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Voto europeo inutile, non ci sono alternative al regime
«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».In un intervento sul “Corriere della Collera”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, De Martini accusa il presidente Napolitano, ricordando che all’epoca di Mani Pulite era a capo della corrente “migliorista” del Pci, quella «più colpita dalla Tangentopoli 1992», che affondò la dirigenza milanese del partito, capitanata da Barbara Pollastrini e Gianni Cervetti. Oggi, di fronte allo scandalo Expo, il capo dello Stato «usa il suo supremo magistero per rassicurare i cittadini che l’incidente non avrà conseguenze sull’afflusso degli elettori alle elezioni europee». Protesta De Martini: da Napolitano «non una parola sul reato, sulla mancanza di distinzioni politiche tra i ladri e non una parola sui ricettatori che sono impegnati nelle elezioni europee, non una parola per chiedere di rivedere i meccanismi di controllo. Non una promessa di giustizia». Uno scenario che denota «miseria morale e umana» e fotografa la «meschina preoccupazione» della casta politica, al timone dell’Italia che affonda dopo aver ceduto la sua sovranità ai “signori dello spread”, i padroni dei mercati finanziari.«Ormai – continua De Martini – le elezioni europee sono state scelte come elemento di disinformazione principale per distrarre gli elettori e come pretesto per condurre una campagna contro il movimento di Beppe Grillo», in cui peraltro De Martini non nutre fiducia: «La sua irrilevanza a livello europeo apparirà evidente dopo il risultato: anche se ottenesse tutti i seggi a disposizione dell’Italia (73), verrebbe annegato tra i rappresentanti degli altri 27 paesi che costituiscono l’Unione (750)». Marine Le Pen? Annunciata come grande moralizzatrice, secondo “Le Monde Diplomatique” non ha mai superato l’8% a livello nazionale. A monte, pesa la grande menzogna sulle elezioni europee, strombazzata da uno slogan pubblicitario martellante: “Scegli tu chi guiderà l’Europa”. «Niente di più falso», replica De Martini. «La tenzone tra Juncker e Schultz è falsa come un biglietto da tre euro. Il presidente della Ue non viene scelto dal Parlamento, bensì dal Consiglio, il quale può benissimo – l’ha già fatto – non tenere conto del risultato elettorale nella scelta del presidente».Mentre in tutta Europa «le elezioni europee vengono viste come un evento secondario, caratterizzato da una affluenza decrescente che non influisce sulla politica nazionale», in Italia invece si dice il contrario. Secondo De Martini, parlano i numeri: in Francia l’astensionismo è crescente dal 2009 in poi ed è previsto che aumenti ancora. In Italia, dal 14% di astensioni dal voto del 1976 siamo passati al 50 % delle scorse elezioni, per non parlare del 52% raggiunto alle elezioni siciliane. In Spagna, aggiunge il blogger, la crisi «non favorirà certo l’affluenza al voto», mentre l’Inghilterra l’anno prossimo «farà un referendum per andarsene dalla Ue», e nel frattempo «Romania e Bulgaria sono in stato di allarme per l’Ucraina». Da noi, aggiunge De Martini, le elezioni vengono richieste a furor di popolo solo alle comunali di Roma, perché il sindaco Marino «ha rifiutato di accettare il piano-mazzette proposto dalla sua maggioranza e pretende che nessuno rubi». Sicché esiste «una concordia da larghe intese per sostituirlo al più presto», tenendo conto che nella coalizione c’è anche «il principale quotidiano cittadino, di proprietà di un gruppo che avrebbe in appalto la costruzione del metrò su cui il sindaco ha avuto la pretesa di indagare».Per De Martini, «il risultato delle elezioni europee – previa martellante campagna statale per la partecipazione e previa elargizione di 80 euro al popolino – serve a consentire che l’esperienza governativa di Matteo Renzi e compagnia possa definirsi democratica almeno nella versione rosé, utile a non incuriosire troppo qualche legalitario residuo». Secondo il “Corriere della Collera”, la scelta non esiste: «Berlusconi e Renzi sono tanto simili da sembrare padre e figlio», mentre un successo di Grillo non basterebbe a dare uno scossone al sistema. «La pura verità è che l’astensione dal voto è il solo strumento democratico utile da usare da parte dei cittadini che non vogliano ricorrere alla violenza per ristabilire la legalità e attirare l’attenzione del mondo». Votare alle europee? «Serve solo a legittimare cambiamenti di quote nella ripartizione del bottino». E se poi il dibattito si allarga ora anche agli euroscettici, il remie Ue «se ne avvantaggerebbe, e avrebbe la pretesa di rappresentare tutti, anche i contrari», acquisendo più forza nell’imporre «i suoi dogmi di austerity».«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».
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Vittorio Grilli alla Jp Morgan come Blair, l’amico di Renzi
Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.Il più celebre “ex”, in questo campo, è il britannico Tony Blair, in forza proprio alla Jp Morgan: di recente, a Londra, Blair ha nuovamente incontrato Matteo Renzi, col quale si era visto, a suo tempo, già a Firenze. Gli ex politici “promossi” nel gotha della finanza planetaria, aggiunge Galbiati, fanno gola alle grandi banche internazionali, «sempre attente a raccogliere i fuoriusciti che possono garantire loro gli appoggi giusti per entrare nel giro degli affari degli Stati. E in Italia – aggiunge il giornalista di “Repubblica” – tra la gestione di 2.000 miliardi di debito pubblico e le nuove privatizzazioni annunciate dal presidente del consiglio Matteo Renzi, non manca certo il lavoro per gli advisor finanziari».All’epoca dei primi contatti con Jp Morgan, Grilli era direttore generale del Tesoro e a luglio 2011 si era parlato di lui come di un possibile successore di Mario Draghi alla guida di Banca d’Italia, grazie all’appoggio di Giulio Tremonti e di Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano, finito al centro di un’inchiesta per finanziamenti facili a un giro di “amici”. Superato da Ignazio Visco nella corsa per il vertice di Bankitalia (e smentita la migrazione verso Wall Street), Grilli era stato chiamato da Monti come viceministro dell’economia. Diventerà il titolare del dipartimento, però, solo a luglio del 2012, quando il “premier dello spread” deciderà di lasciare l’interim del Tesoro. Da ministro, ricorda ancora Galbiati, Grilli «era stato al centro di una polemica per l’acquisto di un appartamento a Roma finanziato dal Monte dei Paschi di Siena con un mutuo superiore all’importo del valore della casa».Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.
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Fine programmata della democrazia: l’ha deciso l’élite
I veri padroni del mondo non sono più i governi, ma i dirigenti di gruppi multinazionali finanziari o industriali, e di istituzioni internazionali opache (Fmi, Banca Mondiale, Ocse, Wto, banche centrali). Purtroppo, questi dirigenti non sono stati eletti, malgrado l’impatto delle loro decisioni sulle popolazioni. Il potere di queste organizzazioni viene esercitato su una dimensione planetaria, mentre il potere di uno Stato è ridotto ad una dimensione nazionale. Tra l’altro, il peso delle multinazionali nei flussi finanziari ha da tempo superato quello degli Stati. Di dimensione internazionale, più ricche degli Stati, ma anche principale fonte finanziaria dei partiti politici di ogni tendenza nella maggior parte dei paesi, queste organizzazioni si trovano quindi al di sopra delle leggi e del potere politico, al di sopra della democrazia. La democrazia ha già cessato di essere una realtà.I responsabili delle organizzazioni che esercitano il potere non sono eletti, e il pubblico non viene informato sulle loro decisioni. Il margine d’azione degli Stati viene sempre più ridotto da accordi economici internazionali per i quali i cittadini non sono stati né consultati, né informati. Tutti questi trattati elaborati negli ultimi 10 anni (Gatt, Omc, Ami, Ntm, Nafta) hanno un unico scopo: trasferire il potere degli Stati verso organizzazioni non elette, tramite un processo chiamato “mondializzazione”. Una sospensione proclamata della democrazia avrebbe senz’altro provocato una rivoluzione. Ecco perché sembra essere stato deciso di mantenere una democrazia di facciata, e di piazzare il potere reale verso nuovi centri. I cittadini continuano a votare, ma il loro voto è privo di senso. Votano per dei responsabili che non hanno più un potere reale. Ed è senz’altro perché non c’è più nulla da decidere, che i programmi politici di “destra” e di “sinistra” si assomigliano sempre di più in tutti i paesi occidentali.Per riassumere, non possiamo scegliere il piatto, ma possiamo scegliere il contorno. Il piatto si chiama “nuova schiavitù”, e il contorno può essere o piccante di destra, o agro-dolce di sinistra. Dai primi anni ‘90, l’informazione è stata progressivamente tolta dai media destinati al grande pubblico. Come le elezioni, i telegiornali continuano ad esistere, ma sono privi di senso. Un telegiornale contiene al massimo 2 o 3 minuti di vera informazione. Tutto il resto è costituito da soggetti da rivista, servizi aneddotici, fatti diversi e reality show sulla vita quotidiana. Le analisi di giornalisti specializzati e le trasmissioni di informazione sono state quasi totalmente eliminate. L’informazione si restringe ormai alla stampa, letta da un numero ridotto di persone. La sparizione dell’informazione è un segno tangibile che il nostro regime politico ha già cambiato natura.I responsabili del potere economico provengono quasi tutti dallo stesso mondo, lo stesso giro sociale. Si conoscono, si incontrano, condividono gli stessi punti di vista e gli stessi interessi. Condividono quindi naturalmente la stessa visione di ciò che dovrebbe essere il futuro mondo ideale. E’ quindi naturale che si mettano d’accordo e sincronizzino le loro azioni verso degli obbiettivi comuni, inducendo a delle situazioni economiche favorevoli alla realizzazione dei loro obbiettivi, come ad esempio: indebolimento degli Stati e del potere politico, deregolamentazione, privatizzazione dei servizi pubblici, disimpegno totale degli Stati dall’economia, compresi i settori dell’educazione, della ricerca e, tra breve, dell’esercito e della polizia, destinati a diventare dei settori sfruttabili da ditte private.Indebitamento degli Stati tramite la corruzione, lavori pubblici inutili, sovvenzioni a ditte senza contropartita, spese militari. Quando una montagna di debiti viene accumulata, i governi sono costretti alla privatizzazione e allo smantellamento dei servizi pubblici. Più un governo è sotto il controllo dei “Padroni del Mondo”, più fa aumentare i debiti del suo paese. Precarietà del lavoro e mantenimento di un alto livello di disoccupazione, intrattenuti tramite il decentramento e la mondializzazione del mercato del lavoro: tutto ciò aumenta la pressione economica sui lavoratori, che sono quindi costretti ad accettare qualsiasi stipendio o condizione di lavoro. Riduzione dell’aiuto sociale per aumentare le motivazioni del disoccupato ad accettare qualsiasi tipo di lavoro o qualsiasi stipendio: un aiuto sociale troppo elevato impedisce alla disoccupazione di fare una pressione efficace sul mercato del lavoro. Impedire l’espansione di rivendicazioni salariali nel Terzo Mondo, mantenendovi dei regimi politici totalitari o corrotti: se i lavoratori del Terzo Mondo venissero pagati meglio, il principio stesso del decentramento, e della pressione che esercita sul mercato del lavoro nella società occidentale, verrebbe frantumato. Ciò costituisce un lucchetto strategico essenziale che deve essere preservato ad ogni costo. La famosa “crisi asiatica” del 1998 è stata innescata nello scopo di mantenere questo lucchetto.Le organizzazioni multinazionali private si stanno progressivamente dotando di tutti gli attributi della potenza degli Stati: reti di comunicazione, satelliti, servizi di spionaggio, dati sugli individui, istituzioni giudiziarie (stabilite dal Wto e l’Ami, accordo tramite il quale una multinazionale potrà fare causa ad uno Stato davanti ad una corte internazionale speciale). La prossima e ultima tappa per queste organizzazioni sarà di ottenere il potere militare e poliziesco che corrisponda alla loro nuova potenza, creando i loro propri eserciti, dato che gli eserciti e le polizie nazionali attuali non sono adattate alla difesa dei loro interessi nel mondo. Tra breve, gli eserciti diventeranno società private, presteranno servizio sotto contratto con gli Stati, o con qualsiasi altro cliente capace di pagarli. Ma all’ultima tappa del piano, questi eserciti serviranno quasi esclusivamente gli interessi delle multinazionali, e attaccheranno gli Stati che non si piegheranno al nuovo ordine economico. Nel frattempo, questo ruolo viene assunto dall’esercito dei Stati Uniti, il paese meglio controllato dalle multinazionali.Oggi il denaro è essenzialmente virtuale. La sua realtà è una serie di 0 e di 1 nei computer delle banche. La maggior parte del commercio mondiale si opera senza denaro liquido, e solo 10% delle transazioni finanziarie quotidiane corrispondono a degli scambi economici nel “mondo reale”. Gli stessi mercati finanziari costituiscono un sistema di creazione di denaro virtuale, di profitto non basato su una creazione di ricchezze reali. Questa creazione di denaro senza creazione di corrispondente ricchezza economica è la definizione della creazione artificiale del denaro. Ciò che la legge vieta ai falsificatori di denaro, e ciò che l’ortodossia economica liberale vieta agli Stati, è quindi legale e possibile per un numero ristretto di beneficiari. Se si vuol capire ciò che realmente è il denaro e a che cosa serve, basta invertire la famosa frase “il tempo è denaro”: il denaro è tempo. Permette di comprare il tempo degli altri, il tempo necessario a produrre i prodotti o i servizi che consumiamo.E’ evidente che siamo oggi urtando i limiti ecologici dell’attività economica. I modelli economici attuali sono incapaci di stimare al suo giusto valore la “produzione” della natura, indispensabile alla nostra sopravvivenza: produzione d’ossigeno, fissazione dei gas carbonici dalle foreste e gli oceani, regolazione della temperatura, protezione dai raggi del sole, riciclaggio chimico, spartizione delle alluvioni, produzione d’acqua potabile, di alimenti. La produzione della natura è stata valutata a 55.000 miliardi di dollari annui da un gruppo di scienziati dell’Institute for Ecological Economics dell’Università del Maryland nel 1997. La scomparsa della natura è inevitabile, poiché voluta dal nuovo potere economico. La scomparsa della natura e l’aumento dell’inquinamento renderanno gli individui ancora più dipendenti del sistema economico per la loro sopravvivenza, e permetteranno di generare nuovi profitti, tra i quali un consumo crescente di medicine e prestazioni mediche.Tutto quello che può portare un individuo a pensare e a vivere con la propria testa è potenzialmente sovversivo. Il più grande pericolo per l’ordine sociale è la spiritualità che porta l’individuo a rimettere in gioco il proprio sistema di valori e quindi il proprio atteggiamento. Questo nuovo potere è globale, planetario. Non ha quindi né alternativa, né scappatoia. Costituisce un nuovo livello di organizzazione della civilizzazione, una specie di super-organismo. D’altronde l’unificazione del mondo per via dell’economia e il declino degli Stati-nazione sono stati in parte decisi per una nobile causa: rendere impossibile una nuova guerra mondiale che, all’era atomica, significherebbe la fine della civilizzazione. La globalizzazione non è una cosa negativa in sé: potrebbe permettere una forma di pace mondiale durevole. Ma se continua ad essere organizzata a beneficio di una minoranza di persone e se conserva la sua attuale direzione neoliberista, non tarderà ad instaurare una nuova specie di totalitarismo, il commercio integrale degli esseri viventi, la distruzione della natura e una forma inedita di schiavitù.(Estratti da “Fine programmata della democrazia”, dal sito “Syti.net” a cura di Sylvain Timsit).I veri padroni del mondo non sono più i governi, ma i dirigenti di gruppi multinazionali finanziari o industriali, e di istituzioni internazionali opache (Fmi, Banca Mondiale, Ocse, Wto, banche centrali). Purtroppo, questi dirigenti non sono stati eletti, malgrado l’impatto delle loro decisioni sulle popolazioni. Il potere di queste organizzazioni viene esercitato su una dimensione planetaria, mentre il potere di uno Stato è ridotto ad una dimensione nazionale. Tra l’altro, il peso delle multinazionali nei flussi finanziari ha da tempo superato quello degli Stati. Di dimensione internazionale, più ricche degli Stati, ma anche principale fonte finanziaria dei partiti politici di ogni tendenza nella maggior parte dei paesi, queste organizzazioni si trovano quindi al di sopra delle leggi e del potere politico, al di sopra della democrazia. La democrazia ha già cessato di essere una realtà.
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Ue, Mosca e Pechino soci perfetti: è l’incubo degli Usa
E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».L’elemento saliente di quel periodo, ricorda Helevi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è la seconda guerrra cecena, combattuta tra il 1999 e il 2001. «La strategia militare elaborata da Putin implicò delle perdite fortissime tra i civili residenti in Cecenia (sia ceceni che russi) e questa violazione dei diritti umani non venne mai denunciata politicamente e formalmente dagli “occidentali” perchè troppo importante era Putin in relazione ad un possibilissimo ritorno al potere dei neo-comunisti». Altro errore, analogo: «Trattare la Cina come “qualcosa di rosso” perché c’è il Pcc al potere». Altro caso di miopia che, sempre secondo Halevi, «rende una grossa parte della sinistra completamente scema senza possibilità d’appello». Il modo migliore di intepretare la nuova Cina? «E’ vederla come un fenomeno ultra-bismarckiano», pur tenendo conto del fatto che «la formazione di una potenza bismarckiana delle dimensioni della Cina pone dei problemi per l’altra potenza», quella americana.Una visione, questa, elaborata già nel 1999 dalla Rand Corporation. Cina ultra-bismarckiana? A coniare la formula fu Zalmay Khalilzad, afghano emigrato negli Usa diventato sotto Bush figlio e ambasciatore Usa a Kabul dopo il 2001, poi ambasciatore in Iraq dopo il 2003 ed infine ambasciatore statunitense all’Onu. Sul versante geopolitico, Khalilzad spiega perchè – con la Cina di oggi – gli Usa non possono avere rapporti di sola cooperazione amichevole o di solo conflitto. «Pochi hanno colto la dimensione duale e contraddittoria degli interessi Usa in Cina, ma per coglierli basta studiare – leggendo il “Wall Street Journal” e l’“International New York Times” – Walmart, Apple e la General Electric». Quei colossi «sono in Cina per rifornire in primo luogo il mercato Usa, in secondo luogo il resto del mondo, in terzo luogo per vendere sul mercato cinese in crescita asfissiante (letteralmente)». Il successo della loro presenza in Cina «dipende dalla crescita cinese, che è organizzata dallo Stato bismarckianamente».Questa crescita, continua Halevi, significa «capacità di mettere in piedi in breve tempo grosse strutture industriali con ampie economie di scala e con ritmi di lavoro parossistici». Tutto ciò «conferisce una dimensione concreta alla globalizzazione». Esempio, il caso Apple, con iPad e iPhone «progettati negli Usa, prodotti da una società di Taiwan ma localizzata in Cina», perchè «a Taiwan e nemmeno negli Usa avrebbero potuto costruire, in poco tempo e con tutte le infrastrutture di collegamento, un insieme di impianti che occupano oltre 700 mila persone». Così, si è generato «uno iato crescente tra gli interessi economici del capitale Usa e la capacità dello Stato Usa di garantirne gli interessi in maniera coerente». Per esempio, negli Usa si discute la necessità di far rivalutare la moneta cinese, lo yuan: «A non volerlo sono proprio le società Usa che operano dalla Cina».Fino alla fine degli anni ‘90, prosegue Halevi, il mantenimento dell’egemonia statunitense si fondava sul ruolo della spesa pubblica federale (senza la quale il sistema militare, politico e finanziario non funzionerebbe) e sul ruolo del dollaro. Due elementi che permettevano e permettono il controllo delle cruciali zone energetiche del Medio Oriente. Un analista come Zbigniew Brzezinski sostenne che il controllo dell’arco energetico che va dall’Arabia Saudita all’insieme del Medio Oriente pemette di “tenere al guinzaglio” simultaneamente sia il Giappone che l’Unione Europea. «Giustissimo, per quel periodo», dice Halevi. «Da allora, la Russia è emersa come superpotenza energetica e la Cina come fulcro della produzione industriale mondiale, nonchè come asse dei meccanismi finanziari sui mercati delle materie prime, come il carbone».«Insieme alla finanziarizzazione degli Oceani e soprattutto dell’Artico – conclude Halevi – la dinamica dei prodotti finanziari globali non è certo determinata dal debito pubblico italiano e dallo spread, bensì dalla Cina». Sicché, la formazione di un “continuum” economico tra Cina, Russia ed Europa, Germania in primis, «è nei piani sia cinesi che tedeschi e russi». La parte più debole meno coordinata è quella russa, «perchè il processo di disgregazione dell’Urss apertosi nel 1991 è lungi dall’essersi concluso: la Russia è una superpotenza energetica, ma come forza statuale è ancora nel day-after del 26 dicembre del 1991». Per gli Stati Uniti, dunque, «è essenziale che non si formi alcun “continuum” euroasiatico, altrimenti entrerebbe seriamente in crisi la capacità dello Stato americano di proteggere coerentemente gli interessi del capitale Usa».E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».
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Privatizzazioni: a chi Renzi darà la paghetta, e perché
Di nuovo, è semplice, non dovete studiare chissà che. Non è una novità che Renzi vuole fare la più grande privatizzazione di beni pubblici dopo la più grande privatizzazione dell’amico D’Alema a fine anni ’90, quella che fece il record europeo. Sta privatizzando, del tutto o a pezzi, Fincantieri, Poste Italiane, Enav, Sace, Eni, St Microelectronics, Terna, Snam, fra le altre. La promessa è di ridurre il debito dello Stato, che non andrebbe affatto ridotto perché è l’attivo di cittadini e aziende, e quindi ridurre il debito di Stato significa ridurre la ricchezza di cittadini e aziende. Piuttosto, la cosa da fare è di trasformare il debito dello Stato in una somma in moneta nazionale e non euro, visto che poi gli euro li dobbiamo ridare tutti alle mega-banche. Ma questa è un’altra storia, già spiegata.Una cosa che la zia Ida e il signor Pino non sanno, forse, è che quando si privatizza qualcosa di pubblico servono degli intermediari. Sì, esatto, quegli odiosi personaggi che praticamente fanno un cazzo e si beccano parcelle miliardarie. Ok? E sapete chi saranno gli intermediari delle privatizzazioni di Renzino? Ma i soliti infami naturalmente: Imi, Credit Suisse, Jp Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Unicredit, Citibank, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Hsbc, Mediobanca. Ce lo dice il “Financial Times”.Renzi fa le privatizzazioni SOLO per passare la “paghetta” ai soliti infami, mica per salvare l’Italia, non siamo gonzi oltre l’accettabile per favore, ok? E poi che accadrà? Che Renzino, una volta fatti i compiti a casa come fecero Amato, Prodi e altri bastardi di questa posta, entrerà nel SALOTTO BUONO, e da lì in poi la vita è tutta in discesa e champagne (non per te, sorry).(Paolo Barnard, “A chi Renzi darà la paghetta: i soliti infami, che lo ripagheranno”, dal blog di Barnard del 6 maggio 2014).Di nuovo, è semplice, non dovete studiare chissà che. Non è una novità che Renzi vuole fare la più grande privatizzazione di beni pubblici dopo la più grande privatizzazione dell’amico D’Alema a fine anni ’90, quella che fece il record europeo. Sta privatizzando, del tutto o a pezzi, Fincantieri, Poste Italiane, Enav, Sace, Eni, St Microelectronics, Terna, Snam, fra le altre. La promessa è di ridurre il debito dello Stato, che non andrebbe affatto ridotto perché è l’attivo di cittadini e aziende, e quindi ridurre il debito di Stato significa ridurre la ricchezza di cittadini e aziende. Piuttosto, la cosa da fare è di trasformare il debito dello Stato in una somma in moneta nazionale e non euro, visto che poi gli euro li dobbiamo ridare tutti alle mega-banche. Ma questa è un’altra storia, già spiegata.
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Cina, gli operai-schiavi rialzano la testa (grazie al web)
Sul piano legislativo i lavoratori cinesi godono di una serie di diritti, ancorché più limitati di quelli di cui dispongono i loro colleghi occidentali. Purtroppo tali diritti restano quasi sempre sulla carta, sia perché le imprese si guardano bene dal rispettarli, sia perché il Partito Comunista e i sindacati di stato non muovono un dito per farli rispettare. Ecco perché la Yue Yuen Industrial Holdings, azienda taiwanese che è considerata il più grande produttore mondiale di scarpe sportive (fra i suoi commettenti può vantare marchi di prestigio come Nike e Adidas) non ha versato per anni i contributi per la pensione ai suoi dipendenti. Mal gliene è incolto, perché non ha tenuto conto dell’evoluzione culturale delle nuove generazioni di operai cinesi, animate da una rabbia e uno spirito combattivo sconosciuti alle precedenti generazioni, e della loro abilità nell’usare i social network come strumenti di organizzazione e mobilitazione dal basso.Il risultato, come racconta il “New York Times”, è stato uno dei più lunghi e partecipati scioperi della storia recente del paese: 40.000 operai hanno bloccato le linee di produzione per due settimane, infliggendo all’azienda 27 milioni di danni. Alla fine il governo cinese, non riuscendo a bloccare la vertenza, si è rassegnato a intervenire e a costringere la Yue Yuen Industrial Holdings ad accettare un accordo. Pur in assenza di sindacati indipendenti (vietati dalla legge cinese) i lavoratori cinesi, secondo lo stesso articolo, hanno effettuato ben 1100 scioperi e proteste dal giugno del 2011 alla fine del 2013, mentre se ne registrano 200 solo negli ultimi due mesi.Lo strumento che ha favorito queste imponenti mobilitazioni, che hanno strappato consistenti aumenti salariali e altre concessioni, è stato un software di messaggistica chiamato Weixin (conosciuto anche con il nome inglese We Chat) che ha trecento milioni di utenti in grande maggioranza giovani: gli operai lo usano sistematicamente per scambiare informazioni, coordinare le azioni e estendere le lotte attraverso il passaparola. Ma attribuire tutto questo fermento sociale alla Rete sarebbe un errore non meno pacchiano di quello che ha indotto i media occidentali ad appioppare alla “primavera araba” l’etichetta di Twitter Revolution – una semplificazione su cui hanno giustamente ironizzato autori come Evgenij Morozov.Per capire le radici di questa ondata di lotte di classe è meglio andarsi a leggere il bel libro della sociologa cinese Pun Ngai, tradotto in Italia da Jaca Book con il titolo “La società armoniosa”. Pun Ngai analizza la cultura dei quasi trecento milioni di migranti interni che si sono riversati dalle campagne nelle grandi città dove vivono e lavorano in condizioni di sfruttamento spaventoso, paragonabili solo a quelle della classe operaia inglese dell’800 descritte da Engels. Sfruttati ma anche dotati di conoscenze, curiosità e competenze assai più avanzate di quelle dei loro genitori e quindi meno disposti a sopportare quelle condizioni disumane. Una massa operaia che, al pari di quella riversatasi dal nostro Sud a Torino e Milano negli anni ‘60 del ‘900, si sta rivelando poco propensa a chinare la testa e decisa a strappare redditi e condizioni di lavoro e di vita migliori. Quando la tecnologia incontra il capitale sono dolori per le classi subordinate, ma quando invece la tecnologia incontra la classe operaia sono dolori per i padroni.(Carlo Formenti, “Se gli operai cinesi rialzano la testa”, da “Micromega” del 5 maggio 2014).Sul piano legislativo i lavoratori cinesi godono di una serie di diritti, ancorché più limitati di quelli di cui dispongono i loro colleghi occidentali. Purtroppo tali diritti restano quasi sempre sulla carta, sia perché le imprese si guardano bene dal rispettarli, sia perché il Partito Comunista e i sindacati di stato non muovono un dito per farli rispettare. Ecco perché la Yue Yuen Industrial Holdings, azienda taiwanese che è considerata il più grande produttore mondiale di scarpe sportive (fra i suoi commettenti può vantare marchi di prestigio come Nike e Adidas) non ha versato per anni i contributi per la pensione ai suoi dipendenti. Mal gliene è incolto, perché non ha tenuto conto dell’evoluzione culturale delle nuove generazioni di operai cinesi, animate da una rabbia e uno spirito combattivo sconosciuti alle precedenti generazioni, e della loro abilità nell’usare i social network come strumenti di organizzazione e mobilitazione dal basso.
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Siamo in pieno fascismo, spiegatelo agli antifascisti
È appena trascorso il 25 aprile, Festa della Liberazione, e può essere utile svolgere alcune considerazioni sullo statuto dell’antifascismo all’interno della nostra società. Fermo restando il valore dell’antifascismo quando era presente il fascismo (l’antifascismo di Gramsci e di Gobetti, per intenderci), occorre interrogarsi sul senso e sul valore dell’odierno antifascismo in assenza completa di fascismo. A un primo sguardo, mi pare potersi così compendiare il paradosso dell’odierno antifascismo a sessant’anni dalla fine del fascismo: se per fascismo intendiamo il fascismo storico mussoliniano, esso si è estinto da ormai più di cinquant’anni e non ha senso, dunque, la sopravvivenza dell’-anti alla realtà cui l’-anti si contrapponeva. Se per fascismo intendiamo genericamente la violenza, oggi allora il fascismo è l’economia capitalistica (Fiscal Compact, debito, precariato, ecc.), ossia ciò che gli odierni sedicenti antifascisti accettano in silenzio.Morale? Variante ideologica del neoliberismo trionfante, l’antifascismo oggi è solo un alibi per non essere anticapitalisti, una volgare scusa per combattere un nemico che non c’è più e accettare vigliaccamente quello esistente, il capitalismo. La divisione dell’immaginario politico secondo la bipartizione fascisti-antifascisti, ma poi anche la divisione tra una destra e una sinistra che, al di là dei nomi, risultano interscambiabili, è una preziosa risorsa simbolica per l’assoggettamento dell’opinione pubblica al profilo culturale del monoteismo del mercato, invisibile al cospetto del proliferare di tali opposizioni. Essere antifascisti in assenza completa del fascismo o anticomunisti a vent’anni dall’estinzione del comunismo storico novecentesco costituisce un alibi per non essere anticapitalisti, facendo slittare la passione della critica dalla contraddizione reale a quella irreale perché non più sussistente.L’antifascismo svolge oggi il ruolo di fondazione e di mantenimento dell’identità di una sinistra ormai conciliata con l’ordine neoliberale, che deve dirsi antifascista per non essere anticapitalista, che deve combattere il manganello passato e non più esistente per accettare in silenzio quello invisibile se non nei suoi effetti (ingiustizia, miseria e storture d’ogni sorta hanno, privatizzazioni e precarizzazione, ecc.). Quanta insistenza sul passato è necessaria per non vedere il presente? Quanto occorre insistere sugli orrori fortunatamente estinti per far sì che la gente non si accorga nemmeno più di quelli oggi dominanti? Quanta foga nel denunciare tutte le violenze che non siano quelle silenziose dell’economia e del mercato! Il manganello oggi ha cambiato forma, ma si fa ugualmente sentire: si chiama violenza economica, taglio delle spesa pubblica, precariato, rimozione dei diritti sociali, selvagge politiche neoliberali all’insegna dello “Stato minimo”.(Diego Fusaro, “Il paradosso dell’odierno antifascismo”, da “Lo Spiffero” del 28 aprile 2014).È appena trascorso il 25 aprile, Festa della Liberazione, e può essere utile svolgere alcune considerazioni sullo statuto dell’antifascismo all’interno della nostra società. Fermo restando il valore dell’antifascismo quando era presente il fascismo (l’antifascismo di Gramsci e di Gobetti, per intenderci), occorre interrogarsi sul senso e sul valore dell’odierno antifascismo in assenza completa di fascismo. A un primo sguardo, mi pare potersi così compendiare il paradosso dell’odierno antifascismo a sessant’anni dalla fine del fascismo: se per fascismo intendiamo il fascismo storico mussoliniano, esso si è estinto da ormai più di cinquant’anni e non ha senso, dunque, la sopravvivenza dell’-anti alla realtà cui l’-anti si contrapponeva. Se per fascismo intendiamo genericamente la violenza, oggi allora il fascismo è l’economia capitalistica (Fiscal Compact, debito, precariato, ecc.), ossia ciò che gli odierni sedicenti antifascisti accettano in silenzio.
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Un lavoro dignitoso? Non l’avrai mai più, grazie al Pd
I giovani sono serviti: non avranno mai più un lavoro decente, sicuro, dignitoso. La soddisfazione con cui i partiti di centrodestra hanno salutato l’ultima versione del decreto su contratti a termine e apprendistato è «la miglior certificazione non solo degli ulteriori e quasi incredibili peggioramenti di una legge già pessima, ma della vera e propria bancarotta – non c’è altra parola – della rappresentanza parlamentare del Partito Democratico». Con la sola eccezione di Stefano Fassina, rileva Piergiovanni Alleva, i parlamentari del Pd «si sono lasciati soggiogare da alcuni notissimi nemici storici dei lavoratori e dei sindacati», a cominciare dall’ex ministro Maurizio Sacconi, accettando un testo normativo «che mai i governi Berlusconi sarebbero riusciti ad ottenere a scapito dei lavoratori, e di cui invece il “democratico” Renzi e il “comunista” Poletti vanno invece addirittura fieri». Sono loro, i portabandiera della sinistra ufficiale, a seppellire lo Statuto dei Lavoratori su cui si sono basati decenni di sviluppo sociale nell’Italia del benessere.Col decreto Poletti, osserva Alleva in un articolo sul “Manifesto” ripreso da “Micromega”, i contratti a termine diventano “acausali”: possono essere conclusi senza una motivazione specifica. Unico obiettivo: «Tenere il lavoratore sotto il perpetuo ricatto del mancato rinnovo», senza più neppure sperare in una conferma a tempo indeterminato dopo 36 mesi, perché per questo occorrerebbe un ulteriore contratto: perché mai concederlo, visto che sarebbe più conveniente assumere un nuovo precario? Certo, ricorrere al turn-over dei precari non favorisce certo la competitività dell’azienda sul piano della qualità: ma è appunto questa, come denunciano molti osservatori, la tendenza a cui l’impresa italiana si è andata rassegnando. Meglio produzioni di bassa qualità, ovviamente a basso costo, per tentare di competere sul mercato mondiale globalizzato. Problemi che non esisterebbero se invece si puntasse sul mercato interno dei consumi, sulle filiere corte.Alleva si sofferma sull’ipocrisia del Pd, che ha «trangugiato con la massima indifferenza la “acausalità” e fissato, in cambio, un falso obiettivo, onde poter poi vantare falsi successi». Il falso obiettivo: «Ridurre le possibili proroghe di un contratto “acausale” da 8 a 5», il che però «non sposta di un millimetro il problema del potere ricattatorio consegnato al datore». Anche perché, come subito notato dai giuristi, «una cosa è la proroga di un contratto, altra cosa è il suo rinnovo, ossia la stipula di un altro successivo contratto del tutto analogo». In altre parole, «dopo avere prorogato per cinque volte un contratto acausale a termine, niente impedisce di stipulare un altro contratto simile con le sue cinque proroghe, e così via». Eppure, insiste Alleva, «i parlamentari Pd hanno avuto il coraggio di vantare questo inganno, o autoinganno, come un successo politico».Altro fronte di degradazione definitiva del mercato del lavoro, l’argine del “contingentamento” dei precari, in percentuale ai lavoratori a tempo indeterminato: una misura di salvaguardia, introdotta nel 1987. Nella sua versione originaria, prosegue Alleva, lo stesso decreto Poletti prevedeva una percentuale massima del 20% di contratti a termine per azienda, ma ora il limite è stato aggirato. Restava un ultimo punto: l’obbligo di trasformare in lavoratori stabili i dipendenti a termine, una volta superata la soglia del 20%. «Ebbene, anche su questo i parlamentari del Pd sono stati pronti al grosso passo indietro, a genuflettersi ai Poletti, ai Sacconi, agli Ichino ed ad accettare che il testo normativo preveda, invece della trasformazione, una semplice sanzione amministrativa per lo “sforamento”». Per Alleva, è come se si concedesse a chi dà lavoro in nero di non essere più obbligato a mettere in regola il lavoratore. «Si tratta di un assurdo giuridico, oltre che di una vergogna politica, che l’ineffabile capo dei deputati Pd ed ex ministro del lavoro Cesare Damiano ha avuto il coraggio di definire come “differenza minimale” rispetto al testo originario».Conclude Alleva: «Alla prova dei fatti, tra le forze politiche rappresentate in Parlamento solo i deputati di Sel e del “Movimento 5 Stelle” hanno tenuto un comportamento coerente, limpido e di appassionata difesa della dignità dei lavoratori». Ora, dopo lo scontato voto di fiducia «che consentirà di consumare definitivamente questo vero crimine sociale», la parola dovrà passare «a quanti, nei movimenti e nella società civile, hanno davvero a cuore i diritti dei lavoratori, cercando di rivendicarli anche nelle aule di giustizia italiane ed europee». Sempre che parola “giustizia”, naturalmente, ridiventi coniugabile – in un futuro indefinito – con la parola “Europa”, cioè con la tecnocrazia neoliberista del Fiscal Compact del Trattato Transatlantico che mira esattamente a ridurre a zero le protezioni dello Stato verso i lavoratori, con l’unico obiettivo di far aumentare in modo esplosivo i profitti dei vertici industriali e finanziari, a scapito di lavoratori trasformati in schiavi sottopagati e precari. Operazione a cui, in questi anni – a tappe forzate (trattati europei) – proprio il centrosinistra ha dato un contributo determinante. Buon ultimo Matteo Renzi: sta servendo ai poteri forti, su un piatto d’argento, le atroci “riforme strutturali” invocate da Mario Monti e Elsa Fornero.I giovani sono serviti: non avranno mai più un lavoro decente, sicuro, dignitoso. La soddisfazione con cui i partiti di centrodestra hanno salutato l’ultima versione del decreto su contratti a termine e apprendistato è «la miglior certificazione non solo degli ulteriori e quasi incredibili peggioramenti di una legge già pessima, ma della vera e propria bancarotta – non c’è altra parola – della rappresentanza parlamentare del Partito Democratico». Con la sola eccezione di Stefano Fassina, rileva Piergiovanni Alleva, i parlamentari del Pd «si sono lasciati soggiogare da alcuni notissimi nemici storici dei lavoratori e dei sindacati», a cominciare dall’ex ministro Maurizio Sacconi, accettando un testo normativo «che mai i governi Berlusconi sarebbero riusciti ad ottenere a scapito dei lavoratori, e di cui invece il “democratico” Renzi e il “comunista” Poletti vanno invece addirittura fieri». Sono loro, i portabandiera della sinistra ufficiale, a seppellire lo Statuto dei Lavoratori su cui si sono basati decenni di sviluppo sociale nell’Italia del benessere.
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Barnard: neo-feudalesimo, chi e perché ci ha rovinato
Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti, soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di Neofeudalesimo. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri. Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?Il massimo storico dell’Olocausto mai esistito si chiamava Prof. Raul Hilberg. Il suo monumentale volume “La Distruzione degli Ebrei d’Europa” racconta fra la tante cose un fatto proprio ‘irragionevole’ e ‘non-plausibile’, una cosa che si direbbe pazzesca. Ed è che, nella civilissima Germania degli anni ’40 del XX secolo, la macchina mostruosa dell’Olocausto si compose precisamente di due componenti: a) di un’ideologia divenuta fede – cioè che l’ebreo andava eliminato per la salvezza del continente Europa; b) e di una, si faccia attenzione!, macchina burocratica di sterminio AUTOPROPAGATASI autopropagatosi, cioè non comandata dall’alto né pianificata dai vertici nazisti. Ovvero di un moto perpetuo e autonomo che creava pezzi della macchina di sterminio man mano che questo moto passava da una testa all’altra, da una burocrazia all’altra, da una regione all’altra, da un’autorità locale all’altra, in Germania come in Polonia.Nessun decreto di Hitler con le parole “gassateli”, nessun comando berlinese di ingegneri pianificatori dei campi di concentramento, nessuna riunione del Terzo Reich dove ogni sei mesi si faceva il punto dello sterminio. Ma, ripeto, un moto AUTOPROPAGATOSI autopropagatosi da un’ideologia/fede e che ha finito col ricomporsi SPONTANEAMENTE spontaneamente in un Olocausto gestito da migliaia di pezzetti burocratici autonomi senza alcuna gestione centrale. Non so se vi è chiaro, ma tutto questo ha dell’incredibile, eppure fu così, lo decreta il massimo storico del Nazismo mai esistito. Ora… immaginate se un’autorità della statura immensa come quella del Prof. Raul Hilberg avesse scritto di tutto ciò, previsto tutto ciò, negli anni dell’ascesa al potere di Hitler. Ma è straovvio: lo avrebbero squalificato come un mentecatto delirante e un complottista, probabilmente anche dagli stessi ebrei tedeschi. Facile, come bere un bicchier d’acqua.E qui arrivo al nostro NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo. Il mio lavoro di oggi, dopo il saggio “Il Più Grande Crimine 2011”, sta svelando una pianificazione di quasi un secolo da parte delle élite Tradizionaliste Neofeudali europee, cioè il Vero Potere, per riprendersi il dominio perduto dall’Illuminismo in poi; per, soprattutto, re-imporre alle “masse ignoranti” d’Europa un GIUSTO ORDINE giusto ordine che ne avrebbe evitato, a loro parere, la degenerazione in un modello di ‘depravata democrazia all’americana’. Il GIUSTO ORDINE giusto ordine significava e significa oggi per loro l’assoluto controllo di una élite non-eletta su centinaia di milioni di cittadini europei sempre più impoveriti, e quindi resi servi impotenti. E lo strumento che queste élite Neofeudali hanno usato per portare al successo quella pianificazione è l’UNIONE MONETARIA EUROPEA Unione Monetaria Europea, oggi chiamata Eurozona, che infatti sta ottenendo la devastazione della democrazia e degli standard di vita in tutta Europa, con crolli di quegli standard e dell’economia della piccola-media borghesia di proporzioni indicibili. Ebbene, ricordate Hilberg: facile per i tromboni servi del Vero Potere ridicolizzare me e le mie autorevoli fonti accademiche come complottisti. Ma non lo siamo. Noi vi stiamo raccontando il prossimo Olocausto, dove nei campi di sterminio è già oggi finita la DEMOCRAZIA democrazia.Elite Tradizionaliste Neofeudali: da dove nascono? E cosa hanno fatto?Per semplificare un racconto immenso, parto dal New Deal di Franklyn D. Roosevelt. Quando la notizia di quella rivoluzione sociale ed economica americana giunse in Europa, essa fu accolta dai discendenti delle famiglie dominanti e dai maggiori capitani d’industria, i Tradizionalisti Neofeudali, con orrore. Niente meno che orrore. Ma che stava facendo quel pazzo degenerato di Roosevelt?, pensarono. Dio! Stava usando i soldi dello Stato per creare dei “falsi diritti” per le “masse ignoranti”, per i disoccupati, e gli stava migliorando lo standard di vita! Questo era anatema per Tradizionalisti Neofeudali, per due motivi: lo Stato Usa, poiché possessore di una moneta sovrana, aveva in mano uno strumento di potere di fuoco infinito per far avanzare proprio le spregevoli “masse ignoranti”, e questo poteva contagiare anche gli Stati d’Europa. Andava evitato a tutti i costi; e una volta che le “masse ignoranti” avessero ottenuto abbastanza diritti e benessere, sarebbero divenute troppo potenti e avrebbero definitivamente distrutto i VALORI DEL GIUSTO ORDINE SOCIALE valori del giusto ordine sociale perduto dopo il crollo dei feudalesimi a favore della democrazia.Questi valori sono: a) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle élite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI sovranazionali rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali (vi dice già qualcosa….?); b) una vita di permanente povertà o scarsità delle “masse ignoranti” per non alzare troppo la testa sopra il regno della Chiesa vaticana, fedele alleata della restaurazione del GIUSTO ORDINE giusto ordine; c) da quella scarsità doveva venire paura e insicurezza continua delle “masse ignoranti” per cementare tutto ciò. Un esempio concreto: essi pensarono che con “masse ignoranti” rese benestanti ‘all’americana’ non sarebbe più stato possibile spedire milioni di poveracci a crepare come maiali al macello nelle trincee di una guerra Neofeudale (I Guerra Mondiale), o in avventure coloniali dello stesso stampo; non sarebbe più stato possibile estrarre manodopera della gleba per i loro conglomerati industriali.Ora ecco chi erano i Tradizionalisti Neofeudali. Il primo gruppo si riunì fra le due Grandi Guerre attorno al Comité des Forges in Francia, finanziato dalla famiglia Wendel e dai tedeschi Krupp, con interventi finanziari di non poco conto della Banca di Francia. Erano politici, principalmente, ma raccoglievano le idee di pensatori noti, da Junger a Keyserling, Heidegger, Jouvenel, Perroux, Mounier, Céline, naturalmente selezionandone le analisi più convenienti per il loro sogno di restaurazione del GIUSTO ORDINE giusto ordine, e scartandone molte altre (ad eccezione di Perroux che fu preso e copia-incollato da cima a fondo). Gli economisti di riferimento erano i Neoclassici più noti allora: Walras, Jevons, Menger. Questo primo drappello fu immediatamente ingrossato nelle sue fila dai maggiori industriali nordeuropei (franco-tedeschi soprattutto, il cosiddetto cartello dell’acciaio-carbone), dalle famiglie nobili, prima fra tutte la famiglia tedesca dei Thurn Und Taxis e i belgi Davignon e Boel, i Reali allora esistenti in Europa (esclusa la Gran Bretagna) e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufen (non posso qui elencare tutti questi ‘rentiers’ europei, ma sono migliaia di famiglie).Se ne deduce che era principalmente un ‘asse’ franco-tedesco, ed aveva un progetto ben preciso: sottomettere a quasi servitù intere nazioni europee a cominciare da Italia, Portogallo, Spagna, il Benelux e anche gli scandinavi. L’Europa dell’est neppure era presa in considerazione, la consideravano territorio coloniale come l’Africa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i Tradizionalisti Neofeudali avevano due visioni nette: la prima era che la ‘democrazia dei consumi’ d’oltreoceano avrebbe finito per corrompere quella società con i valori ‘depravati’ del benessere minimo della gente, fino alla sua distruzione. Infatti il capitalismo americano, per quanto infestato di imperfezioni, doveva (e deve) mantenere in vita un minimo di spesa pubblica per evitare il collasso totale dei consumi, che è contrario agli interessi delle corporations, e quindi doveva (e deve) mantenere le strutture democratiche di: governo sovrano, Parlamento che decide la spesa (Congresso) e Banca Centrale che la finanza (Fed). Tutti elementi, questi, che per i Tradizionalisti Neofeudali erano bestemmie politiche allo stato puro che avrebbero affondato gli Usa celebrando la vittoria della loro Europa neofeudale.La seconda visione era che appunto l’Europa non avrebbe mai dovuto diventare un modello americano di Stati Uniti d’Europa con un governo centrale democraticamente eletto, un Tesoro comune e Banca Centrale a garanzia dei debiti pubblici (vi dice già qualcosa…..?). Il fatto è che in America nessun singolo Potere era, ed è mai riuscito badate bene, come invece in Europa oggi proprio al culmine del sogno Neofeudale, a impossessarsi di tutti e tre i poteri fondamentali delle élite: il potere economico, quello politico e quello di manipolazione delle masse. I Tradizionalisti Neofeudali invece lavorarono proprio per impossessarsi di tutti e tre questi poteri, con un successo tragico oggi chiamato Unione Europea / Eurozona.Ora torniamo al loro valore numero uno, sopradescritto come: a) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle élite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI sovranazionali rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali. La domanda che si posero fu come ottenere una struttura simile. La risposta che gli arrivò fu lampante: creare una UNIONE MONETARIA Unione Monetaria che, privando gli Stati della loro moneta, li distruggeva di fatto totalmente e li assoggettava ai gestori esterni, sovranazionali, di quella UNIONE Unione. Uno Stato senza portafoglio è un eunuco, anche meno di questo, è come un padre di famiglia senza reddito, il cui Parlamento diventa una facciata di cartapesta: democrazia MORTA morta. Di conseguenza le “masse ignoranti” sarebbero andate allo sbando e crollate nella deflazione permanente del loro standard di vita (vi dice già qualcosa….?), esattamente lo scopo dei Tradizionalisti Neofeudali.La sopraccitata risposta gli fu servita da quattro uomini: Robert Schuman, lobbista dell’industria pesante francese di acciaio e carbone, e un prediletto del Vaticano, uomo di collegamento coi trust dell’acciao-carbone tedeschi; Jean Monnet, banchiere, esperto di finanza, e uomo strategico perché in buoni rapporti con gli Usa; Walter Funk, presidente della Reichsbank (1943); e Francois Perroux, economista, il vero cervello dietro la moneta unica e il modello di Banca Centrale Europea che poi sarebbe venuto, un filonazista puro (almeno fino a che non giudicò Hitler troppo ‘soffice’), con cui lavorava un altro economista di pura tradizione neofeudale, Jaques Rueff.I Neofeudali di Francia e Germania, a quel tempo – e qui stiamo già parlando dei primi anni dopo il 1945 – capirono però che non potevano portare avanti un progetto di rottura così violento coi valori americani, perché l’Europa ridotta a macerie era appesa alla tetta di Washington disperatamente. Qui fu la furbizia di Monnet a fare il trucco. Monnet semplicemente descrisse il micidiale progetto neofeudale della UNIONE MONETARIA Unione Monetaria ai presidenti Usa Truman e Eisenhower come un’unione europea di nazioni retta da un governo di saggi in funzione anti-sovietica! Un muro contro il ‘pericolo rosso’. Non solo, Monnet disse agli americani che la Banca di Francia avrebbe continuato a finanziare la Germania dell’ovest, visto che i Wendel erano di fatto i padroni della banca. Washington ci cascò, e rimase totalmente inconsapevole della vera natura del progetto descritta sopra, e del suo odio feroce per qualsiasi modello americano.Prima di proseguire, va spiegata una cosa di una importanza cruciale, ma veramente assoluta. Quando parliamo di uomini del Vero Potere, tendiamo automaticamente a pensare a questi vampiri che siedono su castelli stracolmi di oro, ricchezze, fortune immani, e che fanno ciò che fanno a milioni di innocenti per pura arrogante avidità. No. Fermi. Personaggi di questa matrice esistono certamente, ma sono più gli americani a essere di quella pasta, come alcuni europei certo, ma NON non i Tradizionalisti Neofeudali. No, no e no. Essi, dovete capirlo, lavorarono, e oggi lavorano, solo per due motivi: a) Un senso di investitura divina al DIRITTO diritto di governare le “masse ignoranti”, esattamente come i loro antenati in epoca feudale. Ma soprattutto… b) Un senso del DOVERE dovere, cioè di dover fare quello che fanno, se no, essi sono convinti, il mondo del GIUSTO ORDINE SOCIALE giusto ordine sociale verrà travolto dalla depravazione di quel mostro purulento chiamato democrazia, che per loro è la fonte della fine di ogni valore, di ogni buon senso, la fonte della fine di tutto. Loro DEVONO devono salvarsi e salvarci, a costo di ammassare montagne di cadaveri.Ricordate bene: un uomo come l’attuale presidente del Consiglio Europeo, il super-Neofeudale Herman Von Rompuy, o un uomo come Mario Monti, ne sono convinti fin nel midollo. Così Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, così erano Padoa Schioppa e soci. Ecco perché non mostrano un milligrammo di pietà umana per le sofferenze di milioni di europei oggi (vedi Grecia). Pensano che essa è la giusta via del SACRIFICIO sacrificio per impedire a tutto il continente di sprofondare nella sparizione finale dei loro ‘GIUSTI VALORI’ ‘giusti valori’. Lo Stato non dovrà MAI PIU’ mai più garantire alle masse i “falsi diritti” del welfare, della democrazia, del benessere in crescita (non vi dice già qualcosa….?).In questo i Tradizionalisti Neofeudali odierni derivano la loro ideologia non solo dai personaggi sopraccitati, ma anche da Heidegger, Hitler, Goebbels, Funk e Schacht, tutti autori di scritti e noti discorsi contro la ‘perversione’ del New Deal di Roosevelt, cioè del modello di Stato interventista nel sociale, e a favore invece della supremazia delle elite su Stati imbelli. Ma la derivano soprattutto (Monti fra i primi) da colui che si contende il titolo di ‘Il più sociopatico economista mai vissuto’ con Robert Malthus, cioè Friedrich Von Hayek, della cosiddetta scuola austriaca, un vero razzista di proporzioni epiche, l’uomo che scrisse di poter tollerare un minimo di Stato Sociale ma solo «per impedire ai poveri di esasperarsi al punto da divenire un pericolo fisico per le classi dominanti» (sic). E’ l’uomo che dopo il francese Perroux si batté per impedire l’accesso delle “masse ignoranti” all’istruzione pubblica, considerata pericolosa perché avrebbe fatto comprendere alle masse l’economia.Il salto del Neofeudalesimo dei Tradizionalisti al Vero Potere Neofeudale del giorno d’oggi.Non vi faccio perdere tempo. La nascita dell’Unione Europea è roba stranota come tappe formali: Piano Schuman 1949, la Ceca nel 1951, il Trattato di Roma 1957, nel 1967 la Comunità Europea (Ce), nel 1979 eleggemmo il primo Parlamento Europeo, poi arriva il 1993 quando nasce l’Unione Europea col Trattato di Maastricht, che sancì una serie di riforme eclatanti, fra cui dal 1° gennaio 2002 quella dell’euro come moneta unica per i suoi membri. La nostra Banca Centrale Europea di oggi è stata modellata precisamente sulle indicazioni del tradizionalista neofeudale François Perroux, che già allora scrisse quelli che oggi sono i comandamenti della Bce: impedire agli Stati di spendere a deficit per il terrore dell’inflazione; le crisi si curano con Austerità feroci, cioè tagli sociali e super-tasse; il Mercato Unico deve esser il Signore assoluto senza nessuna interferenza degli Stati; la flessibilità del lavoro è un comandamento imprescindibile. Questo scrisse il neofeudale Perroux nel 1943 (!), e questo è oggi!E sempre stando col francese, ma anche con l’ultra-neofeudale austriaco sopraccitato, Hayek, si viene a sapere che l’idea di sottomettere le banche al potere delle élite neofeudali – oggi in pieno svolgimento con l’Unione Bancaria Ue (………………………..) – fu loro già 60 anni fa. Oggi, le idee tradizionaliste/neofeudali degli anni ’30 di UNIONE MONETARIA Unione Monetariia, Banca Centrale e distruzione della spesa pubblica degli Stati, hanno preso la forma della perversa struttura dell’Eurozona, con l’UNIONE MONETARIA Unione Monetaria, la Bce e le AUSTERITA’ austerità. Queste perfette riproduzioni del vecchio progetto tradizionalista neofeudale hanno di fatto spogliato totalmente gli Stati ex sovrani di ogni reale potere consegnandolo a élite non-elette (Commissione Ue), e ne hanno esautorato i Parlamenti con i Trattati Ue sovranazionali che sono superiori in autorità alle nostre leggi, cioè il sogno neofeudale come detto più sopra.Ora notate però una cosa: il progetto tradizionalista neofeudale ha tolto tutto allo Stato nazionale meno una cosa: il potere di polizia fiscale, proprio per imporre a milioni di esasperati cittadini gli orrori del ‘giusto sacrificio’ del GIUSTO ORDINE giusto ordine neofeudale, che io ho battezzato coi nomi di Economicidio e Chemiotassazione. Bene, anche questa idea risale al club di Perroux, Funk, Rueff e soci, altra mostruosità neofeudale presente sulla soglia di casa di milioni di noi oggi. Ma chi sono oggi i portatori dell’oscena torcia Neofeudale nella Ue? Cioè: CHI SONO GLI UOMINI CHE HANNO RACCOLTO L’EREDITA’ DEL PIANO TRADIZIONALISTA NEOFEUDALE DEGLI ANNI ’30, E CHE LA STANNO PORTANDO ALLA VITTORIA CON LA DEVASTAZIONE DI TUTTE LE NOSTRE EX DEMOCRAZIE, CON DISOCCUPAZIONE RECORD, PAURA SOCIALE, E DEFLAZIONE ECONOMICA PERMANENTE AI MASSIMI LIVELLI DA 70 ANNI CREATE A TAVOLINO DALL’EUROZONA E DAI SUOI TRATTATI?Chi sono gli uomini che hanno raccolto l’eredità del piano tradizionalista neofeudale degli anni ‘30, e che la stanno portando alla vittoria con la devastazione di tutte nostre ex democrazie, con disoccupazione record, paura sociale e deflazione economica permanente ai massimi livelli da 70 anni, create a tavolino dall’Eurozona e dai suoi trattati?Ne ho già nominati alcuni, cioè Herman Von Rompuy, Mario Monti, Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, Barroso, così era Padoa Schioppa. Aggiungo alcuni altri colossi neofeudali: Jaques Attali, Jaques Santer, lo fu François Mitterrand, Jean-Claude Trichet, poi Giuliano Amato, Romano Prodi, Theo Weigel, col codazzo di centinaia di vassalli tecnocrati come gli italiani Marco Buti e Massimo Tononi. Vi si aggiunge la corte di latifondisti, nobili e massoni ammorbati di Opus Dei che si riuniscono attorno a Etienne Davignon e al famigerato club Bilderberg, sempre potentissimi. Poi il micidiale Jaques Delors, l’uomo di devota ‘scuola Perroux’ che ha tenuto le massime redini d’Europa (presidente della Commissione Europea, il vero potere Ue) per tutti i 10 anni cruciali del passaggio dalle democrazie degli anni ’70 agli Stati fantoccio del dopo-Maastricht, Eurozona. Poi non si dimentichino le correnti tedesche di economia della Scuola di Berlino e di Bremen, con il cosiddetto ‘Ordo-Liberismo’ di Walter Eucken che ha spacciato a generazioni di gonzi tedeschi il Neofeudalesimo come corrente sociale!Ma qui c’è un altro passaggio da capire, che è cruciale. L’avanzata del NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo, cioè della VERA ANIMA vera anima di tutto quello che a voi raccontano come Eurozona e Unione Europea e che ci sta distruggendo come democrazie, si è servita di una specie di ‘ascensore’ per arrivare invisibile nella stanze del potere. Hanno usato l’economia cosiddetta Neoclassica e quella Neoliberista. Come detto, i Neofeudali hanno usato un’arma principale per ottenere l’abbattimento del potere degli Stati di spendere per la crescita del popolo e della democrazia: l’UNIONE MONETARIA Unione Monetaria che, ripeto, significa 1) bloccare la spesa pubblica 2) creare il terrore dei deficit 3) imprigionare i governi entro spese pubbliche microscopiche 4) quindi paralizzare il flusso di denaro nelle società, portando deflazione economica, fallimenti a catena, disoccupazione alle stelle, paura e insicurezza di tutti 5) e consegnare noi cittadini/aziende nelle mani dei produttori ‘privati’ di denaro, cioè le banche, visto che il produttore di denaro pubblico, lo Stato, è stato castrato.Bene, queste folli regole erano per coincidenza anche il vangelo degli economisti prezzolati dal Vero Potere che si organizzarono per distruggere, per letteralmente polverizzare, tutta l’Economia Sociale nata dal pensiero di Marx, di Keynes, della Robinson, di Kalecki, di Godley, quella cioè che predicava l’esatto opposto: uno Stato DEVE SPENDERE PIU’ DI QUELLO CHE TASSA PER FAR CRESCERE IL 99%, A SCAPITO DELL’1%. Deve spendere più di quello che tassa per far crescere il 99% a scapito dell’1%. Questi economisti prezzolati dal Vero Potere erano e sono appunto i Neoclassici e i Neoliberisti, quelli che (parlando dell’Italia) oggi campeggiano alla Bocconi e sul “Corriere della Sera”, cioè i Giavazzi, gli Alesina, i Boeri, i Mingardi, Stagnaro, Boldrin, ecc. Ma soprattutto i loro ‘superiori’ internazionali come Von Mises, Friedman, Brunner, Tsiang, Meltzer, Lucas, Reinhart e Rogoff, Mankiw.La cosa pietosa di ’sto drappello di venduti con crimini sociali sulla coscienza è che non si sono mai resi conto di essere stati usati come ‘ascensori’ da un potere ben più devastante, quello Neofeudale, che li disprezza persino, considerandoli troppo morbidi nell’opera di annientamento delle “masse ignoranti”, così come Perroux considerava Hitler troppo morbido. Ma i Neofeudali li hanno e li stanno ancora usando. Il problema è che tantissimi antagonisti del Vero Potere credono in buona fede che il nemico da combattere in Ue siano ’ste ‘puttane’ dell’economia Neoclassica e Neoliberista, mentre no! NO!, No!, il nemico ha un altro nome: NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo. Ma naturalmente…. Barnard è un complottista… eh? Cari miei economisti ‘di sinistra’ eteroignari alla Brancaccio, Zezza o Bellofiore? Non avete ancora capito NIENTE niente del Vero gioco, sciocchi.Il grande paradosso capitalistico.Una domanda, sono certo, vi ha già percorso la mente da un bel po’. Questa: ma le classi capitaliste europee non la vedono la contraddizione fra la dottrina ormai dilagante del Neofeudalesimo e i loro interessi? Non lo vedono che distruggere la ricchezza immessa dallo Stato in cittadini/aziende (la spesa pubblica), creare così deflazione permanente e ridurre alla semi-povertà milioni di europei li danneggia nei commerci di beni e servizi e quindi nei profitti? La risposta a questa domanda è sempre – come tutto è quando si parla di Vero Potere, e così come nell’esempio iniziale dell’Olocausto – scioccante e incredibile. La semplifico. Uno dei colossi dell’economia sociale, quella dell’INTERESSE PUBBLICO Interesse Pubblico, e naturalmente sepolto e dimenticato, era Michal Kalecki, polacco. Già lui negli anni ’40 del XX secolo ci avvisava della miopia, MIOPIA, miopia, permanente e irrimediabile della classe capitalista imprenditrice. Disse Kalecki che, contrariamente a tutte le evidenze della scienza economica, gli imprenditori nascono, crescono e muoiono con stampato nel loro cervello il Dogma secondo cui un’azienda profitta se paga i lavoratori il meno possibile. E questo, già ai tempi del geniale polacco, valeva per il gigante Krupp come per il salumaio di quartiere.Oggi questa demenziale distorsione mentale esiste identica in tutta la classe imprenditrice europea, dalla Fiat o Siemens, alle piccole medie imprese, al bar. Non è valso nulla che un altro genio dell’economia sociale come John Maynard Keynes abbia dimostrato all’infinito che il “Paradosso del Risparmio” è una rovina di tutto il ciclo economico mondiale: se si pagano poco i lavoratori, se si risparmia e non si spende, crolla il flusso di liquidità che è proprio quello che fa crescere aziende ed economia, che permette gli investimenti e infine i profitti stessi. E’ lampante no? Ma no. Non è valso a nulla che Marx nell’800 o che Godley pochi decenni fa abbiano spiegato ai capitalisti i precisi meccanismi della creazione del profitto, che richiede SEMPRE sempre l’esistenza di categorie di salariati capaci di spendere bene a favore di altre categorie (e se possibile senza ricorrere al debito con le banche) con, come fornitore di liquidità di ultima istanza, lo Stato. No. Niente. I capitalisti non lo capivano, e non lo capiscono ancora oggi.Gli imprenditori colossi, ma anche quelli medi e piccoli, non la vogliono capire. E allora ecco che si spiega perché il fanatismo dei Neoclassici di ridurre tutti i salari a livelli di semi-povertà gli va a genio perfettamente. E’ il trionfo del loro istinto idiota di dominare i dipendenti credendo di trarne profitto. E’ il trionfo della cocciuta stupidità dell’imprenditore che NON CAPISCE MAI, non capisce mai, MAI NULLA DEI FONDAMENTALI DELLA MACROECONOMIA KEYNESIANA, mai nulla dei fondamentali della macroeconomia keynesiana, che invece farebbe la fortuna sua e dei suoi dipendenti allo stesso tempo. Pensate, in questo contesto, al fenomeno delle mega-fusioni e acquisizioni industriali e bancarie. Spiego: da diversi anni assistiamo a una corsa maniacale di corporations e banche ad acquistare rivali, o aziende minori, per creare questi colossi sempre più immensi. Cito solo la tedesca Audi o la Deutsche Bank, perché la Germania è oggi lo Stato che più al mondo corre per gonfiare in modo mostruoso le dimensioni delle proprie maggiori aziende; ma anche la nostra Unicredit, Eni o Enel tentano espansioni simili, e altri esempi sono infiniti. Il punto che hanno in comune tutti questi operatori del mega-capitale è sempre il medesimo: tagliare i costi e i salari.Cosa stanno facendo questi sciagurati? Semplice: obbediscono all’ordine Neofeudale secondo cui, appunto, l’immane concentrazione del potere dei Signori deve ritornare agli splendori dei secoli IX o XII, con servitù della gleba come manodopera sia di colletti bianchi che blu. E di nuovo non comprendono che questo deprimerà proprio l’economia su cui vivono. No! Comandare è più importante per loro, del resto sono ciechi. E poi si faccia attenzione: i Neofeudali sanno benissimo che una volta che una Corporation o una banca divengono ipertroficamente colossali, è impossibile per qualsiasi Stato lasciarle fallire quando l’economia che esse stesse hanno depresso, come detto sopra, collassa, perché finirebbero per trascinarsi dietro mezzo mondo. E allora gli Stati devono usare il denaro pubblico per salvarle, chinando la testa come sguatteri. E perché la chinano? PERCHE’ NON POSSONO PIU’ USARE LA LEGGE DEI PARLAMENTI PER COMANDARE NELL’INTERESSE PUBBLICO, VISTO CHE I NEOFEUDALI SONO OGGI I SOLI POSSESSORI DELLA LEGGE SOVANAZIONALE. Perché non possono più usare la legge dei Parlamenti per comandare nell’Interesse Pubblico, visto che i Neofeudali sono oggi i soli possessori della legge sovranazionale. Attenti a questo passaggio, lo ripeto. Solo i Tecnocrati Neofeudali possono oggi controllare questi colossi industriali e bancari, visto che sono loro, i Neofeudali della Commissione Europea, della Bce o del Consiglio Ue che gestiscono l’arma finale di tutte le armi: LA LEGGE la legge, oggi da loro esclusivamente creata in Ue.La disperazione di un pubblico che non capisce. Cosa va fatto.Una precisazione importantissima per i lettori, che, mi perdonino, non riescono mai bene a capire le ombre del Vero Potere e virano sempre verso un quadro di buoni contro cattivi, chi vince chi perde. No, le cose nel mondo del Vero Potere, specialmente nella sua versione Neofeudale, non stanno così. La guerra è in corso, non è vinta; i Neofeudali hanno indiscutibilmente ottenuto vittorie agghiaccianti, le ho già descritte alla noia, ma ribadisco: basti pensare al fatto che Camera e Senato oggi sono stati resi teatrino di campagna assieme alla nostra Costituzione; basti pensare che l’Italia non ha mai visto un crollo dei consumi come quello odierno dalla fine della II Guerra Mondiale (Istat), con i giovani disoccupati italiani in numeri di livello africano. Io qui vi ho raccontato dell’esistenza di questo mostro e di ciò a cui mira in futuro. Ma ci sono forze antagoniste alla restaurazione finale del NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo in Europa: non sono certo gli attivisti, che non ci capiscono nulla e si rifiutano di capire; non sono certo (perdonate, conato…) i sindacati. Sono alcune forze di capitalismo europeo filo-Usa; è una parte del mondo finanziario, quella più vicina al sistema bancario ‘retail’, cioè piccole-medie banche; ma soprattutto sono le colossali incognite del capitalismo russo e cinese, dell’asse che stanno creando con l’idea di uno Yuan moneta di riserva internazionale sostenuta dal gas/petrolio russo, cioè una rivoluzione economica sempre modellata sugli Stati Uniti che potrebbe spazzare via da sola tutto il progetto neofeudale in pochi anni.Ma per ora i Neofeudali sono qui, a Bruxelles e a Francoforte, e sono micidiali, hanno in mano tutto il potere, TUTTO tutto. E qui arriva la mia disperazione: un pubblico che non capisce. Lo avete capito che tutto ciò che hanno creato i NEOFEUDALI Neofeudali in oltre 70 anni è all’origine della più devastante crisi delle democrazie, dell’economia, dei posti di lavoro, del futuro dei giovani, della tutela sociale dalla fine della II Guerra Mondiale? Lo capite che l’urlo dell’operaio del Veneto, che la depressione della famiglia laziale una volta benestante e oggi in crisi, che il collasso dei diritti alla vita dignitosa alla salute alla prosperità di milioni di noi provengono tutti dal progetto Neofeudale, OGGI VINCITORE oggi vincitore? Lo avete capito che quel progetto ha distrutto la spesa pubblica, la sovranità dei Parlamenti e l’economia dell’Interesse Pubblico, per restaurare il GIUSTO ORDINE giusto ordine del regno delle élite sulle “masse ignoranti”? E si chiama Eurozona, Ue dei tecnocrati.Lo avete capito che un fantoccio patetico come Renzi, immediatamente chiamato a obbedienza dalla neofeudale Angela Merkel, conta come una cacca di piccione sul davanzale d’Europa? Lo capite che i politici di Roma sono ridicoli figuranti impotenti e grottescamente ignari di tutto il Vero Potere? Vi è chiaro che gli sbraiti di un cretino di Genova neppure arrivano alla soglia di casa dell’autista di uno come Herman Von Rompuy? Che neppure arrivano all’orecchio della camiciaia di Barnier? Lo avete capito che il Vero Potere va studiato e che dobbiamo contrapporgli una guerra totale combattuta da uomini e donne con pedigree d’acciaio, con una preparazione che spacca un capello con uno sguardo? Che va combattuto da chi ha la seguente idea chiara, limpida e scolpita nell’acciaio della propria determinazione a liberarsi:I NEOFEUDALI CI HANNO SOTTOMESSI, DEPREDATI DI DEMOCRAZIA E DIRITTI, CI HANNO SCHIAVIZZATI USANDO CODICI DI LEGALITA’ DA LORO RESI ‘PLAUSIBILI’, QUANDO INVECE ERANO ‘INIMMAGINABILI’, E CI RISERVANO UN FUTURO DA SERVITU’ DELLA GLEBA NEL TERZO MILLENNIO.ORA NOI DOBBIAMO RIPRENDERCI 250 ANNI DI CODICI DI VERA LEGALITA’, QUELLA CHE HA PRODOTTO LE PIU’ AVANZATE COSTITUZIONI DEL MONDO PER L’INTERESSE PUBBLICO, E SBATTERGLIELA IN FACCIA, CON IL POTERE RESTITUITO AGLI STATI SOVRANI E AI PARLAMENTI DI FERMARLI E DI ARRESTARLI, DI PROCESSARLI PER I LORO IMMANI CRIMINI, E DI FARLI SPARIRE.I Neofeudali ci hanno sottomessi, depredati di democrazia e diritti, ci hanno schiavizzati usando codici di legalità da loro resi ‘plausibili’, quando invece erano ‘inimmaginabili’, e ci riservano un futuro da servitù della gleba nel terzo millennio.Ora noi dobbiamo riprenderci 250 anni di vera legalità, quella che ha prodotto le più avanzate Costituzioni del mondo per l’Interesse Pubblico, e sbattergliele in faccia, con il potere restituito agli Stati sovrani e ai Parlamenti di fermarli e di arrestarli, di processarli per i loro immani crimini, e di farli sparire.Questo dobbiamo fare. Significa: l’uscita dell’Italia dall’Eurozona neofeudale, il ripristino della nostra SOVRANITA’ MONETARIA E PARLAMENTARE sovranità monetaria e parlamentare, e l’applicazione in Italia della migliore economia dell’Interesse Pubblico mai esistita: la Mosler Economics Mmt (leggete il Programma di Salvezza Economica per il Paese). Ma significa soprattutto un’altra cosa, caro lettore, cara lettrice: che tu, come me, ritrovi il CORAGGIO coraggio, il coraggio di ribellarti, ora che sai cosa ti stanno facendo. Caro lettore, cara lettrice, senza coraggio siete morti, e saranno morti i vostri figli, e se non avrete coraggio ve lo meritate. Ps: buone elezioni europee… come andare a investire in un pollaio di Vicenza credendo di influenzare la Borsa di New York.(Paolo Barnard, “Il feudalesimo si chiama Eurozona. E’ un mostro. Storia, nomi, fatti”, dal blog di Barnard del 27aprile 2014).Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti, soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di Neofeudalesimo. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri. Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?
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Renzi piace ai mercati? Ovvio: sta per svendere l’Italia
Improvvisamente sembra tutto chiaro. E’ più che un sospetto, e la mente corre al passato: i grandi gestori internazionali non hanno mai dimenticato, con riconoscenza, Romano Prodi, il leader della sinistra moderata che permise lo smantellamento dell’Iri e portò a buon fine le ambitissime privatizzazioni. «Si sa, in Italia certe cose può farle solo la sinistra». Privatizzazioni, ricorda Marcello Foa, che però «si risolsero in un eccellente affare per chi compra e in una fregatura per chi vende o nella sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati». Cose che capitano, ma fanno riflettere. E sorgere qualche dubbio: «Renzi è di sinistra, come Prodi. Come lui è graditissimo a Wall Street, ai grandi fondi come Blackrock, nella City. Ed è più deciso di Enrico Letta che a sua volta godeva di buone credenziali in quegli ambienti ma era troppo lento e prudente: nessuno, nel momento del bisogno, lo ha difeso. Vuoi vedere che la vera missione del mirabolante Matteo Renzi è quella di portare a termine le privatizzazioni, ovvero di svendere quel che resta di buono in Italia?».L’allarme, per Foa, è scattato poco dopo la nomina di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Fonte dell’avvertimento, un amico che lavora nella finanza: «E’ già la terza volta che una grande banca d’affari parla bene della Borsa di Milano e invita a investire nei titoli italiani. Stesso approccio, stesse argomentazioni: non so cosa stia succedendo». Foa controlla sui grandi giornali e sui principali siti web, ma non trova nulla, a parte qualche trafiletto sul “Sole 24 Ore”. «Poi, tra fine marzo e i primi di aprile, l’informazione riservata a pochi privilegiati del mondo bancario, diventa pubblica». I quotidiani iniziano a battere sullo stesso tasto. Inizia “Repubblica” il 26 marzo, con Federico Fubini che avverte: «I fondi pronti a comprare, ma è una fiducia a tempo: riformare spesa e burocrazia». E spiega: «Erano anni che l’Italia non raccoglieva un interesse simile sui mercati».Così, si scopre che pochi giorni prima si è svolto un summit alla Royal Bank of Scotland, nel cuore della City di Londra, tra investitori di primissimo piano: qualcosa come 300 fondi finanziari, che – in aggregato – rappresentano «istituzioni che controllano ogni giorno molte migliaia di miliardi di dollari sui mercati globali». Tra questi, colossi americani come Blackrock, Fidelity, Blackstone, hedge fund di punta come quello di George Soros o Glg, fondi pensione, banche, più l’antica aristrocrazia europea del risparmio gestito con Schroders. «Il 70% degli investitori raccolti ha sì detto che nei prossimi tre mesi “comprerà attivi italiani”». A ruota, il “Corriere della Sera” titola in prima pagina: “Capitali esteri a caccia d’Italia”. Fabrizio Massaro spiega che fondi Usa, arabi e cinesi puntano su Borsa e made in Italy. Nel mirino banche, industria manifatturiera, moda e turismo. E ancora: «Così Goldman Sachs vende il nuovo corso politico. Garzarelli, capoeconomista del colosso Usa: prezzi bassi e nuova stabilità. Rispetto alla Spagna avete fondamentali più solidi. Renzi? Per i mercati è un leader fuori dagli schemi». Anche il “Sole 24 Ore” abbandona il riserbo e titola: “Piazza affari fa il pieno di capitali esteri”.Nell’ultimo mese il tono non è cambiato, aggiunge Foa nel suo blog sul “Giornale”. «La grande finanza internazionale continua a credere all’Italia. E si scoprono altri dettagli interessanti». Ad esempio, che Matteo Renzi ha incontrato il Ceo di Blackrock, Larry Fink, il più grande fondo di investimento al mondo: «Un colosso da 4.300 miliardi di dollari che, se fosse uno Stato, sarebbe la quarta potenza al mondo dopo Usa, Cina e Giappone». Evento salutato da tutti. «Commenti positivi», informa “Radiocor”, mentre la “Repubblica” si entusiasma: «Il più grande fondo del mondo da Renzi, Blackrock crede nella ripresa italiana». Pian piano, continua Foa, il puzzle si compone. «In Italia, lo sappiamo benissimo, la situazione non è certo migliorata rispetto a qualche mese fa. Anzi, a giudicare dai disastrosi dati sulla disoccupazione e dalle cifre record del debito pubblico è persino peggiorata». Ma quei “mercati” – gli stessi che nel 2011 avevano gettato discredito sull’Italia usando arbitrariamente lo strumento dello spread, nonostante il nostro paese fosse uscito meglio di altri dalla crisi dei subprime – ora ignorano le cattive notizie. «L’Italia è diventata, brava, buona, promettente. Da premiare con la “fiducia”».«Non sono un economista – premette Foa – ma ho seguito da vicino tante crisi finanziarie: e questa, proprio, non me la bevo». Infatti, ad attrarre l’interesse dei grandi fondi, delle banche d’affari e delle multinazionali «non sono solo i valori relativamente bassi (ma neanche troppo) di Piazza Affari, c’è dell’altro». E questo “altro” sembra «strettamente connesso all’inaspettata e rapidissima ascesa a Palazzo Chigi di Matteo Renzi». Forse, una chiave la fornisce il “Corriere della Sera”, nell’articolo di Massaro sulla “caccia ai capitali esteri”. «L’acquisto di azioni a Piazza Affari – scrive – potrebbe essere solo un assaggio in vista di quella che si annuncia come la più grande operazione di privatizzazione degli ultimi anni». Parola del neoministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, super-falco neoliberista proveniente dall’Ocse e dalla casta tecnocratica al servizio dell’élite mondiale. E’ proprio Padoan, a Cernobbio, a svelare le carte: avanti tutta con le privatizzazioni, quelle che piacciono tanto ai “mercati”, così pieni di “fiducia” per l’Italia di Renzi.«L’attenzione del mercato è crescente e va sfruttata nel migliore dei modi», dichiara Padoan al “Corriere”. L’obiettivo della nuova ondata di privatizzazioni che si profila? E’ duplice: «Accrescere l’efficienza delle imprese privatizzate e ovviamente ridurre in modo consistente il debito pubblico». Il primo banco di prova potrebbero essere le Poste: «È stato avviato il processo di privatizzazione, è una sfida importante per il paese e verrà sottoposta al vaglio del mercato». Gran parte della fortuna politica del governo, scrive il “Corriere”, si gioca sul successo delle vendite di Stato: l’incasso per il Tesoro potrebbe arrivare a oltre 15 miliardi da Poste (il cui 40% da solo vale 4-5 miliardi), Fincantieri, Enac, Cdp Reti, Sace, Grandi Stazioni, St Microelectronics. «Per i fondi si tratta di comprare a prezzi favorevoli, per le banche d’affari di guadagnare sugli incarichi di vendita». Tutto questo, grazie a Matteo il rottamatore, il nuovo eroe dei “mercati” ammazza-paesi.Improvvisamente sembra tutto chiaro. E’ più che un sospetto, e la mente corre al passato: i grandi gestori internazionali non hanno mai dimenticato, con riconoscenza, Romano Prodi, il leader della sinistra moderata che permise lo smantellamento dell’Iri e portò a buon fine le ambitissime privatizzazioni. «Si sa, in Italia certe cose può farle solo la sinistra». Privatizzazioni, ricorda Marcello Foa, che però «si risolsero in un eccellente affare per chi compra e in una fregatura per chi vende o nella sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati». Cose che capitano, ma fanno riflettere. E sorgere qualche dubbio: «Renzi è di sinistra, come Prodi. Come lui è graditissimo a Wall Street, ai grandi fondi come Blackrock, nella City. Ed è più deciso di Enrico Letta che a sua volta godeva di buone credenziali in quegli ambienti ma era troppo lento e prudente: nessuno, nel momento del bisogno, lo ha difeso. Vuoi vedere che la vera missione del mirabolante Matteo Renzi è quella di portare a termine le privatizzazioni, ovvero di svendere quel che resta di buono in Italia?».
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Chiamateli ultras o black bloc, sono manovalanza impunita
Un ricordo lontano: Genova 2001. Un giovane di borgata, che mi raccontava un strana storia. Una storia di ultras, della Roma e della Lazio, di quelli pieni di diffide, precedenti per rissa e svastiche sulle braccia, convocati in commissariato per una interessante proposta. «Vi va di andare a menare un po’ le mani? Di divertirvi a pestare zecche? Ci sarebbe da andare a Genova». Non ho mai avuto altre conferme, ma quella storia mi è rimasta in testa. Ed è una storia che spiega molti misteri di questa ennesima notte di follia calcistica in finale di Coppa: perché un soggetto come lo sparatore, che aveva persino fatto sospendere un derby, fosse a piede libero dopo una prescrizione rapidissima e in possesso di una pistola; perché un altro soggetto vicino alla camorra, come Genny ‘a carogna, potesse mettersi a trattare con le forze dell’ordine a nome di un’intera curva ostentando una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto. Immaginatevi un NoTav, con una maglietta del genere, e poi mi dite.Di quali protezioni godono allora i capi ultrá, e soprattutto perché? Si tratta solo di “questioni di sicurezza”, o costoro vengono trattati in guanti bianchi perché sono “a disposizione” per un altro genere di lavori sporchi? Chi sono quei famosi “infiltrati” con i cappucci neri che durante certe manifestazioni da mandare in malora tirano sassi e bruciano cassonetti, costosi poliziotti travestiti o ultras in servizio gratuito, che avranno in cambio dei loro servigi l’impunitá e il rispetto nello stadio? D’altronde, è normale che lo Stato si serva di bassa manovalanza per certi lavoretti, e serve un vivaio che prepari e mantenga il “personale specializzato”. Lo stadio istruisce, lo stadio protegge.Certo, il prezzo da pagare è vedere questori e prefetti che trattano in diretta Tv con Genny ‘a carogna, lo Stato che si umilia davanti alle belve che di nascosto poi userá, ma i gesti di rispetto sono indispensabili. Così come le impunitá, mafia insegna. Ci consola pensare che a tanto schifo non si piega soltanto lo Stato italiano, ma pare essere una prassi di tanti paesi. A Odessa, il 2 maggio, tra coloro che hanno bruciato il palazzo dei sindacati con la gente dentro c’erano tantissimi ultras. Pure loro, mandati a divertirsi e pestare zecche da ordini superiori.(Debora Billi, “Ultras, la bassa manovalanza dello Stato impunita e rispettata”, dal blog “L’Estremista” del 4 maggio 2014).Un ricordo lontano: Genova 2001. Un giovane di borgata, che mi raccontava un strana storia. Una storia di ultras, della Roma e della Lazio, di quelli pieni di diffide, precedenti per rissa e svastiche sulle braccia, convocati in commissariato per una interessante proposta. «Vi va di andare a menare un po’ le mani? Di divertirvi a pestare zecche? Ci sarebbe da andare a Genova». Non ho mai avuto altre conferme, ma quella storia mi è rimasta in testa. Ed è una storia che spiega molti misteri di questa ennesima notte di follia calcistica in finale di Coppa: perché un soggetto come lo sparatore, che aveva persino fatto sospendere un derby, fosse a piede libero dopo una prescrizione rapidissima e in possesso di una pistola; perché un altro soggetto vicino alla camorra, come Genny ‘a carogna, potesse mettersi a trattare con le forze dell’ordine a nome di un’intera curva ostentando una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto. Immaginatevi un NoTav, con una maglietta del genere, e poi mi dite.
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Renzi e il carisma pericoloso di chi non tollera la verità
Sembra impossibile, ma è così. Ogni volta che il nostro paese riscopre il fascino cupo del carisma come extrema ratio, è lì che ritorna, alla velocità della luce: a quell’archetipo tossico che contrappone l’Azione al Pensiero. Il Demiurgo al Riflessivo. Il Fare al Pensare. E addita nell’“intellettuale” il nemico della Patria. Il pedagroso posapiano che rallenta gli arditi. L’ostacolo pignolo al radioso futuro che il piè veloce Achille promette e manterrà. E’ successo una trentina di anni fa con Craxi, nel momento in cui la Prima Repubblica entrava nella sua fase comatosa (ricordate l’invettiva contro gli «intellettuali dei miei stivali»?). E si è ripetuto una ventina di anni or sono, con Berlusconi, quando nacque (male, malissimo) la cosiddetta Seconda Repubblica, nell’odore di fango e nella marcia trionfale dei media. Era successo, con aspetti ben più tragici, quasi un secolo or sono, con la crisi dello Stato liberale e l’avvento del mussolinismo. Succede oggi – si parva licet – con Matteo Renzi, al suo esordio come improbabile salvatore della patria.Ogni volta si è assistito all’esibizione dello stesso lessico, con poche variazioni. E chi richiamava all’opportunità di soffermarsi sulla problematicità dell’accadere, sulla sua complessità non riducibile con le parole magiche, è stato liquidato con una catena di termini che vanno dal postbellico “disfattista” e “imbelle”, al denigratorio “insulso” («insulso intellettuale» fu la formula con cui Mussolini invitò il prefetto di Torino a perseguitare Gobetti) ai più didattici «professoroni» o «professorini» (in qualche caso «professorucoli»), all’enfatico «Soloni» o «sapientoni», oltre i quali la creatività dei critici della critica non sa andare. Né la cosa stupisce. Fa parte dell’ordine delle cose il fastidio per la fatica del pensiero e l’affidamento all’uomo che risolve, tanto più quando non s’intravvedono soluzioni possibili.Quello che può incuriosire, piuttosto, è l’estensione della ragnatela oggi, che giunge a lambire figure che si credevano esenti da queste folgorazioni sulla via del Nazareno: non più i soliti Feltri e Belpietro, se possibile i meno aggressivi per esaurimento delle batterie, ma i Gramellini, i Menichini, le ministreboschi, gli editorialisti dell’“Unità” e di “Europa”, gli spin doctor di complemento del Tg3, su lunghezze d’onda non dissimili dai vari Gasparri (memorabile per volgarità la sua mimica sulla lunghezza delle parrucche di Zagrebelsky e Rodotà, ma non molto diversa da quella del vicedirettore della “Stampa” sulle «vecchie cinture di castità»…), tutti ad accanirsi contro l’intellettuale frenatore, il disincantato disincantatore, lo scettico blu che spegne i sogni, il fastidioso acribioso che cerca sempre il pel nell’uovo alla mensa dei giganti…Non è il carisma guerriero del Benito Mussolini delle origini, uscito dalle tempeste d’acciaio e dalle trincee di fango. E nemmeno quello del Craxi rapinatore di passo (Ghino di Tacco), fondato sul ricorso a una spregiudicatezza inedita nella storia della sinistra italiana nell’assalto alle banche e alle diligenze. O il carisma proprietario e genitale del Berlusconi re del video e delle veline finalmente spogliate. Il suo sembra più il carisma virtuale – e impalpabile — della vertigine. Il trauma della velocità come metafora (e surrogato) dell’energia e come tecnica di convincimento. L’essere ogni volta altrove, rispetto al luogo dei problemi, così da apparirne il solutore (e il salvatore). E’, in fondo, a ben guardare, la tecnica dell’illusionista. Il segreto del prestige, inteso come gioco di prestigio, in cui la rapidità del movimento e l’uso del diversivo – del gesto che distoglie l’attenzione – sono la chiave del successo, e permettono a chi sta sul palco di conquistare la dedizione del pubblico pagante.Renzi in questo è maestro: fa comparire, e subito dopo scomparire, la legge elettorale, una volta verificato che di lì non si passa, subito sostituita, coniglio dal cilindro, dal Jobs Act e dalle slides, esibendo gli 80 euro in busta paga mentre scompaiono in un foulard viola pezzi di sistema sanitario e di servizi sociali o interi blocchi di patrimonio pubblico avviati alla privatizzazione. Dice di aver abolito le Province, come promesso, e quelle se ne stanno sempre lì, intatte sotto il tappeto porpora del tavolo, non più elettive ma pur sempre integre. Prepara la Grecia, ma sembra la Germania. Finge un batter di pugni mentre in realtà batte i tacchi. Ma non importa, gli occhi sognanti del pubblico sono persi nel volo di colombe e guai a chi, restando fermo nel vertiginoso movimento, scruta sotto il mantello per cogliere il trucco. L’odiato intellettuale è odiato per questo. Perché minaccia di svelare il prestige. Di disincantare l’illusione. Nemico condiviso di tutti gli spettatori che, incapaci di partecipare alla soluzione del problema, preferiscono vedersi rappresentata la materializzazione della speranza. La sua filosofia è pericolosa, come lo fu l’occhio ingenuo del bambino che rivelava la nudità del re. Passerà probabilmente, come tutte le infatuazioni. Ma intanto sarà dura.Sembra impossibile, ma è così. Ogni volta che il nostro paese riscopre il fascino cupo del carisma come extrema ratio, è lì che ritorna, alla velocità della luce: a quell’archetipo tossico che contrappone l’Azione al Pensiero. Il Demiurgo al Riflessivo. Il Fare al Pensare. E addita nell’“intellettuale” il nemico della Patria. Il pedagroso posapiano che rallenta gli arditi. L’ostacolo pignolo al radioso futuro che il piè veloce Achille promette e manterrà. E’ successo una trentina di anni fa con Craxi, nel momento in cui la Prima Repubblica entrava nella sua fase comatosa (ricordate l’invettiva contro gli «intellettuali dei miei stivali»?). E si è ripetuto una ventina di anni or sono, con Berlusconi, quando nacque (male, malissimo) la cosiddetta Seconda Repubblica, nell’odore di fango e nella marcia trionfale dei media. Era successo, con aspetti ben più tragici, quasi un secolo or sono, con la crisi dello Stato liberale e l’avvento del mussolinismo. Succede oggi – si parva licet – con Matteo Renzi, al suo esordio come improbabile salvatore della patria.