Archivio del Tag ‘subalternità’
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Cuperlo: il Pd è morto, non ha ricette contro la catastrofe
Dopo le dimissioni del premier e le parole di dignità di quella notte ho visto un gruppo dirigente narcotizzato. La destra gioisce. È caduto il governo. Di bicameralismo si riparlerà tra qualche anno ed è iniziato il count down della legislatura senza che ci sia una legge elettorale. Intanto aumenta la sofferenza di chi vive sulla pelle la violenza di diseguaglianze sempre più grandi. Il referendum è stato soprattutto un voto politico che ha bocciato governo, classe dirigente e alcune riforme simboliche. Insegnanti, precari, giovani, Mezzogiorno, la fotografia reclama una svolta. Il Pd è senz’anima e se non lo capiamo è destinato a morire. La crisi peggiore del secolo dovrebbe spingere la sinistra a fare ciò che ha rinviato per anni, un ripensamento di sé, delle sue ricette. Flessibilità, liberalizzazioni, pareggio di bilancio sono stati un cedimento culturale che ha rimosso la lotta a disparità e discriminazioni sempre più odiose. Anche in Europa il risultato è una sinistra costretta a tifare Fillon o Merkel, senza una leadership e una strategia in grado di riscattare gli ultimi della fila. Se davanti a questa scena il primo partito della sinistra facesse come i proci a Itaca ci sarebbe da indignarsi.So riflettere sui miei limiti e anche sulle subalternità che vengono da prima. La norma sul pareggio di bilancio l’abbiamo votata noi quando Renzi era sindaco. Oggi il tema è come si ricuce con parti di società che hanno testa e cuore altrove. Sono stanco di sentire dal pulpito la scomunica dei caminetti e poi capire che si riuniscono in sacrestia. Ma quando deve discutere un partito segnato dalla sconfitta? Ho sentito capi corrente farsi di colpo paladini di una fase di decantazione per evitare altri traumi. Ma che opinione hanno dei circoli, dei nostri iscritti, di chi ci vota? Un congresso non si fa quando 10 persone decidono che sono pronti loro, lo si fa quando la realtà te lo chiede o te lo impone. Per me lo si deve fare prima delle elezioni e fissando regole nuove. Se la sinistra perde la fiducia verso le persone è difficile chiedere alle persone di avere fiducia in noi.Penso che Renzi abbia dato una scossa su temi importanti, dai migranti ai diritti civili, e che abbia commesso errori gravi, primo tra tutti aver coltivato l’isolamento sociale del Pd con riforme, dal lavoro alla scuola, vissute come schiaffo al nostro mondo. Per me, cambio di passo e del timoniere coincidono. Credo di avere coltivato la lealtà ed è quella stessa lealtà che mi porta oggi a denunciare cosa siamo diventati. Una confederazione di sotto-partiti. Il Pd rischia di esaurire la sua storia se non alza lo sguardo sulla realtà. Su cosa sia la grande crisi di questi anni, su come l’Occidente sta reagendo al venir meno del suo impianto spirituale, sulla fine delle politiche pubbliche che hanno dominato il ‘900, sul divario col Mezzogiorno che produce due nazioni in un corpo solo, sul bisogno di un modello alternativo di socialità e capitalismo. Se non abbiamo parole da dire su questo, il resto è ceto politico. Le norme sui voucher vanno cambiate. L’abuso è iniziato coi governi di prima e adesso la situazione è insostenibile. Penso che per primo Gentiloni ne sia consapevole. Poletti ha detto frasi scorrette e ora si è scusato. A me interessa l’inversione radicale di una politica sbagliata.(Gianni Cuperlo, dichiarazioni rilasciate ad Alessandra Longo nell’intervista “Non c’è anima né programma, senza congresso il Pd è morto”, pubblicata su “Repubblica” il 23 dicembre 2016).Dopo le dimissioni del premier e le parole di dignità di quella notte ho visto un gruppo dirigente narcotizzato. La destra gioisce. È caduto il governo. Di bicameralismo si riparlerà tra qualche anno ed è iniziato il count down della legislatura senza che ci sia una legge elettorale. Intanto aumenta la sofferenza di chi vive sulla pelle la violenza di diseguaglianze sempre più grandi. Il referendum è stato soprattutto un voto politico che ha bocciato governo, classe dirigente e alcune riforme simboliche. Insegnanti, precari, giovani, Mezzogiorno, la fotografia reclama una svolta. Il Pd è senz’anima e se non lo capiamo è destinato a morire. La crisi peggiore del secolo dovrebbe spingere la sinistra a fare ciò che ha rinviato per anni, un ripensamento di sé, delle sue ricette. Flessibilità, liberalizzazioni, pareggio di bilancio sono stati un cedimento culturale che ha rimosso la lotta a disparità e discriminazioni sempre più odiose. Anche in Europa il risultato è una sinistra costretta a tifare Fillon o Merkel, senza una leadership e una strategia in grado di riscattare gli ultimi della fila. Se davanti a questa scena il primo partito della sinistra facesse come i proci a Itaca ci sarebbe da indignarsi.
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Mai che l’Isis colpisca le banche e il potere, chissà perché
«Ed è subito terrore. Ancora una volta. Secondo modalità che ritornano sempre invariate, sempre le stesse. Quasi come se si trattasse di un copione già scritto, un orrendo copione da mettere in scena a cadenza regolare». Dopo Parigi, Bruxelles e Nizza, è toccato a Berlino. Ma a chi serve, il terrorismo contemporaneo? Se lo domanda il filosofo Diego Fusaro. Che ha già la risposta: tutto quel sangue serve all’élite, per il suo dominio sul resto dell’umanità. Gli attentati, osserva Fusaro, si abbattono «sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate», e mai «sui luoghi reali del potere occidentale», le banche, le centrali finanziarie: «I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati». Le vittime dei terroristi sono le stesse dell’oligarchia, cioè «le masse schiavizzate, sottoproletarie, precarizzate e pauperizzate», che rappresentano il «nemico di classe», lettaralmente «bombardato» dal super-potere, attraverso «agenzie terze» che possono chiamarsi Al-Qaeda o Isis, dietro cui si intravede la regia di servizi segreti, pronti a guidare i killer e depistare regolarmente la polizia.Il terrorismo, scrive Fusaro sul “Fatto Quotidiano”, produce «un grandioso spostamento dello sguardo dalla contraddizione principale», cioè «il nesso di forza classista finanziarizzato». A reti unificate, continua il filosofo, «ci fanno credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano del capitalismo finanziario (guerre imperialistiche, ecatombi di lavoratori, suicidi di piccoli imprenditori, popoli mandati in rovina)». Ci fanno credere che il nemico, «per il giovane disoccupato cristiano», sia «il giovane disoccupato islamico» e non già «il delocalizzatore, il magnate della finanza, l’apolide e sradicato signore del mondialismo che sta egualizzando il pianeta nella disuguaglianza del libero mercato». Per questa via, continua Fusaro, «il conflitto servo-signore è, ancora una volta, frammentato alla base: si ha l’ennesima guerra tra poveri, della quale a beneficiare sono coloro che poveri non sono», perché il terrorismo «frammenta il conflitto di classe e mette i servi in lotta tra loro (islamici vs cristiani, orientali vs occidentali)».Inoltre, questo terrorismo «permette l’attivazione di quel paradigma securitario che, ancora una volta, giova unicamente al signore globalista e finanziario». Si attiva il modello americano del Patriot Act innescato dall’11 Settembre: «Per garantire sicurezza, si toglie libertà». E cioè: «Meno libertà di protesta, meno libertà di organizzazione, più controlli, più ispezioni, più limitazioni». Risultato: «La massa terrorizzata accetta ciò che in condizioni normali mai accetterebbe: la perdita della libertà in nome della sicurezza». Così, a suon di stragi, si prepara il terreno per nuove guerre: «Guerre terroristiche e criminali contro i crimini del terrorismo», come in Afghanistan nel 2001 e recentemente in Siria. «Il terrorismo legittima l’imperialismo occidentale, l’interventismo umanitario, il bombardamento etico, le guerre giuste, e mille altre pratiche orwelliane che, chiamate col loro nome, rientrerebbero esse stesse nella categoria del terrorismo».L’imperialismo occidentale è «coessenziale al regime capitalistico», e viene «legittimato e fatto accettare alle masse terrorizzate e subalterne», scrive ancora Fusaro, che aggiunge: «A differenza di Pasolini, io non so i nomi. Credo, tuttavia, di sapere che cos’è davvero il terrorismo. È la fase suprema del capitalismo. È il momento culminante di un capitalismo che, avendo la propria egemonia in crisi (per dirla con Gramsci), deve adoperarsi in ogni modo (letteralmente: in ogni modo) per favorire il consenso, per riallineare le masse, per disarticolare il dissenso, per sincronizzare le coscienze, per fare sì che l’odio e l’amore delle masse siano indirizzati, secondo le debite dosi, dove i signori del mondialismo hanno deciso debbano essere indirizzati».«Ed è subito terrore. Ancora una volta. Secondo modalità che ritornano sempre invariate, sempre le stesse. Quasi come se si trattasse di un copione già scritto, un orrendo copione da mettere in scena a cadenza regolare». Dopo Parigi, Bruxelles e Nizza, è toccato a Berlino. Ma a chi serve, il terrorismo contemporaneo? Se lo domanda il filosofo Diego Fusaro. Che ha già la risposta: tutto quel sangue serve all’élite, per il suo dominio sul resto dell’umanità. Gli attentati, osserva Fusaro, si abbattono «sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate», e mai «sui luoghi reali del potere occidentale», le banche, le centrali finanziarie: «I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati». Le vittime dei terroristi sono le stesse dell’oligarchia, cioè «le masse schiavizzate, sottoproletarie, precarizzate e pauperizzate», che rappresentano il «nemico di classe», lettaralmente «bombardato» dal super-potere, attraverso «agenzie terze» che possono chiamarsi Al-Qaeda o Isis, dietro cui si intravede la regia di servizi segreti, pronti a guidare i killer e depistare regolarmente la polizia.
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Magaldi: altro che Silvio e Gelli, il burattinaio è Napolitano
«Giorgio Napolitano? Ne penso molto male. Nello stesso anno in cui Berlusconi veniva iscritto alla P2, è stato iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes”, una superloggia internazionale antidemocratica, di cui la P2 non era altro che una succursale subalterna». Così Gioele Magaldi ai microfoni di “Colors Radio”, in una trasmissione dedicata all’approfondimento dell’attualità politica, italiana e internazionale. E il guaio è, aggiunge Magaldi, autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, che Napolitano è tuttora il grande manovratore della crisi italiana, apertamente a favore del Sì al referendum renziano. «Non mi piace l’idea di un Senato che permane, ma non è più eletto direttamente dal popolo sovrano», premette Magaldi, massone progressista, presidente del Movimento Roosevelt e gran maestro del Grande Oriente Democratico. «C’è qualcosa di grave», dice, nel Senato-fantasma della riforma renziana. Ovvero: «Abituare i cittadini, in modo sublimimale, all’idea che ci possano essere organi istituzionali di un certo peso che non sono eletti direttamente». E’ una legittimazione dell’orribile Europa dei tecnocrati. «Ed è l’idea, spregevole, offerta da un Eugenio Scalfari che, passati i 90 anni, ha gettato la maschera definitivamente, nelle sue pulsioni antidemocratiche».Di recente, il fondatore di “Repubblica” ha infatti rivendicato la convinzione che la democrazia non sia altro che una forma di oligarchia “illuminata”. «Scalfari – continua Magaldi – si inscrive benissimo in quell’ideologia propagata a partire dagli anni 70, di matrice “Three Eyes”, di organizzazione delle società lasciando formalmente esistere la democrazia ma svuotandola di sostanza e dando il vero potere a organi oligarchici e possibilmente anche tecnocratici». Fino a ieri, aggiunge Magaldi, Scalfari avrebbe dissimulato un pensiero del genere, come tuttora fanno i costruttori di questo ordine europeo e globale sostanzialmente non democratico. Ora invece Scalfari “non si tiene più”, parla senza infingimenti e senza veli: «Lo dice in faccia, al popolo: tu non sei sovrano, ed è bene che non sia sovrano. Se però il popolo mantiene la sua ignoranza, poi legittima anche questi cattivi maestri, che immginano di poter dire in modo impudente “viva l’oligarchia, abbasso la democrazia”». Cattivi maestri tra i quali Magaldi annovera con decisione lo stesso Napolitano, che definisce un uomo senza scrupoli, affiliato a una potentissima organizzazione oligarchica internazionale come la “Three Eyes”.Non regge neppure il paragone con un altro super-massone, Carlo Azeglio Ciampi, che – col divorzio di Bankitalia dal Tesoro – compromise il futuro della sovranità nazionale. «Ciampi ha molte gravi responsabilità riguardo al pessimo modo in cui l’Italia è entrata nell’Eurozona e la stessa Eurozona è stata costruita, insieme a questa Europa tecnocratica e antidemocratica», dichiara Magaldi. «Però poi, quando è stato presidente della Repubblica, è stato molto proficuo nel riportare i valori risorgimentali e unitari, e anche nell’arginare certe intemperanze un po’ sgangherate dell’allora presidente del Consiglio Berlusconi». Quindi Ciampi «ha fatto molto male fino all’elezione al Quirinale». Poi, quando diventò presidente «ormai il male era fatto». Però bisogna ammettere che «ha fatto anche qualcosina di buono». Napolitano, invece, no: «Ne penso tutto il male possibile, lo considero un avversario, un antagonista, di cui riconosco semmai la raffinata abilità». Fin dall’inizio della sua lunghissima carriera politica, continua Magaldi, Giorgio Napolitano «si è distinto per spregiudicatezza, cinismo e, francamente, per una sua vocazione autenticamente oligarchica e antidemocratica».Nella prima fase della sua storia «è stato fra i togliattiani filo-stalinisti che criticavano i compagni che protestavano per l’invasione sovietica dell’Ungheria». Poi, quando il vento gli sembrava cambiato, «è stato tra i protagonisti della cosiddetta corrente “migliorista” del Pci che dialogava anche ufficialmente con gli Stati Uniti e col mondo democratico occidentale». Napolitano è stato poi tante altre cose, «ma tutto quello che ha fatto l’ha fatto promuovendo se stesso, quindi con una grande cura del suo interesse e della sua ascesa personale». Non era nella P2, ma nella “Three Eyes” sì, dichiara Magaldi: fu affiliato proprio mentre il Cavaliere entrava nella rete di Gelli, che in Italia suscitò enorme scandalo. Peccato però che la P2 fosse solo la succursale italiana, e minore, della grande superloggia di Kissinger. Naturalmente, l’interessato non ha mai confermato: «Nonostante interrogazioni di parlamentari del Movimento 5 Stelle, non c’è mai stata risposta su questa affiliazione». Eppure, insiste Magaldi, «proprio in quanto rappresentante della “Three Eyes”, Napolitano ha favorito lo scandaloso avvento di Mario Monti al potere, un Monti insignito anche del ruolo di senatore a vita con relativa indennità».Monti? «Dovrebbe un giorno essere chiamato a rispondere dei danni gravissimi, economici e civili, che ha causato al nostro paese». Anche di questo, conclude Magaldi, bisogna ringraziare Napolitano, che «è stato il padre dell’operazione Monti». Poi è stato anche «il padre dell’operazione Enrico Letta», prima di dover «subire in qualche modo l’avvento di Matteo Renzi». E adesso, nonostante si sia dimesso da presidente della Repubblica, «continua a fare il grande burattinaio, il grande manovratore, come ha senpre fatto». Ma attenzione: «Un personaggio così non ha nemmeno bisogno di fare il presidente della Repubblica per avere questo tipo di potere, che gli deriva dalle sue ascendenze massoniche di segno neo-aristocratico». Non c’è da stupirsi, dunque, che resti in cabina di regia: evidentemente è il super-garante di poteri fortissimi, gli stessi peraltro che tifano per la vittoria di Renzi al referendum.«Giorgio Napolitano? Ne penso molto male. Nello stesso anno in cui Berlusconi veniva iscritto alla P2, è stato iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes”, una superloggia internazionale antidemocratica, di cui la P2 non era altro che una succursale subalterna». Così Gioele Magaldi ai microfoni di “Colors Radio”, in una trasmissione dedicata all’approfondimento dell’attualità politica, italiana e internazionale. E il guaio è, aggiunge Magaldi, autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, che Napolitano è tuttora il grande manovratore della crisi italiana, apertamente a favore del Sì al referendum renziano. «Non mi piace l’idea di un Senato che permane, ma non è più eletto direttamente dal popolo sovrano», premette Magaldi, massone progressista, presidente del Movimento Roosevelt e gran maestro del Grande Oriente Democratico. «C’è qualcosa di grave», dice, nel Senato-fantasma della riforma renziana. Ovvero: «Abituare i cittadini, in modo sublimimale, all’idea che ci possano essere organi istituzionali di un certo peso che non sono eletti direttamente». E’ una legittimazione dell’orribile Europa dei tecnocrati. «Ed è l’idea, spregevole, offerta da un Eugenio Scalfari che, passati i 90 anni, ha gettato la maschera definitivamente, nelle sue pulsioni antidemocratiche».
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Lo Zio Sam tifa Sì per Renzi, e la stampa finge d’indignarsi
“Indebita ingerenza”, “Irruzione a gamba tesa”, “Invasione di campo”, questi solo alcuni dei titoli dei quotidiani di oggi dopo le improvvide esternazioni dell’ambasciatore Usa a Roma, John Phillips. Come è noto il nostro ha affermato candidamente che una vittoria del No al referendum costituzionale rappresenterebbe un «passo indietro» nella politica italiana e ostacolerebbe gli investimenti stranieri in Italia. L’inquilino di Villa Taverna ha naturalmente aggiunto – bontà sua – che si tratta di «una decisione italiana» ma che comunque l’Italia «deve garantire di avere una stabilità di governo». E visti i 63 governi in 63 anni le garanzie sono piuttosto scarse… Alle parole dell’ineffabile Phillips fa eco la news – guarda caso battuta subito dopo – dell’agenzia di rating “Fitch”, che profetizza «uno choc per l’economia» se il No vincesse, con ricadute sul rating italiano. Ma che splendida coppia e come si preoccupano generosamente per la nostra salute…Ora, mentre non sorprende affatto la presa di posizione dei nostri “amici” americani, quello che davvero sorprende – e disgusta – è la reazione della stampa nostrana, che finge di indignarsi per l’illecita ingerenza nei nostri affari interni. Illecita ingerenza? Non sanno i nostri inossidabili pennivendoli del mainstream che la nostra è una nazione vassalla a tutti gli effetti? Il servaggio dell’Italia, che va dalla costrizione ad acquistare armamenti Usa alla imposizione di basi militari con armamento nucleare sul nostro territorio, dalla partecipazione coatta a missioni di guerra – opportunamente rinominate “guerre umanitarie” – delle nostre forze armate, alla deindustrializzazione forzata e alla svendita della nostra economia decisa a tavolino nel ’92, è ormai una realtà ben nota a tutti coloro che si interessino in modo onesto e corretto alla storia di questo paese.Dalla iniziale cessione di parte della nostra sovranità con il Trattato di Parigi nel ’47, decisa da De Gasperi al fine di ottenere il riassetto di equilibri politici interni, alla erogazione dei contributi del Piano Marshall condizionati all’uscita dei comunisti dal governo, passando per gli assassini di Enrico Mattei e di Aldo Moro, per Gladio e la strategia della tensione, per le imposizioni di premier non eletti, la nostra è stata sempre una storia di inverecondo servaggio nei confronti dei Signori del Mondo. Una sottomissione con evidenti manifestazioni servili da parte dei nostri politici rampanti che – guarda caso – prima di essere eletti fanno un viaggetto a Washington onde ottenere l’investitura da parte dei padroni. E, con tutto ciò, i nostri impudichi giornalisti si sorprendono, s’indignano, starnazzano on line perché l’ambasciatore americano ha semplicemente – con tipica franchezza anglosassone – detto le cose come stanno? Suvvia ragazzi, provate per una volta a essere un filino meno ridicoli; se il servaggio è il nostro destino, ammettiamolo onestamente, se, invece, vorremo alzare un giorno la testa, beh, iniziamo a farlo da subito chiamando le cose con il loro nome.(Piero Cammerinesi, “Ahi, serva Italia…”, da “Libero Pensare” del 14 settembre 2016).“Indebita ingerenza”, “Irruzione a gamba tesa”, “Invasione di campo”, questi solo alcuni dei titoli dei quotidiani di oggi dopo le improvvide esternazioni dell’ambasciatore Usa a Roma, John Phillips. Come è noto il nostro ha affermato candidamente che una vittoria del No al referendum costituzionale rappresenterebbe un «passo indietro» nella politica italiana e ostacolerebbe gli investimenti stranieri in Italia. L’inquilino di Villa Taverna ha naturalmente aggiunto – bontà sua – che si tratta di «una decisione italiana» ma che comunque l’Italia «deve garantire di avere una stabilità di governo». E visti i 63 governi in 63 anni le garanzie sono piuttosto scarse… Alle parole dell’ineffabile Phillips fa eco la news – guarda caso battuta subito dopo – dell’agenzia di rating “Fitch”, che profetizza «uno choc per l’economia» se il No vincesse, con ricadute sul rating italiano. Ma che splendida coppia e come si preoccupano generosamente per la nostra salute…
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Craig Roberts: sembra Ue, ma è Cia. Il suo veleno? L’euro
“Un anello per domarli tutti… e nel buio incatenarli” (J.R.R. Tolkien, “Il Signore degli Anelli”). La Seconda Guerra Mondiale è finita con la conquista dell’Europa, non da parte di Berlino, ma da parte di Washington. La conquista era certa, ma non la si poteva ottenere tutta in una volta. La conquista di Washington dell’Europa è avvenuta grazie al Piano Marshall, alla paura dell’Armata Rossa di Stalin (che ha portato l’Europa a fare affidamento sulla protezione di Washington e a subordinare le forze armate europee agli Stati Uniti, all’interno della Nato), alla sostituzione della sterlina con il dollaro Usa come valuta di riserva mondiale e al lungo processo di subordinazione della sovranità dei singoli paesi europei verso l’Unione Europea, un’iniziativa della Cia attuata da Washington per controllare tutta l’Europa attraverso un solo e irresponsabile governo. Con poche eccezioni, principalmente il Regno Unito, l’adesione all’Unione Europea ha significato anche la perdita di indipendenza finanziaria. Dato che solo la Banca Centrale Europea è in grado di creare euro, quei paesi così sciocchi da accettarlo come valuta non hanno più avuto il potere di creare il proprio denaro per finanziare i deficit di bilancio.I paesi che hanno aderito all’euro devono fare affidamento su banche private per finanziare i loro deficit. Il risultato è che i paesi indebitati non possono più pagare i loro debiti con la creazione di denaro o sperare che questi debiti vengano abbassati a livelli che possono tenere sotto controllo. Invece, Grecia, Portogallo, Lettonia e Irlanda sono state saccheggiate dalle banche private. L’Ue ha costretto gli pseudo-governi di questi paesi a pagare le banche private del Nord Europa soffocando il tenore di vita delle loro popolazioni e privatizzando i beni pubblici svendendoli per due soldi rispetto al loro valore originale. Così le pensioni di anzianità, il pubblico impiego, l’istruzione e la sanità sono stati tagliati e il denaro reindirizzato alle banche private. Le aziende idriche municipali sono state privatizzate con il risultato che le bollette dell’acqua sono più elevate. E così via. Poiché non vi è alcuna ricompensa, solo punizioni, per essere un membro della Ue, perché i governi, nonostante i desideri espressi dei loro popoli, si uniscono?La risposta è che Washington ha voluto che non vi fossero altre possibilità. I fondatori europei della Ue sono creature mitiche. Washington ha utilizzato i politici pilotandoli nella creazione dell’Unione Europea. Alcuni anni fa sono stati rilasciati dei documenti della Cia che dimostrano che l’Ue è stata un’iniziativa della Cia stessa. Nel 1970 il presidente per la discussione della tesi del mio dottorato di ricerca, divenuto poi un funzionario di alto rango a Washington addetto al controllo degli affari di sicurezza internazionale, mi ha chiesto di intraprendere una missione delicata all’estero. Ho rifiutato. Tuttavia, egli ha risposto alla mia domanda: «Come fa Washington a fare in modo che i paesi stranieri facciano ciò che Washington vuole?». «Soldi», ha detto. «Diamo ai loro leader borse piene di soldi. Appartengono a noi». E’ chiaro che l’Ue serve gli interessi di Washington, non gli interessi dell’Europa. Ad esempio, il popolo francese e il governo sono contrari agli Ogm, ma l’Ue consente una “autorizzazione di mercato precauzionale” di introduzione degli Ogm, contando forse sulle “scoperte scientifiche” degli scienziati sul libro paga della Monsanto.Quando lo Stato americano del Vermont ha approvato una legge che impone l’etichettatura degli alimenti Ogm, la Monsanto gli ha fatto causa. Una volta che i funzionari dell’Ue, pagati di nascosto, firmeranno l’accordo Ttip scritto dalle multinazionali degli Stati Uniti, la Monsanto si impadronirà dell’agricoltura europea. Ma il pericolo per l’Europa va ben oltre la salute dei popoli europei, che saranno costretti a nutrirsi di cibi velenosi. Washington sta usando l’Ue per costringere gli europei a entrare in conflitto con la Russia, una potenza nucleare in grado di distruggere tutta l’Europa e tutti gli Stati Uniti in pochi minuti. Ciò sta accadendo perché i “leader” europei, pagati di nascosto con “borse piene di denaro”, hanno preferito avere il denaro di Washington nel breve periodo piuttosto che garantire la vita degli europei nel lungo periodo. Non è possibile che qualsiasi politico europeo sia sufficientemente idiota da credere che sia stata la Russia a invadere l’Ucraina, che la Russia da un momento all’altro invaderà la Polonia e gli Stati baltici, o che Putin sia un “nuovo Hitler” che progetta di ricostruire l’impero sovietico. Queste accuse assurde non sono altro che propaganda di Washington priva di qualsiasi verità. Tutto ciò è evidente. Nemmeno un idiota potrebbe crederci. Eppure l’Unione Europea va di pari passo con la propaganda, come fa la Nato. Perché?La risposta è il denaro di Washington. L’Ue e la Nato sono assolutamente corrotte. Sono le puttane ben pagate di Washington. L’unico modo che gli europei hanno per impedire una Terza Guerra Mondiale nucleare, e continuare a vivere e godere di ciò che resta della loro cultura (che gli americani non sono riusciti a distruggere con la loro cultura di sesso, violenza e avidità) è, per i governi europei, quello di seguire l’esempio del governo inglese e uscire dall’Unione Europea creata dalla Cia. E l’uscita dalla Nato, il cui scopo è evaporato con il crollo dell’Unione Sovietica, e che ora viene usata come uno strumento di egemonia mondiale da parte di Washington. Perché gli europei vogliono morire per favorire l’egemonia mondiale di Washington? Ciò significa che gli europei stessi stanno morendo a causa di questa egemonia (esercitata allo stesso modo sull’Europa). Perché gli europei vogliono sostenere Washington, i cui alti funzionari, come Victoria Nuland, dicono “l’Unione Europea si fotta”? Gli europei stanno già soffrendo a causa delle sanzioni economiche che il loro signore a Washington li ha costretti ad applicare nei confronti della Russia e dell’Iran. Perché gli europei desiderano essere distrutti da una guerra contro la Russia? Gli europei vogliono forse morire?Sono stati americanizzati e non apprezzano più l’enorme quantità di bellezze artistiche e architettoniche, letterarie e musicali di cui i loro paesi sono custodi? La risposta è che non fa alcuna differenza che cosa pensino gli europei, perché Washington ha istituito per loro un governo che è totalmente indipendente dalla loro volontà. Il governo dell’Ue è tenuto a rispondere solo per il denaro di Washington. Alcune persone capaci di emettere editti sono sul libro paga di Washington. Gli interi popoli d’Europa sono servi di Washington. Pertanto, se gli europei rimangono i popoli creduloni, indifferenti e stupidi che attualmente sono, verranno condannati, assieme al resto di noi. D’altra parte, se i popoli europei saranno in grado di rinsavire, di liberarsi dalla Matrix che Washington ha imposto su di loro, e di rivoltarsi contro gli agenti di Washington che li controllano, i popoli europei potranno salvare la propria vita e la vita di tutti noi.(Paul Craig Roberts, “L’Ue è condannata al vassallaggio nei confronti di Washington”, dal blog di Craig Roberts del 27 luglio 2016, tradotto da “Desastrado” per “Come Don Chisciotte”. Eminente analista ed economista statunitense, Roberts è stato viceministro del Tesoro con Ronald Reagan).“Un anello per domarli tutti… e nel buio incatenarli” (J.R.R. Tolkien, “Il Signore degli Anelli”). La Seconda Guerra Mondiale è finita con la conquista dell’Europa, non da parte di Berlino, ma da parte di Washington. La conquista era certa, ma non la si poteva ottenere tutta in una volta. La conquista di Washington dell’Europa è avvenuta grazie al Piano Marshall, alla paura dell’Armata Rossa di Stalin (che ha portato l’Europa a fare affidamento sulla protezione di Washington e a subordinare le forze armate europee agli Stati Uniti, all’interno della Nato), alla sostituzione della sterlina con il dollaro Usa come valuta di riserva mondiale e al lungo processo di subordinazione della sovranità dei singoli paesi europei verso l’Unione Europea, un’iniziativa della Cia attuata da Washington per controllare tutta l’Europa attraverso un solo e irresponsabile governo. Con poche eccezioni, principalmente il Regno Unito, l’adesione all’Unione Europea ha significato anche la perdita di indipendenza finanziaria. Dato che solo la Banca Centrale Europea è in grado di creare euro, quei paesi così sciocchi da accettarlo come valuta non hanno più avuto il potere di creare il proprio denaro per finanziare i deficit di bilancio.
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi
Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo. La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.
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Italiani buoni a nulla, così l’Ulivo ci ha svenduto ai tedeschi
Si chiama “foreign dominance”, dominio esterno: a partire dal Trattato di Maastricht, attraverso l’adesione all’euro e la direzione politica dell’Ulivo di Romano Prodi, ha decretato il declino dell’Italia, come nel Seicento. Il paese è nelle mani di potentati stranieri, in questo caso tedeschi, che stanno letteralmente deindustrializzando il paese, gettandolo in una crisi senza uscita. E’ la tesi di un economista di prestigio come il professor Giulio Sapelli: «La politica economico-monetaria dell’Ulivo ha disarmato le menti e, nel mentre, ha armato nuove classi economico-politiche cosmopolite (i Padoa Schioppa ne sono l’esempio più sconcertante), a cominciare dai Ciampi e dai Draghi e per finire con i Monti, costruiti dai quotidiani e dai poteri situazionali di fatto filo-teutonici e anti-Usa, che già Gramsci aveva ben descritto, seguendo Machiavelli e parlando del “cosmopolitismo”, ossia del servilismo internazionale degli intellettuali italiani». Abbiamo a che fare con «ragionieri del mondo, affascinati dal mito umiliante che narra che gli italiani nulla san far da sé e hanno quindi bisogno, per bene agire, di choc esterni: l’ordoliberalismus teutonico appunto, mito che in qualsivoglia altra nazione farebbe sfidare a duello colui che accusa il suo interlocutore di sostenere tale tesi».Si dovrà fare la storia dell’Ulivo che ne affronti la teoria economica prevalente, scrive Sapelli in un’analisi su “Il Sussidiario”. La politica monetaria intrapresa con Maastricht? «Va inserita nella specificità della vicenda monetaria italiana che è sempre stata – come sappiamo – determinata da un’oscillazione e da un intreccio continuo tra “fiscal dominance” e “foreign dominance”». Sapelli sgombra il campo da un presupposto “mitologico” come quello dell’indipendenza delle banche centrali dal Tesoro («per dipendere da chi, se non dalle burocrazie o dalle euroburocrazie spartite in basi a criteri di potenza nazionale?»). Problema che «non incide sui temi della “foreign dominance”», non è determinante. «Ciò che è e fu determinante a partire dai tempi dell’Ulivo (sino a oggi) è il fatto che l’indipendenza delle banche centrali europee dell’Eurozona e quindi dell’Italia fu lo strumento più idoneo allorché si ritenne di potere e voler fare la volontà della nazione accettando, anzi, invocando, il dominio estero sulle nostre scelte di politica monetaria ed economica non in una condizione di condivisione ma, invece, di crescente sottrazione di sovranità».La tesi di Sapelli è che proprio l’Ulivo «ha rappresentato l’acme della “foreign dominance” e l’ha reso pressoché irreversibile – almeno nel breve periodo – con l’entrata nell’euro e quindi con la definitiva perdita della sovranità monetaria». Ciò che è stata una delle fasi della “foreign dominance”, ossia l’egemonia tedesca sul sistema economico e su quello monetario in primis italiano grazie all’Europa a dominazione germanica, è ormai divenuta una delle caratteristiche della stessa nazione italiana, continua Sapelli. Non ne ucsiremo, «se l’Europa non muterà volto», ossia se non si riscriverà il Trattato di Maastricht e non cadranno tutti i suoi presupposti: «Essi hanno condannato alla decadenza l’Italia, come fu nella crisi del Seicento. I mezzi furono diversi, gli esiti saranno e già sono assai simili: de-industrializzazione, depauperamento del capitale umano con la sua emigrazione da un lato e la sua emasculazione emotiva dall’altro».In parallelo, scontiamo anche la “fiscal dominance”, cioè il ruolo del Tesoro nella creazione monetaria. «Determinare la quantità di moneta e dei tassi d’interesse – scrive Sapelli – è un compito che rimane nelle mani della politica e delle istituzioni finanziarie: oppongono il principio di gerarchia a quello di mercato e allocano le risorse in questo con sistematica prevalenza». In questo senso, «il ruolo del mercato è subalterno e sottoposto al controllo politico anche in un contesto internazionale che può renderlo difficile. Ma questa è stata fondamentalmente la condizione in cui l’Italia si è trovata a operare per la sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro durante tutta la sua storia sino ai primi anni Novanta del Novecento. Proprio gli anni in cui inizia l’esperienza dell’Ulivo». Una storia «contrassegnata da una diversità della “foreign dominance” anche in condizioni ben precedenti l’Ulivo», cioè sin dai tempi di Cavour, «passando per il predominio inglese e francese e poi quello tedesco che fu decisivo per la creazione del sistema bancario italiano e per inverare poi durante il fascismo paradossalmente il predomino nordamericano, con un ruolo decisivo esercitato dalla banca Morgan». Oggi, l’attuale assetto è presentato come non riformabile: dall’Ulivo in poi comanda “l’Europa”, e l’Italia affonda.Si chiama “foreign dominance”, dominio esterno: a partire dal Trattato di Maastricht, attraverso l’adesione all’euro e la direzione politica dell’Ulivo di Romano Prodi, ha decretato il declino dell’Italia, come nel Seicento. Il paese è nelle mani di potentati stranieri, in questo caso tedeschi, che stanno letteralmente deindustrializzando il paese, gettandolo in una crisi senza uscita. E’ la tesi di un economista di prestigio come il professor Giulio Sapelli: «La politica economico-monetaria dell’Ulivo ha disarmato le menti e, nel mentre, ha armato nuove classi economico-politiche cosmopolite (i Padoa Schioppa ne sono l’esempio più sconcertante), a cominciare dai Ciampi e dai Draghi e per finire con i Monti, costruiti dai quotidiani e dai poteri situazionali di fatto filo-teutonici e anti-Usa, che già Gramsci aveva ben descritto, seguendo Machiavelli e parlando del “cosmopolitismo”, ossia del servilismo internazionale degli intellettuali italiani». Abbiamo a che fare con «ragionieri del mondo, affascinati dal mito umiliante che narra che gli italiani nulla san far da sé e hanno quindi bisogno, per bene agire, di choc esterni: l’ordoliberalismus teutonico appunto, mito che in qualsivoglia altra nazione farebbe sfidare a duello colui che accusa il suo interlocutore di sostenere tale tesi».
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L’Isis in Kosovo, come volevano gli Usa (complice l’Italia)
Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.Una terra non appartiene solo a chi la abita in quel momento, ma è anche frutto delle generazioni che l’hanno vissuta e lavorata in precedenza facendone ciò che è. Era quindi una questione che indipendentisti kosovari e Serbia avrebbero dovuto risolversi fra loro. Che c’entravano gli Usa che stanno a 10mila chilometri di distanza? Ma siccome essi hanno interessi geopolitici dappertutto, anche sul più sperduto atollo, convocarono sotto la loro guida una Conferenza di pace a Rambouillet. Le condizioni poste alla Serbia (molto invisa anche perché era rimasto l’ultimo paese paracomunista in Europa) erano tali che Belgrado non avrebbe dovuto rinunciare solo alla sovranità sul Kosovo, ma anche su se stessa. E i serbi, già defraudati della vittoria conquistata sul campo di battaglia in Bosnia (perché, sul terreno, sono i migliori combattenti del mondo e si deve alla loro resistenza alla Wermacht quel ritardo di tre mesi che fu fatale a Hitler, perché ritardò il suo attacco all’Urss e così le truppe di Von Paulus si scontrarono col Generale Inverno che aveva già sconfitto Napoleone – questo merito storico bisognerebbe riconoscerglielo, qualche volta) dissero di no.Allora gli americani, con alcuni servi fedeli fra cui l’Italia (gli aerei partivano da Aviano), violando il principio del diritto internazionale – fino ad allora mai messo in discussione – della non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano (e con questo precedente è ora difficile bacchettare la Russia perché si è intromessa in Ucraina a difesa degli indipendentisti russi di Crimea e di altre zone russofone), bombardarono per 72 giorni una grande e colta capitale europea come Belgrado facendo 5500 morti, fra cui molti di quegli albanesi che pretendevano di difendere. E, poiché da sempre bombardano “’ndo cojo cojo”, colpirono anche l’ambasciata cinese. Princìpi a parte, abbiamo finito per favorire la componente islamica dei Balcani, quella che oggi provoca le isterie Fallaci-style.Gli Usa però almeno un piano ce l’avevano: costituire una striscia di musulmanesimo moderato (Albania + Bosnia + Kosovo) in appoggio a quella che allora (oggi molto meno) era la loro grande alleata nella regione, la Turchia. Ma sbagliarono anche quella volta i calcoli: oggi i musulmani dei Balcani sono assai meno moderati, molti stingono nello jihadismo e la Turchia sta via via abbandonando l’assetto laico di Ataturk per un regime sempre più confessionale. Ma particolarmente stolida fu la partecipazione dell’Italia a quell’aggressione. Perché noi con i serbi non abbiamo mai avuto alcun contenzioso (l’abbiamo avuto semmai con i croati che fascisti erano e fascisti sono rimasti). Abbiamo anzi un legame storico che risale ai primi del Novecento. A quell’epoca si pubblicava a Belgrado un quotidiano che si chiamava Piemonte, perché i serbi vedevano nell’Unità d’Italia un modello per raggiungere la loro. Inoltre il ‘gendarme’ Milosevic, checché se ne sia detto e scritto, era, almeno dopo la pace di Dayton, un fattore di stabilizzazione nei Balcani. Ridotta ora la Serbia ai minimi termini, in Kosovo, Bosnia, Macedonia, Montenegro e Albania sono concresciute grandi organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari sporchi nel paese ricco più vicino, l’Italia.Quando a “Ballarò”, presente Massimo D’Alema, dissi che la guerra alla Serbia oltre che illegittima era stata cogliona, l’ex premier – che guidava il governo all’epoca dell’intervento non fiatò. Ma io a “Ballarò” non ci ho più rimesso piede. Ma l’avventurismo yankee nei Balcani ci ha lasciato un altro regalo, il più gravido di conseguenze: ora, per i contraccolpi dell’aggressione alla Serbia del ‘99, gli uomini del Califfo li abbiamo sull’uscio di casa, mentre gli Usa se ne possono fregare perché c’è l’oceano di mezzo. Eppoi almeno qualcosa hanno ottenuto: oggi in Kosovo c’è la loro più grande base militare. Non è poco visto che, in giro per il mondo, ne hanno una settantina.(Massimo Fini, “Il Califfo in Kosovo, grazie a Usa e Italia”, da “Il Fatto Quotidiano” del 18 febbraio 2016).Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.
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Padroni stranieri per l’Italia, un paese creato per obbedire
L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri.La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici. Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:- L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.- L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’Ue, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!- La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.- L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.- La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.- La irragionevole adozione del bail-in, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: «Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!». Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia fu trattata male da Usa, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe.Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli Usa, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo, ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli Usa anche dopo la fine della minaccia “comunista”. All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è bensì oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa.(Marco Della Luna, “Italia, subalternità e corruzione”, dal blog di Della Luna del 20 febbraio 2016).L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).
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Colonia Italia, i media pro-austerity controllati da Londra
Un bel libro di Fasanella e Cereghino, “Colonia Italia” edito da Chiarelettere, offre uno squarcio decisivo per comprendere il rapporto che lega politica e informazione. Dietro il paravento di una libertà di stampa brandita a mo’ di slogan si cela sempre una realtà differente e puzzolente, fatta di corruzione, manipolazione e compromessi che nulla hanno a che vedere conl’informazione. Non si tratta, badate bene, di singole devianze ma di un sistema rodato e collaudato: solo chi è disposto a prostituirsi intellettualmente può sperare di entrare nell’empireo del giornalismo. Partendo dallo spaccato preciso e puntuale preparato da Fasanella, offrirò un affresco del panorama informativo italiano, dominato da dinastie di “venduti con la penna” che mentono di generazione in generazione per indole, sport, interesse, malvagità e pavidità. Ma, badate bene di nuovo, non si tratta di storie del passato raccontate solo ora a bocce ferme. Tutt’altro. I metodi svelati nel libro in argomento sono attualissimi e tutt’ora dominanti.Ma per davvero c’è ancora in giro qualcuno che può credere alla buona fede di chi predica il “successo delle politiche di austerità” volute dalla Merkel? Fino a qualche anno fa, prima dello scempio assoluto che oggi è sotto gli occhi di tutti, qualche allocco intimamente convinto del fatto che Monti e quelli come lui lavorassero al “risanamento dei conti nell’interesse dell’Italia e degli italiani” esisteva per davvero. Ora no. Nessuno è così stupido da non accorgersi che il fuoco brucia dopo avere visto per dieci volte di fila qualcuno ustionarsi maneggiando lo stesso braciere. I giornali italiani sono in malafede. Peggio: sono etero-diretti da centrali di intelligence occulte e deviate che tengono a libro paga la gran parte dei principali editorialisti nostrani, lautamente retribuiti in denaro o altre utilità in misura direttamente proporzionale alla mancanza di scrupoli, amore di verità e deontologia professionale ripetutamente dimostrata. I giornali italiani, da destra a sinistra, scrivono tutti le stesse cose.Ricordate i fiumi di bava che accompagnarono nel 2011 l’ascesa al potere di Monti per volontà del divino Napolitano? Ci vuole molto a capire che il nostro sistema informativo, formalmente plurale, si abbevera in realtà nascostamente presso le stesse identiche e velenose fonti? Una volta sedimentata simile ovvietà sarà allora giusto e possibile riconoscere l’esistenza di due categorie principali che separano i maggiori “intellettuali” italiani. Da un lato esistono quelli che scrivono a pagamento sotto dettatura del sistema massonico dominante; dall’altro ci sono quelli che raccontano le stesse cose gratis, per mero servilismo o innata subalternità nei confronti del potere. Mi viene difficile capire quale delle due categorie faccia più schifo. E’ pur vero che è possibile manipolare solo gli ingenui e gli ignoranti. Un popolo colto e fiero non si farà facilmente impressionare dalle tante menzogne scritte solo perché ripetute all’infinito da un manipolo di giullari al servizio dell’oligarchia finanziaria di comando.Paradossalmente, dopo avere aperto gli occhi ai troppi ciechi ancora in circolazione, le manipolazioni pacchiane cucinate nelle redazioni de “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, e “La Repubblica”– solo per citare i manganelli più grossi usati dai padroni – finiranno per agevolare il nostro compito. Quando tutti sapranno che simili quotidiani difendono costitutivamente interessi malvagi e privati, esperti nell’arte della bugia e del raggiro per meglio realizzare i sottesi obiettivi massonici perseguiti nell’ombra, la credibilità di ciascuno di loro finirà necessariamente sottoterra, rendendo automaticamente più forti e preganti le posizioni di tutti quelli che sostengono il contrario, divenuti adesso degni di attenzione e di rispetto per il solo fatto di non condividere – neppure casualmente e sporadicamente – le linee di indirizzo sposate da note centrali di disinformazione finalmente smascherate e offerte al pubblico ludibrio e all’ignominia eterna.La dittatura eurocratica imposta dai vari Merkel, Schaueble e Draghi – quest’ultimo così ridicolo da denunciare la presenza di complotti globali che ne ostacolerebbero l’operato – non potrebbe reggersi senza il sostegno indispensabile dell’informazione corrotta e prezzolata. Nulla viene lasciato al caso. E’ bello tuttavia constatare come oggettivamente aumenti il livello di consapevolezza di tanti cittadini non più disposti ad accettare acriticamente l’interessato punto di vista offerto dalle élite. Siamo dentro un passaggio storico decisivo. Troppi lestofanti cercano disperatamente di salvare uno schema che non regge più. E’ solo questione di tempo, ma la perfida piramide costruita dagli apprendisti stregoni che ancora (per poco) guidano l’Europa è destinata ad affondare. Ognuno di loro raccoglierà quanto seminato e a nulla varranno i cambi di casacca dell’ultima ora. I ripetuti attentati contro le democrazie dei diversi Stati europei costituiscono una prassi pericolosissima da sanzionare con la massima severità a scopo paradigmatico. Cosicché nessuno, nel prossimo futuro, immagini di poter a cuor leggero rispolverare le gesta di Merkel, Schaueble e Draghi, tristi epigoni del reich autentico, finiti anch’essi nella polvere e nel disonore nonostante le maggiori cautele adottate rispetto ai più truci predecessori.(Francesco Maria Toscano, “L’informazione putrida e corrotta tiene in piedi ancora per poco il tecnonazismo di Draghi e Schaeuble”, dal blog “Il Moralista” sel 6 gennaio 2016. Il libro: Mario Cereghino e Giovanni Fasanella, “Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra”, Chiarelettere, 483 pagine, euro 18,60).Un bel libro di Fasanella e Cereghino, “Colonia Italia” edito da Chiarelettere, offre uno squarcio decisivo per comprendere il rapporto che lega politica e informazione. Dietro il paravento di una libertà di stampa brandita a mo’ di slogan si cela sempre una realtà differente e puzzolente, fatta di corruzione, manipolazione e compromessi che nulla hanno a che vedere conl’informazione. Non si tratta, badate bene, di singole devianze ma di un sistema rodato e collaudato: solo chi è disposto a prostituirsi intellettualmente può sperare di entrare nell’empireo del giornalismo. Partendo dallo spaccato preciso e puntuale preparato da Fasanella, offrirò un affresco del panorama informativo italiano, dominato da dinastie di “venduti con la penna” che mentono di generazione in generazione per indole, sport, interesse, malvagità e pavidità. Ma, badate bene di nuovo, non si tratta di storie del passato raccontate solo ora a bocce ferme. Tutt’altro. I metodi svelati nel libro in argomento sono attualissimi e tutt’ora dominanti.
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Nazionalizzare il denaro, l’unica rivoluzione per noi schiavi
Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.L’attuale situazione della società è veramente molto grave e con pessime prospettive, soprattutto perché la cosiddetta crisi economica appare ormai chiaramente come uno strumento volontariamente attivato e mantenuto per concentrare il reddito e la ricchezza, ma anche il potere politico, nelle mani di pochi grandi finanzieri che si deresponsabilizzano celandosi dietro istituzioni politiche ufficiali che essi hanno svuotato di potere effettivo; e al contempo per far accettare alla gente di avere meno diritti, meno libertà, meno dignità, meno benessere, e di essere governata da lontano e da soggetti irresponsabili. Insomma è una crisi indotta a scopi di ingegneria sociale. Appare altrettanto chiaro che, pertanto, non è possibile risolverla per le vie interne dell’ordinamento giuridico nazionale o internazionale, cioè ad esempio attraverso le elezioni e i parlamenti, dato che esse sono interamente controllate dall’oligarchia al potere su scala globale. Quindi solo un’azione rivoluzionaria dal basso, una rivoluzione popolare, parrebbe idonea a risolvere il problema.Lo conferma il fatto che sono rimasti e rimangono completamente inascoltati, anche di fronte all’avverarsi delle loro previsioni, gli autorevoli economisti che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno preavvertito le istituzioni dei disastri che sarebbero stati causati dalle riforme monetarie e bancarie in cantiere, perché hanno proposto e stanno proponendo rimedi razionali. Sono rimasti inascoltati perché parlavano dal punto di vista dell’interesse collettivo, non di quello dell’élite decidente. Molto semplice. Ed eccoci ritornati all’opzione rivoluzionaria. Ma questa opzione deve fare i conti con i dati della realtà storica seguenti. Pensiamo alle grandi rivoluzioni popolari: quella francese, quella sovietica, quella cinese, quella nazista, quella khomeinista in Persia. Tutte sono avvenute a furor di popolo, il popolo si aspettava di risolvere i suoi problemi, ma le cose sono andate diversamente, nel senso che il popolo ha subito un forte peggioramento della sua situazione.In Francia, dopo la rivoluzione, vi fu un ventennio di stragi, con il periodo del Terrore, poi delle guerre contro le coalizioni monarchiche, poi delle guerre napoleoniche, e intere generazioni di giovani furono annientate sui campi di battaglia. Alla fine, in Francia ritornò la monarchia – non è buffo? – e per giunta la Francia si ritrovò subalterna al Regno Unito, cioè perse la sua indipendenza politica. Certo, la rivoluzione francese pose fine al feudalesimo e mise al potere il capitalismo. Negli altri esempi citati, sappiamo tutti che cosa avvenne a quelle nazioni dalle loro rivoluzioni popolari in termini di guerre, distruzioni, dittature, arretratezza. Alle volte, in periodi di acuta crisi, nei quali era evidente una qualche particolare causa della crisi, gli interessi collettivi hanno ottenuto riforme a loro tutela contro gli interessi delle classi sfruttatrice dominanti. Cito come esempi le riforme dei Gracchi nella Roma antica e il Glass-Steagall Act a seguito della crisi del ’29, entrambe tese a porre freno al saccheggio della società da parte della classe finanziaria.Ma poi, in tutti i casi di questo tipo, le classi dominanti, attraverso una pianificazione politica di medio e lungo termine, con azione di lobbying e corruzione, approfittando della cronica distrazione del popolo, hanno sempre recuperato le posizioni perdute e hanno portato avanti i loro interessi contro la popolazione subalterna. Ciò avvenne al tempo dei Gracchi, ed è avvenuto anche ultimamente, con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 e tutta una serie di riforme del diritto finanziario e bancario, che hanno permesso le megafrodi bancarie con cui i banchieri hanno realizzato e stanno realizzando enormi profitti a danno della collettività anche oggi e praticamente senza mai pagare il fio. Gli interessi concentrati e consapevoli vincono su sempre su quelli diffusi, nel medio e lungo periodo. Di solito però già anche nel breve periodo.La via rivoluzionaria, nel mondo odierno, è peraltro impraticabile, sia perché l’oligarchia al potere a un enorme vantaggio tecnologico e militare su qualsiasi movimento popolare, disponendo non solo di argomenti ma anche di strumenti di monitoraggio e intervento capillari nella vita di ciascuno, il sogno di tutti i dittatori della storia; sia perché è un mondo interdipendente, perciò, quand’anche un paese insorgesse e se liberasse dai suoi oppressori finanziari e politici, verrebbe bloccato e messo in ginocchio nel giro di pochi giorni. Pensiamo inoltre che l’Italia è un paese e militarmente occupato dagli Stati Uniti con oltre 130 basi militari. E che dipende da forniture esterne per sopravvivere, innanzitutto dal petrolio, che si paga in dollari.Siamo insomma condannati a restare stabilmente in questa situazione e in questo trend peggiorativo, che ci porta verso abissi di insicurezza, di privazione di diritti e libertà, di invasione delle nostre vite da parte di un potere tecnologico incontenibile, entro un regime alla Orwell? Con ragionevole sicurezza, in base all’osservazione dei fatti storici, a questa domanda si può rispondere di no, poiché la storia ci mostra che i sistemi di potere, regni, imperi e repubbliche, così come le costituzioni e le condizioni giuridiche ed economiche, non sono mai stati stabili, non sono mai durati a lungo, soprattutto da quando l’umanità si è messa a commerciare e ha sviluppato varie tecnologie. Cioè da più di 25 secoli. Anche gli imperi apparentemente più solidi, più forti, più invincibili, sono crollati, si sono frantumati, perlomeno a causa di processi disorganizzati ivi interni. Senza bisogno di rivoluzioni popolari.Se esaminate per esempio la storia di Roma, dall’epoca monarchica a quella repubblicana a quella del principato e a quella del dominatus, cioè da Diocleziano in poi, vedrete che gli assetti costituzionali, economici, organizzativi, demografici, si trasformano incessantemente, e che le cose più costanti sono proprio i meccanismi che alimentano squilibri: la lenta demolizione dell’agricoltura e della popolazione in Italia, il trasferimento della ricchezza e del potere dall’aristocrazia terriera senatoriale alla classe finanziaria equestre, il travaso di oro da occidente a oriente (causato dal passivo della bilancia commerciale). Insomma, i grandi cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti, nella storia. Sono avvenuti non solo per effetto di azioni volontarie (collettive o individuali), ma pure e soprattutto per il concorso di forze e di processi molteplici, impersonali, perlopiù incompresi o fraintesi, perlopiù irresistibili, e solitamente con esiti diversi da quelli previsti, progettati, desiderati. Fattori di tipo climatico, economico, demografico o tecnico-scientifico. Pensate all’inaridimento delle fertili pianure nordafricane, al declino demografico della Grecia antica, al declino tecnologico dell’Impero romano, alla divaricazione economica operata dall’introduzione dell’euro tra i paesi che lo usano.Altra illusione abituale: l’uomo pensa che le cose continueranno ad andare in futuro nel modo in cui sono andate in passato, e mira sempre a raggiungere qualche assetto definitivo e sicuro, nel privato come nel pubblico: l’amore per sempre, il matrimonio indissolubile, il posto fisso, i diritti umani inalienabili, un’organizzazione statale perenne, definitiva, perfetta, come la repubblica progettata da Platone. O almeno destinata a durare 1000 anni, come il Reich vagheggiato da Hitler. Ma, al contrario, tutti gli assetti prodotti dall’uomo sono impermanenti, caduchi, transeunti, provvisori. Come l’uomo stesso. Tutto scorre, giustamente osserva Eraclito. Non riusciamo a stabilizzare un tubo. Il grande Cesare Ottaviano Augusto aveva capito i difetti strutturali del possente sistema-paese che governava, e cercò di correggerli, ma non vi riuscì, e come lui non vi riuscirono molti, a Roma e altrove.I grandi cambiamenti, le trasformazioni sistemiche, avvengono, ma solitamente sono molto diversi dai progetti di coloro che li causano: il divenire storico sfugge dal controllo e dalla pianificazione. Pensate per esempio alla I Guerra Mondiale: ognuna delle potenze che vi parteciparono aveva i suoi piani, le sue previsioni, le sue intenzioni, e tutte furono smentite dallo svilupparsi dei fatti. La guerra stessa assunse caratteri che nessuno aveva immaginato. Il suo esito fu… di innescare fascismo, nazismo e una seconda guerra mondiale. Invero, nessuno è mai riuscito a governare la storia, né a prevederla. Tanto meno ci sono riuscite le rivoluzioni popolari, le quali hanno bensì dato colpi e prodotto effetti, ma non gli effetti voluti e progettati, bensì gli altri e impreveduti – almeno per esse. Il comportamento collettivo è sempre miope e ottuso. I popoli non riescono a evitare fallimenti prevedibili.Anche l’attuale tecnocrazia globalizzata, come sistema di potere, è destinata a deteriorarsi, e a cadere, magari proprio perché primo poi le sfuggirà di mano la stessa tecnologia, che si sviluppa e moltiplica le sue capacità in modo praticamente è miracoloso – come Skynet della serie Terminator. Oppure forse cadrà per la sua contrarietà ai bisogni oggettivi, fisiologici, degli esseri umani: essa, guidata com’è dalla logica del bilancio, del rendimento annuale o comunque di brevissimo termine, sta forzando l’uomo e la comunità ad adattarsi a vivere secondo questo brevissimo termine, accettando la precarietà, la discontinuità, l’instabilità come caratteri di fondo dell’esistenza, e rinunciando alla sicurezza, alla progettabilità di lungo termine, alla stabilità, che sono esigenze oggettivamente insite nell’essere umano. E’ una violenza radicale e protratta, implementata attraverso il controllo delle istituzioni. Se scoppiamo, allora potremo dire davvero di essere noi il cambiamento. Oppure ancora è una catastrofe geofisica, climatica, ecologica, il fattore che sta per rimescolare le carte.La popolazione generale, anche buona parte di quelli con istruzione superiore, è consapevole del suo malessere, dell’insicurezza oggettiva in cui sempre più vive, di alcune malefatte compiute da certi potenti; ha una consapevolezza aneddotica, episodica, spesso personificata, dei mali del sistema; ma non è consapevole delle cause strutturali e non manifeste. Non saprebbe dove intervenire, anche potendo. Quindi, mi direte, tu stai dicendo che non c’è niente da fare, per uscire dall’attuale situazione, perché non abbiamo la capacità di correggerla, e del resto essa prima o poi finirà da sé. In effetti, più o meno è così. Più o meno, perché razionalmente e realisticamente ci sono alcune cose da fare, anche per cercare di fare in modo che l’uscita dall’attuale condizione sia verso una condizione non peggiore, magari migliore. Innanzitutto, bisogna fare cose per mettersi al riparo, per difendersi, a livello privato, personale. L’azione politica è pressoché inutile o controproducente, come dimostrano i casi di quei movimenti e di quei partiti che, dopo avere iniziato con grande promesse di rottura, o si sono spenti, oppure si sono omologati al sistema che dovevano abbattere, come in Grecia e in Spagna. Anche tra i grilli nostrani molti danno segni di volersi alleare col Partito Democratico per stabilizzarsi nel potere e nei suoi vantaggi.L’azione collettiva raramente parte e ancora più raramente è efficace, ma l’azione individuale o su scala di piccoli gruppi è fattibile, sul fronte della tutela della salute, del patrimonio, della libertà, considerando sempre anche l’opzione dell’emigrazione verso paesi che consentono una migliore tutela di questi valori. Certamente, di fronte a un drastico e rapido peggioramento della condizione di vita e del livello di dignità, a breve potrebbe anche porsi fortemente l’opzione del suicidio, del suicidio stoico, cioè dell’uomo che rifiuta di vivere privato della libertà e della dignità: pensiamo a Lucio Anneo Seneca che si suicida per non soggiacere agli arbitri e ai capricci di Nerone. Ma non preoccupatevi: pochissimi seguiranno Seneca, in ogni caso, perché gli uomini si adattano facilmente a una vita di pecore schiave, o di topi che sopravvivono arrangiandosi negli angoli bui.Che cosa resta da fare, in positivo, dopo tanti “non podemos”? Proprio grazie a ciò che dicevo all’inizio, ossia alla indeterminatezza e libertà del divenire storico, alla sua apertura, non può mai venir meno la possibilità di entrare in modo rilevante in questo divenire. Poche verità storiche sono certe e comprovate come la potenza esercitata dalle idee nei millenni: Platone, Aristotele, Gesù, Galileo, Marx, Freud, Einstein, e Fra’ Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia – solo per fare qualche nome – sono più che mai attuali e attivi, sono potentissimi… La Rivoluzione Francese mancò gli obiettivi pratici di breve e medio termine, ma nel lunghissimo termine essa è – si può ben dire – ancora in svolgimento… nei cambiamenti nel pensiero, nella coscienza collettiva, nelle dinamiche sociali… nell’aver creato una cosa che cosa prima assente, in Europa, dai tempi di Atene, ossia il pubblico dibattito politico.Assieme all’amico psichiatra Paolo Cioni, col saggio “Neuroschiavi”, ho cercato di dare un contributo mirato all’analisi e al contrasto ai mezzi di rimbecillimento e irreggimentazione di massa che tanta parte hanno nella governance sociale, nella compressione della libertà mentale e critica che è l’anima di quel dibattito. E in altri saggi, in solitaria oppure in cooperazione con qualche amico, ho diretto i riflettori su quello strumento di dominazione e sfruttamento sociale che è il potere monetario vestito nelle banche private, e sui suoi meccanismi occultati dalle prassi contabili oggi applicate, e la cui comprensione da qualche anno si viene ora diffondendo. La sua comprensione a livello perlomeno di classi imprenditoriali e intellettuali sarebbe un presupposto per un possibile rivolgimento strutturale della società, per una possibile fine del regime parassitario imposto dal capitalismo finanziario attraverso proprio quelle prassi contabili false, le quali sono alla base del fatto che esso è divenuto un perfetto strumento di dominio sociale: uno strumento che, da un lato, rende la società e l’economia e le istituzioni sempre più dipendenti da sé stesso e sempre più forzatamente obbedienti ai suoi dettami, perché sotto permanente ricatto di fatali conseguenze; e che, dall’altro lato, attraverso l’uso di moneta-debito progressivamente indebitante, sottrae alla società una quota sempre crescente di reddito, pubblico e privato, sotto forma di interessi, di bail out (saccheggio dell’erario) e bail in (saccheggio dei risparmi o investimenti finanziari).E’ una prigionia estorsiva sistemica, in via di perfezionamento, rispetto a cui le truffette del tipo Banca Popolare dell’Etruria sono soltanto incidenti dovuti all’avidità di banchieri locali, incidenti da coprire subito in qualche modo al fine di poter proseguire col perfezionamento del sistema, col piano di lungo periodo. Prima della rivoluzione del 1789, i popolani francesi, sfruttati dai signori feudali, avevano fatto jacqueries, ossia assalti ai depositi di granaglie dei castelli sotto la spinta della fame – cioè avevano attaccato la sola superficie del problema. Questo equivale ai nostri movimentisti, agli indignados, a quelli che oggi manifestano contro i banchieri che li hanno fregati e chiedono rimborsi da parte dello Stato e carcere ai furbetti del credito e le dimissioni della bella ministra Boschi. Niente di risolutivo.Il salto di qualità che dalle jacqueries (le quali lasciano il tempo che trovano) portò alla vera rivoluzione (che cambia invece il tempo), sia pur nel senso che abbiamo visto, avvenne allorquando, nell’agosto del 1789, alla guida del popolino, si misero intellettuali che sapevano dove mettere le mani, e allora gli insorti penetrarono nei castelli non per rubare la farina, ma per aprire i forzieri e distruggere gli atti di proprietà dei fondi terrieri in essi custoditi, facendo così crollare il sistema latifondista. L’equivalente di questa operazione, oggi, potrebbe essere – dico: potrebbe – il pubblico smascheramento dei sistematici falsi in bilancio con cui i banchieri privati creano la quasi totalità dei mezzi monetari circolanti senza pagare su tale creazione alcuna tassa e senza assumersi le responsabilità politiche e sociali dell’esercizio di un tale primario potere pubblico, e la conseguente nazionalizzazione del sistema monetario-creditizio con la liberazione della società dalla moneta indebitante ora in uso. Ma ciò non credo possa partire dall’Italia, la quale non ha alcuna tradizione o predisposizione rivoluzionaria.(Marco Della Luna, estratto da “Crisi, rottura del sistema e trasformazione”, testo preparato per la conferenza organizzata dalla casa editrice Nexus a Cagliari il 17 gennaio 2016 e ripreso dal blog di Della Luna).Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.
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Berlino: guerra alle nostre banche (le loro, salvate da noi)
La Germania non vuole che l’Italia salvi le sue banche traballanti, anche se il nostro paese ha contribuito al salvataggio di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo, mettendo al sicuro la finanza tedesca. E’ una dichiarazione di guerra, quella che ha raccolto Federico Fubini sul “Corriere della Sera”, da parte di Lars Feld, uno dei “cinque saggi” che consigliano il governo tedesco e probabilmente il più vicino al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Feld pretende che l’Italia ricorra al bail-in, senza misericordia. Bail-in, spiega il “Foglio”, significa «azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100.000 euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato». È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore il 1° gennaio. Fubini domanda: «Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?». Feld risponde: «Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100.000 euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi».