gradualmente eliminato». Riassumendo: abbiamo “fabbricato” titoli su misura per gli speculatori, ai quali lasciamo anche il controllo dei meccanismi d’asta. Spiega Grossi: «Se io mi sono messo nella condizione di farmi prestare soldi dai mercati finanziari, è chiaro che quando faccio l’asta sto chiedendo sostanzialmente a loro di decidere le condizioni. E se di quei soldi non posso più farne a meno, è evidente che le condizioni man mano si adatteranno alle loro esigenze: quelle di guadagnare il più possibile».Si può fare il contrario? Certo, basta volerlo. Sapendo che in Italia c’è ancora una massa enorme di liquidità (4.200 miliardi di risparmi) lo Stato può dire: cari cittadini italiani, vi offro l’1 o il 2% per un certo tempo, portate quello che volete. «Con quanto arriva mi ci vado a ricomprare i Btp sul mercato. Faccio crollare lo spread. Basta che arrivino 200 miliardi e noi gli investitori internazionali li salutiamo. Gli restituiamo i loro soldi, ma gli diciamo basta». Siamo in grado di farlo? Guido Grossi ne è certo. In Italia, spiega, si finisce col pagare 4 quello che avremmo potuto pagare 2. Funziona così: se mi scadono 30 miliardi di Btp, li devo andare a rinnovare. In un anno bisogna rinnovare circa 2-300 miliardi di euro (ogni mese, da 20 a 40 miliardi). «Per raccogliere tali cifre, cosa ci vuole a offrire ai cittadini un titolo adatto alle loro esigenze?». I nostri oltre 4.000 miliardi sono costituiti da depositi, fondi, assicurazioni e azioni. Senza contare gli immobili: un patrimonio da 5.000 miliardi. «Per questo siamo un paese ricco, e quei risparmi fanno gola a molti».Oggi, quando i cittadini hanno risparmi vanno in banca o alla posta, dove c’è chi consiglia cosa comprare. Ma scatta un conflitto di interessi: «Chi ci consiglia e ci vende un Bot o un Cct guadagna una piccolissima commissione. Se ci vende invece un prodotto di investimento, più rischioso, guadagna molto di più. Per forza allora ci venderà quel prodotto lì, di cui non abbiamo bisogno. Qualcuno guadagna e magari noi ci rimettiamo, e in più evitiamo di finanziare lo Stato, come potremmo». Siamo arrivati a questo, spiega Grossi, perché il sistema finanziario e bancario è diventato privato. «Io ho lavorato alla Bnl, che era la banca del Tesoro. Quando sono entrato mi pagavano lo stipendio per fare il mio dovere istituzionale, difendere e tutelare il risparmio da una parte, e selezionare gli investimenti dall’altra. Non mi pagavano per guadagnare, per fare un profitto: mi pagavano per svolgere una importantissima funzione di interesse generale. Questa è la mission di un ente pubblico». Poi la banca è diventata una Spa, ed è arrivato il concetto della migliore efficienza. «In realtà ci ha portato a cambiare completamente l’ottica: la mission non è più la qualità del servizio, ma il fare soldi. Le banche sono diventate sempre più private, sempre più straniere, e amen».Cosa si può fare? L’obiettivo fondamentale, per Grossi, è uno solo: «Recuperare tutto il controllo del sistema finanziario: è il nostro sistema vitale». Insiste: «Per una economia, per una sana società, è fondamentale. Può esserci sempre chi cerca di farci dei soldi, perché qualcuno ci toglierà sempre del sangue, ma bisogna che quel sistema sia messo sotto controllo in modo democratico e trasparente». Possiamo sempre imparare ad essere più efficienti? «Verissimo, ma comunque quel sistema era meglio di questo. Bisogna recuperare la distinzione tra prodotti di risparmio e di investimento». Negli anni Trenta, gli Stati Uniti guidati da Roosevelt uscirono dalla Grande Depressione – innescata dalla speculazione di Wall Street – proprio in quel modo: separando le banche d’affari dagli istituti di credito ordinario, non autorizzati a giocare in Borsa il risparmio di famiglie e aziende. A fare argine c’era una legge, il Glass-Steagall Act. La rimosse dopo mezzo secolo Bill Clinton, messo alle strette dallo scandalo Lewinsky. Proprio Clinton fece volare, di colpo, l’economia neoliberista basata sulla speculazione finanziaria senza più freni: quella che oggi sta strangolando l’economia reale, ulteriormente rallentata – in Europa – dagli assurdi limiti di spesa imposti dai trattati-capestro dell’Ue, che disabilitano la spesa pubblica lasciando campo libero alle privatizzioni selvagge.Ai cittadini, sostiene Guido Grossi, bisogna tornare innanzitutto a offrire prodotti di risparmio, anche attraverso aste differenziate. Il player giusto, in Italia? La Cassa Depositi e Prestiti, che all’80% è ancora posseduta dallo Stato. «Oggi viene utilizzata per finanziare grandi interventi. Viaggia con Bancoposta. Nessuna delle due è però una banca. Messe insieme, fanno la funzione della banca: perché Bancoposta raccoglie i risparmi e Cassa Depositi e Prestiti li investe. Entrambe però risentono dell’ottica privatistica». Bisognerebbe invece reindirizzarne il management e la “mission”, sostiene Grossi: «Se io oggi vado a Bancoposta, mi propongono né più né meno prodotti di investimento, come qualunque banca o assicurazione. In una banca pubblica mi devono invece proporre qualcosa di diverso: un deposito semplice, un titolo di Stato. Cassa Depositi e Prestiti invece può fare quegli investimenti pubblici di cui c’è enorme bisogno». Attenzione: la Germania sta già facendo, con la Bundesbank, quello che noi continuiamo a non fare con Bankitalia.«Quando ci sono le aste dei titoli (bund), il Tesoro tedesco cerca di orientare il prezzo: non lascia cioè i mercati liberi di fare ciò che vogliono». Berlino usa due strumenti: se non c’è domanda sufficiente per assorbire la quantità di titoli proposta, la parte invenduta viene parcheggiata presso la Bundesbank. Non che la banca centrale li compri, perché l’Ue glielo vieta. Quei titoli vengono “parcheggiati”, e al momento opportuno saranno collocati. «E’ come se si allungassero i tempi dell’asta: questa dura fino a quando il mercato capisce che non può avere più di quello che il Tesoro tedesco è disposto a pagare». In definitiva, in questo modo, «si aggira in definitiva l’articolo 123 del Trattato di Maastricht», che è palesemente iniquo. Poi c’è il secondo strumento, cioè l’utilizzo dell Kwf (Kreditanstalt für Wiederaufbau). E’ una grande banca pubblica, «non dissimile dalla nostra Cassa Depositi e Prestiti, perché utilizzata per i grandi investimenti».La Kfw, ricordava tempo fa Paolo Barnard, può intervenire nelle aste a comprare direttamente i titoli, grazie a un cavillo: è una banca ad azionariato pubblico, controllata dal governo, ma fornalmente resta un ente “di diritto privato”. Lo erano anche Bnl, Unicredit, Banca di Roma, Comit, San Paolo, Banco di Napoli e Banco di Sicilia. «Dopo, però, sono diventate tutte private, e la maggior parte straniere», ricorda Grossi. In ogni caso, adottando il sistema tedesco, ci basterebbe la Cassa Depositi e Prestiti: «Potrebbe comprare in Italia l’invenduto». Tradotto: «Se sto facendo un’asta marginale e vedo che il prezzo sale troppo, può interviene la Cassa e comprarne una parte, poi rivenderla nei giorni successivi sul mercato, come fa la Kfw. E come fanno anche in Francia con la Bpi, la banca pubblica per gli investimenti. Ed è giusto». Sottolinea Grossi: «Non c’è bisogno di chiedere il permesso a nessuno, per questi interventi: nessuna norma nazionale o internazionale li vieta. Non è che sbagliano loro a farlo, sbagliamo noi a non farlo». Che cosa stiamo aspettando?Come “smontare” il grande inganno e liberarsi del capestro del debito pubblico? Bastano 200 miliardi, “pescati” dall’enorme risparmio italiano, pari a 4.200 miliardi di euro (senza contare i 5.000 miliardi di patrimonio edilizio). Siamo un paese ancora ricchissimo: per questo ci stanno “rapinando”. Come uscirne? Recuperando il controllo della moneta. Ma la stretta del debito è risolvibile da subito: basta abilitare la Cassa Depositi e Prestiti. Obiettivo: offrire ai risparmiatori titoli-sicurezza, non speculativi, come ai tempi dei Bot. In pochi mesi, l’incubo dello spread sarebbe un ricordo. Lo Stato tornerebbe a finanziarsi con denaro italiano. Tutto ciò non accade per un solo motivo: manca la volontà politica. Se non potesse più “ricattare” lo Stato, un enorme sistema di potere finirebbe a gambe all’aria. Per questo non mollano, i boss della finanza che hanno “sequestrato” le nostre vite. Secondo Guido Grossi, ex manager Bnl, la politica ha rinunciato in modo folle al controllo della moneta. Prima, il cittadino portava i risparmi in una banca pubblica e quei soldi venivano investiti nell’economia reale, creando lavoro: lo Stato li usava per fare spesa pubblica. Oggi invece le banche private fanno solo speculazione, e i cittadini non possono più finanziare lo Stato, mentre gli interessi sempre più alti fanno salire l’indebitamento.
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Ho visto un Re: a piangere è Calabresi, “ferito” da Di Maio
«E sempre allegri bisogna stare», cantava Jannacci, «ché il nostro piangere fa male al Re». Fa male «al ricco e al cardinale», al punto che «diventan tristi se noi piangiam». C’è qualcosa di più insopportabile del vittimismo (grottesco) da parte del potere che “chiàgne e fotte”? Nell’arcaico pantheon medievale evocato dall’immenso cantautore milanese non c’era ancora posto, ovviamente, per il giornalista. Senza contare che allora, nel mitico 1968 – quando quel brano fu composto – erano ancora in circolazione giornalisti veri e propri. Magari non erano infallibili neppure loro, ma si chiamavano Bocca, Biagi, Montanelli. Ciascuno amato o detestato, a seconda delle platee, ma tutti rispettati: non cantavano in nessun coro e, nel caso, “sbagliavano” in proprio, senza prendere ordini dall’editore, dal partito, dall’establihment. Erano i tempi in cui sul “Corriere” scriveva Pasolini. Si era lontani anni luce dalle “carte false” che poi Giampaolo Pansa avrebbe messo alla berlina, denunciando la vocazione al servilismo che avrebbe fatalmente rovinato il giornalismo italiano, trasformandolo in docile strumento di propaganda.Giornali a fari spenti nella notte: tutti addosso ai ladri di polli di Tangentopoli, senza vedere il furto vero e colossale – sovranità, democrazia – messo a segno nel frattempo dall’élite finto-europeista. Oggi è diverso, è persino peggio: non si può più dire che i giornali sbaglino, non vedano, non capiscano. Oggi i giornali picchiano. Malmenano il nemico del padrone, ogni giorno, spudoratamente. Il primo a farlo è “Repubblica”, quotidiano fondato dall’ex fascista e poi socialista Scalfari, quindi a lungo diretto da quell’Ezio Mauro che demolì Berlusconi per i sexgate di Arcore, trasformando l’ultimo premier italiano eletto in qualcosa di cui gli anti-italiani Merkel e Sarkozy potevano ridere, proprio mentre si preparavano a spedire in Italia il loro uomo, Mario Monti, per inguaiare famiglie e aziende mettendo in ginocchio il sistema-Italia, comodamente spolpato da Germania e Francia, tra una risata e l’altra. Ridotta in macerie la politica – il populista Renzi, dopo il “sicario” Monti – oggi la ribellione di un paese scientificamente impoverito, terremotato dall’euro-crisi pilotata dai poteri che controllano la Bce, si esprime in modo grossolano per bocca di Salvini e Di Maio, il quale ha addirittura l’ardire di denunciare apertamente che il Re è nudo: tutto racconta, fuor che la verità. Apriti cielo: l’attuale direttore di “Repubblica”, Sergio Calabresi, apre il fazzoletto.Niente manganello, per una volta, ma fiumi di lacrime: i «nuovi potenti», singhiozza Calabresi, si sono accorti che – grazie al web – oggi «possono sperare di realizzare il sogno di ogni governante della storia: liberarsi dei corpi intermedi, delle critiche e delle domande scomode». Se queste parole fossero lette da archeologi fra tremila anni, e se non fosse più rintracciabile nessuna copia di “Repubblica”, nessuna prima pagina e nessun editoriale, qualcuno potrebbe persino prenderlo sul serio, Calabresi. Cosa ha detto, il mai impeccabile Di Maio? Due verità sacrosante. La prima: i giornali come “Repubblica” non fanno più informazione ma solo propaganda, spacciando “fake news”. La seconda: per fortuna, non li legge più nessuno. Esatto: vendono un terzo, un quarto delle copie che vendevano ai tempi di Biagi, Bocca e Montanelli, all’epoca in cui Ilaria Alpi faceva giornalismo d’inchiesta in Somalia, e in televisione campeggiavano Renzo Arbore e Gianni Minà. Persino i comici facevano pensare: Paolo Villaggio, Cochi e Renato diretti dallo stesso Jannacci (oggi il pubblico deve rassegnarsi a Crozza, che riesce a trasformare in eroe il sindaco di Riace, paragonandolo nientemeno che ai partigiani che “violarono la legge”, quando la legge era quella di Hitler).«Siamo “pericolosi”», dice Di Maio, perché i gialloverdi – raccontando il contrario della versione unilaterale dell’establishment – invadono (con verità insopportabili) quello che i giornali «considerano il loro territorio, la loro prateria». Per fortuna, aggiunge, «ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle “fake news” dei giornali, e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini». Sarà per questo che il sistema sta aumentando le dosi di chemioterapia quotidiana con cui accecare il pubblico? Come spiegare diversamente la mostruosa tecnocrate Elsa Fornero trasformata in guru dell’economia dal valletto Floris, o l’inaudito Cottarelli – uomo del Fmi, coinvolto nella rovina della Grecia – venerato settimanalmente nel felpato salottino di Fazio? Ma il problema non è la fogna a cui è ridotto il mainstream italiano. Macchè, il problema è il minaccioso, terribile Di Maio. «Non abbiamo paura», proclama Calabresi, asciugandosi le lacrime copiosamente sparse. «Siamo preoccupati per noi e per il paese, per lo scadimento del dibattito che avvelena l’opinione pubblica». Lo scadimento di quale dibattito, please? Ai gialloverdi, il mainstream ha solo e sempre tolto il microfono dalle mani, presentandoli come appestati, folli, velleitari, cialtroni, razzisti e sessisti, violenti e scellerati, incompetenti. E’ accaduto l’impensabile, ecco il punto: oggi sono al governo, i mascalzoni. Non potendoli più ignorare, li si prende a cannonate dal mattino alla sera, a reti unificate.Non è cambiato, lo schema del regime insediato in Italia dopo la rimozione forzata, per via giudiziaria, dei politici della Prima Repubblica: ad avere l’ultima parola non sono gli elettori, ma il “vincolo esterno” in base al quale l’oligarchia europea governa l’Italia al posto del governo italiano, sorretta dall’establihment locale (politico, industriale, finanziario e, naturalmente, mediatico). L’algido Ferruccio De Bortoli lancia anatemi e auspica il ritorno alle Crociate: guai, se il governo italiano dovesse spuntarla contro Bruxelles sulla storia del deficit al 2,4%. L’opinione pubblica è strettamente sorvegliata da ex giornalisti come Lilli Gruber, in quota al Bilderberg, come ieri lo era da Monica Maggioni, presidente della Rai, oggi a capo della sezione italiana della Trilaterale. E se alla Rai gli impudenti Salvini e Di Maio riescono a piazzare un non-allineato come Foa, un giornalista indipendente, sono dolori: il mite Marcello Foa diventa, in un battibaleno, una specie di pericoloso terrorista. La sua colpa? Di tanti colleghi, ha la stessa opinione di Di Maio: venduti a un potere che ormai se ne frega, della democrazia. E se qualcosa per una volta va storto, se cioè la democrazia vince davvero, i nuovi eletti vanno abbattuti, anche per dare una lezione ai maledetti italiani che, dopo averli votati, hanno pure il coraggio di continuare a sostenerli.Non c’è bisogno di ricordare che ognuno ha il diritto di coltivare qualsiasi opinione, purché non leda l’altrui libertà. A proposito di Crociate, il conte di Tolosa – che difendeva la libertà di religione nel Midi pre-francese – protestò per la “desmisura” con cui veniva oppresso dal potere vaticano, folle di rabbia per la scelta dei tolosani di difendere i diritti religiosi dei Catari. “Desmisura”, in occitano medievale, significa questo: violare le regole, soffocare l’avversario, negargli la possibilità di esistere come soggetto pensante. Una tentazione totalitaria, che – secondo Simone Weil – in quel drammatico inizio del 1200 gettò il seme velenoso dei peggiori incubi europei dei Novecento. Soffocare le voci altrui: non un fiato, dalle testate dirette da uomini come Calabresi, s’è levato contro l’infame legge europea sul copyright, promossa dal galantuomo tedesco Günther Oettinger. Bavaglio al web: social media e motori di ricerca saranno costretti a bloccare la circolazione di idee scomode. E’ proprio lo stesso Oettinger che disse che sarebbero stati “i mercati”, i signori dello spread, a insegnare agli italiani come votare. Per questo, come cantava Jannacci, è meglio non fidarsi delle lacrime del Re: quello del lupo che si mette a piangere, travestito da agnello, è uno spettacolo esteticamente osceno, prima ancora che ipocrita sul piano politico.«E sempre allegri bisogna stare», cantava Jannacci, «ché il nostro piangere fa male al Re». Fa male «al ricco e al cardinale», al punto che «diventan tristi se noi piangiam». C’è qualcosa di più insopportabile del vittimismo (grottesco) da parte del potere che “chiàgne e fotte”? Nell’arcaico pantheon medievale evocato dall’immenso cantautore milanese non c’era ancora posto, ovviamente, per il giornalista. Senza contare che allora, nel mitico 1968 – quando quel brano fu composto – erano ancora in circolazione giornalisti veri e propri. Magari non erano infallibili neppure loro, ma si chiamavano Bocca, Biagi, Montanelli. Ciascuno amato o detestato, a seconda delle platee, ma tutti rispettati: non cantavano in nessun coro e, nel caso, “sbagliavano” in proprio, senza prendere ordini dall’editore, dal partito, dall’establihment. Erano i tempi in cui sul “Corriere” scriveva Pasolini. Si era lontani anni luce dalle “carte false” che poi Giampaolo Pansa avrebbe messo alla berlina, denunciando la vocazione al servilismo destinata a rovinare fatalmente il giornalismo italiano, trasformandolo in docile strumento di propaganda.
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Fascismo? Ci vuole orecchio, per smontare chi odia Salvini
«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?Dal Quirinale a Confindustria, dalla magistratura a Bankitalia, da Macron a Juncker: ha solo nemici, quello che Montanari definisce il “ministro della paura”. Nemici così potenti da riuscire a impedire – in modo rocambolesco, grazie al solito Berlusconi alleatosi col Pd – l’elezione di un giornalista di razza come Marcello Foa alla presidenza della Rai, bloccata (secondo il massone Gianfranco Carpeoro) da una triangolazione telefonica tra il francese Jacques Attali (mentore di Macron), Giorgio Napolitano (membro della stessa superloggia, la “Three Eyes”, secondo Gioele Magaldi) e Antonio Tajani, massone anche lui. Dov’è il monopolio della forza di cui parla Montanari? Abbagli colossali, sia pure da un eminente intellettuale innamorato del patrimonio artistico italiano? «Ho indicato proprio in Saviano – scrive sempre Montanari su “Micromega” – uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi». Salviano chi? L’autore di “Gomorra”, condannato a vita a recitare la parte della vittima sotto scorta, per la gioia del suo marketing editoriale? Allude, Montanari, allo stesso Saviano che in Italia spara a man salva sul leader della Lega ma, appena si volge verso il Medio Oriente, si schiera con Israele senza mai una parola sulle brutalità che lo Stato ebraico guidato da Netanyahu infligge ai “negri” della situazione, cioè ipalestinesi?Affacciandosi sul Paese delle Meraviglie, Tomaso Montanari è comunque capace di stupirsi: evidentemente, per lui, il “ministro della paura” non è l’unico imputato. «Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati – scrive – di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne?». Già. Ma dov’era, Montanari, quando Mattarella faceva il ministro nel governo D’Alema, l’esecutivo che “regalava” la rete autostradale italiana ai Benetton? Se ne riparla oggi, dopo l’immane tragedia del crollo a Genova del viadotto Morandi, con il governo Conte deciso a imporre ad Autostrade per l’Italia la revoca della concessione. Non vede come stanno realmente le cose, il professor Montanari? «Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio?». Le domande di Montanari, che appare sinceramente disorientato, sembrano rivolte all’interlocutore sbagliato. Cosa si aspetta, Montanari, da un potere-ombra così ipocrita e marcio da usare all’occorrenza le bandiere della sinstra per varare, in Italia, il neoliberismo più selvaggio?Equivoci, probabilmente figli della “santa alleanza” contro il falso bersaglio – Berlusconi – che ha permesso ai veri dominus di agire indisturbati per vent’anni, graniticamente supportati (senza chiasso, né olgettine) dal centrosinistra dei Prodi e dei D’Alema, degli Amato e dei Padoa Schioppa. L’impegno civile di Tomaso Montanari è cristallino: nel marzo 2017 è diventato presidente del cartello “Libertà e Giustizia”, succedendo a Nadia Urbinati. Nel giugno 2017, con Anna Falcone, è stato fra i promotori di “Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza”, giornalisticamente ribattezzata come “percorso del Brancaccio”, dal nome dell’omonimo teatro romano dove si riunirono le prime 1.500 persone. Obiettivo: creare una lista civica nazionale della sinistra. Progetto poi naufragato a meno di sei mesi dalle elezioni, visto anche lo stato confusionale della sinistra stessa, reduce da due decenni di antiberlusconismo militante spacciato per progressismo. Si tratta della stessa sinistra che preferì sparare sul Cavaliere piuttosto che sul pareggio di bilancio inserito da Monti nella Costituzione con l’appoggio di Bersani, così come oggi – pur con i suoi dubbi – Montanari preferisce colpire Salvini, piuttosto che un establishment che aveva ridotto l’Italia a Cenerentola politica d’Europa, prona a qualsiasi diktat, incluso quello di tenersi i migranti salvati nel Mediterraneo dalla marina tricolore.Montanari è uno di quegli intellettuali italiani che non esitano a utilizzare la parola “fascismo” per connotare l’azione di Salvini, cioè del leader più rappresentativo del primo e unico governo – dopo tanti anni – formatosi a furor di popolo, sotto la spinta squisitamente democratica degli elettori, ansiosi di metter fine a una lunga sequela di “governi dell’orrore”, pronti a precipitare il paese (loro sì) nella paura: la paura di perdere tutto e di sprofondare in un’Italia senza futuro. «Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini – riconosce Montanari – è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori». Quando Salvini dice “prima gli italiani”, per il professore «nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”», ovvero tra i poveri e i ricchi, che notoriamente «non vogliono le stesse cose», per citare lo storico britannico Tony Judt. Quand’anche: perché Montanari spara su Salvini, che non ha alcuna responsabilità nella catastrofe della Seconda Repubblica, evitando di usare il termine “fascismo” per i decisivi collaborazionisti del “nazismo tecnocratico”, ai cui “successi” si deve, oggi, la vasta popolarità del leader della Lega?«Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità” – aggiunge Montanari – è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla». Sempre secondo il professore, «Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero». C’è un che di vertiginoso, nel ricorrente abuso dei termini: il fascismo si impose in modo strisciante con le violenze delle camicie nere, incoraggiato dall’élite e ignobilmente tollerato dallo Stato liberale, monarchia in primis. Crede davvero, il professor Montanari, che l’ex anarchico ed ex socialista Mussolini abbia potuto marciare su Roma in solitudine, senza l’appoggio dei poteri forti attraverso il network discreto della massoneria? Crede che abbia potuto guidare svariati governi senza il sostegno decisivo del Vaticano, accanto a quello dei latifondisti e della grande industria?E perché mai spendere ancora, impunemente, nel 2018, la parola “fascismo”? Non vede, Montanari, da quale pulpito democratico vengono le lezioncine impartite all’Italia sui diritti umani? Non sa, Montanari, da quale scuola proviene l’illustre burattino francese Macron? Non vede quali onori gli sono stati tributati, in Vaticano, dall’uomo che la dottrina cattolica considera il vicario di Dio in terra? Conosce un altro fascismo, Montanari, che oggi sia più feroce di quello con cui la Germania e la Bce hanno ridotto la Grecia come un paese del terzo mondo? «Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”», sostiene Montanari. Ma, anziché attaccare a testa bassa il tumore, lo storico dell’arte si accanisce su quello che considera il sintomo, come se i buoi non fossero già scappati dalla stalla. E questa incredibile miopia, probabilmente, mette fuori gioco molta parte dell’intellettualità italiana: se Salvini sarà sempre di più il nuovo leader del paese, con i suoi toni spesso così indigesti, lo si dovrà anche e soprattutto a chi vede l’autoritarismo dove non c’è, senza averlo visto – in tempo utile – là dove c’era, e dove sta tuttora, esercitando il suo immenso potere, ogni giorno, contro l’Italia e l’avvenire degli italiani.«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?