Archivio del Tag ‘socialismo’
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Il Guardian: l’ignobile Schäuble già rovinò la Germania Est
Per capire le richieste di Wolfgang Schäuble nei colloqui di salvataggio, dovete guardare a ciò che ha inflitto al suo paese quando si è riunificato. Ogni dramma ha bisogno di un grande cattivo, e nell’ultimo atto della crisi greca Wolfgang Schäuble, il 72-enne ministro delle finanze tedesco, è emerso come straordinario villain: i critici lo vedono come un tecnocrate spietato che ha usato modi pesanti su un intero paese e ora ha intenzione di spogliarlo del suo patrimonio. Una parte dell’accordo di salvataggio, in particolare, ha scandalizzato molti europei: la proposta di creazione di un fondo progettato per selezionare accuratamente beni pubblici greci del valore di 50 miliardi di euro e privatizzarli per pagare i debiti del paese. Ma la chiave per comprendere la strategia della Germania è che per Schäuble non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Venticinque anni fa, durante l’estate del 1990, Schäuble guidava la delegazione della Germania Ovest che stava negoziando i termini dell’unificazione con la Germania Est ex-comunista.Dottore in legge, era ministro degli interni della Germania Ovest e uno dei più stretti consiglieri del Cancelliere Helmut Kohl, il ragazzo a cui rivolgersi ogni volta che le cose diventavano difficili. La situazione nella ex Rdt non era troppo dissimile da quella della Grecia quando Syriza è salita al potere: i tedeschi dell’est avevano appena tenuto le prime elezioni libere nella loro storia, solo pochi mesi dopo la caduta del Muro di Berlino, e alcuni dei delegati di Berlino Est sognavano un nuovo sistema politico, una “terza via” tra l’economia di mercato dell’ovest e il sistema socialista dell’est – nel frattempo non avevano più alcuna idea di come pagare le bollette. I tedeschi occidentali, dall’altra parte del tavolo, avevano slancio, denaro e un piano: tutto quanto di proprietà dello stato della Germania Est doveva essere assorbito dal sistema tedesco-occidentale e poi rapidamente venduto ad investitori privati per recuperare una parte dei soldi di cui la Germania orientale avrebbe avuto bisogno negli anni a venire. In altre parole: Schäuble e la sua squadra volevano garanzie.A quel tempo quasi tutte le società, i negozi o le stazioni di benzina ex-comuniste erano di proprietà della Treuhand, un’agenzia di fiducia – un’istituzione originariamente pensata da un gruppo di dissidenti della Germania Est per fermare la vendita delle imprese statali alle banche e alle società della Germania Ovest da parte di quadri comunisti corrotti. La missione della Treuhand: trasformare tutti i grandi conglomerati, le aziende e i piccoli negozi in aziende private, in modo che potessero essere parte di un’economia di mercato. A Schäuble e alla sua squadra non interessava che i dissidenti avessero pianificato di distribuire azioni di queste società, emesse dalla Treuhand, ai tedeschi dell’Est – un concetto che per inciso ha portato alla nascita degli oligarchi in Russia. Ma piaceva loro l’idea di un fondo di garanzia, perché operava al di fuori del governo: sebbene tecnicamente supervisionato dal ministero delle finanze, la Treuhand era percepita dall’opinione pubblica come un organismo indipendente. Anche prima che la Germania si fondesse in un unico Stato nell’ottobre 1990, la Treuhand era saldamente nelle mani della Germania Ovest.Lo scopo dei negoziatori della Germania Ovest era privatizzare quante più aziende possibili, il più presto possibile – e se oggi si chiedesse della Treuhand alla maggior parte dei tedeschi, direbbero che ha raggiunto tale obiettivo. Non lo ha fatto in un modo che è piaciuto al popolo della Germania orientale, dove la Treuhand venne rapidamente conosciuta come la faccia violenta del capitalismo. Nello spiegare la trasformazione dell’economia ai traumatizzati tedeschi orientali, che si sentivano sopraffatti da questa strana nuova agenzia, fece un lavoro tremendo. A peggiorare le cose, la Treuhand divenne un ricettacolo di corruzione. L’agenzia si è presa tutta la colpa per la situazione desolante nella Germania dell’Est. Kohl e il partito di Schäuble, il conservatore Cdu, sono stati rieletti per gli anni a venire, mentre altri hanno pagato il prezzo: uno dei presidenti della Treuhand, Detlev Karsten Rohwedder, fu assassinato da terroristi di sinistra. (Anche Schäuble è stato vittima di un attentato che lo ha lasciato permanentemente su una sedia a rotelle, dopo solo pochi giorni dalla riunificazione tedesca – ma le motivazioni del suo aggressore paranoico erano estranee agli eventi politici). Ma la realtà di ciò che ha fatto la Treuhand è diversa dalla percezione popolare – e questo dovrebbe essere un monito sia per Schäuble che per il resto d’Europa.La vendita del patrimonio della Germania Est per il massimo profitto si è rivelata più difficile di quanto immaginato. Quasi tutti i beni di valore reale – le banche, il settore energetico – erano già state accaparrate dalle società tedesco-occidentale. Pochi giorni dopo l’introduzione del marco tedesco-occidentale, l’economia dell’est collassò. Come la Grecia, essa richiese un massiccio programma di salvataggio organizzato dal governo di Schäuble, ma in segreto: si misero da parte 100 miliardi di marchi per mantenere l’economia della vecchia Germania orientale a galla, una cifra che è diventato pubblica solo anni dopo. Con il costo del lavoro e delle forniture che sfondarono il soffitto [a causa della parità decisa a tavolino tra marco-orientale e marco-occidentale per l’unione monetaria tra le due Germanie, entrata in vigore il 1 luglio 1990, NdT], la già stressata economia della Germania Est andò in caduta libera e la Treuhand non ebbe alcuna possibilità di vendere molte delle sue imprese. Dopo un paio di mesi cominciò a chiudere intere aziende, licenziando migliaia di lavoratori. Alla fine la Treuhand non generò affatto alcun provento per il governo tedesco: raggranellò a malapena 34 miliardi di euro per tutte le società dell’est messe insieme, perdendo 105 miliardi di euro.In realtà, la Treuhand non è diventata soltanto uno strumento per la privatizzazione, ma una holding quasi-socialista. Perse miliardi di marchi, perché continuò a pagare i salari di molti lavoratori dell’est e tenne in vita alcune fabbriche non redditizie – un aspetto positivo di solito annegato nella denigrazione dell’agenzia [la denigrazione della Treuhand nasce anche dal fatto che, in aggiunta ai molteplici episodi di corruzione e alla brutale liquidazione dell’economia tedesco-orientale, l’agenzia chiuse, liquidò o svendette ad aziende tedesco-occidentali anche aziende tedesco-orientali che erano più competitive o di dimensioni ben maggiori rispetto alle controparti occidentali, nell’intento di uccidere sul nascere la potenziale concorrenza delle aziende tedesco-orientali per assicurare al capitale tedesco-occidentale lo sbocco sui mercati dei paesi ex-comunisti legati alla Germania Est – si veda il già citato “Anschluss, l’annessione” di Vladimiro Giacchè, NdT]. Poiché Kohl e, durante l’estate del 1990, Schäuble, non erano economisti di Chicago appassionati di esperimenti radicali, ma politici che volevano essere rieletti, hanno pompato milioni in un’economia in fallimento. Questo è il punto dove finisce il parallelo con la Grecia: c’erano dei limiti politici all’austerità che un governo poteva imporre al suo stesso popolo.La lezione appresa da Schäuble – che adesso è in grado di influenzare le sue decisioni – è che se si recita la parte del neoliberista puro di cuore si può ancora avere una via di fuga con decisioni che dal punto di vista economico non hanno del tutto senso. Se Schäuble sta agendo duramente con la Grecia in questo momento, è perché il suo elettorato vuole che agisca a quel modo; non è tanto che non si preoccupa per il popolo greco, è che lui vuole far credere alla gente che non gli importa, perché ne vede il vantaggio politico. Ma Schäuble dovrebbe aver imparato dalla storia che il gioco d’azzardo della Treuhand ha avuto conseguenze psicologiche catastrofiche. Anche se l’agenzia è stata gestita da tedeschi, che parlavano tedesco, è stata tuttavia vista da molti nell’est come una forza di occupazione. L’idea di Schäuble di paesi stranieri che controllano il patrimonio greco e lo trasferiscono all’estero è un concetto ancora più umiliante per qualsiasi paese. Schäuble si presenta come un ragioniere duro e sobrio. In realtà è soltanto un politico ordinario che ripete vecchi errori.(Dirk Laabs, “Per capire la durezza della Germania verso la Grecia, bisogna guardare a 25 anni fa”, dal “Guardian” del 17 luglio 2015, tradotto da “Voci dall’Estero”).Per capire le richieste di Wolfgang Schäuble nei colloqui di salvataggio, dovete guardare a ciò che ha inflitto al suo paese quando si è riunificato. Ogni dramma ha bisogno di un grande cattivo, e nell’ultimo atto della crisi greca Wolfgang Schäuble, il 72-enne ministro delle finanze tedesco, è emerso come straordinario villain: i critici lo vedono come un tecnocrate spietato che ha usato modi pesanti su un intero paese e ora ha intenzione di spogliarlo del suo patrimonio. Una parte dell’accordo di salvataggio, in particolare, ha scandalizzato molti europei: la proposta di creazione di un fondo progettato per selezionare accuratamente beni pubblici greci del valore di 50 miliardi di euro e privatizzarli per pagare i debiti del paese. Ma la chiave per comprendere la strategia della Germania è che per Schäuble non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Venticinque anni fa, durante l’estate del 1990, Schäuble guidava la delegazione della Germania Ovest che stava negoziando i termini dell’unificazione con la Germania Est ex-comunista.
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Giannuli: paura di agire, Syriza e Podemos come i riformisti
Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».Nel suo saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard spiega che, senza la collaborazione organica dei dirigenti della sinistra europea – partiti e sindacati – l’élite neoliberista non sarebbe mai riuscita a imporre la gigantesca restaurazione sociale, di cui oggi stiamo pagando il prezzo, progettata da Wall Street già all’inizio degli anni ‘70 col Memorandum di Lewis Powell: stroncare la sinistra radicale e “comprare” i leader della sinistra moderata, in modo che spacciassero per “riforme” l’abrogazione progressiva dei diritti dei lavoratori, dopo decenni di storiche conquiste. Di lì, a seguire: il neoliberismo come pensiero unico, imposto dal Wto e dai trattati internazionali (Europa in primis), governato da potentissimi organismi lobbistici (Commissione Trilaterale, Bilderberg, Forum di Davos) e imposto, come dogma, a partire dalle università e dai media. Lo Stato è un’inutile orpello, solo il Mercato ha sempre ragione. E quindi, globalizzazione delle merci, dei capitali, della forza lavoro, con la finanziarizzazione dell’economia e la privatizzazione della finanza pubblica. Risultato: delocalizzazioni, disoccupazione, spirale di crisi senza vie d’uscita. E la sinistra dov’era? E’ stata “comprata”, dice Barbard: cooptata dal potere. Per la verità, aggiunge lo storico Giannuli, la sinistra riformista aveva già dato pessime prove, prima ancora dell’assalto finale del grande capitale finanziario.«Per capirlo – scrive Giannuli nel suo blog – è utile fare un passo indietro di quasi un secolo e mezzo». Al suo sorgere, ricorda il professore, il movimento socialista fu tutto rivoluzionario e antisistema (salvo gli inglesi, che sono sempre stati riformisti), tanto in Francia quanto in Italia, in Spagna e in Germania. «La svolta venne dopo il 1871, con la repressione della Comune di Parigi: un massacro di ferocia senza precedenti, con migliaia di comunardi fucilati o deportati. Lo shock fu molto forte e se, in seguito, questo spingerà le frange più di sinistra sulla strada dell’insurrezione armata ma preparata scientificamente (il leninismo, in primo luogo), nell’immediato la lezione venne vissuta piuttosto come un perentorio invito alla moderazione». La vittoria degli orientamenti riformisti, prima di tutto in Francia e Germania, poi in Italia e Spagna, venne fra gli anni ‘70 e i primi ‘90, proprio sulla base della riflessione sul tragico esito della Comune. «Parve che la via elettorale e riformista fosse una manifestazione di saggezza: scambiare la velocità del processo con la solidità dell’avanzata, e la sicurezza di non dover affrontare una repressione di quella gravità».Lo stesso Engels, nell’ultimo decennio della sua vita (Marx era morto nel 1883) fu molto cauto nel criticare questi orientamenti. Peraltro il clima culturale, dominato dall’evoluzionismo positivista, assecondava e sosteneva questo corso di cose: la storia aveva una sua direzione di marcia, dominata dalla legge fatale dell’evoluzione, che avrebbe spinto “naturalmente” il socialismo verso la vittoria. «Ne derivò una idea della lotta politica senza “salti”, come la natura; pertanto ogni rottura era rifiutata come un’avventura foriera di gravi pericoli. Sfortunatamente, non è vero che “natura non facit saltus”, e tantomeno la storia e la politica». Al contrario: «Esistono, quei salti, che dopo abbiamo imparato a chiamare “biforcazioni catastrofiche”, e la riprova venne subito con la crisi finanziaria del 1907, con la I guerra mondiale, con il fascismo, con la crisi del 1929… Tutti fenomeni che la socialdemocrazia non capì e non seppe affrontare: di fronte alla guerra si piegò anche a votare i crediti di guerra, poi di fronte alla crisi del dopoguerra non seppe lontanamente che fare».In Italia, il leader socialista Filippo Turati «non capì nulla del fascismo, e così i capi della socialdemocrazia tedesca di fronte al nazismo». La sconfitta del movimento operaio? «Fu equamente responsabilità delle impazienze del movimento comunista (per tutte ricordiamo l’insurrezione spartachista)», quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, «e delle “prudenze” della socialdemocrazia». Da allora, riassume Giannuli, «tutte le volte che un partito del movimento operaio si è trovato ad affrontare una lunga guerra di posizione è impercettibilmente scivolato in una sonnolenta routine riformista che lo ha reso incapace di riconoscere i momenti di crisi». Motivo: «Il riformismo, più o meno socialdemocratico, è pensiero politico adatto ai momenti ordinari della vita politica. Ma quando arrivano i momenti di crisi del sistema, la socialdemocrazia, essendo interna al sistema stesso, non riesce a rendersene conto e regolarmente finisce travolta più degli altri, non avendo, come i liberali, il sostegno dei poteri forti». In altre parole, «un socialdemocratico si riconosce da una cosa: che vuol fare la frittata, ma ha paura di rompere le uova. Il guaio è che quando arriva una crisi di sistema si solleva un’ondata di protesta popolare e, se a dirigerla non sei tu, lo farà un altro. Che è precisamente quello che sta accadendo».Giannuli è pessimista: «La crisi finanziaria, che è diventata crisi dell’economia reale e sta diventando crisi dell’ordine politico militare, ormai è iniziata da sette anni (forse direi otto), e le sinistre sedicenti anti-sistema (dal “Front de Gauche” alla Linke, dalla sinistra arcobaleno a “Izquierda unida”) che, in teoria avrebbero dovuto avvantaggiarsene, in realtà sono andate in crisi, hanno perso voti e in qualche caso (come l’Italia) sono proprio scomparse, mentre montano fenomeni populisti che ne coprono lo spazio». E quello che colpisce, continua Giannuli, è che militanti e dirigenti di questi partiti non si chiedano minimamente il perché dei loro insuccessi e dei successi altrui. «Hanno fatto eccezione sinora Syriza e Podemos, perché non sono stati percepiti partiti di sistema, ma aspettate che venga fuori la loro natura sostanzialmente socialdemocratica e vedrete». E il M5S? «E’ un movimento in bilico che fa un po’ eccezione, ma prima o poi dovrà misurarsi anche lui con le dinamiche della crisi». Morale: «A volte è l’essere troppo prudenti ad essere la posizione meno realistica».Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».
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Renzi completa il Rigor Montis: diktat Ue, ma con l’inganno
Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del ‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.Come ha notato eufemisticamente Eugenio Scalfari siamo a una democrazia che affida il potere all’esecutivo. Che è ciò che normalmente avviene in ogni dittatura. Renzi sarà eletto direttamente dal ballottaggio come un sindaco e godrà di un parlamento esautorato, composto da una netta maggioranza di nominati o fedelissimi. Ci sarà una sola Camera che decide su tutto sulla base degli ordini del capo del governo. Camera che nominerà gli organismi di controllo senza, scusate il bisticcio, controlli. E se pensiamo che la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni sembra sia stata decisa sei contro sei, con il voto determinante del presidente, possiamo tranquillamente concludere che al nuovo Parlamento renziano basterà nominare un solo nuovo giudice costituzionale per cambiare gli orientamenti di tutta la corte.Un potere pressoché assoluto, dunque, per fare che? Quello che sta costruendo Renzi in realtà è un sistema autoritario che non è in proprio, ma è fondato su una sorta di fideiussione bancaria. Il programma fondamentale del governo è sempre quello della lettera del 5 agosto 2011 firmata da Trichet e da Draghi. Che come presidente della Bce continua a vigilare meticolosamente che quel programma stilato assieme al suo predecessore sia scrupolosamente attuato. Il 28 maggio 2013 la Banca Morgan ha presentato un documento politico che metteva sotto accusa la Costituzione italiana assieme a quelle di tutti i paesi europei “periferici” e in crisi. Queste Costituzioni, secondo quel documento, nate dopo la vittoria sul fascismo, sono segnate dal peso eccessivo della sinistra e del pensiero socialista, e per questo ostacolano le riforme liberali che servono a salvare l’euro.Con toni più brutali un editoriale de “Il Sole 24 Ore”, pochi giorni fa, polemizzava con la sentenza della Corte Costituzionale, affermando che con il pareggio di bilancio come vincolo costituzionale, gli obblighi del Fiscal Compact e il primato dei mercati globali, non ha più senso parlare di diritti indisponibili. Non crediate di avere dei diritti, si diceva una volta. I poteri forti, le grandi multinazionali, la finanza e le banche hanno da tempo deciso che il sistema di diritti sociali europeo è, per i loro concreti interessi, insostenibile. La crisi è stata un grande occasione per realizzare compiutamente un obiettivo cui si lavora da oltre trenta anni, e le riforme politiche autoritarie ne sono lo strumento. Renzi si è quindi trovato al posto giusto nel momento giusto. Guai a fare nei suoi confronti lo stesso errore di sottovalutazione compiuto dalla sinistra democratica verso Berlusconi; e non solo per il compatto sostegno che riceve dai poteri forti italiani ed europei e da tutto il sistema dei mass media. Anche Monti aveva questo stesso sostegno, per fare sostanzialmente la stessa politica, ma non ce l’ha fatta.La forza di Renzi sta proprio nella posizione e nella rappresentanza politica assunta. È un errore credere che egli sia un democristiano. No, la sua formazione politica non è tanto rilevante quanto il ruolo che ha deciso di interpretare. È questo ruolo è tutto all’interno della sconfitta e della rassegnazione della sinistra tradizionale. Matteo Renzi ha scalato il Pd, che è bene ricordare inizialmente lo aveva respinto, dopo che il vecchio e inconcludente riformismo era stato sconfitto. Egli ha usato spregiudicatezza e populismo con una classe politica disposta a tutto pur di non perdere il potere. Per capire quello che è successo dobbiamo pensare ad altri fenomeni di trasformismo di massa nella storia della sinistra del nostro paese. Crispi alla fine dell’800, Mussolini, Craxi e naturalmente Berlusconi sono tutti predecessori non casuali di Matteo Renzi.Il nostro è diventato il secondo paese cavia dell’esperimento liberista dopo la Grecia. In quel paese la Troika ha esagerato e ne è consapevole, per questo in Italia il progetto è diverso. Non negli obiettivi, che sono gli stessi, dal lavoro, alla scuola, alla sanità, alle pensioni, a tutti i diritti sociali. Si vuole arrivare alla stessa società di mercato brutalmente imposta alla Grecia, ma evitando la stessa reazione politica. Quindi più furbizia e anche tempo nelle misure da adottare e soprattutto lavoro per costruire un blocco di consenso politico attorno ad esse. A questo serve la mutazione genetica del Pd in partito della nazione. Che in realtà è un partito collaborazionista con la Troika e con tutti i poteri economici finanziari internazionali.Il partito della nazione che collabora costruisce così le sue cordate di consenso, da Marchionne ai sindacati complici, da Farinetti alla nuova Milano da bere, dai presidi a tutto quel mondo politico e sociale proveniente dalla sinistra il cui sentire di fondo può essere così riassunto: abbiamo speso tanto senza risultati, ora si guadagna. Non è vero che Renzi voglia liquidare i corpi intermedi, non è così sciocco sa che sarebbe impossibile. Quello che vuole il segretario del Pd è un corpo di organizzazioni addomesticate e funzionali e a questo sta concretamente lavorando, come dopo il Jobs Act e la “Buona scuola”, mostra il progetto di legge Civil Act sul terzo settore.Renzi è l’espressione di un progetto politico reazionario di adattamento dell’Italia ai più duri vincoli della peggiore globalizzazione, per questo battere lui ed il suo partito della nazione non sarà opera breve, né facile, ma è la condizione perché il paese possa riprendere davvero a progredire. Oggi contro Renzi sta un destra disfatta, nella quale lo stesso sistema mediatico renziano fa emergere il nazista dell’Illinois Matteo Salvini come avversario di comodo. Poi c’è il Movimento 5 Stelle che conduce lotte importanti, ma in evidente difficoltà di fronte al populismo anticasta fatto proprio dal renzismo. E infine c’è l’arcipelago delle forze della sinistra politica e sociale. La forza di Renzi è la debolezza di questo fronte, il che permette alla sua politica di destra di contare su un vasto consenso elettorale nel popolo della sinistra.Gli insegnanti che sfilavano in corteo il 5 maggio gridavano di non votare più Pd. È un segnale importante, ma insufficiente. Occorre un rottura più profonda. Occorre che tutto il corpo sociale e politico della sinistra consideri il renzismo non come un gruppo di compagni che sbagliano, ma come il primo e principale avversario. Le ambiguità ed i compromessi di chi si dichiara contro Renzi ma poi si allea con il Pd nelle elezioni locali, o dei dirigenti sindacali che lo criticano ma poi lo votano, o degli ambientalisti che sostengono Expo, tutto questo opportunismo porta solo fieno nella cascina del partito della nazione. Ci vogliono scelte nette per costruire l’alternativa a Renzi e al suo progetto, la prima e in fondo più semplice è non votare in ogni caso ed in ogni situazione per il Pd ed i suoi alleati.(Giorgio Cremaschi, “Non votare Pd, unico antidoto al potere assoluto renziano”, da “Micromega” del 21 maggio 2015).Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del ‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.
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Mani Pulite ci ha lasciato un’Italia peggiore, mai così povera
In questi giorni si parla molto di una fiction, mandata in onda sulle reti Sky, volta a ricostruire a beneficio del grande pubblico, specie dei più giovani, la storia di Mani Pulite. Io confesso di non avere visto neppure una puntata della serie in oggetto, ricordando invece perfettamente il clima che in quegli anni si respirava. Sul finire degli anni ’80 l’Italia era ancora un paese ricco e sovrano. I problemi non mancavano, a partire dalla corruzione e dalla crescente arroganza delle mafie. Ma, come bene spiega l’economista Nino Galloni, «la corruzione di allora rappresentava la devianza patologica di un indirizzo politico comunque pensato per realizzare una idea di interesse generale». Detta in maniera più semplice. Esistevano, eccome se esistevano, “ruberie, mazzette, tangenti e malversazioni”, malsano effetto collaterale di un sistema che però nel suo complesso produceva ricchezza e posti di lavoro. L’Italia di oggi, invece, frastornata da anni di continua ed incessante caccia alle streghe, è migliore o peggiore di quella lasciataci in eredità dalla cosiddetta Prima Repubblica? Io credo peggiore. Molto peggiore.La corruzione, più raffinata nelle forme, esiste ancora, risultando illusoria e infantile la pretesa di estirpare per decreto o sentenza il vizio e l’ingordigia dal cuore degli uomini; in compenso è scomparso il benessere e sono riapparsi i poveri e i disperati, fucilati da un sistema che ha nel suo complesso perso il senso e la misura. Con la scusa di combattere sprechi e corruzione è stato in realtà posto in essere un vero e proprio Olocausto sociale, crimine immane che nessun sistema delle tangenti, per quanto ben oliato e pervasivo, potrebbe mai eguagliare. La fine dei partiti, e la morte del concetto stesso di Stato imprenditore, giustificata sul piano dialettico proprio attraverso la strumentale esasperazione di alcune deprecabili prassi, ha prodotto un immenso vuoto. Questo vuoto è stato ricoperto per intero da chi detiene su scala globale il potere economico e finanziario, ora finalmente libero di produrre i suoi effetti nefasti (e in parte perfino sanguinari) senza dover sopportare oltre il peso della intermediazione politica.Cosicché, sulla scia del nuovo equilibrio consolidatosi, i nuovi padroni hanno forgiato un modello strutturalmente fondato sulla frode e sull’abuso e l’hanno chiamato “regole”. Hanno distrutto la dignità del lavoro ribattezzandola “flessibilità”; hanno colpito il welfare spacciando una operazione immonda per semplice “razionalizzazione dei costi”; hanno consegnato la leva monetaria ai privati nel nome della “responsabilità”, e hanno messo in piedi un meccanismo che moltiplica in automatico povertà ed indigenza nel nome della sempiterna “lotta agli sprechi”. Questo hanno fatto. E l’hanno fatto grazie alla collaborazione, dolosa o colposa, di tutte quelle forze politiche che non hanno mai trovato il tempo per elaborare una piattaforma politica alternativa al neoliberismo dominante.Partiti di destra, di centro o di sinistra, tutti accumunati dalla paradossale e unanime condanna del nostro fantomatico debito pubblico. Partiti vuoti che vivono esclusivamente della capacità istrionica del satrapo di turno. Partiti ipocriti che, pur richiamandosi impunemente ad una tradizione socialista, si preoccupano solo di assecondare le pulsioni distruttive di un mercato lasciato a briglie sciolte. Mani Pulite non è servita né all’Italia né agli italiani. Mani Pulite è servita a tutti quelli che non vedevano l’ora di trovare campo libero nel mentre Mario Draghi apparecchiava le famose “privatizzazioni”. Mani Pulite è servita a screditare il ruolo della politica, aprendo così la strada al governo di molti ”tecnici illuminati” che, da Prodi a Monti, altro non sono se non amministratori delegati occulti di grandi banche d’affari e multinazionali. Non so come sarebbe oggi l’Italia se Mani Pulite non ci fosse mai stata. So però com’è e non mi piace affatto.(Francesco Maria Toscano, “Sulla scia di Mani Pulite è nata un’Italia peggiore”, dal blog “Il Moralista” del 7 aprile 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, fondato con Gioele Magaldi).In questi giorni si parla molto di una fiction, mandata in onda sulle reti Sky, volta a ricostruire a beneficio del grande pubblico, specie dei più giovani, la storia di Mani Pulite. Io confesso di non avere visto neppure una puntata della serie in oggetto, ricordando invece perfettamente il clima che in quegli anni si respirava. Sul finire degli anni ’80 l’Italia era ancora un paese ricco e sovrano. I problemi non mancavano, a partire dalla corruzione e dalla crescente arroganza delle mafie. Ma, come bene spiega l’economista Nino Galloni, «la corruzione di allora rappresentava la devianza patologica di un indirizzo politico comunque pensato per realizzare una idea di interesse generale». Detta in maniera più semplice. Esistevano, eccome se esistevano, “ruberie, mazzette, tangenti e malversazioni”, malsano effetto collaterale di un sistema che però nel suo complesso produceva ricchezza e posti di lavoro. L’Italia di oggi, invece, frastornata da anni di continua ed incessante caccia alle streghe, è migliore o peggiore di quella lasciataci in eredità dalla cosiddetta Prima Repubblica? Io credo peggiore. Molto peggiore.
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Carpeoro: attenti alla magia, il potere la usa contro di noi
La “costruzione dell’effetto” è alla base della magia. Che cos’è la magia? Era la manipolazione antica. Era il modo di manipolare, magari dei sacerdoti egizi, che dovevano “costruire” i miracoli. La magia esiste, ma non la faccio io: la fa la mia “costruzione dell’effetto” sul soggetto passivo. E’ il soggetto passivo che attiva il mago: il mago è attivo se c’è un soggetto passivo. Chomsky lo spiega in cinque parolette. A seconda dell’ordine in cui le mettete, ottenete in effetto diverso. Lo vogliamo chiamare effetto di manipolazione? Effetto magico? Miracolo? Chiamiamolo come vogliamo. Le cinque parole sono: astrazione, estrazione, ostruzione, istruzione, distruzione. Il risultato cambia, a seconda dell’ordine in cui queste parole sono disposte. E il risultato finale è la costruzione dell’effetto magico. Chi era il mago? “Magia” viene da un termine sanscrito, “Mg”, che significa “conoscere”: così, “magia” ha la stessa radice di “magister”. Il mago poi diventa il maestro, cioè lo scienziato, perché conosce: costruisce l’effetto perché conosce i termini della produzione dell’effetto, che è l’effetto magico. Ma la magia quando nasce? Nasce quando l’uomo ha bisogno del potere.La magia è potere. Perché i grandi Rosacroce e i grandi filosofi hanno studiato la magia ma non l’hanno praticata? Perché non erano interessati al potere, erano interessati all’essere. Quindi, l’effetto magico è una costruzione di potere: serve a far fare a qualcuno quello che voglio io, in base a un percorso che io ho disegnato. Il vero esoterismo, la vera esperienza spirituale, non è un’esperienza di attività, è un’esperienza di complementarietà. Si è complementari al corso delle cose, non le si modifica. Tommaso da Kempis, che era un grande Rosacroce e viene invece spacciato dalla Chiesa cattolica per un insegnante di catechismo nelle scuole, scrive che il vero cristiano insegna con l’esempio, non con la predica. E non è una modalità attiva: non interferisco con quello che fai tu, ti faccio solo vedere quello che faccio io. Perché uno dovrebbe studiare la magia, astenendosi però dal praticarla? La magia è intesa come storia dell’esoterismo, come formazione di un pensiero. Noi siamo abituati a studiare una certa storia, sui libri di scuola, e non ci insegnano che c’è anche una meta-storia, come c’è una fisica e una metafisica.C’è una storia fatta di avvenimenti, di date, e c’è una storia fatta di ragionamenti – di pensieri, di mutamenti all’interno del corpo sociale, del costume, della spiritualità delle persone – che porta a dei mutamenti storici. Certo, quella di Hitler è una storia di nazismo, fatta di date. Ma ci sarebbe mai stata, quella storia di nazismo, se non ci fosse stata la storia di un pensiero antecedente, magari dettato da uno scienziato che si chiamava Gobineau, che 60-70 anni prima del nazismo scrisse un libro che si chiama “L’evoluzione delle razze”? Era l’anticamera della discriminazione razziale. Quindi, in realtà, come c’è una storia, c’è anche una meta-storia: quella di chi si occupa di studiare il pensiero, che è l’unica cosa che ci sopravvive, se è valido. Quando Cartesio dice “cogito, ergo sum”, non dice “cogito, ergo sum aeternum”, non ne fa un ragionamento di immortalità, ma di “essere”: io sono, in quanto penso, e non ho bisogno di essere immortale. Perché tutti gli esoteristi che si sono dedicati alla magia – e l’hanno praticata – sono andati incontro a una negatività? Perché la pratica della magia è il perseguimento del potere.Io, con la magia, modifico la tua vita, il corso delle cose. Lo modifico. Se invece pratichi l’essere, tu “sei”. Se vogliono imitarti ti imitano, però non imponi dei modelli comportamentali. Uno dei clichè dell’ufologia è quello dei “vigilanti”, degli “osservatori”, personaggi di una cultura superiore che hanno però il divieto di interferire. Si tratta di un archetipo, piuttosto che di uno stereotipo, presente anche nei fumetti. Anche nella Bibbia troviamo dei personaggi che devono osservare ma non intervenire. Se sono veramente di origine divina, non intervengono mai. E ci sono esempi assolutamente simbolici di non-intervento. Le ultime parole di Cristo in croce: Dio, perché mi hai abbandonato? Sono parole da uomo, non da Dio: Cristo muore da uomo. E quelle parole certificano il non-intervento del Dio che fa morire suo figlio. Potrebbe intervenire e impedire questa cosa tremenda, ma non lo fa. Perché il non-intervento è il divino: se dobbiamo concepire una presenza del divino, dobbiamo concepirla in termini di non-intervento. Invece, tutta la nostra cultura religiosa magica ci ha insegnato a chiederlo, l’intervento. Madonna, fammi vincere al Superenalotto. Ci hanno insegnato a chiedere la grazia. Ma la grazia non è una cosa che ti viene data, è un tuo stato: tu sei nella grazia, se scegli l’essere. E non sei nella grazia – il contrario di grazia si chiama disgrazia – se sei nel potere.La grazia è una condizione dell’essere, non è una cosa che ti viene concessa perché la chiedi. Mi spiace deludere tutti quei napoletani che si rivolgono alla statua di San Gennaro, ma purtroppo è così. Noi abbiamo immaginato la religione in termini magici, ed è solo in termini magici che andiano a Lourdes, a Medjugorje, aspettandoci di vedere le Madonne piangere, perché quello è un effetto magico. Direte: ma allora, i miracoli? I miracoli sono nelle pieghe di questa vita, sono nascosti; quando sono evidenti non sono miracoli. Il miracolo è il nascosto, la magia è il manifesto. Il nascosto è l’essere, il manifesto è il potere. Il potere non è mai occulto. A nascondersi sono i suoi agenti, che si nascondono per non essere individuati. Ma il potere, in quanto tale, è manifesto per sua autodefinizione. Parlare di poteri occulti è un ossimoro: il solo fatto che se ne parli dimostra che non sono occulti; se fossero occulti non se ne parlerebbe.Complottismo e massoneria? Ok. Come si chiama la loggia massonica più vituperata? P2. E perché si chiama P2? E’ la secondogenita, evidentemente. Ma della prima, chi parla? Nessuno. E come mai? Elementare: se c’era una P2, ci sarà stata anche una P1. Eppure i giornali sono arrivati fino alla P5, ma della P1 non parleranno mai. Perché? Nella P2 – o meglio: in quei 500 nomi indicati da Gelli – c’erano tutti “vice”, a livello militare e ministeriale. Vicepresidenti, sottosegretari. Quindi, se nella P2 c’erano i vice, nella P1 cosa c’era? Evidente: i numeri uno. E’ così difficile scriverlo? E allora perché non lo scrive nessuno? Dunque, la manipolazione che cos’è, veramente? E’ la costruzione di un effetto magico. Dato che vi devo sopraffare, devo quindi fare l’astrazione (quindi: togliervi dalla realtà), e devo fare l’estrazione, devo fare l’ostruzione, poi devo fare l’istruzione e infine la distruzione. Sono cinque parolette simpatiche da ricordare. A seconda di come le si mette in ordine, è possibile ricostruire tutti gli eventi del mondo degli ultimi cento anni.Tutte le operazioni che sono state fatte sono fondate su queste frasi. Stiamo parlando di magia, di cultura magica. E i grandi maghi non hanno mai operato la magia. Il più grande mago rinascimentale – per definizione non mia, ma di una grande studiosa di Oxford, Frances Yates – era Giordano Bruno. Era un mago: viene chiamato “magus”, ma non operava magie. Il mago dell’epoca si chiamava Geordie, prendeva un insetto di metallo a forma di scarabeo e lo faceva volare. L’insetto volava, c’era la magia. Poi bisogna capire perché volava – la costruzione dell’effetto magico. Il primo atto di magia che ricordiamo è quando Mosè separa le acque. E’ un atto magico, certo. Ma bisogna capire quanto questo atto sia costruito per una situazione gerarchica. E’ il potere, che irrompe nella storia solo quando, nella società nomade, compare la figura dell’uomo modificatore. Chi è il modificatore per eccellenza? Il coltivatore: che ha bisogno di razionalizzare, di stare sempre nello stesso posto, di difendere il territorio o di conquistarlo, quindi nasce la guerra. E ha bisogno di stabilire una gerarchia sociale, col controllo di chi lavora per lui. Quindi nasce la religione.Potere, guerra, religione: tutte componenti magiche, perché devono modificare, in base a delle conoscenze, il corso naturale degli eventi. Ecco perché, mentre l’essere è complementarietà, il potere è magia. La magia è finalizzata al potere. I grandi maghi che hanno praticato la magia non hanno fatto un bella fine. Il satanismo promette un potere straordinario, successo, ricchezza. Perché Faust si vende l’anima? Per il potere. Poi si accorge che non se ne fa niente, di quella roba lì. Prendiamo Oscar Wilde, che era un Rosacroce prima che un massone. Wilde costruisce un’intera sua opera, sul simbolismo del potere, “Il ritratto di Dorian Gray”. Quel ritratto è costruito su uno specchio magico: l’immagine allo specchio invecchia e Dorian Gray rimane giovane. E’ il cosiddetto capovolgimento iniziatico. E’ un effetto magico, no? Oscar Wilde dice: la magia ti dà il potere, ma il frutto di questo potere è che Dorian Gray diventa un infelice maligno, che cerca di creare il male.Noi però possiamo “essere” il male, se scegliamo il potere, ma non possiamo fare in modo che ogni nostra azione sia solo male. Quindi accade che quella che rimane giovane è la parte peggiore. Così alla fine Dorian Gray rompe lo specchio, invecchia improvvisamente e muore felice, perché distrugge il meccanismo di potere che lo aveva reso prigioniero di uno schema. Che lo schema si chiami eterna bellezza, eterna giovinezza o eterna ricchezza, non importa, non cambiano i termini del discorso, perché quello è il potere: il potere di essere eternamente belli, giovani, ricchi, capaci di influire sulla vita degli altri. E’ una trappola, un “maya” che ti rende infelice. E siccome ogni essere umano ha come prima aspirazione la felicità, per essere felici bisogna ritrovare la propria complementarietà e, appunto, “essere”.Io l’ho studiata, la magia, ma come storia del pensiero. E badate, a volte la magia produce anche degli effetti. Ricordo le vecchie del mio paese, che facevano riti per allontanare le malattie. Ma questi effetti sono la costruzione di volontà di potere: non sono mai quegli effetti che noi pensiamo, perché la costruzione dell’effetto magico è sempre un artificio. Qual è il problema? E’ un artificio di cui a volte conosciamo la costruzione, perché siamo in grado di ricostruire tutte le condizioni che l’hanno creato. La natura è dominata dalle sue leggi, ma noi non le conosciamo tutte. A volte si ottengono degli effetti dovuti a leggi che noi non conosciamo, ma che in quel momentio intervengono perché – senza volerlo – ne abbiamo creato le condizioni. Poi magari rifacciamo l’esperiemento, e non riesce. E non ci rendiamo conto che magari non siamo nello stesso posto alla stessa ora, che il magnetismo non è uguale, che magari abbiamo mangiato troppo maiale nei giorni precedenti e quindi il nostro modo di sprigionare energia cambia. Il gesto di riconoscimento dei Rosacroce era un indice rivolto verso l’alto e un indice rivolto verso il basso. E’ lo stesso del Padre Nostro, “come in cielo, così in terra”.Negli ultimi secoli, nella storia del pensiero, c’è stata una deriva magica. La magia è sempre una deriva: essendo una scelta di potere, che consiste nel modificare gli altri, la natura, il prossimo, gli ambienti, non può che portare lì. E’ a monte, il problema. Quando tu scegli il potere, e magari non hai ancora fatto niente di male, devi star sicuro che lo farai, perché la conseguenza del potere è quella. Si dice di un Papa: ha fatto questo e quello. Be’, ci sta. Perché dal momento in cui, ad esempio, diventi Papa nel 1963, e rimani Papa fino all’anno 1978, come fai a non parlare con Gelli? Scusate, ci parlavano presidenti della Repubblica, presidenti degli Stati Uniti, pure i cardinali – e tu che fai, non ci parli? Ma questo è legato al fatto che diventi Papa, non al fatto che ti chiami Mario Rossi. Quando i politici fanno determinate cose, sono conseguenti alla loro scelta di vita, che è quella che ti condiziona e ti cambia. Nel momento in cui capisci come la devi gestire, la tua vita, capisci che ti devi sottrarre al gioco del potere.L’homo faber è colui che ha creato l’alchimia. La magia ne è l’aspetto deteriore. La trasmutazione dei metalli degli alchimisti veri non riguarda il potere, ma l’essere, tant’è vero che quelli che volevano ottenere l’oro venivano chiamati, volgarmente, “soffiatori”, perché soffiavano nel mantice, mentre l’alchimista spirituale era quello che doveva trasformare il proprio “piombo” in “oro”. L’alchimista vero non insegna nulla agli altri, e scrive testi così ermetici di cui, nella maggior parte dei casi, nessuno ci capisce niente. Perché scrivono, allora? Perché, nel momento in cui capisci qual è la loro chiave, loro te l’hanno trasmessa. Ci sono due modi di trasmettere la conoscenza: uno si chiama iniziazione, l’altro si chiama tradizione. Quando io ti inizio, ti spiego: ti do la scatola e la chiave. Quando invece trasmetto soltanto la scatola, ma non la chiave, ti do lo stesso contenuto, ma tu non sai cosa c’è dentro, quando a tua volta lo trasmetti. E’ come quando si diceva la messa in latino: mia nonna quelle parole le sapeva perfettamente, ma non sapeva cosa significassero.I testi alchemici conservano quella conoscenza – per chi si sa procurare le chiavi. Credo che la ricerca della chiave faccia parte di un percorso formativo che è fondamentale. C’è da fare un percorso, che fa parte della formazione iniziatica. Compiere questo percorso è la migliore garanzia per difendersi dalla tentazione della magia. Perché il potere è tentatore. Ti tenta, approfittando delle tue debolezze contestualizzate: approfittando di quando sei povero e offrendoti del denaro, di quando sei solo offrendoti compagnia, di quando hai fame offrendoti del cibo. Perché l’altra componente che il potere ha costruito, rispetto a questa società – e questo non emerge sufficientemente dagli studi sulla manipolazione fatti finora – è l’incapacità dell’accettazione: diventi incapace di accettare quello che dovresti. Mago è chi usa la conoscenza per modificare la realtà, ma noi non dobbiamo modificare la realtà: dobbiamo modificare gli occhi con cui la guardiamo. Se avessimo la percezione della realtà totale, non avremmo bisogno di nulla. Ma al potere fa comodo quel tipo di cultura, quella che aiuta la sottomissione degli altri, la soggezione, la manipolazione. Non gli fa comodo la cultura della libertà.La libertà è: non aver bisogno. Se uno ha bisogno, non è libero. Se ho bisogno di conquistare le donne, gli uomini, le macchine, il denaro, il potere, il trono, l’ermellino, lo scettro, il maglietto del massone – se ne ho bisogno, non sarò mai un uomo libero. Per eliminare il bisogno occorre avere la consapevolezza dell’essere – la consapevolezza della nostra divinità, che è nel pensiero. Tutto quello in cui abbiamo creduto ci conduce a perseguire la magia, quindi il potere, invece dell’essere. La nostra storia politica, sociale, umana, è stata danneggiata da interpretazioni magiche, sempre. Tutta la cultura cristiana del miracolo, della retribuzione paradisiaca, ha effetti deleteri perché funzionali al potere: trasformare la religione cristiana in quella di Costantino. Ma Costantino non era cristiano, è stato battezzato solo in punto di morte. Non bisogna confondere la religione con la spiritualità. Io la spiritualità la chiamo religione individuale. Quando la religione è individuale non fa danni; quando diventa collettiva bisognare stare attenti, perché lì succedono i guai. La religione collettiva serve alla società, non all’uomo. Alla nostra società sono serviti i benedettini che hanno copiato (a modo loro) le cose, hanno conservato documenti e opere d’arte. Agli individui invece sarebbe servito, per esempio, non cominciare a combattere i Mori, che ai tempi erano molto più civili di noi: nella Terza Crociata, il “feroce Saladino” firma col suo nome, mentre Riccardo Cuor di Leone ci mette la croce, perché non sa scrivere.Quello tra magia, religione e potere è un rapporto drammatico, uno schema che bisogna rompere. Non bisogna praticare la magia, non bisogna praticare la religione come prassi e come struttura. E non bisogna assoggettarsi al potere – né come soggetti passivi, né tantomeno come soggetti attivi. Non vale la regola “se comando io sono il padrone”, perché se comando io sono prigioniero di quelli che comando, senza saperlo. Ovviamente non mi fanno compassione, i potentati del mondo, ma so che sono prigionieri come posso esserlo io. Sono prigionieri di un sistema di privilegi, non importa se goduti o subiti – sempre privilegi sono. Il grande sogno dei Rosacroce del ‘600 si manifesta quando Tommaso Moro scrive “Utopia”, quando Campanella scrive “La città di Dio”, quando Bacone scrive “La nuova Atlantide”, quando Johann Valentin Andreae (che è il rifondatore dei Rosacroce con questo nome) scrive “Cristianopolis”. Di cosa parlano? Di una società che non ha le regole del potere. Ognuno è utile, perché tutti condividono. Società che sarà l’anticamera di cosa? I Rosacroce sono i padri del socialismo, l’utopia di una società giusta.Poi il potere si impadronirà del socialismo, cioè dell’abolizione della proprietà privata. E nascerà anche il comunismo: una diagnosi giusta, che però mira a costruire un potere diverso, collettivo e non più individuale, ma sempre potere. Tutti questi passaggi ruotano attorno alla magia. Quella del mago è la figura più antica che possiate immaginare. Possono chiamarlo sciamano, stregone, ma sempre mago rimane. Poi il mago antico si scinde: diventa sacerdote, diventa medico e guaritore, diventa capo del villaggio. Ma in origine è il primo riferimento vero dei primi coltivatori che stanno creando la gerarchia, stanno creando la guerra (perché tutte le guerre nasceranno per il territorio), stanno creando il potere, stanno creando la religione. E nasce tutto dalla magia: nasce dal configurare la conoscenza come potere, e non più come essere. E questo avviene per necessità: perché serve, non perché è giusto; perché è utile a quell’evoluzione sociale, in quel momento. La magia è un archetipo fortissimo, tutti quanti ne siamo affascinati, soggiogati, in qualche modo coinvolti, pur rifiutandola. Dobbiamo averne consapevolezza: gli effetti magici sono storia, sono pensiero, ma non sono fatti – e non sono neanche vita.Dobbiamo conoscerla, la magia, per imparare a evitarla. Il cerchio magico tracciato dal mago non è mai reale, ma è efficace: la costruzione dell’effetto magico funziona sulle regole che detta il mago, o che il mago conosce ma non svela. Chomsky ha codificato 10 forme di manipolazione collettiva, ma non si è mai occupato di manipolazione individuale. E sappiate che la manipolazione individuale, nonostante quello che pensano i complottisti, è infinitamente più pericolosa, perché è infinitamente meno riconoscibile. C’è un Chomsky che spiega come funziona la manipolazione collettiva, mentre la manipolazione individuale non l’ha mai codificata nessuno. Sapete quante persone sono state danneggiate seriamente da gente che le ha manipolate? Massoni, esoteristi, maghi, Golden Dawn, stregoni da strapazzo, gente che voleva fare le orge. Sapete quanta gente finisce a farsi di pasticche, o in manicomio, o a pensare di essere posseduta dal demonio? Avete idea dei danni della manipolazione individuale? Contate le casistiche, andate nei reparti psicologici degli ospedali e scoprite quante persone sono finite in terapia.(Gianfranco Carpeoro, estratti dell’intervento alla conferenza su magia e manipolazione il 23-24 agosto 2014 a Subiaco. Massone, ex avvocato, giornalista e saggista, studioso di esoterismo e già “gran maestro” del Rito Scozzese, Carpeoro è uno dei massimi esperti di simbologia ermetica).La “costruzione dell’effetto” è alla base della magia. Che cos’è la magia? Era la manipolazione antica. Era il modo di manipolare, magari dei sacerdoti egizi, che dovevano “costruire” i miracoli. La magia esiste, ma non la faccio io: la fa la mia “costruzione dell’effetto” sul soggetto passivo. E’ il soggetto passivo che attiva il mago: il mago è attivo se c’è un soggetto passivo. Chomsky lo spiega in cinque parolette. A seconda dell’ordine in cui le mettete, ottenete un effetto diverso. Lo vogliamo chiamare effetto di manipolazione? Effetto magico? Miracolo? Chiamiamolo come vogliamo. Le cinque parole sono: astrazione, estrazione, ostruzione, istruzione, distruzione. Il risultato cambia, a seconda dell’ordine in cui queste parole sono disposte. E il risultato finale è la costruzione dell’effetto magico. Chi era il mago? “Magia” viene da un termine sanscrito, “Mg”, che significa “conoscere”: così, “magia” ha la stessa radice di “magister”. Il mago poi diventa il maestro, cioè lo scienziato, perché conosce: costruisce l’effetto perché conosce i termini della produzione dell’effetto, che è l’effetto magico. Ma la magia quando nasce? Nasce quando l’uomo ha bisogno del potere.
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I cent’anni di Ingrao e l’estinzione della sinistra italiana
Cent’anni di solitudine, anche se carismatica, collezionando sconfitte incassate per mancanza di coraggio. Questo l’impietoso ritratto che, da storico, Aldo Giannuli dipinge dell’anziano Pietro Ingrao, gran veterano della sinistra comunista. Al centesimo compleanno, il 29 marzo, attorno al vecchio leone del granitico Pci di Togliatti e Berlinguer c’è il nulla cosmico: disoccupazione record e Jobs Act, fine dei diritti dei lavoratori, precariato universale, povertà e paura, Costituzione rottamata, legge elettorale di regime. La fine della democrazia moderna, archiviata dai diktat dell’élite. Rileggendo Ingrao con gli occhiali di Giannuli, si svela il mistero della fine della sinistra italiana: la sinistra che non ha “visto” la crisi e non ha più saputo “leggere” il mondo, per poi arrendersi al nuovo potere cosmopolita degli oligarchi globalizzati e, all’occorrenza, accomodarsi a tavola per votare leggi-capestro e abbattere gli ultimi diritti, in cambio di poltrone, confidando ancora e sempre nell’antica fiducia di un elettorato “di sinistra”, pronto a qualunque autolesionismo pur di avere l’illusione di opporsi al cattivo di turno, prima Craxi e poi Berlusconi.Pietro Ingrao, uno strano Charlie Brown che ha fatto scuola: il suo stile «attraverso Bertinotti giunge sino a noi, essendo palese l’ascendenza ingraiana anche di Landini». Ingrao, ricorda Giannuli, appartiene a quella seconda generazione di dirigenti comunisti che ebbe la sua prima formazione nell’Italia fascista e scoprì solo in un secondo momento il comunismo, attraverso il tunnel doloroso della guerra, della Resistenza, per incontrarsi con Togliatti prima ancora che con Gramsci. Si enfatizzò l’antifascismo «come negazione assoluta e incontaminata del fascismo», eppure «il fascismo seminò concetti che poi sono restati, finendo impastati con la successiva cultura politica dell’Italia repubblicana». Usi obbedir tacendo: la cultura della disciplina. Ingrao era stato influenzato dalla figura di Giuseppe Bottai, «il maggior intellettuale del regime e, insieme, il gerarca più attivo nel promuovere la formazione delle giovani generazioni». Dalle sue riviste, continua Giannuli, presero le mosse alcuni dei nomi migliori dell’intellettualità post-fascista e antifascista: Salvatore Quasimodo e Nicola Abbagnano, Enzo Paci, Mario Alicata, Vitaliano Brancati, Cesare Pavese, Vasco Pratolini. E poi Vittorio Sereni, Giuseppe Ungaretti, Enzo Biagi, Renato Guttuso, Sandro Penna, Eugenio Montale. «Diversi di loro, come Giame Pintor, li ritroveremo fra i primi a combattere con la Resistenza».Ad avvicinare Bottai e Ingrao, «due figure inconsuete del Novecento italiano», secondo Giannuli «non fu solo la propensione all’eresia e la profonda compenetrazione fra politica e cultura, ma anche il gusto del dubbio sistematico, la propensione all’astrattezza», nonché «una certa sofisticatezza intellettuale e l’eterna insoddisfazione per la propria ricerca». In controluce, anche «il forte narcisismo, l’irresolutezza, la mancanza di tempismo politico, lo scarso coraggio». Bottai divorziò da Mussolini solo all’ultimo, e «non senza un profondissimo tormento interiore», mentre Ingrao «ha avuto sempre fede nel Partito, contro il quale non cercò mai di aver ragione» Tant’è vero che «in nome di questa fede approvò – colpa non da poco, anche se condivisa con molti – il brutale intervento sovietico in Ungheria». Così, Ingrao «piegò il capo dopo la sconfitta all’XI congresso». In più «restò fedele al partito anche quando (contro le sue convinzioni) esso cessò di essere comunista, per distaccarsene anni dopo e da solo. Era fedeltà all’ideale o feticismo organizzativo? Lasciamo decidere a chi ci legge».Questo attaccamento insieme fideistico e tormentato, continua Giannuli, lo ha portato ad essere “l’uomo delle occasioni mancate”: nel 1966 tentò di dare battaglia all’XI congresso, ma senza avere il coraggio di presentare una sua mozione di minoranza e finendo sconfitto senza neppure aver combattuto davvero la sua battaglia. Tre anni dopo, assistette inerte all’espulsione del gruppo del “Manifesto” (tutti suoi storici seguaci) senza avere il coraggio di votare contro (come fecero Cesare Luporini e Lucio Lombardo Radice) e neppure di astenersi, ma «tristemente votò a favore». Nel 1973 incassò la proposta di compromesso storico di Berlinguer, accennando solo una “lettura di sinistra” che non spostava di un millimetro i termini politici della questione (fu più esplicito nella critica il vecchio Longo). Nel 1976, infine, «incassò con altrettanta mancanza di coraggio anche la politica di Unità Nazionale, accontentandosi di andar a fare il presidente della Camera». Altra ombra sul suo passato: «Non si dissociò neppure per un attimo dalla politica della fermezza sul caso Moro», evitando di adoperarsi per una trattativa che avrebbe potuto salvare il leader democristiano.Ingrao, prosegue Giannuli, ebbe un suo momento di fulgore dall’80 all’84, quando Berlinguer ruppe con Amendola e cercò il suo appoggio, per reggere la svolta del dopo-terremoto e della “questione morale”, ma con l’unico risultato di inasprire l’isolamento identitario e settario del Pci, che ne avviava la decadenza. «L’ultima occasione di incidere nella storia di questo paese la ebbe con la trasformazione del Pci in Pds». Dopo essersi messo alla testa del cartello di opposizione che sfiorò il 30% al congresso di scioglimento, «come sempre gli mancò il coraggio del passo successivo: guidare la scissione di Rifondazione». Ingrao infatti si tirò indietro: «Preferì restare inutilmente nel Pds per uscirne, da solo e fra le lacrime, pochi anni dopo». Spiegazione: «In queste ripetute battaglie perse senza esser date, ha inciso certamente la sua devozione al partito, assunto non come mezzo ma come fine in sé». Era spesso accusato di astrattezza, dice Giannuli, e i detrattori avevano ragione: Amendola, il leader della destra riformista del Pci, forniva a «analisi datatissime, come quella di Pietro Grifone sulla contrapposizione fra rendita e profitto in Italia», ma almeno era molto concreto nella proposta, sempre incerta fra alleanze sociali destinate a non tradursi mai in alleanze politiche.«In politica estera, dopo il 1970, Ingrao non ha mai proposto l’uscita dalla Nato», aggiunge Giannuli. Sul piano istituzionale invece ha puntato sulle autonomie locali, senza però prevedere la proliferazione incontrollata di poltrone. «Altra proposta caratterizzante della sua azione sul piano istituzionale – continua Giannuli – fu il tentativo di ridare centralità al Parlamento, attraverso un regime assembleare che scavalcasse la tradizionale divisione fra maggioranza ed opposizione. Il frutto fu la riforma dei regolamenti parlamentari del 1971 che proprio Ingrao, in veste di capogruppo alla Camera, trattò con il capogruppo della Dc, Andreotti. Ma il risultato finale non fu quello di un improbabile regime assembleare, quanto la premessa del consociativismo Dc-Pci». Libertà e autonomia ai parlamentari? «In presenza di un partito retto con la ferrea regola del centralismo democratico, come era il Pci, era una pretesa piuttosto irragionevole». Indeterminata anche la sua critica al “socialismo reale” dei regimi dell’est. Poi il Muro è crollato, e il vecchio Ingrao è scomparso dai radar. Proprio come la sinistra italiana, che dopo Tangentopoli ha consegnato il paese al dominio dell’élite neoliberista, quella della privatizzazione universale che impone i suoi diktat tramite l’Ue a guida tedesca e il braccio secolare dell’euro.Cent’anni di solitudine, anche se carismatica, collezionando sconfitte incassate per mancanza di coraggio. Questo l’impietoso ritratto che, da storico, Aldo Giannuli dipinge dell’anziano Pietro Ingrao, gran veterano della sinistra comunista. Al centesimo compleanno, il 29 marzo, attorno al vecchio leone del granitico Pci di Togliatti e Berlinguer c’è il nulla cosmico: disoccupazione record e Jobs Act, fine dei diritti dei lavoratori, precariato universale, povertà e paura, Costituzione rottamata, legge elettorale di regime. La fine della democrazia moderna, archiviata dai diktat dell’élite. Rileggendo Ingrao con gli occhiali di Giannuli, si svela il mistero della fine della sinistra italiana: la sinistra che non ha “visto” la crisi e non ha più saputo “leggere” il mondo, per poi arrendersi al nuovo potere cosmopolita degli oligarchi globalizzati e, all’occorrenza, accomodarsi a tavola per votare leggi-capestro e abbattere gli ultimi diritti, in cambio di poltrone, confidando ancora e sempre nell’antica fiducia di un elettorato “di sinistra”, pronto a qualunque autolesionismo pur di avere l’illusione di opporsi al cattivo di turno, prima Craxi e poi Berlusconi.
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Fine della crisi? Via la Germania dall’Ue, e addio alla Nato
A mio modo di vedere, una valuta internazionale non è più necessaria. All’indomani della II Guerra Mondiale quando tutte le altre grandi nazioni industriali avevano economie distrutte e strutture industriali distrutte: solo il dollaro aveva valore e quindi poteva diventare la moneta mondiale. Oggi chiaramente ci sono molte zone sviluppate del mondo con valute legittime e quindi è possibile condurre scambi tra nazioni tramite le loro proprie valute. Avete l’euro, avete il rublo, avete la valuta cinese, avete la giapponese, la canadese, l’australiana, ognuna già ora con un grande volume di attività economica sulla faccia del pianeta che non esisteva nel 1945. E quindi una valuta di riserva non è veramente più necessaria. Una valuta di riserva connessa a una nazione assicura a quella nazione un potere, le dà l’egemonia finanziaria sopra altre nazioni. Stiamo osservando come Washington faccia un cattivo uso di questo potere. Un altro problema è il modo in cui Washington usa la valuta di riserva per pagare i suoi conti. Se sei la nazione con valuta di riserva puoi rilassarti, perché puoi pagare i tuoi conti emettendo moneta di credito.Negli anni recenti ciò che è successo è stato che Washington ha espanso oltre misura la sua disponibilità monetaria e il dollaro ha denominato il debito. Washington inflaziona la sua valuta come ha fatto, anno dopo anno, col “quantitative easing”. Una politica che, strettamente parlando, non è finita. Ciò costringe le altre nazioni a inflazionare le proprie valute, altrimenti il valore di scambio delle loro valute aumenta e le esportazioni vengono tagliate, e quindi per proteggere i mercati di esportazioni tutti devono inflazionare se lo fanno gli Stati Uniti. Così la conseguenza è che il mondo ora è sommerso da “fiat money”, ma la produzione di merci e di servizi non è cresciuta in modo commensurabile alla crescita del denaro. Ci aspettiamo una seria inflazione mondiale per molte ragioni. Molta di questa moneta è sotto chiave nel sistema bancario. C’è comunque una situazione molto instabile, ogni volta che la creazione di “fiat money” superi la produzione di beni e servizi.Penso che la situazione abbia raggiunto il punto in cui molte nazioni, parlo di nazioni potenti come la Russia e la Cina, si rendono conto che il sistema del dollaro, il sistema di pagamenti basato sul dollaro, si sta frantumando, ed è anche il sistema che può essere usato per imporre sanzioni su nazioni che non seguono le imposizioni di Washington. Avete sanzioni se vi comportate indipendentemente da Washington. Quindi si possono già vedere movimenti per abbandonare il sistema, e ciò certamente avverrà. La Cina è il più grande creditore del Tesoro statunitense: possiede la parte maggiore del debito Usa e ha legato la sua valuta al dollaro per dimostrare che la sua valuta è buona quanto il dollaro. E ciò che vediamo è che la valuta cinese è meglio del dollaro. Io penso che l’obiezione della Cina è il modo in cui gli Stati Uniti usano la loro valuta come un’egemonia finanziaria sopra tutte le altre nazioni. La usano per minare la sovranità delle altre nazioni.Lo vediamo con le sanzioni contro la Russia. Questo è il modo per costringere la Russia a sottomettersi al volere di Washington. Ma stanno ottenendo il risultato opposto. La Russia sta lasciando il sistema dei pagamenti basati sul dollaro. E inoltre, a causa della stupidità dei governi europei, la Russia sta riorientando il suo commercio dall’Europa all’Oriente. Lo vediamo oggi con gli sviluppi in campo energetico. Così ciò manderà in frantumi il sistema di pagamento basato sul dollaro. Le nazioni europee sono i grandi facilitatori dell’egemonia di Washington. Se le nazioni europee fossero davvero sovrane e fossero in grado di condurre politiche internazionali indipendenti non sarebbero stati vassalli degli Stati Uniti e questo limiterebbe lo strapotere degli Usa e priverebbe gli Stati Uniti della copertura per le sue guerre di aggressione. Cosa può fare l’Europa? Può disimpegnarsi dalla Nato. Essere un membro della Nato vuol dire assoggettarsi al controllo di Washington. La Nato esisteva per proteggersi dall’invasione dell’Europa da parte dell’Armata Rossa, l’esercito sovietico. Questa minaccia è spartita da almeno vent’anni. Eppure la Nato continua ad espandersi e viene usata dagli Stati Uniti per le sue guerre in Africa e nel Medio Oriente.Cosa ci guadagna l’Europa da tutto ciò? Niente. E adesso viene trascinata in un confronto militare con la Russia. Che cosa ne uscirà da tutto ciò? Nulla di buono per l’Europa. E’ quindi necessario che i paesi europei riacquistino la loro sovranità. Ma non sono sovrani, sono colonie. Sono regimi fantoccio. Non hanno politiche estere indipendenti. Sono assoggettate al volere di Washington. E ciò costituisce una grande facilitazione per l’egemonia di Washington. Senza ciò gli Stati Uniti sarebbero solo un altro paese tra tanti. Magari un paese molto forte, certo, ma un paese tra tanti. Quando però uno ha tutta l’Europa, il Canada, l’Australia e il Giappone come regimi fantoccio e Stati vassalli, diventa strapotente. Quindi, ciò che l’Europa può fare? Lasciare la Nato. La Nato non protegge più l’Europa, ma la mette in pericolo perché la coinvolge nelle guerre di Washington.Perché gli Usa riescono ad assoggettare le nazioni europee? Ci sono vari motivi. Uno è che dopo la Seconda Guerra Mondiale il dollaro è diventato la moneta di riserva, e ciò dà un potere enorme agli Stati Uniti. Un’altra ragione è stata la lunga Guerra Fredda con l’Unione Sovietica e la propaganda secondo cui l’Europa poteva essere invasa dall’Urss, con la conseguente dipendenza dell’Europa, che dura da decenni, dalla protezione americana. Se tu dipendi dalla protezione di un altro paese finisci per dover seguire le politiche di quel paese perché dipendi da quel paese. E’ il ruolo che assumi col tempo. Tutto ciò avrebbe dovuto finire con il collasso dell’Unione Sovietica. Sfortunatamente il collasso dell’Unione Sovietica ha portato alla ribalta negli Stati Uniti l’ideologia dei neoconservatori, che dice che la storia ha scelto gli Stati Uniti per dominare il mondo. Sarebbe la “Nazione Eccezionale”, la “Nazione Indispensabile”. E il collasso del comunismo, del socialismo, avrebbe provato che gli Stati Uniti dovevano esercitare la loro egemonia sul mondo.Questa ideologia è stata istituzionalizzata nella politica estera e militare degli Stati Uniti. Abbiamo la dottrina Brzezinski e la dottrina Wolfowitz. E in sostanza queste dottrine dicono che gli Stati Uniti devono prevenire l’ascesa di ogni altro paese che abbia il potere e la capacità di bloccare i propositi di Washington nel mondo. Questi due Stati, oggi, sono la Russia e la Cina. E quindi questa ideologia è estremamente pericolosa, perché mette il mondo in conflitto con la Russia e la Cina. E questi sono tra i principali paesi nucleari, e sono grandi economie ed enormi aree geografiche. E quindi l’ideologia dell’egemonia americana è una minaccia alla stessa esistenza della vita sulla Terra. La possibile alternativa rappresentata dalla Germania? Temo che la Merkel sia solo un pupazzo di Washington. E’ molto difficile per un leader europeo alzarsi in piedi e rappresentare il proprio popolo invece che gli Stati Uniti. Tutti i leader europei rappresentano gli Stati Uniti e non rappresentano il popolo della Francia, della Germania o il popolo britannico. Rappresentano gli Stati Uniti. E certamente sono ben remunerati per questo. E quindi i leader che mostrano una qualche disposizione a non stare al gioco sono sempre rovinati.Immaginatevi se la Germania dovesse semplicemente lasciare l’Ue . Restare non serve agli interessi della Germania. Perché la Germania verrebbe munta e pagherebbe i debiti dell’Ue, e dell’Ucraina. O se la Germania lasciasse la Nato: perché la Germania dovrebbe stare nella Nato? La Germania ha grandi collegamenti economici con la Russia. Ma questi stanno per essere sacrificati per far piacere agli americani. Quindi, sì, la Germania potrebbe fare molto. Potrebbe lasciare la Ue, potrebbe lasciare la Nato. Questo sarebbe la fine dell’egemonia statunitense. Ma non succederà, perché i paesi occidentali non hanno più, a mio avviso, la democrazia: i loro leader non rappresentano il popolo. Negli Stati Uniti rappresentano ideologie e rappresentano potenti gruppi di interessi, come ad esempio il complesso militare e di sicurezza, Wall Street e le grandi banche, e poi l’agribusiness, la lobby israeliana, le industrie estrattive, il petrolio, le miniere, l’industria del legno. Tutti questi sono interessi potentissimi, le cui donazioni determinano chi viene eletto. E le persone che traggono beneficio da questi contributi alle campagne elettorali sono alleate alle fonti del denaro. Quindi tutto il processo viene rimosso dalla rappresentazione del popolo. Il popolo non fornisce i soldi che eleggono i candidati. E quindi si ha una situazione in cui l’Europa è solo un vassallo degli Stati Uniti.Questi leader non possono nemmeno rappresentare gli interessi del loro popolo ma devono conformarsi alle politiche degli Stati Uniti. Perciò si può solamente dire che la democrazia in fin dei conti non esiste. E’ solo una copertura perché i governi sono incapaci di rappresentare gli interessi del popolo. Cosa dovrebbero fare i lavoratori e le persone comuni per ribilanciare lo squilibrio nei confronti del capitale? E’ chiaro che non possono fare nulla all’interno di questo sistema. Ciò che ha distrutto il potere dell’uomo comune negli Stati Uniti è stato la delocalizzazione all’estero dei posti di lavoro dell’industria manifatturiera. Quando l’industria è stata delocalizzata all’estero, i sindacati sono stati distrutti. E quando i sindacati sono stati smantellati, la fonte indipendente di finanziamento del Partito Democratico è stata distrutta. Di conseguenza, i Democratici ora devono rivolgersi agli stessi gruppi di interesse che finanziano i Repubblicani. Devono rivolgersi al complesso militare-sicurezza, a Wall Street, alle banche. E così, entrambi i partiti sono finanziati dalle medesime fonti. A tutti gli effetti, c’è un unico partito.L’unica cosa che possono fare i lavoratori spossessati è contestare la legittimità del governo e ribellarsi. E’ l’unica alternativa che hanno. Non c’è nessuna possibilità di cambiare il sistema dall’interno. Fin quando protestare vuol dire protestare pacificamente vuol dire che la gente accetta la struttura e semplicemente cerca di convincere coloro che hanno il potere che devono cambiare le proprie idee. Ma questo non avverrà. Non succede mai. Abbiamo raggiunto un punto in cui i lavoratori sono spinti ai margini. Non hanno nessuna influenza, nessuna rappresentanza. Quanto all’Europa, tutto quello che posso dire è che paesi che hanno una così lunga storia non devono rinunciare alla loro sovranità, per Washington. Devono riconquistare la loro sovranità per proteggere il mondo dall’aggressione di Washington. Devono ridiventare indipendenti, per costringere gli Usa a mollare questa ideologia della supremazia mondiale, perché è molto pericolosa – pericolosa per gli americani, per gli europei, per i cinesi, per i russi, per tutti. Potete vedere i morti e le distruzioni nel Medio Oriente da tredici anni. E l’ingerenza irresponsabile del governo degli Stati Uniti in Ucraina, le accuse irresponsabili contro la Russia, contro la Cina, la costruzione di basi militari sulle frontiere della Russia e in Asia per bloccare l’accesso della Cina alle risorse. Tutto questo ci porterà alla guerra. Ma la Russia e la Cina non sono la Libia o l’Iraq.(Paul Craig Roberts, dichiarazioni rilasciate a Piero Pagliani per un’intervista su “Pandora Tv”, ripresa da “Megachip” il 13 febbraio 2015).A mio modo di vedere, una valuta internazionale non è più necessaria. All’indomani della II Guerra Mondiale quando tutte le altre grandi nazioni industriali avevano economie distrutte e strutture industriali distrutte: solo il dollaro aveva valore e quindi poteva diventare la moneta mondiale. Oggi chiaramente ci sono molte zone sviluppate del mondo con valute legittime e quindi è possibile condurre scambi tra nazioni tramite le loro proprie valute. Avete l’euro, avete il rublo, avete la valuta cinese, avete la giapponese, la canadese, l’australiana, ognuna già ora con un grande volume di attività economica sulla faccia del pianeta che non esisteva nel 1945. E quindi una valuta di riserva non è veramente più necessaria. Una valuta di riserva connessa a una nazione assicura a quella nazione un potere, le dà l’egemonia finanziaria sopra altre nazioni. Stiamo osservando come Washington faccia un cattivo uso di questo potere. Un altro problema è il modo in cui Washington usa la valuta di riserva per pagare i suoi conti. Se sei la nazione con valuta di riserva puoi rilassarti, perché puoi pagare i tuoi conti emettendo moneta di credito.
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Anche Tsipras da Draghi per negoziare la fine della Grecia
Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.Mario Draghi in questi mesi ha ricevuto più e più volte Samaras, come ha più e più volte ricevuto il principale protagonista dell’opposizione a questo progetto: il leader di “Syriza”, ossia il buon Alexis Tsipras, che propone un programma in generale assai moderato e tutto “nazionale”, ossia fondato non sul rifiuto dell’euro (così come dicono coloro che vogliono speculare sui ribassi da quasi-panico e lucrare poi guadagni nei rialzi che ne seguono inevitabilmente nelle borse), ma su una schedulazione del debito, ossia una sua gestione condivisa che certamente non può provocare contagio alcuno per la sua piccolezza: 300 miliardi circa di euro sono una bazzecola rispetto alla potenza di fuoco dell’oligopolio finanziario mondiale e dei bilanci degli attori del citato oligopolio, oltreché dell’indimenticabile dispensatrice di sogni mediatici, ossia la Bce con il suo presidente, fascinoso come un attor giovane settecentesco.Ciò che è interessante, tuttavia, non è discettare sull’esito delle elezioni; infatti due cose sono certe: la vittoria di “Syriza” e l’impossibilità che essa avrà di formare un nuovo governo. Il che costringerà a una rinegoziazione del debito sub specie democratica in regime di emergenza. Questo se la Germania non si deciderà a scambiare condivisione di sovranità, e quindi di debito, con esistenza dell’euro. Nessuno vuole uscire dall’euro, ma l’unico modo per rimanervi è trattare e schedulare il debito. L’alternativa sarebbe l’occupazione militare del suolo greco, ma essa è impossibile. La soluzione sarà il congelamento della Grecia in un regime speciale di sorveglianza fiscale e finanziaria, com’è successo già diverse volte alla nazione greca, si ricorra o meno alle elezioni. Questo sarà possibile per ciò ch’io chiamo il paradigma greco. Paradigma analitico di cui mi sono convinto rileggendo il mio vecchio libro edito da Longam nel 1994 (“Southern Europe Since 1945: Tradition and Modernity in Portugal, Spain, Italy, Greece and Turkey”).Occorre riflettere sulla storia greca e sulla dinamica della macchina partitica che già il mio vecchio amico Keith R. Legg, in “Politics in Modern Greece”, aveva magistralmente descritto ben prima di me, per comprendere ciò che succederà. Esiste tuttavia anche un’altra nazione greca, attiva sin dalle guerre civili che segnarono il decennio che va dal 1821 al 1830 e su cui Lord Byron scrisse pagine memorabili. È la nazione dell’altra diaspora, ossia dei milioni di poveri greci emigrati in tutto il mondo e quella che, invece, non emigra e che fonda la tradizione democratica e socialista e comunista greca che attraverserà una tribolata esistenza anch’essa plurisecolare. Alcune famiglie (i Papandreou ne sono l’esempio più eclatante e preclaro) anche in questo caso ne rappresentano il gruppo dirigente, sino a condividere con la diaspora plutocratica usi e costumi, mantenendo tuttavia nella nazione le fonti essenziali della costruzione del potere, a differenza dell’altra nazione diasporico-plutocratica.Dalla dittatura di Metaxas negli anni Trenta del Novecento a quella dei colonnelli nel decennio Sessanta è tutto uno sgranarsi di conflitti in cui la Grecia è eterodiretta oppure fa immensi sforzi per liberarsi dall’eterodirezione. Come? Con politiche di ogni sorta, anche clientelari e assistenziali. Ma fa ciò anche il gruppo plutocratico estero, come ha dimostrato negli anni Novanta “Nuova Democrazia”, dominata allora dall’altra famiglia simbolo, i Karamanlis, con i brillanti risultati raggiunti truccando i conti e falsificando i bilanci dello Stato pur di entrare nell’euro. L’euro e la tecnocrazia antinazionale, del resto, è il regime più idoneo per l’ala plutocratica greca che si trova in tal modo a governare nel modo più consono alla sua storia che, come ho cercato di dimostrare, non è l’intera storia greca. Per questo le elezioni del gennaio 2015 sono così importanti nella storia europea. Perché lo sono in forma culturalmente cogente per l’intera storia greca e per i rapporti tra nazione e internazionalizzazione che sovradeterminano anche la storia di questa dimidiata “patria byroniana”.Una vicenda del resto non dissimile in molti punti dalla storia italiana e che quindi noi dovremmo seguire con grande partecipazione intellettuale. Il paradigma è quello di una nazione a precocissima parlamentarizzazione e ad altrettanto precoce larghissimo suffragio che si crea dal basso con forti radici popolari e un’immensa eco culturale in tutto il mondo civilizzato dell’epoca Il popolo greco, contadini e intellettuali déraciné in primis, insorge contro i turchi nel 1821 e nel 1829 raggiunge l’autonomia dall’Impero ottomano per ottenere, dopo intestine lotte civili, l’indipendenza nel 1830. Certo, Francia, Regno Unito (a Londra si firmò la dichiarazione d’indipendenza, del resto) e Russia appoggiano questa lotta in funzione anti-ottomana, ma immediatamente il prezzo che la nazione paga è l’imposizione di un re bavarese, Ottone I. La lotta tra le opposte fazioni facilita questa sottomissione. Ottone rappresenta quel settore cosmopolita della società e della cultura greca: la sua plutocrazia oligarchica e diasporica. Ancora oggi gli armatori greci godono dalla clausola costituzionale – costituzionale, si badi bene! – per cui essi non pagano tasse e possono legalmente battere bandiere straniere pur considerandosi cittadini greci.Ecco il mio paradigma. Il paradigma greco è quello di una nazione spaccata in due. L’oligarchia dominante che da più di due secoli esercita il potere di fatto è diasporica: ossia in Grecia, paradossalmente, laddove (se si appartiene alle classi alte) si studia, ci si forma e si domina la nazione è l’estero e non ciò che in altri contesti culturali è “la patria”. Si governa da più di due secoli la nazione, in primis, dai centri del capitale finanziario internazionale, non da Atene o da Salonicco. Un tempo solo da Londra, oggi anche da New York. Giova ricordare che la più interessante, libera e colta rivista greca, indispensabile per studiare e conoscere la Grecia, è edita a New York e il suo titolo è tutto un programma e un destino insieme, “Journal of Hellenic Diaspora”, una rivista di cui non si può far a meno, non solo per conoscere e seguire i problemi della Grecia, ma anche della regione turco-balcanica.Non ci sono problemi reali di default europeo e, se ce ne fossero, per i greci sarebbe meglio di questa lenta agonia somministrata come brevi permanenze nei lager. Anche se l’arroganza di persone come il povero Wolfgang Schaeuble, le quali avvertono i greci che qualsivoglia sia la loro decisione di voto nulla cambierà rispetto ai dettati europei, ossia della Troika, è veramente da commiserare ed esprime in forma plastica e icastica che ciò che l’ordoliberalismus invera è la fine della democrazia e la sua trasformazione in un’oligarchia dei ricchi e dei potenti, ovvero una plutocrazia: quella forma di governo, insomma, tanto osteggiata dal grande Tocqueville, il quale, guarda caso, è uno dei pensatori meno citati di questi tempi. Con Schaeuble è quasi impossibile prendersela, ma con l’ordoliberalismus sì, e verrà il giorno in cui la miseria dei dioscuri della distruzione della società salterà agli occhi di tutti.(Giulio Sapelli, “Il futuro dell’Italia è in Grecia”, da “Il Sussidiario” del 1° gennaio 2015).Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.
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Hathor Pentalpha e Isis, il romanzo criminale che ci attende
Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.Si tratta di massoni speciali, potentissimi, interconnessi fra loro nel super-network segreto delle Ur-Lodges. Uomini del massimo potere, abituati da sempre a influire nelle grandi decisioni geopolitiche, condizionando istituzioni che – in Occidente, a partire dagli Usa – vengono considerate esse stesse una sorta di emanazione massonica: senza il secolare impegno laico della “libera muratoria” europea nella lotta contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico, non avremmo avuto gli Stati moderni, la scienza moderna, la cultura moderna. Erano massoni i maggiori scienziati – da Newton a Einstein – così come i maggiori letterati e musicisti. Massoni anche i padri fondatori degli Stati Uniti. Massone l’americano Roosevelt, spettacolare campione della spesa pubblica vocata allo sviluppo della piena occupazione, secondo il credo del più grande economista del ‘900, il massone inglese John Maynard Keynes, su cui si basa tutta la sinistra europea marxista e post-marxista che ha messo in piedi il grandioso sistema di protezione sociale del welfare, fondato sulla sovranità democratica e monetaria per mitigare gli appetiti antisociali del “libero mercato”.La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt alle Nazioni Unite, l’assemblea planetaria eretta sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale, prefigura un’umanità redenta, liberata, globalizzata nei diritti e nelle aspirazioni al futuro. Esattamente il contrario dell’attuale globalizzazione neo-schiavistica, aristocratica, mercantilista, neo-feudale. Un disegno cinico e reazionario, oggi chiamato semplicemente “crisi”, sviluppato negli anni ‘70 dai ristrettissimi circoli elitari internazionali preoccupati dall’avanzata del loro grande nemico: la democrazia. Da qui il famigerato memorandum di Lewis Powell per stroncare la sinistra in tutto l’Occidente e il manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e traviarlo, in modo che non servisse più l’interesse pubblico, ma obbedisse ai diktat delle grandi lobby, l’industria delle armi, le grandi multinazionali invadenti e totalitarie.Una storia già raccontata? Sì, anche, da diversi analisti “eretici”. Ma mai, finora, dallo sconcertante punto di osservazione del massone Magaldi, che fornisce dettagli inediti e spiegazioni spiazzanti, partendo da una rivelazione capitale: tutti gli uomini del massimo potere, nel ‘900, sono sempre stati accomunati dall’iniziazione esoterica. Questo fa di loro gli esponenti privilegiati di un circuito cosmopolita autoreferenziale e invisibile, protetto, ma al tempo stesso profondamente dialettico, non sempre concorde. Anzi, proprio alla guerra sotterranea che ha dilaniato il “terzo livello” del super-potere è dedicata la straordinaria contro-lettura di Magaldi: che nel golpe in Cile, ad esempio, non vede solo il noto complotto delle multinazionali americane per colpire il governo socialista, pericolosamente amico dei lavoratori e dei loro salari, ma anche – e soprattutto, in questo caso – il ruolo decisivo del massone Kissinger nel colpo di Stato promosso dalla Cia contro il massone Allende, come monito all’intera America Latina, da ridurre a periferia coloniale, e anche alla stessa Europa, dove le stesse “menti raffinatissime” hanno organizzato il “golpe dei colonnelli” in Grecia e i tre tentativi di colpo di Stato in Italia, affidati a Borghese e Sogno ma supervisionati da Licio Gelli, emissario della potentissima superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger.Sul fronte opposto, si è mossa nell’ombra la “fratellanza bianca” delle superlogge progressiste, per tentare di rintuzzare i colpi dei “grembiulini” oligarchici. Come in un romanzo di Dan Brown, in un film di Harry Potter? Non a caso, sostiene Magaldi: proprio nel cinema e nella letteratura, negli ultimi anni, si è concentrata l’azione delle Ur-Lodges democratiche, in attesa di una grande riscossa – pace contro guerra, diritti contro privilegi – di cui lo stesso libro del “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla superloggia progressista “Thomas Paine”, è parte integrante. Per credere a Magaldi, all’inizio della lettura, occorre accettare di indossare i suoi occhiali. Poi, però, già dopo poche pagine, diventa impossibile togliergli: quelli che aggiunge, infatti, sono preziosi tasselli che spiegano ancor meglio i passaggi-chiave della storia del “secolo breve”, senza mai discostarsi dalla verità accertata, dalla storiografia corrente. Solo (si fa per dire) Magaldi aggiunge nomi e cognomi. Completa la storia che già conosciamo integrandola con indizi inequivocabili, che illuminano retroscena finora rimasti in ombra.I riflessi della “grande guerra” che Magaldi racconta li stiamo pagando oggi: la crescita delle masse in Occidente è finita, e il mondo è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Tutto è cominciato alla fine degli anni ‘60, prima con la morte di Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, poi con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King, che le Ur-Lodges progressiste volevano entrambi alla Casa Bianca. Nessuno si stupisca, dice Magaldi, se da allora la sinistra è stata sconfitta in modo sistematico: hanno vinto “loro”, i padreterni neo-feudali che volevano confiscare i diritti democratici e le garanzie del lavoro, retrocedendo i cittadini occidentali al rango di sudditi impauriti dal futuro e assediati dal bisogno. Sempre “loro”, gli egemoni, si sarebbero persino abbandonati a un clamoroso regolamento di conti: il clan che voleva George Bush alla Casa Bianca avrebbe fatto sparare a Reagan, e i sostenitori occulti di Reagan, per rappresaglia, di lì a poco avrebbero promosso l’attentato simmetrico a Wojtyla, eletto Papa anche col sostegno occulto degli amici di Bush.Poi, su tutto, è calato l’ambiguo sudario della pax massonica, suggellato nello storico patto “United Freemasons for Globalization”, sottoscritto nel 1981 non solo dalle superlogge occidentali di destra e di sinistra, ma anche dai “confratelli” sovietici alla vigilia della Perestrojka di Gorbaciov e dagli stessi cinesi, in vista delle grandiose riforme del “fratello” Deng Xiaoping. Peccato che però qualcuno abbia “esagerato”, riconosce il super-massone oligarchico che si firma “Frater Kronos”, nella sconcertante appendice del libro di Magaldi, in cui quattro pesi massimi delle Ur-Lodges si confrontano sulla trattazione, dopo aver aiutato il massone italiano a mettere in piazza tanti segreti di famiglia. “Frater Kronos”, su cui si lesinano le informazioni personali per mascherarne l’identità, dimostra l’autorevolezza del grande vecchio del potere occidentale. «No, non sono il fratello Kissinger», scherza, quasi a suggerire che potrebbe trattarsi di un pari grado, del calibro di Zbigniew Brzezinski. Anche “Frater Kronos” – chiunque egli sia in realtà – conferma l’allarme: qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita a una superloggia definita inquietante, pericolosa e sanguinaria, denominata “Athor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro lo schermo della “primavera araba”. Il nuovo bersaglio è la Russia di Putin? C’è una precisa geopolitica del caos: e i golpisti occidentali puntano sempre sulla loro creatura più grottesca, il fondamentalismo islamico. Ci stanno lavorando dal lontano 2009, quando i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Regista dell’operazione? Sempre loro: la famiglia Bush. Per la precisione il fratello di George Walker, Jeb Bush, che vorrebbe fare di Al-Baghdadi il nuovo Bin Laden, da spendere per le presidenziali 2016. Dietrologia? Anche qui, “Massoni” fornisce chiavi inedite, partendo dall’attitudine esoterica degli iniziati: Isis non è solo il nome dell’orda terroristica messa in piedi da segmenti della Cia, è anche quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, carissima ai massoni che si definiscono anche “figli della vedova”. In alcuni testi antichi, Isis è chiamata anche con un altro nome, Athor. Proprio come la superloggia di Bush e Blair. Il Medio Oriente sta bruciando, è tornato lo spettacolo dell’orrore dei tagliatori di teste. “Frater Kronos” è preoccupato, il 2015 comincia male. Sicuri che non sia il caso di indossarli ancora, gli occhiali di Gioele Magaldi?(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.
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Magaldi: chi ha ucciso i nostri eroi, per dominare il pianeta
Tu chiamala, se vuoi, massoneria. Il che, per i libri di storia, significa al massimo Risorgimento, cioè lotta illuminista contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico. Per la stampa italiana del dopoguerra, la connotazione della “libera muratoria” è quasi sempre negativa: Licio Gelli e la P2, Berlusconi, opache trame e comitati d’affari. La fratellanza in grembiulino? Sempre elusiva, quindi fatalmente relegata nel ghetto narrativo della controinformazione, il cosiddetto complottismo che impazza sul web da quando la grande crisi sta minacciando miliardi di esseri umani. Le avvisaglie di quella che alcuni chiamano Terza Guerra Mondiale fanno da sfondo alle fragorose devastazioni dell’altra guerra, già in atto, da parte dell’élite tecno-finanziaria contro il 99% dell’umanità, i non eletti, i cittadini da retrocedere al rango di plebe a cui togliere i diritti democratici conquistati nei decenni del benessere, in virtù della poderosa combinazione messa in campo da Roosevelt e Keynes: economia per tutti, grazie al gigantesco investimento dello Stato, spesa pubblica in forma di deficit positivo. Tutto cancellato, come sappiamo, dagli oligarchi del rigore neoliberista e dai loro politici, economisti, propagandisti. Ma che c’entrano le logge?La massoneria è esattamente l’anello mancante, risponde Gioele Magaldi, “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla “Thomas Paine”, super-loggia internazionale progressista nata a metà dell’800 negli Stati Uniti per allevare le migliori menti dell’economia democratica. Missione: coniugare sviluppo e benessere diffuso, ricchezza e giustizia, prosperità e diritti, secondo l’ispirazione del socialismo liberale che affonda le sue remote radici nella Rivoluzione Francese. Un orizzonte emblematizzato dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata all’Onu sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale per volere della “libera muratrice” Eleanor Roosevelt. “Massoni, società a responsabilità illimitata”, clamorosa operazione editoriale firmata da Chiarelettere, si propone di squarciare il velo di segretezza che ha finora coperto e protetto il “back office” del vero potere, sempre bifronte: da una parte la “fratellanza bianca”, illuminata e democratica, e dall’altra i potentissimi antagonisti neo-feudali, supremi manovratori dell’élite oligarchica che oggi ha preso il sopravvento e da decenni ricatta il mondo con l’arma finale della finanza.Un’analisi radicale, quella di Magaldi, che si scosta dai toni apocalittici del “cospirazionismo” anti-sistema, anche perché innanzitutto ribadisce il ruolo-chiave del capitalismo nell’affermazione della modernità. In più – e qui sta la novità dirompente – Magaldi offre una rilettura interamente massonica della storia recente, sostenendo che in tutti i passaggi decisivi delle maggiori vicende internazionali c’era sempre un convitato di pietra, rimasto nell’ombra. Ad ogni grande evento che ha segnato il nostro passato – questa è la tesi – non corrispondono soltanto aspirazioni di popoli, correnti e partiti, dinamiche economiche e condizioni geopolitiche, ma anche persone in carne e ossa. Nomi e cognomi, individui responsabili di decisioni precise, di acuminate strategie affidate a singoli attori. In questo modo, sempre secondo Magaldi (che ha “blindato” archivi e testimonianze, da esibire all’occorrenza), nel retrobottega del massimo potere si sono prima confrontate e poi affrontate, senza risparmio di colpi, due opposte visioni del mondo, una democratica e l’altra oligarchica, nutrita cioè di autentico spirito aristocratico – quello di chi pensa che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi da solo. Due “fratellanze”, dunque, accomunate dalla medesima attitudine iniziatico-esoterica, ma profondamente divergenti nella concezione politica e quindi negli obiettivi da raggiungere.Il “filtro” massonico che Magaldi applica alla sua sorprendente rilettura dell’intera storia del Novecento – l’anello mancante, appunto – contribuisce a illuminare la profondità dell’origine di alcuni eventi, senza peraltro distorcene mai la verità storica accertata, né il senso politico generale, comunemente condiviso e acquisito. E’ una sorta di avvertimento, ai lettori ma anche agli storici: attenti, le cose sono andate così anche perché, oltre alle dinamiche socio-economiche da voi evidenziate, ci sono state riunioni cruciali, scelte e decisioni precise, tutte assunte – nella più totate segretezza – da uomini potentissimi, il cui ruolo emerge solo ora, per la prima volta, grazie agli sterminati elenchi presenti nelle 650 pagine di “Massoni”, che peraltro si conclude con uno stupefacente dibattito tra super-adepti progressisti e confratelli antagonisti “pentiti”, spaventati dalle conseguenze “golpiste” della globalizzazione neoliberista imposta a mano armata.Annunciato come il primo di una lunga serie, imbottita di rivelazioni esplosive, il libro è anche un dichiarato atto di guerra infra-massonico, contro le lobby avversarie: un guanto di sfida rivolto prima di tutto agli iniziati neo-aristocratici. Un’arma pubblica, per indebolire il fronte dei grandi oligarchi, i boss della privatizzazione universale, il cui club esclusivo – secondo Magaldi – è rappresentato da storiche super-logge onnipotenti come la “Three Eyes”, di cui farebbero parte personaggi come Kissinger, Brzezisnki, Mario Draghi e i titani di Wall Street. E naturalmente i Rotschild e i Rockefeller, cioè gli stessi che, attraverso la super-loggia dei “tre occhi”, hanno fondato il corrispettivo organismo paramassonico con “tre lati”, la famigerata Trilateral Commission, cupola dell’élite mondiale da cui diffondere il verbo neoliberista, la “morte” dello Stato che deve far posto al mercato, i diktat della destra economica che eredita il memorandum di Lewis Powell e lo sviluppa nella “Crisi della democrazia”, il saggio di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki, secondo cui curare la democrazia con altra democrazia è folle, sarebbe come «tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Basta democrazia, la ricreazione è finita.Il cuore del libro è concentrato sul punto di svolta della nostra storia del dopoguerra, cioè la fine degli anni ‘60 e l’avvento dei piani neo-aristocratici per fermare l’onda lunga della democrazia che, abbattuto il nazifascismo, aveva ricostruito l’Europa inaugurando la stagione irripetibile del boom economico, con l’inedito benessere per le classi popolari e la nuova frontiera civile incarnata dal welfare. Il mainstream, allora, era quello tracciato dal “fratello” Frankin Delano Roosevelt sulla base della strategia politico-economica del “fratello” John Maynard Keynes: se lo Stato fa spesa pubblica e deficit positivo, l’economia prospera e ne beneficiano tutti. Dottrina tradotta in pratica, in Europa, dal “fratello” George Marshall. Keynesismo “di sinistra”, certo, “ma anche massonico”, aggiunge Magaldi, preoccupato di “dare a Cesare”. Impossibile, insiste, trascurare questo dettaglio: tutti i grandi protagonisti del progressismo del dopoguerra erano affiliati a “Ur-Lodges” di sinistra, come la “Thomas Paine”. Organismi ultra-riservati, e per questo mai finiti al posto giusto nei libri di storia. Eppure, importantissimi. E spesso decisivi, nella loro funzione di suprema diplomazia, molto al di sopra degli esecutori nazionali, governi e partiti.La grande battaglia rievocata da “Massoni”, tutta giocata dietro le quinte ben prima che i fatti diventassero cronaca e poi storia, secondo Magaldi comincia con la scomparsa di Angelo Roncalli, il “Papa buono”, lo straordinario riformatore sociale del Concilio Vaticano II. Magaldi racconta che pure Giovanni XXIII era un “fratello”, associato a una prestigiosa super-loggia progressista in Turchia e poi a un cenacolo rosacrociano in Francia. Sincretismo, dunque: apertura a diverse tradizioni spirituali, per far convergere energia (sapienza) verso il progresso dell’umanità. Poco dopo, la tragica morte di John Fitzgerald Kennedy, l’uomo con troppi nemici. Chi l’ha ucciso? Quasi impossibile stabilirlo. Ma una cosa sembra ormai certa: Jfk era d’accordo con Khrushev per smilitarizzare il pianeta e quindi mettere fine alla guerra fredda entro il 1970. Dopo l’omicidio di Dallas, racconta Magaldi, le “Ur-Lodges” progressiste puntarono su un ticket formidabile: Bob Kennedy alla Casa Bianca con al suo fianco Martin Luther King, forse spendibile addiritttura per la vicepresidenza. Quello, sostiene l’autore di “Massoni”, è stato il momento fatale in cui abbiamo perso tutti: da allora, la democrazia sociale non ha fatto che perdere rovinosamente terreno, in tutto il mondo. Come sarebbe oggi il pianeta se l’America fosse stata governata da Robert Kennedy e da Martin Luther King?Il doppio omicidio dei due campioni dei diritti democratici scatena la guerra dei sospetti nel “back office” del supremo potere: da allora, democratici e neo-aristocratici scendono ufficialmente in guerra. Vincono i secondi: l’America va sempre più a destra, fa la guerra in Vietnam e poi afferma il neoliberismo definitivo con Reagan, mentre in Gran Bretagna è già stata costruita l’affermazione della “sorella” Margaret Thatcher. Nel frattempo, la “guerra coperta” è andata avanti senza risparmio. Prima il golpe dei colonnelli in Grecia, secondo Magaldi un test per saggiare la capacità di resistenza democratica in Europa di fronte a un’involuzione neofascista (Atene come possibile battistrada per abolire la democrazia anche in altri paesi europei). Poi, in risposta, la “rivoluzione dei garofani” in Portogallo, fatta scattare nel 1974 – non a caso il 25 aprile, come monito ai complottisti neo-feudali (il solito Kissinger) che cospiravano contro la democrazia italiana.Magaldi infatti accredita pienamente almeno tre tentativi di golpe in Italia, due affidati a Junio Valerio Borghese e uno a Edgardo Sogno, sistematicamente sventati dalla “fratellanza bianca”, coordinata dal sociologo e premio Pulitzer Arthur Schlesinger Jr,. infaticabile combattente e anima delle “Ur-Lodges” democratiche. Di fronte al fallimento del golpismo italiano, il cartello mondiale guidato dalla “Tree Eyes” allenta la presa sull’Europa e si concentra sul Sud America: l’Operazione Condor comincia dal Cile (omicidio Allende) e poi trasforma l’Argentina nell’inferno della giunta militare. Intorbidita ulteriormente da una scissione all’interno dell’ala destra (alla “Three Eyes” che puntava su George Bush senior si oppone la “White Eagle”, che riesce a imporre Reagan alla Casa Bianca), la “guerra segreta” finisce di colpo nel 1981, con due attentati cruenti ma non letali, contro il neo-presidente e contro il Papa. Reagan viene ferito gravemente. Un complotto ordito dalla super-loggia dei “tre occhi”? Poco dopo, la stessa sorte tocca al pontefice polacco, il cui massimo sponsor era stato Brzezinski, uno dei massimi leader della “Three Eyes”.Il terrorista turco Alì Agca ha sparato a Wojtyla alle ore 17,17 precise. Per Magaldi, è un indizio decisivo, sempre trascurato dagli investigatori: il 1717 è l’anno di rifondazione della massoneria, dunque si tratta di una “firma” inequivocabile. Ovvero: sarebbero stati i super-fratelli della “White Eagle” a “vendicare” l’attentato a Reagan, “avvertendo” Brzezisnki. Di lì a poco, sarebbe sbocciata la grande tregua sottoscritta con lo storico manifesto “United Freemasons for Globalization”, includente persino i “fratelli” dell’Urss e della Cina comunista, anch’essi collegati alle “Ur-Lodges” del super-potere mondiale, in vista di epocali trasformazioni: la perestrojka di Gorbaciov e le riforme capitaliste di Deng Xiaoping. Una storia che procede in modo lineare, fino al punto di non-ritorno: l’11 Settembre. Il super-attentato del 2001 dà il via alla “guerra infinita”, patrocinata dai nuovi campioni delle super-logge dell’ultradestra: Tony Blair, George W. Bush, Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Colin Powell, Nicolas Sarkozy. Tutti “fratelli”, assicura Magaldi, firmando la sua sconcertante contro-storia (massonica) delle tragedie che costellano l’attualità di oggi. Aprite gli occhi, raccomanda il “gran maestro” italiano: quello che vi sta accadendo era previsto nei dettagli, è stato deciso a tavolino, e il piano è stato eseguito con spietata precisione. Ma, in quei circoli super-segreti, non tutti erano d’accordo. E ora, finalmente, dopo quarant’anni di incontrastato dominio autoritario, ci sarà una controffensiva democratica, di cui il libro è parte integrante.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Tu chiamala, se vuoi, massoneria. Il che, per i libri di storia, significa soprattutto Risorgimento, cioè lotta illuminista contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico. Per la stampa italiana degli ultimi decenni, la connotazione della “libera muratoria” è quasi sempre negativa: Licio Gelli e la P2, Berlusconi, opache trame e comitati d’affari. La fratellanza in grembiulino? Sempre elusiva, quindi fatalmente relegata nel ghetto narrativo della controinformazione, il cosiddetto complottismo che ora impazza sul web da quando la grande crisi sta minacciando miliardi di esseri umani. Le avvisaglie di quella che alcuni chiamano Terza Guerra Mondiale fanno da sfondo alle fragorose devastazioni dell’altra guerra, già in atto, da parte dell’élite tecno-finanziaria contro il 99% dell’umanità, i non eletti, i cittadini da retrocedere al rango di plebe a cui togliere i diritti democratici conquistati nei decenni del benessere, in virtù della poderosa combinazione messa in campo da Roosevelt e Keynes: economia per tutti, grazie al gigantesco investimento dello Stato, spesa pubblica in forma di deficit positivo. Tutto cancellato, come sappiamo, dagli oligarchi del rigore neoliberista e dai loro politici, economisti, propagandisti. Ma che c’entrano le logge?
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L’antispreco è servito, tra gli chef anche Serge Latouche
Bastano tre mele per fare un dolce-capolavoro. L’importante? E’ che siano bacate. Parola di Anna Blasco, “food stylist” e “food maker” torinese. Perché il capolavoro è doppio: non solo il gusto, ma anche il piacere del recupero del cibo che sta per finire nella spazzatura. Pura filosofia: il cibo non è solo un mezzo per vivere, come insegna Emmanuel Lévinas. «All’esteriorità del cibo corrisponde la nostra sensibilità», spiega il professor Enrico Guglielminetti, direttore di “Spazio Filosofico”. «Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo al rapporto che abbiamo con gli altri». Mancanza di rispetto: «Lo spreco alimentare, che riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare». Una sorta di abuso di potere. «Produrre rifiuti allora diventa un vizio, l’opposto della virtù». E noi di cibo ne sprechiamo troppo: 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, cioè un terzo di tutta la produzione mondiale di alimenti destinati all’uomo, lungo la filiera-colabrodo dei consumi di massa. Rimediare? Ovvio che sì. Partendo dalla cucina di casa. Basta seguire, alla lettera, le ricette di grandi chef: che si chiamano Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Rossano Ercolini, Pamela Warhurst. E Serge Latouche, naturalmente.«Mangiare meglio, non meno», raccomanda il caposcuola francese del pensiero della decrescita. «Partiamo dalla pratica, dalle piccole cose quotidiane: abbandonare l’abitudine di sprecare, di acquistare cibo che arriva dall’altra parte del mondo, rivestito di imballaggi in plastica». Latouche è il maître della tavola (digitale) imbandita da Alessandra Mazzotta, “L’antispreco è servito”, agile manuale in formato ebook. L’autrice, giornalista specializzata in comunicazione ambientale e sostenibilità, si definisce «pessima cuoca, ma buona forchetta». In città si sposta in bici e «viaggia come ecoturista anche in sogno», secondo l’editore, “Bookrepublic”. Sogni? Quello di Latouche è «un’utopia socialista» chiamata decrescita, per «aiutarci a sperare», fuori dal totalitarismo consumistico. Intanto, “L’antispreco è servito” propone ricette domestiche per un risveglio anche immediato. Formule divertenti, come quella del “mago” Ercolini che trasforma in funghi i fondi di caffè. E prodigi sensazionali come il miracolo di Todmorten, vicino a Manchester, dove due donne si sono inventate la rivoluzione verde di “Incredible Edible”, il villaggio dove gli ortaggi a disposizione degli abitanti crescono persino nelle aiuole della stazione di polizia.«In un mondo paradossale in cui un miliardo di persone soffre di fame e un altro miliardo di malattie connesse con l’obesità, le distorsioni pesano troppo nel piatto e assumono un sapore di immoralità», scrive Mazzotta. «Nei paesi industrializzati, solo per fare qualche esempio, si cestinano 222 milioni di tonnellate di cibo, che equivalgono – tonnellata più, tonnellata meno – alla produzione alimentare disponibile dell’intera Africa sub-sahariana». Gli sprechi alimentari sono ovunque: dalla produzione agricola fino alla distribuzione. «Per non parlare di quelli che avvengono a livello domestico, nelle nostre cucine», sui cui antidoti è concentrata la mappa operativa del libro, utilissima per orientarsi da subito, cercare maestri, trovare alleati preziosi. Associazioni, campagne antispreco, Last Minute Market. Un mondo, navigabile partendo dal computer. Dalla piccola distribuzione alla ristorazione, la spesa consegnata in bicicletta e il locale aperto a Leeds dallo chef Adam Smith, dove vengono serviti piatti di ogni genere, dalla bistecca alla zuppa, a base di ingredienti scartati dagli stabilimenti alimentari della città. «Buon cibo salvato dalla discarica, che aiuta anche a nutrire chi fatica ad arrivare alla fine del mese».Il libro propone una geografia confortante, dalla rete milanese dei ristoranti “ad avanzi zero”, ai sommelier dell’Ais che spiegano come portarsi a casa il vino avanzato. Cresce la rete del “food sharing”: negli Usa, puoi fotografare gli avanzi nel piatto per segnalarli e riciclarli. In Germania, via web, gli abitanti di sette città si scambiano il cibo in eccesso. Stessa cosa a Londra, grazie al “Casseroleclub”. In Italia, “Food Share” è una piattaforma web che permette a privati, produttori e rivenditori di offrire gratuitamente prodotti alimentari in eccedenza a scopi solidali. A Trento basta un’app sul telefonino per ritirare gli avanzi, a Torino provvede una piattaforma web, “NextDoorHelp”, mentre a Treviso lo smistamento dell’antispreco è affidato al frigorifero virtuale di “Ratatouille”, da cui esplorare l’offerta della dispensa eco-solidale. Sono tutti avamposti, per un futuro meno grigio: «Nonostante la crisi, noi italiani buttiamo via ancora troppo cibo: il 55% viene sprecato nella filiera agroalimentare e il restante 45% nel consumo domestico, mense e ristoranti compresi», scrive Alessandra Mazzotta. «Ogni anno, lo spreco domestico ci costa più di 8 miliardi di euro. In media, ogni famiglia getta nella spazzatura più di 500 euro in alimenti».Maurizio Pallante, leader dei decrescisti italiani, punta il dito contro «stili di vita ancora irresponsabili», e spiega: «Manca la consapevolezza del legame tra cibo e stagioni», e in più «non viene data sufficiente attenzione a quanto costa il cibo, produrlo, distribuirlo. Per cui si spreca tanto, con impatti ambientali altissimi». D’altra parte, «chi vende il cibo ha interesse a che se ne venda e se ne sprechi sempre di più». Colpa anche della vecchia agricoltura industriale, pensata come “industria estrattiva” per spremere la terra, allo scopo di vendere e guadagnare sempre di più, grazie anche all’autismo demenziale di una politica che pensa solo al Pil, gonfiato di veleni. L’antidoto si chiama «riscoperta della piccola produzione contadina, con la vendita delle eccedenze, in un’ottica di filiera corta come massima espressione della sovranità alimentare a livello territoriale». Questo, aggiunge Pallante, «favorisce la maturazione della consapevolezza e della responsabilità verso il cibo». Perché, ricordiamolo, l’accesso al cibo è un diritto. Dunque, «non sprecarlo è un dovere», chiarisce Lorenzo Bairati, docente di diritto degli alimenti all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, creata da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.Se il sistema produce ancora passività sprecona, il “decalogo antispreco” di Alessandra Mazzotta propone una via d’uscita praticabile subito, da chiunque: pianificare i pasti, controllare il frigo, verificare etichette e scadenze, gestire gli avanzi e condividerli. C’è un mondo sconosciuto, nel frigorifero: dallo yogurt al tonno, si tratta di decifrare e vigilare sulle date, sulle modalità di conservazione. E di imparare: per esempio, a far “risorgere” ortaggi che ci stanno salutando. Patate e aglio che germogliano? Basta saperci fare, «la natura ha del miracoloso». Sedani, insalate, cipollotti: con poche mosse, un possibile rifiuto diventa una risorsa che ricresce sul davanzale. «Non ricordo di aver mai visto mia nonna buttare via del cibo avanzato», dice Alessandra. «Male che andava, c’era sempre il cane. Chi ha visto la guerra faceva così». Oggi, la “guerra” che abbiamo attorno è un’altra. Per fortuna, «complice forse la crisi e una maggiore coscienza, stanno fiorendo iniziative antispreco un po’ a ogni latitudine». E anche ottimi libri, che ti spiegano come fare. E intanto ti regalano la certezza di essere parte di una comunità. Un’umanità consapevole, che conosce le parole di Gandi: la Terra è abbastanza grande per soddisfare i bisogni di tutti, ma non l’avidità di pochi.(Il libro: Alessandra Mazzotta “L’antispreco è servito”, Bookrepublic, 625,8 Kb, euro 1,99. Mazzotta è redattrice del newmagazine “Econote” e gestisce il blog “Ecoavoi”).Bastano tre mele per fare un dolce-capolavoro. L’importante? E’ che siano bacate. Parola di Anna Blasco, “food stylist” e “food maker” torinese. Perché il capolavoro è doppio: non solo il gusto, ma anche il piacere del recupero del cibo che sta per finire nella spazzatura. Pura filosofia: il cibo non è solo un mezzo per vivere, come insegna Emmanuel Lévinas. «All’esteriorità del cibo corrisponde la nostra sensibilità», spiega il professor Enrico Guglielminetti, direttore di “Spazio Filosofico”. «Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo al rapporto che abbiamo con gli altri». Mancanza di rispetto: «Lo spreco alimentare, che riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare». Una sorta di abuso di potere. «Produrre rifiuti allora diventa un vizio, l’opposto della virtù». E noi di cibo ne sprechiamo troppo: 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, cioè un terzo di tutta la produzione mondiale di alimenti destinati all’uomo, lungo la filiera-colabrodo dei consumi di massa. Rimediare? Ovvio che sì. Partendo dalla cucina di casa. Basta seguire, alla lettera, le ricette di grandi chef: che si chiamano Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Rossano Ercolini, Pamela Warhurst. E Serge Latouche, naturalmente.
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Addio Costituzione, l’Ue è fuorilegge e cospira contro di noi
Non c’è neanche un solo diritto fondamentale enunciato dalla Costituzione che non risulti alterato in maniera sostanziale dall’applicazione dei trattati europei: la critica dell’Ars non è solo critica all’euro, ma critica all’Unione Europea. L’Italia ha giocoforza subìto una rivoluzione, che è maggiore rispetto ad altri Stati appartenenti all’unione: dai primi anni ‘90 abbiamo modificato il sistema processuale penale, il sistema di distribuzione dei poteri dal centro alla periferia, il sistema elettorale (ribaltandone completamente i presupposti), ci si è spinti verso l’aziendalizzazione delle università spacciandola per “autonomia” e infine si è modificata la legge bancaria del 1936, che fu posta a fondamento del nostro sistema economico. Con una “legge-delega” (che toglie di fatto dal dibattito democratico del Parlamento l’attività legislativa) venne introdotto con il Tub (Testo Unico Bancario, 1994) un nuovo concetto di banca come non più “istituzione pubblica”, ma moderna “società di diritto privato”; il Tuf (Testo Unico Finanza, “legge Draghi”, 1998) liberalizzò mercati e intermediari finanziari dettando i “principi generali” e lasciando, in delega agli stessi, le modalità di regolamentazione in barba ai principi costituzionali.Nel 1992 Carli formalizzò la separazione della banca centrale dal Tesoro e consentì il processo di costituzione della Bce, banca centrale di uno “Stato che non c’è”. Questa rivoluzione è avvenuta, ed è fondamentale ricordarlo, non a causa dell’euro, ma ancor prima per responsabilità dei trattati dell’Ue: dagli anni ‘80, e poi definitivamente con Maastricht, i princìpi fondamentali delle costituzioni europee sono diventati feticci, la Costituzione italiana è stata presa di mira poiché in contrasto coi trattati, e conseguentemente disinnescata. Questo meccanismo perpetrato di disinnesto delle sovranità nazionali ci ha condotti verso l’impossibilità giuridica di disciplinare numerose materie di interesse pubblico. Un paese liberista, come l’Ue impone ai propri membri, è per forza globalista. Un paese che viceversa pianifica la propria economia, come ci imporrebbe il dettato costituzionale, è un paese dove il popolo, la legge e lo Stato controllano, disciplinano e dirigono la res publica in modo più o meno socialista.Una norma fondamentale contenuta nella nostra Costituzione, l’articolo 41, enuncia: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. La parte più nobile del trattato costituzionale è dunque la parte che disciplina i rapporti economici: ristabilire la legalità costituzionale significa pertanto prevedere partecipazioni statali ed aiuti di Stato ad imprese in settori strategici (misura che portò la nostra industria pubblica ad essere avanguardia nel mondo). Oggi, all’interno dell’Unione Europea, tutto questo risulta essere inapplicabile. Inoltre, per imporre di nuovo un sistema progressivo di imposizione bisognerebbe limitare la circolazione dei capitali: non esiste nessun esperienza socialista o socialdemocratica che non abbia applicato questo principio come era applicato da noi prima della distruzione economica, ma soprattutto sociale, di questo nostro intero continente. L’unico internazionalismo (parola tanto abusata quanto ostica) accettabile è quello in cui si ha un rapporto di pace tra stati socialisti. E sovrani.(Martina Carletti, “Euro, Unione Europea o socialismo?”, da “Appello al Popolo” del 23 ottobre 2014).Non c’è neanche un solo diritto fondamentale enunciato dalla Costituzione che non risulti alterato in maniera sostanziale dall’applicazione dei trattati europei: la critica dell’Ars non è solo critica all’euro, ma critica all’Unione Europea. L’Italia ha giocoforza subìto una rivoluzione, che è maggiore rispetto ad altri Stati appartenenti all’unione: dai primi anni ‘90 abbiamo modificato il sistema processuale penale, il sistema di distribuzione dei poteri dal centro alla periferia, il sistema elettorale (ribaltandone completamente i presupposti), ci si è spinti verso l’aziendalizzazione delle università spacciandola per “autonomia” e infine si è modificata la legge bancaria del 1936, che fu posta a fondamento del nostro sistema economico. Con una “legge-delega” (che toglie di fatto dal dibattito democratico del Parlamento l’attività legislativa) venne introdotto con il Tub (Testo Unico Bancario, 1994) un nuovo concetto di banca come non più “istituzione pubblica”, ma moderna “società di diritto privato”; il Tuf (Testo Unico Finanza, “legge Draghi”, 1998) liberalizzò mercati e intermediari finanziari dettando i “principi generali” e lasciando, in delega agli stessi, le modalità di regolamentazione in barba ai principi costituzionali.