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Guerra a Di Bella, l’angelo dei malati: tentarono di ucciderlo
“Il poeta della scienza”, vita di Luigi Di Bella: il volume, minuziosamente documentato e ricco di indicazioni delle fonti, dipana la complessa figura del professor Di Bella esaminandola sotto il profilo scientifico, morale, intellettuale e umano. Difficile non giungere alla conclusione che sono state proprio queste qualità e virtù a procurargli, per buona parte della vita, un’ostilità incessante che non di rado si è fatta autentica persecuzione. Il lettore rimane, oltre che indignato e amareggiato, anche stupefatto per la capacità dell’uomo di non farsi annichilire da un’opposizione tanto indiscriminata e violenta e di riuscire a compiere egualmente la sua opera. Luigi Di Bella, siciliano, classe 1912, era nato in una famiglia numerosa e di assai disagiate condizioni economiche, non in grado quindi di sostenere le spese per fare studiare quel ragazzo, nonostante avesse precocemente dimostrato rare doti d’ingegno e di forza di volontà. Luigi sopportò sacrifici di ogni genere per soddisfare la sua sete di sapere e superare le ristrettezze della povertà, arrivando anche a studiare la sera in piedi, sotto la luce del lampione della strada, per sopperire alla penuria di petrolio per la lampada.Fornisce ben presto le prove di un ingegno straordinario: avendo frequentato le scuole complementari che, non contemplando l’insegnamento del latino, non consentivano l’accesso al liceo scientifico, in due mesi apprende il latino, lasciando increduli i commissari durante la prova di idoneità prescritta. Per rendersi economicamente indipendente ed aiutare i fratelli, parteciperà anche ai concorsi nazionali riservati agli studenti poveri e meritevoli, vincendo tutti quelli che affronta. Divenuto studente della facoltà di medicina a Messina, la sua abitudine di studiare oltre che sui libri di testo anche su ponderose ed ostiche monografie (oltre ovviamente alle sue rare capacità di assimilazione), gli procura un “pubblico” di docenti universitari che corrono ad assistere ai suoi esami. Viene notato dal professor Pietro Tullio, considerato il più autorevole fisiologo del tempo – due volte candidato al Nobel per la medicina nel 1930 e nel 1932 (1) – che gli propone di diventare allievo interno presso l’Istituto di Fisiologia. Attraverso il suo maestro, Luigi Di Bella si forma nell’ambito di quella scuola medica che il mondo ci invidiava, annoverando luminari come Augusto Murri e Pietro Albertoni, considerati i più grandi medici dei tempi moderni.Non potendo soffermarci troppo su queste due figure di medici e professori universitari, ci limitiamo a riferire che raggiungevano percentuali elevatissime di diagnosi esatte, 92% Murri e 98% Albertoni (2), in un’epoca nella quale gli esami ematochimici erano ben più rudimentali di quelli odierni, e non esistevano Tac e risonanze magnetiche. A quel tempo l’insegnamento e la ricerca nell’ambito della medicina non erano disgiunti dalla pratica clinica, l’eccessiva specializzazione non aveva ancora contaminato ogni settore, e la fisiologia era ancora considerata la materia cardine di tutto il sapere medico, non essendo altrimenti possibile comprendere ed applicare razionalmente tutte le altre. Questo consentiva il raggiungimento di livelli di eccellenza diagnostica attualmente inarrivabili. Se pensiamo ai pazienti che oggi sono costretti a peregrinare tra specialisti e ospedali, spesso orfani di diagnosi – e quindi di efficace terapia – nonostante l’elefantiasi di esami di ogni genere, non si può rimanere che sconcertati.Luigi Di Bella è stato senza dubbio l’epigono di quella mentalità e cultura medico-scientifica che ha annoverato eccellenze quali Antonio Cardarelli, Pietro Lussana, Giuseppe Moscati, oltre che i luminari prima citati. E’ a quest’ultimo, il medico santo di Napoli, che Luigi Di Bella più si avvicina, oltre che per mentalità clinica, per umanità e condotta di vita cristiana. Il primo lavoro scientifico che riporta il nome di Luigi Di Bella (oltre ovviamente a quello del maestro) risale all’inizio del 1932, quando è ancora diciannovenne e studente del secondo anno di università. Lo stesso Tullio, qualche anno dopo, dichiarerà in un attestato di essersi limitato a curarne la bibliografia. Nel luglio 1936 si laurea in medicina con 110 e lode, dopo aver sostenuto 12 esami in più rispetto a quelli regolamentari. Subito dopo la laurea riceve una proposta di assunzione da parte di Guglielmo Marconi – allora presidente del Cnr – perché continui le ricerche in campo chimico che gli erano valse l’ultimo premio nazionale (è ancora disponibile il carteggio intercorso). Luigi Di Bella declina l’invito, dichiarando che desidera continuare le sue ricerche nell’ambito della medicina. Riceverà dal grande fisico una borsa di studio.Quando nel 1938 consegue le lauree in farmacia e in chimica, già da due anni, dopo avere superato brillantemente il previsto concorso, è incaricato dell’insegnamento della fisiologia e della chimica organica presso l’università di Parma. Durante questo periodo pubblica un libro di chimica organica. Il 3 settembre 1939 sposa Francesca Costa, e prende servizio nel ruolo di aiuto incaricato presso l’università di Modena, città nella quale si trasferisce con la famiglia. Dall’unione nasceranno Giuseppe (maggio 1941) che intraprenderà anche lui la professione di medico, e Adolfo (dicembre 1947). Il 3 settembre 1941, con il grado di capitano medico, viene inviato in Grecia, dove dirigerà due ospedali militari. Qui si sottopone ad ogni sacrificio pur di aiutare i malati, arrivando a donare loro il suo pasto da ufficiale e a dormire in piedi, appoggiato a una colonna, per poter accorrere più velocemente alle richieste d’aiuto. Raccontando anni dopo questi particolari, si limiterà a commentare: «Dopo un po’ ci si abitua». Alla fine, le immani fatiche sostenute presenteranno il conto: la salute degrada sempre più e all’inizio del 1943 rientra in Italia per una breve licenza. Le condizioni però peggiorano ulteriormente e viene ricoverato all’ospedale militare di Bologna per epatite, anemia e malaria.Posto in “licenza speciale in attesa di trattamento di quiescenza”, si riprende gradualmente e riesce a iniziare l’insegnamento per l’anno accademico 1943-44. A seguito dei bombardamenti alleati su Modena della prima metà del 1944, la famiglia Di Bella trova ospitalità in una casa colonica a Bastiglia, paese ad una dozzina di chilometri dalla città. Anche qui non sta con le mani in mano: visita gli abitanti dei dintorni che hanno bisogno e, nonostante i pericoli, si reca quotidianamente all’università in bicicletta. Nell’immediato dopoguerra iniziano a delinearsi le prime ricerche che lo porteranno anni dopo all’ideazione del suo metodo di cura per i tumori. In questo periodo si scatena una persecuzione durissima da parte dell’ambiente accademico, quantomeno nella facoltà di medicina, che non gli perdona limpidezza morale, superiorità d’intelletto e di cultura che lo caratterizzano. Gli studenti al contrario lo idolatrano, affollando le sue lezioni, a tal punto che durante l’occupazione studentesca del 1968 Luigi Di Bella sarà l’unico professore che gli studenti autorizzeranno ad entrare nell’università per svolgere le lezioni.Inizia a diffondersi anche la sua fama di medico capace di fare diagnosi di un’esattezza inarrivabile, e di risolvere situazioni ritenute senza speranza dai medici più blasonati. Anche questo contribuirà ad alimentare quelle invidie e quella persecuzione che non gli daranno tregua fino all’ultimo dei suoi giorni. Dirà un giorno: «A questo mondo, è rigorosamente proibito fare del bene». I malati, che per tutta la vita visiterà gratis arrivando a regalare loro le medicine, giungono sempre più numerosi, grazie al “meccanismo di passaparola”. Spesso sarà costretto a visitarli la sera – già sfinito da una intera giornata di lavoro – o la domenica presso la propria abitazione. Intervistato nel 1998 per la Rai da don Giovanni D’Ercole, alla domanda «ma lei non si fa pagare?» risponderà: «No, mi ripugna: uno viene qui perché ha bisogno, e io dovrei guadagnare sul bisogno di un altro?» (3).Inflessibile con se stesso, fa dell’umiltà e dell’autocritica una regola di vita, chiedendosi sempre se ha davvero fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità e il proprio dovere di medico e di uomo (3). Così come il denaro, anche il lusso gli ripugna: «La povertà e l’essenzialità sono più vicine alla realtà di tutto. Il lusso per me è una sovrapposizione all’essenziale, e quindi il mezzo migliore per deviare dalla retta via… la rinuncia è la dote essenziale di un uomo per progredire e per realizzare. Bisogna saper rinunciare a tutto quello che non è essenziale» (3). Quando, decenni dopo, durante una intervista gli verrà chiesto come ha fatto a trovare la cura per il cancro senza avere dietro un’università o un centro di ricerca iperfinanziato, risponderà: «In una maniera semplice: rinunciando a tutto quello che non è necessario per vivere. In questa maniera le spese le ho ridotte al minimo, e tutto quello che potevo risparmiare l’ho dedicato alla ricerca» (4).I “baroni” dell’università di Modena lo relegano in un’angusta stanzetta dell’istituto di fisiologia e gli impediscono, di fatto, di compiere ricerche, negandogli i fondi accademici a cui avrebbe diritto ad accedere. Lo scienziato sarà per questo costretto a indebitarsi per costruirsi un suo laboratorio privato che, una volta portato a termine nel 1952, gli consentirà di proseguire la sua attività di ricercatore. Intensifica anche la partecipazione a congressi medici e scientifici in Italia e all’estero, mentre continua a pubblicare i risultati delle sue ricerche. Al termine della sua vita, si conteranno 215 pubblicazioni e un centinaio di comunicazioni in congressi. Al rigore scientifico unisce sempre la sensibilità per il bello. Per lui queste due dimensioni sono inscindibili. Non c’è solo la bellezza delle arti figurative e della musica, che ama profondamente, ma anche l’infinita bellezza del Creato e degli intimi meccanismi che rendono possibile la vita. Ogni volta che, da ricercatore qual è, riesce a far luce su qualcuno di questi meccanismi, prova un profondo rapimento spirituale per la bellezza e la perfezione che vi intravede. In altre parole, è la meraviglia e lo stupore di chi giunge a scorgere quella particella di eternità che l’uomo incorpora in sé.Soltanto un poeta della scienza può arrivare a dire: «Un medico può considerarsi tale solo se ama l’ammalato ed è affascinato dall’ignoto, se cerca di far luce sui misteri del Creato e di confrontarsi con questi». E agli ammalati dona tutto se stesso, prendendo parte alle loro sofferenze: «Lei non immagina la sofferenza che mi viene ad ascoltare le sofferenze del prossimo, ad essere incapace di togliere queste sofferenze, almeno subito» (3). Quando visita, veste i panni di sacerdote in camice bianco. Molti pazienti avvertono istintivamente il bisogno di confidargli le loro pene interiori o i loro problemi familiari, e non pochi escono dalla visita letteralmente sconvolti nell’anima. Riportiamo per brevità solo un paio di esempi. Una signora, afflitta nel corpo e nello spirito, afferma: «E’ come se mi avessero messo una telecamera dentro al cuore e all’anima. Ha letto in me cose che non sa e non capisce nessun altro, e addirittura mi ha spiegato cose di me stessa che non riuscivo a comprendere. Un’esperienza sconvolgente, che non dimenticherò finché avrò vita». Un’altra, arrivata in uno stato di prostrazione profonda, esce trasformata: «Mi ha ridato la voglia di vivere. Non me ne frega niente se mi salvo o se muoio tra un mese o una settimana… Avere conosciuto un uomo così vale la vita. Sono serena».Nel 1963 Maria Teresa Rossi, una sua studentessa, gli si avvicina al termine di una lezione per chiedergli un consiglio sulla grave malattia che la affligge, il “lupus eritematosus”, a causa del quale i medici le hanno prospettato al massimo due anni di vita. Lo scienziato la visita e le prescrive una terapia. La ragazza, da tutti chiamata Deda, ne ricava presto netti benefici e in pochi anni diventerà una valida collaboratrice nelle ricerche del professore, il quale arriverà ad amarla come una figlia. E i due anni di vita residua, grazie a Luigi Di Bella, diventeranno ventiquattro. Dopo un complesso e faticoso iter sperimentale, il 6 dicembre 1973, invitato a tenere una conferenza presso la sede della Società Medico Chirurgica di Bologna dal professor Domenico Campanacci, il più illustre clinico italiano del dopoguerra, presenta il razionale e i primi risultati clinici della metodologia messa a punto per patologie ematologiche (successivamente perfezionata ed estesa ai tumori solidi).Riceve l’appoggio e la considerazione, oltre che del professor Domenico Campanacci, dell’illustre ematologo Edoardo Storti, del fisiologo Giuseppe Moruzzi e di Emilio Trabucchi, famoso farmacologo. Ma neanche costoro, dall’alto della loro autorevolezza, possono vincere il montante potere delle aziende farmaceutiche e l’ostilità di un’onco-ematologia che, invece di offrire collaborazione, si sente scavalcata e surclassata da quello scienziato che aveva osato dare concrete possibilità di salvezza a malati altrimenti condannati. Vale ricordare che nel 1973 si conoscevano solo 500 casi di leucemia in tutto il mondo sopravvissuti per più di 5 anni. Gli unici interessamenti genuini gli arrivano dall’estero: medici e istituzioni ospedaliere di ogni parte del mondo lo contattano e si informano sui princìpi della sua cura. Il numero dei pazienti che accorrono da lui, grazie anche alle testimonianze dei malati curati e ad alcuni articoli pubblicati su diversi periodici, aumenta fino a livelli insostenibili. Anche perché non cura solo i tumori: la sua impostazione squisitamente fisiologica della medicina, unita a un raro ingegno e alla conoscenza profonda di tutte le branche della scienza medica, gli consentono di curare con successo diverse patologie, specialmente neurologiche e neuromotorie.Vale la pena soffermarsi brevemente sul valore delle ricerche che lo hanno condotto a formulare il suo metodo di cura dei tumori. Già nel 1969 aveva relazionato (Alghero, congresso della Società Italiana di Biologia Sperimentale) sugli esperimenti con cui aveva dimostrato l’influenza del sistema nervoso centrale sulla crasi ematica (si trattava della stimolazione, nei ratti, di una determinata zona del cervello vicina alla ghiandola pineale, che portava a forti aumenti delle piastrine in circolo). Fino a quel momento nessuno aveva intuito che il sangue, e quindi le concentrazioni delle sue componenti, potessero essere influenzate e determinate a livello cerebrale. Già solo tale scoperta, che porterà lo scienziato a introdurre la melatonina (prodotta principalmente dalla ghiandola pineale) come uno dei cardini della sua cura, avrebbe meritato, come osservarono alcuni studiosi, il Premio Nobel per la Medicina. L’estensione della cura ai tumori solidi risale alla metà degli anni ’70, quando nel suo metodo introduce la somatostatina. E’ il primo al mondo a proporre l’uso di questa sostanza per le patologie tumorali. Ancora oggi il suo impiego terapeutico in oncologia è limitato ai soli tumori neuroendocrini, nonostante migliaia di pubblicazioni, tra le quali quelle di premi Nobel come Viktor Schally (5), che ne dimostrano l’efficacia in un’amplissima varietà di patologie neoplastiche.Nel frattempo, già un anno dopo la presentazione della sua cura, era stato vittima, mentre era nell’istituto di fisiologia, di un tentativo di avvelenamento – da cui riuscì a salvarsi intuendo la causa dei gravi sintomi che avvertiva e prendendo le opportune contromisure. Poco tempo dopo subirà diversi inspiegabili incidenti per le strade di Modena, mentre era in sella alla sua inseparabile bicicletta. L’ultimo attentato avverrà nel 1996 mentre, ormai ottantaquattrenne, si reca in bici al suo laboratorio per visitare i malati: colpito alle spalle con un sacco di sabbia, finirà a terra e si risveglierà in ospedale con un trauma cranico, una commozione cerebrale e la compromissione dell’udito ad un orecchio. Nonostante ciò, appena riavutosi ha un’unica preoccupazione: chiede di essere dimesso, si fa accompagnare in laboratorio e, con ancora le bende macchiate di sangue, inizia a visitare i malati che lo attendevano all’ingresso. Intervistato negli anni ’90 da un canale televisivo, lascia a bocca aperta la giornalista che gli chiedeva, viste le mille difficoltà attuali e quelle incontrate nella sua vita, quali fossero le sue gratificazioni: «Non ho bisogno di gratificazioni. Sono arrivato ad una semplice morale che a volte meraviglia anche i miei figli: ringrazio il Padreterno per la sofferenza che m’ha dato, perché attraverso la sofferenza ho imparato cos’è la vita» (6).La famigerata sperimentazione del 1998 richiederebbe una trattazione troppo lunga. Quello che è importante sottolineare è che non fu Luigi Di Bella a chiederla, ritenendo egli che l’ampia letteratura scientifica disponibile e la casistica raccolta avrebbero da tempo dovuto consentirne l’adozione. Il ministero dalla sanità preferì ignorare tali pubblicazioni, decidendo di organizzare una sperimentazione che, per i presupposti di partenza e poi per la sua conduzione, aveva l’esito già scritto. Basandosi esclusivamente su documenti ufficiali (Rapporti Istisan 98/17 e 98/24), si rileva infatti che condizione fondamentale per l’arruolamento fosse «essere non suscettibili, o non più suscettibili di trattamento»: in parole semplici, dovevano essere malati tanto gravi da far considerare inattuabile qualsiasi tentativo terapeutico (chirurgia, radioterapia, ormonoterapia, chemioterapia). La sopravvivenza stimata dagli sperimentatori andava da un minimo di 11 giorni (!) ad un massimo di 90. E’ un ben curioso criterio quello di ritenere efficace una terapia solo se riesce a replicare il miracolo di Lazzaro, salvando malati terminali e candidati all’assistenza domiciliare!Sempre sulla base della documentazione ufficiale si rileva un altro inquietante “mistero”: ad onta della reiterata affermazione che il professor Di Bella avesse accettato queste condizioni ostative, non esiste un documento ufficiale che attesti dove e quando lo scienziato avrebbe firmato i protocolli della sperimentazione; e anzi risulta agli atti uno schema autografo e da lui firmato il 31 gennaio 1998, totalmente incompatibile con gli schemi terapeutici praticati. L’esito così precostituito venne ulteriormente presidiato con numerose altre anomalie, costituenti obiettivamente e autonomamente cause di invalidazione (7): 3-4 farmaci previsti sui 10 del sopra richiamato schema autografo; interruzione del trattamento nell’86% dei casi; galenici somministrati dopo la data di scadenza o resi tossici dalla presenza di acetone (soluzione di retinoidi); somatostatina somministrata senza indispensabile impiego di siringa temporizzata, ecc. Ma, a parte quanto sopra, la demolizione della validità di questo studio fu fatta da uno scioccante editoriale comparso su quella che dai più è ritenuta la più autorevole rivista scientifica del mondo, il “British Medical Journal” (Marcus Mullner: “Di Bella’s therapy: the last word?” – Bmj, 1999, 318, 208).L’editoriale, dopo alcune severe critiche (mancanza di randomizzazione e di gruppo di controllo), conclude: «E’ proprio il progetto scadente di questo studio a non essere etico… Il progetto di questa sperimentazione è fallace». Il vero miracolo (mai comunicato all’opinione pubblica) fu che, nonostante quanto osservato, il 48% dei pazienti risultava in vita al termine della sperimentazione (Rapporti Istisan: 167 pazienti in vita al 31 ottobre 1998 su 347 pazienti ‘valutabili’), nonostante che la prognosi di massimo 90 giorni (la prova iniziò nel marzo 1998 e si concluse il 31 ottobre dello stesso anno) facesse prevedere il decesso di tutti i 347 pazienti arruolati. Nel follow-up del giugno 1999 risultavano ancora in vita 88 arruolati (25%).Malgrado le amarezze, le perfidie subìte e le delusioni, Luigi Di Bella continuerà la sua attività di medico fino al termine della sua vita, vincendo la stanchezza ed i crescenti problemi di salute. A chi tenta di farlo desistere almeno dalle visite ai malati che si presentano senza appuntamento, lui risponde con semplicità disarmante: «Se vengono qui, è perché hanno bisogno». Per tutta l’esistenza ha combattuto la “buona battaglia”. E ai figli, che in uno dei momenti di maggiore ostilità e attacchi crescenti, gli avevano chiesto se non fosse il caso di ritirarsi cercando di badare alla sua salute, aveva risposto: «Non capite che io sono sempre stato un lottatore?». Lascerà questo mondo il 1° luglio 2003, a pochi giorni dal suo 91° compleanno. Qualche mese prima aveva scritto: «Sono degno? Lo diranno gli altri. L’animo mi dice tuttavia che non sono vissuto inutilmente, perché ho fatto del bene ed ho gioito per il bene fatto».Infine, qualche osservazione sul Metodo Di Bella: si tratta di una cura squisitamente fisiologica, impostata cioè sui princìpi della fisiologia, la disciplina che studia il funzionamento degli organismi viventi, dai fenomeni macroscopici fino ai più piccoli legami molecolari. Per dirla in breve, è la scienza che studia la vita e i meccanismi con cui essa si esprime. E’ una materia fondamentale e alla base di tutte le altre discipline mediche, e non a caso, nel degrado voluto e pianificato della medicina attuale che va di pari passo col degrado di tutta la civiltà, essa è stata ridotta e svilita nei programmi universitari a tal punto che lo studente arriva a laurearsi in medicina capendone poco o nulla. Il tumore, inoltre, è una malattia sistemica e multifattoriale, per cui non potrà mai essere guarita da un unico rimedio. Non a caso, il metodo Di Bella comprende un numero ben nutrito di diverse sostanze fisiologiche, farmaci e princìpi vitaminici, la cui composizione è stata studiata per avere azione sinergica e fattoriale, per cui l’effetto di ognuno è impressionato e potenziato dall’assunzione di tutti gli altri. Per ciascuna di queste componenti sono comparsi negli anni un’infinità di studi sulle riviste scientifiche (attualmente ammontano a qualche decina di migliaia) che ne dimostrano l’efficacia antitumorale.Un altro fatto significativo sono i circa 1.000 casi documentati di efficacia del metodo Di Bella pubblicati su riviste scientifiche accreditate e “peer review”, rintracciabili agevolmente sul portale www.pubmed.gov. Tra le pubblicazioni più recenti, quelle sui pazienti con tumore alla prostata e alla mammella, molti dei quali hanno avuto remissione della malattia senza chirurgia, senza radioterapia e senza chemioterapia, ma unicamente con il Metodo Di Bella. Si tratta peraltro di casi documentati nella maniera più scrupolosa, con diagnosi e successivi accertamenti strumentali effettuati in strutture pubbliche o private. Per comprendere l’eccezionalità della pubblicazione, occorre evidenziare che in tutta la letteratura scientifica mondiale non esiste un solo caso pubblicato di tumore solido guarito con qualsivoglia strumento farmacologico o radiante. Considerando che circa 180.000 persone in Italia muoiono ogni anno a causa di patologie tumorali, quante vite si sarebbero potute salvare se la sperimentazione del 1998 fosse stata condotta in maniera corretta? Tanti altri aspetti del metodo, della pseudo-sperimentazione e della vita dello scienziato, oltre ad una ricca documentazione fotografica, sono riportati nel volume “Il poeta della scienza” scritto da Adolfo Di Bella, che ha voluto affidare a questa biografia una testimonianza unica: quella di una vita trascorsa accanto ad un genio e benefattore dell’umanità.(Luca Iezzi, “Il poeta della scienza: vita del professor Luigi Di Bella”, da “Coscienze in Rete” del 9 aprile 2019. Il libro: Adolfo Di Bella, “Il poeta della scienza. Vita del professore Luigi Di Bella”, Mattioli editore, 444 pagine, 28 euro).Note:(1) I dettagli delle candidature al Nobel del professor Pietro Tullio sono disponibili sul sito ufficiale del prestigioso premio: https://www.nobelprize.org/nomination/archive/show_people.php?id=9395Dal libro Si può guarire? La mia vita. Il mio metodo. La mia verità (Luigi Di Bella e Bruno Vespa, ediz. Mondadori, 1998, pag.34)(2) Intervista di Mons. Don Giovanni D’Ercole a Luigi Di Bella, trasmessa il 14 marzo1998 su Raidue nel programma “Prossimo tuo”: https://www.youtube.com/watch?v=IjexHtSSvlc.(3) Programma “Moby Dick” trasmesso il 6 novembre 1997 su Italia Uno e condotto da Michele Santoro: https://www.youtube.com/watch?v=T65W48zYxPo.(4) Si veda ad esempio, tra i tanti lavori di Schally: Barabutis N, Siejka A, Schally AV. Effects of growth hormone releasing hormone and its agonistic and antagonistic analogs in cancer and non-cancerous cell lines. International Journal of Oncology 2010 May;36(5):1285-9 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20372804).(5) Intervista fatta a Luigi Di Bella nella primavera 1996: https://www.youtube.com/watch?v=uQJDUmwkugg.(6) La sperimentazione del 1998 – motivi e prove della sua invalidità: http://www.metododibella.org/la-sperimentazione-truffa-sul-metodo-di-bella.html .Un’enorme mole di dati e documenti che demolisce completamente la sperimentazione ministeriale è raccolta nel volume “Un po’ di verità sulla terapia Di Bella” (Vincenzo Brancatisano, ediz. Travel Factory, 1999).“Il poeta della scienza”, vita di Luigi Di Bella: il volume, minuziosamente documentato e ricco di indicazioni delle fonti, dipana la complessa figura del professor Di Bella esaminandola sotto il profilo scientifico, morale, intellettuale e umano. Difficile non giungere alla conclusione che sono state proprio queste qualità e virtù a procurargli, per buona parte della vita, un’ostilità incessante che non di rado si è fatta autentica persecuzione. Il lettore rimane, oltre che indignato e amareggiato, anche stupefatto per la capacità dell’uomo di non farsi annichilire da un’opposizione tanto indiscriminata e violenta e di riuscire a compiere egualmente la sua opera. Luigi Di Bella, siciliano, classe 1912, era nato in una famiglia numerosa e di assai disagiate condizioni economiche, non in grado quindi di sostenere le spese per fare studiare quel ragazzo, nonostante avesse precocemente dimostrato rare doti d’ingegno e di forza di volontà. Luigi sopportò sacrifici di ogni genere per soddisfare la sua sete di sapere e superare le ristrettezze della povertà, arrivando anche a studiare la sera in piedi, sotto la luce del lampione della strada, per sopperire alla penuria di petrolio per la lampada.
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Ricatto: vogliono vaccinarci tutti. E’ una guerra, fermiamoli
Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.Questo rende chiaro che i vaccini, la salute pubblica, la scienza, in questa vicenda alla fine non c’entrano un cazzo. Sono un alibi, uno strumento con cui produrre un cambiamento percettivo di massa. Produrre a tavolino una popolazione che accetta, anzi festeggia, la demolizione controllata dei propri diritti, la cancellazione della propria sovranità. Sul proprio corpo, sulla propria famiglia, sul proprio Stato. Non so voi, io non ci sto. Io nel mio corpo ci vivo e nessuno, per nessun motivo, potrà mai decidere di farci cose senza il mio consapevole, libero e indipendente consenso. Quindi non mi basta che questo obbligo venga cancellato. Ogni trattamento sanitario obbligatorio deve essere dichiarato illegale. Le leggi devono venire cambiate. Il principio della sovranità deve venire ristabilito e garantito in modo chiaro e inequivocabile: sovranità dell’individuo sul proprio corpo e sulla propria mente, di cui è unico proprietario e responsabile; sovranità della famiglia, comunque essa venga intesa, sovranità prioritaria rispetto allo Stato nelle decisioni sui propri figli minorenni; sovranità dello Stato nelle proprie decisioni economiche, sociali, culturali, che devono rispecchiare la volontà del popolo, non quelle di arroganti élite sovranazionali che si credono una razza superiore.Questo deve essere l’obiettivo, chiaro e inequivocabile. Ogni altro obiettivo di minore ampiezza sarebbe comunque una finta vittoria: una concessione temporanea da parte di chi detiene il vero potere dentro cui viviamo oggi prigionieri, che un domani verrà ritirata. Non so voi, ma io non mi sono svegliato a metà: ho gli occhi bene aperti e non li chiuderò di nuovo. La seconda cosa che ho da dirvi riguarda il metodo. In questi due anni abbiamo protestato in ogni modo ragionevole, cercato ogni tipo di dialogo possibile, e non ha funzionato: perché, molto semplicemente, quando non ci hanno insultato, accusato di colpe odiose e immaginarie o preso in giro, ci hanno totalmente ignorato. Quindi è tempo che noi si prenda una decisione fondamentale: se vogliamo soltanto continuare a ribadire le nostre ragioni restando inascoltati, o se invece vogliamo tradurle in realtà. Credo che l’esperienza del governo in vigore lo abbia chiarito a tutti: non cambieranno nulla. Non importa cosa hanno promesso, non importa nemmeno cosa stanno ancora promettendo: non cambieranno nulla perché non vogliono cambiare nulla. Che costi troppo politicamente, che temano ritorsioni delle controparti o che si siano fatti conquistare da qualche lusinga non cambia un emerito cazzo: non cambieranno nulla.Se vogliamo che questo obbligo scompaia, non basta più chiederlo, e non basta nemmeno più pretenderlo: dobbiamo costringerli. Dobbiamo costringere lo Stato a cancellare questo abuso. E come li possiamo costringere? Con azioni: pratiche e concrete azioni di pressione. Facciamo parte del paese Italia. Bene, ci sono migliaia di modi in cui possiamo ostacolare il paese Italia. Possiamo boicottarne settori, piccoli e grandi, con azioni di gruppo mirate e specifiche. Possiamo infilare tanti di quei bastoni negli ingranaggi di questo paese da arrivare persino a bloccarlo del tutto. Ma se lo facciamo, smettiamo di essere un fenomeno da baraccone, dei rompiscatole folkloristici i cui voti cercare di fottersi con qualche promessina, o da prendere per il culo sui giornali di regime, e comunque di cui ignorare costantemente le richieste: diventiamo un pericolo concreto. E se diventiamo un pericolo concreto, ci combatteranno seriamente. Non come succede oggi.Oggi violano i nostri diritti, i diritti dei nostri figli, ma non ci stanno affatto combattendo; perché gli serviamo, dopotutto. Siamo gli untori contro cui motivare fanatismo. Ma se diventiamo una minaccia concreta al sistema, il sistema ci colpirà con tutta la sua forza. Saremo denunciati, anche con reati inventati su misura. Perseguiti, arrestati, condannati. Come lo sono stati tutti coloro che hanno combattuto per i loro diritti, per i diritti del loro popolo. Che fosse il diritto di voto delle donne o la fine dell’apartheid, la abolizione della schiavitù o la fine della discriminazione dell’orientamento sessuale, persone hanno combattuto, sono state perseguitate, imprigionate, persino torturate o uccise. Questa battaglia non ha nulla di differente: vuole cancellare delle imposizioni, sostenute da una struttura che è insieme economica, culturale e militare e che non ha la minima intenzione di riconoscere questi diritti – anzi, lavora attivamente per cancellarli definitivamente dalla storia. Quindi, se combattiamo davvero, queste cose succederanno anche ad alcuni tra noi.La cosa importante è capire, mettere bene a fuoco che non stiamo parlando di una passeggiata. Tutti vogliamo sentirci gli eroi dei film che abbiamo visto, impavidi e pronti a tutto contro i potenti cattivi. Ma qui, nel mondo reale, si pagano costi alti anche solo a provarci. Questo dobbiamo per prima cosa capire a fondo, per poi decidere se vogliamo farlo o meno. La domanda è: siete pronti a questo? Perché se preferite onestamente continuare a fare battaglia solo a parole, a livello di principi, per me va anche bene: basta esser chiari sul fatto che non cambieremo un cazzo, perlomeno non per i prossimi trecento anni. Se è così, diciamocelo chiaro e smettiamo di illuderci con speranze inutili. Io scriverò altri libri, pubblicherò post e articoli, voi farete un po’ quel che vi pare. I bambini continueranno a venire esclusi dagli asili, poi dalle scuole, poi dalle mense, e così gli adulti. Le nostre Sovranità continueranno a venire violate, compresse, cancellate. Oppure, raccogliamo il coraggio e combattiamo. Sapendo che pagheremo prezzi alti, che verremo colpiti duramente, personalmente. Che le nostre vite potrebbero venire stravolte, spezzate.Fatemelo dire chiaro: la battaglia sarà lunga, non durerà meno di un decennio. E lo sappiamo benissimo: i mezzi a disposizione del nemico sono enormi rispetto ai nostri. Eppure, possiamo vincere. Vi sembra impossibile? Beh, Gandhi ha combattuto contro un impero. Equipaggiato soltanto un paio di sandali ha fronteggiato un esercito. Ha chiesto, gentilmente, a quell’esercito di andarsene dalla sua terra, dal suo Stato. Ha insistito, ha promosso scioperi e sabotaggi, ci sono voluti oltre trent’anni costellati da centinaia di morti, migliaia di feriti e decine di migliaia di imprigionati. Ma alla fine ha vinto. Io di fare passerella a ribadire soltanto concetti teorici ne ho francamente avuto abbastanza. Se vogliamo iniziare a combattere davvero, ci sono. Voi, sul serio, ci siete? Pensateci e decidete, liberamente e responsabilmente.Io la mia decisione la ho presa: si chiama Rete Nazionale di Sostegno per la Libertà, in breve ReNaSoLi. Ne ho già parlato anche a Bologna il 23 settembre del 2018. Molto in breve, ha la finalità ideologica di ristabilire la piena sovranità, in ordine di importanza, dell’individuo, della famiglia e dello Stato. E si pone come obiettivi due finalità concrete: 1. avviare una rete di agevolazioni reciproche volontarie; 2. creare una struttura operativa di difesa e reazione. Dedicherò altri post a descriverne meglio sia l’impianto teorico che la struttura organizzativa; per ora posso dire che sta già sommando le forze di molte realtà e di molti individui. Il sito di riferimento, ancora assolutamente temporaneo, è http://www.renasoli.it. Io la mia decisione la ho presa. Adesso la scelta sta a voi.(Stefano Re, intervento pronunciato alla manifestazione contro l’obbligo vaccinale svoltasi a Torino il 23 marzo 2019, ripreso in video su YouTube e trascritto da “Luogo Comune”).Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.
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Paludata, ufficiale, noiosa: e la storia è sparita dalla scuola
Tutti a lamentarsi che la storia è sparita nei programmi scolastici e negli esami di maturità. E tutti pronti a dire che siamo “prigionieri del presente” e del web, come dicono in tanti, da Liliana Segre a Giuseppe De Rita fino a Sergio Mattarella. Ma perché la storia è sparita dalle scuole, è colpa del governo in carica e della sua riforma? L’Italia viaggia ormai da anni tra l’amnesia, la nausea e la sazietà di storia. Eppure noi italiani avevamo tanti difetti, non siamo mai stati gran lettori, ma la passione storica ci coinvolgeva, eccitava perfino le tifoserie retrospettive. La storia era sangue e vita. C’erano riviste storiche assai diffuse, da “Historia” a “Storia Illustrata”, i settimanali d’opinione vendevano di più quando avevano in copertina personaggi e inchieste storiche (in particolare col duce). La storia divulgativa, sulla scia di Indro Montanelli, andava alla grande. La politica si richiamava alle provenienze storiche. Da qualche anno, invece, la memoria è passata dalla storia al moralismo, la storiografia si è ritirata in circuiti ristretti e il giudizio storico tocca ai tribunali che possono punire alcuni revisionismi ritenuti indecenti. La storia a scuola si è rimpicciolita, quasi ridotta all’età contemporanea, almeno dai tempi del ministro Luigi Berlinguer. La storia riappare nella sfera pubblica solo per revocare la toponomastica o cancellare le cittadinanze onorarie, per abbattere statue e monumenti non conformi allo spirito del presente. Non c’è più vita nel pianeta storia.Ma quali sono le radici storiche di questa perdita della memoria storica anche a scuola? Indicherei due cause prioritarie, intrecciate: una è l’americanizzazione sbarcata anche a scuola, che è la negazione della memoria storica e dello studio della storia; l’altra è l’onda lunga del ’68 che dichiarò guerra al passato, alla memoria e alla storia, vista solo come un cimitero di soprusi da cui liberarsi. I due fattori combinati hanno generato l’ossessione di attualizzare il passato e ridurlo ai precetti odierni. Col risultato di far nascere una storia Ogm, geneticamente modificata. Quella storia è oggi prevalente nelle scuole italiane, perché molti docenti sono osservanti del politically correct. A quei due fattori ne va aggiunto un altro: se Memoria si traduce solo con Olocausto, se la storia si riduce solo a Orrore e Male Assoluto, allora meglio rimuoverla, rifugiarsi nel presente, nella tecnologia o nell’economia. Se si parla di scomparsa della storia nei programmi scolastici e negli esami è dunque riduttivo prendersela col ministro in carica, Marco Bussetti, o col suo governo. Bisogna risalire ai presupposti “storici” che hanno reso ingombrante e molesta la storia, fino a cancellarla dagli orizzonti civili, didattici e culturali.Credo che qualche responsabilità l’abbia anche la “storiografia ufficiale” e accademica che vigila sul Canone e la sua osservanza, respinge il revisionismo e riconosce la ricerca solo se non smentisce il pre-giudizio dominante. Abbiamo dovuto aspettare gli storici divulgatori e giornalisti, come Giampaolo Pansa e Pino Aprile, e prima di loro Giorgio Pisanò, Arrigo Petacco e altri, per sapere qualcosa di più, finora non detto o non riconosciuto, sulla guerra partigiana e gli eccidi del dopoguerra, sulla storia d’Italia e la conquista del Sud; sulle foibe e sui regimi comunisti, su alcune biografie, sul caso Mattei o sulle pagine nere della nostra repubblica. La storiografia ufficiale si è distratta su troppi temi, non ha raccontato i lati in ombra, si è limitata a certificare e codificare la verità prestabilita. La storiografia ha responsabilità gravi se la coscienza storica è narcotizzata. Naturalmente non mancano storici rispettabili, studi e opere di spessore. C’è poi un altro aspetto che allontana dalla storia e riguarda il metodo e lo stile. Diceva Gioacchino Volpe, ispirandosi a Labriola, che la storia per essere credibile e appetibile, dev’essere “scienza del procedimento e arte della narrazione”, ovvero da un lato rigorosa ricerca che ricostruisce come sono andate effettivamente le cose e dall’altro capacità di raccontarle, di coinvolgere il lettore. Renzo De Felice, ad esempio, era dotato della prima ma non della seconda, come notava Montanelli (a cui forse si poteva rimproverare l’inverso, ma lui non pretendeva di scrivere testi scientifici). Volpe, che fu accademico ma in origine anche giornalista, anzi correttore di bozze, era dotato di ambedue. Così Rosario Romeo.Temo che oggi la “storiografia ufficiale”, con rispettabili eccezioni, faccia esattamente il contrario: la narrazione si fa paludata e noiosa, come un trattato scientifico, e il procedimento, cioè il metodo storico si fa artificioso, se non artefatto, perché sottomesso a omissis, pregiudizi ideologici e dogmi indiscutibili. Il risultato è un indigesto cumulo di ovvietà ma corredate da un sontuoso apparato di note. Tanto condimento per pietanze così scarse. A parziale consolazione della storia scomparsa, è ricomparsa l’educazione civica che torna nelle scuole in forma di “cittadinanza e Costituzione”. Bella cosa, sulla carta, ma col rischio che diventi l’ora del “politicamente corretto” in cui propagandare i temi del razzismo, l’accoglienza, l’antifascismo, l’omofobia e il sessismo. Il personale è già pronto per la missione. Preoccupa che l’ora di cittadinanza e Costituzione possa sostituire la conoscenza della storia e suggerire che la nostra storia cominci con la Costituzione, e la sua agiografia. Per rimediare a un errore, la cancellazione della storia, si rischia di farne un altro, la somministrazione del politically correct, il metadone ideologico dei nostri anni.(Marcello Veneziani, “Perché è scomparsa la storia?”, dal numero 11-2009 di “Panorama”; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Tutti a lamentarsi che la storia è sparita nei programmi scolastici e negli esami di maturità. E tutti pronti a dire che siamo “prigionieri del presente” e del web, come dicono in tanti, da Liliana Segre a Giuseppe De Rita fino a Sergio Mattarella. Ma perché la storia è sparita dalle scuole, è colpa del governo in carica e della sua riforma? L’Italia viaggia ormai da anni tra l’amnesia, la nausea e la sazietà di storia. Eppure noi italiani avevamo tanti difetti, non siamo mai stati gran lettori, ma la passione storica ci coinvolgeva, eccitava perfino le tifoserie retrospettive. La storia era sangue e vita. C’erano riviste storiche assai diffuse, da “Historia” a “Storia Illustrata”, i settimanali d’opinione vendevano di più quando avevano in copertina personaggi e inchieste storiche (in particolare col duce). La storia divulgativa, sulla scia di Indro Montanelli, andava alla grande. La politica si richiamava alle provenienze storiche. Da qualche anno, invece, la memoria è passata dalla storia al moralismo, la storiografia si è ritirata in circuiti ristretti e il giudizio storico tocca ai tribunali che possono punire alcuni revisionismi ritenuti indecenti. La storia a scuola si è rimpicciolita, quasi ridotta all’età contemporanea, almeno dai tempi del ministro Luigi Berlinguer. La storia riappare nella sfera pubblica solo per revocare la toponomastica o cancellare le cittadinanze onorarie, per abbattere statue e monumenti non conformi allo spirito del presente. Non c’è più vita nel pianeta storia.
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Stiamo diventando sempre più stupidi: crolla il Qi in Europa
Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Secondo gli studiosi norvegesi, le ragioni dell’incremento nell’intelligenza fino agli anni ‘70 sarebbero legate a un miglioramento di diversi fattori e condizioni di vita, dall’istruzione alla sanità, passando per l’alimentazione e il benessere generale. Ma a cosa è dovuto il preoccupante crollo del Qi avviatosi negli anni ‘70? Secondo gli scienziati di Oslo, la colpa sarebbe principalmente dei media, che avrebbero allontanato i giovani dalla lettura “intrappolandoli” davanti alla televisione e ai videogiochi, fino a indurli – negli ultimi anni – a trascorrere moltissime ore sui social network. I risultati dello studio, pubblicati sull’autorevole rivista scientifica “Pnas”, seguono quelli di un’altra ricerca condotta dallo stesso Flynn, nella quale emerse che il Qi medio degli adolescenti britannici era sceso di 2 punti in 28 anni. Poi, la caduta è diventata ancora più vistosa: in soli dieci anni, fra il 1999 e il 2009, gli inglesi avrebbero perso 14 punti di quoziente intellettivo, mentre i francesi 4 punti. In base a uno studio della rivista “Intelligence”, i britannici avevano un Qi medio di 114 punti nel 1999, e oggi invece sono appena 100 (dal canto loro, i francesi sarebbero ancora più in basso: appena 98 punti).“Vox News” cita una recente segnalazione di Maurizio Blondet: tutti gli studi ormai confermano che il Qi medio delle popolazioni occidentali sta scemando vistosamente da una quindicina d’anni. «Il calo è tanto più allarmante – sottolinea lo stesso Blondet – perché tutto il ventesimo secolo, al contrario, ha visto un aumento del Qi in Occidente, forse a causa del miglioramento generale della salute e dell’accesso all’educazione». Sulle cause del fenomeno, però, non c’è ancora nessuna certezza scientifica. «C’è chi chiama in causa i perturbatori endocrini, molecole contenute nella plastica che hanno l’effetto (fra gli altri) di ostacolare l’azione dello iodio, così importante nello sviluppo cerebrale: ricordiamo il “cretinismo alpino” di un tempo, che colpiva popolazioni carenti di sale iodato». “Vox News” punta il dito contro l’immigrazione, sostenendo che staremmo “importando” individui dall’intelligenza meno pronta: «Il mulatto è mediamente più intelligente del subsahariano ma meno dell’europeo. Mischiate Europa e Africa e avrete le favelas brasiliane». Proprio sicuri, che la spiegazione possa essere etno-lombrosiana? «Quando ti stai instupidendo – scrive “Vox” – figurati se ti accorgi del tuo instupidimento».Paolo Barnard, impietoso analista della contemporaneità, nel saggio “Il più grande crimine” punta il dito contro quella che chiama “esistenza commerciale”, l’avvento della mercificazione universale che ha spazzato via di colpo molti valori fondanti del vivere civile. Risultato: il mondo distopico di oggi, fatto di mera apparenza e popolato di individui resi apatici, indifferenti a tutto e ormai incapaci di lottare, sul piano sociale e politico. La generazione ruggente della rivolta studentesca del Sessantotto? Liquidata con un sapiente dosaggio di droghe immesse sul mercato. Poi il resto l’hanno fatto la globalizzazione e i signori del Wto, ma anche il web di massa, lo smartphone, lo stupidario di Facebook. Si legge meno: per questo si diventa stupidi? «Ha vinto Walt Disney, quindi abbiamo perso tutti», ebbe a sentenziare il sempre laconico Bob Dylan. Come dire: il dominio dell’apparenza è ormai planetario, non abbiamo scampo. Davvero? Punti di vista, sostiene a “Border Nights” l’eccentrico Fausto Carotenuto, approdato allo spiritualismo dopo anni di ruvido lavoro nell’intelligence Nato. La sua tesi: se inorridiamo di fronte alle tante aberrazioni cui ci tocca assistere, è perché i grandi poteri ricorrono sempre più spesso ai colpi bassi, puntando alla manipolazione di massa. Ma la buona notizia è che lo farebbero perché preoccupati dal nostro “risveglio” collettivo.Da qualche anno, Carotenuto ripete – in solitaria – la medesima diagnosi: i padroni della Terra scatenano guerre anche per abbassare il tono vitale delle moltitudini che si starebbero letteralmente ribellando al mainstream. La riprova? Almeno un cittadino su tre non crede più a quello che gli viene raccontato, da chi comanda. Per questo, aggiuge Carotenuto, sta salendo l’intensità del “bombardamento” cui siamo sottoposti: terrorismo, stragi, cibo inquinato, vaccini imposti a tappeto, scie chimiche. Tutto fa brodo, per spegnere l’energia dei singoli (e magari abbassare anche la loro intelligenza, il famoso quoziente intellettivo). Una tesi originale ma mai convalidata, ad esempio, dal saggista Gianfranco Carpeoro, che si domanda: dove mai sarebbero tutti questi indizi di risveglio coscienziale? Prendiamo le elezioni: votiamo sempre con odio, contro qualcuno – mai per qualcosa. Dove pensiamo di andare, per questa strada? La caccia alle streghe è sempre in voga: il nemico è l’Uomo Nero, non il sistema che lo produce. Morto un mostro, se ne fa un altro. Ma difficilmente ci accorgiamo del trucco: ci basta poter sparare contro il cattivone del momento. E’ così che il sistema, la fabbrica dei mostri, finisce sempre per farla franca.Se Carotenuto evoca il ruolo di un antagonista esterno, annidato in quelli che chiama “mondi spirituali”, Carpeoro resta sul terreno del visibile: possibile, dice, che non ci rendiamo conto che facciamo tutto da soli? E dire che non ci mancherebbe niente. Le doti fondamentali sono già in noi: e si chiamano conoscenza, fiducia e coraggio. Siamo capaci di imparare e di amare. Il problema? Costa fatica. Bisogna impegnarsi, studiare, crescere. E per farlo ci serve la risorsa più preziosa: il tempo. Se corri dal mattino alla sera, non ti resta il tempo per niente. Hai bisogno di informazioni? C’è Google, sullo smartphone: tutto e subito, senza sforzo. Risulato immediato: la memoria si addormenta, e alla lunga si atrofizza. Un guaio: senza memoria non c’è conoscenza. Non puoi fare confronti tra ieri e oggi, finisci per ripetere gli stessi errori, non riesci a collegare fatti lontani nel tempo. Come uscirne? Lottando, per riconquistare il tempo. E’ l’unica chance, per diventare più consapevoli, quindi più liberi. E inevitabilmente, alla fine, anche più intelligenti.Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
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Vaccini e autismo, Federica: all’estero per salvare mio figlio
Si chiama Federica, vive in provincia di Gorizia. Ha una voce melodiosa da cantante jazz, e un coraggio da eroe greco. Antigone, con due bambini da difendere con le unghie e coi denti. Entrambi minacciati da un orco invisibile, armato di siringa. Il piccolo Nicola, il primogenito, oggi ha otto anni. Da poco è tornato tra noi. Era scomparso: muto, assente, estraneo. Un bambino divenuto alieno, anaffettivo, indifferente a tutto. In una parola: autistico. Lo è diventato di colpo, dopo un vaccino “sbagliato”, esavalente: antitetanica, antiepatite B, antipolio, anti-difterica, anti-haemophilus, anti-pertosse. «A tredici mesi, Nicola sgambettava come un leprotto. A 20 parlava e cantava, manifestava il suo talento artistico in ogni occasione: sapeva dipingere, era affettuoso, baciava il fratellino nel pancione». Poi, intorno ai 22 mesi, subito dopo la nascita di Enrico, ha avuto un improvviso arresto dello sviluppo. «E in poche settimane ha smesso di parlare, di mangiare, di dormire». Sintomi allarmanti: vomito “a getto”. All’epoca, Federica non sapeva ancora della stretta correlazione fra cervello, stomaco e intestino. Già, perché l’intestino è il secondo cervello. E proprio dall’intestino è cominciata la guarigione “impossibile”: eliminando glutine e caseina, Nicola ha ripreso a parlare, a mangiare, a sorridere. Ma non in Italia: all’estero. Grazie al costoso intervento di medici all’avanguardia, in cliniche private.In Italia, di fronte all’orco si resta soli. E si finisce in un limbo di dolore, se non si ha a fianco una madre come Federica Santi, già insegnante e musicista, ora interamente dedicata alla sua missione: salvare Nicola. Vite sul punto di spezzarsi: queste tragedie sbriciolano le famiglie, dice Federica, che lascia capire di non avere più accanto a sé il padre dei suoi figli. Conta solo sulle sue forze: ce l’ha fatta documentandosi, studiando giorno e notte. Fino a scoprire, oltre confine, una possibile soluzione. Ma a che prezzo? Scoppia in lacrime, un duro come il video-reporter Massimo Mazzucco, quando cerca di raccontare – in web-streaming, su YouTube – che Federica non sa se potrà scendere a Roma per una manifestazione free-vax, di genitori che contestano le modalità dell’imposizione dell’obbligo vaccinale. Non sa se potrà spendere i soldi del treno, Federica, perché ogni singolo euro deve servire a lottare per guarire Nicola, strappandolo definitivamente dalle grinfie dell’orco. Non è un caso isolato, naturalmente: in Puglia, l’unica Regione italiana ad aver organizzato la farmacovigilanza attiva sui vaccini, il monitoraggio ha svelato che le iniezioni hanno causato problemi a 4 bambini su 10. Ma nessuno ne parla, e il governo tira dritto: Giulia Grillo non esce dal sentiero imboccato da Beatrice Lorenzin. Vaccini polivalenti obbligatori, a tappeto, pena l’esclusione dalla scuola. Un bel business, fra l’altro, per le case farmaceutiche: il prezzo delle dosi è aumentato del 60% all’indomani dell’introduzione dell’obbligatorietà.Si può anche morire, di vaccino, persino da adulti. Lo dimostrò l’ultima commissione parlamentare difesa. Cifre sconcertanti: mille morti e altri 4.000 militari italiani colpiti da malattie gravi, per metà imputabili a vaccinazioni somministrate in modo imprudente. Di recente, l’ordine dei biologi ha scoperto vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti e feti abortiti, nonché vaccini difettosi in quanto privi degli agenti immunizzanti dichiarati in etichetta. In Francia, l’ordine dei medici ha inutilmente avvertito il governo Macron, che è sulle orme di quello italiano: l’obbligo vaccinale distrugge la fiducia tra governanti e governati, tra medici e pazienti. Negli Usa, la più importante associazione medica ha appena ammonito il Congresso: non si vede la necessità di aumentare la copertura vaccinale, visto che non ci sono emergenze in atto. E l’imposizione sanitaria – in assenza di motivazioni – confligge con la libertà dell’individuo e l’inviolabilità del suo corpo. I precedenti non sono rassicuranti: dagli anni ‘80, quando Washington decise di proteggere per legge i produttori di vaccini, rendendoli non punibili in caso di errore, il governo statunitense ha già speso qualcosa come 4 miliardi di dollari per risarcire i danneggiati da vaccino. Quanto alla decantata “immunità di gregge” promessa dalle vaccinazioni, Mazzucco consiglia di dare un’occhiata in Ohio, dove la comunità degli Amish, per motivi religiosi, rifiuta da sempre di far vaccinare i bambini: mai nessuna epidemia, nessuna problematica di quelle che i vaccini promettono di debellare.Qui non siamo in Ohio, e i free-vax non sono Amish. Nemmeno Federica Santi contesta il vaccino in sé, come presidio sanitario. Si limita a sottolineare le gravi lacune di quella stessa disciplina farmaceutica con cui si sciacquano la bocca i Talebani pro-vax, i dogmatici corifei che riducono la scienza a nuova religione, ignorando il piccolo Nicola e tutti gli altri bambini danneggiati dalle vaccinazioni – che in Italia sono tantissimi, purtroppo: oltre 20.000, secondo l’Aifa, nel solo triennio 2014-2017, come certifica “OggiScienza”. Intanto, a Federica Santi è venuto in mente che scrivere libri può aiutare gli altri genitori a saperne di più, fin che sono in tempo: “Non vivo in una bolla” racconta la storia di Nicola, “Nutriamo la guarigione” svela come si possa usare il cibo per sfuggire all’orco. A indignare è la sua solitudine: nessun indennizzo per l’autismo del figlio (che in Italia resta un tabù, se correlato con il vaccino). Richiesta bocciata, infatti. Liquidata da un ufficiale dell’esercito: «Me la sono dovuta vedere con una commissione militare, che il dossier di Nicola non l’aveva nemmeno sfogliato».Di fronte alle parole di Federica, superata la commozione, lo stesso Mazzucco lancia l’allarme numero uno: la vaccinazione universale di massa. Il piano, dice, consiste nel puntare domani a vaccinare tutti, anche gli adulti, ricorrendo al ricatto: «O accetti di vaccinarti, o ti tolgo il passaporto e la patente di guida, come in Argentina». Arriveremo a questo? Scenderemo così in basso, in assenza di chiarimenti sulla reale necessità di un intervento simile, nonostante i rischi che può comportare? Proprio i 5 Stelle avevano fatto della trasparenza il loro cavallo di battaglia, ma adesso Giulia Grillo si è rivelata la reincarnazione perfetta della vituperata Lorenzin. Il primo diritto – l’informazione – è già stato archiviato, nel comodo derby tra pro-vax e no-vax. L’Italia, scelta da Obama come area-test, ha subito l’azzardo quasi in silenzio, grazie anche all’omertà dei grandi media. Così, il piccolo Nicola può contare solo su sua madre, che per salvarlo si è letteralmente svenata, all’estero, dopo aver lasciato la musica e l’insegnamento. E oggi non sa se troverà i soldi per andare a Roma, a raccontare la sua storia.(Giorgio Cattaneo, “La solitudine di Federica, fuggita all’estero per salvare suo figlio danneggiato dai vaccini”, da “La Voce Rooseveltiana” numero 7 del 20 marzo 2019. Tutte le informazioni su Federica Santi e i suoi libri sono rintracciabili sul web e in particolare sulla pagina Facebook “Un sorriso per Nicola ed Enrico”. Una intensa testimonianza di Federica è apprezzabile su YouTube nella diretta web-streaming “Mazzucco Live” del 16 marzo, con Massimo Mazzucco).Si chiama Federica, vive in provincia di Gorizia. Ha una voce melodiosa da cantante jazz, e un coraggio da eroe greco. Antigone, con due bambini da difendere con le unghie e coi denti. Entrambi minacciati da un orco invisibile, armato di siringa. Il piccolo Nicola, il primogenito, oggi ha otto anni. Da poco è tornato tra noi. Era scomparso: muto, assente, estraneo. Un bambino divenuto alieno, anaffettivo, indifferente a tutto. In una parola: autistico. Lo è diventato di colpo, dopo un vaccino “sbagliato”, esavalente: antitetanica, antiepatite B, antipolio, anti-difterica, anti-haemophilus, anti-pertosse. «A tredici mesi, Nicola sgambettava come un leprotto. A 20 parlava e cantava, manifestava il suo talento artistico in ogni occasione: sapeva dipingere, era affettuoso, baciava il fratellino nel pancione». Poi, intorno ai 22 mesi, subito dopo la nascita di Enrico, ha avuto un improvviso arresto dello sviluppo. «E in poche settimane ha smesso di parlare, di mangiare, di dormire». Sintomi allarmanti: vomito “a getto”. All’epoca, Federica non sapeva ancora della stretta correlazione fra cervello, stomaco e intestino. Già, perché l’intestino è il secondo cervello. E proprio dall’intestino è cominciata la guarigione “impossibile”: eliminando glutine e caseina, Nicola ha ripreso a parlare, a mangiare, a sorridere. Ma non in Italia: all’estero. Grazie al costoso intervento di medici all’avanguardia, in cliniche private.
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I Tabligh, islamici: il terrorismo Isis viene da massoni Usa
Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).Le prove? Magaldi dichiara di disporre di 6.000 pagine di documenti da poter esibire. Ma nessuno, dal 2014, si è mai fatto avanti per contestare le sue rivelazioni, secondo cui alla “Three Eyes” apparterrebbero personaggi di primissimo piano, da Henry Kissinger a Giorgio Napolitano. Quanto all’Isis, è illuminante il saggio “Dalla massoneria al terrorismo” firmato da Gianfranco Carpeoro nel 2016: un libro che analizza il retroterra simbolico – non islamico, ma interamente massonico e “templarista” – dei sanguinosi attentati condotti in Europa negli ultimi anni. Stragi affidate a manovalanza islamista e finite tutte nello stesso modo, con l’uccisione dei killer da parte della polizia, prima che un interrogatorio potesse consentire agli inquirenti di risalire agli eventuali mandanti. Ora, a confermare che sarebbe stato il braccio oscuro dell’Occidente a passare “dalla massoneria al terrorismo” sono i Tabligh Eddawa, asceti islamici che battono anche le nostre strade, di moschea in moschea. «Gli studiosi – scrive De Lorenzo, sul “Giornale” – li chiamano i “testimoni di Geova dell’Islam”. E forse i Tabligh Eddawa lo sono. O se volete sono i “frati di Maometto” che islamizzano l’Italia».Missionari, itineranti e radicali. «Predicano il vero Islam, vivono imitando lo stile di vita del Profeta e su questa strada cercano di riportare tutti i musulmani dalla fede affievolita». Il movimento nacque cent’anni fa in Pakistan dall’idea di Muhammad Ilyas Kandhalawi. «Da allora si sono diffusi in tutto il mondo, Italia compresa». Ogni membro, spiega De Lorenzo, deve seguire sei principi fondamentali: la preghiera, il ricordo continuo di Dio, lo studio, la generosità, la predicazione e la missione. «Ognuno deve sforzarsi in un percorso di auto-riforma verso il “vero”, unico Islam». “Eddawa” significa “parlare di Dio”, “Tabligh” invece “andare a portare il messaggio”: per questo, il loro obiettivo ultimo è la predicazione. Nel mondo, ricorda il “Giornale”, ci sono tra i 70 e gli 80 milioni di musulmani itineranti. Ma di loro si sa poco: non ci sono elenchi ufficiali dei membri e non esistono bilanci scritti. Non esiste una sede centrale italiana, ma solo cellule – in ogni moschea – che scelgono i responsabili «in base alla saggezza e al percorso di crescita personale». Durante le missioni i partecipanti si auto-tassano per sostenere le attività e gli spostamenti. «Il più delle volte dormono a terra, nelle moschee delle città dove si recano a predicare».Di loro, l’antiterrorismo italiano sa molto: anche se rifiutano categoricamente la violenza, sono strettamente monitorati dall’apparato di sicurezza che finora ha impedito che in Italia si verificassero gravi fatti di sangue, come invece è accaduto nel resto d’Europa. Nel suo pregevolissimo reportage, Giuseppe De Lorenzo restituisce perfettamente il clima dei colloqui intrapresi durante i tre giorni trascorsi insieme ai Tabligh Eddawa. «Uccidere è il più grande dei peccati», spiega Maufakir: un fedele può impugnare le armi solo per «combattere chi ci impedisce di professare la nostra fede». E poiché in Italia non è vietato praticare il Ramadan, non è lecito sposare la causa terrorista. L’atteggiamento del gruppo islamico radicale è duplice, osserva De Lorenzo: da una parte condannano senza mezzi termini gli attentati, dall’altra non nascondono una vena di complottismo sull’origine del jihadismo. «Un comportamento – annota il reporter – che tende a spostare le responsabilità dal mondo islamico a quello occidentale. Negano, infatti, che le bombe siano diretta espressione di una ideologia che trova nel Corano il suo testo di riferimento». Lo confermano le parole di alcuni di loro, come Jaouad: «Gli attacchi non sono opera dei musulmani. È tutto costruito: c’è qualcuno dietro».Di fronte ai microfoni, scrive De Lorenzo, nessuno si sbilancia sugli autori di questo presunto complotto. E l’attenzione si sposta sui media, accusati dai Tabligh di falsificare i video degli attentati. Un altro esponente della comunità, Hamid, ripete che le eventuali colpe dei singoli non possono ricadere sulle spalle di tutta la religione. L’Isis? Secondo i Tabligh Eddawa non è opera di Allah, ma del demonio. Abu-Bakr Al-Bahdadi? Per Magadi è un supermassone, esponente – come già Bin Laden – della “Hathor Pentalpha”. «Un criminale da sconfiggere», lo giudicano i “frati di Maometto”. Osserva De Lorenzo: «Daesh non è visto come metastasi di un tumore nato all’interno dell’Islam, ma come qualcosa di eterodiretto». Letteralmente: una pedina politica delle potenze straniere. «Per me – sentenzia Jaouad – l’Isis è una organizzazione criminale organizzata da qualche furbetto che cerca di sporcare la faccia dei musulmani». Furbetto manovrato da chi? «Dovreste indagare», risponde con sicurezza Jaouad: «Daesh è una cellula americana». Tombola: così si spiegano meglio anche le foto che, qualche anno fa in Siria, ritraevano Al-Baghdadi con l’inviato di Obama, John McCain.E’ comunque la prima volta – grazie al quotidiano milanese diretto da Alessandro Sallusti – che i media italiani registrano la denuncia del complotto, per bocca di esponenti musulmani radicali: si scrive Isis, ma si legge massoneria Usa. O meglio: spezzoni occulti della massoneria di potere di stampo reazionario, quella che alimenta il Deep State e la strategia della tensione internazionale, con il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, regolarmente proposto al pubblico occidentale sotto mentite spoglie, a colpi di “fake news”. Al “Giornale” ha collaborato a lungo Marcello Foa, la cui elezione alla presidenza della Rai – sostiene Gianfranco Carproro – è stata a lungo ostacolata dal supermassone francese Jacques Attali, “padrino” di Macron. Ad Attali, addirittura Napolitano avrebbe consigliato di premere su Berlusconi, attraverso Tajani, per far mancare a Foa i numeri necessari. Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, lo stesso Foa spiega come la verità venga sistematicamente deformata. Non è un caso, probabilmente, che sia proprio il “Giornale” a firmare lo scoop che accusa di terrorismo la massoneria atlantica, attraverso la voce dei “missionari del Profeta”.Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).
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Magaldi a Di Battista: cialtrone, il vero golpista è Maduro
«Ma che cialtrone, Alessandro Di Battista: anziché andarsene a spasso con la famiglia in Centramerica, pagato dal “Fatto Quotidiano” e dalla Mondadori, avrebbe fatto a meglio a studiarla, la storia dell’America Latina». E’ durissimo, Gioele Magaldi, con il battitore libero del Movimento 5 Stelle, pronunciatosi in difesa del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che ora deve vedersela con il leader dell’opposizione, Juan Guaidò, autoproclamatosi addirittura “presidente ad interim” il 23 gennaio, nel corso di una manifestazione antigovernativa. Crisi profondissima: da una parte l’Ue è schierata con gli Usa, che assediano accanitamente il Venezuela dai tempi del “ribelle” socialista Hugo Chavez, mentre con Maduro si posizionano Russia e Cina, cioè i paesi che hanno aiutato il governo del Venezuela a sopravvivere, acquistando il petrolio di cui il paese sudamericano è ricchissimo. In molti hanno gridato al golpe contro Maduro? Sbagliano, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt: secondo Magaldi, il vero golpista è proprio Maduro, ancora al potere solo perché protetto dalla polizia e dall’esercito. Una commedia degli equivoci, dice Magaldi, che assicura che Guaidò, «massone progressista», è di fede liberal-socialista, mentre Maduro – massone anche lui – si è rivelato «un contro-iniziato, deciso a restare al potere con qualsiasi mezzo».Autore del saggio “Massoni”, che illumina i retroscena dell’élite mondiale, Magaldi interviene su YouTube, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”, per fornire il suo punto di vista: non è vero che Maduro rappresenti “il popolo” venezuelano e Guaidò la punta di lancia del golpe “americano” contro la repubblica “bolivariana” di Chavez. E’ vero anzi che Maduro «è la bruttissima copia di Chavez, che aveva molte luci accanto a qualche ombra». Quando tentò di cambiare la Costituzione, un referendum lo fermò. Maduro invece non ha esitato a ricorrere alla repressione più dura, mettendo in carcere anche magistrati che avevano osato contrastarlo. Ma l’aspetto peggiore, sottolinea Magaldi, è che l’autocrazia di Maduro non ha alcuna legittimità per un motivo semplicissimo: aveva escluso dalle elezioni “Voluntad Popular”, il partito di Guaidò. Maduro è succeduto a Chavez nel 2013, divenendo rapidamente impopolare: 43 i morti nel solo 2014 per la repressione delle proteste, innescate dalla grave crisi economica. A gennaio del 2016, l’opposizione aveva ottenuto la maggioranza in Parlamento: la Corte Suprema però ha annullato l’esito del voto. Nel 2017 sono quindi scattate le manifestazioni per chiedere le dimissioni di Maduro, con un nuovo bilancio di sangue: 125 morti in quattro mesi di proteste.Nel tentativo di arginare la crisi, Maduro ha deciso di creare una Assemblea Costituente, incaricata appunto di redigere una nuova Costituzione. Per l’opposizione, si tratta di una manovra per conservare il potere. Così, il partito di Guaidò ha boicottato le elezioni del luglio 2017 per la Costituente e poi anche quelle del maggio 2018, in cui Maduro è stato rieletto – senza avversari – per un secondo mandato presidenziale. Ora, nei panni di presidente del Parlamento, Guaidò si è addirittura autoproclamato presidente ad interim del Venezuela. E’ stato immediatamente riconosciuto dagli Usa e da diversi paesi latino-americani, mentre Maduro mantiene il sostegno di paesi sudamericani come il Messico, Cuba e la Bolivia. Guaidò ha anche tentato un’apertura verso i militari, incrollabili sostenitori di Maduro. La situazione è confusa e la crisi si annuncia tutt’altro che breve e indolore, ammette Magaldi, che però non transige su un punto: è da cialtroni negare l’evidenza, come fa Di Battista, e cioè non voler vedere che l’opposizione sta solo cercando, con ogni mezzo e a carissimo prezzo, di ripristinare la democrazia in Venezuela, brutalmente soppressa dal regime di Maduro.«Ma che cialtrone, Alessandro Di Battista: anziché andarsene a spasso con la famiglia in Centramerica, pagato dal “Fatto Quotidiano” e dalla Mondadori, avrebbe fatto a meglio a studiarla, la storia dell’America Latina». E’ durissimo, Gioele Magaldi, con il battitore libero del Movimento 5 Stelle, pronunciatosi in difesa del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che ora deve vedersela con il leader dell’opposizione, Juan Guaidò, autoproclamatosi addirittura “presidente ad interim” il 23 gennaio, nel corso di una manifestazione antigovernativa. Crisi profondissima: da una parte l’Ue è schierata con gli Usa, che assediano accanitamente il Venezuela dai tempi del “ribelle” socialista Hugo Chavez, mentre con Maduro si posizionano Russia e Cina, cioè i paesi che hanno aiutato il governo del Venezuela a sopravvivere, acquistando il petrolio di cui il paese sudamericano è ricchissimo. In molti hanno gridato al golpe contro Maduro? Sbagliano, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt: secondo Magaldi, il vero golpista è proprio Maduro, ancora al potere solo perché protetto dalla polizia e dall’esercito. Una commedia degli equivoci, dice Magaldi, che assicura che Guaidò, «massone progressista», è di fede liberal-socialista, mentre Maduro – massone anche lui – si è rivelato «un contro-iniziato, deciso a restare al potere con qualsiasi mezzo».
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Hellyer: “L’alieno è tra noi” (e lo dicono anche i testi ’sacri’)
L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono tra noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.A dire il vero sarebbero i nostri effettivi “genitori”: lo sostiene Zecharia Sitchin, lo studioso azero naturalizzato statunitense, secondo cui gli antichi testi sumeri raccontano la “fabbricazione” dell’homo sapiens da parte degli Anunnaki, gli “dei” venuti dallo spazio. Secondo Mauro Biglino, a lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, l’Antico Testamento riproduce fedelmente i testi sumeri: la Genesi racconta la clonazione del maschio (l’Adàm) per dare origine alla femmina (Hawà, Eva). Figli delle Stelle, Anunna o Elohim biblici? Erano sempre loro: i testi antichi, poi trasformati in “libri sacri” con la successiva divinizzazione dei “theoi” operata dal pensiero greco-ellenistico, non fanno che parlare di loro. Le grandi religioni? «Sono nate, tutte insieme e in tutto il mondo, attorno al V secolo avanti Cristo, cioè quando questi personaggi – prima visibili, come Yahvè che parlava “faccia a faccia” con Mosè – sono improvvisamente scomparsi dalla circolazione». Biglino cita un padre della Chiesa vissuto nel III secolo, Eusebio di Cesarea. Nella sua “Praeparatio Evangelica”, Eusebio attinge al greco Filone di Biblos, che a sua volta riprende gli studi di Sanchuniaton, sacerdote fenicio del 1200 avanti Cristo. Il fenicio racconta di aver rinvenuto, in un tempio egizio dedicato ad Amon-Ra, un memoriale sconcertante, secondo cui gli “dei” antichi – poi trasformati in oggetto di culto – erano in realtà individui in carne e ossa.Uno di loro, il babilonese Nergal, si narra che sganciò dal cielo armi micidiali, annientando intere città e provocando l’improvvisa desertificazione della Mesopotamia. Anche in questo caso la Bibbia fornisce una sorta di “fotocopia”, narrando la distruzione, mediante l’impiego dell’“arma del terrore”, di Sodoma, Gomorra e le altre città della Pentapoli sulle rive del Mar Morto. Armi in realtà descritte con precisione nei Veda indiani: Enrico Baccarini, appassionato ricercatore, rivela che le “tejas astras” (armi a energia) fuorono impiegate dai Deva (i “theoi” asiatici) nelle loro guerre stellari combattute anche sulla Terra. Un bombardamento di quel genere avrebbe raso al suolo la grande citttà di Mohenjo Daro, nella valle dell’Indo, scoperta dagli inglesi solo a metà dell’800. L’intera civiltà Arappa, spiega Baccarini, costringe gli archeologi a riconsiderare datazioni e sequenze storiche: fiorì infatti 11.000 anni fa. E rivela indizi che portano alla misteriosa presenza di paleo-astronauti. Per la verità, gli stessi Veda sostengono che l’universo sia abitato da 400.000 specie umanoidi. C’è da credere, a quegli antichi testi in sanscrito? Sulle “istruzuioni” dei Veda si sono basati scienziati aerospaziali indiani per realizzare un modellino di astronave (curiosamente, a forma di pagoda). E sempre i Veda, scritti migliaia di anni fa, indicano – con sconcertante precisione – la misura della circonferenza terrestre e la stessa velocità della luce.Ha ragione il fenicio Sanchuniaton, secondo cui il pensiero magico-religioso non sarebbe stato che un colossale depistaggio, organizzato dalla casta sacerdotale per tentare di mantenere i propri antichi privilegi? Ex dignitari di corte si trasformarono in clero, sostituendo (con l’adorazione di “divinità” invisibili) l’antica obbedienza a “theoi” un tempo visibilissimi, e tutti giunti sulla Terra – pare – dalle Pleiadi e dalla costellazione di Orione? Suggestioni sempre più insistenti, man mano che le istituzioni cominciano ad ammettere la possibilità di forme di vita extraterrestre. Roberto Pinotti (fondatore del Cun, centro ufologico nazionale) è uno degli ufologi più importanti al mondo, storico collaboratore dell’aeronautica militare italiana. Sostiene che gli avvistamenti anomali registrati negli ultimi decenni sono stati un milione, di cui il 40% (ben 400.000) classificati dalle autorità come “non terrestri”. Sembra che da più parti si stia lavorando per preparare l’umanità a rivelazioni clamorose riguardo ai “fratelli dello spazio”, come li chiama il gesuita Gabriel José Funes, argentino come Papa Francesco.Padre Funes è il direttore del potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham in Arizona. A che serve, ai gesuiti, un centro astrofisico come quello? Dichiaratamente: a indagare proprio sull’esobiologia, cioè sulla “vita extraterrestre”, a quanto pare sempre meno ipotetica: per il canadese Hellyer, a nostra insaputa, vivremmo già in compagnia dei “biondi nordici” (o anche “bianchi alti”), da non confondere con i “bassi grigi”, alti appena un metro e 20 – più o meno come la creatura che si racconta sia apparsa nel 1858 nella grotta di Lourdes alla giovanissima Bernadette Soubirous, che la chiamava “aquerò” (in occitano, “quella là”). «Se vedeste un grigio, vi rendereste subito conto di vedere qualcosa che non avete mai visto prima», dice Hellyer. «Se invece vedeste una delle “bionde nordiche”, allora potreste pensare di aver incontrato una donna della Danimarca». I “grigi”, aggiunge l’ex vicepremier canadese, sono piccini. Hanno braccia e gambe sottili, testa grossa e grandi occhi marroni. «Sono quelli che si vedono nella maggior parte dei film». A proposito: sicuri che la fantascienza non contenga precisi messaggi, come per abituarci progressivamente all’idea degli inevitabili incontri ravvicinati?Biglino ricorda che erano ebrei gli ideatori di un supereroe dei fumetti come Flash Gordon, proveniente dal pianeta Krypton (nascosto). Creato negli anni Trenta, Flash Gordon è l’antenato di Superman. Nome originario, in ebraico: Kal-El, cioè “El rapido e leggero”. La presunta “divinità” con la quale viene in contatto Abramo si presenta con il nome di El Shaddai. La traduzione in italiano (“Dio l’onnipotente”) è totalmente inventata: lo dice la Bibbia di Gerusalemme curata dagli autorevoli biblisti domenicani, secondo cui “El Shaddai” vuol dire, semplicemente, “signore della steppa”, laddove “El” è la radice di Elohim, vocabolo convenzionalmente tradotto con “Dio” ma in modo arbitrario, «visto che nessun traduttore al mondo – sottolinea Biglino – è tuttora in grado di spiegare il significato della parola “Elohim”». La Bibbia? Dibattito infinito: bisogna però sapere, ribadisce Biglino, che quell’insieme di testi è stato incessantemente manipolato a partire dal II secolo avanti Cristo, e la manipolazione è terminata solo con la vocalizzazione introdotta dai Masoreti. Un lavoro di revisione proseguito fino all’epoca di Carlomagno. Risultato: dall’Antico Testamento “masoretico” sono spariti 11 libri, ripetutamente citati in vari passi della Bibbia stessa. Uno di questi riguarda “le guerre di Yahvè”.Il teologo cattolico Ermis Segatti conferma che la Bibbia non racconta la “creazione” dell’uomo: dice solo che «siamo stati fatti», cioè “fabbricati”, utilizzando materia preesistente. Corrado Malanga, ricercatore universitario a Pisa, sottolinea l’abisso che separa l’australopiteco dagli ominidi successivi: gli stessi genetisti, oggi, convergono sull’opportunità di riconsiderare i testi antichi come “libri di storia” ante litteram, capaci di spiegare il “missing link” tra uomo e scimmia. Un analogo “anello mancante” differenzia la patata commestibile dal tubero suo progenitore, e lo stesso grano dal farro selvatico: tutte specie comparse sulla Terra all’improvviso, grossomodo nel periodo che la Genesi indica come quello in cui erano in corso le sperimentazioni genetiche del Gan, in “giardino protetto e recintato” posto nella regione geografica di Eden, fra Turchia e Mar Caspio. In antica lingua persiana, è il termine “pairidaēza” a indicare il giardino recintato (da cui il greco “parádeisos”, fino al nostro “paradiso”). Se il pensiero “essoterico” ha fondato religioni, quello esoterico tende a fidarsi solo dei simboli: conterrebbero le tracce degli archetipi, cioè gli “eventi, materiali e immateriali” all’origine della nostra storia. Un corpus sapienziale che gli esoteristi riconducono a quella che chiamano “tradizione unica primordiale”. La sua provenienza? Ignota.Nel libro “L’altra Europa”, Paolo Rumor (nipote del più volte premier Mariano Rumor) racconta di un’unica dinastia di potere che reggerebbe il mondo da 12.000 anni. Sarebbe nata in Mesopotamia per poi trasferirsi in Egitto, quindi in Grecia e nel resto del Mediterraneo, dando vita a tutte le civiltà di cui si occupano gli storici. La chiama, semplicemente, “la Struttura”. Fonte: i diari del padre, Giacomo Rumor, che nel dopoguerra fu messo a parte di questo ipotetico grande segreto dall’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo. Mesopotamia, Anunnaki: chi erano, in realtà, i Sumeri? Possibile che tuttora non si conoscano le origini di una fiorentissima civiltà nata dal nulla ma in possesso di conoscenze avanzatissime – agricoltura, architettura, diritto, astronomia – proprio sulle rive dell’Eufrate, cioè non lontano da quel Gan-Eden da cui, secondo la Genesi, fu cacciato Caino? Lo scozzese Graham Hancock suggerisce di rileggerle con occhi nuovi, le “impronte degli dei”, perché potrebbero riservarci grosse sorprese. Lo stanno già facendo: le piramidi scoperte a Visoko, in Bosnia, hanno 28.000 anni. E l’ipotetica metropoli appena rinvenuta in Sudafrica, a due passi dalle più antiche miniere d’oro del pianeta, ne avrebbe addirittura 160.000. Notizie, spunti, segnalazioni e ricerche al cui confronto, forse, rimpiccioliscono un po’ anche gli alieni di canedesi di Paul Hellyer.L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono con noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.
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Germogli di cotone sulla Luna (e balle spaziali sulla Terra)
E’ di pochi giorni fa la notizia che i cinesi sarebbero andati sulla luna a piantare germogli di cotone. Apprendo ora con profonda tristezza che il germoglio è morto. Ero piccolo quando andammo per la prima volta sulla luna. Già alle elementari mi ponevo alcune domande, ed ero sicuro che da grande forse avrei capito. Mi domandavo come facessero ad atterrare su un punto (uno) sulla luna, e dichiarare solennemente “non c’è vita sulla luna”. Ma non potrebbero esserci altre forme di vita invisibili ai nostri occhi? Non potrebbero esserci esseri che si sono nascosti al nostro arrivo, magari sotto terra? Esseri capaci di vivere in circostanze climatiche totalmente diverse dalle nostre? Poi gettavo nel dimenticatoio quelle domande. Loro sono scienziati – pensavo – sapranno bene quello che dicono; da grande capirò. Poi divenni grande, iniziai a ragionare e capii che era l’arroganza degli scienziati a decretare che non ci fosse vita; perché un minimo di buon senso basterebbe per capire che possono esistere migliaia di forme di vita diverse dalle nostre, ancorché noi non possiamo vederle. Ma la scienza purtroppo non va a braccetto col buon senso, quando se ne fa di essa una religione. Poi sono venuti i documentari di Mazzucco, e ho capito che la storia della luna è proprio una balla.
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Magaldi: la sinistra ignorante che vorrebbe spegnere Rinaldi
Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiedere l’allontanamento dell’economista dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’appartenenza supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?Nonostante lo sgangherato assalto al promotore del blog “Scenari Economici”, liquidato come «narcisista e caciarone», economista senza prestigio accademico e piccolo opportunista a caccia di poltrone, Magaldi invita lo stesso Steven Forti, e gli analoghi missionari neoliberali asserragliati tra i ranghi dell’ex sinistra, a farsi avanti in modo aperto: perché non intervistare lo stesso Magaldi, per parlare finalmente del suo libro e magari anche del Movimento Roosevelt e del “partito che serve all’Italia”, progetto al quale Antonio Maria Rinaldi si è accostato in modo interlocutorio, «come battitore libero e autonomo pensatore», per prendere nota di quanto si va discutendo? Scoprirebbero, Steven Forti e i suoi sodali, che i problemi del mondo hanno sempre almeno due spiegazioni, in democrazia. Sono le famose due campane, che un tempo i giornalisti si peritavano di ascoltare, non foss’altro che per un elementare rispetto dei loro lettori. Intanto prendano nota, alla redazione di “Rolling Stone”: sono tutti invitati alla London Metropolitan University, il 30 marzo, dove parleranno un bel po’ di economisti post-keynesiani, impegnati a spiegare come mai questa Europa è sempre in crisi, perde i pezzi (Gran Bretagna) ed è diventata una Disunione Europea dove tutti si fanno le scarpe a vicenda. Vuoi vedere che la politica di austerity introdotta dall’Eurozona è una catastrofe, e in ultima analisi si è trasformata in una fabbrica di sovranismi, nazionalisti, populismi e Gilet Gialli?Il mainstream che si trincera dietro il politically correct non perdona a Rinaldi di tifare per i gialloverdi: fa scialo del più convenzionale corredo squadristico a base di insulti (razzismo, xenofobia, fascismo) per infangare Salvini, il nuovo mostro da sbattere in prima pagina, ma si guarda bene dall’interrogarsi sulle ragioni del fenomeno. Pensiero magico: la demonizzazione dell’Uomo Nero a questo serve, a evitare di chiedersi il perché delle cose. Un consiglio? Tornare a essere laici, smettendo i panni del fanatismo religioso. E magari, cessare di considerare l’avversario un nemico da abbattere. In altre parole, converrebbe ragionare. A proposito, aggiunge Magaldi: hanno una proposta, i coristi “di sinistra” come Steven Forti, su come uscire dalla crisi? Sono bravissimi a censurare le idee altrui, e a demolirle in modo unilaterale, senza mai dialogo, quando non riescono più a soffocarle (come nel caso di Rinaldi, spesso ospitato in televisione). Ma ce l’hanno, in tasca, un Piano-B? E se ce l’hanno, perché non ne parlano mai? Non sarebbe ora di cominciare a farlo? «Informo Steven Forti che diversi esponenti di quella che immagino sia la sua area di riferimento, cioè il Pd e LeU, fanno parte del Movimento Roosevelt». Non solo, aggiunge Magaldi: «Alcuni di loro, come Rinaldi, guardano con interesse anche alla prospettiva del “partito che serve all’Italia”, dato che – dalle loro parti – vedono che si va verso il disfacimento».“Rolling Stone” definisce «un gruppetto», la pattuglia di intellettuali, da Nino Galloni a Ilaria Bifarini, aggregati per ora nelle prime riunioni convocate per valutare la possibilità del nuovo soggetto politico, «il cui sviluppo, a partire dal nome, sarà a cura dei costituenti, dato il rispetto che abbiamo per il metodo democratico». Gruppetto? Sui numeri sarà il tempo a dire la sua, perché siamo solo ai preliminari, assicura Magaldi. Che però aggiunge: anche se alla fine non fossimo in tantissimi, «informo Steven forti che un “gruppetto” di massoni riuniti intorno alla Loggia delle Nove Sorelle, alla fine del ‘700, determinò tanto i preparativi per la Rivoluzione Americana, quindi per la Guerra d’Indipendenza, che quelli per la Rivoluzione Francese: talvolta i gruppetti, se ben coesi e agguerriti, fanno le rivoluzioni». Se Steven Forti non afferra il concetto, prosegue Magaldi, forse è perché «non ha grande dimestichezza con lo studio della storia», benché il suo curruculum accademico lo accrediti come esperto in storia contemporanea. Iniste Magadi: «Steven Forti mi sembra carente di letture», se in qualche modo associa la massoneria al cospirazionismo. L’autore di “Massoni”, libro che smonta moltissime tesi complottistiche, cita il filosofo Gian Mario Cazzaniga, che nel saggio “La religione dei moderni” «spiega come la religione dei moderni sia la politica, e spiega anche che la politica, nel senso moderno e contemporaneo, l’hanno creata i proprio massoni».Altre letture consigliate alla redazione di “Rolling Stone”: le opere di un grande sociologo come Jürgen Habermas, «che ha spiegato come lo stesso concetto di opinione pubblica sia nato da ambienti massonici». E cioè: si prenda atto, meglio tardi che mai, che «la massoneria è un soggetto storico importante». Se poi il giovane Steven Forti leggesse pure il saggio di Magaldi, scoprirebbe che negli ultimi decenni un’élite massonica internazionale, reazionaria e neoaristocratica, ha progettatto e gestito la globalizzazione neoliberista che ha privatizzato il pianeta, rottamando i caposaldi del welfare tanto cari alla sinistra, a loro volta “fabbricati” sempre da massoni, ancorché progressisti, come il massimo economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes, e il connazionale William Beveridge, l’inventore del “welfare system”. Per inciso: il progressista Keynes era iscritto al partito liberale. I laburisti, invece – come i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e l’ex Pci italiano – sono stati i più zelanti esecutori, negli ultimi decenni, delle direttive antidemocratiche dell’élite globalista: è stata proprio la sedicente sinistra a obbedire alla peggiore destra economica. In Italia l’ha fatto prima con Prodi e Draghi, poi con il governo Monti: Fiscal Compact votato senza fiatare, così come la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio inserito proditoriamente nella Costituzione, con lo Stato terremotato dal ricatto dallo spread.Non la si vuole vedere, la realtà? E allora all’intellighenzia dell’ex sinistra non resta che godersi Salvini, dandogli ogni giorno del fascista. Almeno, puntualizza Magaldi, si eviti di scadere nella disinformazione più scorretta, rinfacciando come una colpa – a un uomo come Antonio Maria Rinaldi – la libertà intellettuale di cui gode: avrà diritto o no, di dirsi scontento della manovra economica del governo gialloverde? Proprio non glielo si vuole riconoscere, il diritto di aspettarsi di più dall’esecutivo Conte? Scherno, disprezzo e criminalizzazione di chi non la pensa come te, riassume Magaldi, non fanno parte dell’abc dell’informazione, che può essere anche fortemente critica, ma mai scorretta. I media mainstream sembrano lo specchio della politica italiana, basata su scontri quotidiani dal sapore tribale. Puoi anche farlo cadere, un avversario, ma poi sapresti come agire, al suo posto? Qualcuno ricorda un’idea – una sola – che negli ultimi vent’anni la sedicente sinistra abbia partorito, per migliorare la situazione, mentre passava il tempo a tuonare contro l’orrido Berlusconi – per poi fare persino peggio, una volta a Palazzo Chigi? Il punto è che c’è bisogno di tutti, sembra dire Magaldi. Oggi più che mai, nessuno deve sentirsi escluso. Lo gridano, gli elettori, quando votano per i cosiddetti populisti. Ormai vedono benissimo quant’è infame, la post-democrazia Ue. E’ tanto comodo, ricamare indignati elzeviri sui tweet di Salvini: serve a continuare a non vedere cosa sta succedendo, lassù, dove un pugno di decisori tiene in ostaggio mezzo miliardo di persone, in Europa. Fino a quando?Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiederne l’allontanamento dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’identità supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?
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Cristo e la Maddalena: così Raffaello smentisce Dan Brown
Il “Codice da Vinci”? Un equivoco da 80 milioni di copie, grazie all’abilità di Dan Brown. Lo scrittore fa dire a Leonardo che c’era la Maddalena accanto a Gesù nell’ultima cena: dunque il messia aveva una compagna segreta? E il Santo Graal (in realtà “Sang Real”, sangue reale) non sarebbe stato altro che la discendenza occulta di Cristo, sbarcata in Francia insieme alla donna clandestina del Nazareno? Un segreto inconfessabile, secondo il bestseller americano, in cui alla fine dell’800 si sarebbe imbattuto Bérenger Saunière, il famoso parroco di Rennes-le-Château, scavando sotto l’altare della sua chiesetta di campagna. Di quel segreto, secoli prima, sarebbe stato il massimo custode il sommo Leonardo, rappresentato come “gran maestro” di un ipotetico e leggendario ordine iniziatico, il Priorato di Sion. Nel suo capolavoro, il Cenacolo affrescato nel refettorio milanese di Santa Maria delle Grazie, Leonardo avrebbe lasciato un indizio rivelatore: la presenza della Maddalena, tra i Dodici riuniti per l’ultima cena. A smentire i dietrologi, però, provvede – già vent’anni dopo – un altro grande del Rinascimento italiano: Raffaello Sanzio. Nella sua Estasi di Santa Cecilia, Raffaello riproduce quella stessa figura, scambiata per la Maddalena. Solo che non è una donna, è un giovanissimo dai tratti efebici: l’apostolo Giovanni, futuro San Giovanni evangelista. Nel quadro di Raffaello, infatti, c’è anche la Maddalena: una donna, non un soggetto dall’identità incerta.Lo rivela il simbologo Gianfranco Carpeoro, analizzando l’Estasi raffaellita dipinta nel 1514 e custodita alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Raffaello riproduce alla perfezione la misteriosa figura dell’affresco di Leonardo: osservandola, «non si può non riscontrarne la assoluta somiglianza, nelle fattezze, alla omologa raffigurazione leonardesca del Cenacolo: stessi tratti efebici, stessa impostazione», scrive Carpeoro sulla sua pagina Facebook. Ma attenzione: nel quadro di Raffaello «la figura della Maddalena è presente», e quindi «la raffigurazione di San Giovanni è al di sopra di ogni sospetto». C’è lui, e c’è la Maddalena. Certo, Giovanni è ritratto giovanissimo – esattamente come la figura del Cenacolo, scambiata per la Maddalena. «Così i cosiddetti maddaleniani, compreso Dan Brown e il suo “Codice da Vinci” sono serviti a dovere». La somiglianza tra i due Giovanni è impressionante: Raffaello “cita” in modo esplicito Leonardo. E’ come se dicesse: credevate fosse la Maddalena? No, è Giovanni. Ergo: tra i Dodici, nell’ultima cena di Cristo, la Maddalena non c’era. Nell’analisi simbologica, Raffaello è lo “specchio” di Leonardo: offre la stessa identica immagine, ma capovolta nel suo significato. Come dire: per cogliere l’insieme, conviene esaminare le due opere in modo complementare, come fossero parte di un unico messaggio cifrato.Autore del ciclo saggistico “Summa Symbolica” nonché di romanzi sui Rosa+Croce, confraternita iniziatica a cui si suppone appartenessero sia Leonardo che Raffaello, Carpeoro ha condotto approfonditi studi storici e simbologici su Leonardo, figura in realtà misteriosissima e quasi comparsa dal nulla, con quel non-cognome (“da Vinci”), che indica solo una provenienza geografica, in un secolo – il ‘400 – in cui i cognomi erano regolarmente presenti. Carpeoro ipotizza che il geniale Leonardo fosse in realtà un formidabile “depistatore”, incaricato da un lato di fissare nelle sue opere la “conoscenza segreta” tramandata dalla confraternica rosacrociana (i Fidelis in Amore di Dante Alighieri, poi Giordaniti con Giordano Bruno) e dall’altra di allontanare da quel gruppo sapienziale le attenzioni delle occhiute polizie dell’epoca, a cominciare da quella vaticana. Cent’anni dopo, la firma Rosa+Croce siglerà i clamorosi manifesti pubblici apparsi in Francia (Fama Fraternitatis e Confessio Fraternitatis), scritti con l’evidente intento di suscitare una radicale riforma di una società dominata dal doppio giogo dell’assolutismo monarchico e dell’oscurantismo teocratico cattolico.Non a caso, sottolinea Carpeoro, a quel periodo appartiene la straordinaria fioritura della letteratura utopistica rosacrociana: da “Utopia” di Tommaso Moro a “La città del Sole” di Tommaso Campanella, fino a “Christianopolis” di Johann Valentin Andreae, considerato l’autore della Fama Fraternitatis, manifesto politico-programmatico che adotta il tema evangelico per stimolare la nascita di un’umanità migliore, fraterna e unita, non più divisa dai confini tra le nazioni. Giustizia sociale: «I Rosa+Croce propongono addirittura l’abolizione della proprietà privata: sono, a tutti gli effetti, i progenitori del socialismo», sostiene Carpeoro. E dato che proprio quella confraternita iniziatica decise di “parlare” a tutti attraverso i capolavori artistici, fino a permeare le maggiori opere del Rinascimento, ricchissime di letture a più strati, è sicuramente utile – suggerisce Carpeoro – esaminare con attenzione un’opera fondamentale come quella di Raffaello, che sembra “rispondere”, a distanza, al celeberrimo Cenacolo leonardesco. L’Estasi di Santa Cecilia è un olio su tavola poi trasferito su tela. Raffigura Santa Cecilia, patrona della musica, nel momento della sua rinuncia agli strumenti musicali in favore della voce. Traduzione simbolica: meglio il canto, per produrre «una musica vicina a Dio», visto che l’ugola è un dono “divino”, mentre gli strumenti restano una creazione umana.Come comprovato da un disegno preparatorio conservato a Parigi, aggiunge Carpeoro, è stato accertato che, nel dipinto, «il dualismo originario era tra la musica divina degli angeli, anch’essi raffigurati mentre suonavano degli strumenti, e la musica umana». Evidentemente, «in un momento successivo l’artista ha deciso di sottolineare diversamente la contrapposizione». Un altro rilievo evidente, annota sempre Carpeoro, riguarda l’analisi geometrica del dipinto: «Santa Cecilia è collocata al centro di un quadrato, formato da quattro santi», ovvero San Paolo, San Giovanni evangelista, Sant’Agostino e Santa Maria Maddalena. «Ciò può assumere il significato che Santa Cecilia simboleggi la quintessenza, il quinto elemento degli alchimisti, lo spirito universale della materia». E non è tutto: «C’è anche il sottile simbolismo di una croce spaziale e assiale, raffigurata dagli sguardi dei santi». Infatti San Paolo guarda in basso e Santa Cecilia verso l’alto, San Giovanni e Sant’Agostino «realizzano un asse destra-sinistra, incrociando reciprocamente i loro occhi», mentre la Maddalena fissa chi guarda il quadro, e quindi «stabilisce una asse tra l’interno e l’esterno dell’opera, tra il passato e il presente».A loro volta, i santi sono simboli: se Cecilia può raffigurare la quintessenza, Sant’Agostino (riprodotto col bastone) può essere la Terra. La Maddalena può simboleggiare l’acqua, visto che tiene in mano un’anfora, mentre San Paolo, «raffigurato come sempre con la spada», incarna lo spirito del fuoco. San Giovanni invece può simboleggiare l’aria, «secondo il suo simbolo evangelico, cioè l’aquila». Elementi fondamentali: terra, acqua, fuoco e aria (più la quintessenza, Cecilia: la musica). Alchimia, appunto: «La spada di San Paolo e il bastone di Sant’Agostino possono essere definiti come il “solve” e il “coagula” degli alchimisti». Quanti indizi può contenere un singolo quadro, se è opera di un genio? Carpeoro lo definisce «l’ultimo messaggio di Raffaello», dato che l’Estasi fu dipinta poco prima che l’artista si spegnesse. Un avvertimento chiarissimo, ignorato dai seguaci di Dan Brown: all’epoca di Cristo (secondo Raffaello, almeno) la Maddalena non era un’adolescente scambiabile per un ragazzino, ma una donna perfettamente compiuta.Il che non esclude di per sé la possibilità che la stessa Maddalena si sia poi davvero imbarcata per approdare nel Sud della Francia, insieme alle altre Marie del Mare, sulle spiagge della Camargue dove ancora oggi i gitani eleggono la loro regina, di nome Miriam. Proprio alla Maddalena, i francesi hanno dedicato le loro chiese più importanti, a cominciare da Notre-Dame de Paris. La storia non fornisce appigli certi: la stessa vicenda del Cristo è supportata unicamente dai Vangeli, che restano testi privi di fonti attendibili (sono attribuiti agli evangelisti solo in base alla convenzione tradizionale). Proprio per questo, può essere interessare scavare tra le pieghe delle narrazioni dei primi secoli, per scoprire l’importanza di una figura elusiva ma determinante: quella di Giuseppe d’Arimatea, il potente armatore che avrebbe guidato la leggendaria spedizione navale dalla Palestina alla Provenza, dopo aver avuto il coraggio di riscattare il corpo di Cristo da Pilato per poi inumarlo nella sua tomba di famiglia. Ma le notizie biografiche su Giuseppe d’Arimatea sono scarne quanto quelle sulla genealogia di Leonardo. Solo un caso?Quel racconto è di capitale importanza, per la tradizione religiosa: alla Maddalena (come anche a San Giacomo) è legata l’introduzione del Cristianesimo in Europa. Due narrazioni controverse, entrambe imbarazzanti per la Chiesa dell’epoca: il messaggio di Cristo sarebbe giunto nel continente europeo grazie a una donna, vicinissima al Maestro, e grazie all’apostolo attorno a cui fu cucita la fiaba del Campo di Stelle per battezzare il santuario di Santiago de Compostela in Galizia. Un evento miracoloso, cioè magico – la straordinaria pioggia di stelle cadenti nel campo in cui spirò Giacomo, alla fine della sua predicazione – fu inventato di sana pianta per travisare il senso del vero Campo di Stelle, tratto di Via Lattea che si riteneva visibile dalla Palestina all’Italia, che per l’antica Chiesa di Giacomo (diversa da quella di Pietro) aveva un significato simbolico preciso: riportare a Roma “la verità di Gerusalemme”, cioè la reale identità del Cristo, interpretabile come simbolo del Dio presente in ogni essere umano. Declinato in mille modi, il tema è sempre lo stesso: un pensiero che viaggia dal Medio Oriente all’Europa. Anche di questo parlarono, Leonardo e Raffaello, dietro il Cenacolo e l’Estasi, insistendo sulla Maddalena? Di certo non accennarono minimamente, neppure loro, a quella che probabilmente resta la figura più misteriosa della narrazione evangelica: Giuseppe d’Arimatea, sfuggente quanto Leonardo.Il “Codice da Vinci”? Un equivoco da 80 milioni di copie, grazie all’abilità di Dan Brown. Lo scrittore fa dire a Leonardo che c’era la Maddalena accanto a Gesù nell’ultima cena: dunque il messia aveva una compagna segreta? E il Santo Graal (in realtà “Sang Real”, sangue reale) non sarebbe stato altro che la discendenza occulta di Cristo, sbarcata in Francia insieme alla donna clandestina del Nazareno? Un segreto inconfessabile, secondo il bestseller americano, in cui alla fine dell’800 si sarebbe imbattuto Bérenger Saunière, il famoso parroco di Rennes-le-Château, scavando sotto l’altare della sua chiesetta di campagna. Di quel segreto, secoli prima, sarebbe stato il massimo custode il sommo Leonardo, rappresentato come “gran maestro” di un ipotetico e leggendario ordine iniziatico, il Priorato di Sion. Nel suo capolavoro, il Cenacolo affrescato nel refettorio milanese di Santa Maria delle Grazie, Leonardo avrebbe lasciato un indizio rivelatore: la presenza della Maddalena, tra i Dodici riuniti per l’ultima cena. A smentire i dietrologi, però, provvede – già vent’anni dopo – un altro grande del Rinascimento italiano: Raffaello Sanzio. Nella sua Estasi di Santa Cecilia, Raffaello riproduce quella stessa figura, scambiata per la Maddalena. Solo che non è una donna, è un giovanissimo dai tratti efebici: l’apostolo Giovanni, futuro San Giovanni evangelista. Nel quadro di Raffaello, infatti, c’è anche la Maddalena: una donna, non un soggetto dall’identità incerta.
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Cbs News: uno studio presenta le scie chimiche “buone”
Come probabilmente ricorderete, nell’aprile dell’anno scorso era stata la prestigiosa università di Harvard a proporre la ricetta di spargere in cielo una nube di particelle di ossido di alluminio per bloccare i raggi solari e raffreddare il pianeta. L’azione e il metodo si rendevano necessari, dicevano i ricercatori, per combattere l’odioso global warming, e la giustificazione esplicita era che sarebbe impensabile che il capitalismo e l’industrializzazione possano rallentare la loro corsa a produrre co2 e altri tipi d’inquinamento. Quindi, la soluzione: inquiniamo un po’ di più, volontariamente, ma fin di bene! Quest’anno invece si sono esposti due ricercatori, Wake Smith e Gernot Wagner, che hanno pubblicato uno studio peer-reviewed per studiare le strategie di iniezione di aereosol nella stratosfera, e il loro costo. La ricerca è stata raccontata al grande pubblico in un articolo dello scorso 23 novembre di “Cbs News”, che ci informa dei principali risultati, sempre con la consueta ricetta: “Una flotta di 100 aerei che facesse 4000 missioni all’anno nel mondo potrebbe aiutare a salvare il mondo dal cambiamento climatico. E sarebbe relativamente economico”.Questa volta, quindi, il riferimento a spargere tali sostanze dagli aerei è esplicito fin nella stesura finale, mentre nella proposta di Harvard gli aerei erano presenti nella fase preliminare del progetto, ed erano stati rimossi nel testo finale in favore di fantomatici palloni sonda. Cade quindi la prima delle principali obiezioni dei mistificatori nostrani ed esteri, secondo cui occorrerebbe un impegno troppo vasto ed un numero troppo alto di aerei per portare a termine modificazioni significative tramite le scie chimiche. Più precisamente l’articolo spiega che «nel loro piano ipotetico, la flotta inizierebbe con otto aerei nel primo anno e arriverebbe ad appena meno di 100 in 15 anni. Nell’anno uno, ci sarebbero 4.000 missioni, fino ad arrivare a poco più di 60.000 missioni nell’anno quindici». Anche questo dato, ovviamente, smonta le obiezioni dei mistificatori: 60.000 missioni all’anno non sono assolutamente proibitive, quando in una giornata tipica vengono messi in volo 40.000 aerei, e nella giornata record si è arrivati a 200.000.L’articolo puntualizza anche i costi: «Questo tipo di geoingegneria sarebbe tecnicamente possibile, valutandola da un punto di vista strettamente ingegneristico. Sarebbe inoltre rimarcabilmente economico, con un costo medio tra 2 e 2,5 miliardi di dollari l’anno, per i primi 15 anni». Quindi, scie chimiche di particolato spruzzate da aerei messi in volo appositamente per questi scopi. Come hanno fatto i ricercatori a pubblicare roba del genere, proponendo queste cose nel dettaglio, dicendo che sono fattibili, spiegandole, ma senza raccontarci che le stanno effettivamente già facendo da più di vent’anni? Semplice! Hanno detto che la quota ottimale per fare queste irrorazioni è di 18.000 metri, non certo i 10.000 metri a cui volano gli aerei di oggi, quindi si può fare tutto e a basso prezzo, ma nel futuro! Tutto perfettamente in linea con la decennale strategia di normalizzazione conosciuta come “finestra di Overton”, cioè in parole povere alla nostra capacità di accettare cose altrimenti inaccettabili se i cambiamenti sono lenti, costanti, e dilazionati nel tempo.E per fare ciò hanno dovuto darci conferme ufficiali, e certificate, sulla fattibilità e sull’esiguo numero di voli, e sull’economicità di queste attività mondiali. E questo resterà agli atti. Ma c’è anche un tema ancor più spinoso, e anche più importante per noi comuni cittadini, un tema che questo studio reintroduce in maniera indiretta facendo un dietrofront rispetto agli studi di Harvard: quello dei materiali da spruzzare. Già all’epoca c’è stato raccontato che il materiale che gli scienziati reputano migliore per essere spruzzato in atmosfera è qualcosa che faccia da specchio per i raggi solari e li rimandi verso lo spazio, e per questo scopo non ci sarebbe niente di meglio dei solfati; peccato che i solfati in atmosfera si combinino con l’ossigeno e con l’acqua presenti in sospensione, e generino ricadute di acido solforico, diventando un vero incubo per le pubbliche relazioni nel tentare di convincere la gente che per ridurre il global warming dobbiamo accettare le piogge acide. Ecco perchè nell’ultimo anno delle ricerche di Harvard ai solfati era stato sostituita l’allumina, un particolare ossido d’allumino sottoprodotto della Bauxite usato nell’industria del vetro per aumentare la riflettività delle superfici. Roba che comunque nessuno vorrebbe respirare, particolato Pm1 di metalli pesanti, ma comunque roba molto meno scomoda da accettare dell’acido solforico.Invece gli articolisti della “Cbs” fingono di ignorare questa “piccola” problematica dei solfati, e semplicemente tengono ben distanti la notizia di qual è secondo questa ricerca il miglior materiale da spruzzare, spiegato all’inizio, con la considerazione sul problema dell’acidificazione degli oceani, raccontata invece alla fine: «Mentre l’anidride carbonica continua ad aumentare, gli oceani stanno diventando sempre più acidi. Secondo il National Oceanic and Atmosferic Administration statunitense (Noaa), l’acidificazione degli oceani può confluire attraverso la catena alimentare oceanica, riducendo la capacità dei gusci e dei coralli che costruiscono le barriere coralline di produrre i loro scheletri. L’iniezione di aerosol nella stratosfera limita semplicemente il sole, non affronta l’accumulo di anidride carbonica sottostante. L’oceano continuerebbe ad acidificare». Ecco, figuriamoci spargendo solfati! Buon appetito!(Riccardo Pizzirani, “Scie Chimiche: continua la strategia della normalizzazione”, dal blog “Luogo Comune” del 30 novembre 2018).Come probabilmente ricorderete, nell’aprile dell’anno scorso era stata la prestigiosa università di Harvard a proporre la ricetta di spargere in cielo una nube di particelle di ossido di alluminio per bloccare i raggi solari e raffreddare il pianeta. L’azione e il metodo si rendevano necessari, dicevano i ricercatori, per combattere l’odioso global warming, e la giustificazione esplicita era che sarebbe impensabile che il capitalismo e l’industrializzazione possano rallentare la loro corsa a produrre co2 e altri tipi d’inquinamento. Quindi, la soluzione: inquiniamo un po’ di più, volontariamente, ma fin di bene! Quest’anno invece si sono esposti due ricercatori, Wake Smith e Gernot Wagner, che hanno pubblicato uno studio peer-reviewed per studiare le strategie di iniezione di aereosol nella stratosfera, e il loro costo. La ricerca è stata raccontata al grande pubblico in un articolo dello scorso 23 novembre di “Cbs News”, che ci informa dei principali risultati, sempre con la consueta ricetta: “Una flotta di 100 aerei che facesse 4000 missioni all’anno nel mondo potrebbe aiutare a salvare il mondo dal cambiamento climatico. E sarebbe relativamente economico”.