Archivio del Tag ‘Tunisia’
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Sangue in Siria, Assad si rassegni e conceda la libertà
«La libertà costa cara. Voi europei sapete bene quanto avete pagato per conquistarla in Italia, in Francia, e altri in America e in Giappone. Beh, adesso tocca a noi siriani. Come voi, dobbiamo lottare. S’è sparso sangue nel Paese, e altro ne scorrerà. Però, non c’è altra scelta». Così parla l’anziano avvocato Haythem al-Maleh, 80 anni, in libertà dopo un anno e mezzo di prigione. Già magistrato, negli anni ’50 e ’60 «quando la magistratura siriana era forte e indipendente», al-Maleh è un dissidente storico: il padre dei diritti civili in Siria, un paese nel quale i dissidenti sono stati incarcerati e decine di migliaia, torturati e uccisi. Un paese ora in fiamme, che non crede più alle promesse del giovane presidente Bashar Assad.
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Partire lontano: lasciateci sognare l’Europa
«Oh barca, amore mio, portami fuori dalla miseria. Partire lontano: nel mio paese mi sento umiliato, sono stanco e mi sono stufato». Il ritmo è rap, la melodia araba. Il brano è firmato dagli algerini Reda Taliani e 113. Racconta, come meglio non si potrebbe, quello che spinge i giovani tunisini sui barconi che approdano a Lampedusa: “partire lontano”, ovvero «andare via, evadere, come da una prigione, per vedere il mondo», dice Gabriele Del Grande, osservatore speciale dei migranti dal blog “Fortress Europe”. «Di canzoni così ce ne sono decine, dal Marocco all’Egitto. Ma su tutte spicca il grande successo di “Partir loin”», firmato da giovani: lasciateci andare, cantano, perché il mondo non è solo vostro.
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Il vescovo di Tunisi: non gettate a mare la nostra speranza
State attenti: se la crisi in Libia non si risolve alla svelta, l’Italia sarà letteralmente invasa. Per questo, oltre a tifare per una rapida uscita di scena di Muhammar Gheddafi – contro cui il 29 marzo Usa, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato la possibilità di armare massicciamente i ribelli – è necessario che l’Italia rispetti i tunisini che si ammassano a Lampedusa: sono “profughi della fame”, spiazzati dal disordine esploso nel loro paese che ha comunque assistito alle frontiere 120.000 persone in fuga dalla Libia. A parlare è l’arcivescovo di Tunisi, portavoce dei 30.000 cattolici liberi di professare la loro fede in Tunisia: per favore, non rigettate a mare chi oggi chiede aiuto e ha bisogno di tempo per risollevarsi.
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Lampedusa, collasso organizzato da chi incasserà voti
Si può stare al governo, non riuscire a risolvere i problemi e in più cercare anche di lucrarci sopra dal punto di vista elettorale? La risposta è sì. Basta vedere quello che sta accadendo a Lampedusa e, a cascata, nel resto del paese. In primo piano la Lega Nord: è il partito che esprime il ministro dell’Interno e detta le linee guida in tema di immigrazione. «Si sta dimostrando incapace di trovare una soluzione concreta all’emergenza e parla al paese solo con la voce della più vieta propaganda», quella di Umberto Bossi: «Gli immigrati? Cacciamoli tutti e basta». Al tempo stesso, la Lega è la forza che conta di ricavare il maggior incremento di consensi dalla situazione attuale. Più crescono i problemi, più voti arriveranno al Carroccio – che pure avrebbe dovuto risolverli.
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Libia, il razzismo ipocrita di chi diffida dei giovani ribelli
L’ultimo spettacolo di questi giorni è quello dei soci di Gheddafi – vecchi amici e alleati, clienti e fornitori – che si esercitano nel salire in cattedra per dare pagelle di democrazia agli insorti libici, generalmente chiamati “ribelli di Bengasi” e “separatisti della Cirenaica”, dimenticando che dal 17 febbraio si è sollevata tutta la Libia contro il dittatore, che oggi assedia ancora Misurata, terza città del paese vicinissima a Tripoli, dopo che le truppe del Colonnello hanno schiacciato nel sangue le rivolte esplose in tutto l’Ovest, da Zuara a Zawiya. E’ vero, ci sono anche i clan tribali, ma è una geografia ormai fluida: il fattore decisivo, sottolinea “Fortress Europe”, è il coraggio dei giovanissimi che sono scesi in piazza a mani nude contro il tiranno, prima ancora della diserzione delle prime unità territoriali delle forze armate, che ha trasformato la sollevazione popolare in guerra civile.
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Ban Ki-Moon: dalla Libia un monito a tutti i dittatori
Tensione al Cairo, dove il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, è stato aggredito in piazza Tahrir da una cinquantina di manifestanti filo-Gheddafi, che lo avrebbero circondato e costretto a ripararsi nella sede della Lega Araba. Nella capitale egiziana, il numero uno dell’Onu ha preso nettamente posizione sull’intervento internazionale in Libia: la missione militare anti-Gheddafi è una scelta «storica» e rappresenta un drammatico avvertimento per tutti i dittatori, nessuno escluso: neppure il Bahrein, “amico” dell’Occidente, che non ha esitato a sparare sulla folla in rivolta. Un messaggio nettissimo, in difesa dei raid in Libia contestati da Russia, Cina e Turchia.
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Oltre le bombe: quello che ci chiede la gioventù araba
Aiutare gli insorti, impedire che le milizie del raìs libico occupino Bengasi e Tobruk, soccorrere i profughi e arginare l’ondata dei migranti: tutti obiettivi largamente condivisi dalla comunità internazionale. Le divergenze investono invece il futuro di Gheddafi: arrestarlo per crimini di guerra, munirlo di un salvacondotto ed esiliarlo o larciargli una parvenza di potere in una sorta di libertà vigilata, disarmata e commissariata? Infine: bisogna mantenere l’unità della Libia o prendere atto che quell’unità è un’invenzione perché Tripolitania e Cirenaica sono realtà incompatibili e la loro fittizia unità è stata imposta dal colonialismo italiano prima e dalla dittatura di Gheddafi poi?
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Tradito e abbandonato, il Mediterraneo invoca l’Europa
Pane e speranza: l’Europa ha dimenticato il Mediterraneo? Ora è il Mediterraneo a ricordarsi dell’Europa, invocando aiuto. L’ondata dei profughi tunisini a Lampedusa? E’ soltanto l’inizio. «La rivolta che viviamo in questi giorni è solo una scintilla, nuovi fermenti ci sono anche nei Paesi dell’Est, in Russia, sino alla Cina. Il mondo sta per cambiare, forse si prepara una nuova era con le incognite che i mutamenti radicali portano con sé». Lo scrittore bosniaco Predrag Matvejevic, insigne linguista e autore di bestseller come “Breviario mediterraneo” e “Pane nostro”, non ha dubbi: la ribellione del Maghreb certifica il fallimento della politica europea verso la propria frontiera meridionale. Urge “ripensare il mondo”, a cominciare dal Mediterreano.
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Rivoluzioni inedite: contro il potere, un mondo senza leader
È stata la vicenda libica ad agganciare l’attenzione costernata del mondo, è stata la violenza folle e crudele di un capo di Stato senza principi e senza scrupoli divenuto un sanguinario serial killer in questi suoi ultimi giorni di permanenza e di resistenza, una specie di Hitler ancora più folle che, si dice mentre scriviamo, sta pensando di bombardare le sorgenti del suo petrolio in modo da creare una morte immensa per tutti, chi lo ha sostenuto e chi lo ha combattuto fino alla fine. In questo spettacolo di ferocia totale sono sembrate quasi normali le transizioni di regime avvenute in Egitto e Tunisia. Ma non lo sono. Sono Paesi in attesa di colmare un vuoto di identità, di governo e di futuro.
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Giovani arabi: rivoluzione Al Jazeera, l’Occidente balbetta
Non è quello del comunismo. E, per ora, non lo si può chiamare “fantasma della democrazia”. E’ una rivolta da fine dell’Impero. E’ uno dei sintomi della crisi globale del pianeta, che progressivamente sta sostituendo, e sostituirà completamente in pochi anni, tutte le agiografie adoranti della globalizzazione imperiale. E’ un figlio di molti fattori, che non possono essere ridotti a uno, come gran parte della stampa occidentale sta scribacchiando in questi giorni. Non è la rivoluzione dei “social network” americani, anche se vi hanno contribuito. Non è la rivoluzione democratica all’occidentale, anche se questo aspetto fa capolino, per esempio in Egitto.
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Martirio Libia, esercito diviso dal genocidio: è guerra civile
Mille morti nelle strade, migliaia di feriti, sangue e terrore: gli ultimi giorni di Muhammar Gheddafi assediato nel bunker di Tripoli e protetto da miliziani e mercenari si trasformano in un incubo, con almeno 200.000 profughi che cercano scampo via mare. Mentre l’Onu condanna la spaventosa brutalità della repressione – raid aerei con bombe sulla folla – il Colonnello lancia l’estremo, terribile avvertimento: lotterà fino alla morte, seminando strage. Si profila una guerra civile, tra diversi reparti dell’esercito, nel caos più assoluto. E’ il quadro che tutti gli analisti prefigurano: frammentate e divise, senza un riferimento politico dopo 40 anni di black out, le forze armate libiche non sono in grado di risolvere rapidamente la situazione. Si annuncia una vera e propria catastrofe umanitaria.
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Gheddafi trema: scontri a Bengasi, s’incendia anche la Libia
Il contagio della rivolta nel mondo arabo e islamico è arrivato anche in Libia, paese che confina con sia con Egitto che con la Tunisia. È di almeno 38 feriti il bilancio degli scontri fra manifestanti e polizia appoggiata dai sostenitori del leader libico Muhammar Gheddafi, scoppiati a Bengasi nella notte fra il 15 e il 16 febbraio. Mentre a Lampedusa – dove è stato dichiarato lo stato d’emergenza – si ammassano migliaia di profughi tunisini, a tremare è ora il regime di Tripoli, al quale il governo Berlusconi ha affidato il controllo della frontiera mediterranea. Dopo aver fatto il tifo per Ben Alì e Mubarak – i presidenti-dittatori rovesciati dalla furia popolare tunisina ed egiziana – ora Gheddafi deve fare i conti con il popolo libico galvanizzato dall’ondata democratica maghrebina.