Archivio del Tag ‘sotterfugi’
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Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
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Strinati: caro Giacomelli, unico giudice ucciso in pensione
Un delitto “senza”: senza clamore e senza assassini (mai trovati), senza movente per lungo tempo, senza lapidi e celebrazioni per ricordare l’uomo e il magistrato. Un delitto senza niente e senza tutto, quello del giudice trapanese Alberto Giacomelli, freddato dai killer il 14 settembre 1988: il primo a morire già in pensione, dopo aver osato (di nuovo: per primo) applicare in Sicilia la legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei patrimoni mafiosi. «Un giudice dimenticato un attimo dopo la sua morte violenta», lo ricorda Attilio Bolzoni nella sua prefazione della biografia “Un uomo per bene” (Edb, 2018) scritta da Salvo Ognibene. Giacomelli? «Inghiottito da maldicenze e depistaggi, dall’omertà, dall’ignoranza. Inghiottito da una Sicilia che appena qualche giorno dopo stava piangendo il presidente della Corte d’assise Antonino Saetta e qualche giorno dopo ancora il giornalista Mauro Rostagno». Proprio ad Alberto Giacomelli, su Libridee, Fabio Strinati dedica un’intensa rievocazione poetica.Si saprà solo dopo molti anni – quando ne parleranno i pentiti di Cosa Nostra – che Alberto Giacomelli aveva “pagato” per avere confiscato con un provvedimento un “bene di famiglia”, una proprietà di Gaetano Riina, il fratello dello “zio Totò”, il capo dei capi, in quel 1988 latitante già da quasi vent’anni. Giacomelli, scrive ancora Bolzoni, era presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani: un uomo defilato, silenzioso, sobrio. Dietro il sipario, decideva i destini economici di quei “galantuomini”. E aveva «messo la sua firma su un patrimonio che per sua volontà e in nome del popolo italiano non apparteneva più al mafioso di Corleone», il feroce padreterno che in Sicilia «decideva chi doveva vivere e chi doveva morire». Così è uscito di scena, in punta di piedi, «un coraggiosissimo magistrato siciliano che non aveva mai avuto le attenzioni dei cronisti o le luci degli studi televisivi». Così è morto in solitudine Alberto Giacomelli, classe 1919, in magistratura dal ‘45, congedato nell’87 e assassinato appena un anno dopo, con un proiettile in testa.Il fatale provvedimento l’aveva firmato quattro anni prima. Pentiti di mafia e collaboratori di giustizia confermarono che fu proprio quella decisione a costargli la vita. Per la prima volta, Cosa Nostra decise di colpire un magistrato giudicante. E quello di Giacomelli resta l’unico caso di omicidio, nella storia d’Italia, di un magistrato in pensione. Ancora Bolzoni inquadra l’omicidio nella luce sinistra del biennio ‘88-89, che preparò le stragi di Capaci e via d’Amelio. «Corvi, talpe, sciacalli, candelotti di dinamite, “menti raffinatissime”, misteri che hanno fatto tremare l’isola e anche l’Italia». Inquietante il diario dell’ex sindaco palermitano Giuseppe Insalaco, che proprio nel 1988 indicò i “buoni” (Piersanti Mattarella, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Cesare Terranova e Pio La Torre, tutti assassinati), additando fra i “cattivi” Salvo Lima e Andreotti, il procuratore capo Vincenzo Pajno e l’esattore mafioso Ignazio Salvo. «E in mezzo, una Palermo sprofondata nella paura», in balìa dei sicari di Riina.Il maxi-processo si era concluso un anno prima, con le prime e decisive condanne per la Cupola. «L’impianto accusatorio del pool antimafia aveva retto alla prova della Corte d’Assise, ma in tanti speravano nell’appello per disintegrare quel capolavoro di ingegneria giudiziaria che aveva inventato Giovanni Falcone». Era già arrivata la stagione del disincanto, scrive Bolzoni. Fu in quella primavera, aggiunge, che a Roma «decisero di scavare la fossa istituzionale a Falcone». Al posto di Antonino Caponnetto, il consigliere istruttore che aveva sostituito Rocco Chinnici (saltato in aria nell’83), il Csm nominò «un vecchio magistrato che non sapeva nulla di questioni mafiose e che in poche settimane disintegrò a colpi di penna “l’unicità” di Cosa Nostra, sparpagliando in mille rivoli tutte le indagini che il pool aveva centralizzato». Per Bolzoni, era la fine di un metodo di lavoro e di investigazione che aveva dato per la prima volta straordinari risultati. «Un segnale per Giovanni Falcone, dentro e fuori Palermo, dentro e fuori lo Stato». Paolo Borsellino denunciò «la fine della lotta alla mafia».L’estate siciliana del 1988, aggiunge Bolzoni, se ne andò con un titolo in prima pagina – ogni giorno – su tutti i quotidiani italiani. Era esploso il “caso Palermo”, con il suo tribunale ormai chiamato il Palazzo dei Veleni, le infuocate polemiche sulla mancata nomina di Falcone a consigliere istruttore, il cambio improvviso dei vertici della polizia palermitana, i timori degli ambienti politici romani, le speranze dei siciliani. «Un’estate inquieta, che non era ancora finita. E il 14 settembre, di mattina, nel silenzio più cupo uccisero Alberto Giacomelli, giudice figlio di un giudice, che da poco più di un anno aveva lasciato la toga». Delle indagini, ricorda oggi la Rai, si occupò lo stesso Borsellino, poi ucciso in via d’Amelio, in collaborazione con Paolo Germanà, scampato ai killer a Mazara del Vallo quattro anni dopo. Una storia esemplare ma coperta dal silenzio, quella di Giacomelli, in un paese – scrive Ognibene – che ha il difetto di dimenticare in fretta. Anche per questo assume un particolare valore la tensione emotiva della poesia di Strinati, commosso omaggio a un uomo mite e giusto come Giacomelli.AD ALBERTO GIACOMELLIHanno contaminato il tuo addomeavvelenato il tuo dabbene sguardosottratto la tua anima alla vitausando il megafono della violenzail microfono dell’arroganza,il sotterfugio putrido vile dell’ignoranza;hanno calpestato il tuo onorepestato il tuo cognome da galantuomoscucito al mondo il tuo sorrisodelicato che sapeva come corteggiare la speranza;hanno usato la peggior vergognaper ammorbare il tuo esile corpoattraverso un colorante colmo, strapieno di sangue…e ti hanno tolto l’esistenzaperché figli di un frutto acerbodi un albero avverso nutrito dal morbofradicio della menzognala più cattiva rogna che sembra uno sciame,intinto, in un volume abnorme di peccato.(Fabio Strinati)Fabio Strinati (Esanatoglia, 1983) è poeta, artista visivo, compositore e fotografo. È presente in diverse riviste e antologie letterarie. Da ricordare “Il Segnale”, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini, la rivista Fabio Strinati“Sìlarus” fondata da Italo Rocco, e “Osservatorio Letterario – Ferrara e L’Altrove”. È stato inserito da Margherita Laura Volante nel volume “Ti sogno, Terra”, viaggio alla scoperta di Arte Bellezza Scienza e Civiltà, inserito nei “Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche”. Sue poesie sono state tradotte in romeno e in spagnolo. È inoltre il direttore della collana poesia per “Il Foglio Letterario” e cura una rubrica poetica dal nome “Retroscena”, proprio sulla Rivista trimestrale del “Foglio Letterario”. Pubblicazioni: “Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo” (2014); “Un’allodola ai bordi del pozzo” (2015); “Dal proprio nido alla vita” (2016); “Al di sopra di un uomo” e “Periodo di transizione” (2017), “Aforismi scelti Vol.2” e “L’esigenza del silenzio” (2018).Un delitto “senza”: senza clamore e senza assassini (mai trovati), senza movente per lungo tempo, senza lapidi e celebrazioni per ricordare l’uomo e il magistrato. Un delitto senza niente e senza tutto, quello del giudice trapanese Alberto Giacomelli, freddato dai killer il 14 settembre 1988: il primo a morire già in pensione, dopo aver osato (di nuovo: per primo) applicare in Sicilia la legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei patrimoni mafiosi. «Un giudice dimenticato un attimo dopo la sua morte violenta», lo ricorda Attilio Bolzoni nella sua prefazione della biografia “Un uomo per bene” (Edb, 2018) scritta da Salvo Ognibene. Giacomelli? «Inghiottito da maldicenze e depistaggi, dall’omertà, dall’ignoranza. Inghiottito da una Sicilia che appena qualche giorno dopo stava piangendo il presidente della Corte d’assise Antonino Saetta e qualche giorno dopo ancora il giornalista Mauro Rostagno». Proprio ad Alberto Giacomelli, su Libridee, Fabio Strinati dedica un’intensa rievocazione poetica.
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Sogni d’oro, Italia: il superpotere Ue festeggia il Rosatellum
Aveva ben presente, l’allora giovane rottamatore Renzi, quale fosse il cuore del problema: metter fine alla sciatteria di una farsa, recitata da partiti impresentabili. Un acquario virtuale, dentro cui c’erano mille sigle ma mancava la bandiera fondamentale, quella dell’Italia: il calpestato popolo italiano, non più sovrano né decentemente rappresentato nelle sue istanze fondamentali. Solo che il Matteo ne ha organizzata un’altra, di farsa – la sua – limitandosi a fingere di rottamare un sistema ingessato, perfettamente funzionale alla grande oligarchia affaristica internazionale, con i suoi terminali nella piccola oligarchia nazionale. E’ stato ferocemente boicottato, Renzi, e poi si è auto-affondato con un referendum sbilenco. Ma intanto gli era già caduta la maschera: il suo dirompente potenziale comunicativo l’aveva sprecato scagliandolo appositamente fuori bersaglio, contro ipotetici mulini a vento (le “auto blu” grillesche, la “casta”, gli “sprechi”), sparacchiando a casaccio contro l’antropologia partitocratica, per poi affrettarsi a svendere gioielli di famiglia (Poste Italiane) mettendosi in coda: ecco, sono io il nuovo feudatario, è con me che dovete parlare per continuare il grande saccheggio. “Sburocratizzare”, è stata la sua parola d’ordine, perfettamente adatta a evitare di sfiorare l’unica vera burocrazia nefasta, quella di Buxelles, da cui l’Italia è intrappolata.Oggi si indignano, i dinosauri dell’Ulivo, di fronte allo spettacolo dell’ultima legge elettorale imposta con la forza, manu militari, arrivando a rimpiangere il Berlusconi del Porcellum, avversato con autentico odio per vent’anni, salvo poi spalancare le porte a Mario Monti, al pareggio di bilancio, al Fiscal Compact, alla legge Fornero sulle pensioni. Non una parola di autocritica dalla sfinge Prodi – demolitore dell’Iri, fanatico supporter dell’euro e del Trattato di Maastricht, presidente della Commissione Europea, super-privatizzatore, advisor europeo di Goldman Sachs. Contro Renzi si agita D’Alema, che vantò il record europeo delle privatizzazioni all’epoca in cui aveva trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank. E sul già famerigerato Rosatellum si abbattono i fulmini dei grillini, ben decisi anche loro – esattamente come Renzi – a non sfiorare nemmeno lo zerbino di Bruxelles, astenendosi da qualsiasi proposta per contrastare la super-oligarchia Ue-Nato, i diktat di Juncker e Merkel, le sanzioni alla Russia, l’infame euro-sistema, le regole intoccabili dell’austerity. Inservibili, anche loro: buoni solo a drenare rabbia, illudendo un elettore su tre di poter votare per il meno peggio. Alla freschezza spontanea di una base di militanti e attivisti è stato imposto un regime di caserma, con ordini impartiti dall’alto ed eseguiti a comando da figure debolissime, come l’avatar Di Maio.Piangono un po’ tutti, per la nuova super-schifezza elettorale, perché sanno di dover recitare – per un riflesso di decenza – almeno l’avanspettacolo del pianto. Ma sono ben contenti di aver rinnovato l’abbonamento a vita alla palude, l’acquitrino dove ciascun nuotatore sa perfettamente che non deciderà nulla, dovendo limitarsi a ratificare scelte adottate fuori dall’Italia. Il nuovo concorso-poltrone, progettato per un potere piccolo e senza idee (quello dei Letta, dei Gentiloni) dimostra solo che l’Italia continuerà a restare innocua e sottomessa, inoffensiva, di fronte ai grandi poteri che si trincerano dietro la Merkel e Macron. Un’Italia inerte, alla deriva nel Mediterraneo, in balia di un equipaggio inaffidabile, mediocre, mercenario. Non uno straccio di idea, di progetto per il paese. Meno tasse e più servizi? Investimenti strategici per uscire dalla cosiddetta crisi? Servono soldi, ma per metterli a bilancio bisogna litigare coi signori dell’Europa. Troppa fatica, troppi rischi. Meglio restare a guardare la nave che lentamente affonda, tenendosi stretti alla poltrona riconquistata con il sotterfugio di una legge elettorale che imbarazza persino chi l’ha imposta. Grasse risate, come al solito, da Parigi a Berlino: sogni d’oro, Italia. Nessuno disturberà il manovratore.Aveva ben presente, l’allora giovane rottamatore Renzi, quale fosse il cuore del problema: metter fine alla sciatteria di una farsa, recitata da partiti impresentabili. Un acquario virtuale, dentro cui c’erano mille sigle ma mancava la bandiera fondamentale, quella dell’Italia: il calpestato popolo italiano, non più sovrano né decentemente rappresentato nelle sue istanze fondamentali. Solo che il Matteo ne ha organizzata un’altra, di farsa – la sua – limitandosi a fingere di rottamare un sistema ingessato, perfettamente funzionale alla grande oligarchia affaristica internazionale, con i suoi terminali nella piccola oligarchia nazionale. E’ stato ferocemente boicottato, Renzi, e poi si è auto-affondato con un referendum sbilenco. Ma intanto gli era già caduta la maschera: il suo dirompente potenziale comunicativo l’aveva sprecato scagliandolo appositamente fuori bersaglio, contro ipotetici mulini a vento (le “auto blu” grillesche, la “casta”, gli “sprechi”), sparacchiando a casaccio contro l’antropologia partitocratica, per poi affrettarsi a svendere gioielli di famiglia (Poste Italiane) mettendosi in coda: ecco, sono io il nuovo feudatario, è con me che dovete parlare per continuare il grande saccheggio. “Sburocratizzare”, è stata la sua parola d’ordine, perfettamente adatta a evitare di impensierire l’unica vera burocrazia nefasta, quella di Bruxelles, da cui l’Italia è intrappolata.
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Tsipras: tedeschi, prima risarciteci per i danni di Hitler
Oggi prendo la parola in questa riunione storica per ragioni che non sono solo simboliche ma anche sostanziali. In primo luogo, vorrei rendere omaggio alle vittime della Seconda Guerra Mondiale. Ma vorrei anche rendere omaggio a tutti i combattenti e alle combattenti del mondo intero che hanno dato la loro vita per la libertà della loro patria, che hanno dato la vita per la sconfitta del nazismo, che aveva gettato la sua ombra mortifera sui popoli del mondo. Prendo anche la parola per rendere omaggio ai combattenti della resistenza greca, che hanno dato la loro vita affinché il nostro paese fosse liberato dalla barbarie dell’occupazione nazista. Affinché noi avessimo, oggi, una patria libera e sovrana. Alcune persone ci chiedono: “Perché vi occupate del passato? Occupatevi del futuro!”. Ma quale paese può mai avere futuro senza rendere omaggio alla propria storia e alle proprie lotte? Quale popolo può andare avanti cancellando la memoria collettiva, lasciando le proprie lotte e i propri sacrifici senza un giudizio storico? D’altra parte, il tempo trascorso da quei fatti non è così lungo.La generazione dell’occupazione e della resistenza nazionale è ancora in vita. E nella memoria collettiva del nostro popolo, le immagini e i rumori delle torture e delle esecuzioni a Disromo e Kaisariani, a Kalavryta e Vianno sono ancora freschi. Nella memoria del nostro popolo i crimini e la distruzione causati dalle armate del III Reich ai quattro angoli del territorio greco, ma anche dell’Europa intera, sono ancora vivi nella memoria. E la propria memoria deve essere preservata per le nuove generazioni. Preservarla è un nostro dovere storico, politico e morale. Non per preservare l’odio e il sospetto fra i popoli, ma per ricordare sempre che cosa sia il nazismo, che cosa significhi il nazismo. Per ricordarsi che quando la solidarietà, l’amicizia, la cooperazione e il dialogo fra i popoli sono rimpiazzati dal senso di superiorità e di destino storico, quando il rispetto è rimpiazzato dall’odio razziale o sociale, è allora che la guerra e l’oscurità prendono il sopravvento.E l’Europa ha conosciuto questa oscurità. L’ha conosciuta e l’ha odiata. È stata una delle ragioni per le quali i popoli europei hanno deciso insieme di lanciare il processo del 1957, affinché le sirene della guerra non risuonassero mai più. Non bisogna dimenticare che anche il popolo tedesco ha sofferto la barbarie nazista. E che il nazismo ha dominato in Germania perché in precedenza il popolo tedesco era stato umiliato. Ovviamente questa non è una giustificazione, ma una spiegazione. È la lezione del XX secolo, del secolo breve, per citare Eric Hobsbawm. In seguito alla Prima Guerra Mondiale furono l’odio e il revanscismo a farla da padrone. Ciò che dominava era la logica a corto termine dell’umiliazione dei vinti per aver sbagliato, la logica del ripudio e dell’impoverimento di un popolo intero per essere stato vinto. E questa scelta è stata pagata poco dopo, con il sangue dei giovani del mondo intero. Germania inclusa. I popoli d’Europa e i loro dirigenti devono ricordarlo e trarre dalla storia europea contemporanea le conseguenze. Perché l’Europa non deve – né le è permesso – commettere oggi gli stessi errori del passato.Dopo la Seconda Guerra Mondiale questa lezione fu compresa. A dispetto dei crimini commessi dal III Reich e dalle orde hitleriane, che misero il mondo a ferro e fuoco, a dispetto del male assoluto della Shoah, la Germania ha beneficiato – e a giusto titolo – di una serie di aiuti. I principali dei quali erano l’annullamento del suo debito contratto a seguito della Prima Guerra Mondiale, con la Convenzione di Londra del 1953, e naturalmente, gli enormi capitali sborsati dagli Alleati per la ricostruzione del paese. Ma la Convenzione di Londra riconosceva anche che restavano da pagare le riparazioni di guerra relative alla Seconda Guerra Mondiale, riparazioni che avrebbero dovuto essere regolate con il trattato finale di pace, che non fu firmato a causa della divisione della Germania perdurata fino al 1990. La riunificazione delle due Germanie creò le condizioni giuridiche e politiche necessarie per la risoluzione del problema, ma da allora in poi i governi tedeschi hanno optato per il silenzio, per i sotterfugi giuridici, per procrastinare e ritardare. E io mi chiedo: questo comportamento è morale? Ho parlato di sotterfugi giuridici e, trattandosi di un punto particolarmente importante, vorrei spiegare chiaramente cosa intendo affinché non ci sia alcun equivoco.Quando la Germania accetta di prendere posizione a proposito del suo debito verso la Grecia a seguito della Seconda Guerra Mondiale, evoca il nostro accordo bilaterale del 1960. Allora la Germania, di propria iniziativa, versò 115 milioni di marchi a titolo di riparazioni, mentre il Regno di Grecia riconobbe di non avere più ulteriori recriminazioni. Tuttavia quell’accordo non concerneva le riparazioni dovute per i danni subiti dal paese, ma riguardava solo i danni patiti dalle vittime del nazismo in Grecia. E, beninteso, non riguardava affatto il prestito forzoso imposto dagli occupanti né le riparazioni e i danni per i crimini di guerra, con la distruzione quasi totale delle infrastrutture del paese e della sua economia durante la guerra e l’occupazione. Lo so bene, tutto ciò è allo stesso tempo estremamente tecnico e particolarmente sensibile, e probabilmente non è qui né la sede né il momento per parlarne. Non sarò io, ma gli specialisti, i giuristi e gli storici, che daranno le necessarie delucidazioni e tratteranno la questione sul piano tecnico.Per parte mia voglio assicurare, tanto il popolo greco quanto il popolo tedesco, che affronteremo la questione con sensibilità, con senso di responsabilità e sincerità, e con la volontà di dialogo e intesa. Ma ci aspettiamo che il governo tedesco faccia altrettanto. Per ragioni che sono politiche, storiche, simboliche, ma anche morali. Di fronte ai discorsi moralizzanti che da qualche anno hanno dominato il dibattito in Europa, noi non scegliamo né il ruolo dello scolaretto che abbassa lo sguardo di fronte alle ingiunzioni morali che arrivano dall’alto, né rivendichiamo il ruolo del maestro di morale, che leva il proprio dito di fronte al presunto peccatore, ingiungendogli di pagare per i propri peccati. Al contrario, noi scegliamo la via del negoziato e del dialogo, dell’intesa comune e della giustizia. Non si tratta di teodicea, ma d’altra parte non rinunciamo alle nostre imprescrivibili pretese. Non ci interessa dare lezioni di morale, ma d’altra parte non le accetteremo più. Perché, come voi ben sapete, negli ultimi tempi, e a sentire le numerose dichiarazioni provocatorie che arrivano dall’estero, mi viene in mente il celebre passo del Sermone della montagna di Gesù: “Vedono la pagliuzza nell’occhio del loro fratello, ma non vedono la trave nei loro occhi”.Concludendo questo breve intervento, vorrei assicurare che il governo greco opererà senza soste affinché, su di un piano di uguaglianza e attraverso il dialogo, nel quadro di un sincero negoziato, si possa trovare una soluzione ai complessi problemi ai quali l’Europa è messa di fronte. Lavorerà affinché i suoi patti e obblighi siano rispettati nella loro integralità. Ma allo stesso tempo lavorerà affinché siano rispettate tutte le obbligazioni che non sono state assolte nei confronti della Grecia e del popolo greco. E, così come noi ci impegniamo a rispettare i nostri obblighi, tutte le parti devono fare altrettanto. Perché la moralità non può essere “a discrezione”. E non può dipendere dalle circostanze. Il nuovo governo greco sosterrà concretamente e con tutte le proprie forze l’iniziativa di ricostruzione e di miglioramento proposta dalla Commissione per la rivendicazione dei debiti tedeschi verso la Grecia. Noi la sosterremo concretamente e in maniera essenziale e giuridica, affinché gli sforzi fatti dalla Commissione siano fruttuosi. E portino un risultato importante nel quadro del suo mandato. Che portino una soluzione. Che giustizia sia fatta a questo debito morale ma anche materiale, non nei confronti del popolo greco ma nei confronti di tutti i popoli d’Europa che hanno lottato, hanno versato il loro sangue e hanno vinto il nazismo. Ne va del nostro dovere verso la storia. Ne val del nostro dovere verso le vittime della Seconda Guerra Mondiale. Ne va del nostro dovere verso l’Europa e i suoi popoli che hanno il diritto alla memoria e ad un avvenire libero da ogni totalitarismo.(Alexis Tsipras, discorso pronunciato il 10 marzo 2015 alla commissione sulle riparazioni di guerra del Parlamento Europeo, ripreso da “Come Don Chisciotte”. L’indomani, la Germania ha nuovamente rigettato le richieste greche. Così, Atene ha annunciato di non escludere un ricorso alla giustizia e alla confisca del patrimonio che lo Stato tedesco detiene sul suo territorio).Oggi prendo la parola in questa riunione storica per ragioni che non sono solo simboliche ma anche sostanziali. In primo luogo, vorrei rendere omaggio alle vittime della Seconda Guerra Mondiale. Ma vorrei anche rendere omaggio a tutti i combattenti e alle combattenti del mondo intero che hanno dato la loro vita per la libertà della loro patria, che hanno dato la vita per la sconfitta del nazismo, che aveva gettato la sua ombra mortifera sui popoli del mondo. Prendo anche la parola per rendere omaggio ai combattenti della resistenza greca, che hanno dato la loro vita affinché il nostro paese fosse liberato dalla barbarie dell’occupazione nazista. Affinché noi avessimo, oggi, una patria libera e sovrana. Alcune persone ci chiedono: “Perché vi occupate del passato? Occupatevi del futuro!”. Ma quale paese può mai avere futuro senza rendere omaggio alla propria storia e alle proprie lotte? Quale popolo può andare avanti cancellando la memoria collettiva, lasciando le proprie lotte e i propri sacrifici senza un giudizio storico? D’altra parte, il tempo trascorso da quei fatti non è così lungo.