Archivio del Tag ‘Strategic Culture’
-
Il gasdotto e l’assassino: ora l’America fa ridere il mondo
Le relazioni tra Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un pericoloso spartiacque, dopo l’insulto di Joe Biden a Putin. Ma notate una cosa. Subito dopo gli insulti di Biden, gli Stati Uniti hanno minacciato di sanzioni Mosca. La loro volontà è quella di “assassinare” il progetto del gasdotto Nordstream 2 tra Russia e Germania. Quindi, chi è l’assassino ora? Il mondo dovrebbe essere grato alla Russia, per la sua nobile risposta alle affermazioni puerili e diffamatorie di Biden. La crisi con la Russia, provocata dall’America, può soltanto aggravarsi. Soltanto Mosca può bloccare il progressivo deteriorarsi delle relazioni, per ora. In un’intervista ad “Abc News”, andata in onda mercoledì, è stato chiesto a Biden se per lui Putin fosse un assassino. Il presidente americano ha risposto: «Certo che lo è». Inoltre ha anche dichiarato che la Russia «pagherà caro» per aver interferito nelle elezioni americane e per altre presunte azioni riprovevoli. Si potrebbe stabilire che l’amministrazione Biden voglia a tutti i costi peggiorare le relazioni con la Russia, anche perché le agenzie di intelligence “esamineranno” nelle prossime settimane le prove della perpetrata colpevolezza russa.Dall’altra parte, il presidente russo ha risposto tranquillamente, dicendo che augura a Biden buona salute. Putin inoltre ha proposto un confronto con il presidente americano. Si potrebbe inferire che queste affermazioni ambigue si riferiscano allo stato di salute di Biden e alla sua perdita di capacità cognitive quando parla in pubblico. Un altro commento di Putin dice tutto: «Ci vuole un assassino per riconoscerne un altro». La carriera politica di Biden è lunga quasi cinquant’anni, prima come senatore, poi come vicepresidente in due amministrazioni e ora come 46esimo presidente degli Stati Uniti. In tutto questo tempo, Biden ha avuto un ruolo fondamentale nell’appoggiare innumerevoli guerre e operazioni militari oltre oceano, che hanno avuto come risultato la morte di milioni di persone e la distruzione di intere nazioni. Come senatore senior nella “commissione per le relazioni estere”, Biden ha cercato il supporto necessario nel Congresso per la guerra in Iraq nel 2003.Quella guerra – che si fondava sulla grande menzogna delle armi di distruzione di massa – ha ucciso da sola almeno un milione di persone e ha portato allo sdoganamento del terrorismo nel Medio Oriente e nel mondo intero. Più recentemente, quattro settimane dopo l’inaugurazione, Biden ha ordinato di attaccare la Siria, causando 26 vittime. È stato un atto non solo illegale, ma anche criminale. Quindi, il presidente americano sa bene cosa significhi essere un assassino. Ogni volta che si guarda allo specchio ne vede uno. L’arroganza e l’ignoranza della classe politica americana è senza pari. Putin viene accusato sulla base di pettegolezzi inconsistenti, quali il presunto avvelenamento di quel ciarlatano di Navalny. E non c’è nessuna vergogna o decenza a diffondere volgari etichette. Nel frattempo, la pila di cadaveri che si accumula sotto i piedi dei politici americani è una montagna. Non hanno vergogna.Dopo gli ultimi sfoghi del presidente americano e della sua agenzia di intelligence, che hanno accusato senza alcun fondamento la Russia di aver interferito nelle elezioni del 2020, Mosca ha temporaneamente richiamato il suo ambasciatore per riconsiderare le sue relazioni bilaterali. È la prima volta in vent’anni. Non c’è precedente diplomatico per questo evidente tentativo americano di provocare una crisi. Nemmeno durante la Guerra Fredda, i leader americani si sono abbassati a una retorica così abbietta e offensiva. Sembra esserci una generale degenerazione nella diplomazia di Washington, soprattutto nelle ultime amministrazioni. In America non ci sono più dei veri statisti. Le fila politiche di Washington sono piene di scribacchini e bifolchi e cialtroni cospiratori. Quando Biden ha vinto le elezioni, ha promesso di rinnovare la diplomazia americana attraverso un governo saggio e attraverso abili negoziatori. Un segno positivo è stato quando, all’inizio del mandato, ha contattato la Russia per estendere il trattato “New Start”, nella gestione delle armi nucleari. Ma, a parte quella mossa, l’amministrazione Biden ha tentato di minare le relazioni bilaterali con la Russia.La prospettiva per una tregua o un nuovo inizio è stata gettata a mare (la stessa cosa è stata fatta per le relazioni americane con Iran e Cina). Sembra che Biden e la sua amministrazione stiano deliberatamente provocando una crisi con la Russia per giustificare un inasprimento nei confronti di Mosca. L’obiettivo americano è quello di bloccare il progetto del “gasdotto Nord Stream 2”. Il giorno dopo che Biden ha danneggiato le relazioni con la Russia, il suo segretario di Stato, Anthony Blinken, ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero imposto delle sanzioni molto dure per «qualsiasi coinvolgimento con il ‘gasdotto Nord Stream 2’». Blinken ha annunciato l’esistenza di «un’intera commissione di governo pronta a fermare» la fornitura di gas tra la Russia e l’Europa. Non esageriamo dicendo che 11 miliardi di gasdotto non siano un enorme problema geopolitico, ma è un ostacolo gigantesco per le ambizioni globali di Washington. Gli americani vogliono bloccarlo per vendere, nei prossimi decenni, il loro gas, che è molto più caro, all’Europa.Washington vede una collaborazione energetica tra Russia ed Europa come un intralcio alla sua posizione egemonica. La Germania e gli altri Stati europei hanno tutti continuato a supportare il completamento della costruzione del Nord Stream 2. Il gasdotto, ormai finito per il 95%, è lungo quasi 1.200 chilometri e, passando sotto il Mar Baltico, va dalla Russia alle coste della Germania. Quando sarà operativo, il flusso di gas dalla Russia alla Germania raddoppierà di volume. In più, è essenziale per la crescita a lungo termine della Germania e dell’Europa. Nel disperato tentativo di ostacolare la collaborazione strategica tra Russia ed Europa, Washington sta ricorrendo ad affannose minacce di sanzioni e di altre misure disturbanti. Biden sta giocando la carta dell’insulto personale come mossa per interrompere le relazioni bilaterali con la Russia e sabotare il Nord Stream 2. È un mossa patetica, che mostra più un indebolimento dell’America che una reale pretesa di potere. La Russia farebbe bene a mantenere la calma e lasciare che l’America si renda ridicola.(”Il gasdotto Nordstream 2 è il vero motivo delle calunnie di Biden a Putin”, analisi di “Strategic Culture” ripresa da “Mitt Dolcino” il 23 marzo 2021).Le relazioni tra Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un pericoloso spartiacque, dopo l’insulto di Joe Biden a Putin. Ma notate una cosa. Subito dopo gli insulti di Biden, gli Stati Uniti hanno minacciato di sanzioni Mosca. La loro volontà è quella di “assassinare” il progetto del gasdotto Nordstream 2 tra Russia e Germania. Quindi, chi è l’assassino ora? Il mondo dovrebbe essere grato alla Russia, per la sua nobile risposta alle affermazioni puerili e diffamatorie di Biden. La crisi con la Russia, provocata dall’America, può soltanto aggravarsi. Soltanto Mosca può bloccare il progressivo deteriorarsi delle relazioni, per ora. In un’intervista ad “Abc News”, andata in onda mercoledì, è stato chiesto a Biden se per lui Putin fosse un assassino. Il presidente americano ha risposto: «Certo che lo è». Inoltre ha anche dichiarato che la Russia «pagherà caro» per aver interferito nelle elezioni americane e per altre presunte azioni riprovevoli. Si potrebbe stabilire che l’amministrazione Biden voglia a tutti i costi peggiorare le relazioni con la Russia, anche perché le agenzie di intelligence “esamineranno” nelle prossime settimane le prove della perpetrata colpevolezza russa.
-
Mai sprecare un’arma: virus, la guerra ibrida contro la Cina
La politica delle nuove Vie della Seta, o Belt and Road Initiative (Bri), era iniziata con il presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Nur-Sultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta). Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa. La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni. Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinazia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025. La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati Stem [scienze, tecnologia, ingegneria e matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
-
Gli eroi di Stalingrado: vinsero la Seconda Guerra Mondiale
Il 2 febbraio di quest’anno è stato il 75° anniversario della fine della più grande, più lunga e sanguinosa battaglia della storia del genere umano: uno scontro che aveva distrutto la punta di lancia di quella invincibile macchina da guerra nazista che aveva conquistato tutta l’Europa in soli tre anni e che sembrava in procinto di conquistare il mondo intero: eppure, incredibilmente, tutti i media occidentali, specialmente negli Stati Uniti, lo hanno fino ad ora completamente ignorato. La battaglia di Stalingrado era stata la svolta definitiva del destino: aveva deciso il risultato della Seconda Guerra Mondiale. La scala colossale di quello straordinario scontro, all’epoca, era ben nota agli americani e ai britannici, ma da allora è stata completamente dimenticata. Le nazioni occidentali l’hanno seppellita in fondo al buco nero dei ricordi proibiti, che George Orwell riconoscerebbe fin troppo bene. Nonostante ciò, Stalingrado ha fatto passare in secondo piano tutte le altre battaglie di quella guerra. Era iniziata nell’agosto del 1942 come ultima, disperata difesa di quella che sembrava essere un’Armata Rossa condannata alla sconfitta da una invincibile Wehrmacht che, in meno di tre anni, aveva conquistato l’intero continente europeo, dalla punta settentrionale della Norvegia a Creta e il deserto del Sahara libico. Ma a Stalingrado era cambiato tutto.“Al di là del Volga non c’è niente!”, era il grido di battaglia sovietico, e non c’era veramente nulla. Ancora oggi, guardando ad est dall’alto della collina di Mamayev Kurgan, è inquietante vedere che, dall’altra parte del grande Volga, l’incarnazione dell’anima russa, non c’è letteralmente niente. Mamayev Kurgan è un monumento ai caduti come nessun altro sulla Terra, perchè è dominato da una dea irata. La statua più gigantesca, impressionante ed inquietante del mondo, Rodina-Mat, la dea madre della Russia, si eleva per quasi 50 metri senza piedistallo, 6 metri più in alto della Statua della Libertà. Pesa 1.000 tonnellate, oltre 15 volte la Statua della Libertà. Ma questo è il meno. A New York, Lady Liberty è tranquilla e serena, ma Rodina-Mat è dinamica e furiosa. Il suo viso bellissimo e sorprendentemente giovanile trasmette shock, rabbia e una furia da incubo. Il braccio di Rodina-Mat non è rilassato e disteso e non porta una torcia come quello di Lady Liberty. È sollevato e regge una spada lunga più di 20 metri, e la alza così in alto nel cielo che sulla punta hanno dovuto installare una luce di navigazione rossa per allertare gli aerei che volano a bassa quota.Visto da lontano, lo spettacolo è ancora più impressionante, persino terrificante. Perché Rodina-Mat è nel punto più alto delle alture che dominano la città, il luogo dove si era combattuto con più accanimento. La si può vedere da qualunque parte lungo le principali arterie nord-sud che costeggiano il Volga. Sembra sempre in movimento, viva, pronta a calare sugli invasori la sua incredibile spada. È come se Atena o Afrodite fossero uscite dalle pagine dell’Iliade di Omero e, attraverso il tempo, dai campi di battaglia di Troia, o come se un gigantesco dio-astronauta idealizzato da Erich von Daniken fosse nuovamente giunto sulla Terra. Nei 200 giorni della Battaglia di Stalingrado, a Mamayev Kurgan si era combattuto per 130. Oggi è il luogo dove riposano 35.000 soldati sovietici. Gli storici militari occidentali riconoscono che nella battaglia di Stalingrado erano morti 1,1 milioni di soldati sovietici, e questo calcolo non include almeno 100.000 civili (e forse il triplo) massacrati dai bombardamenti aerei indiscriminati della Luftwaffe.Nella prima settimana di incursioni aeree a Stalingrado erano morti il doppio dei civili rispetto ai bombardamenti alleati di Dresda. Quando gli interrogatori sovietici avevano chiesto al maresciallo di campo Friedrich Paulus, il comandante catturato della Sesta Armata, perché avesse autorizzato un massacro così inutile, aveva risposto che stava solo eseguendo gli ordini. Anche le perdite naziste erano state colossali. Secondo le stime russe, 1,5 milioni di soldati tedeschi e dell’Asse avevano perso la vita durante l’intera campagna, più di cinque volte i morti in combattimento degli Stati Uniti durante tutta la guerra, e più del doppio dei morti combinati dell’Unione e dei Confederati nella Guerra Civile Americana. Neanche uno dei resti dei soldati dell’Asse, trovati e identificati, sono sepolti all’interno della città. È terreno sacro per il popolo russo. Solo gli eroici difensori di Stalingrado e della patria, o Rodina, hanno il massimo onore di riposarvi.L’intera Sesta Armata tedesca, 300.000 uomini, all’epoca considerata la forza militare più invincibile della Terra, era stata distrutta a Stalingrado. Solo 90.000 di loro erano sopravvissuti ed erano stati fatti prigionieri quando Paulus si era arreso. Il quartier generale di Paulus, nel seminterrato dell’Univermag, il grande magazzino nel centro della città, è stato trasformato in museo, uno dei più strani al mondo e in sorprendente contrasto con l’imponenza primordiale, eroica, epica della statua e dei monumenti di Mamayev Kurgan. Nel 2005, quando l’avevo visitato l’ultima volta, Univermag era ancora un grande magazzino, molto simile a quelli che si trovano nel cuore degli Stati Uniti, in luoghi come Sioux City o Iowa City, costruiti negli anni ’20 e che avevano prosperato fino a quando Wal-Mart non li aveva inghiottiti tutti. Si entra nell’Univermag di Volgograd attraverso l’ingresso principale, si passa accanto ai giocattoli per bambini, si gira a sinistra, oltre i pigiami per signora e gli oggetti in vetro e, senza alcun preavviso, si è lì.Il seminterrato è pieno di ricostruzioni dell’ultima resistenza della Sesta Armata. Dietro una porta, i manichini di due soldati tedeschi morenti giacciono in quella che sembra veramente una sala operatoria di emergenza. Dietro un’altra porta, un robotico Paulus continua ad alzarsi dalla sua scrivania per ascoltare da un altro ufficiale le ultime notizie della catastrofe. Dappertutto, il lamento dell’impietoso vento invernale della steppa e lo spietato sibilo delle Katyushe sovietiche, i lanciarazzi “Caterina,” fanno da accompagnamento. Ilya Ehrenburg, il più grande di tutti i corrispondenti di guerra, aveva scritto che i soldati arroccati nei seminterrati e fra le macerie e che resistevano sulle rive del Volga a pochi metri dall’acqua, adoravano quei lanciarazzi. Ed era ancora vero nel 2005: i volti dei veterani ottantenni e superdecorati si erano illuminati di entusiasmo e di gioia fanciullesca quando avevo chiesto loro quale fosse stata la loro arma preferita dell’intera guerra. “Katyusha!” avevano gridato quei meravigliosi vecchietti, saltando su e giù, mentre gli anni sparivano come per magia. “Katyusha!”.Settantacinque anni dopo la resa di Paulus e dopo più di settant’anni dalla sconfitta del Terzo Reich, i ricordi e le cicatrici di quella lotta fanno ancora parte della Russia moderna. Il comunismo è morto. Ma il patriottismo russo no. Ed è per questo che, in questa era di crescenti differenze e alienazione tra la Russia e l’Occidente, lo straordinario eroismo e il sacrificio di tutti quei soldati dell’Armata Rossa e il prezzo terribile che avevano pagato per salvare il mondo devono essere ricordati dai vecchi alleati della Russia. Le emozioni selvagge, feroci ma assolutamente autentiche che appaiono sullo straordinario volto di Rodina-Mat testimoniano gli incredibili sacrifici che si erano consumati sulle rive del Volga per distruggere il male estremo. I leader e i popoli occidentali devono ricordare, ancora una volta, coloro avevano distrutto quel male, il prezzo terribile che avevano pagato e la gratitudine che ancora dobbiamo loro.(Martin Sieff, “Gli eroi di Stalingrado e il debito che abbiamo con loro”, da “Strategic Culture” del 31 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”. Analista geopolitico e reporter per testate come “Washington Times” e “The Globalist”, Sieff è stato dirigente della United Press International e tre volte candidato al Premio Pulitzer).Il 2 febbraio di quest’anno sarà il 75° anniversario della fine della più grande, più lunga e sanguinosa battaglia della storia del genere umano: uno scontro che aveva distrutto la punta di lancia di quella invincibile macchina da guerra nazista che aveva conquistato tutta l’Europa in soli tre anni e che sembrava in procinto di conquistare il mondo intero: eppure, incredibilmente, tutti i media occidentali, specialmente negli Stati Uniti, lo hanno fino ad ora completamente ignorato. La battaglia di Stalingrado era stata la svolta definitiva del destino: aveva deciso il risultato della Seconda Guerra Mondiale. La scala colossale di quello straordinario scontro, all’epoca, era ben nota agli americani e ai britannici, ma da allora è stata completamente dimenticata. Le nazioni occidentali l’hanno seppellita in fondo al buco nero dei ricordi proibiti, che George Orwell riconoscerebbe fin troppo bene. Nonostante ciò, Stalingrado ha fatto passare in secondo piano tutte le altre battaglie di quella guerra. Era iniziata nell’agosto del 1942 come ultima, disperata difesa di quella che sembrava essere un’Armata Rossa condannata alla sconfitta da una invincibile Wehrmacht che, in meno di tre anni, aveva conquistato l’intero continente europeo, dalla punta settentrionale della Norvegia a Creta e il deserto del Sahara libico. Ma a Stalingrado era cambiato tutto.
-
Pedofilia al governo? La morte di Epstein fa comodo a tanti
Una morte stranissima e soprattutto provvidenziale, quella di Jeffrey Epstein, arrestato il 6 luglio con l’accusa di sfruttamento della prostituzione su minori e violenza carnale su oltre 30 ragazze minorenni, almeno dal 2002 al 20045, nella sua residenza di New York e nella sua tenuta in Florida. Già dieci anni fa era stato condannato per gli stessi reati, ma ora a tremare erano i pezzi da novanta dell’establishment, americano e non solo: da Trump a Clinton, dall’ex premier israeliano Ehud Barak al principe Andrea d’Inghilterra. Strana morte, scrive Zara Muradyan su “Sputnik News”, in una nota tradotta da “Come Don Chisciotte”: l’improvvisa fine di Epstein arriva poche settimane dopo «le affermazioni secondo cui il finanziere americano il 23 luglio era stato trovato ferito e inconscio sul pavimento della sua cella a Manhattan», nel Metropolitan Correctional Center. All’epoca, diversi media avevano suggerito che avrebbe potuto tentare il suicidio. Eppure, «la dinamica degli eventi non è stata chiarita». Epstein era stato trovato privo di sensi e «con segni sul collo che, apparentemente, sembravano autoinflitti». Da allora, «era stato messo sotto sorveglianza speciale anti-suicidio». Risultato: si sarebbe suicidato lo stesso, il 10 agosto. Una storia che puzza da lontano: Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, accusa esplicitamente il Mossad israeliano.
-
Microchip e asilo transgender: la Svezia si sta suicidando
Fermamente convinto di essere il rappresentante della “superpotenza morale” del mondo, il popolo svedese continua i suoi pericolosi flirt con tutti i possibili nuovi esperimenti culturali. Questa politica è veramente ‘progressista’, o è la strada per la rovina nazionale? In Svezia, tutto sembra possibile, tranne il dissenso; dissenso dall’onnipresente messaggio sociale che dice ai suoi cittadini che devono essere tolleranti verso ogni nuova moda culturale, dal farsi impiantare un microchip sotto la pelle al permettere che i bambini di quattro anni vengano indottrinati alla scuola materna con le ultime teorie sul transgenderismo. Migliaia di svedesi si sono già fatti inserire un minuscolo microchip sotto la pelle, di solito nella mano sinistra, che offre il “vantaggio” di non dover più armeggiare [nelle tasche o nella borsetta] per carte di credito, documenti di identità e chiavi. Molte delle informazioni personali sono memorizzate sul chip, che ha le dimensioni di un chicco di riso. Sorprendentemente, nonostante la possibilità per il governo, per le multinazionali o per altri pericolosi soggetti di hackerare questi dispositivi, questa eventualità non sembra essere presente nella mentalità svedese.
-
Economia tedesca a picco, ecco perché l’Ue teme la Brexit
La Germania è decisiva per l’economia Ue. Non è una novità. La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze. I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno. La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi Ue e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli. Inoltre, il dato di marzo del Pmi tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese, è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio. Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.Questo è soltanto il più drammatico tra gli gli indici economici tedeschi. Ma i dati sono tutti pessimi. Ciò mette la Germania sulla via della recessione. Di nuovo, non è una novità per chiunque stesse guardando attentamente i mercati. Ne parlo per smascherare la follia che circonda la Brexit e fornire un contesto sensato. Ho definito la Brexit una minaccia esistenziale per la Ue. Lo è, e anche di più. Questo è il motivo per cui tutti, su entrambe le sponde della Manica, stanno lavorando alacremente per sabotarla. Nel mio ultimo articolo per “Strategic Culture” faccio i nomi dei responsabili. L’Ue non vuole la Brexit e se dovesse accadere, infliggerebbe un danno incredibile al sistema politico britannico e alla sua integrità. Non c’è alcuna vera differenza rispetto a quanto accaduto in Grecia nel 2015. Tutto fu pilotato da Angela Merkel allora ed è pilotato dalla Merkel oggi. L’intransigenza della Ue nelle negoziazioni, a parte non avere altre alternative, è un bluff elaborato per separare e dividere la classe politica britannica, ora che il popolo ha votato per l’uscita.Trovo patetico vedere la Merkel impegnata questa settimana in un affascinante tour in Irlanda per presentare il suo lato materno e contribuire ad alleviare il dolore dell’aperto tradimento del sistema politico britannico da parte di Theresa May. Ora che la soluzione si avvicina, la Merkel e Donald Tusk stanno giocando la parte del poliziotto buono, mentre Guy Verhofstadt interpreta il poliziotto cattivo con la bava alla bocca. La discesa tedesca nei guai economici è ora il principale problema per la Merkel, anche se dubito che lei sia pienamente consapevole delle implicazioni. Tutti tendono a giudicare erroneamente normale la situazione, e per lei il Progetto Europeo dovrebbe essere abbastanza forte da superare qualsiasi tempesta. Ma se non dovesse esserlo? L’opinione diffusa è che tenere il Regno Unito nella Ue, nel ruolo di mucca da mungere, sia importante per assicurare il prolungarsi del dominio tedesco sull’Unione. E penso che questo sia quello di cui sono convinti a Bruxelles. Tuttavia, inizio a credere che la realtà sia differente da quello che pensano i burattinai.Quindi, sostengo che, di fatto, la Germania e la Merkel hanno già perso la guerra per tenere insieme la Ue, a prescindere dalla Brexit. La distruzione del sistema politico britannico non renderà gli inglesi più facili da controllare, ma più difficili. Non spaventerà i recalcitranti come l’italiano Matteo Salvini o Marine Le Pen in Francia. Li farà infuriare. Il fallimento dell’economia tedesca nel tenere insieme l’Unione colpirà molto velocemente e come un boomerang la leadership tedesca della Ue. Già lo vediamo quando il presidente francese Emmanuel Macron si discosta apertamente dalla Germania sulla Brexit. Moltissime persone, inclusi i Remainer di Londra, sostengono di non poter sopravvivere contro un’economia più grande, più forte come quella della Ue, ossia della Germania. Molto di quello che tiene insieme la Ue è la volontà di tutti gli altri di sopportate la visione tedesca dell’integrazione fino a quando la Germania è disposta a metterci i soldi. Tuttavia, sembra sempre più che questo non avverrà in futuro. L’Ue ha quasi raggiunto il limite sui trasferimenti interni, il che testimonia quanto deboli siano le prospettive economiche di lungo termine per la Germania sotto l’attuale agenda politica.Arriverà un momento in cui una semplice ricaduta in recessione non sarà più un’altra fase ciclica di ribasso che può essere risolta dalla stampante e dalle magie della banca centrale. Diventerà qualcosa che i politici non potranno imporre con la forza e i media non potranno addolcire. La recessione tedesca è arrivata a causa dei problemi strutturali del buco nero fiscale che è la Ue. Sta causando ovvie fughe di capitale verso gli asset Usa – il dollaro, le azioni e le obbligazioni, tutte insieme. Ha fatto alzare il prezzo degli asset sicuri in Europa a livelli oltre l’assurdo. E ancora, nessuno ha il coraggio di dire che c’è una crisi! Siccome esiste ancora un po’ di margine nell’economia tedesca, ancora non si sono visti gli effetti sui consumatori. Pertanto, esiste sufficiente spazio per tutti per raccontare ancora frottole. Ma i risparmi stanno salendo rapidamente, mentre la spesa dei consumatori è in diminuzione. Le notizie sono ancora sufficientemente contrastanti da non aver ancora iniziato a inguaiare ulteriormente la Merkel a livello politico. Ma aspettate. Succederà.(Tom Luongo, “L’economia tedesca è un morto che cammina”, da “Voci dall’Estero” del 6 aprile 2019).La Germania è decisiva per l’economia Ue. Non è una novità. La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze. I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno. La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi Ue e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli. Inoltre, il dato di marzo del Pmi tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese, è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio. Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.
-
Questa Ue a pezzi attacca l’Italia? Farà volare Salvini e soci
L’Unione Europea di recente si è trovata a dover gestire non pochi problemi in quanto, alcuni suoi membri, tra i quali Polonia e Ungheria, hanno sfidato apertamente l’ordine stabilito. Questa volta siamo di fronte ad una situazione molto seria: Bruxelles deve affrontare le sfide da parte dell’Italia, la terza potenza economica nazionale nell’Eurozona e l’ottava economia globale in termini di Pil nominali. Con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, l’Italia è una nazione europeista e membro fondatore dell’Ue. Il governo italiano ha respinto le richieste da parte dell’Ue di rivedere la bozza di bilancio per l’anno 2019, proposta che prevede un deficit Pil al 2,4% e che potrebbe minacciare il debito pubblico nazionale. La coalizione di governo di Roma, costituita dalla Lega e dal Movimento populista 5 Stelle, ha deciso di incrementare il prestito allo scopo di poter finanziare le promesse elettorali, come la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali. Lo scorso mese la Commissione Europea ha lamentato che questi obiettivi di spesa vanno contro le norme dell’Ue. Su Roma pesa un enorme debito pubblico che la posiziona al secondo posto nell’Eurozona.La differenza tra prestiti e produzione economica è al 131,8% ma il governo è comunque convito che riuscirà a raggiungere una crescita economica sostanziale, sebbene le previsioni europee siano piuttosto cupe. Il 13 novembre scorso era il termine per presentare una revisione della bozza di bilancio; Roma non si è attenuta a tale termine. Ora la leadership europea sta minacciando l’Italia con sanzioni, fino a quando questa non risulterà adempiente: uno schiaffo per l’Italia che potrebbe dover versare una multa pari a 3,4 miliardi di euro. Il governo italiano sta intraprendendo una linea indipendente in merito a diverse tematiche. Viene visto come filo-russo nelle sue richieste di abolizione, o almeno di diminuzioni, delle sanzioni contro la Federazione russa. Il primo ministro italiano Giuseppe Conte sostiene che Mosca debba essere riammessa al G7. Il primo ministro lo scorso ottobre ha visitato Mosca, poi ha definito la Russia quale soggetto globale essenziale e ha invitato Putin a visitare l’Italia. Nonostante le misure punitive che l’Ue ha imposto, Conte ha sottoscritto diversi accordi commerciali e d’investimento.Lo scorso anno, il partito di maggioranza parlamentare russo, Russia Unita, insieme alla Lega Nord italiana, membro della coalizione di maggioranza, hanno firmato un accordo di collaborazione. Il Consiglio regionale del Veneto, dove il vice primo ministro Matteo Salvini detiene una posizione di forza, nel 2016 ha riconosciuto Crimea come parte della Russia. L’Austria è un altro membro dell’Ue amico della Russia. Persino il recente “scandalo dello spionaggio”, chiaramente messo in scena da forze esterne per rovinare quella relazione bilaterale, non è riuscito a danneggiare quel rapporto. «Siamo un paese con dei buoni contatti con la Russia, siamo aperti al dialogo: non cambierà, in futuro», ha dichiarato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, di fronte ai giornalisti il 14 novembre. Il partito popolare conservatore e l’estrema destra il Partito della Libertà – entrambi membri della coalizione di governo – sono ben disposti nei confronti di Mosca e non sono sostenitori delle politiche di sanzione promesse dall’Ue.L’Ungheria è un altro membro dell’Ue a sostenere la Russia. Lo scorso mese, il Parlamento Europeo ha votato a favore dell’avvio delle procedure di sanzione secondo l’articolo 7 contro l’Ungheria. Il governo guidato dal primo ministro Viktor Orban è stato accusato di aver messo a tacere i media, di aver bersagliato le Ong e di aver rimosso dal loro incarico giudici indipendenti. L’avvio delle procedure previste da tale articolo apre le porte alle sanzioni; l’Ungheria potrebbe, prima o poi, essere privata del suo diritto di voto all’interno dell’Ue. In realtà il paese viene punito per essersi rifiutato di accogliere immigrati. Questa è la seconda volta che le procedure secondo l’articolo 7 vengono avviate. La prima volta è stato lo scorso anno, quando la Commissione Europea ha dato il via libera all’articolo 7 contro la Polonia per le sue riforme giudiziarie. Per sospendere il diritto di voto dell’Ungheria e introdurre le sanzioni è necessaria una votazione unanime, e questa mossa rischia di venire bloccata dalla Polonia. A sua volta, l’Ungheria ha detto che starebbe a fianco di Varsavia nel caso in cui l’Ue avviasse le procedure per punirla. Le due nazioni sono unite nei loro sforzi per sostenersi a vicenda e respingere gli sconfinamenti di Bruxelles in un momento in cui l’Ue sta attraversando uno dei periodi più duri della storia.Ungheria, Polonia e Russia stanno cercando di attirare l’attenzione dell’Europa sulla minaccia alla pace e alla democrazia proveniente dall’Ucraina, problema che è stato per lo più messo a tacere dalla leadership europea. La Slovacchia è un altro membro dell’Ue che nutre quello che alcuni definiscono un “legame speciale” nei confronti della Russia. Non si è mai dimostrata a favore delle sanzioni contro la Russia e l’ha dichiarato apertamente. Lo scorso mese, Peter Pellegrini, il suo nuovo primo ministro, ha invitato l’Ue a rivedere la politica in materia di sanzioni. Anche in Grecia è scoppiato un conflitto diplomatico ma, come nel caso dell’Austria, potrebbe avere offuscato quei legami storici che comunque non è riuscita a recidere. Cipro è sempre stato un paese amico della Russia, ma sia Nicosia che Atene non sono in condizioni di poter proteggere la loro indipendenza, in quanto entrambi sono fortemente indebitate e dipendono dai prestiti esteri.La battaglia tra Bruxelles e Roma giunge nel momento in cui l’Europa si sta preparando per le elezioni del Parlamento Europeo che si terranno a maggio 2019. Le misure punitive intraprese dall’Ue contro l’Italia non potranno che condurre ad un crescente sostegno pubblico di quel governo che presta voce contro le pressioni e difende la propria gente. Questo porterà ad un aumento degli euroscettici italiani che vinceranno seggi in Parlamento. Considerando l’elevato malcontento di molte nazioni nei confronti dell’Ue, risulta difficile prevedere i risultati delle elezioni. Presto al comando ci saranno nuove persone con opinioni diverse sui problemi che incombono sull’Ue, così come sul futuro degli Stati membri. Tutto potrebbe cambiare, compreso il rapporto con la Russia e le sanzioni che sono diventate così impopolari e hanno portato molti leader nazionali a sfidare apertamente la “saggezza” di tale politica imposta da una élite di potere.(Arkady Savitsky, “L’Italia getta il guanto di sfida all’establishment di Bruxelles”, da “Strategic Culture” del 12 novembre 2018, ripreso da “Come Don Chisciotte” il 22 novembre grazie alla traduzione di Elena Scapin).L’Unione Europea di recente si è trovata a dover gestire non pochi problemi in quanto, alcuni suoi membri, tra i quali Polonia e Ungheria, hanno sfidato apertamente l’ordine stabilito. Questa volta siamo di fronte ad una situazione molto seria: Bruxelles deve affrontare le sfide da parte dell’Italia, la terza potenza economica nazionale nell’Eurozona e l’ottava economia globale in termini di Pil nominali. Con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, l’Italia è una nazione europeista e membro fondatore dell’Ue. Il governo italiano ha respinto le richieste da parte dell’Ue di rivedere la bozza di bilancio per l’anno 2019, proposta che prevede un deficit Pil al 2,4% e che potrebbe minacciare il debito pubblico nazionale. La coalizione di governo di Roma, costituita dalla Lega e dal Movimento populista 5 Stelle, ha deciso di incrementare il prestito allo scopo di poter finanziare le promesse elettorali, come la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali. Lo scorso mese la Commissione Europea ha lamentato che questi obiettivi di spesa vanno contro le norme dell’Ue. Su Roma pesa un enorme debito pubblico che la posiziona al secondo posto nell’Eurozona.
-
I periodi di unipolarità? Sono sempre durati solo un attimo
Ai dirigenti, ai politici, agli opinion leader e agli ‘esperti’ americani piace parlare del “momento di unipolarità” e della posizione di “iper-potenza” di cui, nella loro immaginazione, godrebbero nel mondo gli Stati Uniti. Da questa fantasia vengono completamente esclusi tutti i fatti storici ad essa poco convenienti. Il momento unipolare degli Stati Uniti (ammesso e concesso che sia mai esistito) è durato meno di un decennio, dal disfacimento dell’Unione Sovietica, alla fine del 1991, al 15 giugno 2001. Il “momento” degli Stati Uniti è riuscito a malapena ad arrivare alle soglie del 21° secolo. In quel fatidico 15 giugno 2001 si erano verificati due eventi di grande importanza. Primo, il presidente americano George W. Bush aveva tenuto un discorso a Varsavia in cui dichiarava che l’obbiettivo strategico più importante degli Stati Uniti era l’integrazione nella Nato dei tre staterelli baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Nello stesso giorno, Russia e Cina davano vita, insieme ad altre quattro nazioni dell’Asia Centrale, allo Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, la più popolosa e potente organizzazione per la sicurezza internazionale della storia. Quest’anno, lo Sco ha raddoppiato la sua popolazione grazie all’ingresso, in contemporanea, di India e Pakistan, due grandi potenze nucleari con una popolazione complessiva di 3 miliardi di persone, quasi il 40% della razza umana.Con la creazione dello Sco, destinato fin dalle origini a preservare e a proteggere un mondo multipolare dalla dominazione di un’unica potenza, il momento unipolare degli Stati Uniti si è ritrovato morto e sepolto. Questo dato di fatto era stato confermato tre mesi dopo, quando l’attacco terroristico di Al-Qaeda dell’11 settembre 2001 aveva causato la morte di circa 3000 persone. Quel giorno erano morti più americani che durante l’attacco giapponese a Pearl Harbor, nel 1941. George W. Bush avrebbe dovuto essere messo sotto impeachment per la sua grande incapacità. Invece la sua popolarità era salita alle stelle. Pensando che il momento (o l’era) unipolare fosse ancora nel suo pieno splendore, alla fine di quell’anno aveva invaso l’Afghanistan e, meno di due anni dopo, l’Iraq. Gli Stati Uniti sono ancora perennemente impantanati in quelle guerre di cui non si vede la fine. Gli schemi della storia, completamente ignorati dai media, dalla casta degli opinion leader e dal mondo politico americano, questa lezione, invece, ce la insegnano di continuo. Negli ultimi 1500 anni si sono verificati diversi momenti unipolari per quelle grandi potenze che cercavano di dominare il mondo, ma tutte sono collassate nel giro di pochi anni.Quando la Spagna degli Asburgo e i suoi alleati ebbero definitivamente sconfitto la grande flotta del potente Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto, nel 1571, il dominio imperiale della Spagna su tutta l’Europa sembrava assicurato. Ma la Spagna era già invischiata in una rivolta olandese che era iniziata nel 1588. Nei decenni successivi (questa ribellione) si sarebbe rivelata più massacrante degli attuali interventi americani in Afghanistan e in Iraq. Il sogno della dominazione spagnola di Re Filippo II sarebbe stato definitivamente seppellito solo 17 anni dopo Lepanto, nel 1588, con la distruzione dell’Invincibile Armada, la flotta che avrebbe dovuto conquistare l’Inghilterra. Poi era stato il turno della Francia. Il suo dominio sull’Europa sembrava essere stato sancito dalla Pace di Vestfalia, nel 1648. Ma, fra il 1660 e il 1670, Luigi XIV, il re pazzo per la gloria, soprannominato “Re Sole” aveva già ripetuto l’errore della Spagna e aveva impantanato la nazione in una serie di guerre che sarebbero durate quasi mezzo secolo in quelli che ora sono Belgio, Olanda e Germania meridionale. Il momento unipolare della Francia era durato meno di vent’anni.Dopo erano arrivati gli inglesi. Anche dopo aver vinto le guerre napoleoniche contro la Francia, si erano resi conto di non poter dominare il mondo da soli ed erano stati costreti a dividerlo con le assai più conservatrici grandi monarchie d’Europa: la Russia, l’Impero Austro-Ungarico e la Prussia. Nel 1848, i re di Francia, dell’Impero Austro-Ungarico e della Prussia avevano perso molti dei loro poteri o erano stati detronizzati da rivoluzioni popolari e liberali. A quel punto, gli inglesi avevano pensato, proprio come avevano fatto gli americani nel 1989-1991, che fosse finalmente arrivato il loro momento di unipolarità e che sarebbe durato per l’eternità. Il mondo intero avrebbe guardato a Londra per avere guida e saggezza. Non era andata così. Nel 1871, la Prussia, guidata dal suo Cancelliere di Ferro, Otto von Bismarck, aveva unificato la Germania, e sconfitto la Francia, alleata della Gran Bretagna, togliendo in modo umiliante all’Inghilterra ogni possibilità di potere e influenza sull’Europa continentale. Quando gli era stato chiesto che cosa avrebbe fatto se il minuscolo esercito inglese avesse per caso invaso la Germania del Nord, Bismarck aveva risposto che avrebbe mandato la polizia ad arrestarlo. Dopo la Sconfitta della Germania imperiale nella Prima Guerra Mondiale, alla Gran Bretagna era sembrato di poter godere di un altro momento di iper-potere.Gli Stati Uniti con il loro isolazionismo e l’Unione Sovietica [alle prese con i suoi problemi interni] si erano entrambi ritirati temporaneamente dalla scena mondiale. In ogni caso, questa fantasia britannica non era durata neanche fino all’ascesa di Hitler, nel 1933. Due anni prima, nel 1931, il Giappone imperiale aveva occupato la Manciuria, una grossa porzione dalla Cina nord-orientale: i capi militari inglesi erano stati costretti ad ammettere con il Primo Ministro, Ramsay MacDonald, che non c’era nulla che si potesse fare a riguardo. Il momento unipolare della Gran Bretagna era durato solo 12 anni, dal 1919 al 1931. Una volta capiti questi fatti storici, è facile rendersi conto del perché il momento unipolare degli Stati Uniti sia stato anche più breve di quello inglese del 20° secolo, meno di un decennio. Dal 2001 in poi, gli Stati Uniti si sono dissanguati e sfiniti, proprio come avevano fatto la Spagna degli Asburgo, la Francia borbonica e l’Inghilterra post-vittoriana in tentativi inutili, assurdi e ricoli per negare e cercare di opporsi agli inevitabili ricorsi della storia. Questo non dovrebbe sorprenderci, del resto Friedrich Hegel ci aveva avvertito: «L’unica cosa che impariamo dalla storia è che dalla storia non impariamo nulla».(Martin Sieff, “I periodi di unipolarità sono sempre durati solo un momento”, da “Strategic Culture” del 22 settembre 2018, tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Ai dirigenti, ai politici, agli opinion leader e agli ‘esperti’ americani piace parlare del “momento di unipolarità” e della posizione di “iper-potenza” di cui, nella loro immaginazione, godrebbero nel mondo gli Stati Uniti. Da questa fantasia vengono completamente esclusi tutti i fatti storici ad essa poco convenienti. Il momento unipolare degli Stati Uniti (ammesso e concesso che sia mai esistito) è durato meno di un decennio, dal disfacimento dell’Unione Sovietica, alla fine del 1991, al 15 giugno 2001. Il “momento” degli Stati Uniti è riuscito a malapena ad arrivare alle soglie del 21° secolo. In quel fatidico 15 giugno 2001 si erano verificati due eventi di grande importanza. Primo, il presidente americano George W. Bush aveva tenuto un discorso a Varsavia in cui dichiarava che l’obbiettivo strategico più importante degli Stati Uniti era l’integrazione nella Nato dei tre staterelli baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Nello stesso giorno, Russia e Cina davano vita, insieme ad altre quattro nazioni dell’Asia Centrale, allo Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, la più popolosa e potente organizzazione per la sicurezza internazionale della storia. Quest’anno, lo Sco ha raddoppiato la sua popolazione grazie all’ingresso, in contemporanea, di India e Pakistan, due grandi potenze nucleari con una popolazione complessiva di 3 miliardi di persone, quasi il 40% della razza umana.
-
Zuesse: Bannon sfida Soros ma non fidatevi, vuole l’Europa
Scrive Eric Zuesse, su “Strategic-culture.org”, che due schieramenti politici – uno guidato da George Soros e l’altro creato dal nuovo arrivato, Steve Bannon – sono entrati in competizione per il controllo politico dell’Europa. Soros ha guidato a lungo i grandi capitalisti liberal americani verso l’egemonia europea, mentre Bannon sta ora organizzando una squadra di miliardari (altrettanto conservatori) per strappare la vittoria ai liberal attraverso la leva del populismo sovranista. Lo scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, sintetizzando la panoramica geopolitica fornita da Zuesse, scrittore e analista statunitense. Bannon contro Soros? Attenzione: «Nessuno di loro è progressista o populista di sinistra», avverte Zuesse. «L’unico populismo che attualmente ogni capitalista promuove è quello della squadra di Bannon. Comunque – aggiunge Zuesse – entrambe le squadre si demonizzano a vicenda, sia per il controllo del governo degli Stati Uniti che, a livello internazionale, per il controllo del mondo intero, opponendo due diverse visioni del mondo: liberale e conservatrice, o meglio globalista e nazionalista». Entrambi dicono di sostenere la democrazia? Sì, ma magari con le rivoluzioni colorate di Soros (Ucraina, Medio Oriente) o le guerre “democratiche” (Iraq) e i “regime change” (Egitto, Tunisia, Libia, Siria).
-
Fusione Bayer-Monsanto: l’inferno che attende l’umanità
In che universo è possibile che a due delle corporations mondiali più moralmente corrotte, Bayer e Monsanto, venga permesso di unire le forze, in quello che promette di essere il prossimo stadio nell’acquisizione delle risorse agricole e farmaceutiche del pianeta?Attenzione, anticipo della trama. In questa horror-story di epiche proporzioni non si trova un Mr. Hyde: c’è solo il Dr. Jeckyll. Come nella sceneggiatura di un horror di David Lynch, la Bayer Ag, famosa per i suoi gas venefici, ha finalizzato (per la cifra di 66 miliardi di dollari) l’acquisizione di Monsanto, la multinazionale agro-chimica che dovrebbe essere sul banco degli imputati nel carcere di Guantanamo e appellarsi al Quinto Emendamento [la facoltà di rifiutarsi di rispondere alle domande], invece di godere dell’equivalente societario di protezione ed impunità per i suoi crimini contro l’umanità. Questi sono i privilegi che derivano dall’essere una corporation trasnazionale al di sopra della legge. Com’era prevedibile, la prima cosa che ha fatto Bayer dopo l’acquisizione di Monsanto, carica com’è di bagaglio extra e irregolarità etiche, è stata quella di dare inizio ad una campagna per il miglioramento dell’immagine. Come un cattivo di Hollywood, che cade in un crogiuolo di acciaio fuso e riappare più tardi sotto un’altra forma, la Monsanto è stata orwellianamente ribattezzata “Bayer Crop-Science Division”, il cui motto è: “La scienza per una vita migliore.”E comunque, la stessa Bayer è uno schermo protettivo ben piccolo per la Monsanto, considerando che lei stessa ha una storia costellata di malpratiche corporative. Oltre al suo ben noto business in rimedi per l’emicrania, questa azienda tedesca ha avuto un ruolo significativo nell’introduzione dei gas venefici sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale. Nonostante il divieto all’uso di armi chimiche risalisse alla Convenzione dell’Aia del 1907, l’amministratore felegato della Bayer, Carl Duisberg, che faceva parte di una speciale commissione istituita dal ministero tedesco per la Guerra, sapeva riconoscere un’opportunità di affari, quando ne vedeva una. Duisberg aveva assistito ai primi test con i gas venefici ed era rimasto favorevolmente impressionato dalla nuova, terribile arma: «Il nemico non saprà neanche se una certa area sarà stata irrorata oppure no, e rimarrà tranquillamente al suo posto fino all’apparire dei sintomi». La Bayer, che aveva appositamente istituito un dipartimento per la ricerca e lo sviluppo degli agenti gassosi, aveva continuato a mettere a punto armi chimiche sempre più letali, come il fosgene e il gas mostarda. «Questo fosgene, che io sappia, è l’arma peggiore», aveva rimarcato Duisberg, con uno stupefacente disprezzo per la vita, quasi stesse parlando dell’ultimo tipo di insetticida. «Raccomando caldamente di utilizzare l’opportunità di questa guerra per provare anche le granate a gas».Duisberg aveva coronato il suo demoniaco desiderio. La possibilità di usare il campo di battaglia come laboratorio e i soldati come cavie era arrivata nella primavera del 1915, quando la Bayer aveva inviato al fronte circa 700 tonnellate di armi chimiche. E’ stato stimato che, il 22 aprile 1915 ad Ypres, Belgio, siano state usate, per la prima, volta circa 170 tonnellate di cloro gassoso contro le truppe francesi. Nell’attacco erano morti quasi 1000 soldati e molte migliaia erano rimasti intossicati. In totale, circa 60.000 persone erano morte nella Prima Guerra Mondiale per l’utilizzo, iniziato dalla Germania, delle armi chimiche prodotte dall’azienda di Leverkusen. Secondo Axel Koehler-Schnura, della “Coalition against Bayer dangers” [Coalizione contro i pericoli della Bayer], «il marchio Bayer richiama alla mente, in modo particolare, lo sviluppo e la produzione di gas venefici. Nondimeno, l’azienda non si è mai ravveduta del suo coinvolgimento negli orrori della Prima Guerra Mondiale. La Bayer non ha neanche preso le distanze dai crimini di Carl Duisberg».Questo comportamento pseudocriminale è continuato praticamente fino in tempi moderni. Mike Papantonio, procuratore degli Stati Uniti e presentatore televisivo, aveva parlato di una delle azioni più esecrabili di questa azienda chimica durante il programma di Thomas Hartmann, “The Big Picture”: «Negli anni ‘80 producevano un agente coagulante per emofiliaci chiamato Fattore VIII. Questo agente coagulante era risultato contaminato da Hiv, e poi, dopo il divieto governativo a venderlo qui, lo avevano esportato in tutto il mondo, infettando gente in tutto il mondo. Questa è solo una parte della storia della Bayer». Papantonio, citando il resoconto annuale della Bayer per il 2014, afferma che sull’azienda pendono 32 differenti procedimenti giudiziari in tutto il mondo. Prima di buttare nel gabinetto i vostri prodotti Bayer e tirare lo sciacquone, mettete magari da parte un’aspirina o due, perché la storia è ancora più brutta. Una delle conseguenze dirette del mostro “Baysanto” sarà un’impennata dei prezzi per gli agricoltori, che hanno già dovuto ridurre il loro tenore di vita a causa di costi insostenibili. «Gli agricoltori, negli ultimi anni, hanno già sperimentato aumenti di prezzo del 300% su ogni cosa, dalle sementi ai fertilizzanti, tutti controllati dalla Monsanto», ha riferito Papantonio ad Hartmann. «E tutti gli analisti sono del parere che questi prezzi sono destinati a salire ancora più in alto a causa di questa fusione».E comunque è difficile immaginare che la situazione possa peggiorare ancora per gli agricoltori americani, che attualmente hanno la percentuale di suicidi più alta di tutte le professioni del paese. Il tasso di suicidi per gli americani impiegati in agricoltura, pesca e silvicoltura è di 84,5/100.000 persone, più del quintuplo di quello di tutta la popolazione in generale. Questa tragica tendenza ricorda quella dell’India dove, una decina di anni fa, milioni di agricoltori avevavno iniziato la transizione dalle tecniche di agricoltura tradizionale a quelle che invece utilizzavano le sementi geneticamente modificate della Monsanto. In passato, seguendo una tradizione millenaria, gli agricoltori conservavano, come sementi, una parte del raccolto e lo riseminavano l’anno successivo. Quell’epoca, dove si seguivano gli schemi e i ritmi ben collaudati della natura, è ormai praticamente finita. Oggi, le sementi geneticamente modificate della Monsanto contengono la cosiddetta tecnologia-Terminator, e le coltivazioni risultanti sono sterili e non più in grado di germinare. In altre parole, la società produttrice delle sementi sta letteralmente giocando a fare Dio con la natura e con le nostre vite. Così, gli agricoltori indiani sono obbligati, ogni anno, a ricomprare a costi proibitivi una nuova fornitura di sementi (insieme al pesticida della Monsanto, il Round-Up).Ma il mondo avrebbe dovuto forse aspettarsi qualcosa di diverso dalla stessa azienda che è stata coinvolta nella produzione dell’agente Orange, usato dall’esercito (americano) nella guerra del Vietnam (1961-1971)? Più di 4,8 milioni di vietnamiti hanno sofferto di patologie connesse al defoliante, sparso su vaste estensioni di terreno coltivabile durante la guerra, che ha distrutto la fertilità del terreno e la produzione agricola del Vietnam. Circa 400.000 vienamiti sono morti a causa dall’uso da parte dell’esercito americano dell’agente Orange, mentre milioni hanno sofferto per la fame, le malattie invalidanti e le malformazioni congenite. Questa è l’azienda a cui abbiamo permesso, insieme alla Bayer, di controllare un quarto delle risorse alimentari del mondo intero. Tutto questo porta a chiedersi: chi è più pazzo? Bayer e Monsanto, o noi, la gente? E’ importante ricordare che la fusione Bayer-Monsanto non avviene in un vuoto corporativo. Fa parte della gara delle aziende agrochimiche mondiali per accaparrarsi le risorse alimentari del mondo. ChemCina ha acquisito la svizzera Syngenta per 34 miliardi di dollari, per esempio, mentre Dow e DuPont hanno costituito un loro impero da 130 miliardi di dollari. In ogni caso, nessuna di queste aziende ha un’immagine lorda di sangue come Bayer e Monsanto, un matrimonio diabolico che minaccia tutta la vita sulla Terra.(Robert Bridge, “Un matrimonio infernale: la fusione Bayer-Monsanto segna la condanna a morte per l’umanità”, da “Strategic Culture” del 30 giugno 2018, tradotto da “Markus” per “Come Don Chisciotte”).In che universo è possibile che a due delle corporations mondiali più moralmente corrotte, Bayer e Monsanto, venga permesso di unire le forze, in quello che promette di essere il prossimo stadio nell’acquisizione delle risorse agricole e farmaceutiche del pianeta?Attenzione, anticipo della trama. In questa horror-story di epiche proporzioni non si trova un Mr. Hyde: c’è solo il Dr. Jeckyll. Come nella sceneggiatura di un horror di David Lynch, la Bayer Ag, famosa per i suoi gas venefici, ha finalizzato (per la cifra di 66 miliardi di dollari) l’acquisizione di Monsanto, la multinazionale agro-chimica che dovrebbe essere sul banco degli imputati nel carcere di Guantanamo e appellarsi al Quinto Emendamento [la facoltà di rifiutarsi di rispondere alle domande], invece di godere dell’equivalente societario di protezione ed impunità per i suoi crimini contro l’umanità. Questi sono i privilegi che derivano dall’essere una corporation trasnazionale al di sopra della legge. Com’era prevedibile, la prima cosa che ha fatto Bayer dopo l’acquisizione di Monsanto, carica com’è di bagaglio extra e irregolarità etiche, è stata quella di dare inizio ad una campagna per il miglioramento dell’immagine. Come un cattivo di Hollywood, che cade in un crogiuolo di acciaio fuso e riappare più tardi sotto un’altra forma, la Monsanto è stata orwellianamente ribattezzata “Bayer Crop-Science Division”, il cui motto è: “La scienza per una vita migliore”.
-
Hersh: da Hillary Clinton il gas Sarin per la strage in Siria
Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.Ne parla ora sul sito “Free Thought Project” un veterano dei marines, Matt Agorist, già operatore di intelligence nella Nsa. I preliminari: un accordo, risalente al 2012, tra Barack Obama, Turchia, Qatar e Arabia Saudita «per imbastire un attacco con gas sarin e darne la colpa ad Assad», scrive “Voci dall’Estero”. «Tutte le prove punterebbero in una direzione: i precursori chimici del gas sarin sarebbero venuti dalla Libia, il sarin sarebbe stato “fatto in casa” e la colpa gettata sul governo siriano come pretesto perché gli Stati Uniti potessero finanziare e addestrare direttamente i ribelli siriani, come desideravano i sauditi intenzionati a rovesciare Assad. Responsabile della montatura, l’allora segretario di Stato Usa e attuale candidata alla presidenza per i Democrat, Hillary Clinton». Da quando gli Stati Uniti finanziano questi “ribelli moderati”, ricorda Agorist, sono state uccise più di 250.000 persone, cui si aggiungono oltre 7 milioni e mezzo di siriani sfollati all’interno del loro paese e altri 4 milioni di siriani fuggiti all’estero. «Tutta questa morte e distruzione portata da un sadico esercito di ribelli finanziati e armati dal governo degli Stati Uniti era basata – è quello che ora ci viene detto – su una completa montatura».Seymour Hersh, giornalista Premio Pulitzer, ha rivelato che l’amministrazione Obama ha falsamente accusato il governo di Bashar Assad per l’attacco con gas sarin. Obama stava cercando di usarlo come scusa per invadere la Siria. Come spiega Eric Zuesse in “Strategic Culture”, Hersh indica un rapporto dell’intelligence britannica che sosteneva che il sarin non veniva dalle scorte di Assad. «I finanziamenti venivano dalla Turchia, e parimenti dall’Arabia Saudita e dal Qatar; la Cia, con il sostegno del Mi6, aveva l’incarico di prendere armi dagli arsenali di Gheddafi in Libia». Molteplici rapporti indipendenti, continua Agorist, sostengono che la Libia di Gheddafi possedeva tali scorte, mentre il Consolato degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, controllava una “via di fuga” per le armi confiscate al regime di Gheddafi, verso la Siria attraverso la Turchia. «Anche se Hersch non ha specificamente detto che “la Clinton ha trasportato il gas”, l’ha implicata direttamente in questa “via di fuga” delle armi delle quale il gas sarin faceva parte».Riguardo al coinvolgimento della Clinton, Hersh cita l’ambasciatore americano Christopher Stevens, morto nell’assalto dell’ambasciata Bengasi: era al corrente della “via dei ratti” per trasferire tagliagole e armi letali in Siria, ed è impensabile che non ne avesse informato il suo “capo”, cioè Hillary. Lo conferma il giornalista investigativo Christof Lehmann, che ha scoperto prove che coinvolgono il capo di stato maggiore Martin Dempsey, il direttore della Cia John Brennan e il governo saudita. Alla Clinton, poi, non mancherebbero precedenti: secondo il “Free Thought Project”, «ha legami con i cartelli criminali internazionali che hanno finanziato lei e suo marito per decenni». Oltre 5 milioni di dollari, poi, sarebbero stati versati alla Fondazione Clinton dall’Arabia Saudita. Il grande movente della guerra contro la Siria? «La costruzione di un oleodotto per il petrolio dei Saud attraverso la Siria verso il più grande mercato del petrolio, l’Europa». Al primo golpe della Cia, nel dopoguerra, risposero colpi di Stato siriani, fino all’ascesa al potere di Hafez Assad, il padre di Bashar, nel 1970. Risultato: «L’oleodotto trans-arabico a lungo pianificato dai Saud non è ancora stato costruito. E la famiglia reale saudita, che possiede la più grande azienda mondiale di petrolio, l’Aramco, non vuole più aspettare».Obama, aggiunge Matt Agorist, è il primo presidente degli Stati Uniti ad aver seriamente tentato di svolgere il loro tanto desiderato “cambio di regime” in Siria, in modo da consentire la costruzione attraverso la Siria non solo dell’oleodotto trans-arabico dei Saud, ma anche del gasdotto Qatar-Turchia che la famiglia reale Thani (amica dei Saud), che possiede il Qatar, vuole che sia costruita lì. Gli Stati Uniti sono alleati con la famiglia Saud (e con i loro amici, le famiglie reali del Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Oman). La Russia, invece, è alleata con i leader della Siria – così come in precedenza lo era stata con Mossadeq in Iran, Arbenz in Guatemala, Allende in Cile, Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia e Yanukovich in Ucraina. Tutti rovesciati con successo dagli Stati Uniti, ad eccezione del partito Baath in Siria, quello degli Assad. Per abbatterlo, dunque, gli Usa hanno autorizzato anche l’uso di armi chimiche. E la persona che ha pronunciato il fatidico sì, secondo Hersh, era la Clinton: la donna che adesso sfida il “cattivone” Trump per la Casa Bianca.Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.
-
Caos migranti, il piano Soros-Cia per destabilizzare l’Europa
Proprio come le forze oscure della miliardaria rete di organizzazioni non governative della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti e di George Soros, che complottarono per destabilizzare Medio Oriente e Nord Africa attraverso l’uso dei social media, realizzando la cosiddetta “primavera araba”, tali forze hanno aperto un nuovo capitolo sulla disfunzionalità globale facilitando il flusso di rifugiati e migranti economici da Medio Oriente, Asia e Africa all’Europa. Nel marzo 2011, il leader libico Muhammar Gheddafi predisse cosa sarebbe accaduto all’Europa se la stabilità del suo paese veniva minata dalle potenze occidentali. In un’intervista a “France 24”, Gheddafi predisse correttamente: «Ci sono milioni di neri che potrebbero attraversare il Mediterraneo per la Francia e l’Italia, e la Libia svolge un ruolo nella sicurezza nel Mediterraneo». Il figlio di Gheddafi, Sayf al-Islam Gheddafi, condannato a morte dal regime radicale che governa Tripoli, fece eco ai commenti del padre nella stessa intervista al notiziario francese. Sayf disse: «La Libia può diventare la Somalia del Nord Africa, del Mediterraneo. Vedrete i pirati in Sicilia, a Creta, a Lampedusa. Vedrete milioni di immigrati clandestini. Il terrore sarà vicino».Come si è visto nei recenti avvenimenti, Sayf aveva proprio ragione. Infatti, per l’Europa, il terrore è letteralmente a fianco. Si stima che ben 4.000 jihadisti veterani degli olocausti terroristici in Siria, Iraq e Yemen, abbiano approfittato dell’assenza dei controlli sulle frontiere di Schengen dell’Unione europea per entrare o ritornare in Europa. Molti giovani “migranti” hanno iPhone, bancomat, diversi passaporti e molto contante, difficilmente ciò che ci si aspetta di trovare in possesso di veri profughi di guerra. Non solo gli africani hanno inondato l’Europa meridionale dopo aver attraversato in modo periglioso il Nord Africa, tra cui la Libia, ma i profughi siriani, per lo più creati dal trasferimento massiccio occidentale ai jihadisti siriani di armi catturate in Libia dopo il rovesciamento di Gheddafi, innescando la sanguinosa guerra civile siriana, fluiscono via mare e via terra nel cuore dell’Europa. Soros, che non è altro che un frontman miliardario dell’ancor più ricca famiglia di banchieri Rothschild dell’Europa occidentale, ha supervisionato la completa distruzione degli Stati nazionali nell’Europa sud-orientale, che oggi consentono l’accesso incondizionato dei migranti economici e dalla guerra civile da Siria, Iraq, Nord Africa, Africa sub-sahariana, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Birmania, Sri Lanka e altre nazioni del Terzo Mondo devastate da guerra e povertà.Risultato dei programmi di reingegnerizzazione delle nazioni, Soros prima ha contribuito a distruggere la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, con l’aiuto attivo dell’Unione Europea e della Nato. Le sette repubbliche indipendenti che una volta costituivano la Jugoslavia, ora sono le principali vie di transito per decine di migliaia e prossimi centinaia di migliaia di migranti non europei. La Grecia, che soffre per l’austerità degli “avvoltoi” dei banchieri centrali e privati europei, tra cui Soros e i suoi mandanti Rothschild, difficilmente può affrontare il massiccio flusso di rifugiati. I banchieri si sono assicurati che la Grecia non possa nemmeno fornire i servizi sociali di base al proprio popolo, lasciando soli i profughi da zone di guerra e nazioni che soffrono del crollo di governi ed economia. La Macedonia, che continua a subire il tentativo di “rivoluzione colorata” in stile ucraino su concessione dei neocon dell’amministrazione Obama, come l’assistente del segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland, non può trattenere l’invasione della massa di rifugiati dalla Grecia. Molti rifugiati sono trattati al confine greco-macedone con fastidio, ammucchiandosi in Macedonia e poi in Serbia.I migranti hanno cercato ogni modo possibile per raggiungere le accoglienti Austria e Germania. I rifugiati a Budapest sommersero la stazione ferroviaria centrale, costringendo a chiuderla ai passeggeri, profughi che cercavano di raggiungere Austria e Germania, così come ungheresi e turisti. I rifugiati musulmani arrivati a Monaco di Baviera erano irritati dalla presenza per le strade di tedeschi e stranieri che celebrano l’annuale “Oktoberfest” bevendo birra. Già vi sono stati scontri per le strade tra celebranti l’Oktoberfest ubriachi e alcuni rifugiati musulmani che si oppongono alla presenza dell’alcol. I funzionari della città di Monaco di Baviera avevano detto che potevano ricevere solo 1000 nuovi rifugiati al giorno. La città ha visto il numero salire a 15.000 al giorno con circa il 90 per cento che non si registra presso le autorità locali, scomparendo per destinazioni sconosciute. Nelle città e nei paesi dell’Europa, i migranti appena arrivati dormono nei parchi e sui marciapiedi creando l’incubo della salute pubblica con feci umane nei parchi e puzza di urina permeare le pareti degli edifici.La situazione è aggravata dal recente arrivo dei rifugiati siriani nel nord della Germania, che scambiano il velenoso fungo selvaggio “tappo della morte” per una varietà commestibile che cresce nel Mediterraneo orientale. Nonostante le avvertenze in arabo e curdo distribuite ai rifugiati, i profughi hanno ingerito i funghi velenosi, subendo vomito e diarrea incontrollabile, aggiungendo altro dilemma alla salute pubblica in Europa. E’ solo questione di tempo prima che le malattie trasmesse dai rifiuti umani, come colera e tifo fanno, facciano il loro trionfale ritorno nelle città d’Europa dalle pandemie mortali dello scorso millennio. La cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente del Consiglio dell’Unione europea Donald Tusk e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker hanno la responsabilità diretta dell’afflusso di oltre un milione di rifugiati politici ed economici nel cuore dell’Europa. Merkel non ha fatto segreto del desiderio di aggiungerli alle file dei lavoratori ospiti, “Gastarbeiter”. Tuttavia, come mostrato da altri lavoratori ospiti in Germania arrivati negli ultimi decenni, questi lavoratori non si considerano “ospiti” ma residenti permanenti e cittadini.Nel frattempo, Tusk e Juncker, quest’ultimo originario del minuscolo Lussemburgo, hanno minacciato di multare i membri non comunitari Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda se non assorbono la loro quota di rifugiati, una percentuale dettata dagli “eurocrati” dell’Ue a Bruxelles. Anche se Tusk ha chiesto ai Paesi dell’Ue di aprire frontiere e tesorerie ai profughi, la sua nativa Polonia è reticente ad accettarne più di qualche centinaio. L’opposizione della Polonia si unisce a quella di Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia. Il successore di Juncker a primo ministro del Lussemburgo, Xavier Bettel, primo capo europeo ad avere un matrimonio gay, ha accolto centinaia di rifugiati. Bettel crede nell’Europa senza frontiere e, quindi, come Merkel, Tusk e Juncker, è un eroe delle Ong finanziate da Soros che fanno dell’Europa un esperimento d’ingegneria sociale mortale. Molti lussemburghesi cercano qualcuno come Marine Le Pen in Francia per fermare il carrozzone dell’accoglienza dei rifugiati che minaccia di cancellare il Granducato del Lussemburgo.I paesi che hanno radicalizzato gli eserciti jihadisti in Siria e Iraq, in particolare Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Quwayt, hanno ritenuto opportuno non prendere nessun rifugiato dai combattimenti in Siria e Iraq. L’Arabia Saudita ha avuto il coraggio assoluto di offrire alla Germania la costruzione di 200 moschee per i rifugiati, dove viene solo predicato e insegnato la versione wahabita dell’Islam. Nel frattempo, vi sono prove che la Turchia esorti i rifugiati dalla Siria sul suo suolo ad unirsi all’esodo su carrette del mare verso l’avversaria Grecia. Tale mossa ha provocato la morte di molti bambini e donne, servita solo a commuovere gli europei del nord che hanno invitato migliaia di profughi nei loro paradisi sociali. La Turchia ha anche distribuito manuali ai migranti per istruirli su dove andare una volta giunti in Germania, per avere dal governo l’assistenza sociale. Proprio come si è visto con le rivoluzioni colorate dirette da Soros e Cia nei paesi arabi e Ucraina, il flusso di migranti è stato istruito via Twitter su dove c’erano controlli alle frontiere e come aggirarli. Tale direzione “esterna” ha guidato i profughi da Grecia, Macedonia, Serbia a Croazia e Slovenia, instradandosi verso le frontiere austriache e tedesche, evitando in tal modo le sempre più ostili Ungheria e Serbia. C’è già stata una scaramuccia al confine tra polizia croata di scorta a un treno carico di profughi al confine ungherese e le guardie di frontiera ungheresi.Che siano neo-conservatrici e neo-liberisti, le politiche che hanno portato alla peggiore crisi dei rifugiati in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale hanno radice nei crogioli politici dei gruppi di facciata finanziati da George Soros e Cia in Europa e Stati Uniti. E’ solo questione di tempo prima che i loro ruoli in ciò che è avvenuto in Europa sia scoperto da nazionalisti di destra e di sinistra e che loro case editrici e siti web vadano in fiamme. Alla fine, gli europei si sveglieranno e scopriranno che la Russia s’è immunizzata dal flagello dei rifugiati evitando di frequentare l’Ue e le sue messinscene. Quando i migranti appena arrivati inizieranno a defecare, vomitare e urinare per le strade di Tallinn, Riga, Vilnius, Helsinki e Stoccolma, la Russia libra dalla crisi dei rifugiati non sembrerà così male, dopo tutto.(Wayne Madsen, “Il piano Soros-Cia per destabilizzare l’Europa”, da “Strategic Culture” del 24 settembre 2015, ripreso da “Aurora”).Proprio come le forze oscure della miliardaria rete di organizzazioni non governative della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti e di George Soros, che complottarono per destabilizzare Medio Oriente e Nord Africa attraverso l’uso dei social media, realizzando la cosiddetta “primavera araba”, tali forze hanno aperto un nuovo capitolo sulla disfunzionalità globale facilitando il flusso di rifugiati e migranti economici da Medio Oriente, Asia e Africa all’Europa. Nel marzo 2011, il leader libico Muhammar Gheddafi predisse cosa sarebbe accaduto all’Europa se la stabilità del suo paese veniva minata dalle potenze occidentali. In un’intervista a “France 24”, Gheddafi predisse correttamente: «Ci sono milioni di neri che potrebbero attraversare il Mediterraneo per la Francia e l’Italia, e la Libia svolge un ruolo nella sicurezza nel Mediterraneo». Il figlio di Gheddafi, Sayf al-Islam Gheddafi, condannato a morte dal regime radicale che governa Tripoli, fece eco ai commenti del padre nella stessa intervista al notiziario francese. Sayf disse: «La Libia può diventare la Somalia del Nord Africa, del Mediterraneo. Vedrete i pirati in Sicilia, a Creta, a Lampedusa. Vedrete milioni di immigrati clandestini. Il terrore sarà vicino».