Archivio del Tag ‘Shoah’
-
‘Edoardo Agnelli era un Sufi, ma con parenti nel B’nai B’rith’
Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».L’impatto sulla famiglia, di una scelta così radicale? «Per l’Avvocato, bastava che Edoardo non mettesse piede in azienda», dichiara Carpeoro a Fabio Frabetti di “Border Nigths”. «Poi lì c’è un entourage, però, che mal sopportava questo, sicuramente». E aggiunge: oggi siamo passati da un Sufi a una famiglia il cui capostipite, «che poi è il marito di Margherita Agnelli», cioè lo scrittore e giornalista Alain Alkann, appartiene al B’nai B’rith, espressione «di un certo sionismo reazionario che ha fatto tanti danni alla cultura israeliana». Il primo che si è scagliato contro questo tipo di potere «è un grande personaggio della cultura ebraica che si chiama Moni Ovadia», dice Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. B’nai B’rith? Per Wikipedia, si tratta di una innocua loggia di ebrei, di prevalente origine tedesca, nata un secolo prima dello Stato di Israele: fondata il 13 ottobre del 1843 a New York. Da allora, i “figli dell’alleanza” hanno una missione ufficiale: assistere i poveri. «L’organizzazione partecipa a numerose attività legate ai servizi sociali, tra cui la promozione dei diritti degli ebrei, l’assistenza negli ospedali e alle vittime dei disastri». Inoltre, la “lega dei fratelli” stanzia premi per gli studenti di scuole ebraiche e combatte l’antisemitismo tramite il suo Center for Human Rights and Public Policy.Oltre alle sue attività sociali, continua Wikipedia, il B’nai B’rith è anche un sostenitore dello Stato di Israele: insieme all’Aipac, potente lobby ebraica di Washington, la super-massoneria ebraica ha finanziato associazioni giovanili e studentesche. Ma, secondo Carpeoro, non sono soltanto umanitari gli scopi del B’nai B’rith, che apparterrebbe a pieno titolo al panorama delle potentissime superlogge internazionali, in strettissimo contatto con il Mossad, l’intelligence di Tel Aviv: sempre secondo Carpeoro, oltre ad Alain Elkann (cognato di Edoardo Agnelli), al B’nai B’rith apparteneva l’anziano Lion Klinghoffer, ucciso dal commando palestinese che dirottò la nave la crociera Achille Lauro nel 1985, da cui poi la crisi di Sigonella, con i carabinieri inviati da Craxi a proteggere i dirottatori, che i marines volevano catturare. Una tensione senza precedenti, in ambito Nato, che probabilmente costò il futuro politico dello stesso Craxi: «La sua telefonata con Reagan – racconta Carpeoro, allora vicino al leader socialista – fu deliberatamente mal tradotta, in diretta, dal politologo statunitense Michael Ledeen: cosa che Craxi non gli perdonò mai, perché compromise i suoi rapporti col presidente Usa».Di Ledeen, Carpeoro ha parlato spesso, anche nel suo saggio (uscito nel 2016) che denuncia la manipolazione atlantica dell’opaco neo-terrorismo europeo targato Isis. Ledeen? «All’epoca era vicino a Craxi, ma al tempo stesso anche a Di Pietro. Poi, in tempi assai più recenti, è stato al fianco di Renzi ma anche del grillino Di Maio». L’altra notizia? «Lo stesso Ledeen è un autorevole esponente del B’nai B’rith». Dunque il giovane Edoardo Agnelli, già scomodo anche per la Fiat (durissima una sua lettera al padre, all’epoca di Tangentopoli) poteva non essere più facilmente tollerato in una famiglia con componenti fortemente sioniste? La verità è più complessa, spiega Carpeoro, ricordando che Gianni Agnelli ha sposato la principessa Marella Caracciolo, sorella del fondatore de “L’Espresso”: «La linea materna di Edoardo è particolare: colta, raffinata, un po’ decadente». Il giovane Agnelli, semplicemente, «era molto più simile al ramo di sua madre che non a quello di suo padre». Lo conferma, nel modo più estremo possibile, il motto dei Sufi: “Nel mondo, ma non del mondo – nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”.Quando a Torino si impose il ramo Elkann, ricorda Lapo in un’intervista rilasciata a Giovanni Minoli per “La Storia siamo noi”, Edoardo Agnelli era già stato “bruciato” una prima volta dalla scelta del cugino Giovannino (Giovanni Alberto, figlio di Umberto Agnelli) come successore dell’Avvocato al vertice dell’impero Fiat. Poi Giovannino morì e al suo posto, pochi giorni dopo il funerale nel dicembre 1997, ricorda Gigi Moncalvo su “Lo Spiffero”, nel consiglio di amministrazione della Fiat venne nominato John Elkann, che di anni ne aveva appena 22 e nemmeno era laureato. Nella sua ultima intervista, rilasciata a Paolo Griseri per il “Manifesto”, il 15 gennaio 1998, Edoardo Agnelli boccia la designazione di “Jaky”: «Considero quella scelta uno sbaglio e una caduta di stile, decisa da una parte della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di mio padre». E aggiunge: «Non si nomina un ragazzo pochi giorni dopo la morte di Giovanni Alberto, per riempire un posto». E ancora: «Si è preferito farsi prendere dalla smania con un gesto che io considero offensivo anche per la memoria di mio cugino».Nel documentario di Minoli, è lo stesso Lapo Elkann – non ancora travolto dal suo secondo scandalo sessuale, quello di New York – ad avere parole umanissime per Edoardo Agnelli: «Era una persona bella dentro e bella fuori. Molto più intelligente di quanto molti l’hanno descritto: un insofferente che soffriva, che alternava momenti di riflessività e momenti istintivi». Nella villa di famiglia a Villar Perosa, in val Chisone, non lontano dal Sestriere, «ci sono state tante gioie ma anche tanti dolori». Dice Lapo, di Gianni Agnelli: «Con tutto l’affetto e il rispetto che ho per lui e con le cose egregie che ha fatto nella vita, mio nonno era un padre non facile. Quel che ci si aspetta da un padre – dei gesti di tenerezza, non parlo di potere: i gesti normali di una famiglia normale – probabilmente mancavano». Lapo Elkann riconosce quanto abbia pesato, su Edoardo, l’indicazione di far entrare suo fratello, John Elkann, nell’impero Fiat: «Credo che la parte difficile sia stata prima, la nomina di Giovanni Alberto. Poi, “Jaky” è stata come una seconda costola tolta. Ma Edoardo si rendeva conto che non era una posizione per lui», così portato per l’introspezione filosofica e religiosa – addirittura pervasa del misticismo Sufi, quello dei Dervisci rotanti, la confraternita iniziatica fondata dal sommo poeta afghano Rumi nel 1200.A ben altra scuola esoterica, secondo Carpeoro, appariene invece l’ebreo Alain Elkann, classe 1950, nato a New York da padre francese e madre italiana, giornalista e scrittore, docente universitario in Pennsylvania. Suo padre, il rabbino Jean-Paul Elkann, banchiere e industriale, è stato presidente del Concistoro ebraico di Parigi. La madre di Alain, Carla Ovazza, discende da una famiglia di banchieri torinesi (e nel 1976 fu vittima di un sequestro di persona). Un suo zio, il banchiere Ettore Ovazza, fascista fino al 1938 e amico di Mussolini, aveva fondato il giornale ebraico antisionista “La Nostra Bandiera”, prima di essere assassinato nel 1943 dai nazisti. Giornalista e scrittore, Alain Elkann è stato sodale di Alberto Moravia e Indro Montanelli. Ha scritto romanzi e saggi, anche in collaborazione con personaggi prestigiosi come Elio Toaff, storico rabbino capo emerito di Roma, nonché l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini e il Re di Giordania Abdullah. Tema a lui caro: la fede ebraica in rapporto alle altre religioni, e l’essere ebrei oggi. Dal 2004 è presidente della Fondazione del Museo Egizio di Torino, e ha collaborato con l’allora ministro Sandro Bondi (beni culturali).Alain Elkann è membro della Fondazione Italia-Usa e fa parte del comitato scientifico del Meis di Ferrara, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, nonché di istituzioni universitarie italo-americane. Nel 2009 è stato anche insignito della Legion d’Onore, massima onorificenza francese. Ma ovviamente nel suo curriculum non c’è traccia dell’appartenenza al B’nai B’rith. Suo figlio, John, è oggi il reggente dell’impero industriale Fca, Fiat-Chrysler. Suo cognato Edoardo Agnelli morì suicida, senza un cenno di addio, o fu assassinato? E’ la domanda irrisolta a cui cerca di rispondere Minoli, nel suo reportage televisivo. «Se qualcuno mi dimostrasse che Edoardo è stato ucciso ne sarei in qualche modo felice, perché significherebbe che non era così disperato da fare questo gesto», dice il cugino, Lupo Rattazzi, convinto però che Edoardo fosse proprio deciso a farla finita. «L’inchiesta giornalistica sulla figura dell’erede mancato della famiglia Agnelli, e sulla sua tragica scomparsa – scrive Mario Baudino sulla “Stampa” – mette in fila tutti gli elementi, anche quelli controversi, di un avvenimento che, data la notorietà del protagonista, ha avuto negli anni anche interpretazioni assai dietrologiche».Soprattutto, aggiunge il giornalista, Minoli ricostruisce una personalità complessa e tormentata, e una vicenda umana dolorosa. A tenere aperto il giallo sulla fine di Edoardo Agnelli è la testimonianza di un pastore, che la mattina del 15 novembre del 2000 pascolava i suoi animali sulle rive del fiume Stura di Demonte: l’uomo sostiene di aver visto il cadavere di Edoardo Agnelli verso le 8.30, cioè molto prima che l’auto – abbandonata sul viadotto soprastante – avesse varcato il casello autostradale. Ma l’ex capo dei Ris di Parma, Luciano Garofalo, non dà credito alla testimonianza: la ritiene un tipico caso di auto-inganno della memoria. Se invece il pastore avesse ragione, scrive Baudino, «bisognerebbe pensare che sulla Croma di Edoardo Agnelli ci fosse, in quel momento, qualcun altro; anzi, che ci fosse sempre stato qualcun altro a bordo. Un giallo troppo complicato e inverosimile». C’è poi la tesi di una televisione iraniana, che aveva fatto scalpore con un documentario in cui prospettava l’ipotesi di un omicidio “sionista”, «commesso per eliminare un erede della dinastia italiana convertitosi all’Islam». Edoardo Agnelli, ricorda Baudino, era affascinato dalle fedi: si era laureato in storia delle religioni, con una tesi su quelle orientali. Era «affascinato dalla mistica Sufi», anche se «nessuno degli amici più intimi ha mai avuto il più lontano sentore che fosse diventato musulmano». A ricordarlo, oggi, c’è invece quella foto inequivocabile, postata su Facebook da Carpeoro.Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».
-
Guzzi: noi, umanità nuova, e i morti viventi ancora al potere
Questa crisi è antropologica, quindi molto più profonda dei numeri, molto più radicale. Ma è anche una grande crisi di crescita. Io sono positivo. È una grande crisi, ma non è più grande di noi: è alla nostra portata. Dobbiamo renderci conto della sua radicalità e prenderla di petto. È una crisi di crescita, è una crisi sostanzialmente evolutiva, e noi non siamo ancora in grado di interpretare questa direzione evolutiva e facilitarla. E questo la aggrava. Questa è la cosa più pericolosa: non tanto che la crisi sia antropologica, cioè è una crisi paragonabile a quella del Neolitico, perché sta cambiando un’antropologia, cioè un modo di essere uomini. La crisi antropologica del Neolitico è il momento in cui (grossomodo dall’8.000 al 5.000 a.C.) l’umanità si dà una forma che è poi quella che – con moltissime evoluzioni – arriva fino a noi. Inizia l’agricoltura, gli uomini cominciano quindi a stabilizzarsi in un luogo, a costruire le città, e sorge la civiltà che poi, con enormi mutazioni, arriva fino a noi. Noi siamo in una fase di trasformazione ancora più grande per l’essere umano. Questo vuol dire, in termini semplici, che tutto un modo di “essere umani”, come il diritto, l’economia, la filosofia, la democrazia, la politica, i rapporti sessuali, i rapporti familiari, cioè tutte le forme antropologiche, le istituzioni in cui l’umanità organizza la sua vita, sono in travaglio.Quelle che appartengono alla modalità che sta finendo tracollano. Ecco perché c’è una crisi generale. Tutto è in crisi perché le forme storiche – matrimonio, democrazia, università, religioni – è come se si stessero esaurendo, non ci soddisfano più. Per cui noi non sappiamo che fare. Siamo in una fase caotica – che è una fase, però, di transizione. Se noi riuscissimo a capire un po’ meglio quale figura di uomo si sta consumando e quale modalità nuova sta emergendo, riusciremmo a vivere questo passaggio per quello che è: un enorme momento di crescita. Mi viene in mente la fase decadente dell’Impero Romano. Ci vollero centinaia di anni, ci volle un’epoca di barbarie per far rifiorire un nuovo Rinascimento. Oggi forse, con tutta questa tecnologia, con la rete, potremmo metterci di meno? Quando abbiamo una crisi esistenziale, possiamo reagire in due modi diversi. Il primo modo è: negare la crisi, fare finta che la crisi non ci sia, non capire che certe modalità della nostra vita non funzionano più. Se facciamo così, cioè resistiamo, fingiamo, neghiamo, la crisi diventa molto lunga e molto dolorosa.Se invece iniziamo a interrogarci e ci chiediamo: “Ma forse c’è qualche cosa nella nostra vita che posso correggere, forse c’è qualche cosa nel modo di fare, nei miei affetti, nel modo in cui lavoro che non è giusto, che non va più bene, che posso incominciare a correggere”, se assumiamo un atteggiamento di questo tipo, direi di cura, allora la crisi solitamente è meno penosa e anche meno lunga. La stessa cosa vale per la nostra civiltà. Il problema è che questa civiltà non vuole capire. E non è mica una cosa che nasce ieri. Tutto il XX° Secolo è catastrofico dal punto di vista della vecchia umanità. Un certo tipo di “essere uomo” vive lungo il XX° Secolo catastrofi mondiali: due guerre mondiali, campi di concentramento, totalitarismi. C’è una fase di distruzione mostruosa. Eppure non abbiamo ancora ben capito, non vogliamo capire. E questo neoliberismo degli ultimi trent’anni – a mio parere – è la forma estrema di resistenza al cambiamento. Cioè, il vecchio io, l’uomo morente, quello che non funziona più, che io amo chiamare “Egoico bellico”, cioè un’umanità che si rafforza nel contrapporsi, contrapporsi all’altro, contrapporsi alla natura, ecco: questa forma tracolla, ma resiste.Il neoliberismo è una forma estrema di egotismo, di egocentrismo, di individualismo egoistico, cieco e suicidario, che non vuole capire la lezione. E quindi le catastrofi non sono rappresentative solo del nostro passato, ma sembrano purtroppo prefigurare anche il futuro. La politica vigente? E’ la politica neoliberista. Quindi le classi dominanti occidentali, oggi, sono i portavoce dell’io morente. Sono i portavoce di questa forma di umanità che è già morta, è già esaurita, ma che persiste a dominare sul mondo in una forma vampiristica o zombistica. È come un mondo di morti viventi che fingono di essere vivi, ma sono zombie, sono morti e vogliono che tutti siano come loro. Perché gli zombie, come i vampiri, vogliono che tu diventi come loro. Una metafora un po’ forte? Questa metafora era alla base anche del primo film di zombie, “La notte dei morti viventi“, diretto da George Romero, alla fine degli anni sessanta, che metteva in scena proprio questa critica della società. Tant’è vero che lo zombie lo uccidi annientando il cervello, perché è nel cervello che si annida quella forma di massificazione, di non-pensiero, che non può morire se non esiste – ma, appunto, era questo il paradosso, la metafora.D’altra parte “The Walking Dead”, il serial che sta avendo successo mondiale in questi anni (la storia – appunto – di un manipolo di umani che sono sopravvissuti a questa epidemia di zombie), simbolicamente molto significativo, ci racconta proprio la disperata volontà di questo gruppo di uomini di rimanere umani in un mondo di zombie. Ed è per questo che ha tanto successo, perché spesso le serie americane – in modo non sempre consapevole – riescono a parlare in modo diretto, ma anche mitico dei drammi dell’umanità contemporanea. Perciò hanno uno straordinario successo. “Breaking Bad”, “The Walking Dead”, insomma quelle… Ma anche “House of Cards”. Cioè… ci parlano come pochi, oggi, di questo tempo finale. Quel tempo che si viene a collocare dopo la fine della storia in cui siamo come congelati. Un po’ anche “Matrix” ci ha raccontato questo. Siamo bloccati e congelati, per cui i politici attuali – quelli che oggi dominano i paesi occidentali – sono i funzionari di questa resistenza al cambiamento e adoperano tutti i loro strumenti, specialmente le armi di distrazione di massa: cioè ci distraggono, ci distolgono, ci occupano per mesi interi a discutere di una legge elettorale in Italia che ha il valore del due di picche, capite?Nel contesto terminale in cui sta vivendo il pianeta, con fenomeni come quello migratorio che si sta scatenando e che nell’arco di pochi anni diventerà una cosa incredibile… I demografi ci dicono che nell’arco di 15/20 anni solo la Nigeria avrà 500 milioni di abitanti, cioè superererà l’intera area europea! Capite? Questo è il paesaggio prossimo futuro, e questi deficienti – questa vergognosa Unione Europea gestita da queste persone inverosimili – si occupano di quisquilie! Ma non è un caso: è appunto una strategia di distrazione, perché se ci dovessimo occupare dei veri problemi, l’intero assetto che loro dominano dovrebbe essere messo in discussione. Le vaccinazioni? Non posso pensare che, come tali, siano un male, perché le vaccinazioni nella storia – a partire dall’antivaiolosa – ci hanno liberato da alcune patologie. Che poi ci sia una degenerazione, un pericolo, un eccesso per cui dobbiamo obbligatoriamente farne 12, su questo anch’io ho qualche dubbio. Ma anche questo si può inserire nel processo di meccanicizzazione tecnologica della società, dove l’unico criterio che si adotta è la quantificazione di pulegge e ruote, ingranaggi che girano.Tutto è algoritmo, il fattore umano è diventato un inquinante. Cioè è tutta una questione di numeri, di leve, di giochi di forza e di potere, di catene di montaggio. E’ chiaro che la “figura di umanità morente”, che io chiamo “egoico-bellica” ma che si può chiamare anche neoliberista, materialistica, nichilistica, questa forma di umanità vuole sostanzialmente eliminare l’io umano come principio libero e spirituale. Quindi vuole trasformare l’essere umano in qualcosa di meccanico, di non spirituale, di non libero, essenzialmente, di condizionato e determinato al punto da potersi inserire dentro un sistema nel quale tu sei solo una rotellina sostituibile, come diceva Heidegger. Tutto dev’essere sostituibile. E questa è proprio la natura antitetica dell’io. L’io, nel suo mistero è proprio insostituibile. Ognuno di noi è se stesso: un mistero insostituibile. Loro vogliono, invece che tutto venga sostituito. E da qua, per esempio, la svalutazione crescente del mondo del lavoro, delle professioni. Perché le professioni connotano qualche qualità umana che non è sostituibile. Invece tutto deve essere sostituibile, tutto deve essere disanimato, calcolabile, contabile.Tutto deve essere ridotto a numero, a economia matematica che viene fatta passare come legge naturale, come se fosse una legge della natura. Mentre sappiamo – almeno da 150 anni – che non esiste alcuna economia come scienza esatta, ma esiste sempre un’economia che è l’organizzazione di interessi molto precisi. E qui è il punto. È questo che non si vuole mostrare. È questo l’indicibile! E qui ci stanno degli interessi precisi di élite oligarchiche precise che dominano il mondo a livello finanziario. Ma questo oggi ce lo dice Habermas, cioè ce lo dicono pensatori moderati. Quest’idea del complottismo è veramente ridicola e denuncia una grande ignoranza. Perché allora è complottista anche il Papa, è complottista Habermas, è complottista Rifkin, cioè sono complottisti praticamente tutti quelli che ancora pensano. Ci sarebbe da chiedere, se questi sono complottisti, gli altri chi sono? Sono quelli che i complotti li fanno davvero! Perché questo è il problema: c’è una vasta area di collaborazionismo, oggi! Perciò ci vuole una rivoluzione culturale inedita, che è la rivoluzione della nuova umanità. Cioè, quella che sta nascendo in questa crisi, perché sta nascendo una nuova umanità. Un’umanità più relazionale, un’umanità che non si può meccanicizzare, che scopre i livelli più profondi di libertà interiore e li vuole manifestare socialmente.L’uomo nascente, la nuova umanità, ancora non trova dei fuochi di aggregazione, per cui è disseminata e molto controversa e confusa. Quindi dobbiamo trovare dei minimi comuni denominatori, cioè dei punti su cui persone molto diverse, che hanno anche formazioni diverse, potranno convergere in questa dinamica rivoluzionaria. E io credo che i punti poi siano pochi, quelli necessari per creare poi un’aggregazione. C’è un accordo tra una visione laica e una visione di chi pratica il buddismo, lo yoga, le medicine alternative e via dicendo: tutti concordano sul fatto che è un’intera figura di umanità che non funziona più. Il secondo punto su cui possiamo concordare tutti è che questo passaggio non può essere soltanto estrinseco, cioè “cambiamo le strutture del mondo”, come sono state le rivoluzioni moderne: “assaltiamo la Bastiglia”, “prendiamo il Palazzo d’Inverno”, “facciamo l’insurrezione mazziniana”… No! Questo è oggi impossibile. Dobbiamo organizzare un movimento di trasformazione che parta sempre anche dal profondo di sé. Cioè, il Palazzo d’Inverno ce l’ho anche dentro di me. La modalità “egoico-bellica” c’è anche nei gruppi alternativi ed è fortissima! La modalità bellica di pensare la trovi anche in tanti pacifisti. Dobbiamo collaborare ad un processo che certo sarà secolare, però ce lo possiamo godere anche oggi.Dobbiamo immaginare un movimento che sia al contempo interiore, diciamo spirituale in senso assolutamente transconfessionale, e politico-storico. Insieme, su questi due grandi fuochi, io credo che potremo organizzare un’aggregazione finalmente in grado di avere una rappresentanza politica e finalmente mettere seriamente in crisi il sistema, altrimenti rimaniamo nell’ambito dell’idealismo, della testimonianza, anche bella ma di nicchia, e non potremo aspirare a quello che invece dobbiamo aspirare: cioè a trasformare le strutture. La grande riforma implica una riforma spirituale. Dobbiamo cioè aiutarci a far uscire l’umanità dalla modalità bellica, che non è naturale. Ecco perché io ho creato dei gruppi di liberazione interiore, con un percorso che dura sette anni. Perché sennò sono chiacchiere. E di chiacchiere, negli ultimi duecento anni, ne abbiamo sentite tante… Dall’Illuminismo in poi c’è questa idea che l’uomo, di punto in bianco, diventi santo, diventi generoso, diventi altruista, ma sono tutte balle! Poi abbiamo prodotto il Terrore di Robespierre, abbiamo prodotto le devastazioni del comunismo nel XX° secolo in nome della pace e della giustizia e della libertà. Dovrebbe essere finito questo tempo, cioè: trasformarci è un lavoro quotidiano.Ma questo deve poi divenire un movimento storico, culturale e quindi politico. Politico nel senso grande e in un senso nuovo. Dovremmo creare aggregazioni, anche delle forme di attestazione non-violenta, totalmente post-novecentesca, post-ideologica, direi ridente, sorridente e determinata, che abbia la forza della novità, la forza della vita crescente. Capite che è travolgente la vita che cresce? Se ne strafotte del passato, non ha nemmeno più bisogno di confutarlo, si manifesta nella sua novità. La novità è travolgente. Questo è quello che io sento e che i grandi poeti – ai quali mi rifaccio – profetizzano da almeno duecento anni. Perché questa è una storia – ripeto – antica, è una storia antica che sta vivendo una fase nuova. Ma non è una cosa che nasce adesso. L’idea della nuova umanità non nasce adesso: ha perlomeno duemila anni, in Occidente. E tutta la modernità – a partire del XV°/XVI° secolo – si è proposta come una nuova umanità. Noi siamo in una fase nuova di questo lungo processo e anche questo lo dobbiamo capire, perché altrimenti poi facciamo la new age, che è un fenomeno di costume, si sbriciola.I passi io li vedo molto semplici e chiari, anche se poi i tempi della realizzazione storica di questa insurrezione non sono facilmente prevedibili. Bisogna partire da sé stessi, ma bisogna ripartire tutti i giorni. Cioè non è che parti e poi te lo scordi. L’insurrezione della nuova umanità è il processo quotidiano attraverso il quale ci liberiamo di legami interiori, schiavitù, paure, blocchi, terrori, risentimenti, di tutto ciò che impedisce alla nuova umanità, alla sua creatività di esprimersi. Questo è il primo passo sempre da rifare. Dopodiché, questa cosa bisogna viverla in gruppi, non è che la vivi da solo. Bisogna espandersi a cerchi concentrici partendo dai gruppi – potremmo dire – più iniziatici, quelli che lavorano assiduamente su di sé. Bisogna poi che questo diventi un discorso comune, ecco: dobbiamo far sì che questi concetti elaborino una nuova cultura.(Marco Guzzi, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per la video-intervista “Siamo entrati in un nuovo Neolitico”, pubblicata da “ByoBlu” il 16 giugno 2017. Poeta e filosofo, Guzzi è il fondatore del movimento “Darsi pace”, un laboratorio di nuova umanità).Questa crisi è antropologica, quindi molto più profonda dei numeri, molto più radicale. Ma è anche una grande crisi di crescita. Io sono positivo. È una grande crisi, ma non è più grande di noi: è alla nostra portata. Dobbiamo renderci conto della sua radicalità e prenderla di petto. È una crisi di crescita, è una crisi sostanzialmente evolutiva, e noi non siamo ancora in grado di interpretare questa direzione evolutiva e facilitarla. E questo la aggrava. Questa è la cosa più pericolosa: non tanto che la crisi sia antropologica, cioè è una crisi paragonabile a quella del Neolitico, perché sta cambiando un’antropologia, cioè un modo di essere uomini. La crisi antropologica del Neolitico è il momento in cui (grossomodo dall’8.000 al 5.000 a.C.) l’umanità si dà una forma che è poi quella che – con moltissime evoluzioni – arriva fino a noi. Inizia l’agricoltura, gli uomini cominciano quindi a stabilizzarsi in un luogo, a costruire le città, e sorge la civiltà che poi, con enormi mutazioni, arriva fino a noi. Noi siamo in una fase di trasformazione ancora più grande per l’essere umano. Questo vuol dire, in termini semplici, che tutto un modo di “essere umani”, come il diritto, l’economia, la filosofia, la democrazia, la politica, i rapporti sessuali, i rapporti familiari, cioè tutte le forme antropologiche, le istituzioni in cui l’umanità organizza la sua vita, sono in travaglio.
-
Siamo un virus che devasta la Terra: chi ci deviò il genoma?
«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – Matrix). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?Spesso si giustifica il male come un’assenza di bene, ma a guardare bene le azioni dell’uomo nella storia, non possiamo limitarci a descrivere il male come una carenza di bene, ma come una vera e propria perversione, una perversione del senso dell’essere e dell’esistere. Il male degrada e violenta l’uomo. Esso lo pone in contraddizione con se stesso. Non è altro, dunque, che nonsenso e perversione. La gente se lo chiede: esiste un problema nella relazione tra l’uomo e l’uomo e tra l’uomo e il creato? Esiste una ferita nell’armonia cosmica che contraddistingue il creato e che l’uomo non è in grado di realizzare nel suo rapporto con la natura e con se stesso? Da più parti giungono segnali di un disagio profondo nel cuore umano, come se questo mondo non fosse il nostro. Non si comprende bene se siamo noi umani stranieri ad esso, vermi ingordi precipitati qui per caso, e perchè abbiamo ridotto questo pianeta, un giorno nostra culla accogliente, in un mondo ostile e minaccioso, tale da fargli assumere i nostri connotati di avidità distruttiva e di cinismo indifferente.L’uomo, da custode a predatore del creato. Forse bisogna andare all’inconoscibile giorno in cui l’uomo non avvertì più se stesso come natura, come figlio della terra. Da uomo della natura si scopri uomo nella natura, con niente simile a sé. Fu allora che si sentì padrone della Terra e non più custode, dominatore di tutto, per dimenticare l’orrore della sua fragilità e del suo destino di morte. Egli ridusse tutte le cose ad “oggetti” da tenere a bada e da sfruttare a suo piacimento. E’ così che nasce la cultura umana, la cultura tecnologica, del dominio e dello sfruttamento razionale, freddo, della natura. Per un po’ le cose vanno bene. La tecnica dà una mano allo spadroneggiare dell’uomo sulla terra, fino a quando il criterio che dirige ogni scelta sul pianeta non diventa l’economia. L’uomo-padrone arraffa quanto è economicamente utile e nel modo in cui è economicamente vantaggioso. Se serve, si devasta un territorio, lo si avvelena anche. Se serve, si cura un nemico o un operaio ferito. Se non serve, lo si lascia morire.La “new economy”, come oggi la si definisce, oltre a devastare la natura, schiaccia l’uomo, gli impedisce di vivere, a meno che non appartenga ad un ristretto numero di privilegiati. Perchè il creato è stato scippato a tutti ed è diventato proprietà di alcuni, con la complicità di chi ha definito diritto divino la proprietà privata. Così l’economia diventa incertezza quotidiana, guerra, annullamento dei diritti umani, menzogna, sovvertimento insensato della natura. Dobbiamo all’economia se oggi a presiedere uno Stato, molto spesso, non è un presidente ma la “banca”. La tecnica è il braccio armato dell’economia, una economia che annulla la dignità umana e che lo asserve all’avidità di pochi gruppi che influenzano la vita dell’intero pianeta. L’atomo gli fa vincere una guerra, ma inquina generazioni e generazioni. La biologia ci assiste nella fecondità umana, ma non è un suo problema se un giorno programmeremo, secondo le nostre esigenze, una generazione di atleti senza sentimenti, oppure soldati ottusi ed ubbidienti, oppure carne per il consumo sessuale. Gli organismi geneticamente modificati possono aumentare la produzione, ma la Monsanto si sente innocente se poi magari scopriremo che ci siamo avvelenati coi nostri soldi. Paradossale ma vero: l’economia non sa che farsene dell’uomo, non vuole la natura umana che in sé è collegata col tutto; vuole solo la propria autoconservazione. Cioè, in fondo, l’idolatria del dollaro e delle merci.Questa civiltà che ogni giorno, rispetto ad uomini e cose, si connota con il cinico usa e getta, non è ancora riuscita a farci dimenticare che se non siamo padroni della natura, tuttavia siamo ad essa inscindibilmente collegati, tanto che deturpare il creato è gesto autodistruttivo, e disprezzare l’uomo predispone ad assalire il creato. Una umanità senza sentimenti, puramente tecnica, non si accorge nemmeno della scomparsa di migliaia di specie animali e vegetali. Non prova nessuna nostalgia per una bellezza sprofondata nel nulla dopo millenni di cammino sulla terra. Dopo averne privato una parte consistente dell’umanità, abbiamo anche privato di diritti animali e piante. Questo discorso, nella logica occidentale viene presa per idiozia! Può una pianta, un animale avere dei diritti? Il punto è che sentendoci padroni di tutto, riconosciamo il diritto alla vita a chi vogliamo noi, secondo le convenienze. Si comincia a ridurre la pianta e l’animale ad oggetto, aprendo così la strada a vergognarci di quanto di animale c’è in noi! Fino a dire che anche certi umani sono sottouomini, privi di ogni dignità. E stabiliamo noi che deve vivere e chi deve morire.L’uomo è nato per distruggere? E’ biologicamente destinato alla distruttività? Quali dinamiche ostacolano o agevolano la possibilità di una società multiculturale? Con la fine della Guerra fredda, molti hanno sperato che si aprisse un’era di pace, in cui tanta parte delle risorse indirizzate a mantenere l’equilibrio del terrore potesse indirizzarsi finalmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Non è andata così. E’ solo cambiata la tipologia dei conflitti, con una diminuzione di quelli fra Stati, un aumento dei conflitti interni internazionalizzati, ossia di quelli che pur mantenendo l’epicentro all’interno di uno Stato finiscono per coinvolgere altre nazioni, e una prosecuzione inalterata degli altri conflitti interni, ma con potenziale coinvolgimento di un numero sempre superiore di persone, anche in relazione alla diffusione del terrorismo.E’ possibile guardare da una prospettiva scientifica a questo fenomeno? Può la scienza aiutare a chiarire i principali fattori che influenzano il rischio di conflitti e di violenze di massa? La domanda potrà apparire fuori luogo, o quanto meno fuori epoca, a chi ritiene che con l’Olocausto e la bomba atomica la scienza abbia “perso l’innocenza” e posto fine all’ultima delle “grandi narrazioni” che avevano permesso la coesione sociale e ispirato le utopie che si sono succedute nella storia dell’umanità, per aprire le porte a quella società post-moderna descritta da tanti sociologi, da Jean-François Lyotard a Zygmunt Bauman, che, divenuta “liquida” e priva di un senso di comunità, cerca di ritrovarlo attraverso la creazione di ghetti identitari più indifferenti che tolleranti verso gli altri e sempre pronti a entrarvi in conflitto.L’umanità è un virus per la Terra? Tutti noi potremmo essere meno umani di quanto pensiamo. Quantomeno è ciò che suggerisce una nuova ricerca, rivelando che il genoma umano è in parte un virus, per la precisione il Bornavirus, portatore di morte per cavalli e pecore. Sembra che 2 milioni di anni fa, questo virus abbia inserito parte del suo materiale genetico nel nostro Dna. La scoperta, pubblicata su “Nature” del 7 gennaio, dimostra come questi virus di tipo Rna possono comportarsi come i retrovirus (ad esempio Hiv) ed integrarsi stabilmente come ospiti dei nostri geni. Questo lavoro di ricerca potrebbe consentire di capirne molto di più sulla nostra evoluzione, rivelando come il mondo attuale sia anche il frutto del lavoro di un virus contenuto in ognuno di noi. «La conoscenza di noi stessi come specie è stata leggermente mal interpretata», afferma Robert Gifford, paleo-virologo presso l’Aaron Diamond Aids Research Center. Insomma non abbiamo tenuto conto che il Dna umano si evoluto anche grazie al contributo di batteri ed altri microrganismi e che le nostre difese immunitarie hanno fatto ricorso a quel materiale genetico per difendersi dalle infezioni. Sembra che fino all’8% del nostro genoma potrebbe ospitare materiale genetico dei virus.Nello studio, ricercatori giapponesi hanno trovato copie di un gene del Bornavirus inserite in almeno quattro zone diverse del nostro genoma. Ricerche condotte su altri mammiferi hanno rivelato la sua presenza in una vasta quantità di specie per milioni di anni. «Hanno fornito le prove di un reperto fossile con tracce del Bornavirus», afferma John Coffin, virologo alla Tufts University School of Medicine di Boston e coautore dello studio “Questo ci dice anche che l’evoluzione dei virus non è andata come pensavamo”. Nei risultati dello studio, i ricercatori guidati da Keizo Tomonaga della Osaka University, hanno scoperto che due geni umani sono molto simili al gene del Bornavirus. Gli scienziati sostengono che il questa “infezione preistorica” potrebbe essere una fonte di mutazione umana, specialmente nei nostri neuroni. A questo punto non si può che dare ragione all’Agente Smith di “Matrix” nella sua convinzione che soltanto un altro organismo sul pianeta si comporta come l’uomo: il virus.Quel misterioso salto evolutivo dell’Homo Erectus. Zecharia Sitchin in molti dei suoi libri afferma la teoria secondo la quale, in un passato molto remoto, un gruppo di viaggiatori extraterrestri provenienti dal pianeta Nibiru, chiamati Anunnaki, sarebbero scesi sulla Terra per sfruttare le risorse minerarie del nostro pianeta. Secondo Sitchin, avendo bisogno di manodopera per l’estrazione di minerali, gli Anunnaki pensarono di manipolare geneticamente la specie terrestre più simile a loro, innestandovi il proprio Dna: fu scelto un ominide, l’Homo Erectus. E’ possibile che questo intervento possa aver alterato il corso della naturale evoluzione umana? La nostra rapida evoluzione, incapace di armonizzarsi con i tempi e le regole della natura, potrebbe dipendere da questo? Nuovi ritrovamenti complicano il dibattito fra quanti ritengono che l’Homo Erectus abbia avuto origine in Africa orientale e quanti sostengono un’origine asiatica. Homo Erectus sarebbe stato in grado di fabbricare sofisticati utensili già 1,8 milioni anni fa, vale a dire almeno 300.000 anni prima di quanto si pensasse. Ad affermarlo è uno studio pubblicato su “Nature”, da un gruppo di paleoantropologi della Rutgers University e del Columbia University Lamont-Doherty Earth Observatory.Homo Erectus apparve circa 2 milioni di anni fa, andando a occupare vaste aree dell’Asia e dell’Africa. E proprio in Africa orientale si è ritenuto a lungo che si fosse evoluto, ma la scoperta nel 1990 di fossili altrettanto antichi in Georgia ha aperto la possibilità che esso abbia avuto origine in Asia. I nuovi reperti complicano ulteriormente la situazione in quanto gli strumenti trovati accanto ai fossili georgiani del sito di Dmanisi sono piccoli strumenti da taglio e raschiatori che mostrano caratteristiche piuttosto semplici simili a quelle della cultura di Olduvai, mentre fra quelli rinvenuti nella regione occidentale del Turkana, in Kenya, vi sono asce, picconi e altri strumenti innovativi che gli antropologi chiamano di tipo “acheuleano”, che permettevano di macellare e smembrare un animale per mangiarlo. Le abilità coinvolte nella produzione di uno strumento di questo tipo suggerisce fra l’altro che Homo Erectus fosse in grado di un pensiero “anticipatorio”.«Gli strumenti acheuleani rappresentano un grande salto tecnologico», ha osservato Dennis Kent, uno degli autori dello studio. «Perché Homo Erectus non avrebbe dovuto portare con sé questi strumenti con sé in Asia?». Gli strumenti analizzati provengono dal sito di Kokiselei, dove erano stati raccolti insieme a parte dei sedimenti immediatamente circostanti per poterne datare l’età. Parlando di salto tecnologico, vale la pena ricordare i misteriosi miti che narrano la nascita della civiltà e della tecnologia. Quasi tutte le culture umane raccontano di una divinità che nella notte dei tempi insegnò agli umani la fabbricazione di oggetti, l’agricoltura, le arti e le leggi civili. Basti pensare al mito greco di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini, oppure al dio dei Maya Quetzalcoatl, che agli albori della storia umana consegnò la sapienza agli uomini, ed infine, al racconto biblico del peccato originale nel quale l’uomo, sedotto da un serpente, esce dall’ordine cosmico per divenire “simile a Dio”.Gli antichi e misteriosi miti della “Colpa di Origine”. Quasi tutte le culture umane hanno miti che raccontano di una “colpa di origine”, di un evento antico che avrebbe “deviato” l’uomo dal suo percorso evolutivo naturale. Il più conosciuto è sicuramente quello raccontato dalla Bibbia e secondo l’interpretazione di un autore cristiano del III secolo, Ireneo di Lione, quello di Adamo è stato un peccato d’impazienza, un voler bruciare le tappe. Benchè già creato ad “immagine e somiglianza” di Dio, l’uomo cede alle lusinghe del serpente che gli promette di farlo diventare uguale a Dio. Ma chi è questo serpente? E’ possibile che antichi esseri extraterrestri abbiano modificato il genoma umano, intervenendo indebitamente sull’evoluzione naturale dell’umanità?(“Perché l’evoluzione umana è fuori dall’armonia del cosmo?”, dal blog “Il Navigatore Curioso”, 2017).«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – “Matrix”). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?
-
Bauman: addio umanità, schiavizzata da un’élite di parassiti
«Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle». Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zigmunt Bauman, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”: «Il messaggio che ci affida è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del “mondo globale”, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di “legislatori”, trasformandosi compiutamente in meri “interpreti”, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti». Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, «tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo». Di origine ebraica, «si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano». Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci, «che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi», rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.Bauman aveva studiato sociologia a Varsavia, con maestri come Stanislaw Ossowski, prima di trasferirsi in Israele, all’università di Tel Aviv, e quindi a Leeds, in Inghilterra dove insegnò per decenni. «Sarebbe però riduttivo definirlo sociologo – scrive d’Orsi – sia per il tipo di sociologia da lui professata e praticata, poco accademica e nient’affatto canonica, sia per la vastità dello sguardo, la larghezza degli interessi, la molteplicità degli approcci». Filosofo, politologo, storico del tempo presente: uno studioso prolifico, autore di una cinquantina di opere, preziose per «l’osservazione critica della contemporaneità». Bauman si era occupato «in modo nient’affatto banale dell’Olocausto, messo in relazione alla modernità», in qualche modo riprendendo spunti di Max Horkheimer e Theodor Adorno, «puntando il dito contro l’ingegneria sociale e il predominio della tecnica (in questo vicino a Jürgen Habermas), che uccide la morale, contro l’elefantiasi burocratica che schiaccia gli individui senza aumentare l’efficienza del sistema sociale». In più, aggiunge d’Orsi, Bauman «aveva studiato la trasformazione degli intellettuali, passati da figure elevate, capaci di dettare l’agenda politica ai governanti, a meri tecnici amministratori del presente, al servizio del sistema». In altre parole: la degenerazione progressiva del potere.Fra i tanti meriti di questo pensatore, Angelo d’Orsi segnala «la sua capacità di descrivere gli esiti della forsennata corsa senza meta della società post-moderna, attraverso un’acutissima analisi del nostro mondo», in cui «la globalizzazione delle ricchezze ha oscurato quella ben più mastodontica, gravissima, delle povertà». Studiando “le conseguenze sulle persone”, ridotte a “scarti”, «residui superflui che vanno conservati soltanto fin tanto che possono esser consumatori», Bauman ha svelato «il volto cupo e tragico dell’ultra-capitalismo, feroce espressione di creazione e gestione della disuguaglianza tra gli individui, dove all’arricchimento smodato dei pochi ha corrisposto il rapido, crescente impoverimento dei molti». Quell’uomo, continua d’Orsi, «ci ha aiutato a guardare dietro lo specchio ammiccante del post-moderno, sotto la vernice lucente dell’asserito arricchimento generalizzato e universale, dietro lo slogan della “fine della storia”, ossia della proclamata nuova generale armonia tra Stati e gruppi sociali», oltre alla quale «era apparso l’altro volto della globalizzazione, ossia una terribile guerra dei ricchi ai poveri, ennesima manifestazione della lotta di classe dall’alto».Ha guardato, Bauman, alle “Vite di scarto” (altra sua opera), generate incessantemente «dall’infernale “megamacchina” del “finanzcapitalismo”», scrive sempre d’Orsi, citando un’espressione di un altro grande scomparso, Luciano Gallino. Il nuovo, grande problema denunciato da Bauman è il “capitalismo parassitario”: «Quella che chiamava “omogeneizzazione” forzosa delle persone (un concetto che richiama la pasoliniana “omologazione”), era l’altro volto della società anomica, che distrugge legami, elimina connessioni, scioglie il senso stesso della convivenza». Volumi, saggi, articoli, conferenze: «E’ come se quest’uomo mite e affabile avesse voluto tendere una mano a tutti coloro che dal processo di mostruosa produzione di denaro attraverso denaro, erano esclusi; quasi a voler “salvare”, con le sue parole, gli schiacciati dai potentati economici, a voler dar voce a quanti, in una “Società sotto assedio” (ancora un suo titolo), dominata dalla paura, dal rancore, dall’ostilità, vedevano e vedono le proprie vite disintegrate».I “Danni collaterali”, elencati in uno dei suoi ultimi libri, «sono in realtà l’essenza di questa società, che egli ha definito, felicemente, “liquida”, con una trovata che è poi divenuta formula, ripetuta, un po’ stucchevolmente, negli ultimi anni, applicata a tutti gli ambiti del vivere in comune», scrive ancora Angelo d’Orsi, nel suo intervento su “Micromega”. «Liquida è questa nostra società, che ha perso il senso della comunità, priva di collanti al di là del profitto e del consumo: una società il cui imperativo, posto in essere dai ricchi contro i poveri, dai potenti contro gli umili, è ridotto alla triade “Produci/Consuma/Crepa”». Di conseguenza, diventano tristemente “liquidi” anche «i rapporti umani», così come la cultura. In altre parole: «Liquido tutto il nostro mondo, che sta crollando mentre noi fingiamo di non accorgercene».«Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle». Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”: «Il messaggio che ci affida è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del “mondo globale”, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di “legislatori”, trasformandosi compiutamente in meri “interpreti”, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti». Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, «tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo». Di origine ebraica, «si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano». Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci, «che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi», rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.
-
Strana morte del Papa ‘antifascista’. Il suo medico? Petacci
Tutti si ricorderanno di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, «che occupa il soglio pontificio per soli 33 giorni (magari il numero vi dice qualcosa…) prima di morire improvvisamente, il 29 settembre 1978, secondo la versione ufficiale, per un infarto miocardico». La verità è probabilmente ben diversa, scrive Marcus Mason sul blog “Lo Sciacallo”: il nuovo Papa aveva in testa di realizzare una sorta di “grande repulisti” all’interno del voluminoso apparato burocratico ecclesiastico, eliminando «corruzione e malaffare all’interno delle Mura Leonine». Nel mirino, «alcuni esponenti di rilievo della finanza vaticana». Probabile quindi che «si sia deciso di uscire dall’imbarazzo risolvendo il problema alla base: mettendo Luciani in condizioni di non nuocere». Ma attenzione: quarant’anni prima, c’era stato un altro pontefice «la cui dipartita dà ancora adito a più di un dubbio: si tratta di Achille Ratti, salito al soglio col nome di Pio XI». La sua “colpa”? Non piaceva a Mussolini e men che meno a Hitler: il pontefice si stava preparando a una dichiarazione clamorosa contro l’adozione delle leggi razziali che sancirono il genocidio degli ebrei anche in Italia.Ratti nasce a Desio, nel milanese, il 31 maggio 1857, ricorda lo “Sciacallo”. Si dedica alla carriera religiosa a partire dal 1867, quando inizia a frequentare il seminario di Seveso e successivamente quello di Monza, fino ad entrare nell’ordine terziario francescano nel ‘74. Viene ordinato sacerdote a Roma nel dicembre ‘79 dal cardinale La Valletta. Si occupa di istruzione, prima come prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano e in seguito come insegnante, fino al suo ingresso nell’élite ecclesiastica negli anni ‘90 del XIX secolo. Arriva ad ottenere, sotto Benedetto XV, il prestigioso incarico di prefetto della Biblioteca Vaticana. Dopo una serie di incarichi diplomatici all’estero (anche “visitatore apostolico” in Polonia), viene nominato nel 1921 arcivescovo di Milano, dove fonda l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Alla morte di Benedetto XV, è eletto nuovo pontefice. Una volta in carica, Ratti si adopera per dirimere la cosiddetta “questione romana”, cioè l’ostilità tra Italia e Vaticano, ancora irrisolta dai tempi di Porta Pia. Il Papa «si mostra in più di un’occasione in contrasto con i provvedimenti del regime fascista», ma poi cambia posizione nel 1929, anno in cui, l’11 febbraio, Stato italiano e Chiesa Cattolica firmano i celeberrimi Patti Lateranensi, «in cui a quest’ultima vengono concessi privilegi economici e gestionali spropositati».Da lì in poi, continua Mason, la Chiesa si mostra quasi totalmente in linea con la politica mussoliniana, «non proferendo parole sulle atrocità italiane nelle colonie nordafricane, né sull’azzeramento delle libertà di pensiero e di stampa in patria». Poi però le cose si complicano in seguito all’alleanza organica col nazismo: «L’atteggiamento ambiguo di Ratti non può proseguire a partire dal 1938 quando l’Italia, su imbeccata di Hitler, promulga le aberranti leggi razziali», scrive Mason. «Pio XI, che mai ha avuto in simpatia il dittatore nazista (nel maggio 1938, quando Hitler era venuto in visita in Italia, non aveva voluto incontrarlo), individua nella cerimonia per il decennale dei Patti Lateranensi, che si sarebbe tenuta l’11 febbraio 1939, il momento giusto per pronunciare un forte discorso». Secondo Bianca Penco, una dirigente dell’epoca della Fuci, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il pontefice «avrebbe condannato apertamente la deriva politica che Mussolini aveva intrapreso, evidenziando una violazione palese degli stessi Patti che l’Italia si era impegnata ad onorare, oltre alla denuncia delle persecuzioni antisemite e anticristiane ormai dilaganti in Germania».E’ superfluo rimarcare quale enorme danno d’immagine tutto ciò avrebbe rappresentato per il Duce e per lo stesso Hitler, sottolinea Mason. Ma, del resto, Pio XI non avrebbe mai pronunciato quel discorso: nella notte del 10 febbraio, secondo la versione ufficiale, viene colpito da un attacco cardiaco e muore. «Casualmente», frattanto, il cardinale segretario di Stato, Eugenio Pacelli (il futuro Papa, Pio XII) «fa distruggere le copie esistenti del discorso in questione». I conti tornano, sostiene Mason, anche perché l’operato di Pacelli come pontefice durante la Seconda Guerra Mondiale è sotto accusa da settant’anni, «tacciato di viltà, ignavia e connivenza nei confronti delle atrocità che venivano compiute». Va da sé che, «alla luce di questi fatti, la morte fulminea di Pio XI si circonda di un’aura di mistero». E dunque: «Se davvero è stato ucciso, chi può aver commesso il delitto?». In un suo memoriale, nel 1972 il cardinale Eugène Tisserant scrive, a proposito di Ratti: «Lo hanno eliminato, lo hanno assassinato». E individua il presunto colpevole nel medico personale del Papa, Saverio Petacci, nientemeno che il padre di Claretta, l’appassionata amante del Duce che poi morirà fucilata insieme a lui nel ‘45. «Un’incredibile coincidenza, naturalmente».Ma c’è di più: la donna, continua Mason, era solita annotare su un diario la cronaca delle sue giornate più importanti. Ma la pagina inerente al 5 febbraio 1939 è incompleta. Termina con la frase: «Legge i biglietti e si inquieta per una cosa che segna… Poi dice: questi sanno…».Silenzio fino al 12 febbraio, quando il diario prosegue senza però fare il minimo accenno ai fatti in questione. C’è solo una frase del Duce, che annuncia a Claretta che si recherà alle esequie di Ratti in compagnia della moglie. «Ci pare lapalissiano che alcune pagine scottanti del diario della Petacci siano state fatte scientemente sparire», scrive Mason. Pagine in cui, «forse si trovava la prova del fatto che quella di Pio XI fu una morte su commissione». Certezze? Nessuna. Dubbì, però, sì. E tanti. «Chissà, forse un giorno scopriremo questo grande cimitero dei libri dove sono conservate le risposte ai grandi misteri della storia; e tra le “Guerre di Yahweh” e la versione integrale della “Steganographia” di Tritemio, magari troveremo le pagine del diario di una giovane donna italiana».Tutti si ricorderanno di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, «che occupa il soglio pontificio per soli 33 giorni (magari il numero vi dice qualcosa…) prima di morire improvvisamente, il 29 settembre 1978, secondo la versione ufficiale, per un infarto miocardico». La verità è probabilmente ben diversa, scrive Marcus Mason sul blog “Lo Sciacallo”: il nuovo Papa aveva in testa di realizzare una sorta di “grande repulisti” all’interno del voluminoso apparato burocratico ecclesiastico, eliminando «corruzione e malaffare all’interno delle Mura Leonine». Nel mirino, «alcuni esponenti di rilievo della finanza vaticana». Probabile quindi che «si sia deciso di uscire dall’imbarazzo risolvendo il problema alla base: mettendo Luciani in condizioni di non nuocere». Ma attenzione: quarant’anni prima, c’era stato un altro pontefice «la cui dipartita dà ancora adito a più di un dubbio: si tratta di Achille Ratti, salito al soglio col nome di Pio XI». La sua “colpa”? Non piaceva a Mussolini e men che meno a Hitler: il pontefice si stava preparando a una dichiarazione clamorosa contro l’adozione delle leggi razziali che sancirono il genocidio degli ebrei anche in Italia.
-
Marine Le Pen: popolo sovrano, no al globalismo Ue-Nato
Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza: se qualcuno si domanda perché “il terrorismo” abbia scelto proprio la Francia, come obiettivo, congelando il dibattito politico sotto la pressione dell’emergenza, una risposta la può suggerire “Foreign Affairs”, che parla di “nuova Rivoluzione Francese” in arrivo con Marine Le Pen, l’unico leader in pole position, in un grande paese europeo, con un programma anti-Ue. La principale candidata alla presidenza francese nel 2017, scrive “Voci dall’Estero”, ribadisce la sua visione economica e sociale per la Francia, incentrata sul ritorno alla completa sovranità statale su moneta, frontiere, leggi e indirizzo economico e culturale, in totale antitesi rispetto alla traiettoria della globalizzazione e dell’Unione Europea: «Bisogna dire che ci piacerebbe sentire queste parole anche dalla sinistra, che invece è totalmente arresa al neoliberismo e ormai sulla via dell’estinzione». L’avvocato Marine Le Pen, che ha espulso dal Front National il padre, Jean-Marie, colpevole di aver definito la Shoah «un dettaglio della storia», prenota per la Francia un futuro fondato sul ritorno alla sovranità democratica, fuori dall’euro e dai diktat di Bruxelles.«Credo che tutte le persone aspirino a essere libere. Per troppo tempo, i popoli dei paesi dell’Unione Europea, e forse anche gli americani, hanno avuto l’impressione che i leader politici non difendano i loro interessi, ma bensì degli interessi particolari. C’è una forma di rivolta del popolo contro un sistema che non lo serve più, ma che piuttosto serve se stesso», dichiara la Le Pen a Stuart Reid, nell’intervista ripresa da “Voci dall’Estero”. Sulla scia della crisi europea dei migranti, degli attacchi terroristici a Parigi e a Nizza, e del voto per il Brexit, il messaggio euro-scettico della Le Pen sta “vendendo bene”, scrive Reid: «Recenti sondaggi la mostrano come principale candidata per la presidenza nel 2017, con gli intervistati che le attribuiscono un gradimento doppio rispetto a quello dell’attuale presidente, François Hollande». Guardando agli Usa, Marine Le Pen paragona Donald Trump a Bernie Sanders: «Entrambi rifiutano un sistema che sembra essere molto egoista. In molti paesi, vi è questa corrente di pensiero fedele alla nazione, che rifiuta la globalizzazione selvaggia, vista come una forma di totalitarismo. La globalizzazione è stata imposta a tutti i costi, una guerra contro tutti per il beneficio di pochi».La Le Pen “vota” contro il Ttip e contro Hillary Clinton: «E’ portatrice di guerra nel mondo: Iraq, Libia e Siria. Questo ha avuto conseguenze estremamente destabilizzanti per il mio paese in termini di crescita del fondamentalismo islamico e per le enormi ondate migratorie che ormai stanno travolgendo l’Unione Europea». La Clinton? «Spinge per l’applicazione extraterritoriale della legge americana, che è un’arma inaccettabile per coloro che desiderano rimanere indipendenti». Nel frattempo, la Francia affonda nella crisi: la disoccupazione è oltre il 10%, e persino l’ex ministro socialista Arnaud Montebourg perora la causa del “made in France”, che è uno dei principali pilastri del Fronte Nazionale. Anche la Francia soffre la globalizzazione-canaglia, «che espone alla concorrenza sleale di paesi che effettuano dumping sociale e ambientale, lasciandoci senza la possibilità di proteggere noi stessi e le nostre aziende strategiche, a differenza degli Stati Uniti». E in termini di dumping sociale, la direttiva Ue sui “lavoratori distaccati”, cioè la libera circolazione della forza lavoro, «sta permettendo di far entrare in Francia lavoratori a salari molto bassi».L’altro dumping è monetario: l’euro. «Il fatto di non avere una nostra moneta ci mette in una situazione economica estremamente difficile», dice Marine Le Pen. «Il Fmi ha appena affermato che l’euro è sopravvalutato del 6% in Francia e sottovalutato del 15% in Germania. Questo è un gap di 21 punti percentuali con il nostro principale concorrente in Europa». A questo si aggiunge la scomparsa dell’interventismo statale, leva storica per lo sviluppo. «Quello a cui aspiro – dichiara apertamente la Le Pen – è un’uscita concertata dall’Unione Europea, in cui tutti i paesi si siedono intorno ad un tavolo e decidono di tornare al “serpente monetario”, che permette a ciascuno di adattare la sua politica monetaria alla propria economia. E voglio che sia fatto gradualmente e in modo coordinato». La situazione sta peggiorando: «Molti paesi si stanno rendendo conto che non possono continuare a vivere con l’euro, perché la sua contropartita è la politica di austerità, che ha aggravato la recessione». E cita Joseph Stiglitz, che ha appena scritto che l’euro è una moneta «completamente inadatta per le nostre economie». Proprio l’euro «è uno dei motivi per cui c’è tanta disoccupazione nell’Unione Europea». Quindi, «o ci arriviamo attraverso la negoziazione – avverte Marine Le Pen – o teniamo un referendum come la Gran Bretagna e decidiamo di riprendere il controllo della nostra moneta».Un referendum sul “Frexit”? «Nel 2005 il popolo francese è stato tradito. I francesi hanno detto no alla Costituzione europea; i politici di destra e di sinistra l’hanno imposta contro la volontà del popolo. Io sono democratica. Credo che non spetti a nessun altro che al popolo francese di decidere sul proprio futuro e su tutto ciò che riguarda la sua sovranità, libertà e indipendenza», sottolinea la leader del Front National. «Quindi sì, vorrei organizzare un referendum su questo tema. E sulla base di ciò che accadrà nel corso dei negoziati che avrò intrapreso, dirò ai francesi: “Ascoltate, ho ottenuto quello che volevo, e penso che potremmo rimanere nell’Unione Europea”, oppure: “Non ho ottenuto quello che volevo, e credo che non ci sia altra soluzione che uscire dall’Unione Europea”». Il caso Brexit è incoraggiante: «Quando la gente vuole qualcosa, nulla è impossibile». Inoltre, «ci hanno mentito: ci hanno detto che il Brexit sarebbe stato una catastrofe, che i mercati azionari sarebbero precipitati, che l’economia avrebbe rallentato fino a fermarsi, che la disoccupazione sarebbe schizzata alle stelle. La realtà è che niente di tutto questo è successo».Le banche oggi dicono che si erano “sbagliate”? «No, ci avete mentito. Avete mentito per influenzare il voto. Ma le persone stanno iniziando a comprendere i vostri metodi, che consistono nel terrorizzarle quando c’è una scelta da fare. Con questo voto il popolo britannico ha dato grande mostra di maturità». Paura per l’isolamento di una Francia fuori dall’Eurozona? «Sono le stesse esatte critiche fatte al generale de Gaulle nel 1966, quando voleva ritirarsi dal comando integrato della Nato. Libertà non è isolamento. Indipendenza non è isolamento». Al contrario: «La Francia è sempre stata molto più potente quando è stata soltanto Francia invece che una provincia dell’Unione Europea». E a chi attribuisce all’Ue il merito di aver garantito la pace dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, risponde: «Non è l’Unione Europea ad aver mantenuto la pace; è la pace che ha reso l’Unione Europea possibile». Ma la pace «non è stata perfetta nell’Unione Europea, con il Kosovo e l’Ucraina sulla soglia di casa». Inoltre, l’Ue «si è progressivamente trasformata in una sorta di Unione Sovietica Europea che decide tutto, che impone le sue opinioni, che spegne il processo democratico. Basta sentire il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che ha detto: “Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei”».Insiste Marine Le Pen: «Noi non abbiamo combattuto per la libertà e l’indipendenza durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale per dover accettare oggi di non essere più un popolo libero solo perché alcuni dei nostri governanti hanno preso questa decisione per noi». Governanti francesi, ma soprattutto tedeschi: la leadership della Germania ha condizionato totalmente l’Europa. «Era scritta nella creazione dell’euro. In realtà, l’euro è una moneta creata dalla Germania, per la Germania. Si tratta di un abito che si adatta solo alla Germania. A poco a poco, la cancelliera Angela Merkel ha cominciato a sentire di essere il leader dell’Unione Europea. Ha imposto le sue opinioni. Le ha imposte in materia economica, ma le ha imposte anche accettando di accogliere un milione di immigrati in Germania, ben sapendo che la Germania poi li avrebbe smistati. Si sarebbe tenuta il meglio e avrebbe lasciato andare il resto negli altri paesi dell’Unione Europea. Non c’è più nessuna frontiera interna tra i nostri paesi, il che è assolutamente inaccettabile. Il modello imposto dalla Merkel sicuramente funziona per i tedeschi, ma sta uccidendo i vicini della Germania. Io sono l’anti-Merkel».A differenza degli altri leader francesi, finora pronti a «sottomettersi molto facilmente alle esigenze di Merkel e Obama», dimenticando di «difendere i propri interessi, compresi quelli commerciali e industriali», Marine Le Pen si dichiara «per l’indipendenza», ovvero «per una Francia che rimanga equidistante tra le due grandi potenze, la Russia e gli Stati Uniti: né sottomessa, né ostile». Vuole una Francia che torni a essere «un punto di riferimento per i paesi non allineati, come si diceva durante l’era De Gaulle». Semplice: «Abbiamo il diritto di difendere i nostri interessi, proprio come gli Stati Uniti hanno il diritto di difendere i propri interessi, come la Germania ha il diritto di difendere i propri interessi, e la Russia ha il diritto di difendere i propri interessi». Francia e Russia? «Hanno una storia comune e una forte affinità culturale. E strategicamente, non vi è alcun motivo per non approfondire le relazioni con la Russia. L’unica ragione per cui non lo facciamo è perché gli americani lo vietano: questo confligge con il mio desiderio di indipendenza», dice la Le Pen. Gli Usa? «Credo che stiano facendo un errore a ricreare una sorta di guerra fredda con la Russia, perché stanno spingendo la Russia nelle braccia della Cina. E oggettivamente, un’associazione ultrapotente tra la Cina e la Russia non sarebbe vantaggiosa né per gli Stati Uniti, né per il mondo».Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza: se qualcuno si domanda perché “il terrorismo” abbia scelto proprio la Francia, come obiettivo, congelando il dibattito politico sotto la pressione dell’emergenza, una risposta la può suggerire “Foreign Affairs”, che parla di “nuova Rivoluzione Francese” in arrivo con Marine Le Pen, l’unico leader in pole position, in un grande paese europeo, con un programma anti-Ue. La principale candidata alla presidenza francese nel 2017, scrive “Voci dall’Estero”, ribadisce la sua visione economica e sociale per la Francia, incentrata sul ritorno alla completa sovranità statale su moneta, frontiere, leggi e indirizzo economico e culturale, in totale antitesi rispetto alla traiettoria della globalizzazione e dell’Unione Europea: «Bisogna dire che ci piacerebbe sentire queste parole anche dalla sinistra, che invece è totalmente arresa al neoliberismo e ormai sulla via dell’estinzione». L’avvocato Marine Le Pen, che ha espulso dal Front National il padre, Jean-Marie, colpevole di aver definito la Shoah «un dettaglio della storia», prenota per la Francia un futuro fondato sul ritorno alla sovranità democratica, fuori dall’euro e dai diktat di Bruxelles.
-
Mediocrità e ipocrisia nell’Italia di Renzi alla Casa Bianca
Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?Nemmeno negli spot del Mulino Bianco succedono queste cose. Ma, lo sappiamo tutti, pur di vincere un Oscar c’è anche chi è disposto a stravolgere il senso della Storia. Beatrice Vio: lo sport paraolimpico è una triste invenzione dei tempi del politically correct: da una parte il mondo delle persone normali, che si ripuliscono dai sensi di colpa verso gli handicappati inventando delle Olimpiadi fatte su misura per loro. Dall’altra questi handicappati, vittime designate di questa catarsi collettiva, nella quale si finge di esaltarsi per imprese sportive che sono tali solo nei parametri del nostro relativismo sociale. Le paraolimpiadi sono il festival dell’ipocrisia collettiva, e i loro eroi non sono che il trofeo sociale di questa ipocrisia. Giusy Nicolini: il sindaco di Lampedusa è un esempio innegabile di altruismo, generosità e profondo senso civico. Ma Giusy Nicolini è soltanto la sottile foglia di fico che nasconde, proprio grazie alla sua generosità, una tragedia infinita sia dal punto di vista umano che da quello politico. La tragedia di un sistema – la cosiddetta civiltà occidentale – che da una parte porta guerre d’invasione in tutto il mondo, e dall’altra è assolutamente incapace di gestire i risultati catastrofici che queste guerre vengono a creare.Di Paolo Sorrentino so poco (“E ci sarà un motivo”, direbbero Aldo Giovanni e Giacomo). So solo che ha fatto un film mediocre, con il quale è riuscito inspiegabilmente a vincere un Oscar. Forse gli americani hanno creduto di trovarsi di fronte ad un nuovo “La dolce vita”, ma sta di fatto che nessun critico italiano, per quanto venduto possa essere, è riuscito a gridare al capolavoro. Sorrentino è il classico emblema della mediocrità elevata ad eccellenza per semplice mancanza di talenti reali. Raffaele Cantone: il famoso magistrato incaricato da Renzi di combattere corruzione, mafia e clientelismo nel nostro paese. Finge di beccare qualcuno ogni tanto, spara sentenze feroci (ma innocue) contro i corrotti, mentre in realtà si presta volentieri a fare da emblema di un’Italia che finge di combattere i propri mali, quando questi stessi mali vengono alimentati da scelte politiche decisamente ambigue, come ad esempio i continui condoni per gli evasori fiscali.Giorgio Armani: “Re Giorgio” è sicuramente un’eccellenza di valore assoluto. Ma eccellenza di che cosa, se non dell’effimero? Che cosa rappresenta l’alta moda, in un mondo di 6 miliardi di persone nel quale cinque e mezzo di loro fanno la fame, se non il trionfo dell’élite a discapito di tutti gli altri? Celebrare un uomo che ha costruito un impero basato sull’apparenza invece che sulla sostanza significa in fondo celebrare l’effimero al posto del reale, l’inutile al posto dell’utile, la stupidità al posto dell’intelligenza. Con questa squadra di persone (e pochi altri) il nostro premier ha pensato bene di andare a rappresentare l’Italia alla Casa Bianca. Qualcuno potrebbe domandarsi, a questo punto, perché non abbia scelto di portare invece un tornitore della Breda in cassa integrazione, un agricoltore del Salento che lavora sottocosto, o un disoccupato del Lodigiano costretto a dormire in macchina con tutta la famiglia perché non riesce più a pagare il mutuo della sua casa. Ma questo sarebbe stato troppo, perché si rischiava che di colpo la dura realtà di oggi facesse irruzione nel mondo da cartolina del nostro amatissimo Matteo Renzi.(Massimo Mazzucco, “Foto di gruppo alla Casa Bianca”, dal blog “Luogo Comune” del 24 ottobre 2016).Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?
-
Brian Eno: apartheid, Israele non avrà la mia musica
Mia madre, belga, ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra – e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due Stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid – come ha inoltre osservato l’arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo. Una cosa che il giornalista non dice è che questo sentimento è condiviso da molti ebrei – tra cui ebrei israeliani – che hanno alzato la loro voce contro l’occupazione. Sono anche loro antisemiti?Ah già dimenticavo – sono “ebrei che odiano se stessi”, giusto? Questa posizione ridicolmente artificiosa nasce dalla commistione di Israele come Stato con gli ebrei come popolo. II popolo ebraico merita di più che essere rappresentato esclusivamente dal governo israeliano. Allora perché io “me la prendo” con Israele? In primo luogo, perché è stato il governo britannico, attraverso la Dichiarazione Balfour, che ha contribuito a creare tutta questa situazione. Abbiamo regalato quella terra – che non era nostra da regalare – e abbiamo contribuito all’avvio del processo per ripulirla dagli arabi. Forse è stato un modo per chiedere scusa per la nostra incapacità di aiutare gli ebrei quando ne avevano bisogno – prima e durante la guerra – ma è stato fatto a spese del popolo che già viveva lì. In secondo luogo, sosteniamo Israele militarmente e diplomaticamente – e abbiamo un bel commercio di armamenti in corso tra noi e loro. In terzo luogo, Israele si presenta come una democrazia liberale occidentale, e insiste ad essere considerata come tale. Quale altra democrazia liberale occidentale è uno Stato di apartheid?Quale altra democrazia liberale occidentale rinchiude con checkpoint una gran parte della popolazione (occupata) in ghetti e la bombarda periodicamente? Ho poco potere per intervenire su questo. Praticamente l’unica cosa che posso fare è non prenderne parte – e per me questo significa non partecipare alla campagna di pubbliche relazioni che Israele conduce attraverso i suoi programmi culturali – in particolare, non permettendo l’uso della mia musica per gli eventi sponsorizzati dal governo israeliano. Tutto qua. Voglio un mondo dove sia i palestinesi che gli ebrei siano sicuri e liberi di esprimere i loro talenti, ma ritengo che quello che il governo israeliano sta facendo ora praticamente garantisce che ciò non venga mai realizzato.(Brian Eno, “Ecco perché non concedo la mia musica a Israele”, da “Sette” del “Corriere della Sera” del 7 ottobre 2016, ripreso da “Megachip”).Mia madre, belga, ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra – e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due Stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid – come ha inoltre osservato l’arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo. Una cosa che il giornalista non dice è che questo sentimento è condiviso da molti ebrei – tra cui ebrei israeliani – che hanno alzato la loro voce contro l’occupazione. Sono anche loro antisemiti?
-
Nazi-medicine, la chemioterapia e gli altri 7 farmaci letali
«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.Pensateci. Non esiste alcuna altra ragione per la quale le aziende farmaceutiche statunitensi dovessero impiegare assassini di massa condannati per occupare le posizioni più alte in Bayer, Basf e Hoechst. Fritz ter Meer, condannato per omicidio di massa, ha scontato solo 5 anni in prigione, dopo i quali è comodamente diventato il presidente del consiglio di sorveglianza della Bayer (sì, quella Bayer che fabbrica i medicinali per bambini nonché la famosa aspirina). Carl Wurster della Basf contribuì a creare il gas Zyklon-B, il potente pesticida utilizzato per giustiziare milioni di ebrei – questo mostro è andato a lavorare sulla chemioterapia, la più grande truffa medica del secolo. Kurt Blome, che partecipò all’uccisione di ebrei tramite “macabri esperimenti”, fu reclutato nel 1951 dalla divisione chimica dell’esercito Usa per lavorare sulla guerra chimica. Capite?In altre parole, i malefici semi di Big Pharma, che la Fda chiama medicina, sono stati piantati inizialmente negli Stati Uniti 65 anni fa. Molti degli “scienziati pazzi” che torturarono esseri umani innocenti durante l’Olocausto sono stati impiegati e promossi dai presidenti americani per spingere con forza la cosiddetta “medicina occidentale”, il cui scopo ultimo è la creazione di malattia e la cura dei suoi sintomi per profitto. Ascoltate bene, amici, perché questi sono gli 8 farmaci più pericolosi sul pianeta Terra. Si chiama “Guerra contro i deboli”.#1. Ssri (Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, ndt) – altamente sperimentali, nessuna prova di sicurezza o efficacia, possono bloccare completamente la serotonina portando a pensieri suicidi e persino ad atti omicidi e suicidi orrendi.#2. Vaccino Mpr (morbillo, parotite, rosolia) – associato ad autismo e ad altri disordini del sistema nervoso centrale e ad una miriade di problemi di salute. Quando il virus vivo del morbillo entra nel corpo, il sistema immunitario è seriamente compromesso, ed altri adiuvanti chimici ed ingredienti geneticamente modificati attaccano l’organismo del bambino causando esiti permanenti e talvolta fatali.#3. Vaccino antinfluenzale – contiene fino a 50.000 parti per miliardo (ppb) di mercurio, oltre a formaldeide, glutammato monosodico (Gms) e alluminio. Può causare interruzioni di gravidanza e aborti spontanei.#4. Antibiotici – distruggono la flora batterica intestinale benefica e quindi indeboliscono gravemente il sistema immunitario. I medici prescrivono antibiotici impropriamente per le infezioni virali peggiorando ulteriormente la situazione!#5. Vaccino anti-Hpv (papillomavirus umano) – noto per mandare le ragazzine in shock anafilattico e coma. Migliaia di famiglie hanno citato in giudizio i produttori per milioni di dollari per danni alla salute cronici e permanenti.#6. Chemioterapia – devasta il sistema immunitario e spesso porta allo sviluppo di nuovi tumori, specialmente del sangue. Gli scienziati nazisti sapevano negli anni ‘50 che la chemioterapia fa regredire solo temporaneamente il cancro, per ripresentarsi con maggior forza in altre parti del corpo! (Anche qui, la medicina occidentale definisce questo un successo).#7. Vaccino antirotavirus “RotaTeq” – il vaccino (orale) estremamente nocivo contiene ceppi virali ivi (G1, G2, G3, G4 e P1), insieme all’altamente tossico polisorbato 80 e siero bovino fetale. Contiene inoltre frammenti di circovirus porcino – un virus che infetta i maiali.#8. Vaccino antipolio (orale e iniettato) – È un fatto nudo e crudo e spaventoso che milioni di americani siano stati inoculati con il cancro contenuto nel vaccino antipolio. Non solo, le versioni orale e nasale del vaccino hanno diffuso la polio in India e lasciato molti bambini paralizzati a vita.Certo, le persone sono paranoiche riguardo alle malattie infettive e per un motivo ben preciso. L’industria medica americana ha esacerbato i peggiori casi registrati, per spaventare a morte tutti quanti affinché si facciano iniettare i loro carcinogeni per “protezione”. Questo è un racket ed è illegale, ma i produttori di vaccini sono immuni alle cause, protetti da un enorme fondo nero e dal loro tribunale segreto. Se voi o vostro figlio venite gravemente danneggiati dai vaccini, non potete citare il produttore del vaccino. Dovrete portare il caso all’Office of Special Masters della U.S. Court of Federal Claims, comunemente definito il segretissimo “Tribunale dei vaccini”. Questo “tribunale” corrotto gestisce un programma di risarcimento senza colpa (sì, avete letto bene), che funziona come tribunale alternativo ai vostri diritti costituzionali. Fu creato fin dal 1986, dopo che le aziende farmaceutiche persero enormi profitti in cause legali di alto profilo dovute a vaccini che avevano causato gravi danni a un certo numero di bambini, i quali ebbero convulsioni e danno cerebrale in seguito al vaccino Dtp (difterite-tetano-pertosse, ndt). Prima ancora di valutare se ingoiare o iniettarvi un’altra volta tossine chimiche chiamate “medicina”, andate almeno da un medico naturopata e scoprite se il vostro problema di salute ha una base alimentare, perché è molto probabile che sia così.(S.D.Welss, “Gli 8 farmaci più pericolosi del pianeta: ne state prendendo qualcuno?”, da “Naturalnews” del 30 giugno 2016, tradotto da Emanuela Lorenzi per “Come Don Chisciotte”).«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.
-
Lo spettro dei Balcani e la rivoluzione da fare contro l’Ue
“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati”. Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione Europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finanzista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo. La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca). Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione Europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.Gran parte di quelle motivazioni sono comprensibili, tant’è vero che la maggior parte dei “leave” proviene dalle aree operaie mentre le forze del finanzismo davano per certa la vittoria alla faccia di chi in nome dei “valori europei” si fa derubare il salario. Ma il problema non sta nelle motivazioni, il problema sta nelle conseguenze. L’Unione Europea non esiste più da tempo, almeno dal luglio del 2015, quando Syriza è stata umiliata e il popolo greco definitivamente sottomesso. Ci occorre forse un’Europa più politica come dicono ritualmente le sinistre al servizio delle banche? Sono anni che crediamo nella favoletta dell’Europa che deve diventare più politica e più democratica. Ci siamo caduti anche noi, mi spiace dirlo, ma non è mai stato vero. L’Unione europea è una trappola finanzista da Maastricht in poi.Un articolo di Paolo Rumiz (“Come i Balcani”) uscito il 23 su “La Repubblica” dice una cosa che a me pareva chiara da tempo: il futuro d’Europa è la Yugoslavia del 1992. Rumiz lo dice bene, solo che dimentica il ruolo che la Deutsche Bank svolse nello spingere gli yugoslavi verso la guerra civile (e Wojtyla fece la sua parte). Ora credo che dobbiamo dirlo senza tanti giri di parole: il futuro d’Europa è la guerra. Il suo presente è già la guerra contro i migranti che già è costata decine di migliaia di morti e innumerevoli violenze. Forse suona un po’ antico, ma per me resta vero che il capitalismo porta la guerra come la nube porta la tempesta. Cosa si fa in questi casi? Si ferma la guerra, si impongono gli interessi della società contro quelli della finanza? Naturalmente sì, quando questo è possibile. Ma oggi fermare la guerra non è più possibile perché la guerra è già in corso, anche se per il momento a morire sono centinaia di migliaia di migranti in un Mediterraneo in cui l’acqua salata ha sostituito lo Zyklon-B.I movimenti sono stati distrutti uno dopo l’altro. E allora?, allora si passa all’altra parte dell’adagio leniniano (segnalo per chi avesse qualche dubbio che non sono mai stato leninista e non intendo diventarlo). Si trasforma la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Cosa vuol dire? Non lo so, e nessuno può saperlo, oggi. Ma nei prossimi anni credo che dovremo ragionare solo su questo. Non su come salvare l’Unione Europea, che il diavolo se la porti. Non su come salvare la democrazia che non è mai esistita. Ma su come trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Pacifica e senz’armi, se possibile. Guerra dei saperi autonomi contro il comando e la privatizzazione. Ma insomma, non porto il lutto perché gli inglesi se ne vanno. Ho portato il lutto quando i greci sono stati costretti a rimanere a quelle condizioni (e adesso che ne sarà di loro?). Cent’anni dopo l’Ottobre, mi sembra che il nostro compito sia chiederci: cosa vuol dire Ottobre nell’epoca di Internet, del lavoro cognitivo e precario? Il precipizio che ci attende è il luogo in cui dobbiamo ragionare su questo.(Franco “Bifo” Berardi, “L’inglese se n’è gghiuto”, da “Alfabeta 2” del 28 giugno 2016).“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati”. Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione Europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finanzista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo. La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca). Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione Europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.
-
Soluzione Finale, la sporca guerra dell’élite contro di noi
Questa Europa è un lager. Perfino il “Corriere della Sera” ha pubblicato giorni fa uno studio dove si evidenzia come negli ultimi anni sia esploso anche in Italia il numero dei bambini poveri; dei bambini che, cioè, nel cuore dell’Occidente “opulento” e “libero”, vivono in condizioni paragonabili a quelle che scandiscono la vita delle famigerate favelas brasiliane. Il “Corriere della Sera”, al pari dei boss mafiosi che mandano una corona di fiori per onorare il funerale di quelli che hanno appena finito di scannare, è parte del progetto genocida in atto. Un progetto che espleta i suoi velenosi effetti senza ricorrere a metodi formalmente cruenti. Perché uccidere, quando si può indurre al suicidio? Perché depredare con la forza ciò che può essere estorto con la carta bollata? Devo ammettere che i nazisti tecnocratici che comandano il globo, appena riunitisi in Giappone per pianificare nuovi stermini e rappresaglie contro una umanità che considerano inferiore e bestiale, sono davvero scaltri.Uno dei miti più in voga che dà forza alla narrazione luciferina prevalente che tende a legittimare un modello di governo fondato sulla menzogna, sul sopruso e sull’imbroglio riguarda il tema della guerra. «Chi di voi ha nostalgia delle brutture del Novecento, quando le guerre lasciavano sul campo milioni di morti sacrificati sull’altare di un nazionalismo anacronistico e aggressivo? Se oggi domina la pace, anzi, se da settanta anni gli europei vivono in armonia, il merito è del processo di unificazione avviato all’indomani del secondo conflitto mondiale. Nessuno ha il diritto di buttare a mare un patrimonio così nobile nato con Spinelli sull’isola di Ventotene». Non è forse questo il ritornello che i servi del regime massonico-mondialista ripetono di continuo come pappagalli ammaestrati? Siete poveri, disoccupati, disperati, ammalati e non curati? Non lamentatevi, dal momento che vi abbiamo perlomeno lasciato la libertà di ammazzarvi da soli, rispondono tra le righe i padroni del vapore. Ebbene, sappiate che il ricatto della “pace”è falso come una banconota da tre euro.Intanto quelli che si gloriano di avere condotto l’umanità sulla via della tolleranza e del progresso sono gli stessi che fomentano, finanziano, pianificano e realizzano di continuo stragi in Medio Oriente. Basta studiare en passant il profilo di una Hillary Clinton, appoggiata discretamente pure dal clan Bush nella corsa alle presidenziali americane, per rendersene conto. In secondo luogo non è vero che la guerra è stata bandita nel “mondo libero”, avendo semmai assunto forme asimmetriche, ipocrite e dissimulate. La guerra, è vero, non si combatte più “orizzontalmente” tra eserciti regolari. La guerra moderna, che è in atto ed è altrettanto sanguinaria e spietata, la combattono trasversalmente i pochi potenti – ovunque dislocati nell’orbe terracqueo – contro i tanti poveracci che brulicano senza sosta in cerca di sicurezze che mai troveranno. Detta in termini più chiari ed espliciti: Obama, Merkel, Hollande, Abe, Cameron e compagnia non si combattono tra di loro perché già impegnati nel combattere insieme una guerra sporca contro tutti noi; i rappresentanti politici delle élite economiche e finanziarie dei rispettivi paesi colpiscono come un sol uomo gli esclusi e i deboli in quanto tali, senza cioè farsi condizionare da questioni di razza, sesso o religione, fattori da essi stessi marxianamente considerati poco più che “sovrastruttura”.In questo modo le élite colpiscono nell’ombra e non rischiano quasi nulla. Immaginate come sarebbe oggi il mondo se Hilter e Stalin, anziché sfidarsi mortalmente, avessero trovato all’epoca un accordo tra di loro sulle pelle delle classi subordinate tanto russe quanto tedesche. La “pace” di cui oggi “godiamo” è frutto di uno scellerato patto che “blinda” soltanto i vertici della Piramide. Per cui non bisogna lasciarsi impaurire dalle letture distorte e interessate veicolate da figuri come Giorgio Napolitano, pericolosissimo elemento che ha lavorato e lavora come pochi per disintegrare il benessere materiale e spirituale dell’Italia. Chi governa sulla paura è ontologicamente un farabutto. Chi propone di accettare una scelta dolorosa, non per convinzione ma per evitare guai peggiori, è certamente un delinquente da segnare con matita rossa per poi colpire (politicamente s’intende) con intensità e cinismo nel momento più opportuno. Fretta e isteria sono sempre cattive consigliere.Per Tony Blair, ad esempio, macellaio che falsificò documenti per giustificare una scellerata guerra in Iraq, il momento delle “spiegazioni” è quasi arrivato. Il 6 luglio verrà infatti pubblicato un report all’interno del quale saranno messe in evidenza le tante porcherie commesse dall’ex premier inglese. Solo chi insegua la “giustizia” prima o poi rischia di trovarla. Il “sistema” eretto dai massoni mondialisti e nazisti tecnocratici, che punta finalisticamente alla creazione di un mondo reso omogeneo dalla divinizzazione dei “diritti cosmetici” (a scapito di quelli sostanziali, economici e sociali), da realizzare per mezzo di endemici shock sapientemente cadenzati nel tempo, comincia a scricchiolare. In Austria hanno dovuto ricorrere all’utilizzo di pacchiani brogli elettorali per insediare al potere l’ennesimo personaggio “tegolato” e “ammaestrato”. In Francia il premier Valls ha già dato il via a rastrellamenti in stile Petain. Insomma la resa dei conti è già iniziata e i nemici della verità, della libertà e della democrazia sono spietati e pronti a tutto. I loro effimeri troni, a breve, verranno definitivamente spazzati.(Francesco Maria Toscano, “I nazisti tecnocratici pianificano la Soluzione Finale in danno delle classi subalterne”, dal blog “Il Moralista” del 27 maggio 2016).Questa Europa è un lager. Perfino il “Corriere della Sera” ha pubblicato giorni fa uno studio dove si evidenzia come negli ultimi anni sia esploso anche in Italia il numero dei bambini poveri; dei bambini che, cioè, nel cuore dell’Occidente “opulento” e “libero”, vivono in condizioni paragonabili a quelle che scandiscono la vita delle famigerate favelas brasiliane. Il “Corriere della Sera”, al pari dei boss mafiosi che mandano una corona di fiori per onorare il funerale di quelli che hanno appena finito di scannare, è parte del progetto genocida in atto. Un progetto che espleta i suoi velenosi effetti senza ricorrere a metodi formalmente cruenti. Perché uccidere, quando si può indurre al suicidio? Perché depredare con la forza ciò che può essere estorto con la carta bollata? Devo ammettere che i nazisti tecnocratici che comandano il globo, appena riunitisi in Giappone per pianificare nuovi stermini e rappresaglie contro una umanità che considerano inferiore e bestiale, sono davvero scaltri.
-
11 Settembre: l’uomo che condannò Moro accusa Israele
Accusa i neocon con nomi e cognomi: Paul Wolfowitz allora viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel governo Bush jr. e di aver organizzato, “su istigazione di Israele”, il mega-attentato dell’11 Settembre 2001. E non è un complottista marginale: è stato un alto funzionario del Dipartimento di Stato, da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra psicologica, attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro) per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign Relations, quindi dell’élite dell’establisment. Né lo si può accusare di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia di sua “mamma yiddish”, Teodora. E’ Steve Pieczenik. Una vecchia conoscenza anche per l’Italia, come vedremo. Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito “InfoWars”.La video-intervista, di 47 minuti, è stata diffusa, probabilmente non a caso, nel pieno della campagna americana per incolpare la monarchia saudita del mega-attentato dell’11 Settembre, con la minaccia di pubblicare le 28 pagine del rapporto della Commissione Senatoriale sul 9/11, secretate da Bush jr. proprio perché mostrerebbero il coinvolgimento dei sauditi ai più alti livelli. Steve Pieczenik corregge: sì, c’è stata la cooperazione di “agenti sauditi”, ma il mandante principale è Israele, insiste nell’intervista. Egli si dichiara disposto a testimoniare sotto giuramento davanti a un tribunale federale e rivelare lì le sue fonti, fra cui (dice) “un generale”. L’importanza del testimone non può essere sottovalutata. Il dottor Pieczenik (è psichiatra) fu in Italia nel marzo del 1978 e per tutti i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro da parte delle Br; speditovi dall’allora segretario di Stato Cyrus Vance, si inserì nel Comitato di Crisi allestito da Cossiga, allora ministro dell’interno (a fianco del criminologo Franco Ferracuti, l’esperto in difesa e sicurezza Stefano Silvestri, una grafologa e il magistrato Renato Squillante) ufficialmente per dare la sua esperta assistenza al salvataggio del politico italiano e negoziare con le Brigate Rosse. In realtà, come ha rivelato in un libro nel 2008, per assicurarsi che Moro non ne uscisse vivo: gli Usa avevano deciso che Moro doveva essere “sacrificato” per garantire “la stabilità dell’Italia” (nella Nato).Intervistato da “France 5” e poi da Gianni Minoli a “Mixer” nel novembre 2013, Steve Pieczenik ha confermato tutto: per esempio raccontando che silurò l’iniziativa di Paolo VI di raccogliere una grossa somma (pare di dieci miliardi di lire), per pagare un riscatto. «Stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate Rosse e il processo di destabilizzazione dell’Italia». Chiese Minoli: «Sostanzialmente, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire». «Evidente», rispose il consulente: «Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell’Italia». Sic. Per questo la Procura di Roma, nel 2014, ha accusato l’americano di concorso in omicidio. E Gero Grassi, vicepresidente dei deputati Pd che voleva una nuova commissione d’indagine sul caso, disse: «Steve Pieczenik stava al ministero dell’interno per manipolare le Brigate rosse e arrivare all’omicidio di Aldo Moro».Non è stata la sua unica impresa. Nel Dipartimento di Stato, ai tempi di Reagan, il dottore è stato incaricato di architettare il “cambio di regime” a Panama, ossia il rovesciamento di Noriega (che lo accusò apertamente di essere “un assassino” che aveva ucciso vari suoi collaboratori). Ufficialmente capo-negoziatore in una quantità di prese di ostaggi e dirottamenti (ad opera di Farc colombiane, Abu Nidal, Idi Amin, Olp) ha contribuito a creare la Delta Force, il gruppo di teste di cuoio di intervento rapido in situazioni di crisi. Ha dato le dimissioni quando fallì il tentativo di liberare gli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran; decisione del presidente Carter, ma probabilmente scacco suo, del dottor Pieczenik. S’è rifatto però una carriera di successo ideando trame di thriller per Tom Clancy. Nel 2011 è tornato sotto i riflettori per denunciare che la “cattura di Bin Laden” messa a segno ad Abbottabad in Pakistan e passata come un grande successo del presidente Obama, era stata tutta una messinscena (ne abbiamo avuto tutti il sospetto): il vero Bin Laden, secondo lui, è morto fin dal 2001, di sindrome di Marfan.Non può esser casuale il fatto che adesso, a 72 anni e a 15 dal mega-attentato, il vecchio agente del Dipartimento di Stato con le mani in pasta in tante storie oscure di destabilizzazione e sovversione, esca ad accusare Israele mentre tutta la grancassa politico-mediatica sta additando gli spregevoli sauditi. Una campagna a cui partecipa stranamente anche Seymour Hersh, il grande giornalista investigativo con “gole profonde” nel settore militare, che ha condotto inchieste scomode per lo “stato profondo” americano. Pochi giorni fa, intervistato da “Alternet”, Hersh ha raccontato: nel 2011 «i sauditi hanno pagato i pakistani perché non ci dicessero [che Bin Laden si trovava ad Abbottabad, sotto la loro protezione] perché non volevano che noi (americani) interrogassimo Bin Laden perché ci avrebbe parlato – è la mia ipotesi – del loro coinvolgimento [nell’11 Settembre]». Ma quale Bin Laden nascondevano i pakistani nel 2011, se Pieczenik dice (confermando versioni solide del tempo) che è morto nel 2001, pochi mesi dopo l’attentato alle Towers e al Pentagono?Può esserci una lotta di informazione e contro-informazione all’interno stesso dello “Stato profondo” americano? Certo è che i media americani sono scatenati in esibizioni di spregio verso i monarchi wahabiti: “Royal Scum”, feccia regale, titolava il “New York Daily News” qualche giorno fa. Tanto insolito “coraggio” deve essere autorizzato. Naturalmente la “rivelazione” delle 28 pagine colpisce anche il presidente Bush jr., e la sua amministrazione, perché è evidente che, se hanno coperto la parte avuta dai sauditi, sono colpevoli. Lo scandalo anti-saudita va accuratamente controllato, perché è facile che debordi e i suoi liquami schizzino a colpire proprio gli israeliani o con doppio passaporto che erano al Pentagono ai tempi di Bush jr., e additati dall’agente Pieczenik: Paul Wolfowitz, rabbi Dov Zakhiem (e il terzo, ebreo anche lui, era Douglas Feith) più Michael Chertoff, capo dell’Homeland Security e grande insabbiatore-depistatore delle indagini.Questo scontro interno è senza dubbio in relazione con l’ascesa del candidato imprevedibile, Donald Trump, nella lizza presidenziale. Dopo il suo discorso sul suo programma in politica estera – liquidato con rabbia dal “New York Times” perché propone fra l’altro un accordo con Putin e la fine dell’interventismo – «gli americani sentono di avere, per la prima volta dopo molto tempo, una alternativa sobria e basata sull’interesse nazionale alle disastrose politiche dei neocon», ha detto Jim Jatras, l’ex consigliere repubblicano del Senato. Con grande dispetto dell’establishment, Trump non raccoglie voti solo tra i rozzi arretrati operai bianchi di basso reddito che odiano gli immigrati messicani e lo sentono volgare come loro. Negli exit poll delle primarie in Pennsylvania, Maryland, Delaware, Connecticut e Rhode Island – dove ha trionfato – s’è visto che hanno scelto lui la metà degli elettori repubblicani con alto titolo di studio e con reddito di 100 mila dollari annui: il suo discorso di politica estera ha convinto proprio la classe media benestante. Questo per l’elettorato repubblicano. Quanto a quello democratico: «Continuo a incontrare gente che non sa decidere se votare Bernie Sanders oppure Donald Trump», ha confessato al “Baltimore Sun” Robert Reich, ex ministro del lavoro sotto Bill Clinton e uomo molto di sinistra (nella misura statunitense). L’elettorato di “sinistra”, quello che ha favorito Sanders il “socialista”, sta pensando di votare Trump, non Hillary. Forse è proprio la grande liberazione da Israel….(Maurizio Blondet, “11 Settembre, l’uomo di Washington accusa Israele”, dal blog di Blondet del 29 aprile 2016).Accusa i neocon con nomi e cognomi: Paul Wolfowitz allora viceministro al Pentagono, l’israelo-americano Michael Chertoff, il rabbino Dov Zakheim (numero 3 al Pentagono) di essersi infiltrati nel governo Bush jr. e di aver organizzato, “su istigazione di Israele”, il mega-attentato dell’11 Settembre 2001. E non è un complottista marginale: è stato un alto funzionario del Dipartimento di Stato, da Nixon a Carter a Bush-padre, esperto in guerra psicologica, attore in operazioni coperte (come l’uccisione di Moro) per conto degli Stati Uniti. Membro fino al 2012 del Council on Foreign Relations, quindi dell’élite dell’establisment. Né lo si può accusare di avere come motivazione l’antisemitismo: i suoi genitori erano ebrei russo-polacchi fuggiti alla Shoah, lui ha scritto persino una biografia di sua “mamma yiddish”, Teodora. E’ Steve Pieczenik. Una vecchia conoscenza anche per l’Italia, come vedremo. Steve Pieczenik ha detto tutto il 21 aprile 2016, intervistato da Alex Jones, creatore del sito “InfoWars”.