Archivio del Tag ‘sopraffazione’
-
La nostra paura è il loro cibo, ma sanno che perderanno
Aspettatevi qualche altra sorpresina fra il 7 e l’11 settembre, avverte il Santone dell’Amore, così battezzato dal “Resto del Carlino” durante una tappa del suo tour nelle piazze italiane. Michele Giovagnoli se la ride: il simpatico ragazzo che mi ha intervistato, dice, non riusciva a capire niente, di quello che gli dicevo. O meglio: non riusciva a concepire il fatto che sia semplicemente bellissimo, e oggi addirittura necessario, ritrovarsi in piazza per “abbracciare” i nostri simili, in un momento come questo. Alchimista, autore di saggi, conduttore di emozionanti stage formativi nei boschi: Giovagnoli è una delle voci che meglio fotografano lo stato di salute dell’altra Italia. Quella che piange e ricorda con affetto riconoscente Giuseppe De Donno, uno dei medici-eroi che, se fossero stati ascoltati, avrebbero costretto le autorità a mettere fine all’ormai interminabile emergenza. Un allarme costruito col pretesto del problema sanitario, ma in realtà tenuto in piedi in un solo modo: e cioè continuando a rifiutarsi di curare i malati, così da farli finire davvero all’ospedale (per poter seguitare a raccontare la cosiddetta pandemia).E tutto questo, ovviamente, allo scopo di poter somministrare “il cocktail servito nei peggiori bar di Caracas”, come lo chiama Giovagnoli, che precisa: non crediate che quel siero (che hanno il coraggio di chiamare “vaccino”, calpestando la storia della scienza) fosse il vero obiettivo, economico, di tutta la faccenda. Macché: quella è gente che, i soldi, li stampa. Il vero scopo, di tutto questo orrore? Sempre lo stesso: spaventarci per annichilirci, depotenziarci come essere umani, toglierci il sorriso (con le mascherine) e isolarci, ormai diffidenti l’uno dell’altro. E quindi: “spegnerci” il cuore. Perché l’organo al centro del nostro torace dispone di una tecnologia più sofisticata di quella del cervello, capace di emettere la frequenza che, per i “rettili” al potere, è la più temibile. Parla così, il Santone dell’Amore: e non scherza per niente. Il concetto lo va ripetendo da un anno e mezzo, ogni settimana, a colpi di dirette Facebook. Già a marzo 2020 avvertiva: state fermi, non reagite, non lasciatevi schiantare dalla rabbia per i lockdown. E’ quello che vogliono: mortificare la vostra frequenza del cuore. E dunque: sorridete, restate uniti e immergetevi nella natura.Da un mese insiste su una data: 9 ottobre. Sarà il termine entro il quale sarà ancora possibile “caricare forza”, in vista dell’azione: da parte loro, e da parte nostra. Vedrete, ribadisce: entro l’11 settembre intanto “abbaieranno” ancora, magari evocando l’obbligo (già esteso in modo ricattatorio, nei fatti, attraverso il Green Pass). E poi, a ottobre, passeranno alle vie di fatto. Cosa propone, il Santone dell’Amore? Semplice: resistere ancora, non cedere. Osserva: mentono sempre, sono quasi patetici. Si vantano dei successi della campagna “vaccinale”? Figurarsi: va così bene, la campagna, che ora farneticano di “obbligo”. Riassume Michele: prima hanno puntato sugli anziani, spaventandoli e mandando in giro un commissario vestito da generale. Poi hanno provato con i meno anziani, ma non ha funzionato. E dato che il tempo stringe, ora allungano gli occhi (e le mani) sui minori, sui bambini. I ragazzi li hanno intrappolati sfruttando la loro naturale esuberanza: la doppia dose per riconquistare la pizzeria, la discoteca, la palestra. I loro idoli, cantori della libertà? Tutti improvvisamente muti: non un cantante che abbia osato aprir bocca per denunciare il sopruso.Ora siamo al capolinea: la scuola “mascherata”, oppure “vaccinata”. I bambini? Per noi sono il futuro, per i “rettili” invece sono soltanto numeri: quelli oggi preziosi per rendere finalmente meno incresciosi i numeri della profilassi zootecnica a base di pozioni geniche sperimentali. Di qui l’appello alle madri: resistete, proteggeteli, e un giorno vi ringrazieranno. E’ gente pericolosa? Certo, risponde Giovagnoli. Ma li avete visti, in faccia? Non hanno emozioni. Sono come i rettili, quelli veri: per sopravvivere devono macinare carne. Loro non sono come noi, vivono in una frequenza fredda. Hanno bisogno della nostra paura: se ne nutrono. La nostra sofferenza è il loro cibo, da sempre. Il peggior torto che si può fare loro? Sorridere, mostrarsi felici. Indifferenti alle loro malefatte, e sempre più uniti e solidali, cioè amorevoli, cioè forti. Altra ricetta non esiste: ed è quella che i “rettili” temono davvero, come dimostra la loro ostinazione nel tentare di atterrirci.Resistenza? Sì: anche se ha un costo. Il treno col Pass? Non lo prendi. I locali che lo pretendono? Li boicotti. La scuola? La abbandoni. Notizie: c’è un’Italia (bannata dai media) che sta letteralmente insorgendo. Non in piazza, in silenzio: costruendo alternative. Genitori che si attrezzano con l’home schooling, insegnanti disponibili a trasferirvisi, medici disposti a cure “clandestine”, di fronte all’aut-aut ospedaliero o alla radiazione. Già il Piemonte avverte: non riusciremo a “inocularli” tutti, dunque rischiamo di chiudere pezzi di sanità per mancanza di personale. Le parole di Michele Giovagnoli sono pacifiche, ma non innocue: sono rivoluzionarie. Ricordano quelle del Sessantotto? Allora s’era in anticipo sui tempi, che oggi invece sarebbero maturi: perché i “rettili” hanno definitivamente gettato la maschera, non fanno nemmeno più finta di stare dalla nostra parte. Un italiano su tre sta facendo resistenza civile, uno su due non bada più alle vomitevoli menzogne dei media e alle ciance degli straccivendoli della politica.Solo un pazzo (o un cieco) potrebbe non vedere quello che sta accadendo: si ventila il ricorso alla coercizione, alla sopraffazione totalitaria. Che motivo ci sarebbere, per arrivare a questo – si domanda Giovagnoli – se il potere stesse davvero vincendo? La verità è l’esatto opposto: stanno perdendo, e hanno una paura matta di dover rinunciare a dominarci. Sanno che, per loro, il grande pericolo è il nostro risveglio: che sta avvenendo, anche grazie all’inaudita e velocissima progressione delle loro violenze. E’ grande, l’Italia che resiste: è fatta anche i poliziotti e pompieri che si fanno fotografare mentre pranzano all’aperto, fuori dalla mensa, insieme ai colleghi che ne sarebbero stati esclusi perché privi di Green Pass. Giovagnoli emoziona, e si emoziona: come nessun politico e nessun leader di nessun movimento, da millenni. Come se la politica stessa – tutta – fosse finita nella spazzatura, tra i rifiuti della storia e dell’evoluzione umana.Ci siamo, ripete: è la nostra grande occasione. Il momento è arrivato: stavolta saremo noi a tirarlo, il calcio di rigore. Costruendo un altro mondo, alimentato dall’amore: cioè l’energia solare che ci chiama dal cosmo. Per essere liberi e finalmente vivi, sapendo che – se sei arrivato fin qui – indietro non potrai tornare. Mai. Perché ora l’hai capito, con chi hai davvero a che fare. Hai capito che l’arcaico “rettile protozoico” ha paura di te, del bene che hai già iniziato a fare. Vede che non riesce più neppure a ricattarti con la miseria mensile dello stipendio. Gli serve altro: il tuo terrore. E vede che non funziona più, nemmeno quello. Gli scossoni saranno forti: Michele Giovagnoli non se lo nasconde. Se la politica meno peggiore punta ancora a recuperare i dormienti, lui è oltre: tempo perso. Se questa umanità continuerà a svegliarsi, è il sottinteso, riscriverà le regole. Ne ha bisogno, il mondo, di nuove regole? Eccome. Le si invoca inutilmente da secoli, da quando è comparsa la democrazia formale. Tutta preistoria, anche quella: se le persone si riconoscono e si abbracciano, dice Michele, il sistema trema e minaccia. Ed è esattamente quello che sta accadendo. L’ultimo latrato, prima del crollo e del cambio di paradigma.Aspettatevi qualche altra sorpresina fra il 7 e l’11 settembre, avverte il Santone dell’Amore, così battezzato dal “Resto del Carlino” durante una tappa del suo tour nelle piazze italiane. Michele Giovagnoli se la ride: il simpatico ragazzo che mi ha intervistato, dice, non riusciva a capire niente, di quello che gli dicevo. O meglio: non riusciva a concepire il fatto che sia semplicemente bellissimo, e oggi addirittura necessario, ritrovarsi in piazza per “abbracciare” i nostri simili, in un momento come questo. Alchimista, autore di saggi, conduttore di emozionanti stage formativi nei boschi: Giovagnoli è una delle voci che meglio fotografano lo stato di salute dell’altra Italia. Quella che piange e ricorda con affetto riconoscente Giuseppe De Donno, uno dei medici-eroi che, se fossero stati ascoltati, avrebbero costretto le autorità a mettere fine all’ormai interminabile emergenza. Un allarme costruito col pretesto del problema sanitario, ma in realtà tenuto in piedi in un solo modo: e cioè continuando a rifiutarsi di curare i malati, così da farli finire davvero all’ospedale (per poter seguitare a raccontare la cosiddetta pandemia).
-
Hanno spento ByoBlu: oscurato mezzo milione di italiani
Mezzo milione di lettori? Possono solo sognarseli, oggi, i grandi quotidiani: anche se occupano militarmente la televisione a reti unificate, coi loro giornalisti ospiti degli info-talk 24 ore su 24. Giornalisti scambiati per esperti e intervistati da colleghi, a chiudere il cerchio di un cortocircuito informativo, basato su una regola d’oro: non infrangere mai il dogma della verità ufficiale, quella ammissibile. Lo disse apertamente l’allora neo-direttore della “Stampa”, Massimo Giannini, a proposito della tempesta Covid: per ragioni di sicurezza è giusto perderla, una quota di libertà. Ed è esattamente per questo – la rinuncia collettiva a dire le cose come stanno – che il maggior video-blog italiano, “ByoBlu”, dall’inizio della crisi pandemica ha visto letteralmente esplodere i suoi numeri: tutti italiani ansiosi di avere informazioni finalmente attendibili, sull’emergenza in corso. Numeri enormi: 525.000 iscritti, che hanno garantito oltre 200 milioni di visualizzazioni ai duemila video pubblicati, nel corso di ormai 14 anni. Troppa gente, troppe spiegazioni: per questo, Google ha deciso di chiudere il canale YouTube di “ByoBlu”, il mezzo di informazione indipendente più seguito dagli italiani.In pratica, uno schiaffo a mezzo milione di cittadini. Un atto d’imperio che ricorda lo stile di governo dell’alto medioevo: il sovrano punisce chi vuole, senza legge e senza processo. Su “Visione Tv”, Enzo Pennetta sintetizza: ecco che cosa sono, davvero, questi nostri social. Servono a monitorare il dissenso, scoprendo l’identità di chi veicola informazioni scomode. A una condizione: che quella platea non cresca troppo, perché allora finisce per costituire una massa critica che può dare veramente fastidio. I conti sono presto fatti: oggi, da soli, gli iscritti di “ByoBlu” equivalgono alla somma dei lettori di tutti i quotidiani italiani, messi assieme. E quindi: muoia, Claudio Messora. Venga strangolato in silenzio, il suo newsmagazine, anche se nel frattempo è diventato una regolare testata giornalistica, con un direttore responsabile in grado di rispondere, per legge, di qualsiasi eventuale reato. Che equivoco: la legge – come nel far west – è ormai Big Tech a dettarla, scavalcando lo Stato nonostante l’oceanica elusione fiscale (enormi introiti pubblicitari intascati, a fronte di una tassazione letteralmente ridicola).Già, lo Stato: dov’è finito? Non avrebbe il diritto-dovere di esercitare almeno un’ombra di sovranità, tutelando le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione? E’ informato, Mario Draghi, dello scempio condotto ai danni di mezzo milione di cittadini? Perché certo, la prima vittima della implacabile, medievale “ghigliottina” di YouTube è Messora, il fondatore di “ByoBlu”, insieme alla sua giovane redazione; ma le vere vittime sono i 525.000 italiani che, dal 30 marzo 2021, non potranno più informarsi attraverso la fonte in cui riponevano fiducia. In un solo istante, scrive Messora in un messaggio, sono stati rimossi 14 anni di contenuti, tra i quali molti di altissimo livello, realizzati insieme a magistrati, presidenti della Corte Costituzionale, intellettuali, filosofi, economisti, politici, avvocati, scienziati. Messora definisce l’operato di ByoBlu «una fotografia cangiante delle trasformazioni che si sono avvicendate nella società da 14 anni a questa parte, viste con gli occhi dei cittadini e non con quelli dei media», spesso reticenti e sempre docilissimi con il potere.Scandaloso, anche in questo caso, il silenzio di un organo come l’obsoleto, anacronistico Ordine dei Giornalisti, residuato storico corporativo risalente all’epoca fascista (un organismo che ormai esiste solo in Italia). Scandaloso il silenzio dei grandi media: zitti, di fronte al massacro della libertà d’informazione, anche quando il governo di Giuseppe Conte fece istituire a Palazzo Chigi (sotto la guida di Andrea Martella, Pd) una orwelliana “task force contro le fake news”, cioè una commissione in grado di “depurare” il web da qualsiasi notizia scomoda, per il nuovo regime psico-terroristico di stampo sanitario. Scandaloso, a maggior ragione, lo stesso silenzio dei 5 Stelle, di cui Messora era stato portavoce parlamentare: e proprio sul web (il blog di Grillo) era nato, letteralmente, il movimento che si era candidato a mettere fine agli abusi della “casta” autoreferenziale di un potere politico stagnante, sottomesso al vero potere, che è economico-finanziario. L’abuso contro “ByoBlu” (e il mezzo milione di italiani che lo seguivano) è incommentabile: un atto barbarico, degno dei fasti dell’Inquisizione, sinistro come un monito minaccioso verso qualsiasi altra voce libera. Chiaro il messaggio: se superate una certa soglia di audience, il vostro destino è già scritto.In che girone infernale siamo finiti? Sul tema, la più celebre delle Cassandre italiane – Giulietto Chiesa – aveva condotto battaglie profetiche: ci faranno a pezzi, ripeteva, se non ci doteremo di mezzi di autodifesa, a livello di informazione, visto che il mainstream ha spento il radar, smettendo di raccontare quel che succede davvero. Caccerei dalle redazioni 9 giornalisti su 10, ha detto un cavallo di razza come Seymour Hersh, vincitore del Premio Pulitzer, all’epoca in cui il giornalismo esisteva ancora. Oggi siamo nel pianeta in cui Twitter “spegne” il presidente degli Stati Uniti (Donald Trump, quand’era ancora in carica), esibendo la sua onnipotenza impunita, che sta al di sopra di qualsiasi diritto. E’ un potere sfrontato, quello della menzogna: e si avvale della piena complicità di milioni di cretini, politicamente decerebrati, che semplicemente non capiscono che le vere vittime sono loro. Oggi tocca a Messora, ma domani toccherà a chiunque altro proverà a dire la verità proprio ai neo-sudditi “mascherati” che si piegano a qualsiasi diktat, ignari della sorte che li attende.L’ultima sfida di Messora – riparare sul digitale terrestre, acquistando un canale televisivo per mettersi al riparo della censura – è insieme titanica e perdente. Eroica, per l’impegno economico e la mobilitazione popolare che presuppone: possibile che “ByoBlu” riesca nell’impresa, se il suo mezzo milione di italiani darà una mano, offrendo un obolo di anche solo un euro a testa. Al tempo stesso, la “fuga” nella televisione classica (cioè nell’informazione unilaterale, monodimensionale, senza più le interazioni delle chat) rappresenta una clamorosa sconfitta: la rivelazione della reale identità del sistema web per come è oggi, interamente dominato dai grandi gruppi che – attraverso la globalizzazione mercantilista – hanno schiacciato le economie locali e plasmato, anche con l’aiuto del panico da virus, la nuova antropologia post-umana delle cavie da laboratorio, terrorizzate e distanziate, condannate a rassegnarsi a discutibili trattamenti sanitari obbligatori e alle strettoie quotidiane di una non-vita che fa tanto comodo ai padroni del discorso.Massimo Mazzucco, altro pioniere italiano dell’informazione libera, ragiona in questi termini: la platea del dissenso che si esprime sul web era letteralmente irrisoria, qualche anno fa. Oggi, invece – pur restando minoritaria – è diventata una maxi-nicchia in forte crescita: in un certo senso, i colpi di mannaia della censura (che prima non c’erano) oltre che “medaglie al valore” rappresentano un successo: dimostrano che l’informazione – quella vera – riesce a disturbare il sistema dominante. E’ un fatto: milioni di cittadini, finalmente, dispongono di conoscenze preziose, offerte in tempo reale dalla rete indipendente, che dà la parola a voci autorevoli e ormai escluse dal mainstream. Manca il punto di approdo (una piattaforma politica, in grado di rappresentare certe istanze) e manca anche una piattaforma informativa unificata, che possa fungere da moltiplicatore, incrementando l’impatto della diffusione di verità autentiche. Certo, il bavaglio a “ByoBlu” è una cannonata contro l’ammiraglia italiana della libertà di informazione. E’ il segno che la “guerra” non è più fatta solo di minacce (sospensioni, demonetizzazioni), ma ormai usa le maniere forti, il metodo antico della sopraffazione più plateale.E’ qualcosa di estremamente pericoloso, e al tempo stesso ambivalente: il potere oggi ha paura, persino di “ByoBlu”? E’ un potere così fragile, quello mediatico, se non sa più tollerare nemmeno la presenza di una semplice voce dissonante? C’è un che di apocalittico, negli sviluppi dell’attualità mondiale, a partire dalla sordida congiura del silenzio che ha coperto le sconcertanti manomissioni del risultato elettorale americano. Falsità a catena, a cascata, anche nella psico-narrazione del mostro epidemico che si è letteralmente impossessato del pianeta: uno spettro utilizzato come clava per imporre il cambiamento epocale delle abitudini delle persone, ancora ignare – in maggioranza – della vera posta in gioco. Diceva Giulietto Chiesa: senza informazione, non ci può essere nemmeno democrazia. Cosa aspettarsi, di buono, se la gente non sa quello che sta succedendo, davvero, perché i media hanno smesso di raccontarlo? Che fine abbia fatto, la democrazia, lo spiega il burocratese dei Dpcm. Al resto provvedono gli algoritmi di Google e Twitter, le censure di Facebook, gli oscuramenti medievali imposti da YouTube. E siamo solo all’inizio, a quanto pare. Se non altro, il re è nudo: il nemico si è dichiarato. E’ in guerra, contro di noi.(Giorgio Cattaneo, “YouTube spegne ByoBlu: oscurato mezzo milione di italiani”, dal blog del Movimento Roosevelt del 31 marzo 2021).Mezzo milione di lettori? Possono solo sognarseli, oggi, i grandi quotidiani: anche se occupano militarmente la televisione a reti unificate, coi loro giornalisti ospiti degli info-talk 24 ore su 24. Giornalisti scambiati per esperti e intervistati da colleghi, a chiudere il cerchio di un cortocircuito informativo, basato su una regola d’oro: non infrangere mai il dogma della verità ufficiale, quella ammissibile. Lo disse apertamente l’allora neo-direttore della “Stampa”, Massimo Giannini, a proposito della tempesta Covid: per ragioni di sicurezza è giusto perderla, una quota di libertà. Ed è esattamente per questo – la rinuncia collettiva a dire le cose come stanno – che il maggior video-blog italiano, “ByoBlu”, dall’inizio della crisi pandemica ha visto letteralmente esplodere i suoi numeri: tutti italiani ansiosi di avere informazioni finalmente attendibili, sull’emergenza in corso. Numeri enormi: 525.000 iscritti, che hanno garantito oltre 200 milioni di visualizzazioni ai duemila video pubblicati, nel corso di ormai 14 anni. Troppa gente, troppe spiegazioni: per questo, Google ha deciso di chiudere il canale YouTube di “ByoBlu”, il mezzo di informazione indipendente più seguito dagli italiani.
-
Onfray: la sinistra è morta, s’è venduta al Grande Fratello
Che mondo ci lascerà, la pandemia? Lo stesso, ma peggiore. Modificherà il lavoro, l’insegnamento, i viaggi, gli spostamenti, le relazioni intersoggettive, gli equilibri tra città e campagna. Il telelavoro, la sostituzione della “presenza” con la “distanza”, aumenterà i poteri della società del controllo, che ha raccolto il testimone della vecchia società totalitaria. Il virtuale soppianterà il reale ogni volta che sarà possibile, e a governare sul virtuale ci sarà il Big Brother. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che l’ha inventato lui. Nel mio libro “Teoria della dittatura” descrivo Amazon, Facebook, Netflix, Google e Apple come la più articolata forma totalitaria che esista. Come contrastare il loro potere oggi, dopo che sono state, durante la pandemia, le piattaforme gratuite per relazioni umane, lavoro, scuola e intrattenimento? Questa è in effetti la questione politica per eccellenza. In passato il fascismo, di destra o di sinistra che fosse, era vistoso: si presentava armato, con stivali ed elmetto; usava la polizia, l’esercito, i servizi segreti, le prigioni, i campi recintati con filo spinato e le torri di guardia. Oggi invece il fascismo non si vede, ma di tanto in tanto assistiamo ai suoi effetti.Il Big Brother orwelliano è più scaltro di tutti i servizi di polizia e di intelligence mai esistiti, perché noi stessi siamo allo stesso tempo vittime e carnefici di questo dispositivo di sorveglianza e di controllo. Non è mai esistita tanta servitù volontaria sul nostro pianeta quanta ce n’è oggi. La Boétie ci ha già dato la ricetta per sottrarci: «Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi». Per farlo, però, bisogna prima rendersi conto di essere asserviti, perché non c’è schiavo peggiore di chi si crede un padrone. La scuola repubblicana che insegnava a ragazzi e ragazze a leggere, scrivere, far di conto e pensare senza guardare alle loro origini sociali è morta nel maggio del ‘68. È stata sostituita da un dispositivo ludico, nel quale l’apprendimento di contenuti è stato abbandonato in favore della sollecitazione di un ipotetico genio infantile. La scuola, che una volta produceva cittadini, adesso produce pecore di Panurgo in catena di montaggio. La moralizzazione della rete, che tra le altre cose implicherebbe di far rispettare le leggi di un paese anche ai social network, è un pio desiderio: in rete, in forma anonima, si può essere negazionisti, revisionisti, antisemiti, misogini, fallocrati e quant’altro.Dobbiamo adattarci alla realtà: tutto questo è segno del decadimento della nostra civiltà e dell’avvento di un altro mondo, che avrà più a che vedere con Orwell e Huxley che con Dante e Cartesio. La felicità non può essere l’ultima parola in un mondo in cui c’è chi ritiene che non ci sia nulla di sbagliato nell’ottenere la propria felicità a scapito degli altri. La lotta contro l’autoritarismo è materia per caratteri temprati, che abbiano il senso dell’interesse generale e la capacità di mettere da parte la propria felicità in nome dell’ideale superiore della virtù civica, come fece Catone il Vecchio. La sinistra europea, in tutto questo? La sinistra è morta nel marzo del 1983 con François Mitterrand, che ha presentato l’Europa liberale come un progresso storico che avrebbe portato la piena occupazione, l’amicizia tra i popoli, la fine del razzismo e delle guerre, la prosperità economica. La propaganda fu così insistente da riuscire a far approvare il Trattato di Maastricht nel 1992, anche se per un pelo. In seguito, anno dopo anno, il popolo si è reso conto che gli avevano venduto un prodotto adulterato, che produceva il contrario di quello che prometteva.Una volta al potere, Mitterrand è rimasto di sinistra per ventidue mesi: dopo la cosiddetta “svolta dell’austerità” del 1983 ha abbandonato il socialismo e, fino alla fine del suo secondo settennato, nel 1995, ha fatto politiche di destra continuando a presentarsi come un uomo di sinistra. La “sinistra” al governo ha fatto politiche di destra mentre a parole continuava a dire di essere di sinistra, e la sua schizofrenia è stata sostenuta da gran parte del popolo francese, che sembrava come incantato. Questa “sinistra” ha vissuto cinque anni pietosi con la presidenza di François Hollande e adesso è morta, rea di non aver mai denunciato questa truffa di dimensioni storiche. De Gaulle era un uomo di sinistra sostenuto dalla destra, e Mitterrand era un uomo di destra sostenuto dalla sinistra. È il grande malinteso del XX secolo.De Gaulle è l’uomo che ha inventato la Resistenza. È l’uomo che ha creato la Francia libera, arma da guerra che ha contribuito alla liberazione dell’Europa. Come capo di Stato ha ripristinato le libertà civili e ha respinto con un solo gesto il rischio dell’imperialismo americano e contemporaneamente il progetto stalinista sostenuto dai comunisti armati. Ha dato il diritto di voto alle donne, ha decolonizzato molti paesi dell’Africa nera e ha messo fine alla guerra d’Algeria. È l’uomo della previdenza sociale e della pillola contraccettiva. È l’uomo che non ha fatto sparare sulla folla nel Maggio ‘68 e che risponde al ‘68 con la partecipazione, con un progetto che fa così tanta paura alla destra che alla fine si convince a eliminarlo dalla scena con la scusa del referendum del 1969. Infine e soprattutto, è l’uomo della rettitudine e della linearità, della moralità. Un contemporaneo di Catone il Vecchio.(Michel Onfray, dichiarazioni rilasciate a Roberto Saviano per l’intervista “Muore la libertà, con i nostri clic”, pubblicata da “Repubblica” il 12 giugno 2020. Apprezzato filosofo francese estremamente critico verso Emmanuel Macron, Onfray ha appena pubblicato “Teoria della dittatura”, edito in Italia da Ponte alle Grazie).Che mondo ci lascerà, la pandemia? Lo stesso, ma peggiore. Modificherà il lavoro, l’insegnamento, i viaggi, gli spostamenti, le relazioni intersoggettive, gli equilibri tra città e campagna. Il telelavoro, la sostituzione della “presenza” con la “distanza”, aumenterà i poteri della società del controllo, che ha raccolto il testimone della vecchia società totalitaria. Il virtuale soppianterà il reale ogni volta che sarà possibile, e a governare sul virtuale ci sarà il Big Brother. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che l’ha inventato lui. Nel mio libro “Teoria della dittatura” descrivo Amazon, Facebook, Netflix, Google e Apple come la più articolata forma totalitaria che esista. Come contrastare il loro potere oggi, dopo che sono state, durante la pandemia, le piattaforme gratuite per relazioni umane, lavoro, scuola e intrattenimento? Questa è in effetti la questione politica per eccellenza. In passato il fascismo, di destra o di sinistra che fosse, era vistoso: si presentava armato, con stivali ed elmetto; usava la polizia, l’esercito, i servizi segreti, le prigioni, i campi recintati con filo spinato e le torri di guardia. Oggi invece il fascismo non si vede, ma di tanto in tanto assistiamo ai suoi effetti.
-
Madison: la democrazia è un trucco, per proteggere i ricchi
Nel linguaggio di Angela Volpini, che è una mistica cristiana, nella vita ci sono due cose importanti. Uno: essere davvero se stessi – cioè, diventare se stessi, non rimanere conformi alle regole esterne (che ci vogliono omologati) ma avere il coraggio di seguire una strada libera, in ascolto con chi si è, per realizzare – nel mondo – chi siamo, e portare quindi la nostra qualità interiore, come direbbero i greci. E nel buddismo si dice che chi fa questo è persona felice. Poi c’è una seconda scelta, da fare: scegliere di praticare soltanto l’amore, e non il potere. Dunque: essere davvero se stessi, diventare chi si è. Ma mentre un gatto lo diventa di sicuro, un essere umano no. Perché mentre un gatto segue l’istinto, è guidato dalla specie, l’essere umano si è creato una cultura, e dentro la cultura ci sono le intrusioni del potere-dominio, della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Se seguiamo il cardinale Martini, ci dice: c’è un solo peccato, l’oppressione dell’uomo sull’uomo, cioè l’utilizzo del potere. Raimon Panniker dice: due sono le forze, il potere e l’amore. La prima cosa da fare, dunque, è diventare se stessi: ed è difficile, perché il potere si esprime attraverso i consizionamenti sociali.Saper riconoscere i condizionamenti sociali distinguendoli da chi veramente siamo, e quindi compiere scelte coerenti con quello che siamo, è una strada difficile, che richiede una libertà interiore. Libertà da che cosa? Dalla paura, ci dice Krishnamurti: se continui ad aver paura, non puoi essere te stesso. E quindi non puoi neppure essere intelligente, non puoi comprendere. Libertà dalla paura, quindi. Paura di che cosa? La paura del giudizio che ci viene fa fuori, che ci dice se abbiamo fatto bene o male, ci ricorda quali sono le norme e le aspettive, ci dice che avremmo dovuto fare questo e quest’altro. Libertà dalla paura del giudizio, quindi del condizionamento sociale nel quale ha fatto irruzione – in modo massiccio, sempre di più – il potere, cioè l’opposto dell’amore. Ecco perché, senza libertà, non ci può essere amore – perché, senza libertà, non puoi essere te stesso; e se non realizzi te stesso, non puoi essere radiante di amore, perché sei incattivito.Da dove viene, il termine cattivo? Da “captivus”: prigioniero. Quindi, chi non è se stesso è prigioniero del condizionamento sociale. Ecco da dove viene la schiavitù salariale. Nel mondo, è questo che abbiamo creato: non dei lavori degni di esseri umani liberi dalla paura. La terza caratteristica indicata da Angela Volpini è la creatività. Un essere umano che sia libero, che abbia scelto l’amore, è creativo. E’ fatto a somiglianza del Dio-creatore, quindi è creatore. Di che cosa? Di se stesso. Cioè: manifesta chi veramente è, e quindi è creativo. Quando? In ogni momento della vita. E se è libero, ama ed è creativo, come si sentirà? Felice. Questo è il messaggio che Angela Volpini sta portando avanti da 63 anni. Non è un messaggio facile, come sapete, perché il condizionamento culturale è ovunque. Le stratificazioni di potere e le posizioni di rendita sono ovunque. E toccare le rendite è difficilissimo – che siano di soldi, di potere, di status.Si parla di principio di eguaglianza, ma non è vero. Si parla di democrazia, ma non c’è niente di vero. Queste parole sono ormai corrotte: non significano più nulla. A una persona, in Danimarca, una volta chiesero: cos’è, per te, la democrazia? Non so se avesse fatto studi di filosofia politica, ma rispose semplicemente: non preoccuparsi di chi verrà eletto, perché chiunque verrà eletto sarà una persona onesta e competente; potrà fare scelte di un tipo o di un altro, ma saranno per il bene comune. Ma l’origine della democrazia, in Occidente, non è questa. Madison parlò del peccato originale della democrazia americana: «La democrazia è la forma di governo che serve a proteggere i ricchi (pochi) dai poveri (tanti)». Questo non viene detto, nella Carta costituzionale, ma è stato detto nelle riunioni per produrla. E’ il peccato d’origine: e quella americana non ha fatto eccezione, tra le nostre democrazie. La democrazia è una struttura che “copre” questo fondamentale principio. Aristotele ha detto: non può esistere democrazia dove c’è troppa disparità tra ricchi e poveri. E’ impossibile: perché i ricchi, avendo diritto di voto, faranno in modo da distribuire la ricchezza a loro vantaggio. E allora?Restano due possibilità: o non si fa una democrazia, oppure si fa una democrazia falsa, in cui si dice che è una democrazia, ma in realtà si hanno dei mezzi per manipolarla, in modo da garantire quello che Madison, con chiarezza, ha dichiarato (privatamente) nel periodo di formazione della Costituzione americana. Questo è un quadro di ciò che è importante comprendere, per essere persone libere dalla paura del giudizio che proviene dal condizionamento sociale, che al suo interno contiene le strutture di potere. Se sottostiamo al giudizio sociale, queste strutture le interiorizziamo: e quindi non c’è più bisogno di nessuno che ci domini da fuori, perché ci auto-dominiamo da soli. Questa è la nostra situazione. Se non si fa qualcosa di molto specifico e consapevole, noi rimaniamo continuamente prigionieri di una struttura di potere interiorizzata. E siccome potere significa anche conflitto, saremo sempre prigionieri del conflitto. Ecco perché non possiamo vivere in pace: viviamo in conflitto, e il conflitto è sofferenza.(Mauro Scardovelli, estratto dal vicdeo-intervento “Liberi dalla paura”, pubblicato su YouTube il 26 maggio 2011. Giurista, psicologo e musicologo, Scardovelli è stato docente all’università di Genova. E’ animatore dell’associazione formativa Aleph Umanistica).Nel linguaggio di Angela Volpini, che è una mistica cristiana, nella vita ci sono due cose importanti. Uno: essere davvero se stessi – cioè, diventare se stessi, non rimanere conformi alle regole esterne (che ci vogliono omologati) ma avere il coraggio di seguire una strada libera, in ascolto con chi si è, per realizzare – nel mondo – chi siamo, e portare quindi la nostra qualità interiore, come direbbero i greci. E nel buddismo si dice che chi fa questo è persona felice. Poi c’è una seconda scelta, da fare: scegliere di praticare soltanto l’amore, e non il potere. Dunque: essere davvero se stessi, diventare chi si è. Ma mentre un gatto lo diventa di sicuro, un essere umano no. Perché mentre un gatto segue l’istinto, è guidato dalla specie, l’essere umano si è creato una cultura, e dentro la cultura ci sono le intrusioni del potere-dominio, della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Se seguiamo il cardinale Martini, ci dice: c’è un solo peccato, l’oppressione dell’uomo sull’uomo, cioè l’utilizzo del potere. Raimon Panniker dice: due sono le forze, il potere e l’amore. La prima cosa da fare, dunque, è diventare se stessi: ed è difficile, perché il potere si esprime attraverso i condizionamenti sociali.
-
Petizione: la Gruber è faziosa, va cacciata da Otto e mezzo
«Non si permetta, io non dico sciocchezze!». L’ultima a protestare è Giorgia Meloni, che si è sentita presa a sberle in trasmissione, insolentita da Lilli Gruber. Il sulfureo Vittorio Feltri definisce la conduttrice di “Otto e mezzo” con poche parole: «Capace di dirigere con grande abilità un programma brutto, un ring dove non vince il più forte bensì il più cafone». Lilli Gruber? Sa anche prodursi in «qualcosa di disgustoso e fuori dalle elementari regole del giornalismo», sentenzia il mitico direttore di “Libero”. Perché allora non chiedere che cambi mestiere, la navigatissima giornalista di origine altoatesina che esordì al Tg2 nell’era Craxi? Facile a dirsi, ma la Lilli nazionale «ottiene buoni ascolti», aggiunge Feltri: «E Cairo, il padrone de “La7”, gongola». Tra chi non rinuncia alla speranza di vedere la televisione italiana “bonificata” dall’invadente presenza della Gruber c’è Marco Moiso, pubblicitario londinese, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «Lilli Gruber – scrive, nel testo di una petizione su “Change.org” – non sembra essere in grado di fare il mestiere della giornalista in maniera obiettiva ed equanime». L’accusa: «Il suo stile di giornalismo, giudicato fazioso (e strumentale all’agenda politico-finanziaria neoliberista), offende troppe persone per poter continuare ad avere uno spazio importante come quello di “Otto e Mezzo”».
-
Giulietto Chiesa: incombe una rivoluzione, come attuarla?
Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.Quindi il primo compito, per chi ragiona come me, è quello di individuarli, censirli, convincerli a camminare insieme: perché solo in questo modo si potrà creare una massa critica sufficiente a rovesciare il corso delle cose. Queste donne e uomini ci sono; non sono numerosissimi, ma ci sono. Sono in gran parte isolati e fuori dalla politica (e sono tali proprio perché la politica attuale li esclude e li isola, temendoli). Il fatto più serio, tuttavia, è che non c’è ormai quasi nulla che possa unirli. Non c’è una visione comune della crisi epocale in cui viviamo. Che non è “italiana”, né “europea” soltanto. È mondiale, è globale, è universale. Per essere compresa richiede nuovi paradigmi, visto che quelli vecchi sono ormai inutilizzabili. Il mondo brucia e il tempo stringe. Dunque quello che manca è una comune interpretazione della crisi, che è crisi dell’Uomo e della sua collocazione nell’Universo. È questo quello che manca e che, a mio avviso dev’essere costruito. Non ri-costruito, ma proprio costruito. Senza questo passaggio non ci può essere alcun movimento o partito capace di avviare la trasformazione. Si resterà divisi, ciascuno a contemplare il proprio tassello di sapere. Che, in quanto tale, sarà inutile.È una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla. Altrimenti essa non sarà certamente guidata dall’Uomo, perché sarà immensamente più vasta e potente di lui. All’uomo resterà il compito di comprenderla, se ne sarà capace, e di adattarvisi, se vuole sopravvivere. Ecco perché ci vuole adesso molta pazienza e umiltà, per cominciare a costruire quello che manca. La politica farà il suo corso miope e superficiale, ma non potrà affrontare quello che incombe. Ecco perché non credo alla fretta, alle fughe in avanti, alle speranze senza fondamento, a una palingenesi rapida e indolore. Penso che l’impatto con forze enormi, che l’Uomo ha evocato irresponsabilmente, provocherà dolori immensi e aiuterà a temprare gli spiriti molli che questa società umana ha lasciato putrefare. Il che significa rimboccarsi le maniche e mettere ordine nelle nostre idee, prima di tutto. Solo dall’ordine, dalla saggezza e dalla solidarietà tra sapienti e popolo può venire il riscatto.(Giulietto Chiesa, estratto del post “E’ una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla”, pubblicato su “Megachip” il 1° settembre 2019. Il testo integrale, in risposta a una lettera di Enrico Sanna, si apre con una citazione biblica dal Libro dei Re: “Concedi al tuo servo un cuore prudente, capace di giudicare il tuo popolo innumerevole e discernere il bene dal male”).Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.
-
Ormai siamo superflui, la plutocrazia cospira contro di noi
Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.La terza è che i popoli diventano superflui e ininfluenti perché l’economia finanziarizzata non ha più bisogno, per produrre ricchezza e mantenere il potere costituito, di produrre e vendere grandi quantità di beni reali, né di eserciti di massa; quindi i cittadini, come lavoratori-consumatori-combattenti hanno perso utilità per il sistema, e con essa rilevanza politica; da qui il diffondersi della povertà e la perdita di diritti dei lavoratori. La quarta è la capacità tecnologica, che i manovratori del potere stanno sempre più acquisendo, di monitorare e influenzare anche biologicamente i singoli e la società, e persino le condizioni metereologiche, con mezzi praticamente irresistibili. Veniamo ora ai paraocchi, cioè ai principali fattori che impediscono all’opinione pubblica di capire come funzionano e come si stanno evolvendo la società e l’ordinamento giuridico, e che così li rendono psicologicamente accettabili alla massa. Infatti la gente non sopporta di sentirsi impotente entro un sistema ingiusto, illegittimo e sopraffattore, quindi accetta ogni aiuto per costruirsi l’illusione di vivere in un sistema complessivamente legittimo, visibile e ben intenzionato. In primo luogo si tende tuttora a pensare che i processi decisionali e le intenzioni dei soggetti istituzionali, politici ed economici, siano quelli dichiarati anziché altri, nascosti e dissimulati – anche se da Machiavelli in poi la politologia insegna che le cose stanno proprio così.In secondo luogo, si tende a pensare che l’uomo e la collettività e il loro bene siano il fine dell’azione dello Stato, mentre al contrario i detentori del potere ‘tengono’ la collettività come un loro strumento, similmente a come l’allevatore tiene il bestiame; e gli Stati, al loro interno e nei rapporti internazionali, agiscono non secondo i principi legali ed etici con cui si legittimano, bensì cercando sopraffazione e sfruttamento. In terzo luogo si tende a pensare che il potere reale coincida col potere ufficialmente visibile e pubblico, istituzionale, controllabile politicamente e giudiziariamente, anziché essere detenuto da soggetti autoreferenziali, non responsabili e scarsamente visibili. In quarto luogo si tende a pensare che la legalità sia complessivamente osservata soprattutto dai poteri pubblici e delle istituzioni, e difesa dalla giustizia – mentre non è affatto così, anzi prevalgono le pratiche e le decisioni illegali, e il potere giudiziario strutturalmente si occupa non di difendere la legalità ma di mascherare, legittimare, preservare i rapporti di forza, privilegio e interesse reali, indipendentemente dalla loro illegalità, mantenendo una apparenza di legittimità agli occhi della massa. Bisognerebbe sempre tenere a mente che rispettare le regole, per chi detiene il potere, è un costo.In quinto luogo, si tende a credere, in conformità al catechismo neoliberale dei mass media e delle istituzioni, che il mercato libero esista, che sia efficiente, e che tenda alla crescita economica, mentre al contrario il mercato non è libero ma controllato da cartelli; non è efficiente, perché non tende ad aumentare la produzione di beni della vita né a prevenire o curare le crisi, ma a produrne in continuazione, per speculare e condizionare i governi grazie ad esse; ed essendo un mercato dominato dalla finanza, non tende a produrre più ricchezza reale. In sesto luogo, nella recessione-stagnazione economica si tende a non vedere che esse sono tali solo per la popolazione generale, mentre per l’élite dominante, per i manovratori, esse comportano un grande incremento di ricchezza e potere rispetto alla società complessiva. I detentori apicali del potere, i pianificatori-manovratori di lungo termine, da qualche decennio si stanno servendo delle dinamiche del capitalismo finanziario (che distrugge insieme le sicurezze private e le strutture pubbliche rappresentative dei popoli), nonché della sua capacità di condizionare i comportamenti collettivi e individuali, allo scopo di preparare e attivare gli strumenti per la riduzione della popolazione, dei consumi e delle emissioni: riduzione che pare indispensabile per salvare il pianeta.In queste ottiche, lo sviluppo economico è stato fermato e avviato alla sua inversione dal cartello mondiale privato della moneta e del credito attraverso la creazione orchestrata di una carestia monetaria, giustificata con false teorie economiche, e che moltiplica le ricchezze della classe globale dominante diffondendo la povertà nella popolazione generale. Analogamente, la dinamica (“animal spirits”) del profitto capitalistico e monopolistico viene sfruttata per creare, attraverso la privatizzazione della produzione e del commercio delle risorse alimentari (terreni, sementi, chimica) nelle mani di un cartello globale, i presupposti per una carenza alimentare generale nel terzo mondo. Questa condizione orchestrata di carestia alimentare globale, combinata con la carestia monetaria, in una prima fase opera una progressiva estrazione di ricchezza e reddito dalle nazioni (cittadini, imprese, settore pubblico), e in una seconda fase prepara la soluzione del problema eco-demografico, appoggiata da farmaci contaminati e contaminanti alimentari nonché ambientali che abbassano le difese immunitarie e la fertilità, minano il sistema nervoso, e innalzano la morbilità soprattutto degenerativa nella popolazione generale. Il nemico della biosfera, dell’ambiente, ultimamente sono i sette miliardi di sovrappopolazione, coi loro consumi e le loro emissioni – e quella sopra sembra essere la cura che è stata pianificata. Vorrei ricordare quanto sopra a coloro che credono ancora che si possa rilanciare la natalità e lo sviluppo economico.(Marco Della Luna, “Evoluzione e paraocchi”, dal blog di Della Luna del 29 marzo 2019).Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.
-
Rapporto Onu: crimini Usa contro l’umanità in Venezuela
Il rapporto dell’esperto Onu che ha visitato il Venezuela nel 2017, Alfred De Zayas, propone di deferire gli Stati Uniti alla Corte Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità perpetrati in Venezuela dopo il 2015. Lo ricorda il sociologo Pino Arlacchi, vicesegretario generale delle Nazioni Unite dal 1997 al 2002, in un intervento sul “Fatto Quotidiano” riguardo alla crisi umanitaria nel quale è stato sprofondato il Venezuela. Colpa dell’imbelle e corrotto governo Maduro? No, putroppo: se Maduro certo non brilla, a rovinare i venezuelani sarebbero stati soprattutto gli Usa. Per Arlacchi, il caso-Venezuela «si configura nei termini di una gigantesca truffa informativa, volta a coprire la sopraffazione di un popolo e la spoliazione di una nazione». Il principale mito da sfatare, scrive Arlacchi, riguarda le cause di fondo del dramma venezuelano: «I media occidentali non hanno avuto dubbi nell’additare gli esecutivi succedutisi al potere dopo l’elezione del “dittatore” Chávez alla presidenza nel 1998 come unici responsabili della crisi, nascondendone la matrice di gran lunga più importante: le barbare sanzioni americane contro il Venezuela decise da Obama nel 2015 e inasprite da Trump nel 2017 e nel 2018».
-
Pensate davvero che la conoscenza stia nella mela di Eva?
Quando avrete consapevolezza delle linee-guida della vostra vita, magari stabilendo quelle che volete far evolvere e quelle che non volete far evolvere, allora riuscirete con facilità a identificare i percorsi spirituali che evochino gli archetipi che più vi interessa che emergano, in quel periodo. Condizionare la propria vita è meno difficile di quanto si pensi, ed è sicuramente meno pericoloso che continuare a cercare di condizionare quella degli altri, senza mai condizionare la propria. Condizionare la propria vita significa guidare un’evoluzione nel senso che preferite, stabilendo delle priorità. Noi abbiamo un’unica, enorme risorsa: è fatta di fede, coraggio e razionalità. La nostra aspirazione è quella di essere veramente liberi: perché, se siamo veramente liberi – siccome siamo tutte le altre cose positive che possiamo immaginare – queste cose positive si potranno esprimere. Quello dei tarocchi è un percorso alla ricerca della libertà: non per essere dei “liberi pensatori”, ma per essere dei pensatori liberi (perché anche essere un “libero pensatore” è uno schema; è essere un pensatore libero che non è uno schema). La prima cosa da capire, allora, è che la vera libertà non è fare quello che vuoi, ma sapere quello che vuoi. Noi immaginamo sempre una libertà fattiva, il poter fare quello che vuoi – ma sei sicuro di sapere quello che vuoi? Quello che pensi di sapere di volere è veramente quello che vuoi?Questo è l’anello mancante, per essere “Dio di se stessi” – non Dio degli altri, che è potere e prevaricazione. Dio di se stessi, Re di se stessi. Esiste una regalità del sé, che non è la prepotenza del sé, una sopraffazione. Ed esiste una libertà del sé, una dignità del sé. E soprattutto esiste l’auto-consapevolezza, la proprietà del sé. Questa cosa, che è l’anello che ci manca nella maggior parte dei giorni, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte delle nostre azioni, la possiamo lentamente modificare e riquilibrare quotidianamente, perché il guinzaglio a cui San Bernardo tiene legato il diavolo, il “barboncino con le corna”, non si adopera solo nei giorni pari o nei giorni dispari: è quotidiano. Ogni giorno abbiamo un avversario, dentro di noi, da sottomettere. E questo lavoro quotidiano, per il quale abbiamo il pieno controllo di noi stessi, ci può portare alla consapevolezza – che è sempre provvisoria (ora per ora, minuto per minuto) – di quello che veramente vogliamo.E’ legato ai tarocchi anche lo schema simbolico del giardino proibito. Qualcuno dice, ad Adamo ed Eva, che da un certo albero non devono mangiare. Quello, però, è l’albero della conoscenza – non del sesso: della conoscenza. Cioè, c’è un Dio che dice a un uomo: tu non devi mangiare dall’albero della conoscenza (il che dà un certo valore, alla disobbedienza, anche secondo buon senso). Ma il contenuto implicito di quell’ordine è che la conoscenza non è un frutto appeso a un albero. La disposizione contiene un concetto sottostante: stabilire cos’è veramente la conoscenza. Il bene e il male sono cose appese a un albero? Il bene il male li facciamo noi. Non so se sarebbe piacevole, mangiare una mela e poi conoscere tutto. La conoscenza è un’appropriazione interiore. Quindi, in realtà, nel compiere il loro gesto, Adamo ed Eva sembrano volere una cosa, e invece ne vogliono un’altra. Il significato di quella simbologia è questo: noi attribuiamo con grande facilità a un albero la possibilità di erogare conoscenza, senza riuscire a definire che cos’è veramente la conoscenza.Quella di oggi, io la chiamo “la società della magia”, perché è dominata dal pensiero magico, che è molto elementare. I bambini, fino a una certa età, il pensiero magico non lo possiedono. Sapete da cosa si distingue, il pensiero magico, da quello che io chiamo pensiero simbolico? Dalla domanda che ti fai. Se ti chiedi perché, sei nel pensiero simbolico; se ti chiedi solo come, sei nel pensiero magico. I bambini cosa chiedono, sempre? Perché. E quando diventiamo grandi, cosa ci chiediamo sempre? Ci chiediamo perché comprare una macchina, o come comprarla? Ci chiediamo perché fare qualcosa, o come farlo? La libertà non è fare o avere, la libertà è sapere. Sant’Agostino ci lascia una frase bellissima: fatti sapiente, e sarai libero. Noi italiani post-latini abbiamo tradotto male: la conoscenza rende l’uomo libero. Non è la conoscenza, a rendere l’uomo libero. E’ l’uomo che conosce, a diventare libero. La conoscenza, in senso astratto, non esiste. E’ per quello che l’albero e la mela del giardino proibito sono una cretinata anche loro. Non esiste una conoscenza astratta; esiste una conoscenza concreta che si costruisce giorno per giorno, tamite un percorso. Non è qualcosa che si può astrarre: la conoscenza è un concetto concreto, che si esplica e si auto-asserisce di giorno in giorno.La frase di Sant’Agostino è fondamentale: fa’ in modo di sapere, e sarai libero. Invece, fin dalla patristica cristiana, è stata tradotta male: la conoscenza vi rende liberi. E sapete qual è la differenza, tra le due cose? La prima è pensiero simbolico (fa’ in modo di conoscere, e sarai libero), mentre la seconda è pensiero magico (sarà la conoscenza e renderti libero: come una magia, un incantesimo). Sapete, l’amore è una forza straordinaria. Tu ami una donna e lei ancora non ti ricambia? Hai due strade: o fai in modo di acquisire e mostrare quelle caratteristiche per cui lei si possa innamorare di te, o vai dalla zingara e ti fai preparare una pozione. Indipendentemente dal fatto che la pozione funzioni o meno, è la costruzione che è diversa. Perché poi ti potrei chiedere: ma, tramite la pozione, ammesso che funzioni, lei si innamora di te? Perché quello dovresti volere: che ti ami – non solo che ti sposi, o che passi un po’ di notti con te. Di nuovo: devi sapere quello che veramente vuoi.Questo percorso, che io sottolineo anche con i tarocchi, fa la differenza, rispetto a chi ti mette seduto e ti dice “usa la mano sinistra, piglia sei carte e disponile a ruota”. Perché i tarocchi sono altro, sono proprio un altro pianeta. Hanno ancora tante cose da dire, ammesso che noi siamo in grado di chiedergliele. Se girate in un museo, quelle cose parlano. Ma non è un atto magico: parlano perché c’è un nostro impegno nel ricostruire da dove vengono, come ha operato la mano che ha assemblato quel manufatto. In questo modo parlano. Ma se invece non facciamo un percorso di comprensione per capire cosa sono, non parlano. Il 99% dei simboli che ci circondano non lo vediamo nemmeno: non gli diamo alcun peso, alcun significato. Per noi non parlano, perché non esistono. E i tarocchi sono questo: se abbiamo attrezzato i sensi giusti, sono delle porte che ci conducono in mondi. Non parlo di dimensioni parallele o viaggi astrali: intendo i viaggi che facciamo con la nostra mente. E la costruzione di questi percorsi è anche la scoperta che il vero valore sono proprio i percorsi.Scoprirai che l’obiettivo è sempre diverso da quello prefissato: e questa è l’evoluzione. Sappiamo che l’avventura di Colombo, per come ci è stata raccontata, non è vera, storicamente. Ma in quello schema – per cui Colombo scopre l’America cercando l’India – c’è la forma evolutiva principale dell’essere umano. Fra’ Luca Pacioli, personaggio assolutamente geniale, nel secondo capitolo del “De Divina Proportione” scrive che “li errori” sono “la prova della divinità dell’omo”, perché solo tramite gli errori si può arrivare a fare “le cose juste”. Io la trovo una premessa straordinaria. E’ per questo che il labirinto è la prova del libero arbitrio: perché là dentro puoi sbagliare. Se ti avessi dato un percorso perfetto – la spirale, per esempio – non ci sarebbe più libero arbitrio: sarebbe un percorso obbligato, unico. E quando un percorso è unico, diventa inesorabilmente anche un arbitrio non libero.(Gianfranco Carpeoro, estratto della conferenza “Il vero significato dei tarocchi”; video pubblicato su YouTube nel febbraio 2019).Quando avrete consapevolezza delle linee-guida della vostra vita, magari stabilendo quelle che volete far evolvere e quelle che non volete far evolvere, allora riuscirete con facilità a identificare i percorsi spirituali che evochino gli archetipi che più vi interessa che emergano, in quel periodo. Condizionare la propria vita è meno difficile di quanto si pensi, ed è sicuramente meno pericoloso che continuare a cercare di condizionare quella degli altri, senza mai condizionare la propria. Condizionare la propria vita significa guidare un’evoluzione nel senso che preferite, stabilendo delle priorità. Noi abbiamo un’unica, enorme risorsa: è fatta di fede, coraggio e razionalità. La nostra aspirazione è quella di essere veramente liberi: perché, se siamo veramente liberi – siccome siamo tutte le altre cose positive che possiamo immaginare – queste cose positive si potranno esprimere. Quello dei tarocchi è un percorso alla ricerca della libertà: non per essere dei “liberi pensatori”, ma per essere dei pensatori liberi (perché anche essere un “libero pensatore” è uno schema; è essere un pensatore libero che non è uno schema). La prima cosa da capire, allora, è che la vera libertà non è fare quello che vuoi, ma sapere quello che vuoi. Noi immaginiamo sempre una libertà fattiva, il poter fare quello che vuoi – ma sei sicuro di sapere quello che vuoi? Quello che pensi di sapere di volere è veramente quello che vuoi?
-
Moni Ovadia: accuso Israele, infame chiamarmi antisemita
Chi critica la politica di Israele e in particolare le violazioni dei diritti umani dei palestinesi viene spesso tacciato di anti-semitismo. Come si può sfatare questa accusa? Innanzitutto denunciandola per quello che è: un’infamia, una bieca propaganda per tappare la bocca degli uomini liberi. Una viltà per impedire qualsiasi discorso sull’ingiustizia subita dal popolo palestinese e anche una forma di corto-circuito psicopatologico, di paranoia. E’ come se chi la formula vivesse nella Berlino del 1935 e non in un paese armato fino ai denti, dotato anche di armi nucleari e alleato non solo degli Stati Uniti, ma anche di fatto dell’Egitto, della Giordania e dell’Arabia Saudita. L’unico paese che fa quello che vuole e ignora le risoluzioni dell’Onu senza che la comunità internazionale muova un dito. Io stesso ho subito questa infamia. Siccome l’antisemitismo in Italia è un reato, ho sfidato i miei accusatori a trascinarmi in tribunale, così vedremo come stanno davvero le cose. Inoltre li ho invitati a farsi vedere da uno psichiatra per una lunga terapia. Come giudico la legge approvata un mese fa dal Parlamento israeliano, che dichiara Israele “Stato nazionale del popolo ebraico”? La considero una legge che istituisce “de iure” l’apartheid e il razzismo, che esisteva già “de facto”, ed esprime una logica e una mentalità colonialista. E’ una follia, quando il 20% della popolazione è arabo-palestinese e dunque Israele è già uno stato bi-nazionale.Non sto dicendo che tutti gli israeliani abbiano questa mentalità: ci sono quelli attanagliati dalla paura e preda del mito dell’accerchiamento, quelli che preferiscono non vedere la realtà e quelli che criticano questa politica e pagano le conseguenze del loro coraggio. Purtroppo questi ultimi sono una minoranza, ma nella storia sono state spesso le minoranze a redimere e salvare. La maggioranza ha il diritto di governare, ma non quello di avere ragione. Organizzazioni come “Combatants for Peace” riuniscono israeliani e palestinesi passati alla nonviolenza dopo aver partecipato ad azioni militari gli uni contro gli altri. La Marcia delle Madri ha coinvolto migliaia di donne ebree, musulmane e cristiane per esigere una soluzione nonviolenta del conflitto accettabile dalle due parti. Sono iniziative coraggiose e ammirevoli, portate avanti da persone che vengono boicottate dal governo e accusate di essere contro gli interessi di Israele. Vorrei citare anche i giovani obiettori di coscienza che preferiscono andare in carcere, piuttosto che servire come militari nei territori occupati, e associazioni per i diritti umani come B’Tselem.Due anni fa il suo direttore Hagai El-Ad ha auspicato “azioni immediate” contro gli insediamenti di Israele durante una sessione speciale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’occupazione e ha denunciato «l’invisibile, burocratica violenza quotidiana» che i palestinesi subiscono «dalla culla alla tomba». Cosa possiamo fare, come europei e in particolare italiani, per contribuire a una soluzione pacifica del conflitto tra Israele e Palestina? La prima cosa è il lavoro culturale di cui parlavo prima: non smettere mai di ribadire che la denuncia delle ingiustizie e delle sopraffazioni subite dai palestinesi non c’entra niente con l’antisemitismo e la Shoà. In secondo luogo, fare pressione sui governi perché prendano posizione ed esigano il rispetto delle risoluzioni dell’Onu sempre violate da Israele. Terzo, appoggiare il movimento Bds, una campagna globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, chiedendo all’Europa di sequestrare (in quanto illegali) le merci prodotte nei territori occupati e negli insediamenti dei coloni. Il messaggio è semplice, ma molto forte: “Non sono terre vostre, pertanto queste sono merci di contrabbando, fuorilegge, e noi non le vogliamo”.(Moni Ovadia, dichiarazioni rilasciate ad Anna Polo per l’intervista “Accusare di antisemitismo chi critica la politica di Israele è un’infamia”, pubblicata da “Pressenza” e ripresa da “Contropiano” il 9 settembre 2018).Chi critica la politica di Israele e in particolare le violazioni dei diritti umani dei palestinesi viene spesso tacciato di antisemitismo. Come si può sfatare questa accusa? Innanzitutto denunciandola per quello che è: un’infamia, una bieca propaganda per tappare la bocca degli uomini liberi. Una viltà per impedire qualsiasi discorso sull’ingiustizia subita dal popolo palestinese e anche una forma di corto-circuito psicopatologico, di paranoia. E’ come se chi la formula vivesse nella Berlino del 1935 e non in un paese armato fino ai denti, dotato anche di armi nucleari e alleato non solo degli Stati Uniti, ma anche di fatto dell’Egitto, della Giordania e dell’Arabia Saudita. L’unico paese che fa quello che vuole e ignora le risoluzioni dell’Onu senza che la comunità internazionale muova un dito. Io stesso ho subito questa infamia. Siccome l’antisemitismo in Italia è un reato, ho sfidato i miei accusatori a trascinarmi in tribunale, così vedremo come stanno davvero le cose. Inoltre li ho invitati a farsi vedere da uno psichiatra per una lunga terapia. Come giudico la legge approvata un mese fa dal Parlamento israeliano, che dichiara Israele “Stato nazionale del popolo ebraico”? La considero una legge che istituisce “de iure” l’apartheid e il razzismo, che esisteva già “de facto”, ed esprime una logica e una mentalità colonialista. E’ una follia, quando il 20% della popolazione è arabo-palestinese e dunque Israele è già uno stato bi-nazionale.
-
Maddalena a Mattarella: arrendersi ai mercati è un crimine
Di fronte alla scelta di Mattarella di negare a Paolo Savona la nomina ministeriale ho provato disorientamento e abbattimento. Dal punto di vista strettamente costituzionale poteva dire “io non firmo”, perché l’articolo 90 della Costituzione conferisce al presidente potere di nomina. Ma nel caso di specie, dopo aver consentito a Di Maio e Salvini di fare un programma di governo e dopo aver dato l’incarico a Conte, la contrarietà a un singolo ministro per un fatto individuale trovo sia perlomeno politicamente inammissibile, comunque contraria alla volontà del popolo italiano e al corpo elettorale, che si è espresso chiaramente per cambiare il sistema. Gli italiani hanno espresso un voto antisistema, invece Mattarella – chiamando Cottarelli, che proviene dal Fmi – ha voluto ribadire il suo apprezzamento per il sistema neoliberista. Su questo il presidente sbaglia: tutto si può dire, tranne che il sistema neoliberista abbia portato dei buoni frutti. Ha aumentato le disuguaglianze in tutto il mondo. Ha cominciato Pinochet, che ha distrutto il Cile. Poi c’è stata la Thatcher in Inghilterra, dove il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli mai visti. Il neoliberismo è stato applicato da Reagan e poi soprattutto da Clinton negli Stati Uniti (che ora hanno reagito non confermando la Clinton e votando Trump: dalla padella alla brace).Il sistema valido è quello keynesiano, che permise agli Usa di superare la Grande Depressione degli anni Trenta. Si tratta di distribuire il denaro alla base della piramide sociale cioè ai lavoratori, facendo sì che i negozi aprano e le imprese assumano, in un circolo virtuoso. Invece, secondo la tesi neoliberista lanciata all’inizio degli anni ‘60 da un certo Milton Friedman della Scuola di Chicago, bisogna concentrare la ricchezza nelle mani di pochi e bisogna estromettere lo Stato dall’economia – cioè, il popolo intero non può partecipare all’economia come comunità statale: non si possono dare aiuti alle imprese, ci vuole una forte competività. Questo crea le premesse per cui il lavoro diventa merce, e quindi si tradisce l’idea stessa di Stato-comunità che è in Costituzione. La comunità è formata dal popolo, che contribuisce alla comunità col suo lavoro, dal territorio che offre i mezzi di sostentamento e le fonti di ricchezza necessarie per il progresso materiale e spirituale della società. La sovranità lascia al popolo l’appartenenza, a titolo di sovranità, del territorio, nonché la possibilità di decidere. Mi sembra che tutti gli elementi dello Stato-comunità vengano attaccati dal pensiero neoliberista, e mi spiace molto.Lo spread? Noi legittimiamo – non so in base a quale principio giuridico – l’azione speculativa, che è vietata dal nostro codice. E’ una sopraffazione, la speculazione: non è che possiamo dire che i mercati sono liberi di fare quello che vogliono. Quando gli Stati si sottomettono ai mercati, compiono un crimine fortissimo: i governanti devono appunto governare il mercato, non esserne governati. Il mercato fa i suoi interessi, e la speculazione non è lo strumento per fare i nostri. E’ vietata, la speculazione: può recare danno e farci morire tutti. E’ vietata dall’articolo 501 del codice penale, che punisce chi rompe la stabilità dei prezzi delle merci. Questa sottomissione al mercato, da parte dei governi di tutto il mondo – specie del mondo occidentale – è un errore madornale. Avere un mercato aperto non significa dare accesso a leggi di mercato arbitrarie. Il mercato dovrebbe seguire una sola legge naturale, quella della domanda e dell’offerta. In realtà, oggi tende solo ad appropriarsi dei beni altrui. Noi abbiamo dato tutto, ormai. Ci hanno tolto tutto: sono rimasti solo i nostri immobili privati, qualche piccola industria. Dobbiamo dare anche questo? Mi pare assurdo. E l’assurdità sta proprio in questo assecondare il pensiero neoliberista, e soprattutto l’azione – non legittima, per usare un eufemismo – che opera la finanza. La speculazione finanziaria è costituzionalmente illegittima: non è possibile darle legittimità. La riteniamo una cosa intoccabile, quasi sacra, quando in televisione stiamo a sentire com’è andata la Borsa.Nel rifiutare Savona, Mattarella ha detto di voler tutelare i piccoli risparmiatori italiani? Su questo sono completamente in disaccordo, tant’è vero che lo spread è salito. Non si possono assecondare i mercati, che agiscono in base a principi egoistici. Noi abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale per controllare i mercati, ma lo stesso trattato internazionale sul commercio si è votato a favore della speculazione finanziaria. A mio avviso, la scelta di Sergio Mattarella – che rispetto, come persona – è completamente sbagliata. Ha buttato a mare un percorso che era durato 85 giorni. Lo stesso Savona gli aveva offerto una soluzione, dichiarandosi a favore dell’Europa: un’Europa con più uguaglianza tra gli Stati. La finanza agisce in modo malevolo, come la criminalità organizzata: se alla criminalità organizzata vai a dire “io faccio il tuo interesse”, quella fa il suo interesse e ti uccide lo stesso. Ci stanno uccidendo ugualmente, infatti: non si tratta, col nemico criminale. La trattativa Stato-mafia? Allora furono le stragi a portarci alla trattativa, adesso è la guerra economica cavalcata soprattutto dalla Germania. L’unica nostra salvezza è attuare la Costituzione. Anche se dovessimo andare verso una “decrescita felice”, come afferma Latouche, sarebbe preferibile: manterremmo le nostre cose e non saremmo esposti alla schiavitù. Perché a questo punto ci tolgono tutto il territorio ed è finita la comunità italiana – com’è avvenuto in Grecia, dove i cittadini fanno i camerieri per gli stranieri a cui hanno svenduto le loro case.Ho capito da tempo che nel pensiero neoliberista c’è un meccanismo pratico che prevede la creazione del denaro dal nulla e la commercializzazione di denaro fittizio, come quello dei derivati. Tutto a favore delle multinazionali e contro gli interessi del popolo italiano. Addirittura l’ultimo Gentiloni ha approvato il decreto legislativo incostituzionale “taglia-foreste”, destinate ad alimentare le centrali a biomassa dei nostri grandi imprenditori. Nell’ordinamento italiano è stato recepito il bail-in, cioè: se falliscono le banche, pagano i depositanti. Bella roba: questo è il sistema neoliberista, adottato dal Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona. Si tenga presente che, sui trattati europei, prevale la Costituzione della Repubblica italiana: a partire dal 1973, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha più volte affermato che nell’ordinamento italiano non possono entrare le norme comunitarie contrarie ai diritti fondamentali, ai diritti dell’uomo e ai principi fondanti della Costituzione repubblicana. Il diritto al lavoro è un diritto fondamentale: come facciamo a sostenere questo sistema economico predatorio neoliberista e ridurre il lavoro a merce? Dobbiamo ripristinare il diritto, e l’ha fatto l’Islanda con grande successo – nazionalizzando tutti i fattori della produzione. Se invece in Italia andiamo avanti così, sensa nazionalizzare niente, è sicuro che moriremo tutti.La finanza ci annienta con denaro fittizio: i derivati sono diventati 20 volte il Pil di tutti gli Stati del mondo. Noi italiani cosa siamo, degli imbecilli? Li potremmo far crollare abrogando leggi insulse che abbiamo approvato, facendo il male nostro. Addirittura i nostri rappresentati al Parlamento Europeo hanno detto sì al Ttip e al Ceta, cioè o trattati euro-atlantici che pretendono il risarcimento del danno se le multinazionali non riescono a piazzare in Italia i loro prodotti, che producono magari tumori. Per contro, quando sta succedendo potrebbe aiutare gli italiani a rendersi conto che devono essere uniti e opporsi al sistema predatorio e neoliberista. Evitando le delocalizzazioni, le liberalizzazioni e le privatizzazioni, e nazionalizzando il più possibile, gli italiani devono riprendersi il territorio che ci è stato tolto. Tornando al Quirinale: chi ha consigliato male il nostro presidente vuole il male dell’Italia, non in bene degli italiani. Il meccanismo neoliberista si fonda su precisi passaggi. Primo, creazione del denaro dal nulla. Derivati, cartolarizzazioni, Jobs Act, project-bond e tante altre cose, fatte con leggi incostituzionali. Quindi: privatizzazioni, liberalizzazioni. Nel 1990 abbiamo privatizzato tutte le banche pubbliche, primo atto assolutamente inconcepibile. Poi nel ‘92 abbiamo privatizzato l’Ina, l’Eni, l’Enel e l’Iri, con tutte le sue industrie. Ci siamo spogliati di tutto: il popolo italiano non produce più niente, è emarginato dall’economia. Come facciamo a pagare i nostri debiti? Anche quelli sono diventati una prestazione impossibile, ai sensi del codice civile. In un sistema predatorio, ogni giorno ci impoveriamo di più, ogni giorno il debito cresce.Poi addirittura questi signori pretendono che il debito diminuisca mettendo denaro da parte: ma il denaro non basta più neppure per arrivare a fine mese, è il sistema che deva cambiare. Questo sistema poi finisce con le svendite: tutto il settore alimentare se l’è preso la Francia insieme a quello della moda, il settore meccanico se l’è preso la Germania, mentre la Cina s’è preso il settore agricolo. Siamo mancanti di tutto, e manteniamo ancora questo sistema? Per fortuna la gente sta capendo che bisogna cambiare, sente che questo sistema fa male. E i due partiti che hanno avuto più voti sono stati antisistema. Vogliamo un altro sistema? Questo dovrebbe chiarito, alle prossime elezioni: vogliamo ancora il sistema predatorio che ci fa morire o vogliamo il sistema produttivo che ci fa vivere? Non ci sono più destra, sinistra e centro: sopra c’è la finanza speculativa e sotto ci sono gli schiavi, ci siamo noi. E gli schiavi ci sono anche negli Stati Uniti, in Cile, in Sudamerica, in Germania, in Francia. Bisogna rivitalizzare il senso della comunità politica e il senso della civiltà, perché è nella “civitas” che nasce la comunità. Altrimenti torniamo all’uomo-branco, dove piccoli branchi di speculatori finanziari uccidono tutti gli altri. E li stiamo anche legalizzando: quando il crimine diventa totale, allora lo si legalizza. Ma è un sistema suicida, illogico e riprovevole, dal quale dobbiamo uscire.(Paolo Maddalena, dichiarazioni rilasciate a Roberto Citrigno per l’intervista “E’ il momento di cambiare sistema”, trasmessa da “Pandora Tv” il 31 maggio 2018. Il professor Maddalena è vicepresidente emerito della Corte Costituzionale. Per l’editore Donzelli, Maddalena ha pubblicato nel 2014 il saggio “Il territorio bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico”, seguito nel 2016 da “Gli inganni della finanza. Come svelarli, come difendersene”).Di fronte alla scelta di Mattarella di negare a Paolo Savona la nomina ministeriale ho provato disorientamento e abbattimento. Dal punto di vista strettamente costituzionale poteva dire “io non firmo”, perché l’articolo 90 della Costituzione conferisce al presidente potere di nomina. Ma nel caso di specie, dopo aver consentito a Di Maio e Salvini di fare un programma di governo e dopo aver dato l’incarico a Conte, la contrarietà a un singolo ministro per un fatto individuale trovo sia perlomeno politicamente inammissibile, comunque contraria alla volontà del popolo italiano e al corpo elettorale, che si è espresso chiaramente per cambiare il sistema. Gli italiani hanno espresso un voto antisistema, invece Mattarella – chiamando Cottarelli, che proviene dal Fmi – ha voluto ribadire il suo apprezzamento per il sistema neoliberista. Su questo il presidente sbaglia: tutto si può dire, tranne che il sistema neoliberista abbia portato dei buoni frutti. Ha aumentato le disuguaglianze in tutto il mondo. Ha cominciato Pinochet, che ha distrutto il Cile. Poi c’è stata la Thatcher in Inghilterra, dove il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli mai visti. Il neoliberismo è stato applicato da Reagan e poi soprattutto da Clinton negli Stati Uniti (che ora hanno reagito non confermando la Clinton e votando Trump: dalla padella alla brace).
-
Ragazzi senza futuro, vietato stupirsi se minacciano il prof
Il mestiere di docente non è mai stato così pericoloso. L’escalation di aggressioni e offese agli insegnanti da parte di studenti e genitori sta facendo emergere il disagio profondo in cui versano la scuola e la società intera. In queste settimane, si sprecano riflessioni e commenti da parte di pedagogisti, psicologi, sociologi, giornalisti, filosofi ed esperti di ogni genere. In particolare, l’associazione fra violenza e basso livello di istruzione proposta da Michele Serra su “Repubblica” ha suscitato discussioni a non finire. Come tutti i fenomeni sociali, anche la violenza a scuola è un fenomeno plurideterminato. Lungi dal voler esaurire le cause possibili del degrado del clima educativo in classe, proverei comunque a indagare su alcune condizioni che lo favoriscono, partendo da quelle più immediate. Michele Serra non ha tutti i torti quando collega la violenza alle scuole tecnico-professionali e al basso livello socio-culturale delle famiglie d’origine, perché – anche se può non piacere a molte anime belle – è drammaticamente confermato dalle ricerche sociologiche che l’utenza degli istituti tecnici e professionali è correlata a voti più bassi in uscita dalla scuola media, rispetto a quella dei licei, e questi, a loro volta, sono correlati allo status socio-culturale più basso delle famiglie di origine.Anche se non certo in via esclusiva, molti degli episodi narrati dai media hanno avuto come contesto istituti tecnico-professionali. Può darsi che il rapporto con i docenti sia più difficile nelle famiglie dove l’istruzione gode di minor considerazione o dove il disagio socio-economico si fa sentire di più. Tuttavia, una spiegazione di questo tipo appare assai parziale e soprattutto astratta. Una ragione più immediata del disagio è che, nelle scuole “razionalizzate” (ovvero “amputate”) dalle riforme degli ultimi vent’anni, ci sono troppi alunni per classe, insegnanti molto soli e demotivati, troppo anziani, non abbastanza formati e non abbastanza sostenuti nella fatica di ogni giorno; c’è una pressione costante a nascondere la dispersione scolastica e lo scadimento costante del livello degli apprendimenti dietro al buonismo obbligatorio delle promozioni regalate anche a fronte di gravi lacune; c’è un taglio progressivo e drammatico delle ore di lezione e dei contenuti; c’è la mancanza di un autentico e lungimirante spirito riformatore, che faccia della scuola un luogo di produzione di sapere e di cultura, vero cuore pulsante del paese e oggetto di cura e attenzione da parte delle istituzioni e dei cittadini.Ad un livello più profondo, c’è l’abdicazione dei genitori al loro ruolo educativo e la completa delega alla scuola della responsabilità di dire di no ai pargoli superprotetti e nel contempo la svalutazione e il discredito del ruolo educativo degli insegnanti, ai quali viene riservata la considerazione di cui godono dei proletari sottopagati, invece del prestigio di cui dovrebbero godere dei professionisti ai quali si affida il futuro delle nuove generazioni. Alla scuola si chiede continuamente di sopperire a tutte le lacune e ai mali profondi della società, senza però dotarla di mezzi, di competenze, di prestigio e di considerazione sociale. Se la scuola italiana ha retto tutto sommato miracolosamente fino ad ora, lo si deve allo spirito di abnegazione di quegli insegnanti (non tutti, certamente) che tengono duro nonostante venga scavato loro ogni giorno il terreno sotto i piedi. La fuga dalla responsabilità è il male sociale che ci affligge. A cominciare dal vertice, due decenni di cialtroneria politica, di zuffe mediatiche fondate sulla legge del più forte (quanto a volume di voce, non di argomenti), di demeritocrazia, ovvero di gestione delle cariche pubbliche pressoché totalmente svincolata dal merito, di autoreferenzialità della casta rispetto alle proprie scelte dannose, delle quali di fatto non si assume mai la responsabilità, hanno inciso profondamente sulla coscienza degli italiani.Si è imbarbarito il linguaggio del dibattito pubblico e, per il notissimo principio dell’apprendimento per imitazione, la violenza verbale rappresentata ogni giorno nei media è stata sdoganata. Con quale autorevolezza possono insegnare ai ragazzi il rispetto, l’empatia, il dialogo democratico degli insegnanti continuamente vilipesi e disprezzati sui media come categoria di nullafacenti privilegiati, in una società che offre a tutti i livelli la tracotante indifferenza a questi valori? Come possono far apprezzare lo studio e il sapere, quando ogni giorno i modelli vincenti proposti dagli adulti sembrano prescindere dalla cultura, dalla competenza e dall’impegno? A livello educativo, questa mancanza di responsabilità assume la forma di assenza di autorevolezza. I ragazzi, a tutte le età, hanno un bisogno assoluto di riferimenti autorevoli. Un adulto autorevole sa dare regole e controllare, ma sa anche ascoltare e proteggere quando serve. Sa prendersi la responsabilità di dire di no, senza essere un tiranno. I “no” aiutano a crescere e strutturano una personalità equilibrata, capace di sopportare le inevitabili frustrazioni della vita. Molti genitori (non tutti, per fortuna) non sembrano più in grado di offrire ai propri figli un modello di questo genere. Troppo faticoso, in una società dove il tempo da dedicare ai figli è scarso e dove spesso si è fagocitati dal lavoro e dalle preoccupazioni. È più facile lasciar perdere e salvare la pace familiare.Purtroppo, a volte nemmeno gli insegnanti ci riescono. Insegnare non è un lavoro per tutti e con ragazzi che arrivano da famiglie così permissive o prive di struttura lo è ancora meno. Gli insegnanti tormentati dagli allievi non di rado sono deboli e poco autorevoli. È come se i ragazzi indirettamente chiedessero loro di far sentire da che parte sta il potere nella relazione educativa (che per sua natura deve essere asimmetrica). A casa non lo imparano dagli adulti e di conseguenza non sanno che cosa sia la responsabilità; perciò vanno in escandescenze quando incontrano i primi ostacoli in classe. Per loro l’adulto non ha alcuna autorità; è un fratello maggiore al quale nulla è dovuto. Li conosco, questi genitori: sono quelli che arrivano infastiditi al colloquio con il docente quando il figlio prende un’insufficienza con l’argomento che il pargolo deve avere 6, perché non hanno tempo di occuparsene. Non sempre sono di bassa condizione sociale, anzi… La mancanza di riferimenti autorevoli produce principini narcisisti e onnipotenti, ai quali i genitori, schiacciati dal senso di colpa per la scarsa disponibilità verso i bisogni autentici dei figli, lasciano decidere tutto fin dalla tenera età. Fragili e privi di limiti, questi figli narcisi non vedono più in là dei confini del proprio ego e dei suoi impulsi immediati.E veniamo a loro, ai ragazzi. Questi ragazzi (parlo degli adolescenti, perché ci lavoro insieme da oltre trent’anni) sono in molti casi soli. Passano troppo tempo sui dispositivi digitali (per parecchi lo smartphone è oggetto di un vero attaccamento affettivo) e da un’età troppo precoce, con tutti i danni che ne derivano e che sono stati illustrati molto bene dal neuropsichiatra Manfred Spitzer nel suo libro “Demenza digitale” (Corbaccio): dipendenza, danno da campi elettromagnetici, sottrazione di tempo alla lettura e all’interazione faccia a faccia, danni cognitivi, rischi per la privacy, aumento dell’aggressività (specie per l’utilizzo dei videogiochi) e diminuzione dell’empatia. Spesso le bravate a danno dei docenti raccontate sui giornali sono state pensate nella prospettiva della diffusione sui social network e nelle chat. Sono messe in scena per un pubblico di pari, in cambio di una fragile popolarità che li faccia sentire esistenti. A questi ragazzi la scuola non dice molto e appare per lo più come una spiacevole interruzione delle loro attività digitali. La lettura è attività rara perfino al liceo. Il sapere appreso sui banchi appare vuoto e inutile e si aspettano la promozione per il solo fatto di andare a scuola.Questo non significa che la scuola debba inseguirli sul terreno tecnologico, ma che deve trasmettere e costruire con loro un sapere vitale, in grado di coinvolgerli. Perché possa riuscirci, occorrono insegnanti altamente selezionati e formati, dirigenti all’altezza, un’alleanza educativa con le famiglie, una maggiore considerazione del valore della scuola e del sapere a livello sociale (l’Italia, non dimentichiamolo, ha un numero enorme di analfabeti funzionali, circa il 70% della popolazione adulta), un senso di responsabilità condiviso. E così torniamo all’inizio. Siamo in un circolo vizioso. Questa scuola povera, svuotata, imbelle e irrilevante è il risultato di due decenni di logoramento progressivo e sistematico, ad opera di tutti i governi. Invece di essere riformata, la scuola italiana è stata smantellata. Mentre gli altri comparti della pubblica amministrazione hanno subito tagli lineari del 2%, la scuola si è vista sottrarre il 20% delle risorse. È un miracolo che esista ancora, benché compromessa. Ma non è colpa della scuola se i ragazzi sono violenti e privi di autocontrollo.Semmai, sia l’istruzione pubblica piegata alle esigenze del mercato, per il quale contano più le competenze delle conoscenze e più la ripetizione di nozioni del senso critico, sia l’individualismo sfrenato e l’ignoranza arrogante e soddisfatta di sé diffuse in una società che sta perdendo i valori fondanti della solidarietà, del bene comune, dell’impegno e della cultura sono il frutto malato di quella vera perversione della natura umana che è l’ideologia neoliberista. L’uomo è un essere intimamente sociale e predisposto all’empatia. Quando si insegna per decenni attraverso la parola e l’esempio che l’avversario è un nemico, che per affermare se stessi occorre competere, che i servizi pubblici sono uno spreco, che tutto si misura in termini economici, che con la cultura non si mangia e che i diritti sono sacrificabili sull’altare del profitto; quando si riduce l’istruzione al minimo, si riducono i salari e le tutele e si sdoganano a tutti i livelli la sopraffazione, l’arbitrio, la violazione delle regole, siamo di fronte ad una patologia individuale e sociale.I sociologi la chiamano “anomia”; gli psicologi possono scomodare etichette diagnostiche che vanno dal narcisismo alla psicopatia. Un popolo disgregato, al quale manca il senso di appartenenza ad una comunità, è facilmente manipolabile, oltre che infelice. Divide et impera, dividi e comanda. E così, con gli adulti affannati nella sopravvivenza quotidiana, i figli trattati come polli in batteria a cui dare il meno possibile perché non pensino ad altro che ai propri bisogni immediati e i docenti privati di prestigio e di credibilità, come la cultura di cui sono obsoleti portatori, al posto di una democrazia partecipativa, fondata sulla consapevolezza dei diritti e sulla responsabilità, stiamo imboccando il tunnel di una democratura, fondata sulla rinuncia inconsapevole ai diritti e sull’irresponsabilità. Non credo che se ne possa uscire né cambiando solo la scuola né limitandosi a punire gli studenti violenti. Certo, le azioni penalmente rilevanti vanno sanzionate anche penalmente. La responsabilità si impara pagando il prezzo delle proprie azioni; perciò l’indulgenza zuccherosa dei docenti che lasciano correre è deleteria almeno quanto il lassismo o l’arroganza dei genitori mai cresciuti che ne sono la causa prossima.Per uscire da un degrado così profondo, occorre guarire la malattia che lo ha provocato. Servono un futuro da costruire (questi ragazzi non ce l’hanno), la scoperta di un senso nella vita e un vero salto evolutivo della coscienza. Viviamo in mondo inquinato sul piano fisico da infinite sostanze tossiche, sul piano mentale da pensieri fuorvianti e dalla distrazione di massa, sul piano spirituale dalle catene della dipendenza dall’avere. Ci servono un paradigma diverso da quello neoliberista e un nuovo umanesimo, pragmatico, ma fondato sulla cooperazione e sull’empatia. Non sembra davvero facile, dato il livello del disfacimento sociale, ma nemmeno impossibile. Accanto ad una minoranza di ragazzi violenti e maleducati (ed anche fra loro) ci sono molti coetanei pieni di energie che devono solo trovare uno sbocco costruttivo. A questi uomini di domani servono uno scopo e dei maestri, altrimenti avranno solo dei capi-branco e dei dittatori. Siamo in grado di offrirglieli?(Patrizia Scanu, “Violenza in classe, come ci siamo arrivati?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 28 aprile 2018).Il mestiere di docente non è mai stato così pericoloso. L’escalation di aggressioni e offese agli insegnanti da parte di studenti e genitori sta facendo emergere il disagio profondo in cui versano la scuola e la società intera. In queste settimane, si sprecano riflessioni e commenti da parte di pedagogisti, psicologi, sociologi, giornalisti, filosofi ed esperti di ogni genere. In particolare, l’associazione fra violenza e basso livello di istruzione proposta da Michele Serra su “Repubblica” ha suscitato discussioni a non finire. Come tutti i fenomeni sociali, anche la violenza a scuola è un fenomeno plurideterminato. Lungi dal voler esaurire le cause possibili del degrado del clima educativo in classe, proverei comunque a indagare su alcune condizioni che lo favoriscono, partendo da quelle più immediate. Michele Serra non ha tutti i torti quando collega la violenza alle scuole tecnico-professionali e al basso livello socio-culturale delle famiglie d’origine, perché – anche se può non piacere a molte anime belle – è drammaticamente confermato dalle ricerche sociologiche che l’utenza degli istituti tecnici e professionali è correlata a voti più bassi in uscita dalla scuola media, rispetto a quella dei licei, e questi, a loro volta, sono correlati allo status socio-culturale più basso delle famiglie di origine.