Archivio del Tag ‘Sudafrica’
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Green Deal, maxi-raggiro: raddoppia la razzia della Terra
Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali. Un commentary uscito su “Nature Geoscience” pochi anni fa stima che, solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale. Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti. Per fare un esempio, in un giacimento di rame, mediamente il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia. Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno. Ma non basta.Come si produce l’alluminio? Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti, sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica). E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti. Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 Twh l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 Twh l’anno di energia fossile in più. E non è finita qui. Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti, le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal, avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo. È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil. L’Onu, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe: serviranno moltissime risorse naturali in più. Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: “Pnas”, “Science”, “Nature”.Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”, da “Le Scienze” alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto, così enorme e così contraddittorio. La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no. Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma. Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni. Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia, si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare (una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale).La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande. Su “Econopoly” ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19 mettesse in luce che la scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media (sul clima impazzito ascoltate gli scienziati: ok, ma quali?). In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde” si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali. Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani: per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più, distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua, spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali. Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse: la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo. Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche. Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale. Ci sono altre soluzioni? La temperatura continua ad aumentare, non possiamo fare finta di niente. Certo che ci sono altre soluzioni. E di nuovo, ci si scontra con il muro di gomma della divulgazione: l’opinione pubblica è stata convinta che non ci siano altre strade ma in realtà non è così. Prendiamo un caso esemplare: la Cattura Diretta in Atmosfera (Dac). La cattura diretta è una tecnologia dall’apparenza pionieristica, ma in realtà molto semplice, che permette di separare l’anidride carbonica dall’aria. Niente di fantascientifico, esistono decine di impianti pilota perfettamente funzionanti in tutto il mondo.Genericamente questa tecnologia viene ridicolizzata in quanto molto costosa: i risultati certificati a livello scientifico si attestano su un costo minimo di 94 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Oggettivamente, un costo non indifferente dato che ne emettiamo quasi 37 miliardi di tonnellate l’anno. Chiunque faccia notare che stiamo parlando dei dati relativi a un impianto pilota, molto piccolo, e che in un impianto di grandi dimensioni i costi potrebbero essere già ora molto più bassi, viene accusato di pensiero magico, nonostante il potenziale delle economie di scala sia noto e facilmente misurabile. Oltretutto, si pretende che la cattura diretta competa con le rinnovabili senza beneficiare di incentivi pubblici, mentre le rinnovabili vengono generosamente sussidiate. Beh, la cosa curiosa è che le stime attuali sui costi della “rivoluzione verde” si aggirano intorno ai 5.000/6.000 miliardi l’anno, mentre catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera a 94 dollari la tonnellata (ripetiamolo: un costo irragionevolmente gonfiato immaginando un impiego su larga scala) costerebbe “solo” 3.000 miliardi l’anno! È veramente difficile capire come si possa definire la cattura diretta costosa, appoggiando contemporaneamente una soluzione che costa il doppio.Da non dimenticare, poi, come sottolinea proprio “Nature”, che la cattura diretta ha un vantaggio fondamentale rispetto a tutte le altre soluzioni: minimizza l’incertezza, aggredisce il nocciolo del problema. Da una parte parliamo di ridurre l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera attraverso complessi meccanismi culturali e sociali, dall’altra di toglierla direttamente con una tecnologia. Ancora più curioso è il caso della riforestazione e dell’agricoltura rigenerativa (da non confondere con l’agricoltura biologica o biodinamica: parliamo di agricoltura intensiva con rese superiori a quella chimica tradizionale), due opzioni perfettamente ecosostenibili che ci permetterebbero di tamponare rapidamente il problema del cambiamento climatico, con un dispendio di risorse limitato e ricadute socioeconomiche allettanti. Eppure, le iniziative in questa direzione sono continuamente sotto il fuoco degli scienziati, dei divulgatori e degli attivisti green. Un paradosso. L’accusa è spiazzante: l’adozione di queste soluzioni potrebbe rallentare la transizione verso le energie rinnovabili.Ma l’obiettivo finale di questo gigantesco sforzo è mettere al sicuro il pianeta dall’incertezza climatica oppure far fare un mucchio di soldi alla lobby delle energie rinnovabili? Oramai è diventato molto difficile capirlo. Elon Musk è indubbiamente un imprenditore brillante, un genio del nostro tempo, ma non per questo ci dobbiamo sentire obbligati a versargli 1.000/2.000 miliardi di dollari l’anno, generosamente irrorati da fondi pubblici che togliamo alla sanità o all’educazione, solo per fare due esempi. Sarebbe bello poter chiosare, come d’altronde va molto di moda in questi tempi, dicendo che è sempre più importante studiare, informarsi, approfondire, perché ne va del nostro futuro. Ma se a monte c’è un filtro che seleziona quali informazioni devono arrivare ai media e quali no, questo diventa solo l’ennesimo esercizio di stile altezzoso e inconcludente. «Va notato che l’Ipcc nel suo quinto rapporto, coerentemente con tutte le precedenti relazioni di valutazione, non affronta esplicitamente la questione delle implicazioni materiali degli scenari di sviluppo climatico» (World Bank).(Enrico Mariutti, “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?”, dal “Sole 24 Ore” dell’11 novembre 2020; l’articolo è pubblicato nel supplemento “Econopolis”. Ricercatore e analista in ambito economico ed energetico, nonché autore de “La decarbonizzazione felice”, Mariutti è il “founder” della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Isag, Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie).Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.
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“Science”: liberi di tornare a scuola, più benefici che rischi
E se la chiusura delle scuole facesse più male che bene? Se lo chiedono pediatri ed educatori del Regno Unito che, in una lettera aperta firmata da più di 1.500 membri del Royal College of Paediatrics and Child Health, scrivono: «Continuare a tenere chiuse le scuole lascerebbe segni indelebili a un’intera generazione». Certo c’è l’educazione virtuale, ma è ben lontana da quella vera – dicono – e costringe molti genitori a lasciare il lavoro per prendersi cura dei bambini. Così in 20 paesi le scuole le hanno riaperte ai primi di giugno: altri, invece (Taiwan, Nicaragua e Svezia) non le hanno chiuse mai: bambini liberi di giocare, con le mascherine o senza. “Science” ha voluto vederci chiaro, studiando le riaperture di Sudafrica, Finlandia e Israele. «È venuto fuori che i bambini più piccoli raramente contraggono l’infezione e si contagiano l’un l’altro, ed è ancora più raro che si portino il virus a casa al punto da infettare i familiari», scrive Giuseppe Remuzzi sul “Corriere della Sera“. Assicura Otto Helve, infettivologo e pediatra finlandese: «Tutti quelli che hanno riaperto hanno potuto constatare che i benefici sono molto maggiori dei rischi».
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Björkdahl: il Sudafrica sa chi è il vero killer di Olof Palme
Il caso Dag Hammarskjöld mi ha collegato a Olof Palme. Due leader svedesi, entrambi sostenitori di piccole nazioni sulla scena mondiale, entrambi restii ad essere controllati dai superpoteri globali, entrambi morti di morte violenta: su mandato dei medesimi superpoteri? Per 11 anni ho indagato sul misterioso incidente aereo che uccise l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld. Indagine riassunta nel documentario “Cold Case Hammarskjöld”. Nel 2014, durante un viaggio di ricerca per il documentario, il caso dell’assassinio dell’ex primo ministro Olof Palme mi cadde letteralmente in braccio quando, alla fine di una cena, il giornalista De Wet Potgieter mi passò i documenti del cosiddetto dossier Deepsearch. I documenti, preparati dal defunto generale Tai Minnaar, descrivono come il Sud Africa definisse Palme “nemico dello Stato” e forniscono i nomi di persone presumibilmente coinvolte nel decidere, pianificare e attuare il suo assassinio. Più tardi capii che questi documenti erano ritenuti falsi da molti in Svezia. Ma l’anno successivo, a Pretoria, incontrai il generale in pensione Chris Thirion, ex capo dell’intelligence militare (Mi) del Sud Africa, e lui dichiarò nella mia telecamera che quei documenti nel dossier Deepsearch sembravano autentici. Egli affermò anche di essere personalmente convinto che il Sudafrica avesse compiuto quell’assassinio.Attraverso l’indagine Hammarskjöld avevo costruito una vasta rete di contatti: ex agenti dell’intelligence, ex-militari, storici e giornalisti. Per il caso Palme, uno dei contatti più utili fu un ex general-maggiore, Tienie Groenewald, che al momento dell’omicidio di Palme era stato responsabile del ramo Interpretazione della National Intelligence in Sudafrica. Egli mi raccontò storie affascinanti su come l’intelligence militare sudafricana collaborava con la Cia, come gli israeliani aiutarono il Sudafrica ad acquisire la bomba nucleare, ma non mi fu di grande aiuto per il caso Palme. Dopo il nostro ultimo incontro, lo chiamai e gli dissi che lui, più di chiunque altro, era in grado di aiutare a risolvere il caso Palme. Menzionai la ricompensa di 50 milioni di corone svedesi (circa 5 milioni di euro) e avanzai l’idea di un accordo in cui la Svezia avrebbe concesso l’immunità dall’accusa e il Sudafrica avrebbe convinto i suoi cittadini coinvolti nell’assassinio a diventare puliti.Il giorno seguente, un dipendente dell’intelligence militare sudafricana mi chiamò e mi invitò a un incontro con un generale nella sezione segreta (non lo nominerò ma in seguito verificai la sua identità). Mi disse di andare all’hotel Hyatt a Sandton, Johannesburg. Era il 1 ottobre 2015. Da lì fui scortato in un ristorante quasi vuoto, lì vicino, dove incontrai il generale. Lui andò dritto al nocciolo della questione, dandomi i nomi di quelli che disse fossero coinvolti nella morte di Palme – e mi disse che il Sudafrica era disposto ad aiutare la Svezia ad arrivare alla verità. In cambio, il Sudafrica sperava in relazioni più strette con la Svezia. Una condizione per un tale accordo sarebbe stata l’immunità dall’azione penale per tutti coloro che agirono per ordine dell’ex governo sudafricano. Il generale suggerì che il motivo avrebbe potuto essere sia politico (Palme e la Svezia avevano sostenuto l’Anc – il movimento patriottico di Nelson Mandela, NdT) che economico, anche se non elaborò ulteriormente questo punto. Egli affermò che l’intelligence militare sudafricana era disposta a iniziare una discussione, ma solo con le sue controparti svedesi: politici e media dovevano essere esclusi dal dialogo.Io dissi che il motivo centrale di una simile iniziativa sarebbe stato renderne pubbliche le conclusioni, in modo che sia la famiglia Palme che il popolo svedese potessero mettere la parola fine. Dopo un’intensa discussione, concordammo di consentire alle agenzie di intelligence di avviare la discussione, partendo da quel nostro incontro. Il generale era stupito che io stessi indagando sull’omicidio di Palme come hobby. Sottolineò che stavo correndo enormi rischi e che i cospiratori mi avrebbero semplicemente ucciso se si fossero sentiti minacciati. Nel novembre 2015 consegnai il materiale all’intelligence nazionale svedese (Säpo), che a sua volta lo passò all’unità di polizia che indagava sulla morte di Palme. Per i successivi due anni e mezzo non sentii più nulla e, nell’aprile 2018, cercai un incontro con il nuovo procuratore per il caso Palme, Krister Petersson. Gli raccontai la mia storia e mi fece piacere notare che ne era già a conoscenza. Non solo, Petersson mi chiese di far sapere al generale del Mi che lui era disposto ad andare in Sudafrica per incontrarlo.Non fui mai più in grado di ristabilire il contatto con il generale sudafricano, ma a giugno 2018 riuscii a consegnare il messaggio al Mi tramite un altro contatto. Di nuovo ci fu silenzio, fino a poche settimane fa quando una fonte di intelligence in Sudafrica mi informò che il 18 marzo si era tenuto a Pretoria un incontro tra rappresentanti dei due governi per discutere del caso Palme. In un normale caso giudiziario in Svezia, l’immunità dall’azione penale sarebbe impensabile. Ma il caso dell’assassinio di Olof Palme è unico. Perciò spero che le autorità svedesi possano fare un’eccezione, a condizione che i responsabili dell’assassinio confessino. Penso che sarebbe un gesto rispettabile da parte loro aiutare il popolo svedese a chiudere quel caso. Penso che il bisogno di sapere sia più importante del bisogno di punire.(Göran Björkdahl, “Il Sudafrica sa chi assassinò Olof Palme”, da “Tlaxcala” del 9 giugno 2020, ripreso da “Come Don Chisciotte” con traduzione dall’inglese di Leopoldo Salmaso. Per la morte del premier socialista svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma il 28 febbraio 1986, si è appena concluso un processo che, dopo tanti anni, ha lasciato l’amaro in bocca agli svedesi: si accusa un estremista di destra, Stig Engstrom, senza tuttavia dissipare i molti dubbi ancora aperti sul caso. L’economista Dag Hammarskjöld è stato invece un diplomatico, già presidente della Banca di Svezia, poi segretario generale delle Nazioni Unite; carica ricoperta per due mandati, dal 1953 fino alla sua morte nel 1961, occorsa a causa di uno strano incidente aereo avvenuto in Africa meridionale durante una missione di pace. Gli fu conferito postumo il Premio Nobel per la Pace per la sua attività umanitaria. Il saggista Gianfranco Carpeoro, massone, ricorda che Palme era un 33esimo grado del Rito Scozzese: secondo Carpeoro, il carismatico leader svedese, punto di riferimento per i socialisti europei con le sue politiche di welfare, è stato assassinato da servizi segreti agli ordini dell’élite massonica reazionaria e neoliberista che vedeva in Palme un ostacolo insormontabile per l’affermarsi del globalismo post-democratico e dell’Unione Europea così come sarebbe nata a Maastricht. Lo stesso Carpeoro lo ha ricordato nella primavera 2019 a Milano, in occasione del convegno che il Movimento Roosevelt ha dedicato alla figura di Palme, insieme a quelle di Carlo Rosselli e del leader africano Thomas Sankara. A essere implicato nell’omicidio Palme, secondo le fonti di Björkdahl, è ovviamente il regime sudafricano dell’apartheid, durato fino al 1991).Il caso Dag Hammarskjöld mi ha collegato a Olof Palme. Due leader svedesi, entrambi sostenitori di piccole nazioni sulla scena mondiale, entrambi restii ad essere controllati dai superpoteri globali, entrambi morti di morte violenta: su mandato dei medesimi superpoteri? Per 11 anni ho indagato sul misterioso incidente aereo che uccise l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld. Indagine riassunta nel documentario “Cold Case Hammarskjöld”. Nel 2014, durante un viaggio di ricerca per il documentario, il caso dell’assassinio dell’ex primo ministro Olof Palme mi cadde letteralmente in braccio quando, alla fine di una cena, il giornalista De Wet Potgieter mi passò i documenti del cosiddetto dossier Deepsearch. I documenti, preparati dal defunto generale Tai Minnaar, descrivono come il Sud Africa definisse Palme “nemico dello Stato” e forniscono i nomi di persone presumibilmente coinvolte nel decidere, pianificare e attuare il suo assassinio. Più tardi capii che questi documenti erano ritenuti falsi da molti in Svezia. Ma l’anno successivo, a Pretoria, incontrai il generale in pensione Chris Thirion, ex capo dell’intelligence militare (Mi) del Sud Africa, e lui dichiarò nella mia telecamera che quei documenti nel dossier Deepsearch sembravano autentici. Egli affermò anche di essere personalmente convinto che il Sudafrica avesse compiuto quell’assassinio.
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Conquistare il mondo: l’Occidente spara, la Cina compra
Se dovessimo sintetizzare ciò che accomuna tutti gli imperi nella storia dell’umanità, potremmo indicare questi punti fermi: la volontà di conquistare il mondo intero e una scusa per poterlo conquistare. Inoltre, chi voleva provare a conquistarlo, ha sempre avuto due problematiche da risolvere: la necessità di tenere sotto controllo una grande massa di persone (le masse, infatti, necessitano di essere controllate, altrimenti il caos e il disordine sociale sarebbe ingestibile); da qui scaturisce un’ulteriore esigenza: la necessità di avere un nemico per tenere unito un popolo, Stato, nazione, o altri gruppi sociali, o di dare uno scopo. L’Impero Romano, è noto, voleva conquistare tutto il mondo conosciuto; i Romani realizzarono uno dei più grandi imperi della storia. Il popolo veniva tenuto buono tramite il cosiddetto “panem et circenses” (valido ancora oggi con strumenti come il calcio, il baseball in Usa, la Tv, ecc.). Il nemico era costituito dai barbari che, in quanto esseri inferiori, potevano essere assoggettati. Alessandro Magno voleva voleva conquistare il mondo, e la scusa era quella di imporre ai territori conquistati la cultura avanzata e superiore dell’Antica Grecia (in realtà pare che conoscesse molto poco la cultura greca, e che fosse uno studente mediocre, allievo del grande Aristotele).Gengis Khan divenne il capo di una serie di tribù mongole disunite; aveva bisogno di un nemico, per tenere coesa la gente sotto di lui, e si diede da fare per conquistare tutto il conquistabile, massacrando e distruggendo tutti i popoli che decise di sottomettere. Dopo aver sconfitto i cinesi giurò di unificare tutto il mondo sotto un unico impero. Fondò l’impero più vasto mai conosciuto sulla terra, ma anche il più breve. Uno dei suoi successori, Kublai Khan, conquistò anche la parte merdionale la Cina ma adottò un mezzo singolare, l’unico possibile date le caratteristiche del territorio e della popolazione cinese: si cinesizzò, adottò gli usi e costumi cinesi, e quindi molti non sanno che la dinastia Yuan, che resse la Cina attorno al 1200, era in realtà una dinastia mongola, non cinese. Tamerlano, condottiero turco-mongolo, è considerato uno dei più grandi conquistatori della storia, il cui impero comprendeva l’Asia occidentale e centrale. Si considerava erede di Gengis Khan e aspirava ad emularne le gesta anche lui volendo “conquistare il mondo”. La sua versione dell’Islam, bigotta, crudele e violenta, poco si conciliava con i precetti dell’Islam o la dottrina Sufi dell’amore: egli si considerava la frusta di Allah, mandato a punire gli emiri per le loro ingiustizie. La scusa per invadere l’India nel 1398 fu, ad esempio, che il sultano era troppo tollerante con gli indù.L’Unione Sovietica voleva fare la stessa cosa imponendo il comunismo alle nazioni dell’Europa orientale; il capitalismo aveva fatto il suo corso, ed era ora di instaurare un mondo nuovo. Per fare questo utilizzarono due metodi: l’invasione militare, quando potevano, e il tentativo di conquistare gli altri paesi condizionandone la politica (ovverosia finanziando i partiti comunisti dell’Europa). Né più né meno che quello che hanno fatto gli Usa fino ad oggi. L’Europa non può essere considerata un impero unitario, essendosi per secoli divisa in scaramucce tra Francia, Spagna e Inghilterra, ma ai fini del nostro discorso lo considereremo tale, insieme agli Usa (che, non dimentichiamolo, sono stati fondati dai primi coloni europei). Noi europei abbiamo sempre cercato di conquistare il mondo. Siamo andati in Sud America, abbiamo sterminato i nativi e ci siamo impiantati noi. La stessa cosa abbiamo fatto con il Nord America. Secondo Howard Zinn, sono 9 milioni i nativi americani massacrati perché potessimo insediarci noi europei in Nord America piazzandoci un po’ ovunque: gli spagnoli in Florida, inglesi e olandesi al Nord, i francesi in Canada, e via discorrendo. Gli Usa nascono, quindi, dallo sterminio sistematico dei nativi americani, e dallo sterminio di milioni di africani che venivano trasportati come schiavi per lavorare nei campi.Hitler, che voleva conquistare il mondo, altro non fece che tentare quello che, da secoli, tentavano inglesi, spagnoli, francesi e olandesi, con la differenza che lui tentò di farlo prima di tutto in Europa, e solo dopo si sarebbe allargato al resto del mondo. Ma di fatto, non tentò nulla di diverso da quello che tentarono tutti, e che continuano a tentare tutti. Una volta eliminata la schiavitù, e consolidato il proprio potere economico, gli Stati Uniti d’America hanno dovuto porsi altri obiettivi: di qui la necessità di esportare la democrazia (esattamente come la Russia che voleva esportare il comunismo, come la Chiesa cattolica voleva esportare il cattolicesimo, come alcuni Stati islamici volevano esportare l’Islam, ecc.) verso i nemici che di volta in volta venivano individuati: Vietnam, Corea, Iraq. Dove non sono arrivati con i cannoni, gli Usa sono arrivati con il controllo politico dei vari Stati, come il finanziamento dei partiti a loro graditi, il sostegno alle varie fazioni terroristiche di destra o sinistra, e così via. Quando non c’era alcun motivo o scusa per la conquista, come nel caso delle isole Hawaii, gli Usa si sono limitati a rovesciarne il governo senza motivo, solo per paura che arrivassero prima gli inglesi, o altri Stati europei. Usa ed Europa, quindi, ai nostri fini li considereremo un modello unitario, e lo definiremo “modello occidentale”.I Templari meritano un posto a parte, in questo elenco. Perché anche loro avevano come obiettivo la conquista del mondo allora conosciuto, ma con mezzi e finalità diverse. I Templari volevano abbattere i sovrani assoluti e la Chiesa cattolica, per instaurare un regno di pace, governato da iniziati (cioè da saggi illuminati). Non per niente erano monaci (potere spirituale: saggi, ispirati ad una vita spirituale, in contatto con Dio) e guerrieri (potere temporale). Per instaurare questo governo mondiale non potevano usare la guerra, né potevano dichiarare apertamente il loro intento. Dichiararono formalmente la loro fedeltà alla Chiesa cattolica e al Papa, ma si dettero come unico obiettivo quello di “difendere i pellegrini in Terra Santa”. Questo obiettivo farlocco, in realtà, era la scusa ufficiale per non intervenire mai nelle contese tra i vari sovrani e il Papa, e non prendere mai una vera posizione. Nel frattempo divennero potentissimi, creando commende dal Portogallo alla Terra Santa e un po’ in tutta Europa.A un certo punto diventarono più potenti di qualsiasi sovrano europeo e, di lì a poco, sarebbero stati i veri sovrani dell’Europa e della Palestina; ma furono fermati da Filippo il Bello e Clemente V. Il loro sogno di un mondo migliore, di pace, governato da istanze spirituali oltre che materiali, si infranse quando Jacques de Molay venne messo al rogo. Gli eredi delle istanze templari furono i Rosacroce e la massoneria. Anche loro sognavano un mondo unito e di pace, e si diedero da fare per creare quella che furono poi l’Unione Europea e l’Onu, le prime strutture del Nuovo Ordine Mondiale. Anche se la massoneria dichiara apertamente di non volere certo conquistare il mondo, di fatto è quello il suo obiettivo, ben evidente quando essa proclama orgogliosamente di aver organizzato le varie rivoluzioni (Americana, Francese, Russa, l’Unità d’Italia, ecc.) e che tutti gli uomini più influenti al mondo erano massoni. Il progetto è quello di portare la democrazia in tutto il mondo (anche a colpi di cannone, purtroppo) per creare un mondo sempre più libero e democratico.Anche per la Cina è necessario un discorso a parte, per capire un po’ più a fondo questo popolo dalla tradizione millenaria e dalla cultura straordinaria. Una delle caratteristiche della Cina è di non aver mai conosciuto, in nessuna epoca, il nostro concetto di “democrazia”. La Cina è sempre stata politicamente uno Stato assoluto, dapprima con i vari imperi e le varie dinastie, per poi passare alla dittatura della Repubblica Popolare. L’unico tentativo di dare una Costituzione e delle riforme che garantissero i diritti della popolazione fu quello dell’ultimo sovrano della dinastia Quing, Guanxu, redatte da Kang Youwei nel 1898, ma il tentativo fu affossato sul nascere: l’imperatore venne arrestato con un vero e proprio colpo di Stato da parte dell’imperatrice Cixi. La seconda caratteristica dell’Impero Cinese è quella di non aver mai cercato di sottomettere gli altri Stati con la violenza. La Cina ebbe guerre con gli Stati confinanti, come è ovvio, specialmente Corea e Giappone, ma complessivamente non ebbe mai la mira di conquistare il mondo con la violenza, a meno che non fosse necessario.Questo non perché rispettassero il resto del mondo, ma per una questione culturale; essi si sentivano al centro del mondo, e sentivano loro stessi superiori (come noi europei del resto), e quindi per loro era inevitabile che gli altri Stati si assoggettassero a loro riconoscendone la grandezza. Del resto, grandi lo erano davvero: basti pensare che inventarono la carta secoli prima che la utilizzassimo anche noi; la povere da sparo; il torchio da stampa; e la banconota cartacea ben prima che la utilizzassimo anche noi (durante la dinastia Yuan). Inoltre fin dal secondo secolo d.C. i cinesi inventarono il sistema del concorso pubblico per selezionare i funzionari pubblici più preparati (con 1600 anni di anticipo rispetto a noi). Nel 1271 Kublai Khan, discendente di Gengis Khan (quindi tecnicamente mongolo, non cinese), avendo conquistato la Cina, ne riconobbe l’immenso potenziale culturale e sociale e, anziché distruggerla (come in genere erano soliti fare i mongoli con gli altri nemici), decise di cinesizzarsi egli stesso: diede alla propria dinastia il nome preso dall’I-ching, il Classico dei Mutamenti (dinastia Yuan) e trasferì la capitale a Pechino, ospitando l’imperatore precedente presso di sé e assumendo gli usi e i costumi cinesi.Per capire l’atteggiamento della Cina verso gli altri popoli è significativo un aneddoto. Durante la dinastia Ming, gli Stati vicini facevano a gara per dimostrare la loro sottomissione alla Cina, grazie alla generosità dell’imperatore, assolutamente riconoscente verso tutti coloro che si proclamavano sottomessi. Avvenne che molti cinesi si facevano rasare il capo per passare da tibetani e alcuni si spacciavano per ambasciatori di paesi inventati, tanto era conveniente dichiararsi vassalli della Cina. Uno dei problemi che i Ming ebbero fu, paradossalmente, quello di limitare le troppe dimostrazioni di vassallaggio, anche perché alcuni doni provenienti da altri paesi gravavano poi sull’erario per il loro mantenimento (ad esempio avevano centinaia di tigri regalate dai paesi vicini, ed ogni tigre poi divorava due pecore al giorno, senza contare i costi del personale per sorvegliarle). Quando in Cina arrivarono gli europei, ovviamente si rifiutarono di sottomettersi all’Impero (erano loro ad essere superiori, mica i cinesi), e iniziarono i primi problemi, che portarono alla Guerra dell’Oppio tra Inghilterra e Cina, e a tutta una serie di problematiche che ora sarebbe impossibile affrontare.La violenza, in Cina, ci fu soprattutto all’interno. Nel corso dei vari secoli, tutti gli imperatori avevano avuto lo stesso problema: come poter tenere sottomesse le masse? La risposta, in genere, era il bagno di sangue. In tempi più moderni il problema della Cina rimase lo stesso. Dapprima la Rivolta dei Boxer, con cui vennero massacrati esponenti perlopiù dell’Occidente, cristiani, musulmani, inglesi; poi venne proclamata nel 1911 la Rivoluzione repubblicana; da quel momento ci furono continue guerre civili (si stima in circa 15 milioni di morti il totale dei cinesi che vennero massacrati in questo periodo), finché venne istituita nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese; nel 1966 ci fu la cosiddetta Rivoluzione Culturale di Mao, e anche tutto questo periodo fu un massacro che costò la vita a circa 100 milioni di cinesi, in un bagno di sangue che l’umanità non aveva mai conosciuto neanche ai tempi di Tamerlano o della Seconda Guerra Mondiale. Anche la questione tibetana per loro era prevalentemente interna, perché quella del Tibet era sempre stata una regione assoggettata, o comunque vassalla, della Cina.Tralasciando quindi le sporadiche guerre con i confinanti, la Cina ha avuto la guerra prevalentemente al suo interno, ma non è mai andata in Antartide, nelle Hawaii, in Australia, in Africa, dicendo “salve, qui comandiamo noi, ora vi massacriamo tutti perché abbiamo il diritto di uccidervi in nome della superiorità della nostra religione e/o impero”. Se dovessimo fare un paragone, il loro modello di sviluppo nel mondo ricorda più quello dei Templari, che non degli altri imperi (non a caso la tradizione del monaco guerriero da noi fu un’eccezione; tutti i libri concordano su questa particolarità dei Templari, quella di essere insieme monaci e guerrieri; la tradizione del monaco guerriero, invece, in Cina è la norma. I monasteri Shaolin sono luoghi in cui il monaco è anche un guerriero; esattamente come i Templari, anche i monaci Shaolin entravano in azione con i loro mezzi solo per difendere la Cina o l’imperatore, o comunque per difendersi da un pericolo. Più in generale, tutto il Kung Fu è un arte marziale cinese che presuppone però anche una preparazione spirituale oltre che fisica). Ovviamente, ciò che manca all’espansione cinese in Occidente è il fine spirituale proprio dei Templari.La Cina, quindi, ha sempre fatto una cosa molto semplice, che è quella che sta facendo adesso: ha comprato gli altri Stati. E’ arrivata in silenzio, dolcemente, e ha comprato tutto quello che poteva, e senza proteste quando qualcuno li ostacolava. Facciamo un esempio. Quando la Guardia di Finanza fece un’importantissima operazione nel porto di Napoli, che era uno degli scali principali per portare la merce in Italia, la Cina – nonostante il duro colpo – non si scompose. In fondo, dal loro punto di vista, noi avevamo fatto ciò che è giusto, rispettando la legge. Spostarono quindi le loro merci in Grecia, comprando il porto del Pireo per 370 milioni di dollari, dando un grosso e concreto aiuto alla Grecia, in crisi grazie alle dissennate politiche imposte dall’Unione Europea. Alla prima occasione però hanno cercato di tornare in Italia con la questione dei porti di Genova e Trieste. Insomma, la voglia di conquistare il mondo è una costante di tutti gli imperi, ma anche di molte organizzazioni religiose, politiche, e fratellanze esoteriche. Questa voglia di conquista, da parte di un po’ tutti, nasce quindi da due esigenze. In primo luogo perché l’essere umano non è pronto a vivere in pace col proprio vicino (sia esso il vicino di casa, il paesino confinante, la squadra di calcio, o la nazione); per evitare quindi che le masse, fuori controllo, creino il caos a livello sociale, ogni governante deve, consciamente o inconsciamente, trovare un nemico esterno e coalizzare le masse contro questo nemico.Di volta in volta quindi il nemico può essere l’Islam, il comunismo, i cattivi Stati dittatoriali che meritano di essere puniti (chissà poi perché si decide di punire Gheddafi, ad esempio, ma non la Cina, che pure quanto a dittatura non è seconda a nessuno per privazione dei diritti individuali), l’eresia, la crisi economica, il petrolio, la guerra al terrorismo. Ogni scusa è buona pur di conquistare qualcuno e qualcosa. Insomma, per riassumere, oggi abbiamo due modelli a confronto sullo scenario del mondo: il modello occidentale e quello cinese, entrambi con l’obiettivo di conquistare il mondo. La differenza tra i due modelli è che quello vincente è quello cinese, molto più dolce e persuasivo. Non cannoni, ma soldi. La questione però non è così semplice. Sopra questi due modelli, ci sono i vari gruppi finanziari, che sono al di sopra degli Stati e, attualmente, più potenti di essi, e non hanno alcun modello se non quello economico. Del resto anche la distinzione che noi abbiamo fatto tra due modelli, cinese e occidentale, è semplicistica e non risponde alla realtà. La verità è un po’ più complessa, perché i cambiamenti nella storia della Cina, che partono dalla Rivolta dei Boxer in poi, sono – guarda caso – stati fomentati anche dall’Occidente, che è sempre intervenuto pesantemente nelle questioni politiche ed economiche cinesi.Basti pensare che il primo presidente della Repubblica Cinese, Sun Yat-sen, divenne tale proprio dopo un viaggio negli Usa (guarda un po’ che caso). E basti ricordare che la Cina era, fino al 2019, il primo detentore di titoli del debito pubblico americano (attualmente è il Giappone). E, ovviamente, i veri detentori sono i gruppi finanziari, non gli Stati in se stessi. In altre parole, tra Cina e Occidente non è individuabile un confine netto, perché il gioco delle grandi potenze, in realtà, è diretto dall’alto, dall’élite finanziaria globale, con la differenza operativa, tra Cina e Occidente, che una gran parte delle finanze cinesi sono sotto il diretto controllo del governo, mentre da noi i governi (comprese le istituzioni europee) non contano assolutamente nulla, essendo le banche, con la Bce in primis, totalmente indipendenti dal controllo politico e governativo. Se la gran parte dei soldi cinesi è sotto il controllo del governo, una larga parte è in mano ai finanzieri cinesi fuoriusciti dal sistema cinese e arricchitisi grazie alla corruzione dilagante in Cina (non meno che da noi, ovviamente).Per capire la commistione di interessi tra Cina e Occidente, basti ricordare che il coronavirus è partito proprio da Wuhan, sede di un laboratorio per la ricerca sui virus, in cui lavoravano sia cinesi che americani che francesi, in un progetto costato 44 milioni di dollari, finanziato da varie organizzazioni anche americane, tra cui la fondazione di Bill Gates. Un intreccio inestricabile di interessi per cui suona ridicolo accusare i cinesi, o Bill Gates, o l’Oms, da qualunque parte provenga l’accusa. Il punto è che le guerre, oggi, ben difficilmente possono essere condotte contro i vari Stati, perché una vera guerra distruggerebbe il mondo conosciuto grazie alla potenza dei vari arsenali militari. Occorre quindi trovare nuovi nemici; la Corea appare abbastanza ridicola come pericolo per minacciare il mondo; al pericolo del terrorismo islamico che attenta alla sicurezza dell’Occidente con coltelli, o autobus lanciati contro la folla, prima o poi non crederà più nessuno. Per controllare le masse occorre quindi utilizzare altri mezzi, e instillare l’idea di pericoli del tutto diversi, rispetto a quelli che venivano paventati fino a qualche decennio fa.La situazione attuale nasce quindi dall’esigenza dell’élite finanziaria al potere di controllare le masse. Il nemico è il coronavirus, perché è l’unico modello che può essere accettato da larghe fasce della popolazione, e che accomuna tutti, cristiani, atei, islamici, cinesi. Il mezzo di controllo è l’instaurazione di uno Stato di polizia globale, l’abbassamento del numero della popolazione, e soprattutto l’instupidimento delle persone tramite i mezzi come il 5G e i vaccini (Steiner, ai primi del ’900, aveva previsto che i vaccini sarebbero stati utilizzati come arma di controllo globale). L’individuazione di un nemico globale, il virus, richiede soluzioni globali, al fine di ridisegnare la mappa economica e sociale del mondo. Non è uno scenario nuovo, quindi, quello che si sta profilando, rispetto al passato. La novità è solo la gestione globale e internazionale del potere, e lo scenario su cui si gioca la partita, che è, appunto, globale. La vera soluzione, ancora una volta, non sarà globale, ma individuale. In ogni epoca ci sono state persone che hanno combattuto la società in genere pagando le loro scelte con la vita o con il carcere. Si pensi a Martin Luther King, Nelson Mandela, Lu Xiaobo (Premio Nobel per la Pace per il suo impegno a favore dei diritti civili in Cina), Thomas Sankara (il presidente del Burkina Faso), e tanti altri, spesso sconsciuti alla storia.Coloro che sono riusciti a diffondere valori spirituali ad un certo livello sociale, coinvolgendo grandi numeri di persone, sono stati inevitabilmente eliminati dalla scena, come Gandhi o i grandi maestri spirituali dell’umanità (tutti morti avvelenati o assassinati, da Socrate e Pitagora, a Buddha e Maometto, per passare a Steiner, Yogananda, Osho). I maestri spirituali di tutti i tempi, in ogni caso, hanno capito che la vera guerra non è quella contro qualcuno, ma quella contro noi stessi, perché il mondo è sempre stato lo stesso, i meccanismi sono sempre uguali (cambiano solo le forme apparenti della sua manifestazione), e il mondo si può cambiare solo partendo dal cambiamento di noi stessi. Concludo con una frase di Lao Tzu, che viene proprio dalla saggezza cinese, come risposta a chi si domanda come bisogna agire per migliorare la situazione che stiamo vivendo: «Nella vita si dovrebbe agire adottando la semplice Via del Tao: non imponendo i propri desideri al mondo ma seguendo la natura stessa. Eliminando i desideri e lasciando che il Tao pervada l’uomo, si supererà anche la differenza tra buono e cattivo. Ogni attività verrà dal Tao e l’uomo diventerà uno col mondo. Questa è la soluzione di Lao Tzu al problema della felicità».(Paolo Franceschetti, “Obiettivo, la conquista del mondo: Cina e Occidente a confronto”, dal blog “Petali di Loto” del 16 maggio 2020).Se dovessimo sintetizzare ciò che accomuna tutti gli imperi nella storia dell’umanità, potremmo indicare questi punti fermi: la volontà di conquistare il mondo intero e una scusa per poterlo conquistare. Inoltre, chi voleva provare a conquistarlo, ha sempre avuto due problematiche da risolvere: la necessità di tenere sotto controllo una grande massa di persone (le masse, infatti, necessitano di essere controllate, altrimenti il caos e il disordine sociale sarebbe ingestibile); da qui scaturisce un’ulteriore esigenza: la necessità di avere un nemico per tenere unito un popolo, Stato, nazione, o altri gruppi sociali, o di dare uno scopo. L’Impero Romano, è noto, voleva conquistare tutto il mondo conosciuto; i Romani realizzarono uno dei più grandi imperi della storia. Il popolo veniva tenuto buono tramite il cosiddetto “panem et circenses” (valido ancora oggi con strumenti come il calcio, il baseball in Usa, la Tv, ecc.). Il nemico era costituito dai barbari che, in quanto esseri inferiori, potevano essere assoggettati. Alessandro Magno voleva voleva conquistare il mondo, e la scusa era quella di imporre ai territori conquistati la cultura avanzata e superiore dell’Antica Grecia (in realtà pare che conoscesse molto poco la cultura greca, e che fosse uno studente mediocre, allievo del grande Aristotele).
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La prima regola: mai lasciarsi imporre l’agenda del nemico
La prima regola per difendere la propria libertà, probabilmente, sta nel cercare di non farsi imporre l’altrui agenda. Nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri” (Einaudi), Nuto Revelli traduce il concetto declinandolo nel contesto storico dell’estrema precarietà della guerra partigiana: mai accettare lo scontro, men che meno in campo aperto. Al rastrellamento non ci si oppone: ci si sottrae, dileguandosi sui monti. Per colpirla, una soverchiante forza di occupazione, non c’è che una strada: tendere agguati, con iniziative inattese e rapidissime, senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. La tattica della guerriglia non pretende certo di ottenere la sconfitta militare del nemico; però contribuisce a innervosirlo, destabilizzarlo e infine fiaccarlo. Presuppone una strategia lucidamente pianificata, e il concorso sincronizzato di svariate unità, ben addestrate e distribuite sul territorio. Armi leggere, o leggerissime, contro carri armati e obici: ha senso? La risposta è sì, conferma lo storico Alessandro Barbero: i comandi alleati si complimentarono con il comandante Revelli per essere riuscito a rallentare per 10 lunghissimi giorni l’avanzata, sulle Alpi cuneesi, di una potente divisione corazzata nazista, diretta in Provenza attraverso il Colle della Maddalena per ostacolare gli angloamericani appena sbarcati fra Tolone e Cannes.La chiave di quel successo tattico? Rinunciare alle artigliere partigiane schierate in linea e optare per agili azioni di commando sui fianchi della vallata, con solo qualche mortaio e poche mitragliatrici. In altre parole: sfuggire all’agenda imposta del nemico. Ora, occorre un discreto “salto quantico” per lasciare di colpo l’agosto del 1944 e piombare nella fatale primavera 2020. Domanda a bruciapelo: quand’è l’ultima volta che abbiamo rifiutato l’agenda altrui, cioè la logica dello scontro? Certo, fortunatamente oggi non siamo in guerra; ma l’inaudito stato d’assedio “cinese” imposto all’Italia in nome del coronavirus, il quasi-coprifuoco dello stato d’emergenza, ha fatto sobbalzare più d’un costituzionalista. Come se il maledetto Covid-19, tuttora ampiamente misterioso, avesse finito per rendere drammaticamente evidente, esplosivo (e pure luttuoso) un male che in realtà si era insinuato da lunghissimo tempo, nella nostra società: l’eterodirezione, palese e occulta, degli stati d’animo connessi con la vita sociale e politica. Vecchia storia, probabilmente, cominciata in tempo di guerra con l’infernale propaganda hitleriana (”tutta colpa degli ebrei”) e proseguita in tempo di pace coi giochetti del mago Edward Bernays, nipote di Freud, per lanciare anche tra le donne il consumo di sigarette. Psicologia, innanzitutto: è l’arma vincente di qualsiasi agenda ostile, pericolosa per la salute della democrazia.Magie: il complottismo (quello vero, affidato ai Travaglio, agli Scanzi) oggi difende a spada tratta l’increscioso Conte, l’ex Signor Nessuno che – da semplice comparsa – è riuscito a diventare protagonista assoluto, primattore della più grave catastrofe socio-economica che abbia travolto l’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il complottismo di regime aveva frastornato il pubblico, per decenni, elencando i presunti grandi mali nazionali, in quest’ordine: Berlusconi, corruzione, evasione fiscale, mafia. Erano gli anni d’oro di Di Pietro e dei girotondi, poi di Grillo. Non una parola – mai – sulla natura pericolosamente oligarchica della governance europea, sempre sorretta dall’establishment nazionale che vede nel Pd il suo stabile riferimento strumentale operativo. La consegna è sempre la stessa: lasciare in mano alla finanza speculativa le grandi decisioni, semplicemente ratificate dalla politica. Stesero il tappeto rosso, i cantori del rigore, ai piedi del commissario Monti che provvide immediatamente a disabilitare l’economia italiana e neutralizzare (col pareggio di bilancio in Costituzione) le residue possibilità finanziarie, ancorché virtuali, di uno Stato comunque intrappolato da Maastricht e Lisbona, reso incapace di intervenire in modo immediato (oggi lo si vede benissimo) persino se si tratta di salvare vite umane e famiglie ridotte sul lastrico. La barzelletta dei 600 euro a scoppio ritardato, con tanto di default del server dell’Inps, ha fatto il giro del mondo, in paesi che invece hanno subito accreditato mensilità direttamente sui conti correnti dei cittadini costretti a restare a casa.La politica come semplice paravento pubblico dell’establishment privatistico ha assunto toni ulteriormente spettacolari con la meteora Renzi e il suo vaniloquio immaginifico, per poi cedere il testimone al suo alter ego populista, il grillismo (che oggi infatti è al governo proprio con Renzi). Specularità assoluta: abissale distanza tra le parole e i fatti, e senza mai affrontare il vero problema – quello che oggi il funesto Covid mette in mostra impietosamente: a causa dell’euro-sistema non si mette mano al denaro, centinaia di miliardi, indispensabile per fronteggiare la catastrofe. Altra presenza poco più che meteorica, lo stesso Salvini: per oltre un anno, dopo aver incassato il “niet” dell’Ue sul deficit, il leader della Lega ha raccontato agli italiani che il loro vero problema erano gli sbarchi dei migranti. Salvini però – prima di venir costretto a gettare la spugna – è stato letteralmente surclassato dal chiasso degli avversari: sono riusciti a dargli persino del nazista, raccontando a loro volta agli italiani l’ennesima fiaba, e cioè che il vero problema nazionale fosse proprio lui, la Bestia. Tutto questo, mentre la narrazione della tragedia del surriscaldamento climatico terrestre era affidata alla sedicenne Greta, e mentre le eroiche Sardine prodiane formulavano la loro ricetta per la democrazia italiana: impedire ai ministri di esprimersi liberamente, sui social.Questa nuova moda della censura, in realtà antichissima, sta letteralmente tracimando: l’Agcom raccomanda di diffondere solo notizie “accreditate” (non si sa da chi), e lo stesso governo addirittura mette in campo una task force per imbavagliare il web (istituita da Andrea Martella – Pd, ovviamente), mentre si continua a dare la parola, a reti unificate, a un signore come il virologo Roberto Burioni, che si è permesso – nell’Italia nel 2020 – di chiedere alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito dagli italiani, cioè il popolo che Conte non ha protetto tempestivamente dalla pandemia, salvo poi chiuderlo in casa (e senza neppure uno straccio di assistenza economica). Tutto questo è semplicemente esorbitante, anomalo, mostruoso quanto le previsioni di economisti e sociologi: il paese rischia letteralmente di crollare, con conseguenze incalcolabili, anche grazie all’inerzia del suo non-governo scandaloso, imbelle ma improvvisamente autoritario. Nel frattempo, il cielo è scosso dal rombo di temporali vicini e lontani: Trump taglia i fondi all’Oms, accusandola di essere complice della diffusione del virus, mentre il figlio di Bob Kennedy accusa Bill Gates (grande sponsor della stessa Oms) di voler imporre il suo vaccino anti-coronavirus, probabilmente inutile e forse rischioso.Alla stragrande maggioranza degli italiani, stanchi di cantare l’inno nazionale dai balconi, sempre il coronavirus oggi consente finalmente di vedere di che pasta è fatta questa sedicente Unione Europea, convalidata pochi mesi fa dal solito Pd con l’aggiunta dell’ormai altrettanto impresentabile Movimento 5 Stelle, recentissimo interprete (con la sua sub-agenda locale) della grande agenda neoliberista, quella che dal 1971 con il Memorandum Powell si diede una vera e propria road map per la riduzione progressiva della democrazia. Tappa fondamentale, il golpe cileno del 1973 che segnò l’avvento del neoliberismo al potere. Due anni dopo, il manifesto “La crisi della democrazia” (commissionato dalla Trilaterale) preparò la capitolazione dell’economia sociale europea, sinistramente sigillata nel sangue nel 1986 con l’omicidio del premier socialista svedese Olof Palme, campione del welfare, fino poi all’estinzione della sinistra italiana. L’agenda ostile ha lavorato in modo perfetto per destrutturare minuziosamente qualsiasi difesa, usando i media come armi letali e riducendo l’offerta politica a puro folkore. Se si scorrono i nomi dei cosiddetti leader a disposizione degli italiani, si capisce al volo il boom storico dell’astensionismo (che lascia comunque campo libero ai veri decisori, quelli che scelgono chi farà il ministro e con quali compiti).Pur nel devastante caos planetario che ha causato, incrinando le certezze commerciali della globalizzazione, il micidiale Covid mette a fuoco un altro punto cardinale dell’agenda ostile: la scelta, dolorosa, tra sicurezza e libertà. Da una parte svetta il modulo-Wuhan raccomandato dall’Oms e prontamente adottato dall’Italia, dall’altra si registra l’insofferenza della Casa Bianca (che, tra le righe, sospetta l’Oms di essere il vero strumento dell’agenda-Covid, interpretata come piano di dominazione, affidato alla nuovissima polizia sanitaria capace di dettare lo stato d’emergenza sostituendosi ai governi). Niente sarà più come prima, ripetono tutti, ripiegando sull’incerta protezione delle mascherine. Una certezza negativa riguarda l’Italia: il nostro paese – crocevia strategico tra Usa e Cina, Mediterraneo e Ue – sta subendo danni incalcolabili, da cui non si sa come potrà risollevarsi, in che tempi e con quali costi sociali. Gli ottimisti invitano a riflettere sulle opportunità che il coprifuoco starebbe offrendo: cioè la riscoperta dell’autenticità dei valori umani. Per la riscoperta dei valori politici, invece, quanto ancora bisognerà attendere? O meglio: quali vettori impiegare, per tradurre sul piano pubblico le migliori istanze individuali?In un regime come l’attuale, sostanzialmente post-democratico e sempre meno libero, la domanda non è oziosa. La drammatica criticità della situazione sociale ripropone in modo automatico la consueta logica, perdente, dello scontro frontale. E’ forse il massimo risultato dell’agenda ostile: coltivare l’odio per il presunto nemico di turno. E’ il modo migliore per cancellare la buona politica, senza che nessuno se ne accorga, se il pubblico è impegnato a tifare solo e sempre “contro”, a fischiare qualcuno, a maledire qualcosa. Tutte battaglie di carta, fuochi di paglia. Cade il nemico apparente, ma ce n’è già pronto un altro. L’avversario vero – non altrettanto visibile – pare si diverta, a far combattere i suoi galletti, senza che nessuno di loro abbia mai la minima possibilità di cambiare veramente qualcosa. Se non teme i leader di cartone (promossi e bocciati a comando) cosa teme, davvero, l’agenda ostile? Il pensiero? La libertà? La capacità di strutturare proposte serie? A questo è servito, l’effimero leaderismo mediatico degli ultimi decenni: a far sparire i programmi, rottamati insieme ai diritti sociali, a partire dalla grande privatizzazione universale degli anni Novanta, affidata in Italia a Romano Prodi, Mario Draghi, Massimo D’Alema. A seguire, vent’anni di stupidaggini assordanti, fino alla demolizione di Berlusconi via gossip a mano armata, con tanto di spread.Una delle qualità che alla Resistenza gli storici riconobbero in modo unanime fu la sua capacità sinergica, trasversale, di unire forze eterogenee: comunisti, socialisti, azionisti, cattolici, liberali, persino monarchici. Le lezione: smettere di ragionare per schemi, in modo etnico, e ridiventare laici, riconoscendo pari dignità a chiunque (qualunque errore possa aver commesso, in passato). Ieri, il patto era basato sull’opposizione patriottica di fronte alla spaventosa calamità dell’occupazione nazista, esito finale di una dittatura che aveva risolto subito, a modo suo, la dicotomia sicurezza-libertà, e senza nemmeno bisogno di mascherine. Nel 1943, sul piano militare, il nemico era pressoché inaffrontabile. Lo si poteva solo infastidire seriamente, in attesa dell’arrivo decisivo degli alleati (che esistono sempre, e hanno sempre bisogno di partigiani intelligenti). Nell’agosto del 1944, Nuto Revelli cominciò la sua battaglia in Valle Stura rimuovendo i suoi cannoni controcarro schierati a Vinadio, in campo aperto: non sarebbero mai riusciti a fermare i panzer. Fucile in spalla, diresse i suoi verso le alture. Seguirono giorni difficilissimi, nei quali però la divisione tedesca rimaste ferma, imbottigliata nel fondovalle a fare da bersaglio.Gli alleati di allora, intanto, stavano finendo di sbarcare in Costa Azzurra. Quelli di oggi dove sono? Meglio: chi sono? Si nascondono dietro al ciuffo di Trump, che ha promesso di impedire il collasso socio-economico dell’Italia, contrastando sia l’Europa “matrigna” che il “partito cinese” che collega Wuhan a personaggi come Bill Gates, attraverso network opachi come l’Oms? Anche fosse, dove sarebbero i “partigiani” italiani? Forse affilano le armi ultraleggere del web, non a caso preso di mira dai nuovi censori? Domina il caos, in ogni caso: alle gravissime reticenze del mainstream, i social rispondono con un festival parossistico in cui si può leggere di tutto, solenni verità e bufale spaziali, grandi quanto quelle dei virologi televisivi. Servirebbe una piattaforma autorevole e plurale, inclusiva, per coordinare idee traducibili e spendibili. Primo passo: costruire finalmente un’agenda autonoma, alternativa a quella ostile, a disposizione della politica (nessuno escluso). Secondo step, appunto: smettere di spararsi addosso a vicenda, mettere da parte il tifo e imporsi un pensiero costruttivo. Volendo, l’occasione è ghiotta: mai, prima d’ora, la governance eurocratica (vera responsabile del declino italiano, ben prima dell’esplosione pandemica) aveva mostrato il suo vero volto.In frangenti come quello presente, forse, l’autentico eroismo consiste nella capacità di cambiare idea, riconoscendo i propri errori. E’ spesso citato ad esempio il caso, più unico che raro, del Sudafrica. Rovesciato l’apartheid, anziché procedere con operazioni di giustizia sommaria, Nelson Mandela preferì offrire agli ex aguzzini bianchi una possibilità di riabilitazione, consentendo anche ai peggiori di chiedere perdono ai familiari delle loro vittime. Tanti anni prima, fu capace di cambiare idea lo stesso Nuto Revelli, ufficiale degli alpini imbevuto di militarismo fascista. Spettacolare, la sua trasformazione – lacerante, dolorosissima – cominciata proprio sul fronte russo, in prima linea. Non difettava di coraggio, Nuto Revelli: fu l’ultimo uomo a chiudere la sterminata colonna in ritirata, nel ‘43. Dietro di lui, c’era solo il Don. E oltre il Don, l’Armata Rossa. Una volta a Udine, attraversato l’inferno bianco dello sfacelo dell’Armir, si spedì a casa i suoi mitra: sentiva che, di lì a poco, gli sarebbero serviti. Dopo aver fatto a pezzi il suo fascismo giovanile, si sarebbe deciso a sparare direttamente ai fascisti. Quanto è difficile, oggi, saper cambiare idea? Quanto è tenace, l’invisibile “psico-dittatura” del neoliberismo? Se a imporsi sarà sempre il consueto tifo contrapposto e televisivo, tra opzioni irrisorie, allora addio: ancora una volta, a vincere sarà l’agenda ostile.(Giorgio Cattaneo, “Prima regola, mai farsi imporre l’agenda del nemico”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 aprile 2020).La prima regola per difendere la propria libertà, probabilmente, sta nel cercare di non farsi imporre l’altrui agenda. Nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri” (Einaudi), Nuto Revelli traduce il concetto declinandolo nel contesto storico dell’estrema precarietà della guerra partigiana: mai accettare lo scontro, men che meno in campo aperto. Al rastrellamento non ci si oppone: ci si sottrae, dileguandosi sui monti. Per colpirla, una soverchiante forza di occupazione, non c’è che una strada: tendere agguati, con iniziative inattese e rapidissime, senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. La tattica della guerriglia non pretende certo di ottenere la sconfitta militare del nemico; però contribuisce a innervosirlo, destabilizzarlo e infine fiaccarlo. Presuppone una strategia lucidamente pianificata, e il concorso sincronizzato di svariate unità, ben addestrate e distribuite sul territorio. Armi leggere, o leggerissime, contro carri armati e obici: ha senso? La risposta è sì, conferma lo storico Alessandro Barbero: i comandi alleati si complimentarono con il comandante Revelli per essere riuscito a rallentare per 10 lunghissimi giorni l’avanzata, sulle Alpi cuneesi, di una potente divisione corazzata nazista, diretta in Provenza attraverso il Colle della Maddalena per ostacolare gli angloamericani appena sbarcati fra Tolone e Cannes.
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Kennedy: strage di bambini, coi vaccini di Bill Gates e Oms
I vaccini, per Bill Gates, sono un business filantropico strategico che alimenta la sua innumerevole serie di altre attività legate ai vaccini (tra cui l’ambizione di dominare attraverso la Microsoft l’industria globale di identificativi vaccinali digitali), e che gli conferisce un potere dittatoriale sulla politica sanitaria globale. L’ossessione di Gates per i vaccini sembra alimentata dalla sua convinzione di salvare il mondo tramite la tecnologia. Promettendo di eradicare la poliomielite, con la sua quota di 450 milioni su un capitale di 1,2 miliardi di dollari, Gates ha preso il controllo dell’indiano National Technical Advisory Group of Imunizatione (Ntagi) e ha imposto un esteso piano di vaccini antipolio attraverso programmi di immunizzazione successivi per tutti i bambini sotto i 5 anni. I medici indiani hanno incolpato la campagna di immunizzazione di Gates per la devastante epidemia di paralisi flaccida acuta non-polio (Npafp) che ha reso paralitici 496.000 bambini tra il 2000 e il 2017, molto oltre quelli che sono i dati normalmente attesi. Nel 2017, il governo indiano ha annullato il regime vaccinale di Gates ed estromesso Gates e i suoi programmi vaccinali dall’India. I tassi di paralisi da poliomielite sono diminuiti immediatamente.Nel 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ammesso con riluttanza che l’esplosione globale della poliomielite è prevalentemente causata dal ceppo vaccinale. Le epidemie più violente avvenute in Congo, nelle Filippine e in Afghanistan sono tutte legate ai vaccini. Nel 2018, il 70% dei casi globali di poliomielite sono stati causati dai vaccini. Nel 2014, la Fondazione Gates ha finanziato dei test di laboratorio per vaccini sperimentali per l’Hpv, sviluppati da Gsk e Merck, su 23.000 ragazze in remote province rurali indiane. Circa 1.200 di loro hanno riportato gravi effetti collaterali, tra cui malattie autoimmuni e infertilità. Sette ragazze sono morte. Dalle indagini del governo indiano è emerso che i ricercatori finanziati da Gates hanno commesso gravissime violazioni etiche: pressioni sulle vulnerabili ragazze dei villaggi perché aderissero alla sperimentazione, prepotenze verso i genitori, moduli per il consenso falsificati, e rifiuto di cure mediche alle ragazze danneggiate. Il caso è attualmente all’esame della Corte Suprema indiana.Durante la campagna MenAfriVac di Gates del 2002 nell’Africa sub-sahariana, gli operatori di Gates hanno vaccinato forzatamente migliaia di bambini africani contro la meningite. Circa 50 dei 500 bambini vaccinati ha sviluppato paralisi. I media sudafricani hanno commentato: «Le cause farmaceutiche ci considerano cavie da laboratorio». L’ex dirigente economico di Nelson Mandela, il professor Patrick Bond, ha definito le pratiche “filantropiche” di Gates «spietate e immorali». Nel 2010, Gates ha messo a disposizione dell’Oms 10 miliardi di dollari, affermando: «Dobbiamo fare in modo che questo sia il decennio dei vaccini». Nel 2014, l’Associazione Medici Cattolici del Kenya ha accusato l’Oms di sterilizzare chimicamente contro la loro volontà milioni di donne keniote con una campagna vaccinale “antitetanica”. Laboratori indipendenti hanno rinvenuto agenti sterilizzanti in ciascuno dei vaccini testati. Accuse simili sono state mosse dalla Tanzania, dal Nicaragua, dal Messico e dalle Filippine.Uno studio del 2017 (Morgensen et al. 2017) ha dimostrato che il famoso vaccino antidifterite-tetano-pertosse acellulare (Dtp) dell’Oms continua ad uccidere più bambini africani di quanti non ne uccida la stessa malattia che intende prevenire. Le bambine vaccinate hanno un tasso di mortalità 5 volte superiore rispetto a quello dei bambini non vaccinati. L’Oms ha rifiutato di ritirare il letale vaccino, che continua ad infliggere a milioni di bambini africani ogni anno. In tutto il mondo, esperti in salute pubblica accusano Gates di dirottare fondi dell’Oms dai progetti che hanno dimostrato di prevenire realmente le malattie infettive, quali acqua pulita, igiene, nutrizione e sviluppo economico. La Gates Foundation spende in queste aree solo circa 650 milioni dei suoi 5 miliardi di dollari di budget. Dicono che devia le risorse dell’agenzia al servizio della sua personale filosofia secondo la quale la salute si ottiene solo con una puntura. Oltre a usare la sua filantropia per controllare Oms, Unicef, Gavi e Path, Gates finanzia compagnie farmaceutiche private che producono vaccini e ha fatto una donazione di 50 milioni di dollari a 12 società farmaceutiche per accelerare lo sviluppo di un vaccino per il coronavirus. Nelle sue recenti apparizioni sui media, Gates si dimostra fiducioso del fatto che la crisi Covid-19 gli darà l’opportunità di imporre i suoi programmi vaccinali obbligatori anche sui bambini americani.(Robert Kennedy Jr, “L’agenda vaccinale globale di Bill Gates: il trionfo di Big Pharma e dell’obbligo vaccinale”, dal sito “Children’s Health Defense del 9 aprile 2020; post tradotto da Margherita Russo per “Voci dall’Estero”. Procuratore legale, nipote del presidente John Fitzgerald Kennedy e figlio del fratello Robert, Robert F. Kennedy Junior sta conducendo una dura battaglia contro la campagna vaccinale globale di Bill Gates. La sua posizione: solo la massima libertà di critica e di informazione ci può tutelare dal rischio che la salute della popolazione mondiale possa essere subordinata a interessi poco trasparenti. Kennedy denuncia i vari scandali che hanno caratterizzato i piani vaccinali di Bill Gates e dell’Oms nei paesi poveri del terzo mondo).I vaccini, per Bill Gates, sono un business filantropico strategico che alimenta la sua innumerevole serie di altre attività legate ai vaccini (tra cui l’ambizione di dominare attraverso la Microsoft l’industria globale di identificativi vaccinali digitali), e che gli conferisce un potere dittatoriale sulla politica sanitaria globale. L’ossessione di Gates per i vaccini sembra alimentata dalla sua convinzione di salvare il mondo tramite la tecnologia. Promettendo di eradicare la poliomielite, con la sua quota di 450 milioni su un capitale di 1,2 miliardi di dollari, Gates ha preso il controllo dell’indiano National Technical Advisory Group of Imunizatione (Ntagi) e ha imposto un esteso piano di vaccini antipolio attraverso programmi di immunizzazione successivi per tutti i bambini sotto i 5 anni. I medici indiani hanno incolpato la campagna di immunizzazione di Gates per la devastante epidemia di paralisi flaccida acuta non-polio (Npafp) che ha reso paralitici 496.000 bambini tra il 2000 e il 2017, molto oltre quelli che sono i dati normalmente attesi. Nel 2017, il governo indiano ha annullato il regime vaccinale di Gates ed estromesso Gates e i suoi programmi vaccinali dall’India. I tassi di paralisi da poliomielite sono diminuiti immediatamente.
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Radio, radar, satelliti e 5G: e arriva, puntuale, la pandemia
Nel 1918, dopo l’enorme pandemia dell’influenza Spagnola, hanno chiesto a Rudolf Steiner a cosa fosse dovuta. Lui rispose: i virus sono semplicemente le escrezioni di una cellula avvelenata. I virus sono delle parti di Dna o Rna, o di qualche altra proteina, che vengono espulse dalla cellula. Si formano quando la cellula è avvelenata, non sono la causa di niente. Oggi, improvvisamente, scopriamo che nel circolo polare artico i delfini stanno morendo: per un contagio, o magari per qualche schifezza finita in mare, come il greggio della super-petroliera Exxon Valdez? Se date un’occhiata alle teorie correnti sui virus, l’ultima conferenza del Nih (il Dipartimento della salute degli Usa) parla della complessità dei virus, e vedrete che corrisponde esattamente alle teorie correnti su cosa sono realmente i virus. Ho un esempio drammatico di ciò, nella mia vita. Durante la mia infanzia, fuori da casa mia c’erano degli acquitrini. Erano pieni di rane, che mi svegliavano di notte. Col tempo tutte le rane sono sparite. Quanti di voi pensano che le rane avessero una malattia genetica? Quanti pensano che le rane avessero un virus? Quanti pensano che qualcuno abbia sversato del Ddt nell’acqua? Questo è infatti quello che è successo.Ogni pandemia, negli ultimi 150 anni, corrisponde a un salto di qualità nell’elettrificazione della Terra. Come si spiega l’epidemia di Spagnola nel 1918? Alla fine dell’autunno del 1917 c’era stata l’introduzione delle onde radio, intorno al mondo. Quando esponete un qualsiasi essere vivente a un nuovo campo elettromagnetico, lo avvelenate: qualcuno ne viene ucciso, e gli altri entrano in una specie di ibernazione; vivono un po’ di più, e più malati. Con la Seconda Guerra Mondiale è iniziata una nuova pandemia, a causa dell’introduzione dei radar su tutta la Terra, improvvisamente ricoperta dai nuovi campi magnetici emessi dai radar. Era la prima volta che gli esseri umani subivano quel tipo di esposizione. Nel 1968, poi, c’è stata l’influenza di Hong Kong: è stata la prima volta che, nella fascia protettiva della cintura di Van Allen – il cui ruolo principale è quello di incorporare i raggi cosmici provenienti dal Sole, dalla Luna, da Giove, e distribuirli a tutti gli esseri viventi terrestri – sono stati posti dei satelliti che emettono delle frequenze radioattive. In sei mesi c’è stata una nuova epidemia “virale”. In realtà, la gente è stata avvelenata, anche se pensava di subire un’epidemia influenzale.Nel 1918, la sanità di Boston deciss di analizzare la caratteristica contagiosa di una epidemia: che lo crediate o no, hanno preso centinaia di persone che avevano l’influenza, hanno prelevato ciò che avevano nel naso e l’hanno iniettato in soggetti sani, che non avevano l’influenza. Neanche una volta sono riusciti a far ammalare qualcuno. L’hanno ripetuto più e più volte, e non sono riusciti a dimostrare il contagio. L’hanno fatto pure con dei cavalli, che sembrava avessero preso l’influenza Spagnola; gli hanno messo dei sacchi sulle teste: il cavallo starnutiva dentro il sacco, e poi infilavano il sacco attorno alla testa del cavallo seguente. Nessun cavallo si è ammalato. Potete leggere tutto ciò in un libro che si chiama “L’arcobaleno invisibile”, di Arthur Firstenberg. Ad ogni stadio di elettrificazione della Terra ha corriposto, entro sei mesi, una nuova pandemia influenzale. Non ci sono altre spiegazioni, per la Spagnola. Come ha potuto propagarsi, dal Kansas al Sudafrica in appena due settimane, in modo tale che il mondo intero manifestasse i medesimi sintomi nello stesso momento, nonostante i mezzi di trasporto dell’epoca fossero la nave e il cavallo? Non ci sono spiegazioni, per questo. Infatti ammettono: non sappiamo come sia successo.Riflettete: tutte queste onde radio e altre frequenze, che avete in tasca o tra le mani, vi permettono di inviare un segnale in Giappone, e arriva all’istante. Voi magari non credete che esista, un campo elettromagnetico capace di comunicare a livello mondiale nel giro di qualche secondo: semplicemente, non ci prestate attenzione. Aggiungo che c’è stato un salto di qualità drammatico, durante gli ultimi sei mesi, per quel che riguarda l’elettrificazione della Terra. Sono certo che molti di voi sanno di cosa si tratta. Si chiama 5G. Ora ci sono 20.000 satelliti che emettono radiazioni, proprio come quelle emesse nella vostra tasca o nella vostra mano, dai dispositivi elettronici che usate continuamente. Tutto questo – mi spiace doverlo dire – non è compatibile con la salute. Le frequenze dei dispositivi che usiamo destrutturano l’acqua presente nel nostro corpo. Finisco con un indovinello: qual è la prima città al mondo interamente coperta dal 5G? Whuan, esatto.Quindi cominciamo a pensarci: siamo in una crisi esistenziale di un’ampiezza tale, che gli esseri umani non hanno mai visto. Non gioco a fare il profeta del Vecchio Testamento: è davvero qualcosa che non ha precedenti, la messa in orbita di centinaia di migliaia di satelliti nella fascia protettrice della Terra. In effetti, ciò non ha a che vedere con la questione dei vaccini. Un anno fa ho avuto un paziente che era in piena forma, che faceva surf. Era elettricista, installava dei sistemi Wi-Fi per delle persone molto ricche. Gli elettricisti hanno un tasso di mortalità molto elevato, ma lui stava bene. Poi si ruppe un braccio e gli hanno messo una placca metallica nell’arto. Tre mesi più tardi non poteva più scendere dal letto, aveva un’aritmia cardiaca. Fu il crollo totale. La sensibilità dipende dalla quantità di metallo che avete in corpo, come anche dalla qualità dell’acqua nelle vostre cellule. Quindi, quando si inizia ad iniettare dell’alluminio nel corpo, le persone diventano dei ricettori per assorbire maggiormente i campi elettromagnetici. E questa è una “tempesta perfetta”, visto il tipo di danni di cui sta facendo esperienza tutta la nostra specie, adesso.(Thomas Cowan, estratto del video “Rudolf Steiner, i virus e l’elettrificazione della Terra”, pubblicato il 19 marzo 2020 sul canale YouTube “L’Ortolana” e ripreso da “La Voce del Trentino”. Per avere un’idea della preoccupazione che il filmato sta suscitando, basta dare un’occhiata alle moltissime pagine web che, scagliandosi contro il medico statunitense, alimentano la disinformazione quotidiana, promossa dalla crociata neo-medievale contro il pluralismo scientifico. Illuminanti, in questo senso, gli attacchi pubblicati da siti umoristici come “Butac” e lo spassoso “Open”, diretto da Enrico Mentana, che arriva a definire “guru” il fondatore dell’antroposofia, presentando Steiner come “ispiratore del nazismo magico”. Ai burloni di “Butac”, “Open” e colleghi, forse vale ricordare la recente sentenza della magistratura italiana che, sulla scorta di evidenze medico-scientifiche, ufficializza la correlazione tra salute – tumori, addirittura – ed esposizione a radiofrequenze elettroniche, anche solo quelle dei comuni smartphone 4G).Nel 1918, dopo l’enorme pandemia dell’influenza Spagnola, hanno chiesto a Rudolf Steiner a cosa fosse dovuta. Lui rispose: i virus sono semplicemente le escrezioni di una cellula avvelenata. I virus sono delle parti di Dna o Rna, o di qualche altra proteina, che vengono espulse dalla cellula. Si formano quando la cellula è avvelenata, non sono la causa di niente. Oggi, improvvisamente, scopriamo che nel circolo polare artico i delfini stanno morendo: per un contagio, o magari per qualche schifezza finita in mare, come il greggio della super-petroliera Exxon Valdez? Se date un’occhiata alle teorie correnti sui virus, l’ultima conferenza del Nih (il Dipartimento della salute degli Usa) parla della complessità dei virus, e vedrete che corrisponde esattamente alle teorie correnti su cosa sono realmente i virus. Ho un esempio drammatico di ciò, nella mia vita. Durante la mia infanzia, fuori da casa mia c’erano degli acquitrini. Erano pieni di rane, che mi svegliavano di notte. Col tempo tutte le rane sono sparite. Quanti di voi pensano che le rane avessero una malattia genetica? Quanti pensano che le rane avessero un virus? Quanti pensano che qualcuno abbia sversato del Ddt nell’acqua? Questo è infatti quello che è successo.
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Odiare: Sardine o Salvini, l’Italia resta cibo per cannibali
Le Sardine vorrebbero un mondo migliore. E fin qui, tutto bene. Sono però convinte che l’ostacolo sia Matteo Salvini, che immaginano voglia un mondo peggiore. Salvini chi? Il vicepremier gialloverde che, dopo aver promesso di stroncare le tasse (mondo migliore) non ha combinato nulla, di fronte ai censori-strozzini dell’Ue (mondo peggiore)? Unico vero terreno di scontro, gli sbarchi dei migranti: accogliamoli tutti (oppure: non accogliamone nessuno). Grande enfasi, da parte dell’allora ministro dell’interno, e tantissimi voti, ma nessuna violenza. Invece Macron, che tra i politici europei è l’amico diletto di Papa Francesco, i migranti inchiodati alla frontiera francese li ha fatti riempire di botte. Ora i Papa-Boys scendono in piazza con le Sardine, contro Salvini. Dunque Macron la passa liscia anche stavolta? Quanto al secondo tema in agenda, quello del presunto fascismo, qualsiasi corte ammetterebbe il non luogo a procedere: le minuscole formazioni che si richiamano al Ventennio non raggiungono l’1% dei votanti, che sono poco più della metà degli aventi diritto al voto. Ma la Lega che c’azzecca, coi presunti nostalgici fascistoidi?C’è chi ricorda un antico corteo con i giovani di CasaPound: ma qualcuno l’ha letto, nel 2018, il programma sociale (per non dire socialista) con cui CasaPound si presentò allora alle elezioni? E comunque, perché scomodare i peggiori fantasmi del ‘900, ignorando pericolosamente i mostri in circolazione oggi? Di nuovo, come nel caso di Macron: perché farla passare liscia, al vero colpevole? Perché Salvini è brutto e cattivo, rispondono in coro le Sardine: è il male assoluto, il demonio, l’Uomo Nero. E dove starebbe, la cattiveria di Salvini? Nel contestare gli abusi di Bibbiano e il sindaco di Riace? Nel contraddire Carola Rackete e gli altri turisti politici che usano l’Italia per diventare famosi, a spese del nostro governo e ignorando il governo manganellatore francese? E’ più facile, semmai, parlare della bruttezza di Salvini, della sua discutibilissima estetica politica, dei suoi crocifissi da comizio, delle sue passerelle in uniforme. Data memorabile, quella in cui andò all’aeroporto – vestito da poliziotto – ad accogliere l’estradato terrorista Cesare Battisti. Brutture: in un paese dove la cocaina la si compra ai giardinetti, il capo della Lega è riuscito a prendersela coi negozi di cannabis terapeutica. Ha persino dato del drogato a Stefano Cucchi, il giorno della condanna dei suoi assassini.Anche Salvini, poi, ha assecondato il conato demagogico del taglio dei parlamentari, caldeggiato dai grillini nel tentativo di apparire puri e intransigenti anziché corrotti dal vero potere, quello europeo. Ecco il punto: Salvini è stato al governo, per un anno, con i grillini che – un giorno dopo l’altro – tradivano tutte le promesse fatte agli elettori. Salvini ha ceduto al niet di Mattarella su Paolo Savona, architetto della difesa finanziaria nazionale, e poi non ha preteso che restasse al suo posto Armando Siri, il promotore della Flat Tax. Soprattutto: non ha osato tener duro sulla richiesta di deficit al 2,4% che, pur insufficiente, sarebbe servito per sostenere gli italiani (mondo migliore). Ha sperato che la tattica attendista finisse per incidere sulla strategia, ma ha perso la scommessa. I suoi alleati si sono tirati indietro, frenandolo su tutto. E infatti adesso sono al governo col Pd, pronti a farsi dettare l’agenda da Bruxelles mentre l’Italia crolla. E l’Italia – anche se le Sardine sembrano non accorgersene – sta davvero crollando, come il ponte Morandi e gli altri viadotti che tremano e franano.Sono nei guai l’Ilva, l’Alitalia, Unicredit. Siamo nei guai tutti, con l’approvazione di un dispositivo cannibale come il Mes, ideato dai tedeschi per colmare la voragine di Deutsche Bank, in un’Europa folle dove la Bce non può fare da garante per gli Stati, sempre più in bolletta. Disastro su disastro: la Fiat (che già paga le tasse in Olanda, anziché in Italia) ora cede il timone ai francesi. Apre un nuovo stabilimento, ma in Marocco, e per premio incasserà 136 milioni in regalo dal governo Conte. Niente da dire, su questo? Certo non fiatano i giornaloni, imbottiti di pubblicità targata Fiat, Alfa Romeo e Jeep. Men che meno aprono bocca i leoni di “Repubblica” e dell’”Espresso”, feroci con Salvini ma zitti sulle imprese di John Elkann, che li ha appena comprati. Siamo il paese che s’è rifiutato di trasmettere in televisione la prima intervista, dopo nove anni di guerra, al presidente siriano. Motivo evidente: Assad, nel colloquio con Monica Maggioni, ha accusato l’Europa (e in particolare la Francia) di aver armato le milizie dell’Isis in Siria. A quanta gente bisognerebbe chiedere conto del fatto che il sospirato mondo migliore non sia ancora all’orizzonte?L’elenco è sterminato, come si vede. Ma nell’agenda delle Sardine c’è solo Salvini. Il che, automaticamente, finisce per scagionare tutti gli altri. Al leghista non si perdona lo stile, il presunto bullismo verbale. Agli altri invece si perdona ogni macelleria concreta, sanguinosa. Non sarà che il chiasso propagandistico di Salvini, sempre rimasto senza effetti pratici, viene usato – anche grazie alle Sardine “distratte” – per deviare l’attenzione dai veri lestofanti all’opera? Se a opporvisi è Salvini, riesce più facile rifilare all’Italia persino una trappola mortale come il Mes. Splendida situazione, per gli strangolatori della nostra economia: grazie alle Sardine, certo, ma anche a Salvini. Nei Promessi Sposi, i capponi di Renzo si beccano a sangue, tra loro, ignari della padella che li attende. Nella padella, le Sardine sono già dentro fino al collo, insieme a tutti gli italiani, eccezion fatta per gli abili manipolatori dell’odio di piazza. Ma l’ondata di contro-odio non si sarebbe mai levata, se – in partenza – il capo della Lega non avesse usato certi toni.Parole, s’intende: non fatti. In nessun modo, la Lega al governo ha mai attuato politiche xenofobe. Pur vestito da poliziotto, Salvini non ha mai preso a mazzate nessun africano, né risulta che abbia fornito razzi e mitragliatori ai tagliagole jihadisti. La sua colpa maggiore? Aver alzato la voce contro gli sfruttatori di Bruxelles, i nostri parassiti, senza però trovare il modo di agire, concretamente, contro di loro. Un mondo migliore, qui in Italia, lo avremo quando sarà chiaro chi deruba, davvero, gli italiani. L’attuale esecutivo-zerbino è complice dei malfattori, e questo comporterà la morte politica degli sconcertanti grillini, oggi alleati con i traditori storici del bene comune, del mondo migliore. Non c’è verso di farlo capire, alle Sardine? A loro, a quanto pare, basta prendere a sberle Salvini. Che, a sua volta, si è accontentato di abbaiare alla luna, tirando a campare per un anno insieme al fenomenale cazzeggiatore Di Maio.I sentimenti agitati dalle Sardine sono serissimi: chi lo non vorrebbe, un mondo migliore? Le loro frecce però finiscono tutte fuori bersaglio: trafiggono un capro espiatorio che non ha alcuna responsabilità nello spaventoso declino del paese, ora in pericolo di fronte alla dominazione tecnocratica di poteri subdoli, sleali perché opachi, pronti a usare il profilo istituzionale per favorire lobby e colossali affari privati. E a proposito di estetica: se a tanti italiani può dare giustamente il voltastomaco il ricorso alla Madonna di Medjugorje, che dire dei commissari europei (tra cui Gentiloni) ripresi mentre intonano Bella Ciao nei palazzi dove si progetta la dismissione dell’Italia? Si canta Bella Ciao, senza pudore, mentre si condannando gli italiani a vivere nel peggiore dei mondi, vessati da una austerity assurda che non si trova il coraggio di attribuire alla sua vera causa, cioè l’euro (questo euro, così costruito e gestito, allo scopo di sottomettere popoli).Non è bastata, la lezione della Grecia? I cannibali si ripresentano travestiti da Mes, ma gli insulti vanno a Salvini (che è all’opposizione). Surreale, no? Eppure è così che l’Italia agonizza: pur di stroncare il politico del momento, ci si allea con gli stranieri che poi ovviamente ci calpestano. Ce lo meritiamo, tutto questo? Pare di sì, se le piazze tracimano di parole fumogene proprio mentre il governo tresca apertamente col nemico, obbedendo a ordini inconfessabili. Nell’intervista che la Rai si è rifiutata di mandare in onda, il siriano Assad racconta come funziona (secondo lui, almeno) la ricostruzione del suo paese: la riconciliazione nazionale passa attraverso la scuola, cioè il dialogo, corroborato dagli influenti religiosi islamici. Nelson Mandela evitò il bagno di sangue, in Sudafrica, costringendo i funzionari dell’apartheid a scusarsi con le loro vittime, una per una. L’unica volta nella storia in cui sembrò sul punto di finire, seriamente, il supplizio israelo-palestinese, fu quella in cui la voce più forte (Israele) decise di fare concessioni oneste. Il capo di Israele, allora, si chiamava Rabin. Faceva così paura, ai signori della guerra, che decisero di assassinarlo.Può costare la vita, credere davvero nella possibilità di un mondo migliore. E il primo passo per raggiungerlo è la pace, la concordia. Per arrivarci non servono gli insulti, occorre il dialogo. Se all’ostilità si risponde con l’odio, il finale è già scritto: a vincere è il banco, ancora una volta. Finora, al netto delle mostruose sofferenze subite, l’Italia se l’è potuto permettere, il trionfo sistematico dei manipolatori, dei fabbricanti di mostri da sbattere in prima pagina. Craxi, Berlusconi, Renzi, ora Salvini. Nei loro confronti sempre parole-contro, mai progetti. A questo è servita, la morte delle ideologie: ad annebbiare la vista del pubblico, dietro a minuscoli personalismi destinati ormai a durare sempre meno, nascendo e poi sparendo nell’arco brevissimo di una sola stagione. E così ride, il vero nemico, nel vederci puntualmente divisi, rabbiosi e impotenti. Ride largo, il dio alieno dei cannibali. E si prende pure il lusso di prenderci per il fondelli, cantando Bella Ciao. Non manca di humour, il genio del male: quello che s’era inventato Auschwitz, tanti anni fa, ai condannati infliggeva le gelide note di una banda musicale, ogni mattina.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 15 dicembre 2019).Le Sardine vorrebbero un mondo migliore. E fin qui, tutto bene. Sono però convinte che l’ostacolo sia Matteo Salvini, che immaginano voglia un mondo peggiore. Salvini chi? Il vicepremier gialloverde che, dopo aver promesso di stroncare le tasse (mondo migliore) non ha combinato nulla, di fronte ai censori-strozzini dell’Ue (mondo peggiore)? Unico vero terreno di scontro, gli sbarchi dei migranti: accogliamoli tutti (oppure: non accogliamone nessuno). Grande enfasi, da parte dell’allora ministro dell’interno, e tantissimi voti, ma nessuna violenza. Invece Macron, che tra i politici europei è l’amico diletto di Papa Francesco, i migranti inchiodati alla frontiera francese li ha fatti riempire di botte. Ora i Papa-Boys scendono in piazza con le Sardine, contro Salvini. Dunque Macron la passa liscia anche stavolta? Quanto al secondo tema in agenda, quello del presunto fascismo, qualsiasi corte ammetterebbe il non luogo a procedere: le minuscole formazioni che si richiamano al Ventennio non raggiungono l’1% dei votanti, che ormai sono poco più della metà degli aventi diritto al voto. Ma la Lega che c’azzecca, coi presunti nostalgici fascistoidi?
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Addio Taranto, Mittal si porta via i clienti Ilva: era scontato
Rilevare stabilimenti, acquisirne i clienti e poi chiuderli. E’ la specialità di ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio. «Il risultato di questi giorni sulla questione Ilva era del tutto prevedibile», scrive Roberto Hechich: «Solo che la gente, i politici e la classe dirigente hanno la memoria corta». Mentre Taranto piange, con 10.000 posti di lavoro a rischio (e l’intera industria meccanica italiana senza più acciaio fatto in casa), sul blog del Movimento Roosevelt l’analista ricorda che Arcelor si difese strenuamente contro l’aggressiva offerta pubblica d’acquisto lanciata in Borsa da Mittal: a fine febbraio 2006 le quotazioni dei due gruppi arrivarono ad equivalersi, e Mittal riuscì ad assorbire Arcelor per un valore di 28,6 miliardi di euro. Promesse vane, sul rilancio: «A qualche mese dalla fusione cominciò a delinearsi chiaramente quella che era la strategia di politica industriale del gruppo: chiudere gli stabilimenti in Europa per fermare la concorrenza e acquisire gli ordini di Arcelor, facendo produrre l’acciaio in paesi terzi». Cominciarono anni di lotte tra il gruppo, i governi (Francia e Lussemburgo) e i sindacati: Mittal fu definito da un ministro francese come un «bugiardo senza limiti» che sapeva bene, al momento del lancio dell’Opa, quali sarebbero state le politiche da portare avanti in Europa.Nel 2003, infatti – continua Hechich – Arcelor aveva cominciato a contrattare con le parti sociali un piano di ristrutturazione di sei impianti in Europa e la cessazione di alcune attività. Nel 2006, Mittal firmò l’acquisto impegnandosi a non chiudere gli altoforni di Liegi (Belgio) e Florange (Francia). Obiettivo dichiarato: metterli a norma immediatamente per rinforzarne la competitività e assicurare l’ambientalizzazione. «La posta in gioco era molto alta, perché gli stabilimenti della Lorena fornivano l’acciaio alle case automobilistiche Bmw e Mercedes». E invece «non avvenne nulla di quanto stabilito, e nel 2009 lo stabilimento di Grandrange (Francia) chiuse senza mai aver beneficiato di quel piano che Mittal aveva promesso allo Stato francese». Aggiunge Hechich: «Buona parte degli stabilimenti sono stati acquistati al solo fine di distruggere la concorrenza europea, acquisire i contratti per poi lasciare gli impianti abbandonati». Non ci voleva un genio per capire che consegnare Taranto nelle mani del gruppo ArcelorMittal avrebbe voluto dire la fine della città: «La sola ragione per la quale un imprenditore spregiudicato come Mittal potrebbe accollarsi uno stabilimento obsoleto e al centro di una questione giudiziaria come l’Ilva di Taranto sarebbe il voler acquisire le commesse Ilva e chiudere, così come ha fatto nel resto d’Europa, senza bonifiche e senza alcun reimpiego degli operai».Nessuno si sorprenda, se oggi siamo ai titoli di coda: bastava consultare il web per vedere come avesse operato, la multinazionale, in giro per il mondo. E se anche avessimo voluto vendere Taranto ai tedeschi «sarebbe stata la stessa cosa, probabilmente». Infatti, «se gli indiani vogliono far fuori la concorrenza europea, i tedeschi avrebbero voluto far fuori la concorrenza italiana, visto che l’Ilva è il più grande stabilimento d’acciaio d’Europa ed è fondamentale per l’industria manufatturiera italiana, che poi dovrebbe rifornirsi dalla Germania a prezzi maggiori». Lo Stato italiano riuscirà nel miracolo di tirar fuori gli attributi, facendosi carico della questione e risolvendola una volta per tutte? «Certo, Di Maio farebbe una malinconica tenerezza, se non fosse per il fatto che ci va di mezzo la vita lavorativa ed economica di migliaia di famiglie». L’esponente 5 Stelle, allora ministro del lavoro, aveva annunciato di aver «risolto la questione in meno di tre mesi». Chiosa Hechich: in realtà bastava ancora meno – 5 minuti – per scoprire, consultando Google, dove sarebbe andato a parare, il gruppo ArcelorMittal.Nato nel 2006 dalla fusione tra il colosso europeo Arcelor (Spagna, Francia e Lussemburgo) e l’indiana Mittal Steel Company, il gruppo – basato in Lussemburgo – è il maggior produttore d’acciaio al mondo: con oltre 200.000 dipendenti, di cui metà in Europa, rifornisce l’industria automobilistica e i settori delle costruzioni, degli elettrodomestici e degli imballaggi. Opera in Lussemburgo, Spagna, Italia, Polonia, Romania, Bosnia-Erzegovina e Repubblica Ceca. Tanti gli stabilimenti nel resto del mondo: Sudafrica, Messico, Canada, Brasile, Algeria, Indonesia e Kazakhstan. Il gigante ArcelorMittal è quotato in Borsa a Parigi, Amsterdam, New York, Bruxelles, Lussemburgo e Madrid, e le sue azioni sono incluse in più di 120 indici borsistici. L’acquisizione di Arcelor da parte di Mittal (per 33 miliardi di dollari) venne effettuata attraverso un’offerta pubblica di acquisto ostile, lanciata dopo il fallimento di una precedente fusione pianificata da Arcelor. Oggi il gruppo produce il 10% dell’acciaio mondiale, cosa che lo rende la più grande azienda siderurgica del pianeta: già nel 2007, i ricavi ammontavano a 105 miliardi di dollari. Nel 2016 la società è stata multata dal Sudafrica per aver “fatto cartello”, fissando i prezzi attraverso informazioni aziendali riservate (la sanzione inflitta all’azienda: 110 milioni di dollari).La produzione è arrivata a 114 milioni di tonnellate di acciaio ogni anno. Con la crisi del comparto i numeri sono calati, ma il fatturato 2016 superava i 50 miliardi di euro (fruttando alla proprietà un miliardo e mezzo di utili). Cifre peraltro facilmente reperibili, anche su Wikipedia: nel 2018 i ricavi hanno superato i 76 miliardi di dollari (8 miliardi più dell’anno precedente), con un utile netto di oltre 5 miliardi. Tradotto: il profitto cresce, tagliando il lavoro, anche se si contrae il fatturato. Oggi, avverte il “Fatto Quotidiano”, il colosso dell’acciaio è in fuga, e non solo da Taranto: ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa, sostenendo che il mercato si starebbe deteriorando, data la contrazione della domanda. Dal 23 novembre, stop a tre altoforni tra Cracovia e Dabrowa Gornicza. Spente anche una fornace vicino a Chicago e l’acciaieria sudafricana di Baia di Saldanha. Oltre a Taranto, ArcelorMittal ha centri di servizio e sedi operative a Monza, Rieti, Avellino, Milano, Torino e Saronno (Varese). Gli stabilimenti ex Ilva, a parte quello pugliese, sono dislocati a Genova e Novi Ligure (Alessandria), Racconigi (Cuneo), Marghera (Venezia) e Salerno. Se si mette il naso fuori dall’Italia, si scopre che lo stabilimento di Zenica, in Bosnia, acquisito da ArcelorMittal con 22.000 dipendenti, oggi ha appena 3.000 operai.Uomo chiave dell’azienda è il multimiliardario indiano Lakshmi Mittal: presidente e amministratore delegato, detiene il 37.4% del gruppo. Nato in un villaggio indiano del Rajasthan, vive a Kensington, Londra, dove nel 2004 ha acquistato dal magnate britannico Bernie Ecclestone, allora patron della Formula 1, una sontuosa residenza da 70 milioni di sterline, costruita con uno stile che ricorda il Taj Mahal. Il “Financial Times” lo ha nominato uomo dell’anno nel 2006, e nel 2010 il “Sunday Times” lo ha eletto uomo più ricco del Regno Unito con un patrimonio netto superiore a 22 miliardi di sterline. Per “Forbes”, Lakshmi Mittal è stato nel 2015 l’82°uomo più ricco del mondo (e il quinto più ricco dell’India) con un patrimonio di 13,5 miliardi di dollari. Sempre secondo “Forbes”, tra le persone più potenti del pianeta, nel 2014 si è piazzato al 57º posto. Nel 2007, ricorda ancora Wikipedia, ha donato circa 3 milioni di sterline al Partito Laburista. Personaggio poliedrico e azionista anche nel calcio (Queens Park Rangers), per i suoi due figli Mittal ha organizzato matrimoni sfarzosi, spendendo rispettivamente 30 e 65 milioni di dollari. Questo è l’uomo che Luigi Di Maio avrebbe “messo in riga”, un anno fa, e contro cui oggi tentano di fare la voce grossa l’avvocato Conte, il ministro Patuanelli e il sindacalista Landini.Il controllo sulla società, ha raccontato il “Sole 24 Ore”, viene esercitato dai Mittal attraverso sei “trust”, un particolare tipo di società utilizzato da imprese e individui molto ricchi per pagare meno tasse. I sei trust hanno sede nell’isola di Jersey, paradiso fiscale del Regno Unito nel Canale della Manica. Queste società – riassume “Il Post” – sono l’ultimo anello di una lunga catena dove, dopo un lungo giro tra fiduciarie e holding con sede a Gibilterra e in altri paradisi fiscali, arrivano i soldi della famiglia Mittal. All’altro capo della catena rispetto ai trust si trova ArcelorMittal, la multinazionale vera e propria (con sede in Lussemburgo, altro paese con un regime fiscale molto vantaggioso per le imprese). «Grazie a queste complicate strutture, ArcelorMittal è in grado di pagare pochissime tasse», aggiunge il “Post”. «Le sue pratiche di elusione fiscale sono state raccontate in un’inchiesta del sito francese “MediaPart”. La società ha ricevuto accuse di evasione fiscale anche da diversi governi, come quelli di Ucraina e Bosnia, oltre che accuse di aver compiuto violazioni ambientali e aver agito con mano pesante sulle comunità locali in molti dei paesi dove opera».Nel 2018, ArcelorMittal si era presentata alla gara per acquistare l’Ilva di Taranto e gli altri due impianti espropriati alla famiglia Riva, accusata di aver violato per anni le leggi di sicurezza e quelle ambientali. «Nonostante la sua reputazione, la sua offerta è stata giudicata migliore di quella della cordata rivale, Acciaitalia, capeggiata da un’altra società indiana, Jindal». L’assegnazione della vittoria ad ArcelorMittal, avvenuta ufficialmente il primo novembre 2018, è stata piuttosto controversa, ricorda sempre il “Post”: «Già all’epoca, diversi osservatori accusavano la multinazionale di non avere intenzione di rilanciare gli impianti italiani, ma di avere come unico obiettivo sottrarli a un potenziale concorrente». Altri invece hanno difeso la società, sostenendo che era l’unica disposta ad investire le cifre necessarie (circa 2 miliardi di euro) a mettere in sicurezza l’impianto di Taranto, e in particolare i suoi estesi parchi dove sono depositati i minerali di ferro, attualmente esposti al maltempo che spesso ne soffia le polveri sulla città di Taranto. A condurre la gara e le trattative con ArcelorMittal fu prima l’allora ministro Carlo Calenda, con il governo Gentiloni, e poi Luigi Di Maio, durante il primo governo Conte.Di Maio era contrario all’accordo, ma alla fine ha accettato l’offerta della multinazionale. «Con il contratto raggiunto con il governo italiano, ArcelorMittal si è impegnata a investire più di 4 miliardi di euro nella società, ha promesso di occuparsi delle bonifiche dell’impianto di Taranto e di mantenere al lavoro tutti i diecimila dipendenti della società». Da allora però il mercato dell’acciaio è peggiorato. «Anche se nell’ultimo trimestre i conti di ArcelorMittal si sono rivelati migliori del previsto – scrive il “Post” – il 2019 dovrebbe chiudersi con un bilancio molto peggiore rispetto all’anno precedente». Inoltre, alcuni altoforni dell’impianto di Taranto rischiano di dover essere spenti per ordine della magistratura, mentre il governo ha cambiato spesso idea sul cosiddetto “scudo penale” che, in teoria, serve a proteggere manager e dirigenti dell’azienda dal rischio di cause legali per le violazioni commesse dalle gestioni precedenti. Ora siamo al capolinea: ArcelorMittal lascia Taranto a annuncia lo spegimento degli impianti. Secondo Carlo Mapelli, docente del Politecnico di Milano, se ne va il 30% della siderurgia italiana. Da sola, l’Ilva vale l’1,5% del Pil.Rilevare stabilimenti, acquisirne i clienti e poi chiuderli. E’ la specialità di ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio. «Il risultato di questi giorni sulla questione Ilva era del tutto prevedibile», scrive Roberto Hechich: «Solo che la gente, i politici e la classe dirigente hanno la memoria corta». Mentre Taranto piange, con 10.000 posti di lavoro a rischio (e l’intera industria meccanica italiana senza più acciaio fatto in casa), sul blog del Movimento Roosevelt l’analista ricorda che Arcelor si difese strenuamente contro l’aggressiva offerta pubblica d’acquisto lanciata in Borsa da Mittal: a fine febbraio 2006 le quotazioni dei due gruppi arrivarono ad equivalersi, e Mittal riuscì ad assorbire Arcelor per un valore di 28,6 miliardi di euro. Promesse vane, sul rilancio: «A qualche mese dalla fusione cominciò a delinearsi chiaramente quella che era la strategia di politica industriale del gruppo: chiudere gli stabilimenti in Europa per fermare la concorrenza e acquisire gli ordini di Arcelor, facendo produrre l’acciaio in paesi terzi». Cominciarono anni di lotte tra il gruppo, i governi (Francia e Lussemburgo) e i sindacati: Mittal fu definito da un ministro francese come un «bugiardo senza limiti» che sapeva bene, al momento del lancio dell’Opa, quali sarebbero state le politiche da portare avanti in Europa.
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Tellinger: noi, specie schiava degli Dei venuti dallo spazio
«Siamo stati creati o ci siamo evoluti? La verità sta probabilmente nel mezzo, ed è sconvolgente». Lo afferma UnoEditori, nell’annunciare l’uscita per l’Italia del libro di Michael Tellinger “Specie Schiava degli Dei” (titolo originale: “Slave Species of the Gods”) con la prefazione di Mauro Biglino. «Tellinger ci dimostra come l’uomo sia frutto di una manipolazione genetica effettuata da una specie aliena, gli Anunnaki, per realizzare la loro missione sulla Terra». Lo confermerebbero scoperte spiazzanti, come i fossili di “umanoidi”: quel che resta degli antichi Figli delle Stelle? Attraverso un’analisi meticolosa e comparativa di testi antichi (sumeri e biblici) con moderne conoscenze, secondo l’editore «emerge un affresco storico che ricostruisce l’epopea dell’uomo, la sua relazione di schiavitù con gli “dèi” e la sua possibile riscossa e liberazione». La deduzione è drastica: «La storia ufficiale è una menzogna necessaria a far sì che l’umanità rimanga nell’ignoranza per continuare a servire i creatori». Secondo Tellinger, la specie umana è il risultato di una manipolazione genetica: l’Homo Sapiens sarebbe un ibrido ottenuto dall’incrocio tra Anunnaki e Homo Erectus. Esiste una radice comune all’origine di tutte le civiltà della Terra, e i miti – è la tesi del libro – sono di fatto il riflesso archetipico di realtà storiche, di eventi realmente verificatisi. Quanto al denaro, «è stato inventato dagli Anunnaki come strumento di controllo della razza umana».
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La Gruber a Salvini: chi è intelligente la verità non la dice
«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.Salvini è l’unico politico che abbia sfidato Bruxelles, almeno a parole: sui migranti, le tasse, le pensioni. Un vero contestatore del rigore Ue. Andava espulso a tutti i costi dal governo, con la manovra di palazzo del Conte-bis varata dai due azionisti del nuovo carrozzone italiano, l’ex comico genovese e l’ex rottamatore fiorentino. La verità è sotto gli occhi di tutti, anche se Gruber e soci evitano di ricordarla: a Salvini, che è riuscito a pensionare 200.000 anziani con “Quota 100”, aggirando i vincoli-capestro dell’odiosa legge Fornero, l’establishment non ha perdonato l’intransigenza contro gli sbarchi facili, l’ostilità verso l’austerity di Bruxelles (deficit negato all’Italia) e soprattutto il progetto di riforma fiscale (Flat Tax) per abbattere la tassazione, far respirare le aziende e creare lavoro, risollevando il Pil. L’oscuro Giovanni Tria, piazzato al ministero dell’economia al posto di Paolo Savona, ha sistematicamente frenato Salvini, d’intesa con Conte. Il leader della Lega ha staccato la spina dal governo gialloverde quando ha capito che Conte e Tria l’avrebbero costretto a presentare agli elettori un risultato deludente, con la manovra d’autunno ancora una volta risicata e inefficace, attorcigliata sui bizantinismi dell’Iva e di altre pietose gabelle più o meno occulte. E allora vedetevela voi, ha concluso Salvini togliendo il disturbo (chiamatelo scemo).Ma non l’aveva capito, nei mesi precedenti, con che razza di imbroglioni s’era messo, il capo della Lega? «Mi fidavo di Di Maio e di Conte», ha detto alla Gruber. Apriti cielo: «Lei allora non sa valutare le persone che ha di fronte», le ha risposto – ruggendo – la conduttrice di “Otto e mezzo”. Più che giornalismo, pugilato. Puro linciaggio, in cui vale tutto: persino l’irrisione della festa leghista del Papeete. Per ragioni «di forma e stile», un ministro dell’interno non dovrebbe mostrarsi tra gli ombrelloni, per giunta in costume. «Mi scusi – si stupisce Salvini – ma lei come ci va, in spiaggia?». Lilli: «In costume, ma non quando sono ministro». Accipicchia. «Guardi», ribatte Salvini: «Quando tornerò ministro, e accadrà presto, le garantisco che tornerò in spiaggia in costume: si rassegni». Finita? Nemmeno per idea. La Gruber, scatenata, estrae dal cilindro la bassezza più clamorosa: «Comunque, dato che è finita l’estate, è contento che non dovrà più girare in mutande per le strade? Magari senza pancia… sa, per gli occhi delle donne». Salvini, sbigottito, se la ride: cos’altro replicare? E’ semmai la Gruber a restare senza parole, di fronte all’analisi tattica di Salvini. Aveva sottovalutato Conte? Certo, sì: «Ho sottovalutato la vanagloria, la voglia di poltrona di Conte. Quante volte aveva detto che, se il governo fosse finito, sarebbe tornato a fare l’avvocato?». Il governo è finito, ma lui è ancora lì: ha solo cambiato programma e compagni di viaggio.Velenosamente, la conduttrice è riuscita a dire a Salvini: «E’ stato lei a chiedere di essere ospitato, stasera». Vendetta legittima: mesi fa, in un comizio, il leghista s’era divertito a recitare il ruolo del martire, fingendo sofferenza per la serata che lo attendeva nello studio di “Otto e mezzo” («mi tocca andare dalla Gruber: simpatia, portami via»). Perché Salvini insiste per tornare da Lilli, dopo due mesi di assenza? Numeri: la signora del centrosinistra televisivo è la regina incontrastanata del “prime time”, con oltre 2 milioni di telespettatori a sera (e uno “share” che supera l’8%). E’ al pubblico della Gruber, che Salvini vuole continuare a parlare, specie ora che è passato dall’onnipresenza mediatica al limbo punitivo riservato a chi sta all’opposizione. Un ostracismo tanto più necessario, per tentare di proteggere il governo-fantasma del debolissimo professor-avvocato Conte, sostenuto da Renzi e Grillo, puntellato da Bruxelles (Gualteri, Gentiloni, Sassoli) e guardato a vista da Mattarella e da Bankitalia. Quando a far paura erano i grillini, toccò a loro l’esilio televisivo (peraltro, da essi stessi voluto e rivendicato per anni). Ma quando poi Di Maio e Di Battista divennero ospiti fissi di Lilli Gruber, tutti capirono che qualcosa era cambiato: almeno una parte dell’establishment puntava sui 5 Stelle come specchietti per allodole, nella speranza (come poi è stato) che “riportassero a casa” il bottino elettorale populista, accettando di diventare establishment a loro volta, o almeno docili esecutori.Con Salvini è diverso, sembrerebbe, a giudicare dal livore – non esattamente “british” – dell’anomala conduttrice di “Otto e mezzo”, cavallo di razza del post-giornalismo italiano che alle notizie preferisce lo spettacolo, il derby, la rissa. Specialità in cui Salvini resta un fuoriclasse, con una differenza: non fa il giornalista, ma il politico. Come in tribunale l’avvocato, rappresenta (legittimamente) una parte, la sua. Eppure – almeno, il 1° ottobre 2019, dalla Gruber – rivendica la sincerità come valore, dichiarando di essere pronto a perdonarsi eventualmente anche l’ingenuità – meglio essere onesti, piuttosto che bugiardi. «Io almeno sono fatto così», dice Salvini. E la cosa manda in bestia la sua antagonista, che in teoria (essendo una giornalista) dovrebbe avere a cuore proprio la verità. Per Lilli Gruber, invece, a quanto pare la sincerità politica è inammissibile: è indice di dabbenaggine, addirittura di imbecillità. Ma davvero? Ve lo vedete, Gandhi, negare di voler sfrattare gli inglesi dall’India? E Yitzhak Rabin si sarebbe mai espresso contro il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato? Ve lo figurate Nelson Mandela che giudica con indulgenza l’apartheid? Al netto dei tatticismi di prammatica, nei momenti che contano vince sempre la chiarezza. Certo non è il caso di scomodare grandi nomi, se in Italia il menù di giornata propone il match “Gruber contro Salvini”. Ma, sia pure in piccolo, il tema è centrale. Sicuri che il mitico italiano medio non la apprezzi, un po’ di sincerità, dopo tante frottole dispensate a reti unificate? Non sarebbe un bel passo in avanti se, a parte i politici, fossero almeno i giornalisti, ogni tanto, a dire almeno un po’ di verità?«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.
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Anche Sanders evoca gli Ufo. Cercano di dirci qualcosa?
Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».“Chi comanda il mondo?”, recitava una canzone dell’italiano Povia. E se un giorno saltasse fuori che a tirare le fila – al di sopra degli arsenali, missilistici e finanziari – c’è qualcuno che proprio terrestre non è? Che figura ci farebbero, i padreterni come Trump, Putin e Xi-Jinping? O meglio: quel giorno si capirebbe “per chi lavorano, davvero”. Fantascienza? Peggio: complottismo da strapazzo. Così almeno strepitano, prontamente, tutti i debunker del globo. Carina, la barzelletta degli alieni: ideale per assolvere comodamente i peggiori politici. Ma appunto, chi comanda il mondo? Non certo i cittadini tramite i governi: si vede che fine fanno, più o meno ovunque, le promesse elettorali (senza contare i paesi – non pochi – dove la democrazia formale neppure esiste). Chi c’è dietro, cioè sopra? Elenco sterminato di poteri forti. Le banche, Wall Street, la Trilaterale, i signorotti che ogni anno concedono passerelle rituali a beneficio dei riflettori, da Davos al Bilderberg. Poi ci sono i decisori veri, il Gruppo dei Trenta, la Ert. Ma il Group of Thirty si occupa di finanza, e la European Roundtable of Industrialists di leggi e agevolazioni strategiche per incrementare i profitti industriali. Chi, allora, lassù?Spiccano ad esempio onnipotenze geopolitiche come la Chatham House, alias Royal Institute of International Affairs, e il suo omologo super-salotto statunitense Cfr, Council on Foreign Relations. Va bene, ma chi stabilisce chi può accedere a quei sommi santuari del potere? Il gotha massonico mondiale, risponde Gioele Magaldi: un’élite di matrice iniziatica, che seleziona accuratamente i suoi adepti. Alcuni dei quali, ha ammesso di recente lo stesso Magaldi, vantano rapporti privilegiati con “entità extraterrestri”. Dall’alto della presidenza del Cun, Centro Ufologico Nazionale, e dei suoi storici rapporti con l’aeronautica, l’italiano Roberto Pinotti afferma: il vero problema, per gli alieni, è trovare adeguati interocultori terrestri. I capi delle superpotenze? Spettacolo sconsolante: sono ancora lì a minacciarsi a vicenda, mentre la Terra sta per implodere a causa dell’inquinamento. Forse, aggiunge Pinotti, gli unici portavoce credibili potrebbero essere i leader religiosi. Davvero? Torna alla mente lo sconcertante racconto di monsignor Loris Capovilla, “cameriere segreto” di Giovanni XXIII. Raccontò alla stampa estera che, nel luglio del 1961, un disco volante atterrò nel parco di Castel Gandolfo. Dall’astronave scese un individuo che si appartò a parlare col pontefice. Una volta decollato, il Papa era in lacrime: «I figli di Dio sono dappertutto», si limitò a dire all’esterrefatto segretario.Di “fratelli dello spazio” parla anche l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, direttore della Specola Vaticana, potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham, in Arizona. A “Tv 2000”, padre Funes ha dichiarato che non avrebbe difficoltà a battezzarli, gli eventuali “fratelli dello spazio”. Quante cose sa, padre Funes? Perché si occupa così intensamente di esobiologia, cioè di vita extraterrestre? E perché i gesuiti spendono milioni di dollari per sondare lo spazio, in proprio, “rubando il mestiere” alla Nasa? Stanno cercando di dirci qualcosa di importante? Vogliono prepararci a un evento forse imminente, ormai? Viceversa, non si capisce perché un pezzo da novanta del Vaticano si metta, di punto in bianco, a parlare di marziani. Siamo arrivati alla fine di un lungo “Truman Show” allestito per depistare il pubblico, che non avrebbe retto alla notizia? A domandarselo è un fenomeno editoriale come Mauro Biglino, che entro fine anno debutterà anche come attore nel kolossal “Creators, the past”, con Gerard Dépardieu e William Shatner, il “capitano Kirk” della serie televisiva “Star Trek”. La tesi: siamo stati “fabbricati” dagli alieni, che – da millenni – ci controllano a distanza, tramite i loro fiduciari terrestri.Prima di pubblicare libri di successo (trecentomila le copie vendute solo in Italia, senza contare le versioni per l’estero), Biglino ha tradotto 19 libri dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, destinate agli studenti universitari. Nella sua rilettura strettamente letterale della Bibbia, Biglino sposta il problema di Dio molto più in là di Yahwè: senza mai escludere la possibilità dell’esistenza di una divinità superiore, l’autore dimostra che il protagonista biblico non era onnisciente, né onnipotente, né immortale. Era solo uno dei tanti Elohim, una ventina, presentati nel testo antico coi loro nomi: individui potenti e temuti, molto longevi, tecnologicamente evoluti e dotati di velivoli rumorosi. La loro specialità? Governare popoli, l’un contro l’altro armati. La Bibbia è un libro di guerra, identico ai testi antichi di tanti altri popoli, dalla Mesopotamia all’India. Si narra che la nozione filosofica di spiritualità sia nata coi Veda, ma il ricercatore Enrico Baccarini, giornalista della “Bbc”, smentisce: i libri indiani, antichissimi, non contengono tracce religiose. Sono solo cronache, che narrano le gesta dei Deva, anch’essi potentissimi ma non onnipotenti, estremamente longevi ma non immortali. Chi erano? Gli stessi che i sumeri chiamavano Anunnaki, gli egizi Netheru, i peruviani Viracochas, i greci Theoi, gli irlandesi Túatha Dé Dànann.Ogni popolo della Terra – per iscritto, mediante incisioni nella roccia o tramite racconti orali – ci ha tramandato la memoria dello stesso tipo di incontri, dalla Cina all’Africa, passando per il Medio Oriente, l’America e l’Europa: secondo i nuovi ricercatori come Biglino, la memoria dell’umanità porta impressa nel suo Dna quell’impronta decisiva, che secondo i genetisti odierni (ed esempio Pietro Buffa, del King’s College di Londra) spiegherebbe anche il “salto quantico”, l’anello mancante tra noi e la scimmia. Abbiamo sbagliato tutto, scrisse Alfred Russel Wallace, co-autore con Charles Darwin della teoria evoluzionistica: «Con l’uomo non funziona», disse Wallace all’illustre collega. «Nel nostro caso è evidente l’intervento di un’intelligenza superiore». Venuta da dove? Dalla Terra o dallo spazio? Dalla nostra galassia? Da Orione, come dicono le fonti indiane? Dalle Pleiadi? Per i Veda, l’universo è popolato da non meno di 400.000 specie umanoidi, alcune delle quali comparse anche sulla Terra. Se neppure Darwin l’ha mai trovato, il “missing link” tra noi e lo scimpanzè, i nuovi studiosi – archeologi, paleontologi, fisiologi – sembrano propensi a identificarlo, l’anello mancante, collegando i testi antichi alla fantascienza, così spesso anticipatice di tanta tecnologia poi divenuta d’uso comune. Profezie visionarie o vere e proprie anticipazioni, quelle di “Guerre stellari” e “Star Trek”?Cos’è cambiato, negli ultimi anni, riguardo alle nostre conoscenze in materia? Moltissimo. Gruppi di scienziati, spesso giovani, si stanno concentrando proprio su questo: la possibile coerenza storica delle fonti letterarie antiche, alla luce dei più recenti ritrovamenti. Che si succedono a cascata, a valanga: nel 2014, i geofisici Richard Firestone e James Kennett hanno accertato che la Terra è stata sconvolta in due round, attorno a 12.000 anni fa, da una pioggia di comete. Risultato: tsunami, esplosione di vulcani, buio e gelo, glaciazione, estinzioni di massa, disgelo e “diluvio universale”, con innalzamento degli oceani fino a ridisegnare la geografia dei continenti. Dai bassi fondali dell’Oceano Indiano ora emergono rovine di città sommerse. Le date coincidono: il cantiere archeologico che ha messo a nudo il complesso di Göbekli Tepe, in Turchia (interrato nel 9.500 avanti Cristo) costringe a retrodatare di migliaia di anni l’introduzione dell’agricoltura. E mentre l’egittologia continua a raccontare che le piramidi erano tombe monumentali erette dai faraoni 5.000 anni fa, geologi e climatologi spiegano che hanno almeno 15.000 anni. Fisici di tutto il mondo, intanto, compiono test ogni notte nella piramide di Cheope, scoprendone le doti di stupefacente concentratore energetico capace di provocare l’abbattimento di particelle subatomiche.Sui giornali è circolata la seguente notizia: il sofisticato schema tecnologico della grande piranide di Giza potrebbe ispirare nuove celle fotovoltaiche decisamente avveniristiche e ultra-potenti. Altre piramidi, intanto, sono emerse in Bosnia: immense, a lungo scambiate per colline, e datate 30.000 anni in base al radiocarbonio. Costruite da chi? Lo scopritore, l’antropologo Sam Osmanagich, già in forza all’università di Houston, protesta: l’archeologia ufficiale non le classifica ancora come manufatti, benché siano state costruire con giganteschi mattoni di calcestruzzo. Sono percorse da chilometri di sotterranei, come quelle egizie, ed emettono un’energia di cui gli studiosi non hanno ancora rilevato l’origine. La storia è interamente da riscrivere, sostiene un pioniere come lo scozzese Graham Hancock: quelli che gli antichi chiamavano dei, dice il professor Graziano Baccolini dell’università di Bologna, erano chiaramente astronauti. L’orizzonte della civiltà, di colpo, sembra allungarsi a dismisura: in Sudafrica, Michael Tellinger ha rilevato le tracce di una vera e propria “metropoli”, a due passi dalle miniere d’oro più antiche del pianeta. Una città imnmensa, che oggi avrebbe addirittura 200.000 anni. Ancora più enigmatica la scoperta della “mappa del creato”, in Russia, sugli Urali: un lastrone che riproduce perfettamente, dall’alto, la geografia russa. Dettaglio: molluschi ora fossili, ma intrappolati ancora vivi fra uno strato e l’altro dell’opera all’epoca della sua misteriosa realizzazione, si estinsero non meno di 120 milioni di anni fa.Informazioni frammentarie e sconcertanti: un po’ troppe, e tutte emerse nel giro di pochi anni. Si affacciano sui media come curiosità esotiche, ma non riescono ancora a essere metabolizzate dal sapere accademico, completamente spiazzato. E’ partita una specie di corsa, affidata a scienziati coraggiosi. Vuoi vedere che la nostra storia è infinitamente più lunga di quella finora tracciata dalla storiografia? E se si accertasse che la nostra vera origine è davvero extraterrestre? Nel libro “L’altra Europa”, l’avvocato vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, parla di un’unica dinastia di potere saldamente al comando da 12.000 anni, dietro al paravento di imperi e Stati. Fonte: l’esoterista francese Maurice Schumann, massone e gollista, tra gli ispiratori dell’Ue. Schumann la chiama “La Struttura”. Dalla Mesopotamia avrebbe conquistato il Mediterraneo, quindi il resto del mondo. Lo stesso Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, che dà credito al greco Filone di Byblos quando cita l’opera del fenicio Sanchuniathon, che nel 1200 avanti Cristo scrive: le divinità vivevano tra noi ed erano prepotenti, la loro mitologia mistica è stata poi costruita a tavolino dai sacerdoti antichi, che hanno velato la verità inventando la categoria del mistero.Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, nel saggio “Il mistero della situazione internazionale” sintetizza: i “poteri oscuri” che dominano il pianeta sono costituiti da due grandi catene di comando, una massonica e l’altra religiosa. In realtà sono “forze dell’ostacolo”, che – scatenando guerre e seminando ingiustizie – costringono l’umanità ad evolversi. La sua è una lettura quasi consolante e spiritualistica, di marca steineriana. Il concetto di spiritualità, però, nella nostra storia – almeno, quella leggibile – è stato introdotto solo in epoca recente, dal platonismo. Prima, c’erano solo “divinità” aliene, in carne e ossa, generose come l’indiano Krishna o spietate come Yahwè e colleghi. Unica eccezione, la teologia mazdea che la tradizione attribuisce a Zoroastro, 1400 avanti Cristo: l’uomo, di origine celeste, “intrappolato” sulla Terra dal perfido Ahriman, principio del male, antagonista del signore della luce Ahura Mazda. Extraterrestri ante litteram? Suggestioni ricorrenti, se ora ci si mettono anche i politici – con un’inistenza francamente sorprendente. Diversi presidenti americani avrebbero promesso, in campagna elettorale, di dire “tutta la verità” sugli Ufo. Nel 2009, Mikhail Gorbaciov ha ricordato che lui e Reagan si promisero reciproco aiuto, nel 1985 a Ginevra, in caso di “invasione aliena”. Scherzavano soltanto?Il 2 luglio 1947, un oggetto volante non identificato – ma in panne, vistosamente infuocato – precipitò a Roswell, in New Mexico. Ai testimoni oculari, le autorità mostrarono giorni dopo un pallone-sonda caduto: non era l’oggetto che avevamo avvistato, dissero i contadini. Il caso venne rapidamente archiviato. Ma nei 12 mesi seguenti, stranamente, l’ufficio brevetti degli Stati Uniti fu assediato da innovazioni avioniche, da cui poi si svilupparono rapidamente i moderni jet. Coincidenze? Di extraterrestri si parla sempre più spesso: gli X-Files sbancano sempre il botteghino. Ma perché ora l’argomento finisce in modo insistente nel menù della politica? Nel 2015 ha fatto il giro del mondo la nota del ministero della difesa russo, che annunciava l’attracco di una nave di Mosca nel porto saudita di Gedda. I russi avrebbero imbarcato l’Arca di Gabriele, per poi “tombarla” in Antartide, dopo che la strana cassa d’oro, custodita alla Mecca, avrebbe scatenato una tempesta energetica capace di uccidere migliaia di pellegrini. Vero o falso? I media sauditi attribuirono la strage a una crisi di panico tra la folla, mentre un’équipe di tecnici, nel sottosuolo, avrebbe tentato di raggiungere la misteriosa reliquia, donata a Maometto e gemella di quella affidata da Yahwè a Mosè.Per inciso: l’Arca biblica – alla lettera – era un oggetto pericoloso, da maneggiare con cura, affidato a personale specializzato e debitamente abbigliato. Una sorta di potente generatore energetico. Sta davvero per accadere qualcosa di rivoluzionario? Domani, magari grazie a qualche capo di Stato (o anche solo alla signora Sanders), emergeranno come verità ufficiali gli indizi che i testi antichi sembrano metterci sotto il naso da migliaia di anni? Sarebbe un colpo sensazionale, dopotutto: crollerebbe l’intera costruzione del potere terrestre. Tutti burattini inconsapevoli, manovrati da pochissimi eletti in contatto coi signori della galassia? Un po’ troppo, per la mente umana: inaccettabile, per popolazioni afflitte da grane ordinarie come lo spread, i migranti e le crisi geopolitiche, tra un campionato di calcio e la messa cantata dal religioso di turno, col ditino alzato, impegnato a lanciare severi ammonimenti morali. L’epifania sarebbe un capolavoro comico: salve, vengo da Marte e ho due o tre cose da dirvi, come peraltro i vostri capi già sanno. Tra chi non ride affatto, di fronte all’ipotesi che la fantascienza si decida a venirci finalmente a trovare, c’è proprio l’ufologo Pinotti: storicamente, dice, l’incontro improvviso tra civiltà diversissime comporta la fine, anche traumatica, della società meno avanzata. Della nostra, peraltro, non c’è di che vantarsi. Ma non tutti sono pessimisti, riguardo agli incontri ravvicinati. “Extraterrestre, portami via”, cantava Finardi, quasi fiducioso – già allora, 1978 – in un aiuto dal cielo.Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».