Archivio del Tag ‘slavi’
-
Lettera all’ambasciata: guerra alla Russia? Non in mio nome
In questi giorni così drammatici, desidero esprimere la mia più profonda vicinanza alla Russia, come nazione, come comunità umana e come sistema sociale e culturale. Al tempo stesso, intendo manifestare la mia più netta disapprovazione nei confronti delle iniziative assunte dal governo italiano, cioè le sanzioni economiche ai danni della Federazione Russa e, cosa ancora più grave e inaccettabile, la fornitura di armamenti ed equipaggiamenti militari ad un paese belligerante, qual è oggi l’Ucraina. Come essere umano, non posso fare a meno di deplorare il ricorso alle armi, da qualunque parte esso provenga; sarebbe però estremamente ipocrita non voler comprendere le ragioni che hanno ora spinto il governo di Mosca a intervenire militarmente in Ucraina, dopo 8 anni di spietati bombardamenti nel Donbass, al prezzo di efferate stragi di civili, senza contare la sconcertante richiesta di adesione alla Nato da parte dell’Ucraina.Come italiano, continuo a guardare alla Russia come al grande paese di Tolstoj e Dostoevskij: e oggi provo una vergogna insopprimibile di fronte all’ostracismo e alle persecuzioni indiscriminate che colpiscono i cittadini russi che vivono e lavorano in Italia, emarginati e sanzionati, in modo razzista, per il solo fatto di essere russi. Sempre come italiano, non dimentico la sollecita, solidale assistenza fornita dalla Russia all’Italia durante la primavera 2020, in termini di immediato supporto sanitario. E, come cittadino del mondo, non dimentico l’impegno profuso dalla Russia – unica grande potenza, presente sul campo in questo ruolo – nel contrastare energicamente, e senza equivoci, il dilagare dell’Isis in Medio Oriente.Esprimo anche la più viva considerazione per l’operato del presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, anche in ragione di alcune sue recenti prese di posizione, di valore sostanziale e di rilievo simbolico: per esempio, la sdrammatizzazione coscienziosa del problema pandemico, così come la fornitura (gratuita) del primo vaccino C-19 e il rifiuto di varare misure ingiustamente restrittive contro la popolazione, che in Russia non è stata vessata come invece è purtroppo accaduto in Occidente. Apprezzo anche la recente decisione della Russia di porre il veto – al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – alla risoluzione (occidentale) che pretendeva di elevare il problema ambientale e climatico al rango di minaccia per la sicurezza degli Stati: una mistificazione pericolosa, figlia di un pensiero di stampo totalitario al quale – ancora una volta – è stata la Russia a porre un freno, all’insegna dei valori più profondi che dovrebbero sempre caratterizzare ogni vero umanesimo, ogni pensiero fondato su una sincera visione della realtà.A questo proposito, non posso che condannare il vergognoso atteggiamento dei mass media italiani, i quali – come i loro omologhi statunitensi ed europei – hanno intrapreso una pericolosa, selvaggia campagna di linciaggio contro la Russia, ovvero contro la verità, fuorviando anche in modo criminoso l’opinione pubblica italiana. Mi auguro sinceramente che le ostilità in Ucraina possano cessare al più presto, perché so che è sempre l’inerme popolazione civile a patirne le sofferenze più gravi. Ma so anche che noi italiani, purtroppo, non siamo neutrali; non lo siamo più, da quando il nostro primo ministro, Mario Draghi, ha inteso varare misure ostili, anche sul piano militare, contro la Federazione Russa. Considero questo gesto un vero e proprio atto di guerra, compiuto a tradimento. Un atto di guerra compiuto non solo contro la Russia, ma anche contro di me e contro i cittadini italiani – non pochi, immagino – che la pensano come me, e che verso la Russia provano un senso di grande rispetto e anche di riconoscenza.Sappiamo che la cultura occidentale deve molto, all’umanesimo slavo e in particolare russo. Senza la Russia, l’Europa è destinata a restare un’entità eternamente incompiuta. Senza una pace stabile e una vera armonia, tra Europa occidentale e Russia, temo che noi resteremo lontani dallo spirito della giustizia, quello che alimenta la forza necessaria a costruire un futuro dignitoso. Ricordo bene gli intenti espressi dal presidente Putin, alcuni anni fa, in vista delle Olimpiadi Invernali di Sochi: tese la mano all’Occidente e invocò il fiorire di una collaborazione inedita, storica, epocale, capace di ridisegnare l’orizzonte della nostra rispettiva coesistenza. Ricordo anche, purtroppo, lo sprezzante silenzio con il quale l’Occidente lasciò cadere quell’offerta. E’ facile, oggi, accusare la Russia di aver fomentato l’ostilità, quando chiunque di noi sa benissimo quanto la Nato abbia costantemente provocato la Russia, avvicinandosi minacciosamente alle sue frontiere.Sono grato alla Russia per il suo impegno nell’edificazione di una governance multipolare del mondo: dopo il crollo dell’Urss, la Terra – caduta sotto il dominio unipolare dell’Occidente – ha conosciuto una spaventosa e ininterrotta sequela di guerre, atrocità e terrorismi. Non sono certo un nostalgico dell’Unione Sovietica o della Guerra Fredda; ma ho imparato che proprio l’assenza di contrappesi può generare spirali di violenza incontrollata. Mi coglie lo sconforto, poi, se penso alle vessazioni che l’Occidente ha imposto, in modo progressivo, ai suoi cittadini, specie negli ultimi anni. E il governo italiano, quello che oggi dichiara implicitamente guerra alla Russia, è lo stesso governo che in questi mesi, in fondo, ha “dichiarato guerra” anche ai suoi cittadini, revocando libertà e diritti, compresi quelli fondamentali che in teoria sarebbero garantiti dalla Costituzione democratica di questo paese. Ora, all’indignazione si aggiunge anche la vergogna.Vorrei che il governo della Federazione Russa, quantomeno, prendesse atto di questo: che il governo italiano non può considerarmi suo complice, nell’azione che sta conducendo contro la Russia e il suo popolo. Come molti italiani, anch’io ho imparato a conoscere meglio e rispettare profondamente la Russia – la sua complessità, la sua inesauribile umanità – sin da quando, in giovane età, ebbi occasione di affrontare il libro “La Tregua”, di Primo Levi, che narra della liberazione dei prigionieri di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Chiunque abbia letto qualche libro di storia sa perfettamente che non avrebbe mai avuto luogo nessuno Sbarco in Normandia, se prima non ci fosse stato il devastante sacrificio dell’Armata Rossa nella Battaglia di Stalingrado, la più importante e decisiva di tutta la Seconda Guerra Mondiale.Negli ultimi anni ho apprezzato molto il lavoro giornalistico condotto in Italia da Giulietto Chiesa: mi ha insegnato a sforzarmi, sempre, di mettermi nei panni della controparte. Una lezione che, oggi, pare che l’Occidente abbia completamente dimenticato. Non può esserci giustizia, se non c’è libertà. E oggi, in Italia, la libertà è stata limitata in modo inaudito, senza precedenti nella storia recente. E prima ancora, non ci può essere libertà senza che, a monte, ci sia verità. E oggi, come possiamo constatare, i media non perdono occasione per diffondere spudorate menzogne. Questa situazione non può che preoccupare chiunque abbia a cuore la pace: russi, ucraini, italiani. Chi lavora per dividere l’umanità, per prima cosa, racconta il falso: e di fatto, in questo modo, condanna l’umanità.Io mi schiero dalla parte dell’umanità: e quindi, oggi più che mai, mi sento vicino alla Russia. E spero che proprio la Russia, così proditoriamente aggredita, possa contribuire all’edificazione di un mondo più grande e più giusto, composto da tante voci; un mondo più libero, capace di riaprire gli occhi e ripudiare la menzogna, la diffamazione, il capovolgimento sistematico della verità. Credo che il nostro mondo, oggi più che mai, abbia davvero bisogno di tutti, quindi anche della Russia. Ci servono concordia, amicizia, solidarietà e collaborazione. Se qualcuno investe sull’odio e sulla divisione, deve sapere che fallirà: almeno fino a quando saremo qui noi, ostinati cittadini del mondo, incrollabili ottimisti e irriducibili avversari di chi è nemico dell’umanità. Con i migliori auspici per una pace autentica e durevole, in Ucraina e in tutto il pianeta, confidando che anche l’Italia possa riconquistare presto la libertà che oggi ha perduto.(Michele Giovagnoli, “Solidarietà alla Russia e condanna dell’atto di guerra compiuto dal governo italiano”, messaggio scritto con Giorgio Cattaneo e trasmesso a Dmitry Shodin, ambasciatore russo in Italia, il 18 marzo 2022).In questi giorni così drammatici, desidero esprimere la mia più profonda vicinanza alla Russia, come nazione, come comunità umana e come sistema sociale e culturale. Al tempo stesso, intendo manifestare la mia più netta disapprovazione nei confronti delle iniziative assunte dal governo italiano, cioè le sanzioni economiche ai danni della Federazione Russa e, cosa ancora più grave e inaccettabile, la fornitura di armamenti ed equipaggiamenti militari ad un paese belligerante, qual è oggi l’Ucraina. Come essere umano, non posso fare a meno di deplorare il ricorso alle armi, da qualunque parte esso provenga; sarebbe però estremamente ipocrita non voler comprendere le ragioni che hanno ora spinto il governo di Mosca a intervenire militarmente in Ucraina, dopo 8 anni di spietati bombardamenti nel Donbass, al prezzo di efferate stragi di civili, senza contare la sconcertante richiesta di adesione alla Nato da parte dell’Ucraina.
-
Putin, l’alieno e il terrorismo “democratico” dell’Occidente
Tutti a parlare di Russia e Ucraina, naturalmente: senza mai ricordare, però, che l’Occidente “democratico” ha sempre disatteso gli accordi con Mosca, cioè essenzialmente la promessa di non estendere la Nato verso Est. Basterebbe questo, a chiudere la questione: e invece si procede con la solita nebbia di guerra, criminalizzando Putin, proprio mentre il succitato Occidente “democratico” – dopo due anni di follia Covid – ora provvede a massacrare i suoi civili, in questa guerra asimmetrica, anche con lo schianto dell’economia planetaria, già visibile a partire dall’impazzimento dei prezzi. Tutti esperti di Ucraina, oggi – come se a qualcuno importasse qualcosa, dei popoli ucraini – senza vedere che l’orrendo copione dei bombardamenti non è che il sequel dei tanti che l’hanno preceduto: come il terrorismo “islamico” (dall’11 Settembre all’Isis), il terrorismo finanziario (dalla morte civile della Grecia al golpe bianco in Italia), il terrorismo climatico “gretino” e ovviamente il recentissimo terrorismo sanitario. Identici gli obiettivi: generare panico, creare insicurezza sociale, revocare diritti e libertà, impoverire e quindi indebolire la popolazione, ottenere obbedienza e sottomissione.I media nostrani oggi si esercitano nel tiro al bersaglio contro l’autocrate che da oltre vent’anni è a capo della “democratura” russa, leader del grande paese che – unico – in questi decenni si è regolarmente opposto, come ha potuto, alla marea dilagante del terrorismo occidentale, sorretto in modo orwelliano da giornali e televisioni che hanno semplicemente smesso di fare informazione. La Russia è rimasta estranea al terrorismo militare in Medio Oriente, scatenato dall’Occidente “democratico” in modo diretto o attraverso manovalanza jihadista; è infine intervenuta in modo risoluto in Siria, contro l’Isis, per salvare il regime alleato di Damasco e impedire che i tagliagole raggiungessero rapidamente il Caucaso. Aggredito dal neoliberismo occidentale dopo il collasso dell’Urss, il sistema russo – conformatosi allo standard economico globale – non ha però esposto i suoi cittadini agli spaventosi stress inflitti alla popolazione europea e statunitense; al contrario: lo storico consenso tributato a Putin si spiega anche con il fatto di aver risollevato l’economia nazionale, decuplicando il reddito medio e sottraendo alla povertà milioni di russi, dopo il disastro delle turbo-privatizzazioni occidentali risalenti all’epoca di Eltsin.Il personaggio oggi dipinto come tirannico dittatore, scontatamente sanguinario già in quanto slavo e probabilmente anche impazzito, è lo statista che – al mondo – si è maggiormente impegnato nel fare argine contro il terrorismo “islamico” teleguidato dalle capitali occidentali. E’ l’uomo che – con il veto opposto dalla Russia – ha appena impedito all’Onu di varare una risoluzione folle, che avrebbe elevato il cambiamento climatico al rango di “minaccia per la sicurezza nazionale” degli Stati. Uno snodo burocratico, l’avallo delle Nazioni Unite, che avrebbe probabilmente accelerato l’autoritarismo tecnocratico che, in nome della tutela dell’ambiente (ma usando il clima, come se fosse davvero l’umanità a determinarne le variazioni), punta a imporre nuove regole, non negoziabili, a tutti gli abitanti – non del pianeta intero, ovviamente: i fortunati siamo sempre noi, cittadini dell’Occidente “democratico”. La Russia è riuscita a distinguersi e brillare, agendo cioè senza diventare nostra complice, anche riguardo all’ultima stagione terroristica, quella sanitaria: ha rifiutato la “dittatura” dei lockdown, non ha imposto nessun ricatto e nessun Tso alla popolazione. E ha offerto al mondo, a tempo di record e gratuitamente, il primo preparato vaccinale anti-Covid.Queste sono le ultime, storiche mosse del regime che oggi viene presentato come una oscura dittatura. Un establishment ibrido, che avrebbe voluto essere più europeo che eurasiatico, contro il quale l’Occidente sta scatenando tutte le sue armi: lo spettro missilistico della Nato in Est Europa, i neonazisti ucraini schierati sul terreno e, soprattutto, la spaventosa guerra economica decretata per volere dei poteri che nel 2020 hanno insediato alla Casa Bianca nientemeno che l’oligarca Joe Biden, in mezzo alla fanghiglia della scandalosa frode elettorale ai danni di Donal Trump. Se una certa élite ha sempre mirato a schiacciare i sudditi, mal sopportando i rari lampi di democrazia reale (fioriti soprattutto nel Novecento, quando al capitalismo occidentale occorreva ancora una classe media prospera e ottimista), viene da domandarsi quale sia la ragione della devastante, vorticosa accelerazione degli ultimi due decenni. Una progressione letteralmente esplosa nella primavera 2020 con l’operazione “psico-pandemica”, che ora è stata sostituita dalla guerra classica, regionale, amplificata però dalla ferocia economica del globalismo senza frontiere.Chi non disdegna di inoltrarsi nella cosiddetta “esopolitica”, cioè l’ipotetica interferenza aliena nelle faccende terrestri (niente di diverso, peraltro, dallo scenario raffigurato dalle letterature antiche, con le “divinità” impegnate a disputarsi territori e popoli), oggi si domanda se tutta questa fretta – all’improvviso – non sia dovuta anche al timore di eventuali “sbarchi”, sul nostro pianeta, che secondo alcune fonti sarebbero attesi a partire dal 2024. A raggiungere la Terra – questa la teoria – sarebbero forze ostili a quelle, non terrestri, che attualmente deterrebbero il controllo occulto delle superpotenze. Il tema è vasto e, ovviamente, più che controverso. Semplici suggestioni? Forse non più, o comunque non del tutto, da quando – a partire dal 2019 – lo stesso apparato militare occidentale ha avviato una sorta di “disclosure”, ammettendo ufficialmente l’esistenza degli Ufo. C’è chi si è spinto oltre: per il generale israeliano Haim Eshed, l’Occidente farebbe parte – da almeno trent’anni – di una Federazione Galattica, dotata di basi condivise (sulla Terra, sulla Luna, su Marte e su altri corpi del Sistema Solare). In parallelo, sono pervenute dichiarazioni precise da parte di fonti massoniche, che hanno riferito di accordi con alieni dalla seconda metà del secolo scorso.Tutto questo può sembrare surreale, in un 2022 letteralmente sventrato dall’esplosione della guerra in Ucraina, con il suo infame corollario di sofferenze. Ma non si può fare a meno di metterle in fila, le notizie: la catena di comando che ha provocato la Russia al punto da spingerla all’invasione è la stessa che aveva orchestrato il terrorismo sanitario, e prima ancora il terrorismo “islamico”, il terrorismo finanziario e il terrorismo climatico, sdoganando nel frattempo – prima attraverso la fantascienza, poi con le ammissioni ufficiali del Pentagono – l’esistenza del “problema” extraterrestre, che forse è davvero il grande segreto sul quale, a breve, non si potrà più tacere. E’ per questo, dunque, che qualcuno – lassù – ha deciso di gettare l’umanità, in modo sempre più rapido, in una spirale di panico che sembra destinata a non avere fine? Sono semplici domande, queste, che però è la stessa cronaca recente, ormai, ad autorizzare. L’inaudita “schiavizzazione” delle popolazioni, specie quelle residenti in aree ancora formalmente democratiche, serve forse a ridurne il potenziale reattivo, in vista di eventi che nessun politico attuale sarebbe in grado, domattina, di presentare ad alta voce?Certo, oggi nessuno potrebbe sbilanciarsi in argomentazioni di questo tenore: sarebbe preso per matto da chiunque, tranne che dagli ufologi o dagli studiosi di religioni antiche. Ma, se proprio l’Occidente “democratico” sta dando ancora una volta il peggio di sé, mentendo innanzitutto alla sua popolazione, non si può che prendere nota delle miserevoli condizioni in cui versa il sistema-Italia, con il suo governo fantoccio (fellone, ma ultra-autoritario) e la sua politica ormai clinicamente morta. I missili e le cannonate nelle pianure ucraine irrompono nelle case di famiglie piegate dal ricatto, tra persone rassegnate a lavorare, viaggiare e vivere solo a patto di avere in tasca il lasciapassare digitale. Uno strumento di dominio, che di sanitario non ha proprio nulla, imposto in perfetto stile cinese e con il pretesto di una patologia curabilissima. Malattia per la quale, però, le terapie sono state prima negate e poi ostacolate, umiliando la scienza e tradendo nel modo più vile il patto di lealtà che, in un paese democratico, avrebbe dovuto vincolare i governanti ai governati.Il primo dovere, infatti, non dovrebbe essere quello di proteggere la popolazione? In alcuni Stati degli Usa, in Australia e Nuova Zelanda, in Europa – ma in Italia in particolare – è avvenuto esattamente il contrario: la popolazione è stata esposta a grandi pericoli, è stata fuoriviata dalla disinformazione, è stata ipnotizzata e terrorizzata per due anni. E ora, svanita anche l’ultima parvenza di pseudo-emergenza, viene mantenuta sotto la pressione coercitiva, forse permanente, del lasciapassare, che poi sarebbe solo il preambolo – secondo i piani – per l’eliminazione del contante e l’adozione esclusiva della moneta digitale, cioè del controllo definitivo sull’economia delle famiglie. Che cosa sarà, dell’Italia, ora che l’intera Europa sarà travolta dal massacro socio-economico delle sanzioni comminate alla Russia? Il nostro è l’unico paese che, a quanto pare, non riesce a eleggere un presidente della Repubblica diverso dal precedente. Poi ci sono i politici: Salvini spernacchiato in Polonia, Di Maio che dà dell’“animale” a Putin. E c’è l’inqualificabile Draghi, che riesce a farsi giustamente canzonare persino dall’orrido Zelensky.«Per riuscire a parlare con Draghi vedrò di spostare l’agenda della guerra», ha twittato l’ucraino, dopo che il primo ministro italiano aveva snobbato un appuntamento telefonico, perdendo così anche l’ultimo treno per assurgere al ruolo di possibile mediatore (ruolo che, fino a ieri, non sarebbe stato affatto sgradito a Putin). E invece si sono bruciati i ponti, in ossequio al padrone americano. Ormai siamo oltre: l’Italia – il paese delle mascherine e del Green Pass Rafforzato – ha appena inviato armamenti all’Ucraina, paese belligerante. Così, dall’8 marzo 2022 – per la prima volta nella storia, probabilmente – la Russia ha inserito anche noi nella lista nera dei “paesi ostili”. Mario Draghi pare stia quindi per firmare il più disastroso suicidio nazionale (si spera solo economico) degli ultimi decenni. Ma niente paura: ci resta sempre il campionato di calcio, insieme al cabaret dei talkshow in cui sono sempre i famosi virologi di ieri a spiegare al popolo bue come vanno le cose, in Ucraina. Effetti collaterali: e se la guerra di Putin finisse – anche – per cambiare il mondo, mettendo fine all’ipocrisia dei tanti terrorismi domestici? Nessuno può prevedere gli eventi: c’è solo da augurarsi che le armi tacciano al più presto. Certo però che, dal radar del futuro, questa Italia sembra davvero sparita: un paese fantasma, finito, affollato di sudditi imbrogliati, derubati e inebetiti.(Giorgio Cattaneo, 9 marzo 2022).Tutti a parlare di Russia e Ucraina, naturalmente: senza mai ricordare, però, che l’Occidente “democratico” ha sempre disatteso gli accordi con Mosca, cioè essenzialmente la promessa di non estendere la Nato verso Est. Basterebbe questo, a chiudere la questione: e invece si procede con la solita nebbia di guerra, criminalizzando Putin, proprio mentre il succitato Occidente “democratico” – dopo due anni di follia Covid – ora provvede a massacrare i suoi civili, in questa guerra asimmetrica, anche con lo schianto dell’economia planetaria, già visibile a partire dall’impazzimento dei prezzi. Tutti esperti di Ucraina, oggi – come se a qualcuno importasse qualcosa, dei popoli ucraini – senza vedere che l’orrendo copione dei bombardamenti non è che il sequel dei tanti che l’hanno preceduto: come il terrorismo “islamico” (dall’11 Settembre all’Isis), il terrorismo finanziario (dalla morte civile della Grecia al golpe bianco in Italia), il terrorismo climatico “gretino” e ovviamente il recentissimo terrorismo sanitario. Identici gli obiettivi: generare panico, creare insicurezza sociale, revocare diritti e libertà, impoverire e quindi indebolire la popolazione, da cui esigere timorosa obbedienza e piena sottomissione.
-
Vinča, in Europa gli uomini-serpente: sapevano scrivere
Lei è amorevole, come madre, nel tenere in braccio la sua creatura. Ma ha tre problemi: ha almeno 7.000 anni, indossa una tuta da astronauta (o da motociclista) e mostra una testa da lucertola, o da salamandra. E’ una delle tante statuette della misteriosa cultura Vinča, che prende il nome da un villaggio alle porte di Belgrado: una presenza archeologicamente documentata in una vasta area, dai Balcani ai Carpazi, e anche oltre. Divinità animalesche, alieni-rettile o semplici maschere zoomorfe? Gli stessi Dogon del Mali dicono di discendere da una “razza anfibia” venuta dalle stelle, ricorda Marco Enrico de Graya, nel video “Gli uomini-serpente e la cultura Vinča”, con Gianluca Lamberti sul canale YouTube “Facciamo finta che”. Notizia recente: il Dna estratto da 6 scheletri rinvenuti nell’area Vinča – dice l’esperto – non corrisponde ad alcun altro ceppo genico umano conosciuto.Progenitori rettiloidi, come quelli della narrazione complottistica di David Icke? Se a qualcuno viene in mente la vicenda del Nahash, cioè il “serpente” biblico della Genesi che si accoppia con Eva dando origine a Caino, De Graya racconta una storia che rinvia allo stesso Zecharia Sitchin, e quindi alla predilezione degli Anunnaki sumeri per l’oro. In base alla mitologia, la bellissima regina delle terre balcaniche (Echidna, figlia di Zeus) era metà donna e metà serpente, e sovrintendeva alla ricerca dell’oro: proprio nei Carpazi sono state rinvenute le più antiche miniere aurifere d’Europa, sfruttate molto prima che l’uomo imparasse a individuare, estrarre e fondere i metalli, almeno secondo la preistoria finora illuminata dagli studiosi. Ebbene, dall’unione tra Echidna e Ercole sarebbero nati i futuri popoli (europei occidentali, slavi e indo-iraniani): tutti figli di un semidio e di una regina-serpente?In realtà, stando alla narrazione attribuita a Thot – spiega Marco Enrico De Graya – Echidna e Eracle rappresentano la stessa cosa: l’ibrido umano-divino. «Il serpente è solo un simbolo, adottato per indicare le “divinità” del passato, che si presumeva (erroneamente) che fossero immortali». Perché proprio il serpente? «Perché ogni anno cambia pelle, dando la sensazione di restare eternamente giovane». L’origine “divina” spiega anche il fatto che al “serpente” sia sempre stata attribuita una speciale sapienza, compresa quella della medicina. «Se fosse stata davvero un serpente, Echidna, come avrebbe potuto accoppiarsi con Ercole?». Vale anche per Eva e il Nahash, ovviamente. Ma da dove viene, la cultura Vinča degli uomini-serpente? Nebbia fitta: anche sulla loro scrittura. Già, perché quel popolo era in possesso di una “protoscrittura” molto più antica di quella, cuneiforme, delle tavolette sumere.Dopo un primo ritrovamento in Ungheria risalente al 1875, il sistema simbolico Vinča è stato messo in relazione alle Tavolette di Tărtăria, ritrovate solo nel 1961 a Săliștea, in Romania. Secondo la datazione al carbonio, risalirebbero al IV millennio avanti Cristo, ovvero 1300 anni prima della scrittura cuneiforme. Non è tutto: dopo quelle prime scoperte, negli ultimi anni sono stati trovati circa un migliaio di reperti della stessa natura, disseminati nei Balcani (Grecia, Bulgaria, Romania) ma anche in Ungheria, in Moldavia e persino in Ucraina. Dunque è confermato: sapevano scrivere, i misteriosi Vinča, vissuti – assai prima dell’epoca dei sumeri – proprio alle porte dell’Europa occidentale, non lontano dall’Urartu caucasico dove sarebbe approdata l’Arca di Noè. Per intenderci: è la stessa area a nord della Mesopotamia, in cui gli studiosi situano l’Eden, la regione biblica all’origine della nascita di Adamo ed Eva.Lei è amorevole, come madre, nel tenere in braccio la sua creatura. Ma ha tre problemi: ha almeno 7.000 anni, indossa una tuta da astronauta (o da motociclista) e mostra una testa da lucertola, o da salamandra. E’ una delle tante statuette della misteriosa cultura Vinča, che prende il nome da un villaggio alle porte di Belgrado: una presenza archeologicamente documentata in una vasta area, dai Balcani ai Carpazi, e anche oltre. Divinità animalesche, alieni-rettile o semplici maschere zoomorfe? Gli stessi Dogon del Mali dicono di discendere da una “razza anfibia” venuta dalle stelle, ricorda Marco Enrico de Graya, nel video “Gli uomini-serpente e la cultura Vinča“, con Gianluca Lamberti sul canale YouTube “Facciamo finta che”. Notizia recente: il Dna estratto da 6 scheletri rinvenuti nell’area Vinča – dice l’esperto – non corrisponde ad alcun altro ceppo genico umano conosciuto.
-
“Bogre”, Fredo Valla: il mio film sul massacro dei Catari
«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea”. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.In Italia, il catarismo trovò terreno fertile a partire dal XI secolo, con forti comunità di buoni uomini a Desenzano, Concorezzo (Milano), Piacenza, Cremona, Sirmione, Verona, Marca Trevigiana, Firenze, Spoleto, Orvieto e, in Piemonte, a Monforte d’Alba, Roccavione, Cuneo e Acqui. Alcuni studiosi pensano che ai tempi di Farinata degli Uberti, una buona percentuale di fiorentini fosse catara. I rapporti fra le chiese catare d’Occitania, Italia e Bosnia con i bogomili di Bulgaria furono frequenti, perlomeno fino al XIII secolo, con un flusso dai Balcani di libri dottrinali e la partecipazione ai concili, favorito dai commerci e dal passaggio delle crociate verso la Terrasanta. A testimonianza della ricchezza di contatti e scambi in un’Europa medievale che siamo abituati a pensare chiusa e isolata.In Occidente il catarismo si propose come alternativa alla Chiesa di Roma. Per questo motivo nel 1209 Papa Innocenzo III scatenò contro i Catari una crociata di cristiani contro cristiani, chiamando a raccolta baroni e cavalieri del nord della Francia, coraggiosi ma spiantati – un po’ come i conquistadores spagnoli in Messico e Perù – promettendo loro la salvezza eterna e i ricchi feudi della Linguadoca. Il colpo più duro lo diede nuovamente il Papa nel 1230, con l’istituzione dei tribunali dell’Inquisizione, che crearono un clima di terrore e di delazione, che non può non portare alla mente il terrore staliniano. Ultima a resistere fu la Bosnia, dove il catarismo si estinse nella seconda metà del XV secolo con la conquista ottomana, quando la dottrina originaria già si stava esaurendo in un sincretismo religioso compromesso col potere.In che cosa credevano Bogomìli e Catari? Essenzialmente distinguevano fra Spirito e Materia. Tutto ciò che appartiene allo Spirito è stato creato dal Dio Buono, mentre tutto ciò che è Materia (quindi anche i corpi umani) sono creatura di un Demiurgo, Dio del Male o Demonio a seconda del nome che gli si voleva attribuire. In questo modo essi rispondevano alla domanda delle domande: Unde malum? Perché il Male? Il Male esiste – dicevano – perché esiste un Dio del Male. Sono anni che faccio documentari e mi occupo di lingua e di cultura occitana, quindi la vicenda dei Catari ha attraversato la mia vita. Poi nel 2005 ho avuto l’occasione di cominciare una collaborazione con Antonio e Pupi Avati, che producevano una serie di puntate sui paesi dell’Est per “Tv2000″. A me fu assegnata la Bulgaria. Là conobbi Axinia Dzurova, studiosa di testi slavi e glagolitici.Axinia, allieva di Ivan Dujcev, tra i maggiori studiosi dei Bogomili, mi rivelò – e fu una vera rivelazione – le relazioni fra Bogomìli e Catari. Da qui l’idea del film, per raccontare un’eresia europea che nessun film aveva mai raccontato. Tra il 2016 e il 2017 ho lavorato alla scrittura. Le prime riprese sono state in Bulgaria, nell’autunno del ’17, là dove la vicenda di questi eretici ha preso le mosse. A marzo di quest’anno, “Bogre” ha esordito con successo al Film Festival Internazionale di Sofia ed è un po’ come se si fosse chiuso un cerchio, come se il film cominciasse la sua strada da dove tutto è iniziato. Ma “Bogre” ha una storia particolare anche per ciò che riguarda il reclutamento della troupe, composta da ex allievi e collaboratori de “l’Aura”, la scuola di cinema che ho fondato col mio sodale Giorgio Diritti a Ostana, paese delle Alpi occitane davanti al Monviso. Girare è stato come fare scuola sul campo. Una bella soddisfazione, per me e per gli allievi che sono cresciuti facendo.“Bogre – la grande eresia europea” si presenta come un evento anche a partire dalla durata, 200 minuti, in cui chiedo allo spettatore di essermi complice, di entrare con me nella bolla e abbandonarsi alle immagini e alle parole del racconto. Per questo il film va visto al cinema e non in tivù. Duecento minuti che sono una scelta di linguaggio, in cui il film si dipana e si mostra nel suo farsi, con la mia troupe in scena, o io e il mio montatore, Beppe Leonetti che è anche co-produttore con Chambra d’Oc e Lontane Province, in sala montaggio. Ho sempre pensato che un film dura quanto deve durare. Questa volta mi sono sentito libero: come i Catari e i Bogomili. “Bogre” è un film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere (eresia significa scelta), su un’idea di giustizia in opposizione ai poteri intolleranti. Le vicende di questi eretici trovano un parallelo in storie a noi più vicine, come la Shoah, il genocidio armeno, l’intolleranza verso chi è diverso da noi e viene a “invadere” l’Occidente civilizzato. I “bogre” di oggi! Una storia estirpata dai libri di storia che ritorna, perché, ahimé, il male non finisce.(Fredo Valla, “Bogre, il mio film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere, su un’idea di giustizia contro i poteri intolleranti”, da “La Stampa” dell’8 giugno 2021. Autore, regista e sceneggiatore, Fredo Valla ha curato il copione di film come “Il vento fa il suo giro” e “Un giorno devi andare”, diretti da Giorgio Diritti. E’ un instancabile difensore della minoranza linguistica occitanica e della sua antica cultura, che sopravvive nelle valli alpine cuneesi e nel Sud della attuale Francia).«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea“. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.
-
Kazari ashkenaziti, l’ebraismo asiatico su cui Israele tace
C’è una storia dimenticata e volutamente occultata. Io sono massone, e appartengo anch’io a una minoranza, quella eleusina: e comprendo il peso che persecuzioni possano avere avuto, nella storia. La cultura tradizionale ebraica è tuttora sconosciuta, ai più: curioso, perché è tra quelle che più hanno permeato la cultura europea, negli ultimi secoli. E’ una cultura che è sempre stata un po’ chiusa. E anche per via delle fortissime tensioni storiche – con la cacciata degli ebrei dalla Spagna a opera di Isabella di Castiglia dopo la Reconquista, poi per opera dell’Inquisizione e dell’azione stessa della Chiesa cattolica, senza contare le tante conversioni forzate al cattolicesimo – non c’è mai stato un dialogo aperto fra la cultura ebraica e quella cristiana, predominanti nell’Europa moderna. E questo ha fatto sì che ci sia sempre stata una grave e lacunosa mancanza di conoscenza reciproca. Ad esempio: si parla pochissimo dell’origine degli ebrei ashkenaziti, che oggi rappresentano la maggioranza, nella popolazione ebrea.Le fonti collocano l’origine della tradizione ebraica in Medio Oriente, in Palestina, in parte anche in Egitto. Ci sono connessioni dirette tra il popolo ebraico e figure come il faraone Akhenaton e personaggi come Mosè. E’ stata invece volutamente occultata l’origine storica di quella grande parte dell’ebraismo che appartiene alla cultura ashkenazita. Le origini non risalgono all’area siro-palestinese (il Regno di Giudea), ma ad un’area geografica diversa e distante, identificabile con il territorio di quello che è storicamente conosciuto come l’Impero Kazaro. Numerose le fonti: cronache arabe, persiane, bizantine e russe (Principato di Kiev). E’ un argomento raramente studiato, cui si tende a non dare risalto, anche per una serie di ragioni politiche. L’Impero Kazaro si sviluppò in un’aera che va dal Caucaso all’odierna Ucraina, la Crimea, le steppe del Kazakhstan e l’Uzbekistan settentrionale: un territorio vastissimo. Trae origini dalle migrazioni di una serie di popoli che, nei primi secoli della nostra era, abitavano l’area della cosiddetta Asia Centrale.Erano popolazioni in una certa misura discendenti dall’antico popolo degli Sciti, storicamente stanziato sull’odierna costa dell’Ucraina e in Crimea, e in parte da popolazioni turcomanne, inizialmente nomadi, stanziate in quest’area già dal III-IV secolo dopo Cristo. Popolazioni storicamente note come Göktürk (”turchi blu”: una caratteristica totemica). Questo ramo delle popolazioni turcomanne, molto affine agli attuali ungheresi e agli unni (che molto interagirono con gli ultimi secoli dell’Impero Romano), attorno al V secolo dette origine a una prima grande forma statale, una struttura organizzata che venne chiamata Kaganato, che deriva dal termine Kagan (”Re dei Re”). Questo primario Kaganato dei Göktürk entrò inizialmente in guerra con tutte le potenze vicine, specie la Cina. Tutta la parte orientale del Kaganato venne sottomessa dai cinesi e annessa ai territori del Celeste Impero. La parte occidentale, destinata a sopravvivere più a lungo, conobbe varie traversie, fino a che non cadde sotto l’egemonia di una particolare dinastia, quella degli Hashina: nome identificato da importanti linguisti americani come derivante dall’antica lingua scita.Risolti i problemi col potente e ingombrante vicino cinese, il Kaganato entrò in rotta di collisione con altre potenze, in primis l’Impero Bizantino (cristiano), e poi con la nascente e preponderante potenza islamica. Siamo ormai nel VII secolo: l’Islam aveva appena iniziato la sua opera di espansione e dominio, e il territorio dei kazari (particolare civiltà turcomanna, di religione politeista con caratteristiche sciamaniche) fu progressivamente attaccato dagli arabi, che avevano già occupato la Persia. Dell’affascinante mitologia di fondazione del clan degli Hashina parla Diego Marin, nel libro “Il sangue degli Illuminati”. Quel clan «era considerato il prescelto dal dio celeste Tengri, associabile all’antico dio delle tempeste Teshup», o anche allo stesso Zeus.Gli Hashina veneravano i propri antenati con cerimonie annuali, che si concludevano in un luogo particolare, chiamato “la Caverna Ancestrale”, da cui si riteneva che lo stesso clan Hashina fosse fuoriuscito. «Il mito racconta la storia di un bambino, l’unico sopravvissuto a un massacro tribale. Famiglia e amici erano stati sterminati. Lui solo era riuscito a scappare, rifugiandosi in una grotta nelle vicinanze. Qui aveva incontrato una lupa, di nome Hasena». La lupa lo aveva adottato (come Romolo e Remo, allattati e salvati). «Una volta cresciuto, il bambino ebbe un’unione sessuale con la lupa, che avrebbe dato alla luce ben 10 figli, tutti gemelli, uno dei quali poi passato alla storia come il capostipite degli Hashina». La lupa Hasena è ancora ben viva, nella tradizione mitologica di tutti i popoli di origine turcomanna, dalla Turchia all’Asia Centrale (Turkmenistan, Tagikishan, Uzbekistan, Kazakhstan, fino agli uiguri dello Xinjang cinese).Ancora oggi, la lupa Hasena è il simbolo di partiti nazionalisti turchi: oggi musulmani, non hanno mai rinunciato a questa raffigurazione mitologica ancestrale che vede nella lupa Hasena l’origine dei turchi, la loro madre. Tornando ai kazari: erano in continuo stato di guerra coi vicini bizantini e arabo-persiani. Poi nell’VIII secolo vengono attaccati attraverso la Persia, vengono sottomessi, e il Kagan dell’epoca, Bulan, accetta di convertirsi formalmente all’Islam. La tregua però dura poco: i kazari contrattaccano, battono gli arabo-persiani e recuperano il loro territorio. Bulan abiura alla fede islamica e, simultaneamente, avviene un fatto incredibile, probabilmente ispirato da ragioni geo-strategiche e interessi commerciali: nel 740 dopo Cristo decide di convertirsi all’ebraismo, imponendo la conversione anche ai sudditi. Un fatto che ha segnato la storia, perché questo impero (che aveva svariati milioni di abitanti) diventa di religione ebraica, pur restando molto lontano dalla culla dell’ebraismo – l’area siro-palestinese – essendo esteso tra il Caucaso, la Crimea e le steppe del Kazakhstan.Sempre scondo le ricerche di Diego Marin, questa conversione sarebbe stata suggellata dal matrimonio tra il principe Bihar Sabriel (figlio di Bulan) e una donna di tradizione ebraica, di nome Serak, che sarebbe stata figlia di Juda Zachai, rabbino di Babilonia, appartenente al casato reale di Marsutra e quindi discendente del primo “esiliarca” di Babilonia. Sarebbe dunque stato questo ramo della tradizione ebraica a favorire la misteriosa conversione dei kazari. Divenuto ebraico, il Kaganato prospera per un po’, soprattutto grazie al commercio, ma poi va a scontrarsi nuovamente con tutti i vicini: bizantini, Impero Arabo e soprattutto con il recente Principato dei Rus’. Quella del Principato di Kiev, primo nucleo embrionale della futura Russia, non è un’origine slava, ma nordica (vichinga, norrena): furono soprattutto mercanti norreni (o variaghi, che dir si voglia) a insediarsi nell’attuale Russia settentrionale, per poi fondare – calando verso sud – l’embrione della futura potenza russa.Il Principato di Kiev, peraltro, era legato a tradizioni sciamaniche. Eppure, Kiev venne appoggiata subito da Bisanzio, nel tentativo di contrastare il Kaganato kazaro. E alla fine, dopo una serie di guerre, con personaggi come Oleg di Kiev e Sviatoslav I, l’Impero Kazaro venne sconfitto: furono occupate le fortezze principali e la stessa capitale, e il vastissimo territorio si disgregò attorno al 960. Da lì, nacquero le prime migrazioni dei kazari verso l’Europa, e il loro insediamento nella valle del Reno. Si dice che “ashkenazita” significhi “tedesco”, e che Ashkenaza fosse una regione franco-tedesca nella Renania. Subito, l’ex Impero Kazaro venne sottomesso dal nascente Stato russo, che non era ancora cristiano: la cristianizzazione della Russia (fatto curioso) fu concomitante con la caduta dell’Impero Kazaro. Il principe Vladimir di Kiev (figlio si Sviatoslav, conquistatore dell’Impero Kazaro) fu il primo regnante russo – in realtà, di origine vichinga – a convertirsi formalmente al cristianesimo. Conversione molto esaltata dai cristiani ortodossi: Vladimir fu santificato, in quanto fondatore del cristianesimo in quella che era la Rus’.Dopo aver sconfitto il potente Impero Kazaro, Vladimir venne avvicinato dagli emissari della Kazaria, che gli suggerirono di convertirsi all’ebraismo. Rifiutò, perché non voleva convertirsi alla religione di un popolo che aveva appena sottomesso. Al che, emissari dell’Impero Arabo (sempre in cambio di alleanze) gli proposero di convertirsi all’Islam. Vladimir rifiutò ancora, spiegando che non avrebbe potuto imporre al suo popolo di rinunciare alle bevande alcoliche. Il principe di Kiev sarebbe poi invece rimasto folgorato dagli emissari bizantini – si racconta – di fronte allo splendore delle chiese cristiane di Costantinopoli. Un racconto chiaramente agiografico. In realtà queste curiose conversioni, da quella del kazaro Bulan all’ebraismo a quella di Vladimir al cristianesimo, sono sempre state frutto di accordi geopolitici: la motivazione non era esattamente spirituale. Così la Russia divenne cristiana, e quello che era il primo, grande impero ebraico (al di fuori del territorio siro-palestinese) si disperse.Iniziò una prima diaspora della popolazione. Ma la vera diaspora non fu causata dal Principato russo di Kiev, che coi kazari mantenne relazioni commerciali e quindi non aveva alcun interesse a disperdere quelle popolazioni appena sottomesse. Qualche secolo dopo, nel 1200, i kazari vennero attaccati dall’Orda d’Oro di Gengis Khan: furono i mongoli, a fare terra bruciata. Travolsero lo stesso Principato di Kiev e sottomisero buona parte del mondo allora conosciuto. Non si limitavano a conquistare e assoggettare: radevano al suolo le città e sterminavano tutti gli abitanti. L’impressionante invasione mongola ha cambiato la storia, e ha stravolto la nascente potenza islamica: la Baghdad dell’epoca era la culla mondiale della conoscenza, l’Islam illuminato aveva fondato una delle più importanti biblioteche della storia, pari a quella di Alessandria d’Egitto. La famosa Casa della Sapienza di Baghdad conteneva l’intera letteratura del mondo, e venne distrutta dai mongoli.Di fronte all’urto dei mongoli, quindi, solo dopo il 1200 i kazari cominciarono a emigrare in massa verso la Russia, la Polonia, la Germania e l’intera Europa orientale, dove cominciarono a chiamarsi ashkenaziti, fino a raggiungere poi anche paesi dell’Europa occidentale, come l’Italia e la Francia. Gli ebrei di origine ashkenazita sono riconoscibili: hanno la carnagione molto chiara e parlano lo yiddish anziché l’ebraico. Nata proprio nell’Est Europa, quella yiddish è una lingua interessantissima, tuttora molto parlata. Ha avuto influenze slave e germaniche, e al suo interno conserva moltissimi vocaboli di origine turcomanna. L’yiddish è la lingua madre di un grande artista come Marc Chagall, reinterpretata da un grande musicista come Moni Ovadia.Invece, gli ebrei sefarditi sono in buona parte di origine spagnola, però hanno una diretta connessione con l’aria siro-palestinese. In più, a cavallo dei Pirenei (col disfacimento dell’Impero Romano) era nato anche il Principato di Settimania, importante realtà statale ebraica con caratteristiche sefardite. Dopo la cacciata degli ebrei dalla penisola iberica, a opera della cattolica dinastina castigliana, ci fu un’altra diaspora (sefardita). Una “diaspora di ritorno”, che interessò tutto il Nord Africa e tutta l’Europa. Quanto agli ashkenaziti, arrivati in epoca medievale in Italia e in Germania, generarono importanti famiglie che – si dice – oggi dominano il pianeta. E’ un’ipotesi da molti sostenuta, tutt’altro che infondata. Ancora all’inizio del 1300, comunque, gli ashkenaziti costituivano solo il 3% della popolazione ebraica mondiale. Raggiunsero il massimo dell’espansione agli inizi del ‘900: nei primi anni Trenta erano diventati il 92% degli ebrei, che oggi in tutto il mondo sono 12-13 milioni.Agli albori del ‘900, avviene un fatto curioso, citato da Mauro Biglino. La grande stampa internazionale anglosassone comincia ad “annunciare” l’imminente strage, in Europa, di 6 milioni di ebrei. Ne scrivono insistenza il “Sun”, il “New York Times”, l’”Atlanta Constitution”, la “Gazzetta di Montreal”. Si chiede ospitalità, in Palestina, per 6 milioni di ebrei che, specie nell’Est Europa, sarebbero allo stremo e starebbero soffrendo un “olocausto europeo”. Dal 1915, quindi, quando Hitler era ancora un ragazzotto, c’era chi “sapeva” che 6 milioni di ebrei sarebbero morti? Poi arriva Hitler, che nel “Mein Kampf” parla di “due stirpi”, quella degli Ariani e quella del Serpente, e infine la Shoah stermina 6 milioni di ebrei. E’ un dato che deve fare riflettere, anche se si tratta di cifre simboliche che hanno una valenza esoterica (parlo dei dati citati da Biglino, cioè i 6 milioni evocati dalla stampa prima della Shoah).Questo utilizzo di numeri è chiaramente funzionale alla nascita e allo sviluppo del movimento sionista, che ha sempre avuto interesse a catalizzare questi dati, per poi agire politicamente fino a creare l’attuale Stato di Israele, che rappresenza la realizzazione del programma politico di Theodor Herzl. Certo è curiosa, all’inizio del ‘900, la ripetizione di quella cifra (6 milioni), che secondo me ha proprio una valenza simbolico-esoterica. Indubbiamente, nella Russia zarista non c’era una situazione felice, per le popolazioni ebraiche ashkenazite, perseguitate dal potere imperiale. Ci furono molti pogrom, ma certo non massacri dall’estensione paragonabile alla Shoah. Oltretutto, in alcune aree come l’attuale Bielorussia, la maggior parte della popolazione era di origine ebraica: sarebbe stato un controsenso, l’annientamento completo di una consistente fetta della popolazione.Insomma, sono questioni su cui riflettere: ma anche facilmente strumentalizzabili. Io poi mi occupo prevalentemente di storia antica, e non voglio entrare nel merito delle cifre: ci sono storici che se ne sono occupati in modo autorevole. Certo, resta il fatto che la stampa internazionale è andata avanti per cinquant’anni, prima di Hitler, a parlare di quei famosi 6 milioni. Qualcuno si stupisce che la popolazione ebraica sia sopravvissuta in modo quasi stabile, sia alle persecuzioni pre-hitleriane che alla stessa Shoah. Ma ripeto: quelli evocati a inizio ‘900 sono numeri “anti-storici”, essenzialmente simbolici. Oggi si sostiene che una parte degli ebrei ashkenaziti sia riuscita, tramite la finanza, a costituire veri e propri imperi, arrivando a condizionare la politica economica di tutti gli Stati del mondo, a partire dagli Usa fino all’ultima creazione europea, l’euro? Ora, si ripete, potenze come quella incarnata da Soros sono impegnate in manipolazioni finanziarie globali. E se ieri la stampa dava conto di certi fenomeni, oggi del mondo ebraico si parla poco, specie dal punto di vista della finanza. Soprattutto, non si approfondisce.Io consiglio un libro inattaccabile, scritto da un professore di religione ebraica di un’università americana, uno storico: si chiama Norman Finkelstein. Il suo libro, “L’industria dell’Olocausto”, storicamente ben documentato, spiega esattamente, nel dettaglio, come la questione della Shoah sia stata interpretata e utilizzata per finalità tutt’altro che religiose o morali – ma per finalità politiche ed economiche – dal movimento sionista. Chiaramente, viene utilizzata una discriminante storica, che giocoforza si è venuta a creare. Nel 1945, in modo simbolico, questa discriminante opera una divisione: il mondo prima della Shoah e il mondo dopo la Shoah. I giornali degli anni Venti e Trenta avevano un’altra libertà di espressione, perché dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale è nata una sorta di tabù storico, di velo, di ininterpretabilità. Norman Finkelstein questa cosa la denuncia in modo molto forte. E spiega come poi, in realtà, nell’immediato dopoguerra non vi fosse tutta questa retorica dell’Olocausto: è una retorica, dice, che è stata portata avanti dalla politica israeliana in concomitanza con le prime guerre con il mondo arabo, in particolare la Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967).Fu allora che la vulgata dell’Olocausto, in una chiave molto particolare, è stata spinta e accelarata, fino a diventare una sorta di dogma intoccabile. In realtà la storia è fatta di interpretazioni e ricerche: uno storico dovrebbe sempre avere le mani libere, per analizzare i documenti e confrontarsi. In questo caso, invece, sono stati imposti dei tabù, come fossero dogmi di fede. E questo è sinceramente anti-storico, anti-scientifico: non ha senso. Tutto questo, però, non è assolutamente dovuto alla cultura ebraica, che è una delle culture più belle da studiare (una delle più interessanti, con cui confrontarsi). Questo atteggiamento di chiusura è invece dovuto all’azione di alcuni gruppi di famiglie, che hanno utilizzato a proprio uso e consumo determinate tradizioni, decidendo che cosa dovesse diventare storico e che cosa dovesse diventare un tabù storico. Hanno utilizzato queste questioni per propri fini, politici ed economici: il che, come si vede, non rappresenta affatto la variegata ricchezza culturale del mondo ebraico, che è fatto di voci diversissime tra loro.Il problema semmai è il sionismo: un movimento anche pericoloso, creato e fondato da ashkenaziti, che ha preteso anche la manipolazione della storia a proprio vantaggio. Esistono moltissimi ebrei che sono fortemente anti-sionisti, e addirittura temono il sionismo. Nello stesso Stato di Israele gli ebrei sefarditi sono una minoranza, oggi, e in alcuni casi vengono addirittura discriminati, anche se in Occidente non se ne parla. La stessa rimozione storica dell’Impero Kazaro, che per secoli controllò enormi estensioni di territorio, è dovuta al fatto che tutte le popolazioni che da esso sono derivate, e che poi hanno portato alla nascita dell’ebraismo ashkenazita, non hanno una diretta discendenza dall’area siro-palestinese. La mancanza di un filo diretto con la Palestina è diventata un altro tabù storico: un’altra questione da non affrontare, perché va a delegittimare la nascita dello Stato di Israele.(Nicola Bizzi, video-intervento “L’Impero Kazaro e le origini dimenticate”, da “Come Don Chisciotte” del 1° novembre 2020. Storico, autore di saggi sorprendenti come “Da Eleusi a Firenze”, Bizzi è l’editore di Aurora Boreale).C’è una storia dimenticata e volutamente occultata. Io sono massone, e appartengo anch’io a una minoranza, quella eleusina: e comprendo il peso che persecuzioni possano avere avuto, nella storia. La cultura tradizionale ebraica è tuttora sconosciuta, ai più: curioso, perché è tra quelle che più hanno permeato la cultura europea, negli ultimi secoli. E’ una cultura che è sempre stata un po’ chiusa. E anche per via delle fortissime tensioni storiche – con la cacciata degli ebrei dalla Spagna a opera di Isabella di Castiglia dopo la Reconquista, poi per opera dell’Inquisizione e dell’azione stessa della Chiesa cattolica, senza contare le tante conversioni forzate al cattolicesimo – non c’è mai stato un dialogo aperto fra la cultura ebraica e quella cristiana, predominanti nell’Europa moderna. E questo ha fatto sì che ci sia sempre stata una grave e lacunosa mancanza di conoscenza reciproca. Ad esempio: si parla pochissimo dell’origine degli ebrei ashkenaziti, che oggi rappresentano la maggioranza, nella popolazione ebrea.
-
Le altre foibe: furono i fascisti a inaugurare l’orrenda strage
Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.Dalle terre annesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale – cioè all’ampliamento ad est dei territori di Trieste e di Gorizia, all’Istria intera, alla provincia di Fiume detta del Quarnaro ed all’enclave dalmata di Zara – le violenze fasciste e la snazionalizzazione forzata costrinsero ad andarsene più di 80.000 sloveni, croati, tedeschi e ungheresi, ma anche alcune migliaia di italiani antifascisti. Nel 1939, un anno prima che l’Italia fosse gettata nella seconda guerra mondiale, le autorità fasciste della Venezia Giulia attuarono in segreto un censimento della popolazione di quelle terre annesse venti anni prima, accertando che in esse vivevano 607.000 persone, delle quali 265.000 italiani e cioè il 44%, e 342.000 slavi detti allogeni, ovvero il 56%. Una cifra notevole nonostante l’esodo degli ottantamila, nonostante che agli slavi fossero stati italianizzati i cognomi, fosse stato vietato di parlare la loro lingua, fossero state tolte le scuole e qualsiasi diritto nazionale.Nonostante le persecuzioni subite, nonostante che migliaia di loro fossero finiti nelle carceri o al confino, e che alcuni dei loro esponenti – Vladimir Gortan, Pino Tomazic ed altri – fossero stati fucilati in seguito a condanne del Tribunale speciale fascista oppure uccisi dalle squadre d’azione fasciste a Pola (Luigi Scalier), a Dignano (Pietro Benussi), a Buie (Papo), a Rovigno (Ive) e in altre località istriane. Emblematici di queste persecuzioni contro slavi e antifascisti italiani in Istria e Venezia Giulia sono i sistemi coercitivi per inviare i contadini al lavoro nelle miniere di carbone di Arsia-Albona dove, per duplicare la produzione senza però adeguate protezioni dei minatori sui posti di lavoro, nel 1938 ci fu una tragedia (allora taciuta dalla stampa) in cui persero la vita 180 minatori, lasciando oltre mille vedove ed orfani. Emblematica di quel periodo in Istria è anche una canzoncina cantata dei gerarchi che diceva: “A Pola xe l’Arena / la Foiba xe a Pisin: butaremo zo in quel fondo / chi ga certo morbin”. E alludendo alle foibe, un’altra poesiola minacciava chi si opponeva al regime: “… la pagherà / in fondo alla Foiba finir el dovarà”.Nell’aprile del Quarantuno, infine, si arrivò all’aggressione alla Jugoslavia senza dichiarazione di guerra, seguita dall’occupazione di larghe regioni della Slovenia e della Croazia, dall’intero Montenegro e del Kosovo, infine dall’annessione al Regno d’Italia di una grossa fetta della Slovenia ribattezzata Provincia di Lubiana, di una lunga fascia della costa croata che formò il Governatorato della Dalmazia con tre provincie da Zara fino alle Bocche di Cattaro, e la creazione della nuova provincia allargata di Fiume detta “Provincia del Quarnaro e dei Territori annessi della Kupa” comprendente tutta la parte montana della Croazia alle spalle del Quarnero più le isole di Veglia ed Arbe che si univano a quelle di Cherso e Lussino. Così l’Italia incorporò nel proprio territorio nazionale regioni abitate al 99% da sloveni e croati con una popolazione di oltre mezzo milione di persone che si aggiungevano al 342.000 “allogeni” già assoggettati all’Italia ed al fascismo italiano da due decenni. Il Montenegro intero fu trasformato a sua volta in un Governatorato italiano. Il Kosovo, territorio della Macedonia, fu annesso invece alla cosiddetta Grande Albania che già dal ’39 era una colonia dell’Italia.Le violenze contro i civili dei territori annessi o occupati furono compiuti in base a “una ben ponderata politica repressiva” come ci rivela una ben nota circolare del generale Roatta del marzo 1942 nella quale si legge: «Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente». A sua volta il generale Robotti, ordinando rastrellamenti a tappeto nel giugno e agosto 1942, indicava queste soluzioni alle truppe dell’XI Corpo d’Armata: «Internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani» e per «far coincidere le frontiere razziali e politiche»: «Esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali». Infine, «Si ammazza troppo poco!». Mi limiterò a un piccolo territorio alle spalle di Fiume e ad un solo mese, luglio del 1942. Nelle borgate di Castua, Marcegli, Rubessi, Viskovo e Spincici furono incendiate centinaia di case e fucilate decine di persone come “avvertimento”. Nel Comune di Grobnik, il villaggio di Podhum fu completamente raso al suolo per ordine del prefetto Temistocle Testa.All’alba del 13 luglio, per “vendicare” due fascisti scomparsi il giorno prima da quel villaggio, furono dapprima saccheggiate e poi incendiate 484 case, portati via mille capi di bestiame grosso e 1300 pecore, deportati nei campi di concentramento in Italia 889 persone (412 bambini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fucilate altre 108 persone. Uno sterminio. I fascisti italiani, passati al servizio del tedeschi dopo il settembre 1943, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Fra tanti sia ricordato l’episodio di Lipa (30 aprile 1944) dove 269 vecchi, donne e bambini sorpresi quel giorno in paese, furono sterminati: parte fucilati, parte rinchiusi in un edificio e dati alle fiamme. Di tali eccidi ce ne furono a centinaia in Istria, nel territorio quarnerino, in Slovenia, in Dalmazia, in Montenegro, ovunque arrivarono i militari fascisti e le altre formazioni inviate da Mussolini. Nei miei scritti ho documentato lo sterminio di 340.000 civili slavi fucilati e massacrati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre 1943 nel corso dei cosiddetti “rastrellamenti” ed operazioni di rappresaglia contro le forze partigiane insorte.Ho anche scritto, ma non sono stato il solo in Italia, di altri 100.000 civili montenegrini, croati e sloveni deportati nei capi di concentramento approntati dalla primavera all’estate del 1942 dall’esercito italiano per rinchiudervi vecchi, donne e bambini colpevoli unicamente di essere congiunti e parenti dei “ribelli”. In quei campi disseminati dalle isole di Molat e Rab/Arbe in Dalmazia fino a Gonars nel Friuli ed altri in tutto lo Stivale, morirono di fame, di stenti e di epidemie circa 16.000 persone nel giro di poco più di un anno di deportazione. Tutto questo viene taciuto nella Giornata del Ricordo che si celebra in Italia da una decina d’anni. Si ricordano soltanto le nostre perdite: il dolore dei nostri connazionali costretti a lasciare le terre concesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale, il dolore delle famiglie degli infoibati nel settembre 1943 in Istria e nel maggio 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito.È giusto, è doveroso ricordare foibe ed esodo, le nostre vittime, i nostri dolori, ma non si dovrebbero tacere il contesto storico, le colpe del fascismo che portarono alla sconfitta ed alla perdita di quelle regioni. Non si dovrebbero tacere o volutamente ignorare le vittime delle popolazioni slave oppresse, martoriate e decimate dapprima nel ventennio fascista in Istria ed a Zara, ma soprattutto nella seconda guerra mondiale. Sulla bilancia e nel contesto storico vanno messi, dunque, anche i dolori che noi abbiamo arrecato agli altri.(Giacomo Scotti, estratto dal’articolo “Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi”, apparso sul “Manifesto” il 5 febbraio 2014 e ora ripubblicato integralmente il 10 febbraio 2020, vista la sua scottante attuatità. Saggista e storico, da giovane antifascista emigrò in Istria e visse tra Pola e Fiume. Dal 1986 vive tra Italia e Croazia, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti).Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.
-
Foibe a senso unico: così il Mago nasconde la verità storica
Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia entica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.Di foibe, come aperta minaccia terroristica, i primi a parlare furono proprio i fascisti. Ma è come se fosse vietato ricordarlo, oggi, mentre il paese commemora gli italiani atrocemente inghiottiti dalle cavità carsiche. Si dimentica regolarmente che quel massacro, per decenni oscurato, fu una vendetta: spaventosamente inaccettabile, ma pur sempre innescata da eventi predecenti, altrettanto abominevoli. Il periodo sembra particolarmente favorevole, per cancellare interi capitoli del passato. Oggi l’Unione Europea tenta di equiparare il comunismo al nazifascismo: pessima idea, secondo un storico come Alessandro Barbero. Mentre il fascismo durò vent’anni in Italia e il nazismo poco più di un decennio in Germania, la parola comunismo cominciò a risuonare nell’Ottocento come sinonimo di riscatto degli oppressi: 150 anni di speranze, in tutto il mondo, per lo più tradite in modo spietato dove il comunismo è andato al potere imponendo una feroce dittatura, ma comunque coltivate da milioni di persone, convinte di poter liberare l’umanità dalle catene dello sfruttamento. Sempre oggi, in modo sfrontato, Israele tenta di equiparare il virus razzista dell’antisemitismo alla semplice avversione per gli eccessi politici del sionismo, calpestando così anche i milioni di ebrei sterminati – in quanto ebrei, non sionisti – dal nazismo hitleriano, in quell’inarrivabile unicum nella storia umana che fu la lucida pianficazione dell’annientamento su base “razziale”.In un mondo in cui è “normale” che una superpotenza si permetta di assassinare impunemente un leader ostile in visita in un paese terzo, seppellendolo sotto una pioggia di missili, l’ultima cosa che può sorprendere è il coro nazionale italiano che, nel rendere giustamente omaggio alle vittime delle foibe titine, dimentica di interrogarsi sulle eventuali ragioni di quella tragedia: non certo per giustificarla, ovviamente, ma almeno per provare a decifrarne la genesi. La domanda mancante è quella fondamentale: perché. Nel suo studio sulla costante manipolazione della realtà, il simbologo Gianfranco Carpeoro mette a fuoco una dicotomia rivelatrice: da una parte quello che chiama “pensiero magico”, dall’altra il razionale “pensiero simbolico”. Carpeoro chiama “magico” il pensiero manipolatorio offerto dal “mago”, l’illusionista. La sua missione: indurre gli altri a fare quello che vuole lui, spiegando solo come farlo, e non anche perché. Al contrario, il “pensiero simbolico” costringe a domandarsi il perché di tutto. Come mai i partigiani di Tito gettarono nelle foibe migliaia di italiani in Istria e nella Venezia Giulia? Perché i titini erano mostri comunisti e slavi, cioè due volte cattivi. E’ imbarazzante il fatto che questa risposta – fornita dal “mago” – sia l’unica, oggi, in circolazione. Se non ci si vaccina, dal “pensiero magico”, domani colpirà ancora (non importa chi). E nessuno si accorgerà del trucco.(Giorgio Cattaneo, 17 febbraio 2020).Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia etnica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.
-
ControTv, in diretta: Chiesa e Mazzucco aggirano YouTube
Attenti a quei due: da anni sfidano il mainstream, smontando le sue leggende, e non hanno ancora smesso di impensierire il Grande Fratello. Tant’è vero che, non appena la nuova iniziativa è finita su una pagina Facebook con oltre 40.000 contatti, la segnalazione è stata trasmessa in automatico solo a 9.000 follower. Già si annusano guai in vista, ipotizza Massimo Mazzucco, titolare della pagina stranamente “filtrata”: il mitico algoritmo di Zuckerberg sospetta che il suo nome, unito a quello di Giulietto Chiesa, possa essere sinonimo di grane? Del resto, quello è il sistema che dispensa sonni tranquilli al cittadino, magari invitandolo a rifugiarsi nel politically correct come nel caso del polverone attorno alla commissione Liliana Segre. Sacrosanto condannare chi insulta i reduci della Shoah, beninteso: purché questo poi non venga usato per silenziare chiunque la pensi diversamente, sui temi più disparati. «Vale anche per il revisionismo: un conto è oltraggiare i reduci, un altro è avere idee differenti sulla storia. Proibirle non è forse contrario alla libertà di parola tutelata dalla Costituzione?». E poi: «Perché la versione ufficiale dovrebbe essere obbligatoria solo per la Shoah, di cui si stabilisce il numero di vittime senza mai interrogarsi sulle vere cause del nazismo e sui sostenitori occulti di Hitler?». A quel punto, dice Mazzucco, si emani una verità ufficiale su ogni altro tema, e buonanotte a tutti.
-
Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
-
Ashkenaz, il super-sapiens, ci schiavizza col debito eterno
Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.La solita, bieca massoneria mondiale? Gli uomini invisibili del famigerato “complotto giudaico-massonico” caro ai cospirazionisti? Nemmeno, scrive Cianti, mettendo a fuoco un altro gruppo, che definisce “super-sapiens”. «Si chiamano Ashkenazi, e si sono mimetizzati tra gli ebrei, a insaputa degli ebrei stessi. Ma attenzione: gli “Ahskenazim” non sono ebrei, e nemmeno semiti. Sono i veri manipolatori dell’umanità, fin dai primordi, attraverso il denaro e il credito usuraio». Sarebbero stati loro a danneggiare in primo luogo gli ebrei, provocando la catastrofe dell’antisemitismo. Da dove spuntano? Ne parla la Bibbia, probabilmente, quando – nella Genesi – racconta la “fabbricazione” degli adamiti: strani ibridi, praticamente degli Ogm ante litteram, clonati mescolando i geni del sapiens con quelli dei Figli delle Stelle, che l’Antico Testamento chiama Elohim (come Yahvè e colleghi) mentre per i Sumeri si chiamavano Anunna o Anunnaki. Stessa schiatta di dominatori – venuti dal cielo, secondo il sumerologo Zecharia Sitchin, affascinante e controverso teorico della paleo-astronautica. La missione: trasformare la Terra, fino a quel momento popolata solo da tribù nomadi, in un immenso campo di lavoro.Per produrre cibo, energia e poi anche tecnologia occorrevano “servi” intelligenti e obbedienti, i sapiens, che ancora non c’erano. E per dirigere i sapiens ci voleva una super-razza, in grado di dominarli per conto terzi. Impressionante la consonanza con le rivelazioni che l’avvocato Paolo Rumor affida al saggio “L’altra europa”, edito da Panda, con prefazione dell’eminente politologo Giorgio Galli. La tesi: un’élite immutabile, sempre la stessa, reggerebbe il mondo da quasi 12.000 anni. Origine: Golfo Persico, poi Mesopotamia, Egitto, Mediterraneo fenicio e poi minoico e greco-romano. Pietra miliare: l’antico insediamento nella città caldea di Ur, alla foce del Tigri. E’ la stessa geografia che ripercorre Cianti, inseguendo il fantasma dei progenitori di quelli che (erroneamente, sostiene) verranno poi chiamati “ebrei askhenaziti”, diffusisi nell’Est europeo. La comparsa dell’Adàm biblico, «non ancora ebraico, verosimilmente sumero», risalirebbe a un’epoca collocabile tra il 15.000 e il 20.000 avanti Cristo. Seguono 9 discendenti quasi millenari, i patriarchi pre-diluviani, fino ad arrivare a Noè, cioè intorno all’anno 5.600.Stando alla Bibbia, Noè generò Sem, Cam e Jafet. Da Sem si arriva a Giacobbe-Israele per linea retta attraverso Ever, Terach, Abramo e Isacco: in altre parole, ecco gli ebrei (quelli veri), poi suddivisi nelle famose 12 tribù, inclusa quella israelitica di Giuda e Davide. «Quindi – conclude Cianti – solo i discendenti di Abramo possono essere considerati semiti». Gli altri, cioè la super-razza di cui si occupa “Benvenuti all’inferno”, sarebbero la discendenza di Jafet: il fratello di Sem e Cam «generò tra gli altri Gomer, capostipite dei Cimmeri», il cui figlio si chiamerà Ashkenaz, «dall’assiro Askuza»: nome col quale, secondo la Tavola nelle Nazioni, «si indicavano i popoli nomadi della regione sciita del Caucaso». Insieme ai Minniti e al Regno di Ararat, continua Cianti, i nomadi caucasici Ashkenaz si opposero ai Babilonesi, almeno secondo la Bibbia (Geremia 51-27), e in seguito diedero origine ai popoli slavi. «Gli Ashkenaziti – conclude Cianti, citando sempre l’Antico Testamento – sono dunque “jafeti”, cimmeri o sciiti – ma non semiti, quindi non ebrei».Per l’autore si tratta di un “cluster genetico” autonomo, «una popolazione nomade di origini turcomanne che si reinventa continuamente». Prima sciiti (da “sak”, nomade), poi Kazari (dal turco “qaz”: nomade, ancora). Per Cianti erano di religione tengrista, un mix di sciamanesio, animismo e totemismo diffuso nell’Asia Centrale. «Si convertirono all’ebraismo per convenienza», e molto tardi: solo fra il 740 e il 920 dopo Cristo. «Alla dissoluzione del Canato di Kazaria, conquistato dal russo Sviatoslav I, si dispersero in tutta Europa, attribuendosi l’appellativo di “ebrei erranti”», evidentemente abusivo. Nell’alto medioevo, continua Cianti, li ritroviamo nella valle del Reno e nel Nord della Francia: «Ed è da questo momento che iniziano a usare l’yiddish, lingua germanica con elementi di ebraico e aramaico». Poi si spostano verso Est: Lituania e Polonia, Moldavia, Russia. Il ritorno in Germania comincerà nel 1200 e terminerà solo nell’Ottocento. In tutti quei secoli, scrive l’autore, gli Askuza-Ashkenaz sciameranno di terra in terra perché «perseguitati per l’attività usuraia». Sono loro gli “inventori” del sistema creditizio?Il prestito a interesse, dice Cianti, compare contemporaneamente in Mesopotamia, India e Cina. «L’invenzione stessa della scrittura nasce lì, da quella nuova necessità». A Uruk (oggi Warka, Iraq) a raccontare quella storia sono 5.000 tavolette d’argilla risalenti al quarto millennio avanti Cristo: «Si iniziò allora a parlare di prestiti, tassi d’interesse, garanzie, usura, derivati e pignoramenti». La banca dell’epoca era il Tempio; non prestava solo denaro ma anche cereali, vino e birra, metalli pregiati: «Si cominciò a prestare argento a tassi fino al 60%». Attraverso il mondo mesopotamico, poi fenicio e persiano, ellenico e romano, il network nomade del denaro si trasferisce dove gli conviene, tendenzialmente da Est a Ovest, col progredire dei nuovi fiorenti imperi. Proto-scienziati della finanza? Cianti li chiama “i nostri mandriani”. Il loro metodo non cambia: usura, per conquistare il potere. Obiettivo: «Mantenere nella sottomissione non solo le masse ma anche gli stessi governanti, che in pratica diventano i loro burattini. E se qualcuno di loro si oppone, viene destituito o ucciso, come i Kennedy».Per Cianti, gli Ahskenaz restano un gruppo ristretto e rigorosamente chiuso al suo interno, per via matrilineare, attraverso i secoli. Sono i “ruler”, gli attuali “padroni dell’universo”. Veri fenomeni: si tratta di «individui di eccezionale intelligenza». Oltre a mercanti e banchieri, nei millenni, «hanno espresso anche filosofi, scienziati, pensatori che hanno determinato le sorti dell’umanità». L’élite dell’élite: «Nomadi e apolidi, seguono lo sviluppo dei più importanti centri di potere, in una traiettoria sempre diretta verso ovest che oggi, dalla West Coast degli Stati Uniti, ha spiccato il balzo verso la Cina». Sono loro i teorici e i registi del globalismo finanziario, secondo Cianti: religioni e massonerie, Ur-Lodges e centri di potere paramassonici sarebbero solo cinghie di trasmissione del super-sapiens Ashkenaz, protagonista del club più inaccessibile del vero potere.Lungo le sue 400 pagine, “Benvenuti all’inferno” esamina con estrema cura le più recenti asserzioni scientifiche, dall’astrofisica alla paleontologia fino alla climatologia, demolendo Darwin: «La Terra è passata attraverso eventi catastrofici che hanno provocato ripetute estinzioni di massa. E ogni volta il pianeta è stato ripopolato con specie nuove, che non avevano niente a che fare con le precedenti». Fino al sapiens, ultimissimo prodotto di queste “introduzioni”: «Una specie bio-ingegnerizzata, nel cui corredo è stato introdotto Stamina, il gene della paura che ci rende così docili di fronte al potere». Nel saggio “Resi umani” scritto con Mauro Biglino, il prestigioso biologo molecolare Pietro Buffa (già attivo al King’s College di Londra) spiega che il “missing link” tra uomo e scimmia non è mai esistito: a quanto pare siamo stati “fabbricati” diversi, dalla nascita, ben distinti dai primati e dagli stessi ominidi – persino dal Neandearthal, a noi vicinissimo nel tempo, probabilmente sterminato dai nostri antenati.A lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, Biglino sostiene che l’Antico Testamento – alla lettera – racconti l’avvento sulla Terra dei Figli delle Stelle. Proprio loro avrebbero “costruito” il sapiens, riservandosi poi la “fabbricazione”, sempre per via genetica, di una super-specie di lavoratori particolarmente intelligenti: gli adamiti, collocati nel Gan-Eden (da cui poi furono cacciati, dopo che ebbero scoperto la possibilità di riprodursi in modo autonomo, sessualmente). Tuttora, nessun sumerologo sa spiegare esattamente l’origine della civiltà sumera, sorta improvvisamente appena a Sud del Gan-Eden (situato nel Caucaso) e immediatamente dotata di favolose competenze tecniche: scrittura e architettura, matematica, astronomia. E soprattutto: agricoltura. «Proprio la rivoluzione agricola – sostiene Cianti – ha cambiato in modo irrimediabile il pianeta, devastando i suoli e sottraendo acqua, impoverendo la nostra dieta e determinando una vera e propria mutazione antropologica: i primi sapiens erano liberi di muoversi e cacciare, noi invece siamo schiavi inurbati, costretti a lavorare e a nutrirci di cibo ormai avvelenato».La stanzialità come sciagura è il tema del saggio “Dominio”, nel quale Francesco Saba Sardi collega all’introduzione dell’agricoltura la nascita del nuovo potere, prima sconosciuto, che “inventa” la religione per trasformare gli esseri umani in servi, lavoratori della terra e soldati. Figure sociali che non esistevano, prima del neolitico: nacquero con l’agricoltura insieme alla religione e alla sua sorella gemella, la guerra, grazie alla comparsa di quell’inedito potere, configurato in forma di dominio. A questo, Giovanni Cianti aggiunge un’altra disgrazia: l’alimentazione. Giornalista e già pubblicitario, appassionato studioso di biologia, Cianti è anche e soprattutto un nutrizionista, disciplina attraverso cui ha rivoluzionato la pratica del body-building partendo proprio dalla dieta. La minaccia più grande? L’abuso di cereali. Il pane – che ha nutrito milioni di individui – viene dal grano, che è comparso sulla Terra di colpo. Discende dal farro selvatico, che però non è commestibile. Chi l’ha trasformato geneticamente in cereale dolce, da farina? I medesimi, misteriosi individui – si suppone – che allo stesso modo, all’epoca di Adamo ed Eva, “fabbricarono” la patata, insieme con la pecora.Cibo pronto uso e a basso costo, per schiere di futuri lavoratori? L’ipotesi è ora vagliata da scienziati di tutto il mondo, ormai convinti che convenga rivalutare e rileggere con occhi nuovi i testi antichi, poi trasformati arbitrariamente in “libri sacri” dalle religioni che, più tardi, se ne impossessarono, travisandoli: e se in quelle pagine ci fossero gli indizi di una storia attendibile? Se cioè il racconto – incluso quello biblico, con la comparsa degli Elohim (Figli delle Stelle) – spiegasse davvero la nostra origine genetica, altrimenti non ricostruibile solo per via evolutiva? Nel qual caso, dice Cianti, sarà meglio aggiungere una riflessione piuttosto decisiva: se qualcuno – venuto dal cielo? – impiantò sulla Terra la sua “mandria” da mungere, di sicuro non scordò di assicurarla alla custodia di servitori speciali e fidatissimi, a loro volta “bio-ingegnerizzati” alla bisogna: i nostri “mandriani”.Non manca nessuno, nella “hall of fame” dei dominatori che Cianti esibisce, dai secoli passati fino ai giorni nostri: spicca il visionario oligarca Jacques Attali, lo sconcertante mentore di Emmanuel Macron, oscuro profeta del transumanesimo post-democratico. C’è l’eterno Zbigniew Brzezinski, lo storico stratega della Casa Bianca (sodale di Kissinger) che reclutò in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, poi protagonista della strategia della tensione globale sotto l’egida dei Bush. Riflettori su Al Gore, l’ex vice di Clinton, ormai «frontman mondiale della bufala del global warming di origine antropica», il nuovo catechismo recitato dalla piccola Greta, la ragazzina svedese spuntata (in apparenza) dal nulla. Gore ha appena vinto due Oscar con il documentario “Una scomoda verità”, «diretto dal regista “ashkenazi” Davis Guggenheim». Manipolazione? «Se è per questo, erano “ashkenazi” anche Walt Disney e Edward Bernays, l’inventore della propaganda pubblicitaria», dice Cianti, «come pure i fratelli Andy e Larry Whachowski», gli sceneggiatori di “Matrix”, film nato per metterci in guardia «sul destino della “mandria umana”, costretta a vivere come nella caverna di Platone, cioè in un mondo virtuale completamente avulso dalla realtà».Tra i protagonisti negativi, invece, dominano politici e finanzieri: si va da Madeleine Albright, che difese la necessità inevitabile del bagno di sangue nei Balcani negli anni ‘90, alla quasi-popstar George Soros, «ashkenazi di elevata esposizione mediatica, quindi verosimilmente di rango inferiore». Nulla, in confronto ai veri “dominus”, più appartati, come ad esempio i campioni delle celeberrime dinastie Rothschild, Warburg e Rockefeller, sinistramente implicati nell’ascesa di Hitler (e nel nascente sionismo), ben sapendo che il dittatore nazista avrebbe sterminato milioni di ebrei: era il mostruoso prezzo necessario per ottenere poi lo Stato di Israele? Incubi e interrogativi storici a parte, dell’immenso potere di quelle famiglie parla anche il professor Pietro Ratto nei suoi recenti saggi, che rivelano l’incredibile pervasività (purtroppo attualissima) della loro influenza, persino nell’odierna editoria scolatica validata dai ministeri attraverso commissioni, strutture e aziende di cui non parla mai nessuno. Ma quei nomi così famosi – i vituperati Rothschild, tanto per cambiare – potrebbero essere solo la vetta dell’iceberg, la parte visibile.Chi sono e cosa vogliono, quelli che Cianti chiama “i nostri mandriani”? Lo spiega lo stesso Attali, nella sua “Breve storia del futuro”, «libro che anticipa le mosse dei “mandriani” fino al 2100», fornendo «una descrizione terrificante delle loro intenzioni nonché l’evidenza di una straordinaria assenza di empatia, mista a follia e delirio di onnipotenza». L’umanità ridotta a formicaio pilotabile, prevedibile? Il genere umano eventualmente anche sterminabile, all’occorrenza, con le pratiche più insospettabili? Cianti menziona il cibo cancerogeno, i medicinali-killer e l’imposizione di vaccini pieni di alluminio e altri metalli pesanti, come quelli che scendono dal cielo, da una ventina d’anni, diffusi nella bassa atmosfera dalle strane scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Di fronte a questo, il mainstream grida immancabilmente al complottismo, fingendo di non sapere che le teorie più eretiche (incluse quelle bislacche e ridicole) nascono proprio dal silenzio ufficiale, dalla ostinata reticenza di chi dovrebbe fornire spiegazioni convincenti dei fenomeni che allarmano la popolazione. Peccato che sia lo stesso sistema dei media a essere strettamente detenuto da pochissime mani.Oltre a controllare Intesa SanPaolo e Unicredit, scrive Cianti, la filiera Rothschild («connessa agli Agnelli-Elkann e ai Caracciolo») è presente in Facebook, in Telecom Italia, nell’agenzia “Reuters”, nel francese “Libération”, nei britannici “Daily Telegraph” e “The Economist”. Sempre secondo Cianti, il gruppo Rcs (Rizzoli e “Corriere della Sera”) è invece appannaggio della scuderia Rockefeller, mentre il gruppo Sassoon controllerebbe “Sunday Times” e “The Observer”. Stessa musica per i grandi network televisivi internazionali. In Italia, aggiunge Cianti, «appartiene al “cluster” anche Carlo De Benedetti», fondatore del gruppo “Espresso-Repubblica”, che «ha alle spalle Lazard e Lehman Brothers». Un’unica discendenza, addirittura, collegherebbe gli attuali Master of the Universe? «La risposta definitiva – ipotizza Cianti – potrebbe venire dall’Us Trust Corporation, istituita a suo tempo da Walter Rothschild», che però è inaccessibile alla consultazione pubblica. «Secondo alcuni “insider” – aggiunge l’autore del saggio – si tratterebbe di otto-dieci linee di sangue millenarie». I nomi? Goldman Sachs, Rockefeller, Lehman e Kuhn-Loeb di New York. Poi i Rothschild di Parigi e Londra. Poi gli inglesi Windsor, già Sassonia-Coburgo-Gotha, insieme ai Warburg di Amburgo, ai Lazard di Parigi, alla dinastia Israel Moes Seif di Roma.Si tratta di «famiglie che da sole posseggono tutte le banche e le corporation del mondo, attraverso un sistema di scatole cinesi: il vertice della piramide, totalmente “ashkenazi”, resta estremamente ristretto e al di fuori di ogni forma di controllo». Gioielli della collezione, dagli Usa all’Europa fino alla Cina, le superpotenze bancarie: Hsbc Holding, Bnp Paribas, Jp Morgan, Icbc Bank of China e Agricoltural Bank of China, Wells Fargo, Bank od America, China Construction Bank. In generale, scrive Cianti, il meccanismo del big business «riguarda tutti i settori industriali strategici: cibo ed energia, farmaci, armi, informazione e intrattenimento, ma anche droga e traffico di esseri umani e di organi». Il volume mastodontico dell’attuale sistema iper-capitalista e neoliberale, interconnesso dalla globalizzazione, lo fornisce ad esempio il database Orbis 2007, che (come documenta uno studio svizzero pubblicato nel 2011 da “Plos One”) ha passato al setaccio qualcosa come 37 milioni di aziende e investitori globali. Le strutture che detengono il 97% della ricchezza del pianeta, riassume Cianti, sono soltanto 147: in cima alla classifica Barclays, Capital Group Companies, Frm Corporation, Axa Assicurazioni, State Street Corporation, Jp Morgan, Legal General Group, Vanguard Group, Ubs e Merrill Lynch.«Una rete capillare ed estesa, di soggetti che si posseggono a vicenda». Blackrock, «il più grande fondo d’investimento del pianeta, fondato da Lawrence Fink (ashkenazi) ha tra i maggiori azionisti Pnc Financial Service, Norges Bank, Vanguard, Bank of America, Wellington Management Group». A sua volta, Jp Morgan è gestita da Vanguard e Blackrock, insieme a State Street, Bank of New York e altri soci. Sempre le stesse aziende possiedono anche il colosso farmaceutico Merk. La notizia? Secondo Cianti, il vertice è costituito da consanguinei, tutti discendenti dell’ipotetica, originaria super-razza, quella che già agli albori della civiltà inventò il “debito inestinguibile”. Dalla Mesopotamia si arriverebbe tranquillamente fino ai veri campionissimi del terzo millennio, come il sudafricano Elon Musk, fondatore della Tesla, e il fenomenale Mark Zuckerberg, l’enfant prodige di Facebook. A proposito, chi c’è nell’azionariato del social network che “scheda” oltre due miliardi di esseri umani? «Sempre gli stessi: Vanguard e Blackrock, Frm-Lcc, State Street Corporation, Prince T Rowe, Capital World Investors».Globalizzazione? Termine in uso dagli anni ‘80, quando si pianificò l’abolizione dei dazi per merci e capitali. Ma, stando a Cianti, non sarebbe che l’ultimo passaggio tecnico del mondialismo ante litteram perseguito dal misterioso “cluster” del super-sapiens, fin dagli albori della nostra storia. Possibile? L’autore invita a riflettere sul vero significato dell’agenda dell’Onu, organismo – pochi lo sanno – poderosamente finanziato da donatori privati (sempre loro, i mattatori del superclan). Mondialismo mercantilista, che dichiara guerra alle identità – di genere, nazione, religione – per omologare la “mandria” che popolerà l’Iper-Impero dopo l’imminente declino della potenza Usa. Un “impero totale” esteso in ogni continente «con la sola eccezione della Russia, che per ora resiste ma finirà accerchiata da America, Europa, Cina e India». Viaggia sempre verso ovest, dunque, il super-sapiens di cui parla Cianti? Lo conferma, secondo l’autore, il matrimonio di Zuckerberg: «Sua moglie, Priscilla Chan, è nata negli Usa da genitori rifugiati Hou, un gruppo minoritario di usurai cinesi del Vietnam». Gli Hou, scrive Cianti, discendono dagli “ashkenazi d’Oriente” come la famiglia Li (o Lee), che duemila anni fa, al tempo della dinastia Zhou – introdussero la moneta cartacea.Oggi, come dire, si sono portati avanti col lavoro: «Già legati a Mao Tse-Tung, hanno espresso presidenti cinesi come Li-Peng e Li-Xinnian. Oggi, Lee Kwan Yew è il presidente di Singapore». Un altro esponente della dinastia, Li Ka-Shing, secondo “Forbes” ha un patrimonio di 4 miliardi di dollari, mentre Li Kwok-Po gestisce la Bea (Banca dell’Est Asiatico) agendo «in collegamento coi Warburg e restando in ottimi rapporti coi Rothschild, i Rockefeller e i Bush». La nuova corsa all’Ovest, assicura Cianti, vede una strana migrazione: i boss dell’impero digitale della Silicon Valley ormai puntano verso la Nuova Zelanda, che sta diventando «il santuario dei super-sapiens ashkenazi». Il passaggio dalla California all’Oceania «sarà seguito dallo spostamento degli iper-nomadi dell’Ordine Mercantile Usuraio in una sede geograficamente più vicina ai loro nuovi affari, cioè il subcontinente indocinese».La Nuova Zelanda? Un’area scarsamente abitata e pressoché intatta, dal punto di vista naturalistico. Il resto del mondo, invece – prevede Cianti, in modo apocalittico – sarà «costretto a condizioni invivibili, catastrofi climatiche, epidemie indotte, crollo dell’ordine pubblico, terrore nucleare e collasso della civiltà». Le isole dell’Oceania «saranno l’ultimo rifugio: il nuovo santuario dell’élite, sicuro e intoccabile». Scrive Cianti: «Centinaia di tecno-plutocrati e finanzieri stanno acquistando terreni in queste isole per costruire lussuose ville-bunker. Il Deep State, cioè il vero potere dell’impero americano, ha già creato il governo del “santuario”: si tratta di una oligarchia socialista, che li accoglierà garantendo loro sicurezza, anonimato e impunità». L’attuale primo ministro neozelandese, la trentanovenne Jacinda Ardern, già leader dell’Unione internazionale della gioventù socialista, «è una creatura di Hillary Clinton, che le ha fatto da mentore nella carriera politica», guidandone l’ascesa.Il recente attentato di Christchurch contro le moschee musulmane, lo scorso marzo – aggiunge Cianti – era una classica “false flag” (con morti reali) escogitata «per testare la rapidità con la quale si riesce a far sparire da Internet ogni testimonianza diretta di una strage», e ha fornito «il pretesto per disarmare immediatamente tutti i civili del paese». E’ già una specie di bunker, la Nuova Zelanda: «Per risiedervi sono necessari beni per milioni di dollari, oppure bisogna essere cooptati in quelle ristrettissime liste di personale di servizio necessario al sistema. Ogni altra forma di immigrazione è proibita e immediatamente repressa», alla faccia della politica di accoglienza (quella che oggi, per dire, viene imposta all’Italia). Allucinazioni fantapolitiche? Non proprio: nel suo ponderoso volume, ad ogni pagina, l’autore acclude note, link, riferimenti, citazioni. “Benvenuti all’inferno” si inserisce nella recente letteratura divulgativa che tenta di dare risposte ai pesanti interrogativi del presente, rileggendo la storia antica e provando a sincronizzarla con l’attualità.E’ l’ennesimo catastrofista, Angelo Cianti? In realtà si mostra ottimista rispetto alle possibilità del libero arbitrio. Non smette di credere nel sapiens, in fondo. E infatti sogna di rinaturalizzare l’Appennino con il suo Evo Village Project, presentato nel 2018 al ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio. Obiettivo: ricolonizzare i versanti con una rete di ecovillaggi, verso un’economia sostenibile e slegata dalle catene del sistema-debito. La sua tesi sul ruolo dell’ipotetico super-sapiens rischia di apparire fin troppo facilmente demonizzante, col risultato di introdurre discriminazioni “etniche” e scoraggiare i lettori, posti di fronte a un avversario super-umano e quindi invincibile? Intanto, è notevolissimo lo sforzo compiuto dall’autore nel collegare realtà in apparenza lontane fra loro, nel tempo e nella geografia planetaria. Uno stimolo per farsi domande, allargare la mente e verificare connessioni, scovando strane coincidenze nel ricorrere, invariabile, delle medesime “famiglie” che – come si può vedere – in molti casi detengono da secoli (da millenni, secondo Cianti) le redini del globo. Dinastie che mostrano la straordinaria capacità di rendersi invisibili, mimetizzandosi nella società – magari anche a spese dei veri israeliti, di cui si parla spessissimo a sproposito.(Il libro: Giovanni Angelo Cianti, “Pianeta Terra, benveuti all’inferno! Passato, presente e probabile futuro della mandria umana”, Evo Editorial, 401 pagine, euro 27,78 su Amazon).Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.
-
Magaldi: dietro a Dugin (e Putin) c’è l’oligarchia più antica
Pensavate fosse amore, e invece era un calesse? Ma non serve ricorrere a Massimo Troisi per smontare la Quarta Via del filosofo Alexander Dugin, ideologo vicinissimo al Cremlino. Basta e avanza Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, di impronta keynesiana. Curiose coincidenze: Dugin gira l’Europa (e l’Italia) spacciando per nuovissima la sua ricetta obsoleta – il ritorno alla tradizione pre-democratica – proprio mentre Vladimir Putin, sul “Financial Times”, decreta il decesso del liberalismo. Messaggio di forza, da parte dell’autocrate russo? «Al contrario: dopo anni di ascesa costante, oggi il consenso di Putin è meno solido. E la sua uscita ricorda quella di Licio Gelli, che accettò di parlare al “Corriere” proprio alla vigilia del crollo della P2». Questo non significa che Putin stia per cadere. L’invito, semmai, è a leggere tra le righe: è davvero così invitante, la “democratura” di Mosca – magnificata da Dugin – dove i giornalisti vengono messi a tacere? Sul tappeto c’è davvero uno scontro geopolitico con l’Occidente, come ai tempi della guerra fredda? O per caso, invece, non sarebbe meglio inforcare gli occhiali giusti e ricordarsi che Putin, prima ancora che ai russi, risponde ai “fratelli” della Golden Eurasia, potente superloggia neoconservatrice nella quale milita anche Angela Merkel?
-
Perché l’Iran: Usa e Israele stan perdendo il Medio Oriente
Spirano venti di guerra nel Golfo Persico, dove all’inasprimento delle sanzioni economiche contro l’Iran si aggiunge un numero crescente di provocazioni militari: la speranza di Washington è che il regime iraniano imploda sotto il peso delle molteplici pressioni ma, data la solidità di quest’ultimo, non è neppure escludibile un attacco militare diretto, di qui al 2020. Meglio sarebbe, ovviamente, se Teheran cadesse nella trappola di attaccare per primo. Alla base della strategia angloamericana c’è sicuramente la volontà di mantenere la superiorità regionale di Israele, destabilizzando il principale avversario; c’è, però, anche la volontà di scardinare una potenza terrestre che, a fianco di Russia e Cina, sta “organizzando” il Medio Oriente con importanti infrastrutture. Nella nostra analisi geopolitica per il 2019, “Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese”, non ci eravamo ovviamente scordati di menzionare l’Iran che, sin dall’inverno 2017/2018, era stato preso di mira dall’amministrazione Trump. Ai soliti tentativi di rivoluzione colorata, si è aggiunto, nel corso del 2018, un ritorno alle sanzioni, sospese durante l’era Obama: la presidenza democratica, già impegnata nella destabilizzazione della Siria (e nel tentativo di scatenare una guerra turco-iraniana), aveva infatti allentato la morsa sull’Iran, per impedire che questo si gettasse nelle braccia della Russia.“Persa la guerra” in Siria, per gli Usa è tornata prioritaria la caduta del regime iraniano, caduta che si spera di facilitare strangolando la sua economia e impedendo l’esportazione di idrocarburi. Inizialmente, gli Usa avevano concesso una “esenzione” di 180 giorni ai principali acquirenti di greggio iraniano, poi non rinnovata nell’aprile scorso: chi avesse continuato a fare affari con Teheran, sarebbe incappato nelle contromisure americane. L’ennesimo round di sanzioni (che, in sostanza, affliggono l’Iran dal 1979), colpisce duro soprattutto i paesi industrializzati o in via di industrializzazione dell’Asia: Turchia, India, Cina, Giappone e Sud Corea. Tokyo, quarta consumatrice mondiale di greggio e decisa a non appiattirsi completamente alla strategia angloamericana, si è fatta protagonista di una singolare iniziativa: benché il suo governo si sia impegnato a tagliare gli acquisti di greggio iraniano, Shinzo Abe è volato a Teheran (la prima visita di un premier giapponese nella Repubblica Islamica!) per stemperare le tensioni e, ovviamente, mettere in sicurezza gli approvvigionamenti energetici del Giappone, che sarebbe duramente colpito da uno choc petrolifero.“L’insubordinazione” giapponese, proprio mentre gli angloamericani erano impegnati a fare terra bruciata attorno all’Iran, è stata punita col classico attacco piratesco delle potenze marittime: mentre Shinzo Abe ed il presidente Hassan Rouhani erano a colloquio, due petroliere, di cui una giapponese (la Kokuka Courageous) sono state colpite il 13 giugno nello stretto di Hormuz, davanti alle coste iraniane. Inizialmente si è parlato di siluri, ma i danni sopra la linea di galleggiamento fanno propendere per l’impiego di missili: con un’incredibile sfacciataggine, il segretario di Stato Mike Pompeo ha prontamente accusato l’Iran. Il crescendo di tensioni e provocazioni (tra cui l’invio aggiuntivo di 1.000 soldati in Medio Oriente) è culminato con l’abbattimento, il 21 giugno, di un drone americano sopra i cieli iraniani. Il mondo, ora, aspetta col fiato sospeso gli sviluppi della vicenda: un attacco all’Iran, afferma il presidente russo Vladimir Putin, sarebbe «catastrofico». Il sogno angloamericano sarebbe, ovviamente, che il regime iraniano implodesse sotto il peso delle sanzioni o, perlomeno, attaccasse per primo: è, tuttavia, uno scenario irrealistico, vuoi per la comprovata resilienza del regime alle sanzioni, vuoi per la rinomata prudenza iraniana.Un attacco militare angloamericano, magari innescato da qualche “incidente di frontiera”, resta quindi una realistica opzione, di qui al 2020. L’Iran, intanto, ha dichiarato di voler procedere con l’arricchimento dell’uranio dopo il naugrafio degli accordi dell’era Obama. In questa sede, però, ci interessa soprattutto inquadrare lo scontro in un’ottica geopolitica, cioè nel più ampio scontro tra Terra e Mare. È indubbio che l’amministrazione Trump sia sensibilissima alle esigenze di sicurezza di Israele: abbattuto l’Iraq bahatista, fallito il tentativo di impiantare un “Sunnistan” tra Siria e Iran, Teheran è ormai in grado di proiettarsi sino al ridosso di Israele. La distruzione del regime iraniano è una priorità israeliana e, quindi, americana. Tuttavia, non bisogna mai scordare che Israele assolve anche a un’importante funzione per le potenze marittime: quella cioè di mantenere in costante instabilità il Medio Oriente ed impedire che qualche potenza continentale “organizzi” la regione.Turchia e Iran, due potenze dell’Heartland in termini mackinderiani, sono gli storici “organizzatori” del Levante e della Mesopotamia: un elemento che sicuramente ha contribuito alla decisione angloamericana di aumentare la pressione sull’Iran è stato, in parallelo al suo rafforzamento militare in Siria, la sua volontà, annunciata lo scorso aprile, di costruire una ferrovia transnazionale dall’altopiano iranico sino al Mediterraneo. Poco importa se su questa ferrovia dovessero viaggiare solo merci o turisti, in ogni caso l’Iran espanderebbe la sua influenza sino al mare, attirando nelle propria orbita i vicini, e, presto o tardi, renderebbe irrilevante Israele (e gli angloamericani). La natura geopolitica dello scontro in atto (dove per “geopolitico” si intende specificatamente la dialettica Terra-Mare) spiega anche la convergenza in atto dell’Iran verso le altre due potenze dell’Heartland per eccellenza, Russia e Cina. Mosca, impegnata nelle operazioni militari in Siria, ha sinora cercato di mantenere un certo equilibrio tra Israele e Iran: tuttavia, non c’è alcun dubbio che, qualora quest’ultimo fosse attaccato, la Russia fornirebbe assistenza militare attraverso il Mar Caspio per sostenere l’urto angloamericano.Il fronte meridionale della Russia è ora relativamente “in sicurezza”; lo sarebbe molto meno se il regime iraniano dovesse cadere. Un discorso analogo vale per la Cina: non solo l’Iran è una preziosa fonte di approvvigionamento di petrolio per Pechino, ma è anche un tassello chiave del corridoio centrale della Via della Seta, che dovrebbe portare i treni cinesi fino a Istanbul passando proprio per Teheran. Un attacco all’Iran, con il suo immediato contagio di caos e violenza a tutto il Medio Oriente, rischierebbe di ritardare per anni il corridoio centrale; un’implosione del regime per decenni. Ecco perché anche Pechino ha interesse a sostenere l’Iran in questo difficilissimo momento. Zbigniew Brzezinski aveva già previsto nel 1997, nel suo The Grand Chessbord, la possibile nascita di un’alleanza “anti-egemonica” (ossia anti-angloamericana) tra Russia, Cina e Iran. «Theresult could, at least theoretically, bring together the world’s lead-ing Slavic power, the world’s most militant Islamic power, and theworld’s most populated and powerful Asian power, thereby creating a potent coalition». Quest’alleanza è in nuce, e gli Usa stanno facendo di tutto per spingere verso la guerra il membro più debole del “blocco continentale”: se guerra sarà, Cina e Russia non staranno sicuramente a guardare.(Federico Dezzani, “Perché l’Iran”, dal blog di Dezzani del 21 giugno 2019. La traduzione del passo di Brzezinski: «Almeno teoricamente, potrebbero unirsi il principale potere slavo del mondo, la potenza islamica più militante del mondo e il potere asiatico più popoloso e potente del mondo, creando così una potente coalizione»).Spirano venti di guerra nel Golfo Persico, dove all’inasprimento delle sanzioni economiche contro l’Iran si aggiunge un numero crescente di provocazioni militari: la speranza di Washington è che il regime iraniano imploda sotto il peso delle molteplici pressioni ma, data la solidità di quest’ultimo, non è neppure escludibile un attacco militare diretto, di qui al 2020. Meglio sarebbe, ovviamente, se Teheran cadesse nella trappola di attaccare per primo. Alla base della strategia angloamericana c’è sicuramente la volontà di mantenere la superiorità regionale di Israele, destabilizzando il principale avversario; c’è, però, anche la volontà di scardinare una potenza terrestre che, a fianco di Russia e Cina, sta “organizzando” il Medio Oriente con importanti infrastrutture. Nella nostra analisi geopolitica per il 2019, “Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese”, non ci eravamo ovviamente scordati di menzionare l’Iran che, sin dall’inverno 2017/2018, era stato preso di mira dall’amministrazione Trump. Ai soliti tentativi di rivoluzione colorata, si è aggiunto, nel corso del 2018, un ritorno alle sanzioni, sospese durante l’era Obama: la presidenza democratica, già impegnata nella destabilizzazione della Siria (e nel tentativo di scatenare una guerra turco-iraniana), aveva infatti allentato la morsa sull’Iran, per impedire che questo si gettasse nelle braccia della Russia.