Archivio del Tag ‘stipendi’
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In questo mondo di ladri: il segreto del sistema-Italia
In questo mondo di ladri i politici arrestati, rinviati a giudizio, condannati occupano interi notiziari. C’è materiale per una biblioteca di Alessandria del crimine. Neppure Ercole riuscirebbe a ripulire dallo sterco la moderna stalla di Augìa che è diventata l’Italia. Per molto meno in altri Paesi la gente sarebbe scesa in piazza, avrebbe assediato il Parlamento. In Italia non succede. Ci si interroga su questo mistero, su questa apparente ignavia, da anni, senza trovare una risposta convincente. Tra le cause c’è la sindrome di Stoccolma per cui un intero popolo si è affezionato ai suoi carnefici, la menzogna trasformata in verità di Regime con l’occupazione di giornali e televisioni, come da piano della P2, la scomparsa dal Parlamento di ogni opposizione con due gemelli, pdl e pdmenoelle, che si sono alternati durante il Ventennio dell’Inciucio con lo stesso programma
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Ecco chi sono i “rentiers” che campano sulla nostra rovina
Crisi epocale, indotta con la “politica della carenza” dalle élites che intendono restaurare l’antico potere feudale su masse sterminate di sudditi, anziché di cittadini. La brutta notizia? Ci stanno riuscendo, truccando le carte: l’austerity diventa una virtù, che tutti accettano. Paolo Barnard, giornalista e saggista, denuncia senza mezzi termini i “rentiers” che sono all’origine della crisi, culminata col disastro dell’Eurozona e la fine delle sovranità finanziarie, a scapito di milioni di cittadini. I nobili di ieri, i latifondisti, gli oligarchi, e ora gli speculatori finanziari. «Scomparsi duchi e baroni, e i latifondisti delle corti borboniche, i “rentiers” hanno dovuto modernizzarsi, cioè apprendere un mestiere almeno di facciata, pur sempre ricavando le loro fortune dal sudore e dalle abilità di altri». Per Barnard, «la famiglia Agnelli in Italia è un esempio». Gli Agnelli, «forse i più inetti produttori di auto del mondo occidentale per quasi un secolo», sono sopravvissuti e hanno goduto di immensi privilegi «grazie allo sfruttamento di generazioni di immigrati meridionali e a sussidi di denaro pubblico in quantità grottesca».
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Barnard: politica della carenza, dobbiamo tornare sudditi
Ci stanno uccidendo, deliberatamente: quella che sembra una crisi accidentale, Paolo Barnard la definisce “politica della carenza”. Un piano prestabilito: con nomi e cognomi, mandanti, moventi, procedure concordate. «Parlo di ciò che colpisce al cuore i diritti umani e la dignità umana riscattati dopo 5.000 anni di abietta schiavitù in Europa». Incredibile ma vero. Peccato che le “sentinelle” dell’Occidente, gli intellettuali, non lo vogliano ammettere: la stragrande maggioranza di loro «sceglie di ignorare gli aspetti più micidiali della recente evoluzione storico-economica europea per un motivo che non è sempre convenienza o asservimento a un potere, ma è qualcosa di molto più umano: terrore». Molti studiosi «si fanno prendere dal panico», causato dal fatto che in effetti «le cose stanno veramente come noi diciamo». Loro non sono equipaggiati per affrontarle, e la violenza della loro reazione – siamo complottisti, pagliacci, prezzolati, dementi – è proporzionale a quel terrore».
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Barnard: come Hayek, Monti odia la giustizia sociale
Sono l’unico in Italia a dire queste cose. Vanno ripetute. L’economista austriaco Friedrich August Hayek così definì il concetto di giustizia sociale: «Una formula vuota, strettamente e interamente vuota e senza significato… Una frase che non significa assolutamente nulla… Un antropomorfismo primitivo… Una superstizione… Come credere alle streghe… Un incubo che oggi rende bei sentimenti come strumenti per la distruzione di tutti i valori della civiltà libera… Una insinuazione disonesta, intellettualmente sconcia, il segno di una demagogia e di un giornalismo squallido di cui gli intellettuali onesti dovrebbero vergognarsi» (da “Social Justice, Socialism and Democracy”, di F. A. Hayek).
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Facciamo come la Danimarca, l’equità conviene a tutti
Cattiva distribuzione dei redditi, debolezza delle imprese, fragilità del sistema bancario e pessima bilancia commerciale. Senza contare «la povertà del pensiero degli economisti». Questa la diagnosi della “grande crisi” del 1929 secondo John Kenneth Galbraith. Quasi un secolo dopo, ci risiamo: «Il capitalismo finanziario sregolato e ipertrofico produce disoccupazione e povertà, mentre arricchisce indecentemente i suoi protagonisti». Chi dice che il capitalismo è morto, e chi ripete che questo è l’unico sistema possibile. Sbagliato: se volessimo, anche noi potremmo imitare la Danimarca, un paese dove i poveri riescono a diventare ricchi e dove il benessere diffuso conviene a tutti. Lo sostiene Davide Reina nel blog “Cado in piedi”: il cambio di paradigma consiste nel passare dal “capitalismo esclusivo”, che tesaurizza la ricchezza a beneficio dei super-potenti, al “capitalismo inclusivo” che costruisce futuro per tutti in regime di equità.
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La spending review ora è legge: con tanti saluti all’equità
Da agosto la spendig review è legge, chi si aspetta finalmente equità, collezionerà l’ennesima delusione. Non vengono tolti privilegi alla Chiesa, i redditi dei ricchissimi non vengono intaccati, ancora una volta non c’è il divieto di cumulo degli incarichi pubblici (per la gioia del presidente Inps Mastrapasqua, l’uomo da oltre un milione di euro di incarichi… quando si dice contento come una Pasqua), chi detiene beni pubblici in concessione continuerà a fare il bello e cattivo tempo, spese militari tutte al loro posto. Di seguito alcuni dei “tagli” previsti: per gli stipendi dei manager e dei dipendenti delle società non quotate partecipate dallo Stato, compresa la Rai, viene previsto un tetto di 300.000 euro dal prossimo contratto (come dire… è giusto che ci siano persone con un reddito al di sotto della soglia di povertà ed altre che prendano soldi pubblici in abbondanza anche in tempi di crisi).
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Massimo Fini: miserabile denaro, è lo sterco del nulla
Nella società attuale l’impresa è centrale. Perché qualsiasi cosa produca, sciocchezze o mine antiuomo come l’Oto Melara o qualcosa di utile, dà lavoro e quindi stipendi o salari che permettono il meccanismo produzione-consumo-produzione (ma oggi sarebbe più esatto dire: consumo-produzione-consumo) su cui si regge tutto il sistema. Ecco perché in questa fase di crisi non solo il governo Monti, ma tutte le lead occidentali cercano di sostenere in ogni modo l’impresa a costo di passare per il massacro di chi ci lavora. L’impresa dipende però dai crediti delle banche per i suoi investimenti. E qui c’è già una stortura. Il mercante medievale, che è l’antesignano dell’imprenditore moderno, investiva denaro proprio, non chiedeva prestiti.
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Aiuti-capestro? Ma i mercati chiedono lavoro, non tagli
Attenti, «la perfidia dei tecnocrati europei sembra non avere fondo». Nei corridoi di Bruxelles trapela infatti la seconda parte del piano Draghi-Merkel. «Vi pareva che si accontentassero di intrappolarci nell’Eurozona per altri 5 o 10 anni senza, fin da subito, spremere sangue concreto?». Paolo Barnard, il primo a denunciare il “golpe” finanziario contro la sovranità economica italiana, suona l’allarme: «Prima di attivare il programma “Smp Bond Purchases” della Bce, quello che può calmare i mercati abbassando i tassi sui nostri titoli di Stato e quindi allontanando la fine dell’agonia, la Germania pretenderà da noi Maiali/Piigs il ricorso al Fondo Salva-Stati (Esfs o Mes) per una prima tranche di prestiti a noi concessi». Nuovo debito, quindi. Ma attenzione: si tratta «di quel tipo di debito mortale che non solo va restituito dissanguando cittadini e aziende, ma comporta la resa nazionale alla schiavitù della micidiale Troika (Ue, Bce, Fmi) che è oggi freneticamente all’opera nella camere di tortura in Grecia».
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Barnard: se Draghi salva l’euro, firma la nostra condanna
Colpo di scena: la Bce potrebbe improvvisamente finanziare il Mes, il dispositivo salva-Stati creato a Bruxelles, per sostenere all’infinito i debiti sovrani ed evitare il collasso dell’euro, cioè la gallina delle uova d’oro per la grande finanza tedesca e francese. La notizia ha cominciato a circolare dal 26 luglio: a Londra, Mario Draghi ha annunciato che la banca centrale europea aprirà i rubinetti. E il governatore della banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, già da giorni aveva dichiarato che si sta discutendo se dare una vera e propria licenza bancaria al Mes, il Fondo salva-Stati destinato a vincolare per sempre la finanza pubblica dell’Eurozona al regime non-democratico instaurato dall’oligarchia tecnocratica di Bruxelles, padrona assoluta dell’economia europea che agonizza in piena crisi, mentre volano i profitti stellari della maxi-speculazione delle banche d’affari.
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Balotelli show, ma Marchionne riesce a rovinare la festa
Mentre Balotelli stronca la Germania nell’euro-derby dello spread e le piazze italiane esplodono di gioia allontanando per una sera l’incubo della crisi, c’è un solo uomo – in tutta la penisola – che non partecipa alla festa tricolore. Anzi: prova a rovinarla, e ci riesce benissimo. Si chiama Sergio Marchionne ed è fiero della sua ultima decisione: impedire agli operai della Fiat di esultare in diretta. Al contrario, lo stabilimento Bmw di Ratisbona ha fermato la produzione per due ore, per consentire ai dipendenti di seguire l’evento su appositi maxi-schermi allestiti in fabbrica. Niente da fare, invece, per i colleghi italiani di Pomigliano: non si sono fermate le catene di montaggio della Panda. «Complimenti a Marchionne – ironizza Gad Lerner – che dalla Cina definisce “folklore locale” la sentenza che una settimana fa gli ha ordinato di porre fine alla discriminazione degli iscritti alla Fiom».
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Uscire dall’euro: slogan a parte, è caduto l’ultimo tabù
Singolare: proprio Berlusconi, protagonista di una clamorosa auto-rottamazione politica, al punto da agevolare i suoi liquidatori col piano Monti-Napolitano, ora sembra sul punto di “resuscitare” agitando la propaganda anti-euro. Per contro, proprio grazie al redivivo Cavaliere, nell’agenda politica italiana cade l’ultimo tabù: quello dell’intoccabilità quasi sacrale della moneta unica europea, valuta comune ma non pubblica, non “sovrana”, appaltata alla Bce per la regia privata della grandi banche e di un unico attore pubblico, la Germania di Angela Merkel che «non dà segni di ragionevolezza». Uscire dall’euro? Ebbene sì: ora se ne parla apertamente. E, con Berlusconi, il tema farà irruzione nella prossima campagna elettorale. Semplicismo e fede nei miracoli? Attenzione, avverte Aldo Giannuli: «Una uscita improvvisa dall’euro – o peggio ancora un suo crollo improvviso – determinerebbe molti più mali che benefici e rischieremmo di spezzarci la schiena».
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Chi taglia lo Stato rovina anche te: la lezione di Roosevelt
Di fronte a un’emergenza che si riassume in quattro milioni di disoccupati e altrettanti di precari, con una marcata tendenza al peggioramento, qualsiasi intervento in tema di occupazione dovrebbe presentare una serie di caratteristiche quali: creare in breve tempo il maggior numero di posti di lavoro; dare priorità alle fasce sociali più colpite, poiché un indicatore negativo che segna il 10 per cento per alcuni può toccare il doppio o il triplo per altri; privilegiare attività ad alta intensità di lavoro; indirizzare i nuovi occupati verso settori di pubblica utilità ed alta priorità, tipo, visto quel che succede, la messa in sicurezza antisismica degli edifici. Gli interventi finora previsti in questo campo dal governo non presentano nessuna di tali caratteristiche.