Archivio del Tag ‘sovranismo’
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Moiso: spiegate a Salvini che gli inglesi perderanno la sanità
Spiegate a Salvini che non c’è niente da festeggiare, a Londra: gli inglesi perderanno il loro welfare e tra dopo dovranno pagarla a caro prezzo, la sanità che Boris Johnson privatizzerà. Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt: che stupidaggine, pensare che la Brexit sia una rivolta popolare contro “l’Europa matrigna”. Secondo Moiso, gli inglesi cadranno dalla padella alla brace: dopo i diktat di Bruxelles, quelli – ancora peggiori, se possibile – dell’ultraliberismo, di cui proprio Johnson è il massimo campione britannico. Non ci credete? Male, perché è proprio lo scalpo della sanità pubblica che il simpatico Boris ha offerto, agli sponsor di Trump, da mettere sul piatto del prossimo patto commerciale anglo-americano per bilanciare l’uscita di Londra dal mercato comune europeo. Tradotto: le cure che oggi sono gratuite, domani costeranno un sacco di soldi, come negli Usa. Assicurazioni sanitarie: un business clamoroso. «La Brexit non è mai stata nient’altro che questo: un assalto del neoliberismo al welfare britannico, che è ricco e fa gola al business privato», dice Moiso. «E mi meraviglio che Salvini non se ne sia accorto: scrive “go, Boris”, sul Twitter, e non sa che a farne le spese saranno gli inglesi, a cominciare dai meno abbienti».Di professione pubblicitario, con un’azienda insediata proprio a Londra, Moiso prende le distanze dal leader della Lega: con la sua opposizione al Mes – dichiara, in un video-intervento su YouTube – Salvini ci aveva illuso di aver capito la lezione. E cioè: non può essere la tecnocrazia (che risponde ai mercati, non agli Stati e quindi agli elettori) a decidere l’assetto finanziario dei nostri paesi. «In quel modo finisce la democrazia e vince esattamente la post-democrazia instaurata dal neoliberismo». Brutta bestia: «Il pensiero neoliberale pretende di escludere e squalificare qualsiasi ideologia, spacciandosi per semplice teoria economica. Ma non è vero, perché il neoliberismo ha una natura squisitamente ideologica: è infatti l’unica ideologia rimasta al potere, e i suoi risultati disastrosi si vediamo ogni giorno. Il neoliberismo è la guerra dei pochi contro i molti». Non l’ha ancora capito, Salvini? Strano: i suoi economisti keynesiani (da Alberto Bagnai ad Antonio Maria Rinaldi) avrebbero dovuto spiegarglielo. Salvini esulta perché le elezioni inglesi le ha vinte Johnson, cioè “la destra”? «Ma questa è una regressione “tribale” della politica, di stampo calcistico: la verità è che nel Regno Unito ha perso il popolo, e presto se ne accorgerà».Per contro, va detto che – nel votare la Brexit – gli inglesi hanno manifestato una ferma volontà democratica: impossibile farsi “sgovernare” dai tecnocrati di Bruxelles, la cricca franco-tedesca che ha messo nei guai l’Italia e ridotto alla fame la Grecia. Tutto nacque dalla sfida perduta da Cameron: un referendum, per ottenere un mandato preciso. Ovvero: rinegoziare con Bruxelles le regole dell’Ue, per una governance meno autolesionistica. Contro le previsioni dell’allora premier, tre anni fa gli inglesi votarono invece per abbandonare l’Unione. E l’interregno di Theresa May è servito solo a esasperare gli animi. Johnson ha avuto buon gioco nel presentarsi come paladino del popolo e notaio dell’esito del referendum. Votandolo, gli inglesi hanno creduto di ribadire il “no all’Europa” del 2016. Il suo fragile avversario, Corbyn, non poteva seguire Johnson su quel terreno: 7 elettori laburisti su 10 erano contrari alla Brexit. E le ardite nazionalizzazioni promesse dal capo del Labour non sarebbero mai state convalidate da questa Ue. La scommessa, infatti, era: cambiare Bruxelles. Speranza sonoramente battuta, come già con Cameron. Con una differenza: ora, la Gran Bretagna si sgancerà davvero, da Bruxelles. E gli inglesi – secondo Moiso – constateranno, fuori tempo massimo, il clamoroso errore commesso nel votare Johnson.La posizione del Movimento Roosevelt sull’Europa è nota: sarebbe un suicidio rifugiarsi entro le piccole frontiere del sovranismo, avendo di fronte lo smisurato potere della finanza globalista, immensamente più forte dei singoli Stati. Di qui l’idea dell’Ue (non questa, ma i veri Stati Uniti d’Europa) come baluardo sociale e democratico contro lo strapotere del business privatizzatore. I precedenti non sono comunque lusinghieri: “L’Altra Europa” promessa da Tsipras s’è visto com’è finita, soprattutto per i greci. Dall’Europa attuale – Fiscal Compact, pareggio di bilancio, Mes, Eurozona senza eurobond, Commissione Ue non-eletta – gli inglesi scappano a gambe levate. Scopriranno che Boris Johnson si appresta a tradirli? Moiso ne è certo: «E’ palese, da parte dei conservatori, l’intenzione di privatizzare innanzitutto la sanità». Con i laburisti, il fronte democratico che sogna un’Europa diversa perde un alleato strategico. Restano i capetti come Macron, coi loro maggiordomi italiani (Conte, Gualteri, Gentiloni). Senza più gli inglesi, siamo comunque più deboli. Non lo capisce, Salvini? O davvero gli sta bene “Boris”, che svenderà il patrimonio sociale della nazione?Spiegate a Salvini che non c’è niente da festeggiare, a Londra: gli inglesi perderanno il loro welfare e tra poco dovranno pagarla a caro prezzo, la sanità che Boris Johnson privatizzerà. Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt: che stupidaggine, pensare che la Brexit sia una rivolta popolare contro “l’Europa matrigna”. Secondo Moiso, gli inglesi cadranno dalla padella alla brace: dopo i diktat di Bruxelles, quelli – ancora peggiori, se possibile – dell’ultraliberismo, di cui proprio Johnson è il massimo campione britannico. Non ci credete? Male, perché è proprio lo scalpo della sanità pubblica che il simpatico Boris ha offerto, agli sponsor di Trump, da mettere sul piatto del prossimo patto commerciale anglo-americano per bilanciare l’uscita di Londra dal mercato comune europeo. Tradotto: le cure che oggi sono gratuite, domani costeranno un sacco di soldi, come negli Usa. Assicurazioni sanitarie: un business clamoroso. «La Brexit non è mai stata nient’altro che questo: un assalto del neoliberismo al welfare britannico, che è ricco e fa gola al business privato», dice Moiso. «E mi meraviglio che Salvini non se ne sia accorto: scrive “go, Boris”, sul Twitter, e non sa che a farne le spese saranno gli inglesi, a cominciare dai meno abbienti».
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Brexit straccia Corbyn, i poveri premiano il falso amico Boris
«I segnali di una sconfitta c’erano tutti, nonostante le illusioni dettate dalle piazze piene e dalle lunghe file di giovani ai seggi». Un analista come Nicola Melloni commenta così il trionfo annunciato di Boris Johnson nel Regno Unito: il consenso si sposta su posizioni estreme, e le classi sociali ignorate per decenni si sono sentite defraudate del referendum sulla Brexit. «Il fronte Brexit si è compattato intorno ai Conservatori (con l’aiuto decisivo del Brexit Party che ha eroso consensi ai Laburisti nel Nord); quello Remain si è affidato principalmente, ma non unicamente, al Labour). Corbyn? «Si è trovato in una situazione impossibile: sostenere un secondo referendum è costato una quarantina di seggi al Nord». Se non lo avesse fatto, «avrebbe dato il via libera ai Libdem come unico partito del Remain: senza poi tenere in considerazione che quasi il 70% dell’elettorato laburista è contrario alla Brexit». Quanto ai Libdem, «rappresentano interessi economici e politici ben definiti e una borghesia liberale spesso assolutamente indisponibile a votare Labour». Insomma, «qualsiasi scelta sarebbe stata perdente», come in effetti si è visto. E ora, la Gran Bretagna staccherà la spina da Bruxelles in modo drastico.«Corbyn ha provato a trasformare il “secondo referendum” sulla Brexit in una elezione normale in cui si parlasse di un programma vastamente apprezzato», per metter fine «a un drammatico decennio di governo conservatore», scrive Melloni su “Jacobin Italia”. «Non c’è riuscito, le carte le hanno date gli altri e il risultato è stato una sconfitta di proporzioni storiche». In molti, aggiunge l’analista, si domandano come sia possibile che le zone più povere del paese abbiano votato per un partito che le ha affamate e per un leader che considera la working class con disprezzo. «Il populismo attuale – spiega Melloni – non è altro che il frutto di una progressiva de-istituzionalizzazione della politica, iniziata con la stagione neoliberista». In questi decenni, «i partiti di cosiddetta sinistra hanno perso qualsiasi capacità tanto rappresentativa che di mobilitazione». Il “red wall” elettorale, dunque, «esisteva più come concetto geografico che politico – un po’ come le regioni rosse in Italia». Corbyn proponeva un programma che parlava soprattutto a quelle regioni, ma non è bastato. «Per gente e classi sociali che sono state ignorate per decenni, veder messo in discussione un voto inequivocabile come quello del referendum è stato uno schiaffo inaccettabile, l’ennesima controprova di come Westminster sia un mondo a parte rispetto ai bisogni del Nord».Johnson ha giocato proprio su questo: «Ha offerto il suo corpaccione come scudo contro il Parlamento, l’establishment, e in difesa del voto popolare», scrive Melloni. «Ha imposto la sua narrativa – d’altronde in Uk per tre anni si è parlato solo di Brexit – e ha vinto». Così, la capacità di attrazione «su una fetta di società frustrata e che si sentiva defraudata del suo potere decisionale», alla fine è risultata «molto più forte di quella nel fronte Remain (diviso e non altrettanto agguerrito)». A questo, aggiunge Melloni, si è aggiunta una campagna senza quartiere scatenata – quella sì dal vero establishment – contro Corbyn. Un uomo di specchiata onestà e rigore morale e politico «è stato dipinto come un antisemita razzista, mentre il razzismo conclamato di Johnson è stato completamente ignorato». La stessa Bbc «si è trasformata in una succursale di Rete4, con violazioni della legge elettorale, conduttori in veste di agit-prop e un coverage basato su falsità e parzialità». Il che non spiega la sconfitta, «ma spiega la bassissima popolarità di Corbyn a dispetto di un programma largamente apprezzato».Da questo, secondo Melloni, discendono inevitabilmente delle importanti lezioni per la sinistra tutta. «Da oggi, ovviamente, vorranno farvi credere che la sinistra radicale sia un inutile rottame della storia destinato inevitabilmente alla sconfitta. E che solo un programma che guarda al centro può fermare le destre». Ma questa «è una sciocchezza opportunista», protesta Melloni. «I risultati britannici dicono tutt’altro: al crollo dei laburisti è corrisposta una performance penosa dei liberaldemocratici, la cui leader non è stata neppure eletta». Non solo: «Nonostante tutta la stampa moderata dipingesse Corbyn come un novello Attila, i Libdem sono riusciti a intercettare solo una piccola percentuale dei voti laburisti in uscita». Di fatto, «non c’è nessuna voglia di centro o di ritorno al New Labour». I voti persi «sono andati tanto a destra più che al centro». E se Boris Johnson «è solo l’ennesimo estremista di destra eletto», il messaggio forte e chiaro è che «le partite non si giocano più al centro, ma sulle estreme: l’elettore mediano potrà forse ancora essere un “moderato”, ma lo schiacciamento della distribuzione porta a maggioranze radicali ed estreme, prendendo il voto degli sconfitti della globalizzazione neoliberale».La seconda lezione inglese, sempre secondo Melloni, è che non bastano programmi e candidati radicali: «Come si è visto, il programma economico e sociale più di sinistra in trent’anni non solo non è bastato ma ha perso le regioni più povere della Gran Bretagna». Da storico, Melloni cita Gramsci: il lavoro quotidiano nella società, la creazione di una “coscienza di classe”. Problema: «L’agenda è strettamente controllata dalla destra, così come i media. Ed è chiarissimo che il cosiddetto centro moderato preferisce la destra peggiore a un’alternativa di sinistra». In Italia, il “Corriere della Sera” ha rivaluto «quel simpatico mattacchione di Boris in funzione anti-socialista». E la campagna denigratoria riservata a Corbyn «sarà replicata contro qualsiasi altro candidato». Per contro, secondo Melloni, qualche segnale postivo viene dagli Usa, grazie all’attivismo di Bernie Sanders: «Le ondate di scioperi di questi anni hanno cominciato a costruire tanto una coscienza che una comunità politica di riferimento. E la sinistra è riuscita in parte a imporre una propria narrazione, dalla diseguaglianza alla critica di Wall Street fino alla sanità pubblica».Nel Regno Unito, invece, il Labour non è riuscito a fare nulla del genere: «I sindacati sono smobilitati da tre decenni, e lo slogan principale della campagna elettorale è stato la difesa della Nhs (il sistema sanitario nazionale) che, per quanto sacrosanta, è alla fine una difesa dello status quo, obiettivamente più debole della promessa di un grande cambio e del “take back control” della Brexit». Se non altro, dice Melloni, l’esperienza di Corbyn ha mostrato anche lati positivi: “Momentum”, con la sua struttura organizzativa, «ha dimostrato un’inaspettata capacità di mobilitazione, in netta controtendenza con la de-istituzionalizzazione della post-democracy». E lo stesso Corbyn ha riempito piazze, cercando di riannodare un filo con la nuova base del partito: studenti, lavoratori delle grandi città, ceto medio proletarizzato e frustrato. E’ un fatto: nonostante la batosta, il Labour rimane di gran lunga il partito di sinistra più votato in Occidente. Una rinascita della sinistra richiede trent’anni, secondo Melloni: bisogna prima «imporre una narrazione diversa», e quindi «resistere a un sistema di potere che non accetterà mai di giocare una partita regolare: hanno troppo da perdere per permetterlo». Dunque Corbyn ha stra-perso, «ma qualche cosa da insegnare ce l’ha ancora».«I segnali di una sconfitta c’erano tutti, nonostante le illusioni dettate dalle piazze piene e dalle lunghe file di giovani ai seggi». Un analista come Nicola Melloni commenta così il trionfo annunciato di Boris Johnson nel Regno Unito: il consenso si sposta su posizioni estreme, e le classi sociali ignorate per decenni si sono sentite defraudate del referendum sulla Brexit. «Il fronte Brexit si è compattato intorno ai Conservatori (con l’aiuto decisivo del Brexit Party che ha eroso consensi ai Laburisti nel Nord); quello Remain si è affidato principalmente, ma non unicamente, al Labour). Corbyn? «Si è trovato in una situazione impossibile: sostenere un secondo referendum è costato una quarantina di seggi al Nord». Se non lo avesse fatto, «avrebbe dato il via libera ai Libdem come unico partito del Remain: senza poi tenere in considerazione che quasi il 70% dell’elettorato laburista è contrario alla Brexit». Quanto ai Libdem, «rappresentano interessi economici e politici ben definiti e una borghesia liberale spesso assolutamente indisponibile a votare Labour». Insomma, «qualsiasi scelta sarebbe stata perdente», come in effetti si è visto. E ora, la Gran Bretagna staccherà la spina da Bruxelles in modo drastico.
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Buoni, purché innocui e un po’ tonti (come l’elettore del Pd)
Negli ultimi giorni mi sono chiesto come avesse fatto il movimento delle Sardine a raggiungere un così grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni di operai, cassintegrati, disoccupati che al massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico. Ora il successo delle Sardine è certamente dovuto al forte sostegno di giornali e Tv. L’establishment neoliberale è chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti, Mario Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro. Conta inoltre l’assenza di contenuti. Le manifestazioni delle Sardine sono un po’ come le canzoni di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”? Chi non ha mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli amici? Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza della vita?Allo stesso modo, chi non è “antifascista” a sinistra? Chi se la sente di opporsi a questo movimento di “giovani”? E in definitiva, chi vuole giocare la parte del cattivone sovranista, qualsiasi cosa voglia dire questa parola? La sardina è insomma un significante vuoto, che applicato al campo della sinistra può essere all’occorrenza riempito di senso in modi diversi, disimpegnati e soggettivi. Essere sardina dunque è facile, non è faticoso. Illude il singolo di poter vedere riflesso nello spazio pubblico la propria idea della politica. C’è però dell’altro, nel segreto del successo delle Sardine. E riguarda la faccia del loro leader dal viso pulito, scanzonato, belloccio, “giovane”, serio, ma soprattutto intellettualmente limitato. Qualche giorno fa rileggevo per lavoro le stranote “Postille al Nome della Rosa” in cui Umberto Eco si interroga sul successo del suo primo romanzo. Secondo Eco, Il nome della rosa ha raggiunto un così largo numero di lettori grazie alla voce narrante, cioè da Adso. Come spiega lo stesso autore, Adso non è intelligente, non capisce tutto quello che gli accade intorno, non gli sono chiare le discussioni teologiche né i ragionamenti del suo maestro Guglielmo da Baskerville.Allo stesso modo Mattia Santori non capisce la politica, per sua stessa ammissione ne sa poco. Simpatizzava per Renzi, ma poi dopo averlo visto in pubblico si è accorto che non era empatico e ha cambiato opinione su di lui. Proprio così: non il Jobs Act, non la Buona Scuola, non l’aberrante riforma costituzionale; Santori ha cambiato idea perché Renzi non è empatico. Santori riscatta l’uomo di sinistra medio, gli fa pesare meno la sua decadenza, il suo profondo conformismo, la sua pigrizia e in fondo la paura di perdere alcune certezze. E del resto il livello di comprensione della politica, come per molti elettori del Pd e dei suoi partiti limitrofi è puramente emotivo e si manifesta per semplici schematismi vagamente identitari. I contenuti veri e propri non contano: il Mes? Santori non ne sa nulla, “se ne occupino i competenti”. Quello che conta è stare dalla parte dei buoni, senza però tante costrizioni, senza conflitti, senza obblighi troppo stringenti. E soprattutto senza accanto un Guglielmo da Baskerville rompiballe che magari mette in discussione le false certezze dell’elettore medio del Pd.(Paolo Desogus, “Il successo dei buoni”, dalla pagina Facebook di Desogus del 9 dicembre 2019; riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”).Negli ultimi giorni mi sono chiesto come avesse fatto il movimento delle Sardine a raggiungere un così grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni di operai, cassintegrati, disoccupati che al massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico. Ora il successo delle Sardine è certamente dovuto al forte sostegno di giornali e Tv. L’establishment neoliberale è chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti, Mario Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro. Conta inoltre l’assenza di contenuti. Le manifestazioni delle Sardine sono un po’ come le canzoni di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”? Chi non ha mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli amici? Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza della vita?
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Le finte rivoluzioni del 2019: la previsione di Carotenuto
«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete”, esattamente un anno fa. «Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».Bravi idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.
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Sicuri che Salvini al governo riuscirebbe a bocciare il Mes?
«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità”, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.C’era da «mandare avanti qualcuno» al posto dell’impresentabile Pd: «Le sardine in piazza, i grillini in Parlamento e l’avvocato di tutte le cause al governo», osserva Veneziani. Il Pd? «Deve stare dietro e avvalersi di funzionari testati e garantiti dall’Europa, tipo Gualteri, tipo Gentiloni, tipo Enrico Letta. O la new entry, il passpartout Conte Fregoli, pronto a tutto pur di restare sul palcoscenico a recitare la parte del premier». Spettacolo ormai sotto gli occhi di tutti: «Con linguaggio orwelliano lo chiamano il SalvaStati, ma la sua traduzione reale è AmmazzaStati, insieme alle rispettive sovranità e agli interessi generali». Però, aggiunge Veneziani, «la porcata sul Mes scontenta e tradisce troppa Italia, e le coperture politiche – da quella renziana a quella dimaionese – tremano paurosamente e rischiano da un momento all’altro di crollare». E’ un fatto: «Mai, la base elettorale e militante grillina, espressa da Alessandro Di Battista, avrebbe accettato di essere usata come copertura per il peggior asservimento all’Europa». La speranza del Pd è che prevalga la paura di perdere la poltrona: che fine farebbero, i parlamentari grillini, se si tornasse a votare? E questo è davvero l’unico appiglio, per il Pd e «il consulente premier ingaggiato».Probabilmente, continua Veneziani, un simile calcolo personale spinge Grillo «a insistere sul governo in corso e a tacere su questa svendita nazionale», temendo il supremo potere di ricatto dell’establishment eurocratico. Più facile il compito dell’opposizione, che spara a zero sul Mes. Ma se domani il centrodestra salviniano e meloniano fosse al governo? Troverebbe «gli stessi poteri e i veti, gli ostacoli, le minacce, le tante forme ricattatorie di pressione e di ritorsione». Inevitabili compromessi? Salvini ce l’avrà, «la forza per dire un secco “no, non se ne parla”, e sarà convincente nel far capire che se per noi è un guaio mettersi di traverso ai dettami degli eurocrati, pure per la Ue e il suo sistema finanziario è un guaio dichiarare guerra a un socio fondatore come l’Italia?». E quindi, «riuscirà almeno a rinegoziare radicalmente il Mes e cambiargli prospettiva?». Nel caso, «troverà partner europei nella scelta sovranista e indipendentista?». Oppure: «Troverà sponde fuori dall’Unione Europea per bilanciare eventuali strappi e ultimatum? E quanti ostacoli troverà in Italia, tra magistratura, stampa e poteri istituzionali pronti a remare contro, gufare anti, colpire il sovranismo magari accusandolo pure di fare interessi stranieri?».Osserva Veneziani: è dura, «dover governare e dover fare i conti con le aspettative della gente che ti ha votato e le ingiunzioni del potere che ti vorrebbe far cadere appena possibile». Sulla scena dominano «forti giocatori politici e internazionali». E noi, allora, «saremo in grado poi di fronteggiare i potenti con armi e leadership adeguate?». Sono domande preliminari che vanno affrontate, conclude Veneziani, se si vuole andare oltre l’incasso immediato e vincente della giusta protesta. «Stavolta non basterà ripetere “noi twitteremo diritto”, remake social del “noi tireremo diritto”». Un consiglio e Salvini e Meloni: «Siate più prudenti nel dire e più conseguenti nel fare. La vostra forza principale è essere dalla parte della realtà, con i piedi per terra, convinti che la vita reale dei popoli vale più degli assetti contabili». E dunque, «siate realisti anche in questa partita difficile, pensateci già da ora. Prima o poi arriveremo alla fine del Mes».«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità“, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.
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Minuscole Sardine, a quando la politica con la P maiuscola?
La politica con la P maiuscola è quella che rivendica il suo primato sull’economia. E non vedo niente di concreto, in questo senso, nel “manifesto” delle Sardine e in quello che dicono. Attaccano il sovranismo, il quale a sua volta interpreta a modo suo il concetto di sovranità. Non è affatto sbagliato, il principio di sovranità: e se la sovranità non appartiene al popolo, chi sarà sovrano al posto del popolo? L’economia, ovvio. E perché le Sardine non lo rimarcano? Loro si intestano la lotta antifascista dei partigiani: grazie ai nostri padri e nonni, dicono ai populisti, avete il diritto di parola (ma non quello di essere ascoltati, aggiungono). Oggi, quando Tremonti parla di fascismo bianco del mondo finanziario a guida tedesca, alle Sardine non viene in mente che ci possa essere un altro punto di vista, diverso dal loro e altrettanto legittimo? E il filone partigiano sarebbe una tradizione unilaterale, esclusivamente appannaggio di una sola parte? Non è così, ragazzi. C’è chi, proprio in quanto ex partigiano, nel vedere una dominazione sovranazionale espressa dal governo tedesco magari si spaventa, ricollegandosi a una memoria dolorosa.«Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta», scrivono le Sardine, sfidando sovranisti e populisti. Benissimo, l’attivismo è sempre positivo. Ma alle Sardine dico: se parlate di “politica con la P maiuscola”, dovete necessariamente criticare le teorie economiche che rivendicano il primato della finanza sulla politica. Va rovesciata, quella relazione: bisogna rivendicare il ruolo di una politica che sovrasti i processi economici. E per rivendicare una politica con la P maiuscola, care Sardine, dovete anche fare delle proposte con la P maiuscola. Va bene soccorrere i migranti, ma perché dire che “aiutare a casa loro” il miliardo e mezzo di africani sarebbe un’idea razzista? Parliamo di soluzioni vere, con la P maiuscola, se davvero vi preme l’empatia tra esseri umani. Dite di essere anti-sovranisti: ma non vi viene in mente che la sovranità del popolo è il principio cardine della democrazia? Il “manifesto” delle Sardine sembra una letterina di Natale, senza consapevolezza politica, incastonato in quella narrativa moralista della sedicente sinistra (che non dà risposte ai bisogni delle persone).Come si può volere una politica con la P maiuscola essendo però anti-sovranisti? La sovranità popolare, ripeto, è il fondamento della democrazia. Poi, certo, c’è chi equipara la sovranità popolare alla sovranità nazionale: problemi suoi, ormai oggi le nazioni non sono più in grado di combattere l’involuzione antidemocratica derivata da processi finanziari ed economici che hanno luogo su scala globale. La sovranità è proprio quello che vivifica la politica con la P maiuscola di cui parlate, care Sardine. Nel vostro “manifesto” non c’è una sola proposta, chiara e netta. Ve ne suggerisco alcune io, se vogliamo parlare di politica con la P maiuscola. La vogliamo democratizzare, questa Unione Europea? La eliminiamo, la Commissione di “nominati”, che subisce l’influenza della finanza trasformando l’Ue in una Disunione Europea? Diamo il potere legislativo al Parlamento Europeo, e decidiamo che il presidente del Parlamento sia eletto dal popolo, eliminando i giochi di partiti e interessi. E decidiamo per esempio di legare la Bce a un potere politico. Chiediamo di cambiare il mandato della Bce, aggiungendo l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione (la Fed, ad esempio, lo fa).E poi: decidiamo di creare un Glass-Steagall Act per l’Europa, separiamo le banche speculative dal credito ordinario all’economia. E decidiamo di creare gli eurobond, in modo da condividere con tutti i nostri concittadini europei le sorti del continente. Chi critica questa Europa non lo fa perché razzista o ignorante. Lo fa perché questa Disunione Europea ha tradito il ruolo che doveva avere nella storia. Avrebbe dovuto rappresentare il luogo in cui riuscire a coniugare le libertà individuali, compresa la libertà d’impresa e di profitto, con la responsabilità sociale. E invece l’Europa è diventata il luogo nel quale la finanza ha il primato sull’economia, nel quale la politica si piega alla finanza, e in cui il popolo deve lavorare per inseguire indicatori economici che nulla hanno a che vedere con il benessere della collettività. A essere anti-europeista, oggi, è proprio chi ha il potere in Europa. L’idea di Europa doveva vivificare principi totalmente diversi da quelli che oggi vediamo dettare legge, all’interno di queste istituzioni antidemocratiche, tecnocratiche, economicistiche. Non sono istituzioni che rappresentino la volontà popolare e gli interessi dei popoli.Vogliamo una politica con la P maiuscola? E allora cominciamo a consisderare come l’Europa possa essere il volano per imporre un nuovo paradigma economico. Perché di questo si tratta. Io sento molti sovranisti che rivendicano la sovranità (invece che del popolo) della nazione. Ma ai neoliberisti come Hayek non interessa che i mercati sovrastino la sovranità nazionale, a loro preme che i mercati siano al di sopra della sovranità popolare. Quello che preme ai neoliberisti è proprio questo: non si deve raggiungere una sovranità popolare sopra-statuale, per esempio a livello di comunità europea. Per loro, politicizzare la comunità europea sarebbe un ostacolo alla libertà dei mercati: si creerebbe un nuovo contenitore politico democratico, all’interno del quale le persone diverrebbero una vera comunità, consapevole di avere interessi comuni. Lo dico ai sovranisti, che si illudono: se si torna alla dimensione nazionale, si fa proprio il gioco dei teorici del neoliberismo.Quanto alle Sardine, le critico con affetto: felice di vedere all’opera un movimento studentesco. Non importa che sia schierato col Pd, il partito che (insieme a Italia Viva e +Europa) incarna in Italia l’ultra-conservatorismo economico. Mi aspetto però che le Sardine comincino a rivendicarla per davvero, la politica con la P maiuscola. Ci pensate voi, Sardine, a spiegare a quei partiti perché è sbagliato che la politica sia subordinata alla finanza? Vi metterete finalmente a studiare Hayek e Friedman? Andrete a leggere Van Parijs? Sarete voi a spiegare al Pd perché quel modello di sinistra, che si ammanta di superiorità morale, in realtà non è capace di incidere sulla società? Invece di limitarvi a criticare il discutibilissimo Salvini, care Sardine, se volete vivificare i principi che dite di avere cari, vi consiglio di uscire dalla semplice narrativa dei buoni e dei cattivi. Non bastano, le buone intenzioni. Bisogna capire qual è la relazione diretta tra democrazia sostanziale ed economia.(Marco Moiso, dichiarazioni rilasciate nel video “Una valutazione equanime del fenomeno Sardine, tra pregi e difetti”, registrato su YouTube il 2 dicembre 2019. Moiso è vicepresidente del Movimento Roosevelt, espressione del progressismo socio-economico e culturale di matrice keynesiana, fondato sull’equilibrio democratico avanzato tra diritti civili e diritti sociali).La politica con la P maiuscola è quella che rivendica il suo primato sull’economia. E non vedo niente di concreto, in questo senso, nel “manifesto” delle Sardine e in quello che dicono. Attaccano il sovranismo, il quale a sua volta interpreta a modo suo il concetto di sovranità. Non è affatto sbagliato, il principio di sovranità: e se la sovranità non appartiene al popolo, chi sarà sovrano al posto del popolo? L’economia, ovvio. E perché le Sardine non lo rimarcano? Loro si intestano la lotta antifascista dei partigiani: grazie ai nostri padri e nonni, dicono ai populisti, avete il diritto di parola (ma non quello di essere ascoltati, aggiungono). Oggi, quando Tremonti parla di fascismo bianco del mondo finanziario a guida tedesca, alle Sardine non viene in mente che ci possa essere un altro punto di vista, diverso dal loro e altrettanto legittimo? E il filone partigiano sarebbe una tradizione unilaterale, esclusivamente appannaggio di una sola parte? Non è così, ragazzi. C’è chi, proprio in quanto ex partigiano, nel vedere una dominazione sovranazionale espressa dal governo tedesco magari si spaventa, ricollegandosi a una memoria dolorosa.
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Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
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Ti addormenti Sardina e ti risvegli Fornero: è già successo
Ti addormenti Sardina, e ti risvegli Fornero. Succede, è già successo. Lo afferma “Contropiano”, che si definisce “giornale comunista online”. In un editoriale di Sergio Cararo, sviluppa la seguente tesi: se riempi le piazze ma non il cervello (politico), il solito potere si approfitterà di te, anche sei meno ingenuo di quanto sembri e forse riuscirai a cogliere l’obiettivo immediato a portata di mano, cioè dare fastidio a Salvini. Prima domanda: la paura immobilizza o mobilita? Indubbiamente, scrive Cararo, le piazze riempite dalle Sardine «nascono dalla paura che la Lega vinca o stravinca anche in regioni e città dove la destra non aveva mai governato, e che usi queste vittorie elettorali come una clava per insediarsi stabilmente alla guida del governo nazionale». E’ una paura palpabile, «in qualche misura anche superiore agli psicodrammi vissuti quando le elezioni le vinceva Berlusconi». Anche in quel caso, ricorda Cararo, la risposta fu affidata a movimenti simili, i cosiddetti Girotondi. «Ovvio, ma non inutile, rammentare che quei movimenti di resistenza civile hanno poi prodotto “mostri” come i governi di centro-sinistra o, peggio ancora, il governo di Monti e Fornero».In buona sostanza, continua “Contropiano”, «si opponevano al “buio” producendo però il tramonto delle conquiste e dei diritti sociali, in nome della “modernizzazione”, dei conti in ordine nella trimestrale di cassa o del “ce lo chiede l’Europa”». Ricordate, Sardine? Ora, a quanto pare, ci risiamo.Seconda domanda: quale natura, obiettivi e “testa” hanno le mobilitazioni che in questi anni riempiono le piazze? Si tratta dei giovani studenti di Friday For Future, delle donne di Non Una di Meno ed ora delle Sardine. C’è altro? «Al momento non si vede», osserva Carario, se non – con numeri assai inferiori – su questioni serie ma acquisite da settori ancora minoritari: la lotta contro i decreti sicurezza e la solidarietà con i curdi, «mentre latita quella verso i palestinesi o con i popoli in rivolta in America Latina». Premessa: i movimenti ecologisti, femministi, pacifisti e antirazzisti non hanno mai immaginato di uscire dal capitalismo. Per dirla con “Contropiano”: spesso sono «movimenti mobilitati su questioni vere, ma che in qualche misura “devono” tenere alla larga la contraddizione di classe».Questa visione dei movimenti che possono portare al cambiamento, scrive sempre Cararo, nasce negli anni ‘80, quando ancora «c’erano margini di spesa per la redistribuzione e il compromesso sociale europeo». Oggi invece quei margini non esistono più: «Al contrario, c’è una polarizzazione sociale spesso brutale, che ha visto peggiorare le condizioni di vita e le aspettative generali di milioni di persone, anche tra quei ceti medi oggi impoveriti, ma che in passato assicuravano il consenso all’ipotesi social – e liberal – democratica». Inutile aggiungere che «tra i settori popolari il livello di recriminazione, rabbia e frustrazione sociale è ancora più profondo, e molto incattivito, perché il peggioramento è arrivato anche dalle forze che ne avevano a lungo sostenuto gli interessi materiali». Sbagliato liquidare le buone ragioni delle Sardine, solo perché il movimento non denuncia la “contraddizione di classe” che sta facendo esplodere la società. I movimenti odierni «non hanno più a disposizione una sintesi politica», sostiene Cararo, «proprio perché i margini redistributivi e la dimensione democratico-rappresentativa oggi sono scomparsi, o si sono assottigliati in modo impressionante».Si agitano, le Sardine, «senza individuare un disegno complessivo che dia la fisionomia necessaria per diventare soggetto di cambiamento». Secondo “Contropiano”, la loro attuale esperienza sta dentro questa contraddizione. «E’ evidente come al momento la sola sintesi politica sia la paura di Salvini e la discutibilissima “barriera” rappresentata dal Pd. I quattro ideatori delle Sardine nascono nel vivaio piddino, probabilmente quello più estraneo al fetore “renziano”. Ma sono questo, non altro». E dunque, si domanda Cararo: i veri movimenti antagonisti, cioè «i comunisti con o senza icone, gli attivisti sociali e antifascisti più coerenti», come devono agire? Ovvero: «In queste piazze mobilitate dalla paura devono starci dentro o denunciarne le contraddizioni, la pelosità dell’egemonia, la strumentalità elettorale filo Pd?». “Contropiano” diffida dello snobismo anti-Sardine: perché non unirsi a loro, provando a farle diventare una cosa seria? Nella sua acuta analisi, però, Cararo – per ora, almeno – non si sofferma sull’origine delle Sardine. Un anno fa, il 29 dicembre 2018, ancora nel pieno della stagione “populista-sovranista” dominata da Lega e 5 Stelle, Fausto Carotenuto (già analista politico dell’intelligence) lanciò la seguente profezia: «Dai “poteri oscuri”, nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni».Ti addormenti Sardina, e ti risvegli Fornero. Succede, è già successo. Lo afferma “Contropiano“, che si definisce “giornale comunista online”. In un editoriale di Sergio Cararo, sviluppa la seguente tesi: se riempi le piazze ma non il cervello (politico), il solito potere si approfitterà di te, anche se sei meno ingenuo di quanto sembri e forse riuscirai a cogliere l’obiettivo immediato a portata di mano, cioè dare fastidio a Salvini. Prima domanda: la paura immobilizza o mobilita? Indubbiamente, scrive Cararo, le piazze riempite dalle Sardine «nascono dalla paura che la Lega vinca o stravinca anche in regioni e città dove la destra non aveva mai governato, e che usi queste vittorie elettorali come una clava per insediarsi stabilmente alla guida del governo nazionale». E’ una paura palpabile, «in qualche misura anche superiore agli psicodrammi vissuti quando le elezioni le vinceva Berlusconi». Anche in quel caso, ricorda Cararo, la risposta fu affidata a movimenti simili, i cosiddetti Girotondi. «Ovvio, ma non inutile, rammentare che quei movimenti di resistenza civile hanno poi prodotto “mostri” come i governi di centro-sinistra o, peggio ancora, il governo di Monti e Fornero».
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Sapelli: all’Italia servono l’Ilva e una Lega non più anti-Ue
Mai come in questo momento l’Italia ha bisogno della produzione di Taranto. Perché quegli acciai piani sono, qualitativamente, tra i migliori al mondo. Perché, in un paese fatto di piccole e medie imprese, coprono il 70% del fabbisogno nazionale a un prezzo inferiore rispetto all’oligopolio internazionale. E perché servono a costruire i rapporti con la Mesopotamia, ossia la Siria e l’Iraq ma anche la Libia, e per ricucirci un nuovo ruolo in Europa. Il problema più urgente sembra che per Mittal sia il cattivo affare di un’azienda che perde 2 milioni al giorno? E per il governo quello di arrivare a un compromesso (l’entrata di Cdp, l’accettazione di una parte degli esuberi)? Il governo non mi pare che sia all’altezza. Perché non ha le competenze, e perché nel suo stesso interno ha una forte componente antiindustriale, a sua volta divisa in un’ala esoterica dei 5 Stelle, che vede qualunque elemento d’industria come una connotazione del male, e in un’altra, non necessariamente ambientalista ma legata a certa concezione ideologica del capitalismo.Dati i suoi stabilimenti nel resto d’Europa, Mittal si è buttata su Ilva non per salvarla, ma per chiuderla? Finora, questo tipo di strategia, i grandi investitori tendono raramente a perseguirla. In molti casi, come General Electrics e Avio, si sono sempre mantenuti gli impianti produttivi. E, a dirla tutta, nel lungo periodo, non vedo in giro una sovracapacità produttiva dell’acciaio, anzi. E se ne ha bisogno anche per ragioni strategiche industriali verso l’Africa. Ma di cosa ci stupiamo ora, quando a Venezia assistiamo tranquillamente ogni giorno al transito delle grandi navi a due passi da piazza San Marco? È un atteggiamento italiano. Come il fatto che continuiamo a non avere la separazione delle carriere in magistratura, una giustizia che è quello che è, un apparato tecnocratico abnorme. Dovremmo finirla di fare gli ipocriti. Si parla tanto di investimenti in infrastrutture. Ma se si esclude un accenno alla “golden rule” (lo scorporo dal calcolo del deficit, appunto, degli investimenti pubblici), il governo, almeno sulla carta, ci sta mettendo meno di 1 miliardo. Si cresce, così? Paolo Savona, che è un tecnico inoppugnabile, parla di un alto numero di opere pubbliche già cantierizzate. Mi domando, dato che per esse i soldi sono già stati stanziati, perché non vadano avanti.Il ministro dell’economia Gualtieri conta molto sul decreto fiscale, sulle tasse ecologiche e sul fatto che l’Europa ci dia flessibilità per 12-14 miliardi. Troppo timido e ottimista? Gualtieri è persona molto competente, è uno storico che ha scritto una bella tesi sull’Europa e ha la fortuna di non essere un economista con la testa riempita di sciocchezze. Ma rischia di avere una spiccata visione della manovra influenzata da ideologie del passato, diciamo così. Cos’ho pensato quando si è tornato a parlare di Alitalia? Con Alitalia la situazione non è inedita. Eppure si era arrivati, fondamentalmente, ad un ottimo contratto. Ma i sindacati hanno fatto votare anche i non iscritti (ma come si fa?) e quel contratto è stato respinto. A questo punto bisognerebbe aprire un dibattito pubblico su domande fondamentali: interessa davvero conservare l’italianità? O meglio, un rilancio di proprietà straniera in cui solo la sede legale e produttiva rimangano in Italia? E le risposte non sono semplici, specie considerando che siamo il paese in cui l’alta velocità sulla tratta ferroviaria Milano-Roma ha, di fatto, distrutto la tratta aerea; o dove s’ è scelto di usare Malpensa invece di optare per l’aeroporto di Verona. E posso andare avanti…Una notte, nel 2018, mi proposero di fare il presidente del Consiglio. Semplicemente, un amico mi chiese di mettermi a disposizione per Palazzo Chigi. Siccome io sono piemontese, con un alto senso dello Stato, l’ho fatto. La prospettiva di impedire che Di Maio diventasse premier mi avrebbe spinto a fare qualunque cosa. Il governo reggerà fino alla legge di bilancio? Della manovra interessa a pochi. In realtà i partitelli appena nati, ma anche tutti gli altri, stanno aspettando le nomine degli enti pubblici (circa 500) per applicare lo spoil system e “bassaninizzare” la pubblica amministrazione. E la Lega? Penso che Lega abbia degli ottimi amministratori locali e lavori egregiamente sul territorio. Ma la sua vera strategia per fare la differenza è quella di liberarsi dei suoi estremismi e abbracciare l’Europa. Deve parlare con la Merkel e con quelli che lì contano. Io non concepisco l’idea di sovranismo se non nell’ottica filosofica di Jean Bodin («potere assoluto e perpetuo dello Stato» nell’ambito della tolleranza e della libertà religiosa).(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate nell’ambito dell’intervista “La profezia sull’Ilva: salvarla è vitale, ma il governo non è all’altezza”, realizzata da Francesco Specchia per “Libero” il 19 novembre 2019).Mai come in questo momento l’Italia ha bisogno della produzione di Taranto. Perché quegli acciai piani sono, qualitativamente, tra i migliori al mondo. Perché, in un paese fatto di piccole e medie imprese, coprono il 70% del fabbisogno nazionale a un prezzo inferiore rispetto all’oligopolio internazionale. E perché servono a costruire i rapporti con la Mesopotamia, ossia la Siria e l’Iraq ma anche la Libia, e per ricucirci un nuovo ruolo in Europa. Il problema più urgente sembra che per Mittal sia il cattivo affare di un’azienda che perde 2 milioni al giorno? E per il governo quello di arrivare a un compromesso (l’entrata di Cdp, l’accettazione di una parte degli esuberi)? Il governo non mi pare che sia all’altezza. Perché non ha le competenze, e perché nel suo stesso interno ha una forte componente antiindustriale, a sua volta divisa in un’ala esoterica dei 5 Stelle, che vede qualunque elemento d’industria come una connotazione del male, e in un’altra, non necessariamente ambientalista ma legata a certa concezione ideologica del capitalismo.
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Carotenuto: inquietante Conte-bis, è in guerra contro di noi
Dobbiamo tornare a parlare di Conte come il successore di Andreotti: pur essendo un tipo molto diverso, è il portatore dello stesso enorme potere curiale di cui beneficiava Andreotti. Un personaggio così importante è diventato anche presidente del Consiglio di un secondo governo, con un equilibrio politico completamente differente dal precedente. Com’è che un personaggio portatore di un potere così importante si occupa anche di questo governo? Di dirigerlo e di controllarlo, per conto del suo potere. E cos’è, questo nuovo governo? E’ un governo pericolosissimo: per la libertà, per la sovranità, per le nostre coscienze e anche per le nostre tasche. I governi precedenti erano meglio? No, erano sempre governi fatti principalmente da burattini dei poteri che contano, nel mondo. Tutti i partiti italiani, in questo momento, sono burattini di quei poteri, anche se fingono di non esserlo. Quello precedente era un governo “bau-bau”, serviva a protestare contro il sistema in modo da raccogliere la protesta antisistema (che è crescente), ma poi doveva anche “andare a male” per dimostrare che questo sovranismo non ce la fa, che è becero, in modo da creare – per reazione – un raggruppamento che fosse maggioritario, in questo Parlamento. E questo ha funzionato.Quindi si è riusciti a mettere insieme 5 Stelle e Pd, che prima – con tutti i loro elettorati – non sarebbero mai stati insieme. Quindi, la mossa di far fare a Salvini il “bau-bau” è servita. Ma lo stesso vale in tutto il mondo. Berlusconi ha fatto il “bau-bau” precedentemente, Trump lo sta facendo in questo momento. Ogni tanto, quando comincia a deteriorarsi un certo potere fortemente collegato ai grandi poteri di manipolazione, quando cioè gli uomini bravi a fare gli interessi del potere cominciano a non essere più accettabili per i cittadini (che hanno capito chi sono) allora bisogna sostituirli, perché il potere ha bisogno del consenso della gente. E allora si inventano nuovi partiti di destra e di sinistra, nuovi partiti fintamente libertari come il Movimento 5 Stelle, o fintamente al servizio del popolo come la Lega. Ma questi, prima o poi, servono solamente per fare una manovra che riporti le cose nelle mani dei più efficienti uomini del potere, che poi sono quelli dei vecchi schemi (in questo caso, gli uomini del Pd). Le posizioni più importanti di questo governo sono state tutte date a esponenti del vecchio potere, che ormai era indigesto. E gli uomini nuovi (come Di Maio) servono a fare da copertura, ma non contano niente – anche perché in effetti non sono capaci di fare niente, non hanno mai fatto niente.Quelli efficientisi invece li hanno messi nelle posizione di rilievo. Al ministero dell’economia hanno messo un funzionario europeo molto efficace, uno di quelli che hanno lavorato al Mes, al Trattato di Lisbona, al Patto di Stabilità: uno di quelli che sanno come si incastra e come si schiavizza la gente. E poi Gentiloni: un uomo della curia romana, molto vicino a Mattarella e agli stessi ambienti da cui, guarda un po’, viene Conte. E quest’uomo è diventato ministro europeo dell’economia. E un altro uomo di ambienti curiali, giornalista, David Sassoli, è diventato presidente del Parlamento Europeo. Una formazione molto forte: in questo momento, questo governo è molto forte in Europa. I suoi uomini (tipo Prodi, Ciampi, Monti: lo stesso tipo di persone, derivanti dallo stesso potere) adesso sono diventati tra i più potenti, tra Italia ed Europa. Ma questo governo, che è stato possibile creare solo dopo aver fatto fare a Salvini il “bau-bau”, è un governo molto pericoloso, più forte del normale. Ha dentro persone più abili (come il ministro dell’economia Gualtieri), più connesse al potere vero, finanziario, ai poteri oscuri, e quindi più capaci di portare avanti l’agenda mondialisa verticalizzatrice (l’agenda anti-coscienza, come la chiamiamo noi da tempo).Questo è quindi un governo “da guerra”: è come aver messo su una forza armata, capace non solo di portare avanti con molta più forza l’agenda europea, ma forse di fare qualcosa in più. Con questo governo, l’agenda che già c’era prenderà fiato: questo governo applicherà molte cose che prima non si applicavano. Anche perché questo governo rafforza enormemente il fronte verticalizzante dei paesi europei che sono connessi ai poteri finanziari. E adesso, anche in Europa, c’è una maggioranza di governi fortemente capaci di portare avanti l’agenda peggiore, accentratrice. E l’Italia dà un contributo incredibile, con questo improvviso cambiamento di posizione. Quindi, tutti di dossier europei che sono in campo verranno applicati con molta più forza, senza esitazioni. Quali? Uno dei più importanti è questo: si sta discutendo il bilancio europeo dal 2021 al 2027. Come dovranno contribuirvi, gli Stati? E cosa si farà, di questo bilancio europeo? Le previsioni non sono simpatiche. Ci sarà un trasferimento di fondi dagli Stati all’Europa, e l’Europa si occuperà di molte più cose, senza più passare dagli Stati.E questo velocizzerà il processo di verticalizzazione e accentramento: più speditamente di farà l’Unione Bancaria, si procederà verso una politica estera comune più forte, verso un esercito comune, verso una polizia comune, verso servizi segreti comuni. Tutti passi finora fatti in maniera non molto forte. Questo tipo di governo Ue lo può fare in modo assai più deciso. Può dare più fondi ai Meccanismo Europeo di Stabilità, rafforzare il Fiscal Compact, realizzare più facilmente il Ceta, far entrare più facilmente gli Ogm e toglierci i contanti. Tantissime sono le cose che questa formazione “da guerra”, pericolosissima, può fare; cose che prima erano più difficili da realizzare. Però non c’è solo questo. Non per dare una cattiva notizia, ma questa formazione è talmente forte, sia un Europa che in Italia, che potrebbe anche essere sfruttata per fare qualche deciso passo in più verso la verticalizzazione e la schiavizzazione. Come si fanno, in genere, questi passi? Scatenando delle crisi. Però bisogna avere governi capaci di sfruttarle: e adesso ci sono.Crisi come l’11 Settembre, che ha portato un cambiamento – voluto – delle strategie, a livello mondiale, grazie alla strategia della tensione del falso attentato alle Torri Gemelle. Oppure il conflitto con l’Islam, creato apposta da forze occidentali: potremmo vedere una ripresa del terrorismo. Potremmo vedere un’azione strana, qualche paese che esplode nel Mediterraneo o nel Medio Oriente. Potremmo vedere qualche paese che va fortemente in crisi economica, perché no? Potrebbe essere qualcosa che ci riguarda da vicino – spero non direttamente anche l’Italia, visto che a Bruxelles avremo un ministro dell’economia italiano e a Roma un governo molto forte in senso europeista. Mi aspetto quindi la possibilità che questo governo “da guerra”, da battaglia, che lavora per conto dei poteri oscuri, possa essere adoperato per gestire un ulteriore passo di schiavizzazione, a seguito della creazione di qualche momento di tensione (e alla strategia della tensione ci hanno abituati). Mentre faranno questo, chiaramente, ci terranno ancora nella famosa tenaglia: emergenze, stress, mancanza di lavoro, tasse, penuria di soldi, e dall’altra parte divertimenti, il frivolo, l’effimero. Obiettivo: fare in modo che le nostre coscienze non si risveglino, e siano di fronte o al dramma o al calcio e alla televisione.Coscienze da una parte impaurite e dall’altra addormentate: questo continuerà, naturalmente, mentre loro attueranno un’agenda sempre più pericolosa. Del resto, l’umanità si sveglia solo attraverso il dolore. Vuol dire che tassi di dolore crescenti aiuteranno l’umanità a un ulteriore risveglio, come è successo finora. A seguito di guerre, stragi e olocausti, l’umanità si è svegliata sempre un po’ di più. Adesso non può più essere comandata a bacchetta, va manopolata: democrazia e libertà devono essere mantenute, in qualche modo, perché la gente reagisce. La gente è cresciuta, nei secoli, attraverso il dolore, lasciando il campo parzialmente libero alle forze oscure. Speriamo che non duri, questo governo. Se invece dovesse durare, apprestiamoci a ricevere cattive notizie. Che però genereranno risvegli: se questo accade è perché siamo in grado di farvi fronte, e di uscirne spiritualmente vincitori.(Fausto Carotenuto, “Un governo pericolosissimo”, video-intervento su YouTube ripreso da “Coscienze in Rete” il 21 novembre 2019, dove si sottolinea la nefasta azione del Conte-bis che emerge dai retroscena sul Mes).Dobbiamo tornare a parlare di Conte come il successore di Andreotti: pur essendo un tipo molto diverso, è il portatore dello stesso enorme potere curiale di cui beneficiava Andreotti. Un personaggio così importante è diventato anche presidente del Consiglio di un secondo governo, con un equilibrio politico completamente differente dal precedente. Com’è che un personaggio portatore di un potere così importante si occupa anche di questo governo? Di dirigerlo e di controllarlo, per conto del suo potere. E cos’è, questo nuovo governo? E’ un governo pericolosissimo: per la libertà, per la sovranità, per le nostre coscienze e anche per le nostre tasche. I governi precedenti erano meglio? No, erano sempre governi fatti principalmente da burattini dei poteri che contano, nel mondo. Tutti i partiti italiani, in questo momento, sono burattini di quei poteri, anche se fingono di non esserlo. Quello precedente era un governo “bau-bau”, serviva a protestare contro il sistema in modo da raccogliere la protesta antisistema (che è crescente), ma poi doveva anche “andare a male” per dimostrare che questo sovranismo non ce la fa, che è becero, in modo da creare – per reazione – un raggruppamento che fosse maggioritario, in questo Parlamento. E questo ha funzionato.
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Fiat, vaccini, 5G e Tav: la politica italiana non se ne occupa
Il non-governo giallorosso non ha speranze di galleggiare ancora a lungo nell’acqua alta dove nuota lo squaletto Renzi, ma sulla spiaggia opposta non è che splenda il sole: attorno all’ombrellone di Salvini si attarda nonno Silvio, scortato dalla Meloni, senza che il pubblico percepisca la possibilità di un’epocale alternativa al lento e inesorabile sfacelo di cui l’Italia è vittima, in ossequio alla nuova legge di un mondo senza più politica. Tralasciando il pietoso equivoco 5 Stelle, che puzzava d’imbroglio fin dall’inizio (spettacolare manipolazione degli elettori, col pieno concorso dei militanti di base disposti ad avallare qualsiasi diktat), l’impotenza generale di fronte alla desolazione di Venezia o la resa di Taranto ai furbetti globali dell’acciaio non fanno che dimostrare una volta di più l’assenza di idee, dopo l’eutanasia delle ideologie, che siano capaci di generare qualcosa che assomigli a uno straccio di governance del sistema. E intanto continua a piovere sul bagnato: basta dare un’occhiata agli slogan archeologici – Dio, patria e famiglia – con cui il sedicente outsider Diego Fusaro, filosofo mediatico e grillo parlante corteggiato dalle televisioni, tenta di raccontare la sua rivoluzionaria prospettiva politica ottocentesca, o forse medievale, o forse adatta solo a menare il can per l’aia, ridicolizzando volutamente l’idea stessa che possa esistere, un giorno, un’opposizione sistemica.Nel vecchio film, quello finito con le nozze mostruose tra Di Maio e il fratello di Montalbano, o meglio tra l’esodato Renzi e l’ex guastatore Grillo insidiato politicamente dall’indagine sul figlio per presunto stupro, a tener banco era stato un totem come il progetto cimiteriale del Tav Torino-Lione, infrastruttura con cantieri mai davvero decollati (forse al 5%) e comunque destinata a trasformarsi in una spettacolare, costosissima cattedrale nel deserto. L’argomento, che – come tanti altri, poi abbandonati – era servito ai 5 Stelle solo per fare il pieno di voti, è stato usato per la rissa finale con Salvini, per poi essere archiviato nel silenzio generale. La notizia, sfuggita ai radar, è che l’Italia spenderà comunque miliardi per una linea ferroviaria virtualmente superveloce ma destinata a trasportare pochissime merci necessariamente lente. Una ferrovia-doppione, completamente inutile benché rischiosa e devastante per l’ambiente, che ci si ostina ad approntare lungo una direttrice commerciale desolatamente abbandonata, lontanissimo dalle rotte mercantili. Un favoloso binario morto, buono solo per il business dei costruttori (pochissimi posti di lavoro, temporanei), e imposto a una popolazione che ha inutilmente dimostrato, in ogni sede, la sciagurata natura di un ecomostro che indurrà migliaia di italiani a prendere in considerazione l’idea di scappare, lasciando le proprie case.La non-politica del Belpaese, europeista o sovranista non importa, ha evitato accuratamente di affrontare ogni altro tema vitale per le famiglie, dall’obbligo vaccinale imposto (stile Corea del Nord) senza emergenze sanitarie e senza spiegazioni, e il misteriosissimo avvento del wireless 5G, che avanza in semi-clandestinità abbattendo alberi secolari nelle piazze delle città. Logico che i media, a reti unificate, ignorino il convegno organizzato in Parlamento dai sindaci e dai comitati di cittadini giustamente allarmati per l’introduzione, senza precauzioni, di una tecnologia invasiva di cui non si conosce ancora l’impatto sull’organismo. Quanto ai vaccini polivalenti, che secondo la Regione Puglia hanno causato problemi di salute a 4 bambini su 10, sul tema cala semplicemente il sipario, anche se – per la prima volta nella storia – qualcosa come 130.000 bimbi, nel 2019, non hanno potuto accedere né ai nidi né alle scuole dell’infanzia. In compenso, i riflettori abbagliano l’epica sfida per le regionali in Emilia Romagna, dove la Lega potrebbe strappare al Pd la storica roccaforte, un tempo “rossa”. Accipicchia, questa sì che è una notizia: non come l’insignificante sorte della Fiat, che gli Agnelli-Elkann hanno ceduto ai francesi, nel silenzio generale dei media e dei politici italiani di ogni parrocchia.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 23 novembre 2019).Il non-governo giallorosso non ha speranze di galleggiare ancora a lungo nell’acqua alta dove nuota lo squaletto Renzi, ma sulla spiaggia opposta non è che splenda il sole: attorno all’ombrellone di Salvini si attarda nonno Silvio, scortato dalla Meloni, senza che il pubblico percepisca la possibilità di un’epocale alternativa al lento e inesorabile sfacelo di cui l’Italia è vittima, in ossequio alla nuova legge di un mondo senza più politica. Tralasciando il pietoso equivoco 5 Stelle, che puzzava d’imbroglio fin dall’inizio (spettacolare manipolazione degli elettori, col pieno concorso dei militanti di base disposti ad avallare qualsiasi diktat), l’impotenza generale di fronte alla desolazione di Venezia o la resa di Taranto ai furbetti globali dell’acciaio non fanno che dimostrare una volta di più l’assenza di idee, dopo l’eutanasia delle ideologie, che siano capaci di generare qualcosa che assomigli a uno straccio di governance del sistema. E intanto continua a piovere sul bagnato: basta dare un’occhiata agli slogan archeologici – Dio, patria e famiglia – con cui il sedicente outsider Diego Fusaro, filosofo mediatico e grillo parlante corteggiato dalle televisioni, tenta di raccontare la sua rivoluzionaria prospettiva politica ottocentesca, o forse medievale, o forse adatta solo a menare il can per l’aia, ridicolizzando volutamente l’idea stessa che possa esistere, un giorno, un’opposizione sistemica.
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Moiso: l’illusione del sovranismo, funzionale al neoliberismo
E’ grazie agli amici sovranisti che, oggi, si sente parlare di neoliberismo: dalle parti della sedicente sinistra non si sono proprio accorti di cosa sta succedendo nel mondo. Soprattutto non hanno visto la relazione che c’è tra democrazia ed economia, e come certi modelli economici possano ostacolare i processi democratici. Ma è interessante anche vedere l’analisi che gli amici sovranisti fanno del neoliberismo. Cos’è il neoliberismo? E’ una dottrina economica che poi diventa ideologia, con dogmi quasi religiosi, e – a cascata – una serie di conseguenze a livello valoriale e sociale. E’ una teoria che nasce dall’austriaco Friedrich von Hayek nel dopoguerra. Von Hayek ha un interesse nobile: non ritiene che la politica e gli Stati possano evitare le guerre. Cerca di dare questa responsabilità a dei processi economici: vuole una teoria economica che si sostituisca ai governi nel garantire la pace tra gli Stati. Ma non fa i conti con quello che questo comporta a livello di democrazia, di sovranità popolare sostanziale. Il suo erede sarà Milton Friedman, dell’università di Chicago. Al neoliberismo di von Hayek si oppone un altro pensiero economico: quello liberale tradizionale, dell’inglese John Maynard Keynes (uno dei suoi maggiori allievi è stato John Kenneth Galbraith).E il pensiero keynesiano, di fatto, è quello su cui è stato fondato il benessere della società occidentale. Dal dopoguerra agli anni ‘70, la società occidentale si è sviluppata grazie al pensiero di Keynes e di persone come William Beveridge, che hanno organizzato in Inghilterra il Welfare State poi replicato in tutto il mondo. Quel pensiero rovesciò l’analisi dei fattori che contribuiscono a un’economia florida. Fino a quel momento si pensava che la cosa più importante fossero i mezzi di produzione. Da Keynes in poi il ragionamento si inverte: il grande economista britannico è il primo a mettere l’accento sull’importanza che ha il potere d’acquisto, il consumo, nel determinare il benessere di un’economia. Queste teorie sono quelle su cui si è basato il mondo occidentale fino agli anni Settanta. Poi dai Settanta succede qualcos’altro: partendo dall’Africa, come spiega molto bene Ilaria Bifarini, si cominciano a testare le teorie economiche neoliberiste, che poi sono arrivate in Europa negli anni ‘90. E sono teorie che vedono un ruolo sovraordinato dei mercati rispetto alla politica. Von Hayek dice: le ideologie servono a far capire alle persone che è nel loro interesse utilizzare lo Stato per mantenere il controllo per esempio sui beni pubblici e sull’industria, sulla siderurgia (pensiamo all’Ilva), sull’agricoltura. E dice: questa cosa va eliminata, i mercati devono essere liberi. E lo Stato non si deve più intromettere nell’economia.Oggi sentiamo spesso ripetere che le ideologie sono morte. Guardate che la definizione di ideologia nel dizionario Treccani è interessante: un’ideologia non è altro che un sistema di valori che serve a ordinare il pensiero. Senza un’ideologia, come si fa a valutare se le idee politiche sono buone o no? Se non c’è uno schema di riferimento, non abbiamo nulla da utilizzare per valutare la bontà delle nostre idee. Ovvio: solo chi pensa che la politica non debba svolgere un ruolo all’interno della società può dire che le ideologie non servono, perché dev’essere il mercato a dettare l’intero funzionamento della società. Dico questo pensando agli amici sovranisti, per parlare di Europa: è von Hayek che teorizza un’Europa esattamente come quella che esiste oggi. Lui dice: bisogna creare un mercato unico, in modo che la politica degli Stati nazionali venga depotenziata. In sostanza: creato il mercato unico, entrano in competizione le forze produttive e il mercato del lavoro di diverse nazioni; gli Stati non possono più agire sulla società, e così creiamo le condizioni migliori per liberare il mercato.L’argomento di Hayek, poi ripreso dalla Thatcher, è questo: non bisogna sostituire gli Stati nazionali con un sovra-Stato, cioè un nuovo contenitore politico. Bisogna lasciare che i popoli vengano amministrati a livello territoriale dai governi locali, mentre l’economia deve viaggiare a livello comunitario. In alternativa, aggiunge Hayek, in caso di problemi sociali bisogna tornare al ruolo degli Stati sovrani: perché ormai l’economia si è globalizzata, e uno Stato sovrano non avrebbe comunque più i sistemi e le leve per combattere le dinamiche dei mercati globali. Addirittura la Thatcher, nel suo libro “Statecraft” del 2002, usa molto bene gli argomenti classici che oggi sentiamo utilizzare dai sovranisti. Dice: in Europa parliamo lingue diverse, abbiamo culture diverse, abbiamo economie diverse, e quindi non dobbiamo creare gli Stati Uniti d’Europa. Questo risponde sempre alla visione neoliberista, che non vuole uno Stato che si intrometta nell’economia per tutelare gli interessi dei popoli. Questa è esattamente la visione neoliberista.Tutto il pensiero sovranista, quindi, è strumentale al pensiero neoliberista – al punto che è stato proprio teorizzato da loro, da von Hayek, dalla Thatcher, da Friedman. Se ne parla in tutti gli scritti di filosofia economica degli autori neoliberisti: o l’Europa diventa un mercato unico, con gli Stati nazionali al di sotto di esso, incapaci di tutelare gli interessi del popolo, o in alternativa si deve ritornare agli Stati nazionali, a quel punto costretti a competere con dinamiche sovranazionali, verso le quali non possono fare nulla. Lo si capisce perfettamente leggendo l’economista belga Philippe Van Parijs, che ha avuto una fitta corrispondenza con John Rawls. Discutevano di questo: come combattere il neoliberismo su scala globale. E Parijs parla proprio di un’Europa federale, che deve servire a dimostrare la validità di un diverso modello economico. Dice Van Parijs: se oggi vogliamo creare una società prospera, in Europa, dobbiamo tornare a politiche keynesiane (post-keynesiane), e soprattutto rivendicare la sovranità dei popoli, e la sovranità del popolo all’interno delle istituzioni europee. E in questo modo potremo anche dimostrare che altre teorie economiche sono credibili e realizzabili su scala globale.Agli amici sovranisti vorrei solo dire che, nonostante siano gli unici ad aver analizzato negli ultimi tempi il pensiero neoliberista, in realtà continuano a proporre soluzioni che sono proprio strumentali all’affermazione dei valori e del modello neoliberista. Forse bisogna rivalutare il tema della differenza di lingua e di cultura. Chiunque abbia viaggiato sa bene che i popoli europei sono molto simili, perché hanno una cultura profondamente umanistica. Al centro delle nostre priorità noi mettiamo ancora l’uomo: non l’economia, non il profitto, non la collettività in senso aleatorio. E questo è il cardine che deve guidare il cambiamento: l’idea di uno Stato sociale e della rappresentatività della volontà popolare, che sono peculiarità dell’eredità dei popoli europei. E questo è un collante fortissimo, che va usato per lanciare un progetto alternativo per il futuro.(Marco Moiso, “Il sovranismo nazionalista è strumentale al neoliberismo”, video-intervento pubblicato sul canale YouTube del Movimento Roosevelt il 18 novembre 2019).E’ grazie agli amici sovranisti che, oggi, si sente parlare di neoliberismo: dalle parti della sedicente sinistra non si sono proprio accorti di cosa sta succedendo nel mondo. Soprattutto non hanno visto la relazione che c’è tra democrazia ed economia, e come certi modelli economici possano ostacolare i processi democratici. Ma è interessante anche vedere l’analisi che gli amici sovranisti fanno del neoliberismo. Cos’è il neoliberismo? E’ una dottrina economica che poi diventa ideologia, con dogmi quasi religiosi, e – a cascata – una serie di conseguenze a livello valoriale e sociale. E’ una teoria che nasce dall’austriaco Friedrich von Hayek nel dopoguerra. Von Hayek ha un interesse nobile: non ritiene che la politica e gli Stati possano evitare le guerre. Cerca di dare questa responsabilità a dei processi economici: vuole una teoria economica che si sostituisca ai governi nel garantire la pace tra gli Stati. Ma non fa i conti con quello che questo comporta a livello di democrazia, di sovranità popolare sostanziale. Il suo erede sarà Milton Friedman, dell’università di Chicago. Al neoliberismo di von Hayek si oppone un altro pensiero economico: quello liberale tradizionale, dell’inglese John Maynard Keynes (uno dei suoi maggiori allievi è stato John Kenneth Galbraith).