Archivio del Tag ‘tradizione’
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Magaldi: Vox Fusaro e Renzi-2, niente di nuovo per l’Italia
Tanti anni fa, il sociologo inglese Anthony Giddens vaticinava le “magnifiche sorti e progressive” della Terza Via, a metà strada tra socialismo e capitalismo. Traduzione pratica: negli ultimi decenni, la sinistra s’è messa a completo servizio della destra economica neoliberale. Capoclasse Tony Blair, seguito da Bill Clinton e Massimo D’Alema. Ultimi della fila, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che è una specie di Renzi-bonsai «regolarmente “bruciato” e battuto sul tempo dal Renzi originale», osserva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Peraltro, al clamore del mainstream per l’annuciato divorzio di Renzi dal Pd non corrispondono certo numeri entusiasmanti: le previsioni oscillano fra il 3 il 5% al massimo». In altre parole: un modo come un altro per non andare da nessuna parte, «non avendo niente di nuovo da offrire agli italiani, per giunta dopo averli malgovernati». Nessuna novità, secondo Magaldi, neppure dall’altra notizia che – in piccolo, su “ByoBlu” – si è affacciata nell’agenda politica: la nascita di Vox Italia, esperimento firmato da Diego Fusaro. «Peccato – dice Magaldi – che un intellettuale così colto non proponga altro che un “rossobrunismo nazionalsocialista”: a che serve bocciare l’imperante neoliberismo, se poi si prospetta un ritorno al tradizionalismo nazionalista e illiberale?».
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Pagliacciocrazia: la miseria morale di chi tradisce il popolo
Provate a togliere il sonoro alla crisi e a guardare con distacco a quel che sta succedendo: due partiti che fino a ieri si disprezzavano pubblicamente si incontrano sul nulla, cioè sull’avvocato Giuseppe Conte, e danno luogo a un rovesciamento totale di alleanze e di indirizzi. Lasciamo da parte i giudizi soliti che si sentono in questi giorni e arriviamo perfino ad accogliere due obiezioni: 1) Anche l’alleanza tra grillini e leghisti non scaturì dalle urne e la loro alleanza non fu prima presentata al giudizio degli elettori; 2) Siamo in una democrazia parlamentare e finché sussistono i numeri in Parlamento per esprimere un’altra maggioranza, non possono essere i sondaggi o altre votazioni, come quella europea, a decretare l’obbligatorietà di tornare alle urne. Diciamo che dovrebbe essere una scelta di buon senso e di rispetto della sovranità popolare, ma formalmente non c’è alcun obbligo a farci votare. E allora cosa suscita disgusto? Due cose, anzi tre. Innanzitutto, è la quarta volta che la sinistra si accinge ad andare al governo, senza peraltro aver mai lasciato il potere, e ad arrivarci senza passare dal voto, con un’indicazione popolare. La quarta volta dopo Letta, Renzi e Gentiloni.Una volta può accadere, due magari con qualche forzatura si può capire, ma se accade sistematicamente vuol dire che la sinistra in Italia è una cupola che non può essere rimossa dal potere e chiunque cerchi di farlo è per definizione un delinquente, sottoposto a processo mediatico-giudiziario e additato al pubblico disprezzo. La seconda cosa è che non c’è nessun perno programmatico che unisca le due forze in via di allearsi, ma solo la comune preoccupazione di non andare al voto e di mettere fuori gioco il leader fino a oggi acclamato a furor di popolo. Non c’è un orizzonte di programma comune, non c’è un punto essenziale. L’alleanza Lega-grillini era anch’essa tra due soggetti molto diversi ma una linea in comune ce l’avevano: erano definiti entrambi populisti, erano contro l’establishment e critici ambedue verso i diktat europei. Era già qualcosa; poi differivano, e tanto, le visioni del mondo (o del web, per i grillini). Adesso è ridicolo pensare che il Pd diventi populista e anti-establishment, ed è raccapricciante vedere che il partito più antisistema abbia scelto un democristiano duttile, multitasking e paraculista come Conte a farsi rappresentare e ad allearsi col partito-sistema, il partito-apparato, previo bacio della pantofola all’Unione Europea col voto a Ursula.Penosa l’assenza di contenuti e la fame assoluta di contenitori. Ma superate queste due riserve contingenti, c’è uno spettacolo di fondo che avvilisce e indigna al tempo stesso. È la riedizione, a un gradino ancora più basso, della storica miseria delle classi di potere in Italia. Non sono classi dirigenti, e non sono neanche classi dominanti come le fustigava Antonio Gramsci: perché i dominatori almeno hanno qualche vaga responsabilità di comando rispetto al popolo. No, queste sono classi sovrastanti, che cioè stanno sopra la gente e non vogliono scendere al piano terra, prescindono dal popolo; e anche quando l’ultimo masaniello arriva, sbucato dal nulla (espressione che oltre Conte evoca Fico, Di Maio, a’ Raggi e compagnia cantante), sono pronti a ogni compromesso pur di restare aggrappati a quel piano. La sinistra è per sua essenza ormai da anni quella delle terrazze e dei piani alti, è al potere, e appena qualcuno vuole aprire la porta per farli scendere, si barricano e gridano al nazista di turno, al delinquente in arrivo e al razzismo montante. Ma lo spettacolo è antico e ciclico. E mostra la vigliaccheria, l’egoismo furbetto, la misera morale e intellettuale del ceto sovrastante.Avevo rispetto per la vecchia sinistra comunista, avevo rispetto per chi nutriva ideali e passioni di giustizia sociale, rappresentava la classe operaia e il proletariato. Ma che considerazione si può avere di questa roba qui, dei loro moventi, delle loro scelte, dei loro anatemi e dei loro compromessi? L’unico ideale che riescono a esprimere è in negativo, antinazionale, antifamigliare, antitradizionale. Sono solo un fenomeno dissolutivo, sono il partito del suicidio d’Italia, dell’eutanasia di civiltà cristiana e di chi da fuori e da dentro ne mira la coesione, l’identità, il senso comunitario. L’unico punto in comune che unisce i promessi sposi, ma che non è estraneo nemmeno alla Lega e al centro-destra, è la demeritocrazia trionfante: ovvero gli ultimi saranno i primi, ma in un senso non propriamente evangelico. L’ultimo arrivato fa il premier, gli ultimi scappati di casa, senz’arte né parte, diventano ministri, le scadenti retrovie di quel che era la sinistra diventano i leader e ministri.È questo l’eterno tradimento delle classi di potere in Italia, che spiega i ritardi secolari della nostra unificazione, il servilismo come stile e come sottomissione allo straniero di turno, al potente in alto e al migrante in basso; la massima goldoniana che se la casa brucia non spengo l’incendio ma voglio scaldarmi un po’ anch’io (cioè trarre profitto dallo sfascio); e poi l’antico, pezzente trasformismo per restare a galla, l’astuzia di servire due padroni per barcamenarsi e tirare sul prezzo, la perdita di ogni residua dignità. Questa è la miseria degli ultimi giorni. Non credo affatto che il nostro popolo sia meglio dei potenti, ma penso che i potenti riescano a essere peggio del loro popolo e a costituire un esempio, un modello di riferimento per la gente a seguire standard morali e civili ancora più scadenti di quelli già in uso. Eccola, l’alleanza dei Quaquaraquà. Coi gialloverdi era al penultimo stadio, ora siamo allo stadio finale: è la pagliacciocrazia.(Marcello Veneziani, “Pagliacciocrazia”, da “La Verità” del 29 agosto 2019: articolo ripreso dal blog di Veneziani).Provate a togliere il sonoro alla crisi e a guardare con distacco a quel che sta succedendo: due partiti che fino a ieri si disprezzavano pubblicamente si incontrano sul nulla, cioè sull’avvocato Giuseppe Conte, e danno luogo a un rovesciamento totale di alleanze e di indirizzi. Lasciamo da parte i giudizi soliti che si sentono in questi giorni e arriviamo perfino ad accogliere due obiezioni: 1) Anche l’alleanza tra grillini e leghisti non scaturì dalle urne e la loro alleanza non fu prima presentata al giudizio degli elettori; 2) Siamo in una democrazia parlamentare e finché sussistono i numeri in Parlamento per esprimere un’altra maggioranza, non possono essere i sondaggi o altre votazioni, come quella europea, a decretare l’obbligatorietà di tornare alle urne. Diciamo che dovrebbe essere una scelta di buon senso e di rispetto della sovranità popolare, ma formalmente non c’è alcun obbligo a farci votare. E allora cosa suscita disgusto? Due cose, anzi tre. Innanzitutto, è la quarta volta che la sinistra si accinge ad andare al governo, senza peraltro aver mai lasciato il potere, e ad arrivarci senza passare dal voto, con un’indicazione popolare. La quarta volta dopo Letta, Renzi e Gentiloni.
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Non morì in croce e aveva 43 anni: l’altro Gesù, quello vero
Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità.E’ la possibile, vera storia di Yehoshua di Gàmala, poi ribattezzato Gesù di Nazareth (villaggio che all’epoca probabilmente non esisteva ancora), secondo l’affascinante ricostruzione che il biblista Mauro Biglino fornisce insieme a Francesco Esposito, studioso del cristianesimo delle origini. Ne parlano nell’avvincente saggio “Dei e semidei”, che esplora “il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”. A differenza dei negazionisti, anche autorevoli, che escludono categoricamente la reale storicità del personaggio, i due ricercatori sono propensi a credere che quel “rabbi giudeo messianista”, poi trasformato nella fonte stessa del successivo cristianesimo, sia realmente esistito. Doveva essere un individuo temerario, capace di sfidare il peggior potere: cioè le armi dei colonialisti romani e quelle dei loro alleati e collaborazionisti, i vari Erode e la potente casta sacerdotale del Sinedrio di Gerusalemme. Caduto il Tempio nel 70 dopo Cristo, quella stessa nomenklatura (che era stata capace di denunciare a Pilato il rivoltoso) finirà poi per trasferirsi a Roma, ottenendo di beneficiare di una vita dorata tra i lussi della capitale, come premio per aver ceduto all’impero l’ingente tesoro ebraico, mettendo così fine a ogni ulteriore tentativo di insurrezione nazionalistica. E proprio Roma, secoli dopo, diverrà la capitale della nuova religione.“Dei e semidei” esplora lo strano rapporto tra il futuro “Cristo” e Giovanni Battista, di cui era forse cugino. Entrambe le madri, Maria ed Elisabetta, erano rimaste incinte dopo aver incontrato “l’arcangelo Gabriele”, cioè il Ghevèr-El (ambasciatore di un El, personaggio in carne e ossa), che secondo il teologo e cardinale Jean Daniélou verrà poi chiamato “spirito santo”, nel corso della plurisecolare spiritualizzazione con cui le religioni hanno deformato gradualmente il testo biblico, ex-post, fino a introdurvi elementi mistici del tutto assenti nella versione letterale. Nell’ebraico originario, infatti, non esiste neppure la parola Dio, né l’idea stessa di divinità universale onnisciente, così come non c’è traccia dei concetti di eternità, spirito, onnipotenza. L’Antico Testamento racconta semplicemente la storia del patto stipulato tra la sola tribù di Giuda, uno dei 12 figli di Giacobbe-Israele, e l’El chiamato Yahwè, uno dei tanti Elohìm presenti nel testo. Quello che compare per primo, presentandosi ad Abramo, si fa chiamare El-Shaddài, cioè “signore della steppa” secondo la prestigiosa École Biblique di Gerusalemme, fiore all’occhiello dell’esegesi domenicana. In altri passi della Bibbia viene citato Elyòn, il capo supremo, che a un certo punto ammonisce gli Elohìm in assemblea: fate gli arroganti solo perché siete potenti e molto longevi, ma – li avverte – un giorno morirete anche voi, proprio come gli umani.Sempre la Bibbia parla spesso degli “angeli”, i messaggeri degli Elohìm. In ebraico, sono i “malachìm”. Il greco traduce correttamente il termine “malàch” con “ànghelos”, portaordini, mentre il latino – anziché adeguarsi al greco, (magari con il termine “legatus”?) – preferisce coniare il neologismo “angelus”, importandolo direttamente dalla lingua greca senza tradurlo, e preparandosi poi – nell’iconografia successiva – a sfornare angioletti alati e asessuati. Paolo di Tarso, l’inventore del cristianesimo, è il primo a scrivere – nelle sue lettere – che è meglio che le ragazze si coprano i capelli, nelle assemblee in cui sono presenti “gli angeli”, perché quei tizi poco raccomandabili non vanno tanto per il sottile, con le donne giovani. Le successive traduzioni bibliche tradiranno il testo in modo sconcertante: gli angeli cominceranno ad “apparire e scomparire”, persino a “volare con leggerezza”, quando invece la Bibbia scrive che erano fatti come noi, sudavano e soffrivano, e li si vedeva arrivare arrancando, “sfatti di fatica”. I cosiddetti arcangeli? Dal greco: angeli-capi. I “Gabriele”, per esempio: essere un “Ghevèr-El” significava avere la statura di un pezzo da novanta, che gestisce il potere per conto di un El. Fu proprio un “Gabriele”, forse addirittura lo stesso, a ingravidare (come, non si sa) prima Elisabetta e poi Maria.I loro figli, Giovanni e Yehoshua (Giosuè) secondo i Vangeli si incontrano e si conoscono benissimo: hanno lo stesso mandato, o funzioni parallele? Forse il primo ha un’investitura sacerdotale (discendente da Aronne), mentre l’altro politica, davidica (ereditata da Israele). Nelle acque del Giordano, Giovanni battezza i giudei zeloti, cioè i membri della fazione ostile ai romani: lo si capisce dai loro nomi. Ed è uno strano battesimo: razza di vipere, li chiama. E li avverte: se non cambiate subito mentalità, per voi la scure è già pronta, e i vostri corpi bruceranno nella Gheenna, o meglio il Ghe-Hinnom (la discarica lungo il torrente Hinnom, dove venivano gettati e arsi i cadaveri dei guerrieri sconfitti). In un mondo come quello giudeo, ultra-materiale e privo di qualsiasi cognizione di spiritualità – è la tesi del libro – sembra lecito domandarsi se, più che redimere “anime”, a Giovanni non interessasse reclutare guerriglieri: l’elenco dei loro “peccati”, infatti, è una sfilza di crimini cruenti (peraltro quasi esibiti, rivendicati con fierezza). Preparativi di una rivolta?Così dovette vederla Erode, che non ci pensò due volte: prima che fosse troppo tardi, fece decapitare il sedizioso “battista”. Di fronte alla cui morte, il suo alter ego Yehoshua-Giosuè pensò che era meglio cambiare aria. I testi evangelici dicono che si ritirò “nel deserto”, cioè sulle alture della Galilea, per 40 giorni. Ma probabilmente – secondo Biglino ed Esposito – la pausa di riflessione durò anni. Al suo ritorno, poi, ci mise poco e reclutare gli ex discepoli di Giovanni. Lo conoscevano già e in fondo lo aspettavano, per il grande momento: rovesciare finalmente la corrotta oligarchia del Sinedrio, che aveva svenduto il paese ai romani in cambio dei privilegi concessi dal potere imperiale. Il primo tentativo doveva essere fallito, con la cacciata dei mercanti dal Tempio. Il secondo, quello decisivo, fu preparato con l’ipotetica “resurrezione” di Lazzaro a Betania, paese d’origine della Maddalena. Il crisma del messia? Forse proprio questo doveva emergere, nell’evento raccontato come miracoloso: alla portata solo di un profeta, cioè un individuo prescelto e autorizzato a parlare e agire in nome di un El. Ma il carisma di Yehoshua, che non bastò a infiammare il popolo (che infatti non lo riconobbe come “mashiàh” e quindi non lo sostenne), fu sufficiente ad allarmare la casta sacerdotale, che provvide a denunciarlo per sbarazzarsene.Poi la storia si appanna, tra possibili doppi giochi: da un lato il presunto traditore Giuda l’Iscariota, e dall’altro l’uomo-ombra, il misterioso Giuseppe d’Arimatea, a sua volta membro del Sinedrio ma segretamente alleato dei “gesuani”, capace di reclamare il corpo del condannato e forse anche di salvargli la vita, tirandolo giù dalla croce in extremis e poi facendolo curare. Ricostruzione coerente? Sì, ma solo se “facciamo finta” che quella storia sia realmente accaduta, dicono Biglino ed Esposito: le tracce disponibili sono davvero esigue e frammentarie. Stando al gioco, gli autori prendono per buoni i Vangeli canonici, facendoli però letteralmente a pezzi: inevitabile, perché offrono versioni lacunose e discordanti, spesso inverosimili. L’ipotetico puzzle si completa solo attingendo ad altri testi, come i Vangeli apocrifi e gli scritti di storici come Giuseppe Flavio. “Dei e semidei” resta una lettura complessa, che procede con la massima cautela in una selva di citazioni, con il supporto di decine di autori e non meno di 90 volumi puntualmente chiamati in causa. «Restiamo nel campo legittimo delle semplici ipotesi», ammettono alla fine i due studiosi, la cui unica sicurezza è «la non certezza del dato tradizionale». Nel corso dei secoli, infatti, la tradizione «ha volontariamente coperto, attraverso sempre più complicate elaborazioni teologiche, quella che può essere una storia semplice e allo stesso tempo affascinante».E’ questo, infatti, il vero cuore del libro: con estrema accuratezza, dimostra come si sia potuti arrivare a fabbricare un culto che ha cambiato la storia dell’umanità, pretendendo di poggiarlo su documenti solidi ma in realtà franosi, se non inesistenti. La vicenda dell’aspirante messia ebraico? Umanissima, e affrontata dagli autori con profondo rispetto. Non senza rilevarne, però, le patetiche contraddizioni – non del messia, ma dei successivi narratori (evidentemente infedeli). Si racconta ad esempio che ad essere giustiziato sul Golgota fu un personaggio fenomenale, sovrumano, capace di ridestare i defunti. Ma chi sarebbe così pazzo – si domandano gli autori – da condannare un individuo capace davvero di resuscitare i morti? Non sarebbe meglio pregarlo, cortesemente, di resuscitare tutti? E allora dove sta l’inghippo? Nella datazione delle opere. Tutti i Vangeli – i cui reali autori restano tuttora sconosciuti – sono di gran lunga successivi alle famose lettere di Paolo, vero punto di partenza della nuova fede. A coniare quella religione, decenni dopo la crocifissione, è stato l’autoproclamatosi apostolo di Tarso, che però il messia non l’aveva mai conosciuto. Va da sé che i “gesuani”, gli autentici seguaci di Yehoshua, andassero su tutte le furie, nello scoprire che Paolo spacciava per vera una storia che s’era inventato da capo a piedi. Da quella narrazione di fantasia, purtroppo, nacquero in seguito i testi evangelici.Davvero uno strano cristiano, San Paolo: un perfetto politeista. «Sappiamo che vi sono molti dèi», scrive, «ma noi ne seguiamo uno solo». Dunque la sua era monolatria, non certo monoteismo. Ebreo colto, Paolo conosceva la Bibbia. Ma sapeva che il pubblico delle sue lettere – greco e romano – non sapeva leggere l’ebraico. E così ebbe buon gioco nell’inventare la fiaba che sarà poi Sant’Agostino a perfezionare. Si racconta infatti che Adamo ed Eva fossero addirittura immortali, prima del peccato originale. Si sa perfettamente che non è vero, e gli ebrei sanno anche che – nell’Antico Testamento – il peccato originale non esiste: la cacciata dall’Eden è preventiva, non punitiva, dopo che Adamo ed Eva hanno scoperto di poter avere una loro discendenza virtualmente autonoma dai guardiani del “giardino”. Ma peggio: Paolo di Tarso si mette a parlare del rabbi messianista (che non ha mai conosciuto) raccontando che aveva a cuore le sorti dell’intera umanità, non solo quella del suo popolo. Nasce qui il primo germe del geniale universalismo cattolico: la speranza della vita eterna offerta a tutti, indistintamente, proviene dall’esclusiva creatività letteraria di Paolo. Ed è qui che il contrasto coi “gesuani”, indignati, diventa insanabile: chi ha vissuto con Giosuè, standogli accanto fino alla fine, non può tollerare che sul suo conto vengano impunemente spacciate simili fandonie.Ma neppure Paolo arriva, da subito, all’idea della resurrezione: vi perviene in corso d’opera, per necessità, quando – con crescente impazienza – i nuovi fedeli gli chiedono come mai il famoso messia non sia ancora tornato, instaurando il nuovo regno (terreno) che aveva promesso, dandolo per imminente. Al che, il teorico del cristianesimo comincia a parlare di “regno dei cieli”, garantendo la sicura resurrezione anche dei primissimi fedeli, nel frattempo defunti insieme alla loro speranza di fare in tempo a veder ritornare, gloriosamente, il “salvatore”. La cui identità ufficiale, comunque – aggiungono sempre Biglino ed Esposito – verrà definita soltanto tre secoli dopo, al Concilio di Nicea, nel quale sarà l’imperatore Costantino a imporre un canone teologico univoco ai tanti cristianesimi dell’epoca. La religione imperiale nasce quindi politicamente, per votazione: dopo aver tentato di sbarazzarsene con le persecuzioni (4-5.000 vittime), il potere romano ha capito che è meglio farseli amici, i cristiani, dal momento che sono destinati a conquistare il popolo, essendo gli unici a promettere a tutti l’impensabile, cioè la resurrezione dalla morte.Nei primi due secoli, però, l’antico rabbi messianista ebraico – nel frattempo ribattezzato Gesù Cristo – è tante cose insieme, l’una in contraddizione con l’altra: risorto o non risorto, morto sulla croce o non morto, figlio di Dio o emanazione di Dio stesso, oppure un semplice profeta, o meglio ancora un semidio come tanti. «In passato ne furono inviati sulla terra anche 70 per volta», scrive Celso, citando i cristiani (che combatte). Un autore ultra-cristiano come il filosofo e poi martire Giustino, futuro Padre della Chiesa, spiega invece all’imperatore Antonino Pio che, in fondo, Gesù di Nazareth è fatto della stessa pasta di tutti gli altri semidei: «Non è che uno dei tanti figli di Zeus», nientemeno. Tracce evidenti, annotano Biglino ed Esposito, del lungo viaggio – da Oriente a Occidente – compiuto dalle cosiddette “sacre scritture”, incessantemente ritoccate e manipolate, fino al medioevo, per adeguarle agli umori culturali delle varie epoche. Atto d’inizio: il ritorno del popolo ebraico dall’esilio babilonese, all’alba del 500 avanti Cristo. Già allora si rompe l’integrità della tradizione mosaica, strettamente materialista, quando nutriti gruppi di ebrei – anziché tornare in Palestina – si disperdono ai quattro angoli del Mediterraneo, assorbendo gradualmente la cultura ellenistica, impregnata di filosofia greca.Il colpo più grave alla tradizione veterotestamentaria è inferto dalla Bibbia dei Settanta, redatta nel III secolo avanti Cristo dagli ebrei riparati in Egitto nella colonia ellenica di Elefantina: scritta in greco e destinata al pubblico non ebreo, la Septuaginta inaugura la consuetudine delle traduzioni più arbitrarie e spericolate, spiritualizzando il testo, in un’operazione che poi contaminerà la stessa Bibbia in latino. Ancora oggi, per molte comunità ebraiche come quelle italiane, il lavoro dei Settanta è considerato «una disgrazia, per l’umanità». E’ in quelle pagine, infatti, che il Khavod (il velivolo bellico di Yahwè) diventa “doxa”, insegnamento, mentre il Ruach (astronave?) si trasforma magicamente in “pneuma”, spirito. A suggerire l’ipotesi delle “macchine volanti”, pericolose e fragorose, Biglino arriva per deduzione, leggendo in modo coerente il contesto degli episodi narrati nell’Antico Testamento, in cui questi “oggetti misteriosi” agiscono. In ogni caso, in ebraico – alla lettera – Khavòd significa “pesante”, e Ruach “vento”. Eppure, con la Septuaginta, si dà fiato alle traduzioni di fantasia (anima, conoscenza) in omaggio alla cultura egemonica dell’ellenismo, in un paesaggio dominato da divinità olimpiche e mitologie letterarie, platonismo filosofico e spiritualità misterica e gnostica.Tutte espressioni culturali estranee all’ebraismo originario, adottate – con la riscrittura integrale della Bibbia – per indurre egiziani, romani e greci ad accettare gli ebrei della diaspora come depositari di una tradizione culturale altrettanto antica, e per di più allineata alla temperie religiosa del momento. Nulla, comunque, in confronto alla surreale distorsione teologica dell’Antico Testamento condotta per quasi un millennio, dai primi secoli fino al medioevo, dai Padri della Chiesa. Erano alle prese con una missione impossibile: far discendere “Gesù” dal presunto “Dio unico” dell’Antico Testamento. «Come ci sono riusciti? Facendo come se la Bibbia non esistesse proprio, cioè infischiandosene del contenuto ebraico e del suo significato originario», spiegano Biglino ed Esposito. Stessa sorte per Giosuè, alias Yehoshua di Gàmala, cittadina del Golan forse depennata fin dall’inizio per allontanare collegamenti indesiderati, visto che proprio Gàmala – roccaforte degli zeloti anti-romani – era stata un importante centro della resistenza militare ebraica contro l’invasione imperiale.Nessun rispetto, sottolineano gli autori di “Dei e semidei”, per il futuro protagonista dei Vangeli. E’ stato infatti impunemente trasformato, all’occorrenza, da rabbi giudeo messianista a salvatore del mondo, passando attraverso stadi intermedi: “logos” gnostico, oppure rassicurante semidio, perfettamente sovrapponibile alle altre divinità del periodo, adorate dai pagani, allora largamente maggioritari. La situazione si sarebbe invertita solo con l’Editto di Teodosio del 380 dopo Cristo, quando i neo-cristiani avrebbero potuto cominciare a perseguitare con ferocia, anche compiendo stragi efferate, i seguaci del paganesimo. I nodi, comunque, secondo Esposito e Biglino stanno venendo al pettine, sia pure con lentezza. Uno dei “cerotti” storicamente usati per tenere insieme Antico e Nuovo Testamento si è appena scollato: è il caso della presunta profezia “cristica” di Isaia, in realtà inesistente, con cui si pretendeva di sostenere che la Bibbia ebraica anticipasse l’avvento del redentore.“La vergine concepirà”, si traduceva fino a ieri, lasciando intendere che il sommo profeta ebraico alludesse a Maria e Gesù. Ora è emersa anche ufficialmente la traduzione corretta, recepita in primis dai vescovi tedeschi: “La ragazza è incinta”, si legge ora. Dunque non era vergine (si scriverebbe “betulà”, in ebraico), ma semplicemente giovinetta (“almà”, come infatti è scritto), e aveva il concepimento già alle sue spalle. Non era Maria, infatti, la donna citata da Isaia, ma una fanciulla vissuta secoli prima, di nome Abià, da cui si sperava nascesse un bambino destinato a trasformarsi in liberatore politico di Israele. Chi era, invece, il vero Yehoshua di Gàmala, meglio noto come Gesù di Nazareth? Certo non il personaggio che è stato raccontato, ovvero fabbricato. E questa è l’unica certezza di Biglino ed Esposito. Che si congedano dal lettore regalandogli un ultimo dubbio, dedicato all’arcangelo Gabriele: siamo proprio così sicuri che il futuro Cristo non fosse davvero un semidio, come tanti altri dell’antichità, discesi sulla terra “anche in numero di 70 alla volta”, come ricordava Celso? Erano tutti mezzosangue: nati in modo anomalo, con un genitore terrestre e l’altro celeste, o comunque non umano. Valoroso e sfortunato, “Gesù”, come gli eroi omerici figli di uomini e dèi, formidabili ma non immortali?(Il libro: Mauro Biglino e Francesco Esposito, “Dei e semidei. Il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”, UnoEditori, 340 pagine, euro 16.90).Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della comune mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità?
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L’infame guerra di Bergoglio, che ora insulta la democrazia
Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e Pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra. Per trovare un vago precedente bisogna risalire alla scomunica di Papa Pio XII, nell’estate del 1949, nei confronti dei comunisti. Ma il comunismo era un regime totalitario e ateo in atto, perseguitava i credenti e i dissidenti, soffocava nel sangue e nel gulag la libertà. Qui siamo a una scomunica a priori nei confronti di leader e movimenti popolari, democratici e liberamente eletti che non si sono macchiati di alcun crimine e non hanno fatto nessuna azione o dichiarazione ostile verso la fede, la Chiesa e i credenti.Scomunicandoli, Bergoglio si è lanciato in uno spericolato paragone tratto dalla propaganda corrente, tra il sovranismo di oggi e il nazismo e la guerra di ieri e di domani. Sarebbe come accusare di comunismo antioccidentale o di complicità col fanatismo islamico chiunque voglia far sbarcare i clandestini e imporne l’accoglienza. Un processo alle intenzioni senza fondamento. Del resto quante guerre recenti sono state combattute nel nome della pace e del Bene contro le potenze del Male; quante guerre pacifiste, quanti stermini umanitari, quante bombe progressiste sganciate sulle popolazioni, quante invasioni a fin di bene, quanti maltrattamenti e respingimenti democratici di immigrati clandestini. Fu il democratico e pacifista Kennedy a far la guerra in Vietnam e a sfiorare la guerra a Cuba con l’Urss; toccò al “cattivo conservatore” Nixon chiudere la sciagurata guerra in Vietnam e dialogare col comunismo cinese.Con la sua dichiarazione di guerra ai sovranisti, Bergoglio ha compiuto tre atti ostili in uno: ha offeso i cattolici che liberamente votano per i “sovranisti” riducendoli a potenziali seguaci di Htler e nemici dell’umanità e della cristianità, erigendo così un muro d’odio e disprezzo nei loro confronti; proprio lui che dice di voler abbattere tutti i muri ne ha eretto uno gigantesco, insormontabile. Ha poi schiacciato la Chiesa su un versante politico a fianco di movimenti, governi e organi laicisti, atei, massonici, di sinistra radicale o all’opposto filo-islamici, comunque avversi alla cristianità e ai suoi valori, alla civiltà cattolica e alla famiglia cristiana. E si è schierato con l’Europa anticristiana degli eurocrati, con l’establishment laicista e col peggior capitalismo finanziario, contraddicendo anche il suo populismo cristiano-terzomondista. Peraltro Bergoglio deve ancora raccontarci che rapporti ebbe con la dittatura argentina quando era influente prelato in patria.I catto-bergogliani sono insorti con livore e disprezzo (ma sempre in nome della carità) contro chi muove queste obiezioni al Papa, accusandoli d’insolenza. E’ ridicolo che questi cattolici progressisti ricorrano al dogma dell’infallibilità del Papa e si trincerino dietro quel principio di autorità che hanno calpestato fino a ieri, diciamo fino a che era Papa Ratzinger. Il problema è opposto: non è chi critica le dichiarazioni politiche di Bergoglio a mettersi al di sopra del Papa, ma è Bergoglio a scendere al di sotto del suo ruolo di Papa, fino a usare strumenti della propaganda politico-mediatica di sinistra che accusa di nazismo chiunque non la pensi come loro. Un vero Pontefice dovrebbe innalzare ponti e non steccati, dovrebbe porsi al di sopra delle parti e delle ideologie, esortare a trovare un punto di sintesi, sforzandosi di salvare un nucleo di verità in ciascuna delle parti in campo. Per i catto-bergogliani la verità del Vangelo e della cristianità non è quella trasmessa da duemila anni di tradizione cristiana, di fede, dottrina, esempio di santi e teologi, di papi e martiri. Ma è solo nella lettura che ne fa ora Bergoglio in un volo pindarico dal cristianesimo delle origini al Concilio Vaticano II, con un breve scalo francescano. Il resto è cancellato.È puerile e riduttiva questa rappresentazione manichea del Bene e del Male. I mali di cui è infestata la società sono molteplici, evidenti e remoti dal sovranismo: la droga e la criminalità derivata, il terrorismo e il fanatismo, la persecuzione dei cristiani nel mondo, la delinquenza diffusa e il traffico di bambini, di uteri, di organi, di donne, di migranti, solo per citarne alcuni. Mali rispetto a cui il sovranismo è considerato da molti come argine e antidoto. Elevando il sovranismo a male sovrano dell’epoca, passano in sordina questi mali globali, coi loro agenti e alleati. In un mondo dominato dall’ateismo e minacciato dall’islamismo, Bergoglio addita come nemico principale il sovranismo e come suo gesto di massimo sfregio l’esibizione del rosario. Intanto la civiltà cristiana e la fede cristiana vengono cancellate dalla vita pubblica e privata, le chiese, i fedeli e le vocazioni sono in caduta libera, il senso religioso sparisce nell’orizzonte della gente; ma quel che conta è la mobilitazione umanitaria pro-migranti e resistenza contro un presunto pericolo nazista. E intanto i cattolici praticanti in Europa, una volta esclusi i sovranisti, si riducono all’otto per mille della popolazione…(Marcello Veneziani, “Bergoglio va alla guerra” dal numero 38 di “Panorama”, ripreso dal blog di Veneziani).Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e Pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra. Per trovare un vago precedente bisogna risalire alla scomunica di Papa Pio XII, nell’estate del 1949, nei confronti dei comunisti. Ma il comunismo era un regime totalitario e ateo in atto, perseguitava i credenti e i dissidenti, soffocava nel sangue e nel gulag la libertà. Qui siamo a una scomunica a priori nei confronti di leader e movimenti popolari, democratici e liberamente eletti che non si sono macchiati di alcun crimine e non hanno fatto nessuna azione o dichiarazione ostile verso la fede, la Chiesa e i credenti.
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Anche Sanders evoca gli Ufo. Cercano di dirci qualcosa?
Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».“Chi comanda il mondo?”, recitava una canzone dell’italiano Povia. E se un giorno saltasse fuori che a tirare le fila – al di sopra degli arsenali, missilistici e finanziari – c’è qualcuno che proprio terrestre non è? Che figura ci farebbero, i padreterni come Trump, Putin e Xi-Jinping? O meglio: quel giorno si capirebbe “per chi lavorano, davvero”. Fantascienza? Peggio: complottismo da strapazzo. Così almeno strepitano, prontamente, tutti i debunker del globo. Carina, la barzelletta degli alieni: ideale per assolvere comodamente i peggiori politici. Ma appunto, chi comanda il mondo? Non certo i cittadini tramite i governi: si vede che fine fanno, più o meno ovunque, le promesse elettorali (senza contare i paesi – non pochi – dove la democrazia formale neppure esiste). Chi c’è dietro, cioè sopra? Elenco sterminato di poteri forti. Le banche, Wall Street, la Trilaterale, i signorotti che ogni anno concedono passerelle rituali a beneficio dei riflettori, da Davos al Bilderberg. Poi ci sono i decisori veri, il Gruppo dei Trenta, la Ert. Ma il Group of Thirty si occupa di finanza, e la European Roundtable of Industrialists di leggi e agevolazioni strategiche per incrementare i profitti industriali. Chi, allora, lassù?Spiccano ad esempio onnipotenze geopolitiche come la Chatham House, alias Royal Institute of International Affairs, e il suo omologo super-salotto statunitense Cfr, Council on Foreign Relations. Va bene, ma chi stabilisce chi può accedere a quei sommi santuari del potere? Il gotha massonico mondiale, risponde Gioele Magaldi: un’élite di matrice iniziatica, che seleziona accuratamente i suoi adepti. Alcuni dei quali, ha ammesso di recente lo stesso Magaldi, vantano rapporti privilegiati con “entità extraterrestri”. Dall’alto della presidenza del Cun, Centro Ufologico Nazionale, e dei suoi storici rapporti con l’aeronautica, l’italiano Roberto Pinotti afferma: il vero problema, per gli alieni, è trovare adeguati interocultori terrestri. I capi delle superpotenze? Spettacolo sconsolante: sono ancora lì a minacciarsi a vicenda, mentre la Terra sta per implodere a causa dell’inquinamento. Forse, aggiunge Pinotti, gli unici portavoce credibili potrebbero essere i leader religiosi. Davvero? Torna alla mente lo sconcertante racconto di monsignor Loris Capovilla, “cameriere segreto” di Giovanni XXIII. Raccontò alla stampa estera che, nel luglio del 1961, un disco volante atterrò nel parco di Castel Gandolfo. Dall’astronave scese un individuo che si appartò a parlare col pontefice. Una volta decollato, il Papa era in lacrime: «I figli di Dio sono dappertutto», si limitò a dire all’esterrefatto segretario.Di “fratelli dello spazio” parla anche l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, direttore della Specola Vaticana, potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham, in Arizona. A “Tv 2000”, padre Funes ha dichiarato che non avrebbe difficoltà a battezzarli, gli eventuali “fratelli dello spazio”. Quante cose sa, padre Funes? Perché si occupa così intensamente di esobiologia, cioè di vita extraterrestre? E perché i gesuiti spendono milioni di dollari per sondare lo spazio, in proprio, “rubando il mestiere” alla Nasa? Stanno cercando di dirci qualcosa di importante? Vogliono prepararci a un evento forse imminente, ormai? Viceversa, non si capisce perché un pezzo da novanta del Vaticano si metta, di punto in bianco, a parlare di marziani. Siamo arrivati alla fine di un lungo “Truman Show” allestito per depistare il pubblico, che non avrebbe retto alla notizia? A domandarselo è un fenomeno editoriale come Mauro Biglino, che entro fine anno debutterà anche come attore nel kolossal “Creators, the past”, con Gerard Dépardieu e William Shatner, il “capitano Kirk” della serie televisiva “Star Trek”. La tesi: siamo stati “fabbricati” dagli alieni, che – da millenni – ci controllano a distanza, tramite i loro fiduciari terrestri.Prima di pubblicare libri di successo (trecentomila le copie vendute solo in Italia, senza contare le versioni per l’estero), Biglino ha tradotto 19 libri dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, destinate agli studenti universitari. Nella sua rilettura strettamente letterale della Bibbia, Biglino sposta il problema di Dio molto più in là di Yahwè: senza mai escludere la possibilità dell’esistenza di una divinità superiore, l’autore dimostra che il protagonista biblico non era onnisciente, né onnipotente, né immortale. Era solo uno dei tanti Elohim, una ventina, presentati nel testo antico coi loro nomi: individui potenti e temuti, molto longevi, tecnologicamente evoluti e dotati di velivoli rumorosi. La loro specialità? Governare popoli, l’un contro l’altro armati. La Bibbia è un libro di guerra, identico ai testi antichi di tanti altri popoli, dalla Mesopotamia all’India. Si narra che la nozione filosofica di spiritualità sia nata coi Veda, ma il ricercatore Enrico Baccarini, giornalista della “Bbc”, smentisce: i libri indiani, antichissimi, non contengono tracce religiose. Sono solo cronache, che narrano le gesta dei Deva, anch’essi potentissimi ma non onnipotenti, estremamente longevi ma non immortali. Chi erano? Gli stessi che i sumeri chiamavano Anunnaki, gli egizi Netheru, i peruviani Viracochas, i greci Theoi, gli irlandesi Túatha Dé Dànann.Ogni popolo della Terra – per iscritto, mediante incisioni nella roccia o tramite racconti orali – ci ha tramandato la memoria dello stesso tipo di incontri, dalla Cina all’Africa, passando per il Medio Oriente, l’America e l’Europa: secondo i nuovi ricercatori come Biglino, la memoria dell’umanità porta impressa nel suo Dna quell’impronta decisiva, che secondo i genetisti odierni (ed esempio Pietro Buffa, del King’s College di Londra) spiegherebbe anche il “salto quantico”, l’anello mancante tra noi e la scimmia. Abbiamo sbagliato tutto, scrisse Alfred Russel Wallace, co-autore con Charles Darwin della teoria evoluzionistica: «Con l’uomo non funziona», disse Wallace all’illustre collega. «Nel nostro caso è evidente l’intervento di un’intelligenza superiore». Venuta da dove? Dalla Terra o dallo spazio? Dalla nostra galassia? Da Orione, come dicono le fonti indiane? Dalle Pleiadi? Per i Veda, l’universo è popolato da non meno di 400.000 specie umanoidi, alcune delle quali comparse anche sulla Terra. Se neppure Darwin l’ha mai trovato, il “missing link” tra noi e lo scimpanzè, i nuovi studiosi – archeologi, paleontologi, fisiologi – sembrano propensi a identificarlo, l’anello mancante, collegando i testi antichi alla fantascienza, così spesso anticipatice di tanta tecnologia poi divenuta d’uso comune. Profezie visionarie o vere e proprie anticipazioni, quelle di “Guerre stellari” e “Star Trek”?Cos’è cambiato, negli ultimi anni, riguardo alle nostre conoscenze in materia? Moltissimo. Gruppi di scienziati, spesso giovani, si stanno concentrando proprio su questo: la possibile coerenza storica delle fonti letterarie antiche, alla luce dei più recenti ritrovamenti. Che si succedono a cascata, a valanga: nel 2014, i geofisici Richard Firestone e James Kennett hanno accertato che la Terra è stata sconvolta in due round, attorno a 12.000 anni fa, da una pioggia di comete. Risultato: tsunami, esplosione di vulcani, buio e gelo, glaciazione, estinzioni di massa, disgelo e “diluvio universale”, con innalzamento degli oceani fino a ridisegnare la geografia dei continenti. Dai bassi fondali dell’Oceano Indiano ora emergono rovine di città sommerse. Le date coincidono: il cantiere archeologico che ha messo a nudo il complesso di Göbekli Tepe, in Turchia (interrato nel 9.500 avanti Cristo) costringe a retrodatare di migliaia di anni l’introduzione dell’agricoltura. E mentre l’egittologia continua a raccontare che le piramidi erano tombe monumentali erette dai faraoni 5.000 anni fa, geologi e climatologi spiegano che hanno almeno 15.000 anni. Fisici di tutto il mondo, intanto, compiono test ogni notte nella piramide di Cheope, scoprendone le doti di stupefacente concentratore energetico capace di provocare l’abbattimento di particelle subatomiche.Sui giornali è circolata la seguente notizia: il sofisticato schema tecnologico della grande piranide di Giza potrebbe ispirare nuove celle fotovoltaiche decisamente avveniristiche e ultra-potenti. Altre piramidi, intanto, sono emerse in Bosnia: immense, a lungo scambiate per colline, e datate 30.000 anni in base al radiocarbonio. Costruite da chi? Lo scopritore, l’antropologo Sam Osmanagich, già in forza all’università di Houston, protesta: l’archeologia ufficiale non le classifica ancora come manufatti, benché siano state costruire con giganteschi mattoni di calcestruzzo. Sono percorse da chilometri di sotterranei, come quelle egizie, ed emettono un’energia di cui gli studiosi non hanno ancora rilevato l’origine. La storia è interamente da riscrivere, sostiene un pioniere come lo scozzese Graham Hancock: quelli che gli antichi chiamavano dei, dice il professor Graziano Baccolini dell’università di Bologna, erano chiaramente astronauti. L’orizzonte della civiltà, di colpo, sembra allungarsi a dismisura: in Sudafrica, Michael Tellinger ha rilevato le tracce di una vera e propria “metropoli”, a due passi dalle miniere d’oro più antiche del pianeta. Una città imnmensa, che oggi avrebbe addirittura 200.000 anni. Ancora più enigmatica la scoperta della “mappa del creato”, in Russia, sugli Urali: un lastrone che riproduce perfettamente, dall’alto, la geografia russa. Dettaglio: molluschi ora fossili, ma intrappolati ancora vivi fra uno strato e l’altro dell’opera all’epoca della sua misteriosa realizzazione, si estinsero non meno di 120 milioni di anni fa.Informazioni frammentarie e sconcertanti: un po’ troppe, e tutte emerse nel giro di pochi anni. Si affacciano sui media come curiosità esotiche, ma non riescono ancora a essere metabolizzate dal sapere accademico, completamente spiazzato. E’ partita una specie di corsa, affidata a scienziati coraggiosi. Vuoi vedere che la nostra storia è infinitamente più lunga di quella finora tracciata dalla storiografia? E se si accertasse che la nostra vera origine è davvero extraterrestre? Nel libro “L’altra Europa”, l’avvocato vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, parla di un’unica dinastia di potere saldamente al comando da 12.000 anni, dietro al paravento di imperi e Stati. Fonte: l’esoterista francese Maurice Schumann, massone e gollista, tra gli ispiratori dell’Ue. Schumann la chiama “La Struttura”. Dalla Mesopotamia avrebbe conquistato il Mediterraneo, quindi il resto del mondo. Lo stesso Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, che dà credito al greco Filone di Byblos quando cita l’opera del fenicio Sanchuniathon, che nel 1200 avanti Cristo scrive: le divinità vivevano tra noi ed erano prepotenti, la loro mitologia mistica è stata poi costruita a tavolino dai sacerdoti antichi, che hanno velato la verità inventando la categoria del mistero.Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, nel saggio “Il mistero della situazione internazionale” sintetizza: i “poteri oscuri” che dominano il pianeta sono costituiti da due grandi catene di comando, una massonica e l’altra religiosa. In realtà sono “forze dell’ostacolo”, che – scatenando guerre e seminando ingiustizie – costringono l’umanità ad evolversi. La sua è una lettura quasi consolante e spiritualistica, di marca steineriana. Il concetto di spiritualità, però, nella nostra storia – almeno, quella leggibile – è stato introdotto solo in epoca recente, dal platonismo. Prima, c’erano solo “divinità” aliene, in carne e ossa, generose come l’indiano Krishna o spietate come Yahwè e colleghi. Unica eccezione, la teologia mazdea che la tradizione attribuisce a Zoroastro, 1400 avanti Cristo: l’uomo, di origine celeste, “intrappolato” sulla Terra dal perfido Ahriman, principio del male, antagonista del signore della luce Ahura Mazda. Extraterrestri ante litteram? Suggestioni ricorrenti, se ora ci si mettono anche i politici – con un’inistenza francamente sorprendente. Diversi presidenti americani avrebbero promesso, in campagna elettorale, di dire “tutta la verità” sugli Ufo. Nel 2009, Mikhail Gorbaciov ha ricordato che lui e Reagan si promisero reciproco aiuto, nel 1985 a Ginevra, in caso di “invasione aliena”. Scherzavano soltanto?Il 2 luglio 1947, un oggetto volante non identificato – ma in panne, vistosamente infuocato – precipitò a Roswell, in New Mexico. Ai testimoni oculari, le autorità mostrarono giorni dopo un pallone-sonda caduto: non era l’oggetto che avevamo avvistato, dissero i contadini. Il caso venne rapidamente archiviato. Ma nei 12 mesi seguenti, stranamente, l’ufficio brevetti degli Stati Uniti fu assediato da innovazioni avioniche, da cui poi si svilupparono rapidamente i moderni jet. Coincidenze? Di extraterrestri si parla sempre più spesso: gli X-Files sbancano sempre il botteghino. Ma perché ora l’argomento finisce in modo insistente nel menù della politica? Nel 2015 ha fatto il giro del mondo la nota del ministero della difesa russo, che annunciava l’attracco di una nave di Mosca nel porto saudita di Gedda. I russi avrebbero imbarcato l’Arca di Gabriele, per poi “tombarla” in Antartide, dopo che la strana cassa d’oro, custodita alla Mecca, avrebbe scatenato una tempesta energetica capace di uccidere migliaia di pellegrini. Vero o falso? I media sauditi attribuirono la strage a una crisi di panico tra la folla, mentre un’équipe di tecnici, nel sottosuolo, avrebbe tentato di raggiungere la misteriosa reliquia, donata a Maometto e gemella di quella affidata da Yahwè a Mosè.Per inciso: l’Arca biblica – alla lettera – era un oggetto pericoloso, da maneggiare con cura, affidato a personale specializzato e debitamente abbigliato. Una sorta di potente generatore energetico. Sta davvero per accadere qualcosa di rivoluzionario? Domani, magari grazie a qualche capo di Stato (o anche solo alla signora Sanders), emergeranno come verità ufficiali gli indizi che i testi antichi sembrano metterci sotto il naso da migliaia di anni? Sarebbe un colpo sensazionale, dopotutto: crollerebbe l’intera costruzione del potere terrestre. Tutti burattini inconsapevoli, manovrati da pochissimi eletti in contatto coi signori della galassia? Un po’ troppo, per la mente umana: inaccettabile, per popolazioni afflitte da grane ordinarie come lo spread, i migranti e le crisi geopolitiche, tra un campionato di calcio e la messa cantata dal religioso di turno, col ditino alzato, impegnato a lanciare severi ammonimenti morali. L’epifania sarebbe un capolavoro comico: salve, vengo da Marte e ho due o tre cose da dirvi, come peraltro i vostri capi già sanno. Tra chi non ride affatto, di fronte all’ipotesi che la fantascienza si decida a venirci finalmente a trovare, c’è proprio l’ufologo Pinotti: storicamente, dice, l’incontro improvviso tra civiltà diversissime comporta la fine, anche traumatica, della società meno avanzata. Della nostra, peraltro, non c’è di che vantarsi. Ma non tutti sono pessimisti, riguardo agli incontri ravvicinati. “Extraterrestre, portami via”, cantava Finardi, quasi fiducioso – già allora, 1978 – in un aiuto dal cielo.Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».
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Atlantide, la scienza convalida Platone: cataclisma nel 9500
Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.Il lavoro di Bizzi, edito da Aurora Boreale, conferma in modo impressionante come le ultime rivelazioni scientifiche non siano mai state un segreto per gli iniziati ai “misteri eleusini”, comunità di cui lo stesso Bizzi fa parte, per via familiare, essendo stata ben radicata – sottotraccia – nella fiorentissima Firenze dei Medici. Il cosiddetto “mito” eleusino nasce alle porte di Atene, quando la dea Demetra – ultima discendente dei Titani, sconfitti dagli dei olimpici – mette a parte i seguaci del “segreto” dell’origine umana: saremmo stati “fabbricati” dalle divinità titaniche come Poseidone. Da allora (1300 avanti Cristo), il santuario di Eleusi diventa il presidio di questa “verità misterica”, custodita dai sacerdoti di Demetra, eredi di quell’antica rivelazione. Suggestioni vertiginose: per volere di Augusto, il poeta Virgilio celebra la nascita di Roma ad opera di Enea, ultimo eroe di Troia. La guerra omerica dell’“Iliade” sarebbe la traccia letteraria della resa dei conti finale tra i Titani e Zeus, di cui parla anche Esiodo nella sua “Teogonia”.Attenti ai simboli: per la tradizione misterica, la stessa Demetra arrivò a Eleusi partendo da Enna, in Sicilia. In queste tre fonti (Omero, l’“Eneide” e il culto eleusino) ricorre la radice “En’n” (inizio). Non casuale, quindi, il nome di Enea: il troiano fondatore di Roma sarebbe stato l’erede della civiltà “atlantidea”, estesasi nel Mediterraneo prima del grande cataclisma “cometario” che stravolse la Terra. Ma in realtà, anziché “atlantidea”, quella civiltà-madre (nord-atlantica e poi anche minoica, basata a Creta e poi in tutto l’Egeo fino all’Asia Minore) era chiamata “ennosigea”, dal nome di una delle principali di quelle sette macro-isole, chiamata appunto En’n. Questa possibile verità parallela – tranquillamente esposta da Platone – fu tollerata per quasi duemila anni, fino allo sciagurato Editto di Tessalonica del 380 dopo Cristo, quando l’imperatore Teodosio trasformò il neonato Cristianesimo in religione di Stato, l’unica autorizzata, mettendo fuorilegge tutte le altre e dando il via alla feroce persecuzione del paganesimo.A partire da quell’anno, scrive Bizzi nel suo affascinante saggio, tutti i templi eleusini fuorno distrutti – tranne quello di Eleusi, che venne semplicemente abbandonato. Da allora, la “comunità eleusina” si rassegnò a sopravvivere in clandestinità, con esiti spesso clamorosi come il Rinascimento italiano, promosso da principi illuminati del calibro di Lorenzo il Magnifico, espressione della tradizione eleusino-pitagorica. Stando a Bizzi, in possesso di documenti inediti e gelosamente conservati per secoli, erano “eleusini” anche i grandi architetti della Roma rinascimentale, ingaggiati dai Papi medicei. E sempre a Firenze, alla fine del Trecento, si svolse il più incredibile dei summit: alla corte dei Medici si sarebbero confrontati i rappresentati vaticani e persino gli emissari del Celeste Impero cinese, per decidere se e come diffondere la notizia della spedizione navale dello scozzese Henry Sinclair, conte delle Orcadi, sbarcato in America (cent’anni di prima di Colombo) con 40 navi templari sulle coste del Rhode Island.Siamo alla vigilia di scoperte sensazionali sulla vera storia della nostra civiltà? Certo non ci è d’aiuto l’archeologia ufficiale, scrive Bizzi in un’accurata ricostruzione su Facebook, in cui spiega le ragioni dell’assurda reticenza della disciplina archeologica accademica, oggi quotidianamente scavalcata dai nuovi ricercatori, archeologi e non, disposti a procedere incrociando i loro dati con quelli dei geofisici, dei climatologi, dei paleontologi, degli astrofisici. «Considerata in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte – ragiona Bizzi – l’archeologia è stata sempre considerata come una delle quattro branche dell’antropologia (insieme all’etnologia, la linguistica e l’antropologia fisica)». I suoi difetti? «Ottusità, malafede, e soprattutto anti-scientificità». Dice Bizzi: «È doloroso doverlo affermare, ma l’archeologia è oggi una delle poche discipline scientifiche (o con pretesa di scientificità) che non procedono secondo un metodo “scientifico”».Una disciplina, l’archeologia, «corrosa e inquinata da pesanti rivalità professionali, da miopia e da ristrettezza di vedute», nonché «minata da una cronica mancanza di fondi per gli scavi e per la preservazione del patrimonio finora scoperto». Soprattutto, «anziché comportarsi da vera disciplina “complementare”, come dovrebbe essere», l’archeologia «si rifiuta di accettare i dati di supporto della geologia, della chimica, della biologia, dell’astronomia e di altre discipline, e resta chiusa in sé stessa e nel suo immobilismo». Risultato: «Tutte le scoperte “scomode”, che rischiano di alterare o stravolgere il “paradigma” comunemente accettato, vengono sistematicamente nascoste, occultare: ne viene negata la pubblicazione e la conoscenza da parte dell’opinione pubblica». Così, a forza di “questo non si può dire”, il sapere «si riduce a dogma di fede». Nel testo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, lo storico della scienza Thomas Kuhn definisce il paradigma scientifico «un risultato universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati».Solo le discipline più mature, non a caso, possiedono un paradigma stabile, osserva Bizzi. «E il paradigma prevalente rappresenta spesso una forma specifica di vedere la realtà o le limitazioni di proposte per l’investigazione futura». In altre parole, «un freno e un limite talvolta inaccettabile». Lo stesso Hancock, parlando di “paradigma archeologico”, sostiene che l’archeologia ortodossa si basa su «presupposti aprioristici riguardo a ciò che accadde in passato», e li usa come pretesto «per non effettuare indagini ad ampio raggio su ciò che effettivamente accadde». Scarsa cultura, stupidità o malafede? E’ Kuhn il primo a sostenere che, in modo complementare, «una rivoluzione scientifica sia necessariamente caratterizzata da un cambiamento di paradigma». E questa “rivoluzione”, archeologica e non solo, secondo Bizzi è ormai in corso da vent’anni. Cambio di paradigma, appunto: «Benché persistano all’interno degli ambienti accademici una grande miopia e una malcelata ottusità, stiamo assistendo fortunatamente ad un ricambio generazionale, alla crescita professionale e all’avvento di una nuova generazione di giovani storici e archeologi con uno spettro di vedute un po’ più ampio della precedente, e soprattutto con più determinazione e con una maggiore apertura verso la multidisciplinarietà».Certo, «sono ancora pochi quelli disposti a rischiare, magari a compromettere le loro carriere pur di portare avanti teorie innovative». Ma comunque «quei pochi ci sono, e sono sempre di più». Aggiunge Bizzi: «Questa rivoluzione è ormai partita e ritengo che niente possa più fermarla». Un dato sicuramente a favore dei pochi coraggiosi “pionieri” di questo nascente revisionismo storico-archeologico – spiega Nicola Bizzi – è sicuramente il rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica, indubbiamente favorito dall’avvento e dalla diffusione di Internet, che ha potenzialmente ampliato in maniera esponenziale l’accesso ai dati e alle notizie. «Inoltre, grazie alla pubblicazione e alla diffusione a livello mondiale di libri rivoluzionari di studiosi come Robert Bouval, Graham Hancock, John Antony West, Alan Alford, e alla nascita di importanti testate giornalistiche e riviste specializzate a larga diffusione, come l’italiana “Archeomisteri”, sta sempre più crescendo nell’opinione pubblica l’interesse per l’archeologia, e soprattutto la voglia di sapere, di conoscere, di non limitarsi alle apparenze e alle verità ufficiali e di comodo».Bizzi cita il ricercatore italiano Mauro Quagliati, secondo cui «la rivoluzione archeologica parte dall’Egitto». È infatti proprio grazie a tutta una serie di nuove scoperte inerenti alla Sfinge e alle piramidi, che questa “rivoluzione” ha potuto finalmente aprirsi un varco nell’immobilità degli accademici. Nonostante le negazioni a oltranza di certe “autorità”, proprio dall’Egitto sono emersi dei dati estremamente importanti. Recenti scoperte hanno dimostrato ad esempio, con il supporto della geologia, che la Sfinge è stata scolpita non meno di 12.000 anni fa. Il suo corpo è stato infatti eroso da millenni di piogge tropicali, quando l’Egitto aveva un clima ben diverso dall’attuale. Molte altre nuove scoperte tenderebbero a datare alla stessa epoca le tre piramidi di Giza, il Tempio della Valle e molti altri monumenti egizi. «A chi mi chiede se la mitica Atlantide descritta da Platone sia realmente esistita o se si tratti solo di una leggenda – scrive Bizzi – solitamente ribadisco che prima di rispondere dobbiamo partire dalla constatazione di quella che è una realtà oggettiva: la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola».Fino a pochi anni fa, il passato dell’uomo sembrava non avere misteri: sulla base di alcuni rinvenimenti gli scienziati credevano di poter stabilire, a grandi linee, la storia della nostra evoluzione, di essere in grado cioè di seguire lo sviluppo della civiltà attraverso le Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Ma lo schema fissato da questi studiosi era troppo semplicistico per rispecchiare la realtà. Lo dimostrarono migliaia di successive scoperte che, lungi dal completare il mosaico, lo ampliarono, estendendone le tracce in ogni direzione e rendendolo più incomprensibile che mai. «Oggi ci troviamo di fronte a tracce di grandi culture fiorite in epoche che avrebbero dovuto essere caratterizzate da un’assoluta primitività, almeno secondo le teorie canoniche della “scienza ufficiale”. Segni evidenti ci attestano l’esistenza di importanti baluardi di civiltà là dove non li avremmo mai sospettati». In sostanza, «oggi gli storici e gli scienziati avrebbero in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana», come dimostra la rivoluzionaria scoperta di Göbekli Tepe, nella Turchia orientale: un sito archeologico imponente e straordinario, fino ad oggi solo in minima parte portato alla luce, la cui datazione ufficiale si attesta oltre il 9.500 avanti Cristo.Per non parlare di altri siti come quello bosniaco di Visoko, le cui impressionanti piramidi sono state datate addirittura al 29.000 avanti Cristo. «Penso sinceramente che, se non assisteremo a una “manipolazione” di questa rivoluzione archeologica – sostiene Bizzi – il castello di carte degli storici accademici sia destinato inesorabilmente a crollare». Sarà allora, aggiunge lo storico, che il “paradigma” sarà finalmente rovesciato. Quel giorno, «la verità inizierà a venire alla luce in tutto il suo splendore». Per ora, resta “pericoloso” mettere in discussione, dal punto di vista storico, persino alcuni eventi della Seconda Guerra Mondiale, «quindi possiamo immaginarci quanto pericoloso possa essere mettere in discussione l’intera cronologia ufficiale della storia dell’uomo». Per Bizzi, «esistono dei “poteri forti”, delle vere e proprie “lobby” che pretendono di decidere sulle teste dei cittadini di questo mondo in tutti campi, non soltanto nella politica e nell’economia, ma anche nella storia: lobby di potere che hanno sempre attuato una sistematica e deliberata soppressione delle informazioni relative alle scoperte archeologiche più “scomode”, operando simultaneamente, oltre al taglio dei fondi e delle risorse, al discredito professionale degli archeologi impegnati in determinate ricerche e in determinati scavi».Francamente, ammettere l’esistenza di una civiltà avanzata prima dell’inizio della nostra era «comporterebbe una vera rivoluzione dei parametri storici: tutto sarebbe da riscrivere e molti ostinati negatori di certe realtà perderebbero la faccia». Per gli studiosi “ortodossi” è molto più facile attenersi al vecchio “paradigma” e ignorare le nuove scoperte, piuttosto che «intraprendere ricerche archeologiche e subacquee che si rivelerebbero costosissime ed estremamente difficoltose». Ma alla fine, «anche i più miopi e ostinati non potranno farlo ancora a lungo». Queste nuove scoperte “scomode” infatti si susseguono, sempre più numerose, con un ritmo ormai impressionante. «E gli argini della diga del “paradigma” mostrano crepe e spaccature ogni giorno più grandi». Come evidenzia Graham Hancock nel suo libro “Il ritorno degli Dei”, una casa costruita sulla sabbia rischia sempre di crollare. «E le prove dimostrano con sempre maggiore evidenza che l’edificio del nostro passato eretto dagli storici e dagli archeologi poggia su fondamenta difettose e pericolosamente instabili». Tra il 10.800 e il 9.600 il nostro pianeta «venne sconvolto da un cataclisma di dimensioni apocalittiche». Si trattò, come sottolinea Hancock, di «un evento che ebbe conseguenze globali e che influì molto profondamente sul genere umano», restando vivo nella memoria, nei miti e nelle tradizioni di tutti i popoli.Un evento sul quale molto è stato scritto, dibattuto e teorizzato, dal medioevo fino ad oggi. Ma soltanto fra il 2007 e il 2014 è stato pienamente confermato dalle prove e dalle testimonianze scientifiche, afferma lo storico fiorentino. Il lavoro divulgativo di Hancock, basato su rigorose ricerche scientifiche, riporta tutti i riscontri oggettivi del cataclisma che sconvolse il mondo tra 12.800 e 11.600 anni fa. «Ci fornisce le tanto attese prove che ci permettono di far uscire una volta per tutte questo evento di portata apocalittica dal calderone delle ipotesi e dalle nebbie del mito, contestualizzandolo cronologicamente e geograficamente». Come ha scritto Randall Carlson in “My Journey to Catastrophism”, «il nostro è un pianeta terribilmente dinamico, che ha subito cambiamenti profondi su una scala che supera di gran lunga qualsiasi cosa accaduta in un arco di tempo a noi prossimo». Quello che chiamiamo “la nostra storia”, dice Carlson, «è semplicemente la testimonianza di eventi umani che si sono verificati a partire dall’ultima grande catastrofe planetaria».Eppure, i popoli con i quali solitamente si vuol fai iniziare la storia “ufficiale”, ovvero i Sumeri e gli Egiziani, ci hanno lasciato documenti scritti che parlano di migliaia di anni della loro storia, precedenti a quella che conosciamo: migliaia di anni di storia precedenti al grande evento apocalittico che, in tutte le culture, fa da cerniera temporale fra il “prima” e il “dopo”. Come osserva lo stesso Hancock, alla luce delle nuove scoperte ci troviamo nel mezzo di un profondo “cambiamento di paradigma” per quanto riguarda il modo in cui guardiamo l’evoluzione della civiltà umana. Gli archeologi? Hanno la pessima abitudine di considerare gli impatti cosmici come fossero lontani milioni di anni, e in più «sostanzialmente irrilevanti nell’arco dei 200.000 anni di esistenza dell’uomo anatomicamente moderno». Finché si credeva che l’ultimo grande impatto fosse stato quello con l’asteroide che 65 milioni di anni fa si ritiene che abbia spazzato via i dinosauri, aveva ovviamente poco senso cercare di correlare gli incidenti cosmici su questa scala quasi inimmaginabile con l’arco di tempo molto più breve della storia dell’umanità. Ma a cambiare tutto, scrive Bizzi, è «lo scenario da incubo emerso dalle ricerche di quel gruppo di scienziati che ha recentemente dimostrato il devastante impatto del Dryas Recente, vale a dire quell’evento sconvolgente di dimensioni apocalittiche che ha sconvolto il nostro pianeta solo 12.800 anni fa, alle porte della nostra storia “ufficiale”».Significa «rovesciare il tavolo con tutto quello che c’è sopra», come si intuisce osservando «le tenaci e disperate resistenze dell’establishment accademico, fin dall’inizio rivolte verso gli studi rivoluzionari di Joseph Harlen Bretz prima e verso le scoperte di Jim Kennett e del suo team di scienziati poi». Resistenze paradossali, visto che ora emerge le nostra civiltà non nasce affatto nel Neolitico, ma assai prima. Ovvio: il vecchio “paradigma”, semplicemente, ignorava il cataclisma planetario. Si scatenò nel Dryas Recente (tra i 12.800 e gli 11.600 anni fa) e venne immediatamente seguito da grandi e importanti segnali di civiltà, come quella di Göbekli Tepe in Turchia. «Non si trattava di civiltà primitive appena uscite dalle caverne, bensì di popoli con strutture sociali complesse e già evolute, con alto senso artistico e religioso e con conoscenze astronomiche e architettoniche chiaramente riscontrabili negli imponenti edifici e monumenti che ci hanno lasciato». Oggi, ormai costretti dall’evidenza e dalle datazioni, gli archeologi definiscono i resti di Göbekli Tepe «primi esperimenti di vita civilizzata», che ebbero luogo subito dopo il “punto di interruzione” rappresentato dal Dryas Recente. «Ma non tengono conto del trauma immane e della distruzione globale messi in moto dagli impatti cosmici che causarono il Dryas Recente». E questo, per Bizzi, «rappresenta una vera e propria carenza nei metodi di ricerca e di valutazione».Peggio ancora: «Non si è pensato di considerare anche solo per un momento la possibilità che capitoli cruciali della storia umana, forse persino una grande civiltà della remota preistoria, possano essere stati cancellati (anche se ciò non è avvenuto nella memoria storica e nei miti di tutti i popoli antichi) da questi impatti e dalle inondazioni, dalle piogge nere bituminose, dall’oscurità e dal freddo indescrivibile che ne seguirono». Fino a non molti anni fa gli studiosi e i ricercatori indagavano su questo cataclisma apocalittico, di cui esitevano molteplici evidenze, ma non ancora le prove scientifiche delle sue cause. Ipotizzavano l’impatto di un meteorite di considerevoli dimensioni, sul modello di quello che si ritiene abbia provocato la scomparsa dei dinosauri. Con l’inizio del nuovo millennio, invece, si è fatta strada un’ipotesi «assai più inquietante, corroborata dalla massa crescente di indizi attestanti che 12.800 anni una cometa gigante, in viaggio su un’orbita che la portò a intersecare il Sistema Solare interno, si frantumò in una miriade di frammenti». Molti dei quali, con un diametro anche superiore ai 2 chilometri, colpirono la Terra.Epicentro del disastro: il Nord America. Luogo dell’impatto: la calotta glaciale nord-americana. Conseguenze: «Lo scioglimento di colossali masse di ghiaccio causò spaventose alluvioni e maremoti, proiettando grandi nuvole di polvere nell’alta atmosfera, avvolgendo l’intero pianeta e impedendo per lungo tempo ai raggi del Sole di raggiungere la superficie». Era stata finalmente individuata la vera causa, che negli anni successivi sarebbe stata corroborata da solide prove scientifiche, del misterioso e repentino periodo di congelamento globale che i geologi chiamano Dryas Recente. «In sostanza, stava emergendo una verità a lungo solo ipotizzata e da molti, in ambito scientifico ed accademico, temuta e rifiutata». L’ultima conferma viene da “The Journal of Geology”, che riporta «la scoperta di un grandissimo quantitativo di nanodiamanti, rilevati in una vasta aerea ritenuta quella dei principali impatti». Si tratta di «diamanti microscopici che si formano in condizioni estremamente rare di pressione e calore di livelli altissimi, e sono ritenuti le impronte caratteristiche – proxy, o indicatori diretti, nel linguaggio scientifico – di potenti impatti di comete o asteroidi».E il team di scienziati guidato da Richard Firestone e da James Kennett, nel 2014, dopo sette anni di accese discussioni e dibattiti, spiegò che i campioni di sedimento sui quali si fondavano le prove contenevano, oltre ai nanodiamanti, diversi altri tipi di detriti che potevano avere unicamente un’origine extraterrestre, riconducibili a una cometa o a un asteroide. Tra i detriti, «minuscole sferule di carbonio che si formano quando goccioline di materiale organico fuso si raffreddano rapidamente a contatto con l’aria e molecole di carbonio contenenti il raro isotopo Elio-3, molto abbondante nel cosmo, ma non sulla Terra». Il team arrivò poi alla conclusione che la causa della devastazione fosse da imputare a una cometa, e non a un asteroide, dal momento che nello strato principale dei sedimenti esaminati erano del tutto assenti gli alti livelli di Nichel e Iridio che caratterizzano gli impatti degli asteroidi. «Si delineavano così con chiarezza le cause scatenanti del Dryas Recente: l’impatto dei frammenti di una super-cometa che avrebbero colpito la calotta glaciale nord-americana in più punti e una vasta aerea dell’emisfero settentrionale, arrivando a toccare il Mediterraneo, la Turchia e la Siria».Riassumendo: gli autori dello studio immaginano «un’onda d’urto devastante e di altissima temperatura che provocò un picco di sovrapressione, seguito da un’onda di pressione negativa, che diede luogo a venti intensi che spazzarono il Nord America viaggiando a centinaia di chilometri orari, accompagnati da potenti vortici generati dagli impatti». Non solo: «Una sfera di fuoco rovente avrebbe saturato la regione vicina agli impatti». E a distanze maggiori, il rientro in atmosfera ad altissima velocità del materiale surriscaldato (espulso al momento delle collisioni) avrebbe provocato «enormi incendi che avrebbero decimato foreste e praterie, distruggendo le riserve di cibo degli erbivori e producendo carbone, fuliggine, fumi tossici e cenere». E in che modo tutto ciò avrebbe potuto causare il drammatico congelamento del Dryas Recente? Gli autori dello studio propongono varie concause: la più rilevante sarebbe stata «l’enorme pennacchio di vapore acqueo proveniente dallo scioglimento della calotta glaciale». Sarebbe stato scagliato nell’atmosfera, combinato a immense quantità di polvere e detriti composti da frammenti dei corpi impattanti, dalla calotta glaciale e dalla crosta terrestre sottostante, oltre al fumo e alla fuliggine prodotta dagli incendi che devastarono l’intero continente.Nel complesso, come rileva Hancock, risulta abbastanza facile capire in che modo una tale quantità di detriti proiettata nell’atmosfera potesse aver portato ad un rapido raffreddamento, bloccando il passaggio della luce solare. L’insieme di vapore acqueo, fumo, fuliggine e ghiaccio – continua Bizzi – avrebbe generato una cortina persistente di nubi “nottilucenti”, con conseguente diminuzione della luce solare e raffreddamento della superficie, riducendo in tal modo l’insolazione alle alte latitudini, aumentando l’accumulo nevoso e causando un ulteriore abbassamento delle temperature in un ciclo continuo di retroazione. Per quanto devastanti, questi fattori diventano quasi insignificanti se paragonati alle conseguenze che gli impatti possono aver avuto sulla calotta glaciale: «Il maggiore effetto potenziale sarebbe stata la destabilizzazione e quindi lo scioglimento parziale della calotta glaciale in seguito all’impatto. Nel breve periodo ciò avrebbe liberato repentinamente acqua di disgelo e enormi blocchi di ghiaccio negli oceani del Nord Atlantico e dell’Artico, abbassando la salinità con conseguente raffreddamento superficiale».«Gli effetti di congelamento a lungo termine – aggiungono gli studiosi – sarebbero derivati in gran parte dal successivo indebolimento della circolazione termoalina nell’Atlantico Settentrionale, mantenendo un clima freddo nel Dryas Recente per più di 1.000 anni, fino a quando i meccanismi ciclici ripristinarono la circolazione oceanica». I risultati pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Science” il 4 giugno 2013 beneficiarono inoltre dei più recenti progressi nella tecnologia del radiocarbonio per raffinare la datazione dell’impatto cosmico da 12.900 a 12.800 anni fa e resero possibile una mappatura molto più particolareggiata dell’area di dispersine del materiale da impatto, che incluse quasi 50 milioni di chilometri quadrati del Nord, Centro e Sud America, una grande sezione dell’Oceano Atlantico e gran parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. E il fatto che i calcoli, presenti negli studi del 2013, indicassero il deposito di oltre dieci milioni di tonnellate di sferule all’interno di questo vasto campo di caduta, uniti agli studi presentati l’anno successivo sulla presenza nell’area interessata di enormi quantità di nanodiamanti, fece sì da togliere dalla mente dei ricercatori ogni dubbio sul fatto che al centro di tutto questo vi fosse un impatto cosmico, e nello specifico l’impatto di una supercometa.Sono stati, infine, individuati con chiarezza anche diversi punti d’impatto: la depressione di Charity Shoal nel Lago Ontario, la conca di Bloody Creek nella Nuova Scozia, il cratere di Corossol nel Golfo di San Lorenzo in Canada e l’area di Quebacia Terrain, sempre in Canada, ad Ovest di Corossol. E questi elencati, aggiunge Bizzi, sono i punti d’impatto che è stato possibile individuare grazie alle evidenze geologiche, mentre si ritiene che quelli maggiori e più devastanti, dovuti a frammenti della cometa di dimensioni nell’ordine di due chilometri e mezzo di diametro, abbiano riguardato la calotta di ghiaccio in punti più a Nord e più a Ovest. Ciò che colpisce in special modo, nel risultato di queste scoperte, secondo Hancock è il fatto che i cambiamenti climatici (avvenuti sia all’inizio che alla fine del Dryas Recente) abbiano avuto estensione planetaria e si compirono entrambi nell’arco di una generazione umana: 12.800 anni fa, una forza esplosiva combinata (10 milioni di megatoni) avrebbe sollevato nell’atmosfera sufficiente materiale da far piombare la Terra in una lunga, prolungata oscurità simile ad un inverno nucleare, cioè quel “periodo di oscurità” di cui parlano tanti antichi miti.Poi, il repentino riscaldamento verificatosi 11.600 anni fa, che pose fine al Dryas Recente, sarebbe sì in parte spiegabile con la dispersione finale della nuvola di materiale espulso. Ma vi sarebbe, a completare il quadro, anche un’altra spiegazione complementare: secondo gli scienziati, molti frammenti della cometa (anche enormi) sarebbero rimasti in orbita, fino a impattare nuovamente con il nostro pianeta nel 9.600 avanti Cristo. «La Terra, quindi, avrebbe nuovamente interagito 11.600 anni fa con la scia di detriti della medesima cometa frammentata che aveva causato l’inizio del Dryas Recente, determinandone una repentina fine». Stavolta, anziché nell’Artico, l’impatto di sarebbe verificato nell’Atlantico Settentrionale: cosa che avrebbe provocato «l’innalzamento di enormi pennacchi di vapore acqueo» capaci di creare un effetto serra, «dando il via ad una rapida fase di riscaldamento globale». Gli scienziati, aggiunge Bizzi, stimano che questa seconda ondata di impatti abbia determinato – nel giro di appena cinquant’anni – un aumento delle temperature medie di oltre 7 gradi centigradi, con il conseguente scioglimento di enormi masse di ghiacci e il repentino aumento, in tutto il mondo, del livello dei mari e degli oceani di decine e decine di metri. Era il grande diluvio, o diluvio universale?Sicuramente, scrive Bizzi, le aree del secondo impatto «erano abitate e popolate dall’uomo». Su di esse, «probabilmente fiorivano diverse civiltà». Gli archeologi “ortodossi” si sono sforzati per anni nel sostenere che Platone si fosse inventato tutto. Nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia”, è datata 9.000 anni prima di Solone la scomparsa di Atlantide per via di un terribile cataclisma di fuoco. Da Platone, per l’ufficialità, ci è giunta solo «un’opera di fantasia o di mera speculazione metaforica e filosofica». Ma gli “ortodossi” hanno sempre ignoranto deliberatamente «l’esistenza di centinaia di miti e antiche tradizioni che, in tutto il mondo, dalle Americhe al Mediterraneo, dall’Africa all’Asia, confermano, direttamente o indirettamente, la narrazione platonica», ora corroborata dalla scienza. «Narrazione che, peraltro, è pienamente avvalorata dal corpo dei testi della Disciplina Arcaico Erudita tramandati dalle scuole misteriche eleusine, i quali – rivela Bizzi – ci raccontano la storia di una civiltà evolutasi su quelle che vengono menzionate come “le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”».Cos’erano? Testualmente: «Un insieme di vaste terre che sorgevano nell’Atlantico Settentrionale e che si sarebbero inabissate esattamente nel 9.600 avantio Cristo». Quei testi, spiega lo storico fiorentino, «ci descrivono una società avanzata, con grandi conoscenze scientifiche». Evolutasi nell’arco di circa 10.000 anni, quella civiltà «sarebbe arrivata, all’apice del suo splendore, a conquistare e colonizzare l’America Centrale e Meridionale, il bacino mediterraneo, l’Europa Meridionale, il Medio Oriente e parte dell’Asia e dell’Africa, portandovi la propria cultura e le proprie tradizioni». Una civiltà che non chiamava se stessa “atlantidea”, bensì “ennosigea”, dal nome di una delle principali di queste sette terre, chiamata appunto En’n. Proprio la terra di En’n, situata ad Ovest dello stretto di Gibilterra (le mitiche Colonne d’Ercole dell’antichità) era grande quanto Francia e Spagna messe insieme. E stando sempre ai testi eleusini, a En’n «esisteva una regione, collocata in posizione nord-orientale, denominata Hathlanthivjea», un tempo «fiorente Stato indipendente, prima della conquista ennosigea avvenuta attorno al 12.000 avanti Cristo».Hathlanthivjea, cioè Atlantide? «Il suo nome, composto da quattro diversi geroglifici, significherebbe “la Grande Madre venuta dal Mare”», spiega Bizzi, che premette: «I testi delle scuole misteriche eleusine non costituiscono una “prova”»; anche se attribuiti ad autori dell’antichità, «sono stati oggetto di più trascrizioni attraverso il medioevo e i secoli successivi, e non se ne possiedono più gli originali». Tuttavia, «non si può escludere che Platone, nelle sue narrazioni, faccia proprio riferimento alla regione di Hathlanthivjea». Tornando a Hancock, l’autore scozzese ha ragione quando sostiene che le riserve su Platone alludono al fatto che il filosofo abbia forse basato il suo racconto su un cataclisma molto più recente avvenuto nel Mediterraneo, come ad esempio l’eruzione di Thera (Santorini) attorno al 1500 avanto Cristo. «Ma si tratta di una visione miope e di convenienza, del resto ormai superata e surclassata dal pieno riconoscimento scientifico dell’impatto cometario del Dryas Recente», taglia corto Bizzi.Il concetto di un disastro globale verificatosi più di 11.000 anni fa, e in particolare l’idea eretica che esso abbia potuto spazzare via una grande civiltà evoluta esistente in quell’epoca, è sempre stato strenuamente respinto e ridicolizzato dall’archeologia “ufficiale”. Chiaro il motivo, dice Hancock: «Ovviamente gli archeologi dichiarano di “sapere” che non vi fu, e non avrebbe mai potuto esistere in nessuna circostanza, una civiltà altamente sviluppata in quel periodo. Lo “sanno” non grazie a prove inconfutabili che permettano di escludere l’esistenza di una civiltà tipo Atlantide nel Paleolitico Superiore, ma piuttosto basandosi sul principio generale che il risultato di meno di duecento anni di archeologia “scientifica” rappresenti una linea temporale accettata per il progresso della civiltà, che vede i nostri antenati uscire lentamente dal Paleolitico Superiore per entrare nel Neolitico intorno al 9.600 e da lì in poi evolvere attraverso lo sviluppo e il perfezionamento dell’agricoltura nei millenni successivi».Tirando le somme, a Bizzi sembra evidente che stiamo ormai assistendo alla fine dell’attuale “paradigma” e che la rivoluzione archeologica in atto sia ormai incontenibile e irreversibile. «È stato geologicamente provato, grazie alle ricerche condotte da numerose spedizioni oceanografiche, che vaste aree di quello che è oggi l’Atlantico Settentrionale si trovavano in stato di emersione, fino a circa 12.000 anni fa». E non solo: «Il fondale atlantico, proprio in quelle aree – che vanno dai Carabi fino alle Azzorre e a Gibilterra – è cosparso di rovine, di mura, di strutture piramidali e di veri e propri resti di città, estese anche numerosi ettari, con strade che si intersecano perfettamente ad angolo retto». Attenzione: «Stiamo parlando di strutture la cui origine non può essere assolutamente attribuita alla natura. Si tratta di opere dell’uomo realizzate in un’epoca ovviamente precedente alla sommersione di questi tratti di fondale. Sommersione che, grazie a campioni di tectiti, di fossili e di lava vulcanica prelevati dai fondali e opportunamente analizzati, è databile grosso modo al 9.600 avanti Cristo: guarda caso, si tratta della stessa data fornitaci da Platone in merito all’affondamento della “sua” Atlantide».Senza insistere necessariamente su Atlantide, conclude Bizzi, occorre prendere atto che di “Atlantidi” ne sono esistite numerose, in ogni angolo del globo. Quantomeno, sono esistite diverse “civiltà madri” precedenti alla nostra: «E ci hanno lasciato le loro testimonianze inconfutabili, dal Perù ai fondali dell’Atlantico, dal Medio Oriente alla Siberia, dall’Amazzonia all’Indonesia, dal Pacifico all’Antartide». Mentre la gran parte dell’archeologia universitaria continua a tacere, rifiutando di accettare le logiche conclusioni delle ultime rivoluzionarie scoperte, «le prove scientifiche dell’impatto cometario del Dryas Recente», che decretò la scomparsa di quelle antiche civiltà, «costituiscono quello che in gergo poliziesco si chiama “pistola fumante”». Chiosa Nicola Bizzi: «La Storia è ormai da riscrivere, da riscrivere completamente, e non ci sarà “paradigma” che possa impedire di farlo».(Il libro: Nicola Bizzi, “Da Eleusi a Firenze. La trasmissione di una conoscenza segreta”, vol. 1, Aurola Boreale, 800 pagine, 35 euro).Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.
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Il partito di Conte esiste, lo vuole Grillo. Sponsor: De Mita
Il partito di Conte? Esiste, eccome: lo vuole Beppe Grillo in persona, con l’appoggio (elettorale) di sua santità Ciriaco De Mita, 91 anni, rieletto sindaco di Nusco e nuovamente in campo con il suo nuovo progetto di partito “Italia è popolare”. Grillo e De Mita con Conte, visto il flop di Di Maio e l’avanzata incontenibile di Salvini? Ad affermarlo è Dino Iamasvili sul “Sussidiario”, dopo le ultimissime mosse del premier (che ha spiazzato Di Maio sul Tav e Salvini sul Russiagate). Attenti a De Mita, da sempre vicino all’ex comico genovese: «La sinistra Dc portò in Rai Beppe Grillo», ricorda Iamasvili. «E un demitiano a tutto tondo come il direttore generale di allora, Biagio Agnes, lo usò come un maglio contro Bettino Craxi e i socialisti con lo scopo di tenere in scacco lo scomodo partner di governo. Corsi e ricorsi». Guarda sempre avanti, De Mita, presidente del Consiglio tra il 1988 e il 1989. E’ stato tra i maggiori leader della Democrazia Cristiana negli anni Ottanta. E ora, lanciando il nuovo partito, sembra voler sparigliare le carte: «Non invento, rifaccio la sinistra Dc», ha detto al “Mattino” di Napoli. Dalla sinistra Dc viene anche l’ex ministro Vicenzo Scotti, che con il suo Link Campus ha dato una formazione universitaria a parecchi grillini. Il cerchio si chiude calcolando che proprio Conte ha la stima di Mattarella, altro veterano della sinistra Dc.Quanto a De Mita, la presentazione ufficiale del nuovo soggetto politico è avvenuta il 1° luglio, ma entro ferragosto tutto sarà pronto perché il neo-partito diventi realtà. De Mita non esclude alleanze col Pd per le regionali in Campania, ma resta in sintonia con molti temi grillini. «Giuseppe Conte, presidente del Consiglio di matrice grillina ma di animo moroteo – osserva Iamasvili sul “Sussidiario” – si è più volte definito “un centrista radicale”». Per l’analista, si tratta di «una contraddizione solo apparente, perché suggerisce la volontà di inserirsi in un solco storico che l’ultima deriva post-Mani Pulite ha annientato e assorbito: quello della Democrazia Cristiana di sinistra, guarda caso quella di De Mita». Una tradizione politica che significa «associazionismo cattolico, terzo settore, capacità di relazione con il liberalismo europeo e con gli Stati Uniti, ideologia di conservazione e tenuta che tiene in gran conto le istituzioni (infatti Conte ha ribadito, a dispetto di Salvini, la volontà di essere trasparente davanti al Parlamento)».Ma la verità sul “partito di Conte”, scrive Iamasvili, è semplice e tremenda insieme: «Il partito di Conte lo vuole Beppe Grillo in persona». Il fondatore del Movimento 5 Stelle «ha capito che il movimento, senza alleati, non ha futuro». Non solo: «Ha capito di aver preso al Sud il voto degli elettori di centro e con forti pulsioni stataliste. E ha capito che Di Maio è ancora acerbo e in parte già caricaturale, a forza di giustificare le “toninellate” e i “mandati zero”. Conte, invece, conserva intatto non solo il suo aplomb, ma anche un consenso inaspettato». Vero: nei sondaggi, il “premier venuto dal nulla” avrebbe la stima del 51% degli italiani, contro il 48% di Salvini (e il 29% del declinante Di Maio). «Ben venga allora la carta Conte in casa 5 Stelle», scrive Iamasvili. «Salvini ci ha messo un po’ a capirlo, e non gli è piaciuto». Specie quando Conte, «su disposizione del suo azionista di riferimento, anche lui moroteo e della sinistra Dc e con molti capelli bianchi» (Mattarella), si è recato in Senato e, «fingendo di difenderlo lo ha inchiodato alle sue responsabilità. Come un vero leader di partito».Il partito di Conte? Esiste, eccome: lo vuole Beppe Grillo in persona, con l’appoggio (elettorale) di sua santità Ciriaco De Mita, 91 anni, rieletto sindaco di Nusco e nuovamente in campo con il suo nuovo progetto di partito “Italia è popolare”. Grillo e De Mita con Conte, visto il flop di Di Maio e l’avanzata incontenibile di Salvini? Ad affermarlo è Dino Iamasvili sul “Sussidiario”, dopo le ultimissime mosse del premier (che ha spiazzato Di Maio sul Tav e Salvini sul Russiagate). Attenti a De Mita, da sempre vicino all’ex comico genovese: «La sinistra Dc portò in Rai Beppe Grillo», ricorda Iamasvili. «E un demitiano a tutto tondo come il direttore generale di allora, Biagio Agnes, che lo usò come un maglio contro Bettino Craxi e i socialisti con lo scopo di tenere in scacco lo scomodo partner di governo. Corsi e ricorsi». Guarda sempre avanti, De Mita, presidente del Consiglio tra il 1988 e il 1989. E’ stato tra i maggiori leader della Democrazia Cristiana negli anni Ottanta. E ora, lanciando il nuovo partito, sembra voler sparigliare le carte: «Non invento, rifaccio la sinistra Dc», ha detto al “Mattino” di Napoli. Dalla Dc viene anche l’ex ministro Vicenzo Scotti, che con il suo Link Campus ha dato una formazione universitaria a parecchi grillini. Il cerchio si chiude calcolando che proprio Conte ha la stima di Mattarella, altro veterano della sinistra Dc.
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Moiso: l’Anpi come CasaPound. Così tradisce la Resistenza
«Ritengo che l’Anpi stia tradendo il suo statuto». Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, messo a tacere e poi cacciato dalla platea londinese di CasaPound, a sua volta esiliata – grazie all’Anpi – dalla sede universitaria dove Chiara Giannini avrebbe dovuto presentare il libro-intervista “Io sono Salvini”. Volume già messo all’indice al Salone del Libro di Torino insieme alla sua casa editrice, Altaforte, estromessa dalla kermesse torinese. Il solito refrain: «Non avete il diritto di parlare, perché siete fascisti». Secondo round a Londra, il 25 luglio, quando Altaforte riprova a presentare il libro, stavolta nella capitale britannica. Ma la longa manus dell’Anpi arriva sin lì: e convince la London Metropolitan University a negare la sala, in extremis, all’associazione promotrice (“Vortex Londinium”, vicina a CasaPound). Al che, i giovani della nuova destra sociale ripiegano su una location secondaria. Moiso li raggiunge, e viene applaudito quando difende la libertà universale di parola. Ma appena spiega di essere lui stesso iscritto all’Anpi, viene zittito e costretto a lasciare la sala. Fantastico: CasaPound si è comportata esattamente come l’Anpi, che però è stata la prima ad aprire le ostilità. Moiso ovviamente non milita in CasaPound, ma nell’Anpi: per questo trova inaudito che proprio l’associazione partigiani d’Italia «agisca come CasaPound, nello stesso modo, e cioè togliendo la parola a chi la pensa diversamente».Durissima la lettera aperta che Moiso rivolge alla presidente dell’Anpi, Carla Nespolo. Svolgere un ruolo di memoria storica, valorizzando e perpetuando la memoria della Resistenza? Continuare a lottare per la democrazia e contro ogni fascismo? Benissimo, ma «l’Anpi ha il dovere di farlo nel rispetto del suo statuto e dei valori della democrazia e della libertà». Invece, l’associazione partigiani «sembra aver smarrito la via tracciata nel suo statuto, che è democratico, liberale e inclusivo di tutte le realtà che hanno partecipato alla Resistenza». Ovvero: «Invece di rispettare la pluralità della lotta democratica e antifascista, vediamo l’Anpi schiacciata a sostegno delle posizioni di un solo partito, e incapace di elaborare un’analisi su quelle che sono le forme di ‘fascismo’ nel XXI secolo». È vero, ammette Moiso, il fascismo nero va combattuto. «Ma c’è un’altra serpeggiante forma di fascismo, ormai dominante: il cosiddetto fascismo bianco del mondo della finanza, spesso appoggiato dalla sedicente sinistra». Aggiunge Moiso: «Se è vero che fascismo vuol dire mancanza di democrazia, di libertà e di giustizia sociale, l’Anpi dovrebbe guardare al fascismo bianco del mondo finanziario e combatterlo senza quartiere».Per capire perché la lotta al “fascismo bianco” dovrebbe essere la priorità dell’Anpi, continua Moiso, basta vedere i rapporti dell’Ocse sull’incremento della povertà, nonché «la perdita di democrazia sostanziale all’interno di istituzioni sempre più sotto il controllo degli oligarchi del mondo finanziario». E’ un fatto: la deregolamentazione dello scambio di merci, servizi e capitali, visto che non è accompagnata da organi politici e giuridici sovranazionali, ha invertito il rapporto tra finanza e politica: così, «gli interessi commerciali di grandi gruppi sovranazionali stanno distruggendo il pianeta». Perché l’Anpi non vuole aprire gli occhi sull’unico, vero fascismo di cui oggi scontiamo le conseguenze? «Se l’Anpi decidesse di capire lo “zeitgeist” del nostro tempo – la lotta al neoliberismo – vedrei un futuro lungo e prospero per la tradizione della Resistenza». E invece, tutto si perde «in una lotta costantemente esasperata verso piccoli punti neri, o sedicenti tali». Di fronte alle sfide del XXI secolo, «stracciarsi le vesti per la pubblicazione di un libro su un ministro della Repubblica mi sembra assai dannoso per la memoria della Resistenza stessa», aggiunge Moiso, pensando all’ostruzionismo fascistoide che penalizza il volume di Chiara Giannini.«Quello che infanga davvero la memoria della Resistenza – scrive Moiso – è come l’Anpi oggi tradisca il suo statuto e i suoi valori, comportandosi con modalità antidemocratiche e illiberali, censurando e limitando la libertà di espressione». In altre parole: l’Anpi pratica il peggiore arbitrio, con un atteggiamento che ricorda sinistramente quello del Ventennio. «L’Anpi dovrebbe ricordarsi che i valori delle democrazie liberali, per definizione, si applicano a tutti i membri della collettività, a prescindere dalle loro convinzioni politiche, condivisibili o meno», aggiunge Moiso, nella sua lettera indirizzata a Carla Nespolo, ricordando che «l’antifascismo è un valore funzionale a garantire la democrazia liberale». In altre parole, «non si può perpetuare il valore dell’antifascismo a discapito di democrazia e libertà, perché altrimenti si corre il rischio di favorire nuove dittature: nel passato c’era il rischio del comunismo, oggi invece viviamo nella silente dittatura neoliberista». L’Anpi? «Sembra avere dimenticato che la lotta per libertà e la democrazia sono il fine dell’antifascismo: perché c’è differenza tra isolare e vietare, e c’è differenza tra il contestare e il mettere a tacere».Nella sua missiva a Carla Nespolo, il vicepresidente del Movimento Roosevelt ricostruisce il doppio incidente di Londra. La Lega e la casa editrice Altaforte, insieme a “Vortex Londinium”, avevano prenotato la London Metropolitan University per presentare il libro “Io sono Salvini”. Obiettivo: «Parlare di libertà di stampa e di parola, e denunciare come queste non siano state garantite nell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino». Il 25 luglio, prima che l’evento avesse luogo, l’Anpi Uk ha diramato una email per invitare i soci a “monitorare” l’incontro, chiedendo anche agli iscritti di prendere qualche iniziativa. «Da parte mia – spiega Moiso – ho risposto che ero stato invitato a intervenire in rappresentanza del Movimento Roosevelt, che ha come missione quella di diffondere e far applicare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Moiso si era prenotato per intervenire sul tema del diritto di espressione. «Ho detto all’Anpi inglese che sarei andato, da antifascista tra i fascisti, per parlare sì della libertà di espressione, ma anche del bisogno di abbandonare il fascismo e di perseguire lotte sociali in un contesto democratico». Fin qui, tutto bene. «Se l’Anpi avesse organizzato un contro-corteo, garantendo il diritto di espressione e parola – aggiunge Moiso – noi avremmo certamente aderito, mandando comunque qualcuno a provare a convincere quei giovani della bontà della causa democratica. Ma così non è stato».Dopo una serie di email, nelle quali si parlava della necessità di “difendere la democrazia e la libertà”, un quadro dell’Anpi – racconta Moiso – ha annunciato che «la cosa migliore da fare era quella di parlare con l’università per fare cancellare l’evento». Detto fatto: «Dopo pochi minuti è arrivata la comunicazione dell’università, la quale ha detto che per pressioni ricevute l’evento era annullato». E bravi i campioni democratici dell’Anpi, specialisti nell’imporre il bavaglio. Di fronte alle rimostranze di Moiso, l’esponente della sezione britannica dell’associazione partigiani «ha apertamente dichiarato che non temeva di essere considerato illiberale, se questo portava al blocco dell’iniziativa “fascista”». Non solo: sui canali Facebook dell’Anpi si è cantato vittoria per come l’iniziativa fosse stata fermata, benché «in maniera illiberale» e vagamente mussoliniana. «La cosa che sconcerta è proprio l’illiberalità dell’approccio», scrive Moiso alla presidente italiana dell’Anpi. «Nelle democrazie liberali non si silenzia nessuno. Nessuno si può ergere ad arbitro di ciò che può o non può essere detto. Le associazioni come l’Anpi devono spiegare perché il fascismo è un male. Il legislatore deve quindi impedire che soluzioni antidemocratiche abbiamo il sopravvento».Secondo Moiso, il comportamento dell’Anpi sembra viziato da un retaggio vetero-comunista e quindi antidemocratico, che «alla democrazia e alla libertà antepone il primato un sedicente antifascismo», a quanto pare autentico solo a parole e smentito puntualmente dai fatti. «Questo approccio antidemocratico e illiberale – accusa Moiso – è equivalente all’atteggiamento di “Vortex Londinium”», perfettamente simmetrico e speculare: il “niet” dell’Anpi è la fotocopia del “no” di CasaPound. A Londra, per presentare il “libro proibito” s’era comunque trovata una sala di ripiego. «Ci sono andato – racconta Moiso – e ho sentito la casa editrice Altaforte, la giornalista Chiara Giannini e l’esponente di “Vortex Londinium” parlare per oltre un’ora della necessità di tutelare la libertà di parola e la libertà di stampa», il tutto «tra gli scrosci di applausi da parte del pubblico». Logico, coerente. «Poi sono andato a parlare io, antifascista tra i fascisti», continua Moiso, intenzionato a «convincere quei ragazzi che, se si invocano la democrazia e i diritti umani, non possono farlo guardando all’eredità fascista». Quindi, l’incidente: «A metà discorso mi sono dichiarato membro dell’Anpi, scatenando la reazione del pubblico. Sono stato allontanato. Non mi è stato concesso di finire. Persone tra il pubblico, che fino a pochi minuti prima rivendicavano il diritto di parola e di espressione, mi hanno impedito di esprimere le mie idee».Il paradosso, osserva Moiso, è che «sia l’Anpi che “Vortex Londinium” (collegato a Casa Pound) predicano la libertà di espressione e di parola ma pensano che questa non valga per quelli che la pensano diversamente da loro». Attacca Moiso: «L’Anpi sembra ragionare come Casa Pound: entrambe le associazioni non si curano del principio liberale al diritto di parola ed espressione». La presidente Carla Nespolo non la vede, la contraddizione? «Bisogna combattere sul terreno della democrazia liberale, non ignorarne i principi in virtù di una presunta superiorità morale, disattesa dai fatti». Che vuol fare, l’Anpi? Intende continuare così, riducendosi a essere «solo una milizia ad uso e consumo di una specifica parte politica, invece che di tutte le tradizioni che hanno collaborato e lottato nella Resistenza per creare una società libera e democratica?». E vuole finalmente decidersi, l’Anpi, a riconoscere e denunciare «le moderne forme di fascismo, incluso il fascismo bianco del mondo finanziario, o preferisce continuare a denunciare solo il fascismo nero?». E nella lotta contro qualunque tipo di fascismo, «l’Anpi è capace di vivere secondo i principi che dichiara di voler difendere?».«Ritengo che l’Anpi stia tradendo il suo statuto». Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, messo a tacere e poi cacciato dalla platea londinese di CasaPound, a sua volta esiliata – grazie all’Anpi – dalla sede universitaria dove Chiara Giannini avrebbe dovuto presentare il libro-intervista “Io sono Matteo Salvini”. Volume già messo all’indice al Salone del Libro di Torino insieme alla sua casa editrice, Altaforte, estromessa dalla kermesse torinese. Il solito refrain: «Non avete il diritto di parlare, perché siete fascisti». Secondo round a Londra, il 25 luglio, quando Altaforte riprova a presentare il libro, stavolta nella capitale britannica. Ma la longa manus dell’Anpi arriva sin lì: e convince la London Metropolitan University a negare la sala, in extremis, all’associazione promotrice (“Vortex Londinium”, vicina a CasaPound). Al che, i giovani della nuova destra sociale ripiegano su una location secondaria. Moiso li raggiunge, e viene applaudito quando difende la libertà universale di parola. Ma appena spiega di essere lui stesso iscritto all’Anpi, viene zittito e costretto a lasciare la sala. Fantastico: CasaPound si è comportata esattamente come l’Anpi, che però è stata la prima ad aprire le ostilità. Moiso ovviamente non milita in CasaPound, ma nell’Anpi: per questo trova inaudito che proprio l’associazione partigiani d’Italia «agisca come CasaPound, nello stesso modo, e cioè togliendo la parola a chi la pensa diversamente».
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Millennials docili, non più ribelli: e addio anche alla moto
Ci sono notizie che passano subito in cavalleria come il gossip dei rotocalchi, l’oroscopo settimanale o la rubrica “strano, ma vero” della “Settimana Enigmistica”. Eppure, quando riguardano tutti noi, alcune curiosità estive andrebbero analizzate e soppesate di più. E’ questo il caso delle industrie americane messe in crisi dalle abitudini dei Millennials, ovvero dai ragazzi nati dagli anni ‘80 ai Duemila e che hanno appena cominciato a consumare massicciamente. Questa nuova generazione è ovviamente destinata a sostituire quella attuale e, secondo diversi studi, i Millenials registrano abitudini del tutto inedite per il settore industriale, che si dovrà giocoforza riconvertire per evitare il fallimento. Ma non si tratta solo di mode consumistiche, almeno non in un paio di casi. Partiamo da quelli più banali. Secondo la ricerca, gli adolescenti spesso saltano la colazione e, quando la fanno, non mangiano più latte e cereali. Questa nuova modalità costringerà aziende comme Kellog’s a rivedere le proprie scelte strategiche e di marketing. Stesso dicasi per l’uso di uvetta, a quanto pare in caduta libera a causa degli zuccheri in essa contenuti.Sorprende anche il calo di consumo di birra da parte dei più giovani, anche se in questo caso occorre fare qualche distinguo. A quanto pare, infatti, il calo riguarda le birre tradizionali, quelle prodotte industrialmente tipo Heineken, mentre sarebbero in netta ascesa le birre artigianali. In crisi anche i grandi magazzini e i centri commerciali, e la causa qui è facilmente individuabile nell’uso dei siti di e-commerce come Amazon, a danno dei vari Coin e Rinascente. Tutte le abitudini appena elencate, tuttavia, potrebbero anche rientrare velocemente, come accadde per i ristoranti cinesi 20 anni or sono o per Hello Kitty, che fino a 10 anni fa sembrava dovesse sostituire il presidente della Repubblica (e chissà…). Ciò che dovrebbe far riflettere maggiormente, invece, sono altre abitudini praticate dalla nuova generazione che dovrebbero preoccuparci, o quanto meno confermare segni di declino. Ne propongo due: il calo della ristorazione tradizionale e quello della vendita di motociclette. Nel primo caso, è evidente che i Millenials si stanno sempre più rivolgendo alla ristorazione low cost standardizzata; quella dei fast food, per intenderci. Non vanno demonizzati, per carità, ma quando vengono preferiti in toto alla spaghetteria e alla pizzeria ciò può significare una cosa sola: meglio mangiare in piedi un po’ di merda che del cibo decente, seppure seduti con accanto dei bambini.Spiace fare del moralismo, ma il dato non può che rivelare questo. Se tra qualche decade ci saranno solo ristoranti di lusso con l’offerta di cibo “fusion” oppure, a contrasto, lo “Spicchio Fast and Furious”, ciò significherà anche un forte ridimensionamento del numero delle famiglie in linea con la scomparsa dei ristoranti tradizionali di fascia media. Ma ciò che mi ha fatto balzare sulla sedia è stato il calo dell’acquisto di motociclette. Con tutto ciò che gira attorno al mondo degli sponsor, la MotoGp e i fighettoni vari, mi è sembrato un dato errato; anzi, fuorviante. Eppure una sua logica, purtroppo, ce l’ha. Da quando esiste, la moto è stata – più che una comodità – un simbolo di ribellione e di trasgressione. Un affronto polemico verso i genitori preoccupati che i figli indossassero la maglia di lana. La moto è un oggetto per il viaggio, l’avventura e l’emancipazione. Spiace dirlo, perchè hanno molte altre qualità, ma di ribellione ed emancipazione ne avremo invece tutti tanto bisogno, e i Millenials ne sembrano completamente sprovvisti.(Massimo Bordin, “I millennials non si fanno la moto”, da “Micidial” del 20 luglio 2019).Ci sono notizie che passano subito in cavalleria come il gossip dei rotocalchi, l’oroscopo settimanale o la rubrica “strano, ma vero” della “Settimana Enigmistica”. Eppure, quando riguardano tutti noi, alcune curiosità estive andrebbero analizzate e soppesate di più. E’ questo il caso delle industrie americane messe in crisi dalle abitudini dei Millennials, ovvero dai ragazzi nati dagli anni ‘80 ai Duemila e che hanno appena cominciato a consumare massicciamente. Questa nuova generazione è ovviamente destinata a sostituire quella attuale e, secondo diversi studi, i Millenials registrano abitudini del tutto inedite per il settore industriale, che si dovrà giocoforza riconvertire per evitare il fallimento. Ma non si tratta solo di mode consumistiche, almeno non in un paio di casi. Partiamo da quelli più banali. Secondo la ricerca, gli adolescenti spesso saltano la colazione e, quando la fanno, non mangiano più latte e cereali. Questa nuova modalità costringerà aziende comme Kellog’s a rivedere le proprie scelte strategiche e di marketing. Stesso dicasi per l’uso di uvetta, a quanto pare in caduta libera a causa degli zuccheri in essa contenuti.
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Carpeoro: la nostra vera religione è il potere, una prigione
La religione vera dell’uomo è il potere. Tutte le altre religioni discendono dal potere. L’errore che fanno tutti è di pensare che la religione sia potere. Invece la struttura religiosa di quel tipo è una conseguenza del potere. Non bisogna confondere tra la religione e la religiosità. La religiosità in tutte le sue dimensioni e in tutte le sue commisurazioni è come la descrive Paolo Franceschetti; poi ci sono le strutture che noi chiamiamo religioni ma in realtà sono strutture: anzi, direi – alla marxista – sono sovrastrutture, e queste sono una conseguenza del potere. Le strutture prescindono dalle dottrine di origine, si muovono autonomamente da ciò a cui si richiamano. La massoneria attuale non è che si muova in base alla dottrina massonica, si muove in base alle esigenze politiche che si ripercuotono in termini di servaggio sulla struttura. La struttura è serva del potere, non è titolare del potere. Io mal sopporto che la religiosità possa essere contenuta in una struttura, lo escludo. La religiosità è qualcosa di troppo grande per essere contenuta in una struttura. Le figure profetiche come Gesù e Maometto avevano un senso all’interno dell’uomo, e fuori dell’uomo sono diventate simulacri, totem.Il mondo della religiosità deve essere un mondo di libertà totale, non può essere un mondo racchiuso, cingolato. Credere è un’esigenza che fa parte, per certi aspetti, di questa dimensione; io credo che chi trova, segue ed è consapevole dell’Essere, la necessità di credere la perde, perché l’Essere è qualcosa di talmente grande che il credere ne è uno spicchio veramente piccolissimo. Il problema è porsi il problema dell’Essere. Dobbiamo chiederci cosa siamo. Ho pubblicato una bellissima poesia di Saba Sardi che all’inizio hanno seguito in pochi. Saba Sardi, che è un grande maestro, in quella poesia ha descritto tutto. A lui hanno dato dell’ateo, ma non era ateo; aveva trovato la ragione dell’Essere, non si poneva più il problema del credere (che è un gradino sotto, nella strada della consapevolezza). Ma se uno si studia seriamente le religioni e cerca di capire tra le righe, questa cosa la trova, nei grandi profeti delle religioni. Nel Buddismo, nel Cristianesimo delle origini, nell’Islamismo, la trova questa cosa, perché questi soggetti hanno indicato la strada dell’Essere, non la strada del credere – e non sono la stessa cosa.Noi ci rifugiamo nel credere, e il credere diventa un rifugio che poi diventa prigione; è predestinato a diventare prigione, se lo poni nei termini del credere. Se invece lo poni nei termini dell’Essere è tutt’altra cosa. I profeti citati sopra hanno indicato la strada dell’Essere, non quella del credere. Quando Matteo nel discorso della montagna chiede a Gesù come pregare, lui non gli suggerisce una preghiera di fede, ma una preghiera di essenza, di provenienza, di origine. Queste sono domande che non ci poniamo più: siamo così coinvolti, così prigionieri della nostra dimensione… E non si può confondere il credere con l’Essere. E il giorno che torneremo a cercare la nostra dimensione e il senso della nostra vita, e il senso dell’oltre la vita… Quando ho pubblicato quella poesia di Saba Sardi c’erano 4 commenti dopo 4 giorni… Le persone non hanno detto nulla su una poesia così grande. Quella poesia è un libro, ma quest’epoca è così – o forse tutte le epoche sono state così. Noi siamo ancora prigionieri, e non so se e quando ci libereremo di questa prigione.(Gianfranco Carproro, dichiarazioni rilasciate nel corso della trasmissione web-radio “Border Nights” del 18 aprile 2017, riprese dal blog di Carpeoro. La poesia di Saba Sardi, citata, si intitola “Absit”. Eccone i versi: “E quando sarò morto / rimettetemi gli occhiali / lasciate che la mosca / ronzi nella mia grotta / aperta a venti e vermi / dietro la rosta del baffo ancora vivo. / Le lenti nel riflesso / il mondo coglieranno / il nome vi diranno / di pieni vuoti ombre. / Ricordate che vissi / tanto che ne morii”).La religione vera dell’uomo è il potere. Tutte le altre religioni discendono dal potere. L’errore che fanno tutti è di pensare che la religione sia potere. Invece la struttura religiosa di quel tipo è una conseguenza del potere. Non bisogna confondere tra la religione e la religiosità. La religiosità in tutte le sue dimensioni e in tutte le sue commisurazioni è come la descrive Paolo Franceschetti; poi ci sono le strutture che noi chiamiamo religioni ma in realtà sono strutture: anzi, direi – alla marxista – sono sovrastrutture, e queste sono una conseguenza del potere. Le strutture prescindono dalle dottrine di origine, si muovono autonomamente da ciò a cui si richiamano. La massoneria attuale non è che si muova in base alla dottrina massonica, si muove in base alle esigenze politiche che si ripercuotono in termini di servaggio sulla struttura. La struttura è serva del potere, non è titolare del potere. Io mal sopporto che la religiosità possa essere contenuta in una struttura, lo escludo. La religiosità è qualcosa di troppo grande per essere contenuta in una struttura. Le figure profetiche come Gesù e Maometto avevano un senso all’interno dell’uomo, e fuori dell’uomo sono diventate simulacri, totem.
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La festa patronale del Pci, Politically Correct International
Anche quest’anno si snoda in tutta Italia, sotto forma di festival del libro o affini, la festa itinerante della Sinistra da passeggio. Durerà per tutta l’estate e porterà in processione la Santissima Trinità, che quest’anno ha la doppia faccia di Carola e di Greta, e al centro la faccetta nera del Migrante. Mi riferisco a quel circuito di feste patronali sub-politiche che sono i festival del libro, del cinema, del teatro, della musica, del pensiero che in realtà sono la versione estiva e live del talk show televisivo delle altre tre stagioni. Uno crede che finalmente con l’estate s’interrompe quella noiosa tiritera, quel copione fisso di luoghi comuni, anime belle e malvagi razzisti che sente ogni sera in tv per nove mesi, e finalmente va all’aperto, coi calzoncini corti e l’infradito, e tra il mare e il sole cambia vita. Macché. Una compagnia di giro fatta di scrittori, opinionisti, giornalisti, pensatori, preti da sbarco, artisti da sballo, attori e musicanti, guidata da un collettivo d’impresari culturali a senso unico, occupa le piazze e i cartelloni, egemonizza l’estate italiana in una specie di Festival dell’Unità del nuovo Pci, Politically Correct International.Il tema è sempre quello: Viva l’accoglienza e le Ong, a morte il razzismo e Salvini, forza stranieri e loro impresari, aprite i porti e le frontiere, come ci piacciono i bambini venuti dal mare o dalla provetta mentre quelli rari, nati dalle mamme italiane, non li reggiamo più. Viva gli uteri in affitto per coppie gay, abbasso la famiglia; viva le religioni altrui, abbasso la nostra, Papa escluso; viva i popoli altrui abbasso il nostro, viva i rom abbasso i poveracci di casa nostra, viva l’ideologia No Border abbasso patrie, confini, leggi e tradizioni. Ma non vi siete seccati, dopo il monotono carosello di menate quotidiane sul video, di sorbirvi le stesse voci dal vivo anche in piazza, per strada, sotto casa? Non c’è concerto estivo senza lo stesso messaggio al popolo tatuato degli estivi e dei bagnanti. Anzi, vergognatevi di fare il bagno mentre c’è gente che cerca di sbarcare in Italia ma l’Orco li respinge, avendo però tutti contro, in Europa, in Africa, nei Palazzi, in tribunale, in mare, in stampa, nell’etere e in ogni luogo. Facciamo un patto? Per ogni migrante che prendiamo se ne va in Africa uno di loro.Se cercate la sinistra non andate nei covi deserti del Pd, non cercate le ceneri disperse al vento di Renzi, né la voce d’oltretomba dell’ultimo Zombetto che ne ha preso il posto. Cercatela invece in questa specie di Circo Togni dell’Estate militante, solitamente sponsorizzata dalle amministrazioni locali o subappaltata ad associazioni, coop e gestioni collettive comunque affiliate alla Sacra Sinistra Unita. Questo circuito di eventi ha subito negli anni una deriva razziale che prima non c’era: se un tempo era schiacciante la prevalenza di Compagni di Lotta e Ideologia, ora l’epurazione dell’etnia dissidente è capillare ed è senza appello la condanna alla Morte Civile di chi non fa parte dell’Onorata Società di Autori e Impresari della sinistra col bollino rosso. I più furbi invitano un paio di marziani reputati “di destra”, ma studiano l’ora, il luogo, il contesto, la controprogrammazione, il silenzio-stampa per neutralizzarli, in modo da poter dire alle amministrazioni di centro-destra: ma noi siamo pluralisti, abbiamo invitato il 2 per mille di autori destrorsi, addirittura salviniani. Siamo a posto.Ma si può andare in piazza per vedere esattamente lo stesso spettacolino che vedete in tv, gli stessi coglioni animati che dicono le stesse cose ma dal vivo? Questi festival sono la versione ideologicamente progressista delle feste patronali, il rapporto con gli autori è lo stesso con le statue dei santi, il firmacopie come gli ex voto, la processione tra le piazze, i santini, la focaccia e il gelato. Ecco in versione canicola l’Intellettuale Collettivo da passeggio, il Partito No Border in versione polpo fritto, magari con certificato di beatificazione conseguito in tv nei santuari più rinomati, da Fazio, dalla Gruber, da Formigli, e via dicendo. Quando a organizzare i festival sono sindaci e organizzatori di centro-destra finiscono in sordina, ignorati dalla Bella Stampa, anche quando hanno successo di pubblico e di qualità. Ignorati o velenosamente sbrigati in quattro righe, nel tentativo di affossarli, discreditarli, gettare ombre o comunque sottostimarli; mentre vedi paginate commosse e osannanti sui festival del versante giusto, con la consueta antica Marchetteria del Corso all’opera sui quotidiani: leggi anticipazioni, posticipazioni, annunciazioni ogni dì. Dibbbattiti, con tante b.Naturalmente sono pochi a cimentarsi nell’impresa, il più delle giunte destrorse per furbizia o per rozzezza si guarda bene dal promuovere la cultura, si tiene alla larga come se portasse sfiga e malattie. Per carità, nonostante l’uso ideologico-mafioso di alcuni festival, nonostante il rischio di ridurli a corsi estivi di indottrinamento fazioso, ben vengano comunque gli appuntamenti dedicati alla cultura o a quel che si spaccia per tale. Però quando vedi che al posto del libro c’è la Solita Predica del Pci e a parlar di libri ci sono cantanti, attori, comici e istrioni vari, allora ti vien voglia di dire: ma che festival del libro, ci vorrebbe il mare per portarli a fondo.(Marcello Veneziani, “La festa patronale della sinistra”, da “La Verità” del 9 luglio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Anche quest’anno si snoda in tutta Italia, sotto forma di festival del libro o affini, la festa itinerante della Sinistra da passeggio. Durerà per tutta l’estate e porterà in processione la Santissima Trinità, che quest’anno ha la doppia faccia di Carola e di Greta, e al centro la faccetta nera del Migrante. Mi riferisco a quel circuito di feste patronali sub-politiche che sono i festival del libro, del cinema, del teatro, della musica, del pensiero che in realtà sono la versione estiva e live del talk show televisivo delle altre tre stagioni. Uno crede che finalmente con l’estate s’interrompe quella noiosa tiritera, quel copione fisso di luoghi comuni, anime belle e malvagi razzisti che sente ogni sera in tv per nove mesi, e finalmente va all’aperto, coi calzoncini corti e l’infradito, e tra il mare e il sole cambia vita. Macché. Una compagnia di giro fatta di scrittori, opinionisti, giornalisti, pensatori, preti da sbarco, artisti da sballo, attori e musicanti, guidata da un collettivo d’impresari culturali a senso unico, occupa le piazze e i cartelloni, egemonizza l’estate italiana in una specie di Festival dell’Unità del nuovo Pci, Politically Correct International.
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Arriva il gigante Putin, e l’Europa dei nani non ha un leader
Arriva a Roma un gigante, Vladmir Putin, che guida la Russia con mano sicura dall’inizio del terzo millennio. Accantoniamo i giudizi di valore, piuttosto controversi, sullo zar venuto dal comunismo e dalla tradizione russa. Parliamo di statura politica: è un grande statista che passerà nel bene e nel male alla storia. Anche Donald Trump e Xi Jinping sono due leader giganti, qualunque cosa positiva o negativa si pensi di loro. E il giapponese Shinzo Abe e l’indiano Narendra Modi sono due statisti che con salda mano guidano i loro paesi, confermati dai loro popoli. A suo modo perfino un autocrate come Erdogan è destinato a passare alla storia. Sarà un mezzo dittatore ma stranamente ha indetto elezioni regolari a Istanbul, le ha perse e lo ha riconosciuto. E l’Europa, invece? L’Europa è governata dai sette nani più la biancaneve tedesca. Juncker, Tusk, o se volete Macron, Sanchez e ora le due signore dell’asse franco-tedesco, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde.In urbe caecorum la Merkel grandeggia sugli altri anche perché ha guidato il paese più grande e grosso dell’Unione; ma è incomparabile per lungimiranza, forza e consenso ai leader extraeuropei prima citati. Oltretutto è una leader sconfitta, sfiduciata, che non rappresenta più nemmeno la Germania. Tra i sette nani, perfino il nostro premier, Giuseppe Conte, pur scaturito artificiosamente, non venuto dalla politica né dall’establishment, appare non certo peggiore, più inadeguato o meno legittimato degli altri partner europei. Pensatela come volete ma se l’Europa oggi conta poco nel mondo, non piace agli europei, è un mezzo fallimento nelle relazioni interne prima che esterne, non sa farsi valere negli scenari internazionali, una quota importante del suo insuccesso lo deve proprio all’assenza di grandi capi. Mezze calzette che fanno eleggere ai posti chiave mezze cartucce. E nei loro paesi sono tutti leader di forte minoranza, con governi precari di coalizioni fragili e assai eterogenee: da Sanchez alla Merkel, passando per tutti gli altri.Si deve arrivare ai paesi più piccoli per trovare leadership salde e governi più omogenei, riconfermati dal voto popolare. Non è per dire, ma il più votato è Viktor Orban, in Ungheria. Ma il suo paese non è tra i grandi e lui nei popolari è a bagnomaria, mezzo sospeso. Non dico leader carismatici o statisti che passeranno alla storia, non dico Adenauer e Schumann, De Gaulle e forse De Gasperi, per restare all’Europa del dopoguerra; ma non c’è nemmeno l’ombra di qualcuno che somigli a Helmut Kohl, François Mitterrand, Margareth Thatcher… Tra i socialisti non c’è nessuno che vagamente somigli a Brandt, Gonzales, a Craxi, a Blair del passato. Non c’è un leader europeo di livello storico manco a pagarlo, non c’è un padre nobile, non c’è un leader naturale o in pectore al di sopra degli altri. Da che dipende? Facile dire che i grandi nascono una tantum e in modo imprevedibile. Sarà pure così ma c’è una spiegazione più forte e articolata che spiega la penuria di leader europei.L’Unione Europea è nata male, intorno a una moneta e a una banca centrale, non è scaturita dalla politica, non è cresciuta intorno alla politica, è un processo dispersivo, policentrico e anonimo, senza un conducente, con un pilota automatico e sotto tutela della Troika, dunque dei potentati economico-tecnocratici-finanziari euro-globali. L’Europa che ripudia la storia elegge leader bonsai. In queste condizioni non poteva avere leader forti, ma solo frutti mediocri del compromesso, zelanti esecutori e funzionari di piccolo cabotaggio. Dacché l’Europa si è unificata con l’euro non è emerso neanche un leader europeo; né dalla Commissione Europea e dalle assemblee parlamentari europee né dai governi e dai Parlamenti nazionali. E la politica di austerità dell’Europa, il gioco in difensiva mostra l’assenza di disegni politici e progetti storici e l’asservimento agli assetti contabili e ai loro funzionari di tutta l’Unione. Per questo trovo un po’ ridicolo parlare di “Più Europa”, come fanno la Bonino e Mattarella: l’Europa è il regno del meno, non del più, vince il low profile, la cordata, il compromesso di medio-basso profilo, la conventio ad excludendum.Viene premiato chi si fa tappetino, chi china la testa e si adegua all’apparato e ai suoi parametri; viene punito chi alza la testa. È una continua selezione a rovescio, dei più deboli, dei più meschini. Mediocri leadership si avvicendano negli Stati e nelle Commissioni Europee. Forse un presidente dell’Europa eletto direttamente dal popolo europeo, pur piena di insidie e controindicazioni, sarebbe una via per favorire un clima favorevole alla nascita e alla crescita di veri leader. Non è il capriccio di un’indole autoritaria ma quando hai di fronte Putin, o anche Trump e Xi Jinping, non puoi pensare di mandarci mezzi leader sfiduciati in casa propria, che non sanno mai parlare a nome dell’Europa ma riescono a malapena a curare gli interessi di bottega nazionali o del Fondo Mondiale. Gli altri hanno i leader, noi abbiamo le foto di gruppo, i cori e le comitive a sovranità limitata. Ci rendiamo poco credibili e soprattutto incapaci di trattare alla pari. Alla Grande Politica rispondiamo coi micro-leader. Europa mignon guidata dalla nano-tecnocrazia…(Marcello Veneziani, “Arriva Putin, e all’Europa manca un leader”, da “La Verità” del 4 luglio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Arriva a Roma un gigante, Vladmir Putin, che guida la Russia con mano sicura dall’inizio del terzo millennio. Accantoniamo i giudizi di valore, piuttosto controversi, sullo zar venuto dal comunismo e dalla tradizione russa. Parliamo di statura politica: è un grande statista che passerà nel bene e nel male alla storia. Anche Donald Trump e Xi Jinping sono due leader giganti, qualunque cosa positiva o negativa si pensi di loro. E il giapponese Shinzo Abe e l’indiano Narendra Modi sono due statisti che con salda mano guidano i loro paesi, confermati dai loro popoli. A suo modo perfino un autocrate come Erdogan è destinato a passare alla storia. Sarà un mezzo dittatore ma stranamente ha indetto elezioni regolari a Istanbul, le ha perse e lo ha riconosciuto. E l’Europa, invece? L’Europa è governata dai sette nani più la biancaneve tedesca. Juncker, Tusk, o se volete Macron, Sanchez e ora le due signore dell’asse franco-tedesco, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde.