Archivio del Tag ‘unioni civili’
-
Radio Maria: il coronavirus è un castigo di Dio, colpa nostra
«Il coronavirus come una delle piaghe inviate da Dio sugli uomini per convertirli». La singolare tesi arriva da “Radio Maria”, l’emittente cattolica con share altissimi a livello nazionale. In uno dei programmi più seguiti – quello delle prediche di padre Livio Fanzaga, un ultrà della fede che solitamente fa riferimento ai messaggi “sovrannaturali” della Madonna di Medjugorje – è stata avanzata la singolare congettura, scrive il “Messaggero”. Sull’origine del coronavirus, «la pandemia che si è abbattuta sull’umanità», il sacerdote di Dalmine, nel Bergamasco, ha ben pochi dubbi: si tratterebbe di «un avvertimento che arriva direttamente dalla vergine di Medjugorje e che sarebbe stato veicolato attraverso i veggenti in uno dei messaggi periodici». Ai microfoni di “Radio Maria”, continua il “Messaggero”, l’epidemia viene prima accostata simbolicamente a quella raccontate dal Manzoni a Milano nel 1600, poi alla peste nera immortalata da Boccaccio nell’alto medioevo, e infine alla Spagnola che fece un’ecatombe di vittime nella prima decade del secolo scorso. Tutti segni, secondo “padre Livio”, per convertire l’umanità alla fede cattolica e al ritorno del sacro, di cui il Vaticano si considera “esclusivista”.«La natura è ormai ostile a noi e con questo coronavirus abbiamo aperto gli occhi, perché è arrivato in un momento propizio: basta ascoltare il messaggio della Madonna di Medjugorie dato a Ivan il 17 settembre, nel quale afferma che si sta realizzando il periodo di Satana». Quindi l’epidemia, prosegue il sacerdote, è vista come una punizione divina, un segnale di allerta, un avvertimento per indicare ai fedeli di ritornare alla via maestra. “Padre Livio” ricorda anche che la presunta pandemia (finora, tecnicamente, solo “epidemia”) ha avuto avvio in Cina, «un paese dove avvengono persecuzioni anticristiane». Il morbo si è poi trasferito in Italia, dove il secolarismo starebbe cancellando i tratti del sacro e le radici della fede nazionale. «Si tratta di un ammonimento che ci dice che ci vuole poco per metterci in ginocchio», e che «bisogna tenere sempre in mano la corona del rosario», avverte Livio Fanzaga. Per lui, «il tempo dei segreti si avvicina», conclude il “profeta” radiofonico, con la consueta sobrietà. E non è che l’inizio: «Ci saranno cose terribili, come guerre, epidemie, sconvolgimenti della natura».“Radio Maria”, l’emittente cattolica più ascoltata al mondo, si definisce «una radio ecclesiale privata, sostenuta unicamente dalla preghiera, dai sacrifici e dalle offerte dei suoi ascoltatori: un miracolo di volontariato». Nel 2016, “Repubblica” scriveva: «L’emittente ha ricevuto in tre anni oltre due milioni di fondi statali». Pesanti le critiche della Corte dei Conti per l’assenza di criteri per assegnarli. Forti anche le polemiche politiche per l’anatema di “Radio Maria” contro lo Stato italiano, “colpevole” di aver varato le unioni civili. Uno speaker, padre Giovanni Cavalcoli, è stato sospeso dopo le sue affermazioni sul terremoto come «castigo di Dio». Fondata nel 1987, “Radio Maria” vanta 150 conduttori, 50 tecnici e 80 studi mobili, trasmettendo in ogni continente. Il “miracolo di volontariato” diffonde le sue frequenze attraverso 84 reti in ben 77 nazioni, supportate da altre 22 stazioni radiofoniche che trasmettono anche nella lingua locale.Il direttore, “padre Livio”, classe 1940, ordinato sacerdote nell’ordine dei Padri Scolopi, nel 1966 si è laureato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma (poi anche in filosofia alla Cattolica di Milano). Folgorato nel 1987 da un pellegrinaggio a Medjugorje, Livio Fanzaga si sente, da allora, il megafono italiano della presunta apparizione “soprannaturale” in Croazia, rispetto alla quale il Vaticano stesso resta tuttora estremamente prudente. Fanzaga è anche autore di una quantità pressoché sterminata di libelli, promossi da “Radio Maria”, i cui titoli parlano da soli: “L’umanità al bivio, Medjugorje nel tempo dell’impostura anticristica”. Oppure: “L’Apocalisse è cominciata”, “L’inganno del modernismo”, “La donna e il drago”, “Inchiesta sull’inferno”. «L’Apocalisse – scrive Fanzaga – offre una chiave di interpretazione che, per i credenti, è l’unica che permette di mettere a fuoco l’attuale fase del cammino umano, caratterizzata da un attacco virulento dell’impero delle tenebre, volto a dissolvere la fede, scompaginare la Chiesa, cancellare la presenza di Gesù Cristo e intronizzare l’uomo al posto di Dio, in modo tale che Satana possa riprendersi il dominio del mondo e trasformarlo nel suo regno di morte». Da qui al coronavirus, come si può capire, il passo è brevissimo.«Il coronavirus come una delle piaghe inviate da Dio sugli uomini per convertirli». La singolare tesi arriva da “Radio Maria”, l’emittente cattolica con share altissimi a livello nazionale. In uno dei programmi più seguiti – quello delle prediche di padre Livio Fanzaga, un ultrà della fede che solitamente fa riferimento ai messaggi “sovrannaturali” della Madonna di Medjugorje – è stata avanzata la singolare congettura, scrive il “Messaggero“. Sull’origine del coronavirus, «la pandemia che si è abbattuta sull’umanità», il sacerdote di Dalmine, nel Bergamasco, ha ben pochi dubbi: si tratterebbe di «un avvertimento che arriva direttamente dalla vergine di Medjugorje e che sarebbe stato veicolato attraverso i veggenti in uno dei messaggi periodici». Ai microfoni di “Radio Maria”, continua il “Messaggero”, l’epidemia viene prima accostata simbolicamente a quella raccontate dal Manzoni a Milano nel 1600, poi alla peste nera immortalata da Boccaccio nell’alto medioevo, e infine alla Spagnola che fece un’ecatombe di vittime nella prima decade del secolo scorso. Tutti segni, secondo “padre Livio”, per convertire l’umanità alla fede cattolica e al ritorno del sacro, di cui il Vaticano si considera “esclusivista”.
-
Magaldi: se rimane nel centrodestra, Salvini non ha futuro
«Non scherziamo, sul fascismo: è stato un fatto storico, serio e tragico. Evocarlo a casaccio, oggi, significa mancare di rispetto a chi lo ha subito davvero». Gioele Magaldi attacca «l’analfabetismo funzionale» degli slogan delle Sardine, che riempiono le piazze grazie all’odio per Salvini ma senza proporre niente: «Non vanno oltre le generiche dichiarazioni di principio, il livello è quello del concorso di Miss Italia». Vuoi un mondo migliore? Bene, ma allora perché non riesci a formulare una sola proposta? «L’Italia ha bisogno di investimenti per 200 miliardi, da non computare nel deficit: possibile che dalle Sardine non arrivi nemmeno un’idea?». Possibile, sì: a loro basta vomitare disprezzo su Salvini, cui rimproverano persino l’uso dei social media. «Mi vorrebbero proibire Facebook?», si domanda l’Uomo Nero, che ha appena festeggiato il trionfo di Boris Johnson. Male, prende nota il presidente del Movimento Roosevelt: «E’ ora di finirla, con la politica tribale. Non ha senso esultare perché a Londra ha vinto la destra», sostiene Magaldi. «Lo stesso Johnson ammise si avere mentito, al referendum, garantendo che la Brexit avrebbe regalato chissà cosa, agli inglesi». Per inciso: «Il leader del Brexit Party, Nigel Farage, tutela gli interessi dei suoi amici affaristi. E il primo “regalo” della Brexit, infatti, sarebbe la privatizzazione della sanità britannica».Cosa c’è da festeggiare? Proprio niente, dice Magaldi, in web-streaming su YouTube. Per contro, non è il caso di commettere i soliti errori ottici: «Johnson non è affatto “un fascista”, intendiamoci: come conservatore inglese è anzi antifascista. Certo è un neoliberista radicale, mentre Blair e Clinton erano per il neoliberismo “soft” della cosiddetta Terza Via teorizzata da Anthony Giddens, poi imitati da epigoni italiani come D’Alema e Renzi». Variazioni cosmetiche sul tema, e medesimo risultato: privatizzazioni selvagge. «In questi decenni – dice Magaldi – il finto scontro fra centrodestra e centrosinistra, a colpi di insulti tribali, è servito solo a proteggere i manipolatori: gli stessi poteri hanno imposto la loro agenda, sia alla destra che alla sinistra». Non l’ha ancora capito, Salvini? «Se resta ancorato al centrodestra, il leader della Lega non ha futuro», afferma Magaldi. «La Lega – aggiunge – avrebbe persino qualcosa da imparare, dai conservatori inglesi: con Cameron hanno varato i matrimoni gay quando in Italia non s’era ancora arrivati nemmeno alle “unioni civili” volute da Renzi». Altro capitolo del classico trazionalismo della destra italiana, la criminalizzazione della droga: «Salvini è riuscito a fare una crociata persino contro i negozi di cannabis terapeutica, in un paese dove tutti si possono drogare in barba alla legge, facendo la felicità del narcotraffico mafioso».Magaldi è antiproibizionista: «Legalizzare le droghe vorrebbe dire controllarne il mercato, sottraendolo alla criminalità. Accadde la stessa cosa negli Usa, quando Roosevelt mise fine all’ipocrisia del proibizionismo sull’alcol». Un consiglio al leader della Lega: prosegua nel cammino intrapreso per trasformare l’ex Lega Nord in un soggetto diverso, non più ancorato al centrodestra, capace di opporsi agli abusi di questa Ue presidiata da finti europeisti come Merkel e Macron. Quanto alle Sardine, c’è poco da aggiungere: «Anche a me piace cantare Bella Ciao, senza dimenticare però che a cantarla non erano solo i partigiani artefici della futura democrazia, ma anche i comunisti che sognavano di trasformare l’Italia in un incubo come la Jugoslavia, l’Albania, l’Ungheria». Se la Lega può stonare e la Gran Bretagna si affida agli squali del neoliberismo che nuotano all’ombra di Boris Johnson, certo non brilla la sinistra inglese: «Sono contento che abbia perso, Jeremy Corbyn. Comunque, non poteva vincere: troppo estremista sulle nazionalizzazioni». Magaldi cita l’esempio virtuoso del socialista svedese Olof Palme: impegnava lo Stato come partner delle aziende in crisi, per salvare il lavoro. «Corbyn poi ha insistito solo sulle tasse: ma persino Draghi ha appena evocato la Modern Money Theory, cioè la via ultra-keynesiana per finanziare lo Stato (emettendo moneta) senza per forza inasprire il carico fiscale».Magaldi cita un saggio dei Premi Nobel per l’Economia, la francese Esther Duflo e l’indiano Abhijit Banerjee, marito e moglie, presentato da Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera”. Titolo: “Good economics for hard times”. In uscita da Laterza, questa “buona economia per tempi duri” ha una premessa: vaccinarsi dall’odio politico quotidiano, fatto solo di slogan e insulti. Primo: tornare a riconoscere la dignità dell’avversario. Viceversa, se prevale la rissa, vincono i soliti poteri invisibili e ci rimettono gli elettori, tutti insieme. «La sinistra “illuminata” parla in termini “millenaristici” dell’ascesa mondiale della nuova destra, la quale ricambia i pregiudizi», scrive Buccini. «I punti di vista sono “tribalizzati”, non solo sulla politica ma anche sui problemi sociali: tutte questioni che richiederebbero qualcosa più di un tweet». L’Italia agonizza, vaso di coccio tra vari di ferro, mentre la politica balbetta. Il Mes, l’Ilva, i mille fronti aperti. Il Conte-bis sembra già morto, i 5 Stelle sono allo sbando e il Pd spera nelle Sardine, che si limitano a sparare su Salvini: il quale, ora, tende la mano per un possibile patto di salvezza nazionale, viste le troppe emergenze concomitanti. Sarà tattica, ma è sempre meglio dei latrati che salgono dalle piazze dei giovani odiatori.«Non scherziamo, sul fascismo: è stato un fatto storico, serio e tragico. Evocarlo a casaccio, oggi, significa mancare di rispetto a chi lo ha subito davvero». Gioele Magaldi attacca «l’analfabetismo funzionale» degli slogan delle Sardine, che riempiono le piazze grazie all’odio per Salvini ma senza proporre niente: «Non vanno oltre le generiche dichiarazioni di principio, il livello è quello del concorso di Miss Italia». Vuoi un mondo migliore? Bene, ma allora perché non riesci a formulare una sola proposta? «L’Italia ha bisogno di investimenti per 200 miliardi, da non computare nel deficit: possibile che dalle Sardine non arrivi nemmeno un’idea?». Possibile, sì: a loro basta vomitare disprezzo su Salvini, cui rimproverano persino l’uso dei social media. «Mi vorrebbero proibire Facebook?», si domanda l’Uomo Nero, che ha appena festeggiato il trionfo di Boris Johnson. Male, prende nota il presidente del Movimento Roosevelt: «E’ ora di finirla, con la politica tribale. Non ha senso esultare perché a Londra ha vinto la destra», sostiene Magaldi. «Il leader del Brexit Party, Nigel Farage, ammise si avere mentito, al referendum, garantendo che la Brexit avrebbe regalato chissà cosa, agli inglesi». Per inciso: «Farage tutela gli interessi dei suoi amici affaristi. E il primo “regalo” della Brexit, infatti, sarebbe la privatizzazione della sanità britannica».
-
Magaldi: sta cambiando tutto, e adesso ve ne accorgerete
Forse adesso anche i più sprovveduti, i teorici della “follia estiva” del Papeete, capiranno perché Salvini ha staccato la spina al governo gialloverde, una volta capito che Conte e Tria gli avrebbero impedito di alleggerire la pressione fiscale e inaugurare una politica finalmente espansiva. Ultimo tradimento, il voto dei grillini per Ursula von der Leyen alla Commissione Europea. Ragionamento del leghista: guai se resto al governo, costretto a firmare una manovra che rappresenta l’esatto contrario di quanto promesso. Risultato: Salvini ora fa il pieno alle regionali in Umbria (57,5%), umiliando Zingaretti e in particolare Di Maio, con i 5 Stelle al di sotto dell’8%. «Logico che gli italiani, a partire dall’Umbria, puniscano le forze del Conte-bis e la loro manovra finanziaria deprimente, persino preoccupante», con la crociata contro i mini-evasori e la demonizzazione del contante. Gioele Magaldi canta vittoria: il suo Movimento Roosevelt si è schierato con la Tesei sostenendo “Umbria Civica” del battitore libero Nilo Arcudi: «Non per rieditare l’obsoleto e deludente centrodestra, ma per promuovere un dialogo trasversale coi progressisti del centrosinistra, contro i conservatori di entrambe le coalizioni».Un esito scontato: «Nel 2018, i gialloverdi avevano promesso un vero cambiamento: assaporato il quale, ora gli elettori non possono digerire l’imbarazzante Conte-bis», sottomesso ai consueti vincoli-capestro imposti da Bruxelles. Per Magaldi, tutto sta insieme: gli elettori umbri premiano il Salvini che si è circordato di economisti post-keynesiani come Bagnai e Rinaldi, contrari alla “teologia” del rigore Ue. Nel frattempo, Giuseppe Conte è sulla graticola: oltre alla débacle umbra, che taglia le gambe alla grottesca alleanza tra il Pd e i grillini che proprio in Umbria li avevano denunciari, facendo cadere la giunta “rossa” di Catiuscia Marini, il premier teme sviluppi dal caso Russiagate, dopo le strane omissioni (segnalate dal “Corriere della Sera”) che rendono incompleta, se non reticente, la sua prima audizione al Coapasir. Il sospetto: Conte avrebbe usato in modo improprio i servizi segreti italiani, mettendoli a disposizione del ministro statunitense William Barr, impegnato a cercare prove contro Joe Biden, rivale di Trump. Non è tutto: proprio mentre Perugia si trasformava nella Caporetto di “Giuseppi”, il “Financial Times” ipotizzava che Conte potrebbe essere accusato di conflitto d’interessi per aver fatto da consulente a un fondo d’investimento di area vaticana, ora accusato di corruzione.«Me ne compiaccio», dichiara Magaldi, irridente, pensando alla “macchina del fango” scatenata contro Salvini per “Moscopoli”, anche attraverso il servizio di “Report” trasmesso in prossimità dell’audizione di Conte al Copasir e alla vigilia delle elezioni in Umbria. «Segno che tra i cosiddetti “poteri forti” non ci sono soltanto quelli di segno reazionario, che sostengono il Conte-bis, dopo aver sorretto i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni». Esponente italiano del network massonico progressista internazionale (Grande Oriente Democratico, Rito Europeo Universale), Magaldi annuncia: i massoni progressisti sono impegnati in una controffensiva, in tutto il mondo, dopo i decenni devastanti della globalizzazione neoliberista. Il presidente del Movimento Roosevelt cita la Cina, che ha rimosso la governatrice di Hong Kong contestata dalla popolazione, e segnala anche l’esultanza di Trump per l’annuncio della morte del capo dell’Isis, «il massone reazionario e terrorista Abu Bakr Al-Baghdadi, esponente della superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dal clan Bush per terremotare il pianeta anche col terrorismo, grazie ad affiliati come lo stesso Osama Bin Laden».Se le creazioni supermassoniche chiamate Isis e Al-Qaeda avevano marcato l’ultima svolta (terroristica) del piano di dominio del pianeta, fondato sulla strategia della tensione internazionale per imporre a mano armata questa globalizzazione a senso unico e senza diritti, secondo Magaldi – autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) – tutto era cominciato l’11 settembre 1973 in Cile, con il golpe di Pinochet che aveva introdotto con la massima violenza la dottrina neoliberista della “scuola di Chicago” di Milton Friedman. A maggior ragione, dice oggi Magaldi, riempie il cuore – oggi – assistere a una protesta spettacolare come quella in corso a Santiago del Cile, sfidando il coprifuoco imposto da un governo che, come allora, ha schierato i carri armati nelle strade. «Tutto sta cambiando, a livello planetario, grazie alla regia della massoneria progresista», avverte Magaldi, lasciando capire che lo stesso Salvini – in apparenza esaltato dai mojito del Papeete, ad agosto – è stato «sapientemente consigliato» sul da farsi. «Salvini sta studiando», disse Magaldi, dopo il divorzio del leader leghista dal governo coi grillini. «E’ vero, sto studiando», ha confermato Salvini, nel “duello” televisivo con Renzi, da Bruno Vespa.«Fortemente trasformata da Salvini, la Lega è comunque ancora caratterizzata da un’impostazione tradizionalista, ad esempio in merito ai diritti civili (unico merito di Renzi, l’aver varato almeno le “unioni civili”)». Tuttavia, aggiunge Magaldi, «il Carroccio di Bossi e Maroni era apertamente liberista, mentre la Lega di Salvini si è affidata a economisti progressisti, dotati di una visione che prevede il ritorno dell’intervento dello Stato nell’economia: meno tasse e investimenti strategici da non inserire nel computo del deficit». Se son rose fioriranno, sembra dire Magaldi: anche perché, in ogni caso, tutti gli altri (Conte e Di Maio, Zingaretti e Renzi, lo stesso Berlusconi) non hanno mai osato neppure ipotizzare un cambio delle regole, da intavolare a Bruxelles. Potrebbe farlo ora l’ipotetico “nuovo” Mario Draghi, che – di colpo – evoca la sovranità monetaria, con l’emissione di denaro illimitata prescritta dalla Modern Money Theory? Meglio non correre con la fantasia, raccomanda Magaldi: Draghi potrebbe sostituire Conte «solo se si facesse garante con Bruxelles di una vera espansione della spesa strategica per l’Italia», e dopo aver fatto ammenda delle sue “malefatte”. «Come per la mafia contano i pentiti, che ne scardinano l’organizzazione, così Draghi dovrebbe dimostrare di essere davvero pentito della sua pessima governance reazionaria e neoaristocratica, prima di Bankitalia e poi della Bce».Forse adesso anche i più sprovveduti, i teorici della “follia estiva” del Papeete, capiranno perché Salvini ha staccato la spina al governo gialloverde, una volta capito che Conte e Tria gli avrebbero impedito di alleggerire la pressione fiscale e inaugurare una politica finalmente espansiva. Ultimo tradimento, il voto dei grillini per Ursula von der Leyen alla Commissione Europea. Ragionamento del leghista: guai se resto al governo, costretto a firmare una manovra che rappresenta l’esatto contrario di quanto promesso. Risultato: Salvini ora fa il pieno alle regionali in Umbria (57,5%), umiliando Zingaretti e in particolare Di Maio, con i 5 Stelle al di sotto dell’8%. «Logico che gli italiani, a partire dall’Umbria, puniscano le forze del Conte-bis e la loro manovra finanziaria deprimente, persino preoccupante», con la crociata contro i mini-evasori e la demonizzazione del contante. Gioele Magaldi canta vittoria: il suo Movimento Roosevelt si è schierato con la Tesei sostenendo “Umbria Civica” del battitore libero Nilo Arcudi: «Non per rieditare l’obsoleto e deludente centrodestra, ma per promuovere un dialogo trasversale coi progressisti del centrosinistra, contro i conservatori di entrambe le coalizioni».
-
Non temete i sovranisti, in quest’Europa fondata sulla paura
Anche in Svezia l’onda sovranista cresce, ma non abbastanza da rovesciare gli assetti di governo. Si ripete lo schema Le Pen, col Front National primo nei consensi ma non in grado di essere maggioranza né in grado di trovare alleati. E a quel punto scatta la coalizione antisovranista, tutti contro uno, e nascono governi stentati su fragili alleanze (come in Germania o in Spagna), con presidenti indesiderati dai due terzi della popolazione (Francia) o coalizioni spurie come da noi. O nascono perfino due, tre partiti “nazionali” che si cannibalizzano a vicenda (caso inglese coi conservatori biforcati più l’Ukip). Il vero problema è che siamo nel mezzo del guado, e dunque la situazione rischia la paralisi tra il non ancora e il non più. Perché poi i governi europeisti tra moderati e progressisti uniscono due debolezze e due declini, trascinano i paesi in coalizioni politiche di mera sopravvivenza, dentro sistemi fatiscenti, subordinati ai potentati economici, lontani dal popolo, dentro un’Europa ridotta a unione monetaria nel nome degli apparati di comando. Ma torniamo alla rappresentazione e alla percezione che ne ha la gente, ne danno i media, ne dà il potere.L’Europa di oggi è fondata sulla paura. Paura dello straniero per taluni, paura dei nazionalisti per talatri. Xenofobia e nazionefobia sono le due categorie politiche dominanti, le twin towers dell’Europa. Ma con la paura non si compiono scelte assennate. Fino a ieri nominavi la Svezia, l’Olanda, i paesi scandinavi e i paesi bassi, e spuntavano le immagini del socialismo democratico, della società aperta, permissiva, globale e spregiudicata, della droga libera, dell’eutanasia, delle coppie omosessuali esibite e parificate alle famiglie. Adesso nomini quei paesi e senti dire xenofobia, razzismo, nazionalismo. Fino a oggi appena nomini l’estrema destra ti viene fuori la solita genealogia: l’Austria reazionaria, asburgica e patria di Hitler, la Germania del Terzo Reich, la Francia di Vichy. Più l’aggravante cattolico-tradizionalista. E ora come la mettiamo che pure la permissiva, la protestante, la mai fascista Svezia, si rivolge a quella destra, dopo la Norvegia, l’Olanda e altri paesi nordeuropei?E come la mettiamo con paesi che hanno subito il nazismo e soprattutto il comunismo e ora si votano al sovranismo, come l’Ungheria, la Polonia, i cechi e gli slovacchi, cioè i paesi di Visegrad? Lasciamo stare i demoni fuori dalla porta, e lasciamo stare le paure. Ragioniamo con realismo. Sgomberiamo subito il campo da un’ossessione. L’antisemitismo e il razzismo non c’entrano con questa ondata populista, sovranista e nazionalista. Se conati antiebraici affiorano in Europa sono legati alla presenza islamica o alla questione palestinese; il resto è marginale periferia, patetico folclore, fuori dalla politica. C’è un tasso preoccupante di xenofobia in Europa? Ma non bisogna ridurla a patologia. Anche perché è paura, non odio razziale; è preoccupazione, non disprezzo etnico. C’è paura, umanissima e giustificatissima paura per l’ignoto e per l’estraneo, per la difficile convivenza, per il disagio sociale, per la criminalità legata a tutti questi fattori di instabilità. Quando la paura colpisce in modo così massiccio popoli maturi e civili non si può gridare al demonio, bisogna porsi il problema e affrontarlo fuori dai codici ideologici.La xenofobia attraversa oggi ceti sociali diversi, a cominciare dai più deboli e dai più popolari, e colpisce a destra come a sinistra. Vedete i travasi di voti in tutta Europa, compreso da noi, dalla sinistra al populismo, per rendervene conto. Allora rispetto allo straniero si devono portare a rigore due posizioni divergenti ma entrambi giustificate e rispettabili: quella di chi dice accoglienza punto e basta, viva la società multiculturale; e quella di chi dice accoglienza limitata e condizionata, e tutela prioritaria della comunità locale e nazionale e dei suoi confini. Sono due posizioni nettamente opposte, entrambi comprensibili e legittime se condotte con realismo e senza fanatismo. Se si accolgono nell’agone politico della democrazia entrambe le posizioni si spuntano le armi agli estremismi, ai fondamentalismi, alle violenze. Perché i fanatici stanno da entrambi le parti, e bisogna costringere entrambe a fare i conti con la realtà. I sovranisti crescono perché non hanno cittadinanza nella democrazia; e usano linguaggi duri e netti perché non sono ammessi nel gioco democratico.Finora la loro risorsa è proprio l’essere fuori, outsider, estranei e dunque critici radicali del sistema, a cominciare dal gergo usato. Non resta che scommettere a immetterla nel gioco, a pieno titolo, senza dichiararla criminale e illegale appena cresce (caso italiano docet): è una scelta che comporta rischi e incognite, ma complessivamente minori della scelta opposta, di escluderla e lasciarla inselvatichire, creando abissi tra popoli e istituzioni. Sarebbe un rischio anche per loro, perché si giocherebbero il loro ruolo di antagonisti anti-sistema. Larga parte di questi movimenti sovranisti non sono contro l’Europa ma contro l’Eurocrazia, ovvero contro le oligarchie finanziarie, tecnocratiche o ideologiche che decidono i destini dell’Europa a prescindere dai popoli e dalla loro realtà concreta. Sono movimenti fondati sull’importanza decisiva del confine e sulla priorità delle popolazioni autoctone e degli Stati nazionali rispetto al mondo esterno.Uscendo dal demagogico populismo antisistema, queste forze sarebbero costrette a rendere ragionevole, realista e compatibile la loro posizione: e questo si può convertire in un rafforzamento della base democratica e popolare dell’Europa al suo interno e di una maggiore incisività strategica e politica all’esterno. Anzi, queste spinte, opportunamente metabolizzate, possono alimentare un patriottismo europeo, o un patriottismo dei cerchi concentrici, che va dalla piccola patria alla nazione fino alla patria europea. Questi movimenti invocano, seppure a volte con rozzezza e demagogia, il ritorno della politica e delle passioni comunitarie, il ritorno ai popoli e alle loro sovranità, la salvaguardia della civiltà e della continuità con la storia. Non mi sembra una cosa terribile, o negativa.Dicono che queste forze rappresentino una minaccia per la democrazia e per la libertà. Ma oggi la democrazia come sovranità popolare è minacciata più da chi vuole invalidare i verdetti elettorali piuttosto che da chi vuole rispettarli. Quanto alla libertà vorrei ricordare che molti di questi partiti sovranisti sono di estrazione liberale, si presentano come partiti democratici del progresso, dell’Occidente, della modernità contro le invasioni islamiche, l’africanizzazione dei popoli. Il leader della destra olandese, l’omosessuale Pim Fortuyn, aveva scritto un saggio, “L’influenza islamica sulla nostra cultura”, in cui sosteneva l’incompatibilità tra l’Islam e la civiltà liberale d’Occidente. Posizione alla Oriana Fallaci, per intenderci. Fortuyn non si appellava alla difesa della tradizione europea o peggio al razzismo, ma al fatto che l’islamismo mette in pericolo la modernità liberale e democratica, la tolleranza e i costumi europei.Si può concordare o no con questa tesi (a me per esempio non piace), ma si deve riconoscere che si tratta di una posizione ultramoderna, liberale, occidentalista e perfino progressista. Che trova oggi molti seguaci nel nord Europa. Tesi non dissimili affiorano in difesa di Israele, rispetto al mondo arabo che lo circonda. Insomma, smettiamola di ingabbiare la mente e sprigionare le paure; proviamo a fare il contrario. Il futuro riserva sorprese e non è detto che siano amare. E tra le sorprese, la meno probabile mi sembra il ritorno al nazismo, al razzismo, al fascismo, e archeologia varia. Esortate ogni giorno a non innalzare muri; provate anche voi a non erigere muri dentro casa, contro l’onda sovranista.(Marcello Veneziani, “Non abboate paura dei sovranisti”, dal “Tempo” dell’11 settembre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Anche in Svezia l’onda sovranista cresce, ma non abbastanza da rovesciare gli assetti di governo. Si ripete lo schema Le Pen, col Front National primo nei consensi ma non in grado di essere maggioranza né in grado di trovare alleati. E a quel punto scatta la coalizione antisovranista, tutti contro uno, e nascono governi stentati su fragili alleanze (come in Germania o in Spagna), con presidenti indesiderati dai due terzi della popolazione (Francia) o coalizioni spurie come da noi. O nascono perfino due, tre partiti “nazionali” che si cannibalizzano a vicenda (caso inglese coi conservatori biforcati più l’Ukip). Il vero problema è che siamo nel mezzo del guado, e dunque la situazione rischia la paralisi tra il non ancora e il non più. Perché poi i governi europeisti tra moderati e progressisti uniscono due debolezze e due declini, trascinano i paesi in coalizioni politiche di mera sopravvivenza, dentro sistemi fatiscenti, subordinati ai potentati economici, lontani dal popolo, dentro un’Europa ridotta a unione monetaria nel nome degli apparati di comando. Ma torniamo alla rappresentazione e alla percezione che ne ha la gente, ne danno i media, ne dà il potere.
-
Noi, disprezzati dall’élite ladra: ecco il ponte che è crollato
Fissavo l’immagine terribile del ponte spezzato sui palazzi evacuati del Polcevera e pensavo all’indecente scannatoio divampato tra i palazzi della politica, i social e i media. Ripensavo a quel ponte durante i funerali di Stato – funerali anch’essi dimezzati come il ponte, perché molti famigliari hanno rifiutato le pubbliche esequie. I simboli sono segni del destino e ci dicono la verità più dei ragionamenti. Un ponte si è spezzato nella nostra società e ormai è irrimediabile e vistosa la frattura. Cosa è successo? Si è rotto il patto sociale su cui reggeva l’Italia. Si è rotto il patto tra governati e governanti, tra cittadini e istituzioni, tra forze politiche, sociali ed economiche in campo, tra Stato e popolo italiano, tra ideologia dominante e comune sentire. Ognuno va per conto suo e si sente in diritto di dire e fare quel che vuole, perché ormai non deve dar conto a nessuno. Il patto sociale era l’accordo sotterraneo che ancora sorreggeva, fino a qualche tempo fa, la nostra democrazia. Fortemente logorato da svariate crisi, passaggi traumatici di governi e di repubblica, reggeva ancora a malapena, evitando che il dissenso, le divergenze, i linguaggi ostili, le posizioni arrivassero alle loro estreme conseguenze e schizzassero come i tiranti del ponte Morandi.Il patto sociale reggeva su un residuo interesse reciproco a tenerlo in piedi, sovraccarico di critiche ma senza romperlo. Già con la Seconda Repubblica la società si era rivoltata contro la politica, ed era nato il berlusconismo; ora si rivolta e inveisce anche contro l’economia, contro tutti i potentati, contro l’intera classe dirigente. Così il ponte è saltato. Cosa frenava la rottura del patto sociale? Un residuo interesse comune, nazionale, generale, reciproco, tra governati e governanti; la sensazione di essere comunque sulla stessa barca, e persino il sottinteso che se la classe dirigente s’arricchiva, sia pure in modi illeciti, i benefici poi si estendevano a cascata un po’ su tutti i cittadini. Poi il flusso clientelare si è interrotto, il Welfare è finito, non solo a causa dell’Europa e della crisi economica. Ma insieme al venir meno di tutto questo, negli ultimi anni, è avvenuto qualcosa di traumatico di cui non si è ancora capita la portata micidiale: il sentire comune, il noi quotidiano, l’alfabeto elementare su cui reggeva la nostra società è stato sconvolto, mortificato, perfino criminalizzato.Nel giro di poco tempo abbiamo appreso che tutto quello in cui credevamo, le parole che usavamo, le cose a cui tenevamo erano infami, segni di arretratezza e di razzismo, di sessismo e di familismo, di xenofobia e di fascismo, perfino. Ogni volta che si poneva l’Italia davanti all’Europa si doveva essere dalla parte dell’Europa e non dell’Italia, altrimenti si era retrivi, isolazionisti e sciovinisti. Ogni volta che si opponeva l’assetto contabile della Finanza alla vita reale dei popoli si doveva dar la precedenza al primo. Ogni volta che sorgevano contrasti tra gli italiani e i migranti clandestini o i rom si doveva parteggiare per i migranti clandestini o per i rom. Ogni volta che si opponevano delinquenti che ti entrano in casa a derubati bisognava preoccuparsi di garantire i ladri, non i derubati. Ogni volta che si ponevano le famiglie naturali e tradizionali, composte da padri, madri e figli, rispetto alle unioni omosessuali, ai transgender, agli uteri in affitto, si doveva parteggiare per questi, e far sparire anche nel lessico i riferimenti “trogloditi” alla famiglia e alla nascita. Ogni volta che si esponevano i simboli religiosi che ci accompagnano da sempre – il crocifisso, il rosario, il presepe, i canti di Natale e i riti di Pasqua – bisognava provare ribrezzo o almeno imbarazzo nel nome dell’ateismo come esperanto universale o delle religioni altrui.Provate a stressare in questo modo e su ogni piano un popolo e insieme a fargli avvertire tutto il disprezzo verso una plebe bollata come razzista, sessista e dentro di sé fascista, fino a produrre una forma di razzismo rovesciato, di apartheid che separa la minoranza dirigente dalla “trascurabile maggioranza degli italiani” e vedete se alla fine non si spezza il ponte. Quando poi a tutto questo aggiungi i privilegi e le scorrerie del capitalismo nostrano che viaggia sotto scorta politico-mediatica della sinistra e si mangia o svende quel che faticosamente ha messo insieme lo Stato italiano, allora la rabbia schiuma e si fa scomposta. Quando senti, per esempio che il presidente dell’Iri sotto cui avvenne, col governo di centro-sinistra guidato da Prodi, la cessione delle autostrade ad Altantia (cioè al gruppo Benetton & C.), diventa poi presidente della stessa società Atlantia (sto parlando di Gros-Pietro, attualmente presidente d’Intesa-San Paolo) beh, allora capisci che il patto sociale è saltato non solo perché si è imbarbarita la società e l’antipolitica che l’esprime, ma anche e soprattutto, perché un ceto dominante, tra potentati e partiti, ha abusato del potere, della società e della gente e l’ha pure disprezzata.I grillini, i populisti, non sono il rimedio al crollo del patto sociale ma non sono nemmeno la causa, piuttosto sono il sintomo e l’effetto. La causa principale è in quei potentati, nelle oligarchie di sinistra, nei poteri giudiziari, nei giornali e tv di servizio. Rispetto a questo blocco, il centrodestra berlusconiano (e finiano) è stato inefficace, consenziente e da ultimo anche connivente. Con quella classe dominante, la società è cresciuta per conto suo, si è inselvatichita, si è imbastardita. Ora tutto questo non ci porta a soffiare sul fuoco della guerra civile e incivile e ad armare il risentimento, né ci porta a elogiare l’ignoranza e l’arroganza delle masse come rimedio all’abuso di potere. Ma ci porta a sognare disperatamente che passata la furia e il dolore del momento, il trauma del crollo, venga fuori un maturo senso dello Stato con un’adeguata classe dirigente e si ricomponga un decente patto sociale. Altrimenti non solo il ponte crollerà, ma anche la terra che sta sotto.(Marcello Veneziani, “Si è rotto il patto sociale”, dal “Tempo” del 19 agosto 2018; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Fissavo l’immagine terribile del ponte spezzato sui palazzi evacuati del Polcevera e pensavo all’indecente scannatoio divampato tra i palazzi della politica, i social e i media. Ripensavo a quel ponte durante i funerali di Stato – funerali anch’essi dimezzati come il ponte, perché molti famigliari hanno rifiutato le pubbliche esequie. I simboli sono segni del destino e ci dicono la verità più dei ragionamenti. Un ponte si è spezzato nella nostra società e ormai è irrimediabile e vistosa la frattura. Cosa è successo? Si è rotto il patto sociale su cui reggeva l’Italia. Si è rotto il patto tra governati e governanti, tra cittadini e istituzioni, tra forze politiche, sociali ed economiche in campo, tra Stato e popolo italiano, tra ideologia dominante e comune sentire. Ognuno va per conto suo e si sente in diritto di dire e fare quel che vuole, perché ormai non deve dar conto a nessuno. Il patto sociale era l’accordo sotterraneo che ancora sorreggeva, fino a qualche tempo fa, la nostra democrazia. Fortemente logorato da svariate crisi, passaggi traumatici di governi e di repubblica, reggeva ancora a malapena, evitando che il dissenso, le divergenze, i linguaggi ostili, le posizioni arrivassero alle loro estreme conseguenze e schizzassero come i tiranti del ponte Morandi.
-
Sorpresa: non sono più i nostri nemici a gestire lo spread
Colpo di scena: non sono più i soliti “signor no” europei, da Mario Draghi ad Angela Merkel, a pilotare lo spread, fino a ieri usato come clava contro l’Italia. «Visto? Lo spread cala, da quando si è insediato il governo Conte», sottolinea a “Colors Radio” Gioele Magaldi, il primo a svelare il retroscena massonico che ha opposto Sergio Mattarella a Paolo Savona. «E’ in atto un duro confronto in seno alla massoneria sovranazionale: da una parte l’ala conservatrice, che sostiene l’establishment europeo, e dall’altra i circuiti massonici progressisti, scesi in campo per difendere il governo “gialloverde”». Tema: interpretare l’Italia come banco di prova per la fine del rigore euro-tedesco, con i suoi terminali italiani. Ieri Monti e Napolitano, poi i pallidi Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, vicinissimo a Draghi, e ovviamente allo stesso Mattarella, arrivato al punto di interdire a Savona l’accesso al ministero dell’economia, dopo aver spedito Conte in udienza da Visco. Poi però è accaduto qualcosa che Berlino, Bruxelles e Francoforte non potevano prevedere: il loro braccio di ferro sullo spread è crollato subito, mentre Trump calava sulla Germania la mazzata dei dazi sull’acciaio. Il “golpe bianco” è durato solo 48 ore: giusto il tempo di capire che, forse, qualcosa – in Europa – è cambiato una volta per tutte: la “cricca del rigore” non potrà più ricattare e intimidire intere nazioni, in spregio al voto popolare?Ci attendono settimane piene di incognite, ammette Magaldi, perché il vero scontro – sul piano internazionale – è appena cominciato. Certo, oggi fa impressione vedere la cancelliera di ferro che scende a più miti consigli e si affretta, fuori tempo massimo, a riconoscere che l’Italia è stata completamente abbandonata di fronte all’emergenza-migranti che ha gonfiato la Lega di Salvini. Già esponente della superloggia sovranazionale progressista Thomas Paine, attraverso il Grande Oriente Democratico lo stesso Magaldi, presidente del Movimento Rooasevelt, è in prima linea nell’ambiente culturale massonico-progressista che vede nell’Italia il possibile punto di svolta della lunghissima crisi europea. «Sarà proprio dal nostro paese che partirà una riscossa democratica su scala continentale», profetizzava già nel 2014, presentando il saggio “Massoni” (Chiarelettere) che svela l’identità supermassonica del vero potere europeo, negli ultimi trent’anni in mano a cripto-massoni oligarchici, reazionari e neo-aristicratici (gli inventori del rigore spacciato per normalità fisiologica, dopo aver svuotato la democrazia confiscando sovranità a colpi di diktat).E’ il ben noto scenario dell’orrore organizzato dall’Ue e da Berlino: bilanci strozzati dai vicoli di spesa, e quindi crisi, disoccupazione, tasse, risparmi in fumo, giovani in fuga. Uno scempio deciso dagli eurocrati, veri e propri nemici dell’unità europea: grazie a loro, infatti, è esploso l’euroscetticismo ormai maggioritario. Che fare? Ovvio: estendere la spesa, dopo aver contrattato con Bruxelles l’intero sistema Ue. Impossibile mettere in campo il programma “gialloverde” (Flat Tax, reddito di cittadinanza pensioni dignitose) senza prima “sbullonare” l’ordoliberismo teutonico, oggi messo sotto attacco direttamente dagli Usa, scesi in campo accanto all’Italia. Magaldi tifa per il governo Conte, ma con giudizio: «Guai se aumenta l’Iva, perché sarebbe una misura pericolosamente recessiva. E guai se arretra, sul terreno dei diritti civili». Naturalmente, i media mainstream “vedovi” del Pd sono saltati addosso al ministro leghista Lorenzo Fontana, protagonista di un’infelice uscita sulle unioni civili. «Apprezzo però la tempistività con cui è intervenuto Salvini, chiarendo che Fontana parlava a titolo personale: le sue idee non rientrano nel programma di governo».L’ottimismo di Magaldi non è incondizionato: «Ci sono ottime premesse, insieme alla garanzia che Paolo Savona – l’uomo che Mattarella non voleva – costituirà una sapiente cabina di regia per gestire con Bruxelles la rinegoziazione dei trattati europei. Però bisogna stare a vedere che cosa realmente questo governo riuscirà a fare». E a chi si interroga sull’affidabilità dei 5 Stelle, Magaldi risponde con lo sguardo del politologo: «In tandem con Salvini, i pentastellati hanno avuto il merito storico di rompere la finzione dello scontro apparente tra centrodestra e centrosinistra, che in vent’anni hanno solo finto di combattersi, sottoscrivendo in realtà tutte le politiche di rigore imposte, via Ue, da un’oligarchia privatistica: quella che oggi, finalmente, guarda con preoccupazione alla svolta democratica italiana». A quanto pare, il futuro potrebbe rimettersi a correre, archiviando il mancato riformatore Berlusconi e il suo sodale Renzi, ultimo yesman del potere eurocratico. Sta cambiando tutto? Per il 14 luglio – data non casuale – Magaldi annuncia l’avvio di grandi manovre per la creazione di un nuovo soggetto politico liberalsocialista, che si metta in marcia – da posizioni keynesiane – per supportare il “cambio di paradigma”, oggi affidato alla compagine giudata da Conte. Obiettivo: demolire, per sempre, la grande menzogna neoliberista del rigore “virtuoso”, inventata dall’élite per derubare i popoli.Colpo di scena: non sono più i soliti “signor no” europei, da Mario Draghi ad Angela Merkel, a pilotare lo spread, fino a ieri usato come clava contro l’Italia. «Visto? Lo spread cala, da quando si è insediato il governo Conte», sottolinea a “Colors Radio” Gioele Magaldi, il primo a svelare il retroscena massonico che ha opposto Sergio Mattarella a Paolo Savona. «E’ in atto un duro confronto in seno alla massoneria sovranazionale: da una parte l’ala conservatrice, che sostiene l’establishment europeo, e dall’altra i circuiti massonici progressisti, scesi in campo per difendere il governo “gialloverde”». Tema: interpretare l’Italia come banco di prova per la fine del rigore euro-tedesco, con i suoi terminali italiani. Ieri Monti e Napolitano, poi i pallidi Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, vicinissimo a Draghi, e ovviamente allo stesso Mattarella, arrivato al punto di interdire a Savona l’accesso al ministero dell’economia, dopo aver spedito Conte in udienza da Visco. Poi però è accaduto qualcosa che Berlino, Bruxelles e Francoforte non potevano prevedere: il loro braccio di ferro sullo spread è crollato subito, mentre Trump calava sulla Germania la mazzata dei dazi sull’acciaio. Il “golpe bianco” è durato solo 48 ore: giusto il tempo di capire che, forse, qualcosa – in Europa – è cambiato una volta per tutte: la “cricca del rigore” non potrà più ricattare e intimidire intere nazioni, in spregio al voto popolare?
-
Odifreddi: Scalfari e il Papa, Repubblica stampa fake news
Oggi è la Giornata Mondiale del Fact Checking, e vale la pena soffermarsi su una straordinaria serie di fake news diffuse da Eugenio Scalfari negli anni scorsi a proposito di papa Francesco, l’ultima delle quali risale a pochi giorni fa. Com’è ormai noto urbi et orbi, Scalfari ha ricevuto nel settembre 2013 una lettera dal nuovo papa. Fino a quel momento, per chi avesse seguito anche solo di lontano la cronaca argentina, Bergoglio era un conservatore medievale, che nel 2010 aveva scandalizzato il proprio paese con le proprie anacronistiche prese di posizione contro la proposta di legge sui matrimoni omosessuali, riuscendo nell’ardua (e meritoria) impresa di coalizzare contro di sé un fronte moderato che fece approvare in Argentina quella legge, ben più avanzata delle timidi disposizioni sulle unioni civili approvate nel 2016 in Italia. Dopo la sua lettera a Scalfari, papa Francesco si è trasformato per lui, e di riflesso anche per “Repubblica”, in un progressista rivoluzionario, che costituirebbe l’unico punto di riferimento non solo religioso, ma anche politico, degli uomini di buona volontà del mondo intero, oltre che il papa più avanzato che si sia mai seduto sul trono di Pietro dopo il fondatore stesso.Fin qui tutto bene, o quasi: in fondo, chiunque ha diritto di abiurare il proprio passato di “uomo che non credeva in Dio” e diventare “l’uomo che adorava il papa”, andando a ingrossare le nutrite fila degli atei devoti, o in ginocchio, del nostro paese. Il fatto è che Scalfari non si è limitato alle proprie abiure personali, ma ha incominciato a inventare notizie su papa Francesco, facendole passare per fatti: a produrre, cioè, appunto delle fake news. In particolare, l’ha fatto in tre “interviste” pubblicate su “Repubblica” il 1° ottobre 2013, il 13 luglio 2014 e il 27 marzo 2018, costringendo altrettante volte il portavoce del papa a smentire ufficialmente che i virgolettati del giornalista corrispondessero a cose dette da Bergoglio. Addirittura, la prima intervista è stata rimossa dal sito del Vaticano, dove inizialmente era stata apposta quando si pensava fosse autentica. Le interviste iniziano pretendendo che gli incontri con Scalfari siano sempre scaturiti da improbabili inviti di Bergoglio. E continuano attribuendo al papa impossibili affermazioni, dalla descrizione della meditazione del neo-eletto Francesco nell’inesistente «stanza accanto a quella con il balcone che dà su Piazza San Pietro» (una scena probabilmente mutuata da “Habemus Papam” di Moretti), all’ultima novità che secondo il papa l’Inferno non esiste.Quando, travolto dallo scandalo internazionale seguìto alla prima intervista, Scalfari ha dovuto fare ammenda il 21 novembre 2013 in un incontro con la stampa estera, ha soltanto peggiorato le cose. Ha infatti sostenuto che in tutte le sue interviste lui si presenta senza taccuini o registratori, e in seguito riporta la conversazione non letteralmente, ma con parole sue. In particolare, ha confessato, «alcune delle cose che il papa ha detto non le ho riferite, e alcune di quelle che ho riferite non le ha dette». Ma se le fake news sono appunto opinioni riportate come fatti, o falsità riportate come verità, Scalfari le diffonde dunque sistematicamente. Il che solleva due problemi al riguardo, riguardanti il primo Bergoglio, e il secondo “Repubblica”. Il primo problema è perché mai il papa continui a incontrare Scalfari, che non solo diffonde pubblicamente i loro colloqui privati, ma li travisa sistematicamente attribuendogli affermazioni che, facendo scandalo, devono poi essere ufficialmente ritrattate. Sicuramente Bergoglio non è un intellettuale raffinato: l’operazione (fallita) di pochi giorni fa, di cercare di farlo passare ufficialmente per un gran pensatore, suona appunto come un’excusatio non petita al proposito, e non avrebbe avuto senso per il ben più attrezzato Ratzinger (il quale tra l’altro se n’è dissociato, con le note conseguenze).L’avventatezza di papa Francesco l’ha portato a circondarsi autolesionisticamente di una variopinta corte dei miracoli, dal cardinal Pell alla signora Chaouqui, e Scalfari è forse soltanto l’ennesimo errore di valutazione caratteriale da parte di un papa che non si è rivelato più adeguato del suo predecessore ai compiti amministrativi. Non bisogna però dimenticare che Bergoglio è comunque un gesuita, che potrebbe nascondere parecchia furbizia dietro la propria apparente banalità. In fondo, un minimo di blandizia esercitato nei confronti di un ego ipertrofico gli ha procurato e gli mantiene l’aperto supporto di uno dei due maggiori quotidiani italiani, che è passato da una posizione sostanzialmente laica a una palesemente filovaticana. Se da un lato Bergoglio può ridersela sotto i baffi dell’ingenuità di uno Scalfari, che gli propone di beatificare uno sbeffeggiatore dei gesuiti come Pascal, dall’altro lato può incassare le omelie di un Alberto Melloni, che dal 2016 ha trovato in “Repubblica” un pulpito dal quale appoggiare le politiche papali con ben maggior raffinatezza, anche se non con minore eccesso di entusiasmo. A little goes a long way, si direbbe nel latino moderno.Rimane il secondo problema, che è perché mai “Repubblica” non metta un freno alle fake news di Scalfari, e finga anzi addirittura di non accorgersene, quando tutto il resto del mondo ne parla e se ne scandalizza. In fondo, si tratta di un giornale che recentemente, e inusitatamente, ha preso per ben due volte in prima pagina le distanze dalle opinioni soggettive del proprio ex editore-proprietario ma che non dice una parola sulle ben più gravi e ripetute scivolate oggettive del proprio fondatore. Io capisco di giornalismo meno ancora che di religione, ma la mia impressione è che in fondo ai giornali della verità non importi nulla. La maggior parte delle notizie che si stampano, o che si leggono sui siti, sono ovviamente delle fake news: non solo quelle sulla religione e sulla politica, che sono ambiti nei quali impera il detto di Nietzsche «non ci sono fatti, solo interpretazioni», ma anche quelle sulla scienza, dove ad attrarre l’attenzione sono quasi sempre e quasi solo le bufale.Alla maggior parte dei giornalisti e dei giornali non interessano le verità, ma gli scoop: cioè, le notizie che facciano parlare la maggior parte degli altri giornalisti e degli altri giornali. E se una notizia falsa fa parlare più di una vera, allora serve più quella di questa. Dire che il papa crede all’esistenza dell’Inferno è ovviamente una notizia vera, ma sbattuta in prima pagina lascerebbe indifferenti la maggior parte dei giornalisti e dei giornali. Per questo Scalfari scrive, e Repubblica pubblica, che il papa non crede all’Inferno: perché altri giornalisti e altri giornali lo rimbalzino per l’intero mondo. Il vero problema è perché mai certe cose dovrebbero leggerle i lettori. Che infatti spesso non leggono le fake news, e a volte alla fine smettono di leggere anche il giornale intero. Forse la meditazione sul perché i giornali perdono copie potrebbe anche partite da qui, nella Giornata Mondiale del Fact Checking.(Piergiorgio Odifreddi, “Le fake news di Scalfari su papa Francesco”, dal blog di Odifreddi su “Repubblica” del 2 aprile 2018).Oggi è la Giornata Mondiale del Fact Checking, e vale la pena soffermarsi su una straordinaria serie di fake news diffuse da Eugenio Scalfari negli anni scorsi a proposito di papa Francesco, l’ultima delle quali risale a pochi giorni fa. Com’è ormai noto urbi et orbi, Scalfari ha ricevuto nel settembre 2013 una lettera dal nuovo papa. Fino a quel momento, per chi avesse seguito anche solo di lontano la cronaca argentina, Bergoglio era un conservatore medievale, che nel 2010 aveva scandalizzato il proprio paese con le proprie anacronistiche prese di posizione contro la proposta di legge sui matrimoni omosessuali, riuscendo nell’ardua (e meritoria) impresa di coalizzare contro di sé un fronte moderato che fece approvare in Argentina quella legge, ben più avanzata delle timidi disposizioni sulle unioni civili approvate nel 2016 in Italia. Dopo la sua lettera a Scalfari, papa Francesco si è trasformato per lui, e di riflesso anche per “Repubblica”, in un progressista rivoluzionario, che costituirebbe l’unico punto di riferimento non solo religioso, ma anche politico, degli uomini di buona volontà del mondo intero, oltre che il papa più avanzato che si sia mai seduto sul trono di Pietro dopo il fondatore stesso.
-
Magaldi: la truffa delle elezioni 2018, solito inciucio in arrivo
Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Ma sapendo che il risultato, già scritto, si chiama inciucio. Con un risvolto ovviamente orrendo, per l’Italia. E cioè: ancora e sempre, sottomissione all’altrui potere. «Sono venticinque anni che il nostro paese non ha più un governo autorevole, e ci sono tutte le condizioni perché questa infelice tradizione prosegua, anche dopo le prossime politiche», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Quella che ci aspetta – dice, ai microfoni di “Colors Radio” – è solo l’ennesima truffa: precisamente, la truffa delle elezioni 2018, in cui i voti degli italiani serviranno solo a sorreggere l’ennesimo accordo basato sulle solite larghe intese, che naturalmente tutti fingono di voler evitare». Il Pd almeno porta a casa la legge sul biotestamento, «una delle pochissime buone cose fatte, insieme alle unioni civili». Renzi mostra di voler tirar dritto, ma sa già che dovrà vedersela con l’uomo di Arcore: «Fateci caso: appena Berlusconi ha rimesso fuori il naso, con il risultato delle regionali in Sicilia, si è immediatamente risvegliata una certa magistratura a orologeria. Sicché il Cavaliere si è visto costretto a elogiare la Merkel, aprendo addirittura alla possibilità di un Gentiloni-bis. Come dire: lasciatemi in pace, farò il bravo. Mi guarderò bene dal disturbare il vero potere che condiziona la penisola».Sondaggi alla mano, Renzi e Forza Italia saranno costretti a convivere, nonostante i mal di pancia di Salvini, che comunque ha prontamente ammaninato la bandiera anti-euro. «Le cosiddette destre estreme europee, come quella austriaca? Sono perfette per perpetuare in eterno il potere dell’oligarchia neo-aristocratica», osserva Magaldi. Lampante il caso francese di Marine Le Pen: «Il Front National è l’avversario che chiunque vorrebbe avere», specie se l’antagonista si chiama Emmanuel Macron. Lo strano feeling tra Palazzo Chigi e l’Eliseo? Assurdo: «In che cosa Macron potrebbe rappresentare una novità, rispetto al dominio eurocratico fondato sul rigore? E’ stato ministro di Valls, nominato da Hollande. Il che è tutto dire». Senza contare gli eminenti “padrini” del presidente francese, già banchiere del gruppo Rothschild, sostenuto dal supermassone oligarchico Jacques Attali, secondo Paolo Barnard maestro” di Massimo D’Alema. Come sperare che sia Macron a rompere il muro dell’austerity a guida tedesca? Significa solo prendere per il naso gli italiani, come sembrano aver tutta l’aria di fare gli ex Pd del cartello “Liberi e Uguali”, formazione che esibisce la foglia di fico istituzionale dell’incolore Pietro Grasso.«Da quelle parti circolano slogan che mirano a marcare le distanze dal Pd, ma dietro alle parole non c’è sostanza: piuttosto – dichiara Magaldi – lo spettacolo è quello, verminoso, della corsa alle poltrone, tramite candidature in seggi sicuri». Nulla che, in ogni caso, possa anche solo lontanamente impensierire i poteri forti che stanno piegando l’Italia. E nella “truffa” delle elezioni di primavera, Magaldi inserisce anche il Movimento 5 Stelle: al di là delle vaghe esternazioni di Di Maio su eventuali possibilità di collaborazione post-voto, i grillini sono intenzionati a restare nel loro sostanziale isolamento, non più così splendido dopo la pessima prova di Roma. Di fatto: sul tappeto, non c’è nessuna opzione per cambiare lo scenario, che vede l’Italia subire i diktat di potentati europei finanziari e industriali, che utilizzano la Merkel, Draghi e lo Juncker di turno. Terminali italiani della filiera? Per esempio il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, che Magaldi considera organico ai circuiti più reazionari dell’oligarchia supermassonica delle Ur-Lodges, gli stessi in cui – sempre secondo Magaldi – militano Mario Monti, Giorgio Napolitano e Massimo D’Alema.Sono peraltro in buona compagnia, per così dire: nel saggio “Massoni”, che mette a fuoco il “back office” del vero potere, Magaldi cita personaggi come Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), Giuseppe Recchi (costruzioni) nonché il banchiere Tommaso Cucchiani, insieme ad Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe. Sempre all’ambiente neo-aristocratico delle superlogge sovranazionali, per Magaldi, sono associati l’ex ministro Domenico Siniscalco e Corrado Passera, Marta Dassù e l’attuale governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, insieme a ex ministri come Vittorio Grilli (governo Monti), Fabrizio Saccomanni (governo Letta) e Federica Guidi (governo Renzi). Loro sì, un’agenda ce l’hanno: è quella imposta all’Italia dall’Europa del rigore. Meno diritti e più tasse, meno lavoro e salari più bassi. E ancora: tagli al welfare e alle pensioni, disoccupazione e impieghi precari. «Non dico che un imprenditore non possa licenziare un dipendente, ma dev’essere la Costituzione a garantire che il lavoratore licenziato possa rapidamente trovare un altro lavoro», dice Magaldi, che ha impegnato il Movimento Roosevelt in un vasto studio per migliorare la Costituzione italiana, nello spirito (largamente inattuato) dei padri costituenti.Socialismo liberale: proprio a un gigante del pensiero progressista europeo, il leader svedese Olof Palme, Magadi e i suoi dedicheranno all’inizio del 2018 un importante convegno a Milano: un’occasione per misurare, davvero, l’abisso che ci separa dall’Europa che sarebbe potuta nascere e svilupparsi, con al timone uomini come Palme, che impiegarono appieno la sovranità dello Stato per ottenere benessere diffuso e garanzie sociali per tutti. Nino Galloni, prestigioso economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt, sostiene che una “moneta di Stato”, fiduciaria, potrebbe benissimo aggirare il Trattato di Maastricht e risollevare di colpo l’economia italiana, attraverso la creazione di milioni di posti di lavoro. Cosa manca? La volontà politica, in primis. Manca una visione organica, una classe dirigente capace e non più subalterna, al servizio di poteri esterni. Le elezioni prossime venture? Una farsa: nessuna vera scelta, sul piatto. Solo variazioni sul tema, che non cambia: vietato alzare la voce con i boss dell’Unione Europea. Le forze in lizza? Fingeranno di combattersi, per poi attovagliarsi allo stesso tavolo. «Per questo, comunque vadano – conclude Magaldi – le elezioni della primavera 2018 saranno una vera e propria truffa».Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Ma sapendo che il risultato, già scritto, si chiama inciucio. Con un risvolto ovviamente orrendo, per l’Italia. E cioè: ancora e sempre, sottomissione all’altrui potere. «Sono venticinque anni che il nostro paese non ha più un governo autorevole, e ci sono tutte le condizioni perché questa infelice tradizione prosegua, anche dopo le prossime politiche», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Quella che ci aspetta – dice, ai microfoni di “Colors Radio” – è solo l’ennesima truffa: precisamente, la truffa delle elezioni 2018, in cui i voti degli italiani serviranno solo a sorreggere l’ennesimo accordo basato sulle solite larghe intese, che naturalmente tutti fingono di voler evitare». Il Pd almeno porta a casa la legge sul biotestamento, «una delle pochissime buone cose fatte, insieme alle unioni civili». Renzi mostra di voler tirar dritto, ma sa già che dovrà vedersela con l’uomo di Arcore: «Fateci caso: appena Berlusconi ha rimesso fuori il naso, con il risultato delle regionali in Sicilia, si è immediatamente risvegliata una certa magistratura a orologeria. Sicché il Cavaliere si è visto costretto a elogiare la Merkel, aprendo addirittura alla possibilità di un Gentiloni-bis. Come dire: lasciatemi in pace, farò il bravo. Mi guarderò bene dal disturbare il vero potere che condiziona la penisola».
-
Pornografia e feticismo, la postmodernità delle anime morte
La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.Schiavitù economica contrabbandata come libertà per i singoli, ma fino a un certo punto, perché si mina alla base il concetto di uguaglianza (perché dovremmo essere uguali? L’individuo non deve essere uguale a nessun altro) per favorire l’individualismo thatcheriano. Negli ultimi 10 anni si sono diffuse in Europa vari tipi di forze politiche, che sono state definite dal potere “populismi”: Indignados, Sovranisti, Podemos, M5S. Ma secondo l’ordine simbolico e linguistico imposto dal potere, con il solo obiettivo di rinsaldare il proprio dominio sui dominati, è necessario controllare la popolazione, e mantenere la massa schiavizzata in una condizione di subalternità, in modo tale che la neolingua possa diventare veicolo di potenziamento dei valori del neoliberismo. Dal 1989 il capitale ha adottato una nuova neolingua, e chiunque metta in discussione il potere oligarchico viene demonizzato come disfattista, complottista, o populista. La categoria di populista serve esattamente a diffamare ogni prospettiva che assuma la parte del Servo e non del Signore (“Fenomenologia dello spirito”, W. Friedrich Hegel).Oggi viene diffamato chiunque prenda la difesa dei lavoratori precarizzati e schiavizzati, perché ciò contraddice il potere, che vuol contrabbandare i propri dogmi ideologici come fossero interessi universali: concorrenza, competitività, globalizzazione, delocalizzazione, cancellazione dell’articolo 18, licenziabilità senza giusta causa, flessibilità. Chiunque abbia il coraggio di svelare il vero significato oscurato della neolingua viene silenziato come populista e complottista, incapace di accettare la mera ricostruzione dei fatti e degli eventi prospettata dalla mediatizzazione della realtà, che il potere ci mostra quotidianamente sugli schermi televisivi. Il termine “populismo” o “antipolitica”, viene quindi usato dal potere con toni spregiativi e diffamatori, è diventato una specie di parolaccia. E i media ci presentano una realtà confusa e distorta, Grillo come Trump, Raggi come Obama, l’imperatore buono, Premio Nobel per la pace, in realtà ha sostenuto 7 guerre in contemporanea (Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria).Modernità e Postmodernità. Termini che indicano lo spirito di una civiltà, nel suo divenire storico, antropologico e culturale. La distinzione va ricercata secondo un’analisi marxista, l’aforisma di Marx, per cui «la cultura dominante coincide perfettamente con la cultura della classe dominante» (Karl Marx, “Ideologia tedesca”). Le realtà virtuali, l’iperrealtà, sono la matrice della Postmodernità, strettamente correlate all’uso di macchine creatrici di virtualità: Pc, Tablet, iPhone… Se la “produzione” è la cifra della Modernità, la “simulazione” è quella della Postmodernità. La Postmodernità ridimensiona la produzione per favorire la simulazione, sposta ingenti masse di salariati dalle fabbriche al terziario o oltre, azzera quella middle class che era il volano dell’economia dei consumi, chiude impianti produttivi. La disoccupazione di massa è la vera piaga della postmodernità: felicità virtuale e disperazione reale.L’Illuminismo aveva concentrato l’attenzione sull’impatto politico della nuova mentalità scientifica, che inneggiava all’“Homo faber fortunae suae”, e aveva indotto i nuovi uomini a sostenere le prime grandi rivoluzioni della storia, Rivoluzione Americana 1776, Rivoluzione Francese 1789. Il background filosofico culturale entro cui nasce il populismo è dunque l’età postmoderna, che propone una narrazione sempre più inquieta e socialmente devastante, dove le solide narrazioni della modernità si sono frantumate contro il nonsense di un sistema sociale globalizzato, sfilatosi verso una remota periferia a-ideologica. Diversi autori hanno percepito in anticipo l’avvento del postmoderno, e lo hanno interpretato attraverso la loro acuta sensibilità, a partire dagli anni ’70: Jean-François Lyotard, Guy Debord, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman. Al popolo postmoderno non interessa la “verità” dei fatti né il senso degli eventi, perché vuole ascoltare solo le narrazioni, favole illusionistiche, simulacri evanescenti, emersi direttamente dal nuovo oscuro inconscio collettivo, e dalla società dello spettacolo.Le nuove minacce metropolitane sono: migranti e clandestini che invadono il paese, offrendo manodopera a basso costo, ingrossando le file della microcriminalità e minando così la serenità sociale; grottesche crociate contro l’Islam; politiche di austerity che massacrano l’economia dell’Italia, divenuta il Sud Europa. La “notizia” della postmodernità è una fake news, consiste nella negazione stessa dell’informazione, perché non mira a informare sulla “verità” dei fatti, ma li reinterpreta deformandoli, proprio per oscurarli completamente (Marco Travaglio, “La scomparsa dei fatti”). Jean-François Lyotard, nel suo testo “La condizione postmoderna” (1979), conia il nuovo termine di “postmoderno” per definire l’epoca attuale. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Lo sviluppo tecnologico diventa sempre più invasivo per il benessere neurovegetativo umano (“Psyche e Techne”, Umberto Galimberti). La pornografia dei media produce la molteplicità dei linguaggi, la contaminazione degli stili, un citazionismo ossessivo (film di Quentin Tarantino), tipico di un’epoca che non ha più nulla da dire, se non ripetere all’infinito, in modalità sempre diverse, le stesse tematiche.Ne è derivata la perdita di centralizzazione nell’organizzazione dello Stato (federalismo), la perdita di sovranità (euro, Ue), un aumento dei “processi di disgregazione dello Stato Nazione”. L’Occidente sta vivendo una stagione sconcertante, attraversata dalle rapidissime trasformazioni scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione storiografica tra l’epoca moderna (secoli XVII e XX) e l’epoca post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e i postmoderni professano una visione dell’uomo, della società e in genere della realtà, antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L’idea forte dei moderni è il progresso umano, essi concepiscono la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà. L’idea forte della modernità è il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Ciò che definisce l’essenza della condizione post-moderna, invece, è proprio la negazione della capacità umana di produrre il progresso, una sorta di nichilismo dei valori. Ne segue la negazione della scuola e dell’università come agenti di socializzazione e orientamento di valori. La perdita di potere e di funzione sociale dell’intellettuale, che a partire dall’età dei Lumi era stato la coscienza della modernità. Tutto molto strano per quella che viene definita la «società della conoscenza».Guy Debord, di formazione hegeliana e marxista, è stato uno dei critici più importanti delle società occidentali avanzate. L’incipit della “Società dello Spettacolo” (1967) riprende a un secolo di distanza quello del “Capitale” (1867) di Marx: «Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci». L’incipit dell’opera di Debord è: «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli» (“La Società dello Spettacolo”). Secondo Debord, La caratteristica principale del capitalismo moderno consiste nell’accumulazione del capitale, nell’espansione delle tecnologie della comunicazione, e nel «feticismo delle merci». Quest’aspetto dello spettacolo è sicuramente «la sua manifestazione sociale più opprimente» («Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini»). Tuttavia lo spettacolo è necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini secondo gli interessi di una parte della società.«Per il fatto stesso che lo spettacolo è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza». Lo spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione. E poi, giacché la comunicazione dei media è unilaterale, il Potere giustifica se stesso attraverso un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso prodotte. «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere». Lo spettacolo del capitalismo presuppone quindi l’assenza di dialogo, poiché è solo il potere a parlare. «Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento». Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore, il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a guardare, e non interviene. In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato.È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. I consumatori piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello spettacolo tutto ciò che a loro manca. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita. Debord descrive in questi termini l’alienazione del consumatore: «Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio». In una società mercificata, sostiene Debord, è la merce ad avere un ruolo centrale. Ogni merce promette il soddisfacimento dei bisogni, e quando arriva l’inevitabile delusione, dovuta al fatto che tali bisogni sono fittizi e manipolati, subentra una nuova merce pronta a mantenere la promessa disillusa dall’altra. Si crea così una concorrenza tra le merci, rispetto alla quale il consumatore frustrato è un mero spettatore.Questo modello impregna di sé, ormai, tutta la vita sociale, divenendo il prototipo di ogni competizione, compresa quella politica. Questa si riduce alla competizione tra leader che vendono la propria immagine come una merce, e fanno promesse che non manterranno mai. Il tutto nell’assoluta passività e apatia dei “cittadini”. Alle regionali siciliane Vittorio Sgarbi si presenta con un movimento, “Rinascimento siciliano”, insieme a Morgan e Giulio Tremonti, proponendo un trinomio decisamente bizzarro, composto da vecchi arnesi della politica spettacolo, camuffati da nuova proposta rinascimentale. La società è completamente dominata da immagini falsificate che sostituiscono la realtà, facendo scomparire qualsiasi verità al di là della falsificazione continua. Ciò determina una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo e quindi anche della democrazia. La finzione di democrazia è mantenuta in vita solo attraverso la costruzione di un nemico comune, il quale consente una falsa unità che ricopre la realtà della separazione gerarchica tra dirigenti ed esecutori. È questo il ruolo del terrorismo. «Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico, il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati».La mondializzazione dell’economia è l’apogeo di questo processo che si distingue da ciò che l’ha preceduta per un solo elemento, ma d’importanza decisiva. «Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato a fare apertamente guerra agli umani; non più soltanto alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza». Si può quindi affermare che «l’economia onnipotente è diventata folle, e i tempi spettacolari non sono altro che questo». Nella comunità la comunicazione prende la forma del dialogo e della discussione ai quali ciascuno può partecipare, condizione necessaria per prendere decisioni in comune. Questa comunicazione diretta è l’opposto di quella unilaterale dello spettacolo, nel quale una parte separatasi dalla totalità pretende di essere l’unica a parlare impartendo ordini che il resto della società deve limitarsi ad eseguire. Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato dovrebbe riprendere coscienza del tempo storico, ossia del fatto che l’economia è il vero motore della storia. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine alla storia.Jean Baudrillard poi, altro acuto osservatore del postmoderno, ha illustrato la frammentazione dell’identità e l’immagine frammentata del mondo e dell’uomo, confezionata dai mass media contemporanei, i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Per lo spettatore dei media tutto si riduce ad apprezzare l’intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Baudrillard inizia con la critica polemica verso il capitalismo. Smantellate le grandi teorie che guardavano alla realtà come un sistema complesso ma ordinato e descrivibile (“Idealismo o Positivismo”), il presente diventa ora un insieme di segni. Oggi predomina una iperrealtà virtuale, fatta di segni e simulacri (“Simulacri e simulazioni”, 1981). Ad essere messo in discussione è il concetto di realtà, non di verità, come spesso era accaduto in passato. Lo sguardo di Baudrillard che si proietta sul quotidiano è pessimistico, per non dire tragico e drammatico. La cultura produce qualcosa senza significato, e la sola branca del reale che è in grado di tenere in mano le sorti dell’uomo è l’industria, la società dei consumi.I nuovi media hanno giocato un ruolo cruciale nella fabbricazione del significato o finto valore della realtà. Nel suo libro “Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?” (1996), Baudrillard ha spiegato come la televisione abbia sostituito la realtà. Tutto ciò che vediamo attraverso lo schermo è una comunicazione artificiale, un reale contraffatto, che diventa la vera realtà. Consideriamo Disneyland, Las Vegas, dove tutto è incastrato in un meccanismo di funzionamento invidiabilmente impeccabile, un mondo finto che però funziona alla perfezione. Ci rechiamo volontariamente in tali luoghi perché attratti dalla spettacolarità magnetica della ri-creazione, della meraviglia, del simulacro. Siamo assorbiti dalla manipolazione dei media, dei programmi informatici e delle psicologie commerciali. Qual è l’originale realtà per noi? Viviamo di segni e simulacri realtà virtuali o siamo in grado di coglierne la differenza con criticità? Viviamo nei non-luoghi, definiti così da Marc Augé nel libro “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”. Gli spazi privi di identità, relazioni e storia: autostrade, svincoli e aeroporti, mezzi di trasporto, grandi centri commerciali, outlet, campi profughi, sale d’aspetto, ascensori… ecc ecc. Spazi in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione, senza entrare in contatto, senza discutere, parlare, guardarsi, dialogare… l’esatto contrario dell’agorà di Atene, culla della democrazia. Sospinti solo dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare viaggi e percorsi.I nonluoghi sono prodotti della società della postmodernità, dove i luoghi della memoria sono confinati e banalizzati in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. Le differenze culturali sono massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente, caratterizzato dalla precarietà assoluta dalla provvisorietà, dal viaggio, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. Nel film “The Terminal” di Steven Spielberg, il protagonista, Tom Hanks, un cittadino di un immaginario Stato dell’Europa orientale, atterra a New York e dopo aver scoperto che nel suo paese è avvenuto un colpo di Stato, diviene improvvisamente un uomo senza nazionalità, e perciò impossibilitato sia a uscire nella tanto agognata New York, sia a fare ritorno a casa, quindi resta prigioniero e si integra perfettamente nel nonluogo. I nonluoghi sono presenti anche sulla moneta Euro, con l’effigie di edifici e monumenti privi di identità e di storia, a differenza delle immagini presenti sulla Lira di Caravaggio, Verdi, Montessori, Galileo, Marconi, Colombo…Gli utenti si accontentano della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Da qui un paradosso: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri nonluoghi (“Villaggio globale”, Marshall McLuhan). Il rapporto fra i nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli, parole o voci preregistrate. L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti vietato fumare oppure non superare la linea bianca davanti agli sportelli. L’individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche di cittadino e i suoi ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o utente. Non vi è un riconoscimento delle classi sociali, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita dal nonluogo; per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/ passeggeri/ clienti/ consumatori che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole.La società che si vuole democratica non pone limiti all’accesso ai nonluoghi. Farsi identificare come consumatori solvibili, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare. Anche il concetto di “viaggio” è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: i grandi “nonluoghi” posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. Il più grande centro commerciale degli Stati Uniti d’America, il “Mall of America”, richiama oltre 40 milioni di visitatori ogni anno. Scrive il critico Michael Crosbie nella rivista “Progressive Architecture”: «Si va al Mall of America con la stessa religiosa devozione con cui i Cattolici vanno in Vaticano, i Musulmani alla Mecca, i giocatori d’azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland». Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L’identità storica delle città è stata ridotta a stereotipo di richiamo turistico. Nell’Europa che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, si crea un’ambivalenza dei nonluoghi: quelli dell’abbondanza, e quelli della miseria, come campi profughi, centri di detenzione dei migranti et similia. In essi però l’identità è pericolosa per chi ci si trova, poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione.Zigmunt Bauman è stato forse il pensatore, che ha meglio interpretato il disorientamento contemporaneo. Molti saggi di grande successo, a partire da “Dentro la globalizzazione” del 1998, o “Modernità liquida” del 2000, lo hanno decretato il guru del pensiero della postmodernità. La modernità liquida, concetto fra i più noti del sociologo, ci dice che con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso sono finite anche le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare al lavoro fisso, dalla sanità pubblica alle pensioni, la postmodernità le ha smontate tutte, dissacrandole e mescolandole a pulsioni nichilistiche. L’unica comunità dell’individuo è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo tutti noi senza più una missione comune (“Amore liquido”, 2003 o “Vita liquida”, 2005). La fase che viviamo è propizia alla nascita dei populismi, che nascono dall’indignazione. Dagli Indignados ad Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene fortemente contestato, con istanze naturalmente diverse ma sempre antisistema. La modernità poggiava sull’etica del lavoro, perché il capitalismo produttivo aveva bisogno di quadri dirigenziali, che facessero funzionare le industrie, fonte del proprio profitto, quindi c’era necessità di welfare, scuola pubblica, benessere per la collettività destinata a gestire le fabbriche.Al contrario, la postmodernità esalta l’estetica del consumo, che trasforma il mondo in un “immenso campo di sensazioni sempre più intense”. Un mondo spesso investito dalla pubblicità o dal venditore di turno. L’esasperazione della soggettività, trova anche incredibili attuazioni tecnologiche come la realtà virtuale (“La solitudine del cittadino globale”, 1999). Bauman in particolare nel libro “Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida” del 2014, parla di un approccio del tutto diverso rispetto alle strutture di potere. Jeremy Bentham e Michel Foucault avevano parlato di Panopticon, inteso come carcere centralizzato che controlla migliaia di detenuti, e in cui bastano pochi agenti di sicurezza per la custodia, metafora evidente del potere centralizzato della modernità e del suo controllo sulla società moderna. Bauman invece parla di un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo, in cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e le persone, o meglio le loro emanazioni digitali, i cui rischi più elevati sono la privacy, la libertà di azione e di scelta. La novità postmoderna è che questo spazio del controllo ha perso i muri, e a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono a collaborare al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto oscuro nascosto sotto a quello seduttivo.La globalizzazione è dunque un processo intimamente legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita, in pratica è una nuova forma d’imperialismo finanziario, impadronirsi dell’economia degli Stati, della loro moneta e della loro sovranità. Le forze economiche, infatti, hanno trasceso la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio, dettano legge e non si prefigurano più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a se stesso. Le corporation trasnazionali muovono in uno spazio extraterritoriale, volano sopra i confini dello Stato nazionale, fino ad oggi strumento di rappresentazione delle identità sociali, eludendo ogni sorta di controllo politico e collettivo, ignorando le differenze economiche, politiche, culturali, etniche e religiose delle singole nazioni. Il potere della globalizzazione economica è ormai senza volto e senza luogo, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza delle esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi. Il potere ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci qualsiasi capacità di autodeterminazione e programmazione futura.Nascere in Italia 40 anni fa significava avere buone probabilità di vivere la propria vita in quegli stessi luoghi, avere la speranza di trovare un lavoro vicino a casa, di conoscere i propri concittadini, la possibilità di fare previsioni verosimili sul proprio futuro. Oggi, si nasce in luoghi che mediamente vengono lasciati nella prima adolescenza, i giovani seguono opportunità di lavoro fugaci, sempre più volatili ed evanescenti, i lavoratori vengono assunti in aziende che da un momento all’altro potrebbero delocalizzare. Le spinte all’individualismo e alla competizione determinano questo stile di vita veloce che porta con sé nuova alienazione: quella dell’uomo e dei suoi rapporti. Per il cittadino globale la leggerezza e la velocità di spostamento sono caratteristiche fondamentali, meno vincoli si hanno e più si è pronti alla sopravvivenza nella selva-mondo virtuale, senza barriere né confini. Anche le relazioni umane, dice Bauman, si adeguano e si plasmano sulla base di un consumo ipertrofico, sono sempre più numerose ma sempre più brevi e superficiali. E così, la nostra situazione affonda in un mare di indifferenza, che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno.Nella postmodernità è nata una nuova immagine di società, come spazio che racchiude una molteplicità di individui senza più alcuna cornice comune, sempre più uguali nei loro destini ma sempre più divisi e soli nelle proprie vite. Aumenta poi costantemente il divario tra la condizione dei poveri e quello dei ricchi. Il populismo, in modo particolare il M5S, per quanto riguarda la situazione italiana, è quindi la reazione culturale e politica rispetto alle condizioni sociali drasticamente mutate nel tempo della postmodernità, dopo il golpe messo in atto dalla nuova classe sociale dominante, quell’aristocrazia finanziaria che mira a distruggere i diritti del lavoro, a proletarizzare la middle class, a desovranizzare gli Stati, ad americanizzare l’Europa. Data la potenza propagandistica dei media, riuscirà veramente a vincere le prossime elezioni politiche e a prendere il potere? Oppure sarà costretto inevitabilmente ad abbandonare istanze essenziali delle proprie battaglie, soggiogato dalla potenza della restaurazione liberista?(Rosanna Spadini, “Populismi e postmodernità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 settembre 2017).La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.
-
Il “fratello” Romano Prodi, globalizzatore in grembiulino
Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo ricevuto nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.Nel “primo round” delle sue clamorose rivelazioni – silenziate dal mainstrem in modo tombale – Magaldi ha scontato una critica ricorrente: non aver documentato le sue affermazioni, spesso esplosive, al punto da ridisegnare la mappa del vero potere, mettendo in relazione personaggi come Monti, Draghi e Napolitano con il mondo internazionale delle 36 Ur-Lodges che rappresentano il supremo vertice delle grandi decisioni. In realtà, Magaldi è stato chiaro dal principio: «Ogni mia affermazione è documentabile, dispongo di 6.000 pagine di dossier. Sono pronto a esibirle, se qualcuno contesterà quanto ho scritto». Ma gli interessati, naturalmente, si sono ben guardati dal fiatare: molto meglio la congiura del silenzio. E ora, dopo “La scoperta delle Ur-Lodges”, si avvicina la pubblicazione del sequel, “Globalizzazione e massoneria”, con retroscena sulla svolta oligarchica che ha svuotato le democrazie occidentali, imponendo politiche di rigore (e oggi anche terrorismo targato Isis) affidate a docili esecutori: come lo stesso Prodi, la cui vera identità – secondo Magaldi – è sfuggita alla maggior parte degli italiani. Un uomo di potere, in grembiulino. L’elettorato di sinistra lo ricorda con nostalgia? Sbaglia: il primo a metterlo in croce, quand’era a capo della Commissione Ue, fu Paolo Barnard su “Report”, che presentò il ritratto di un cinico tecnocrate, schierato con i peggiori oligarchi.Prodi è stato l’unico a battere Berlusconi, due volte su due? Vero, ammette Magaldi, parlando a “Colors Radio”: all’inizio, «quel grande carrozzone che è stato l’Ulivo individuò in modo perfetto, in Prodi, il suo leader». E Berlusconi, «grazie ai buoni uffici della Lega di Bossi, fu defenestrato, nel ‘94». Poi l’interregno di Lamberto Dini e quindi l’arrivo di Prodi nel ‘96. Con che esito? «L’effetto del governo Prodi è stato così ottimo, traghettandoci così bene in Europa, che nel 2001 Berlusconi ha rivinto». Poi c’è stata la seconda vittoria prodiana del 2006, di stretta misura, presto naufragata tra il Pd veltroniano, Bertinotti e Mastella, fino a rimettere Berlusconi al potere nel 2008. Certo, «Berlusconi si è rovinato con le sue mani: non è stato all’altezza della situazione». Ma a pesare, nel fallimento di Prodi, «sono state le pessime azioni di governo, da parte di Prodi e di tutti coloro che l’hanno accompagnato: il centrosinistra italiano, con Prodi e gli altri, non ha saputo produrre una politica lungimirante per questo paese». In altre parole, per Magaldi, «Prodi non ha saputo interpretare il post-1992 in un senso utile a costruire benessere, non dico uguale ma almeno di poco inferiore a quello della Prima Repubblica».Al pari del centrodestra di Berlusconi, il centrosinistra «ha fatto scempio dell’interesse del popolo italiano», piegandosi all’élite eurocratica. E quindi, «che benemerenza c’è nel fatto che Prodi si sia alternato a Berlusconi, battendolo?». In pratica, «sono due facce della stessa medaglia: centrodestra e centrosinistra si sono alternati senza nessuna vera differenza nella gestione di un paese che dipendeva da linee progettate altrove: costoro hanno soltanto fatto da esecutori, secondo una commedia dell’arte per cui, magari, apparentemente, mettevano ingredienti diversi, ma la sostanza rimaneva la medesima». Linee progettate altrove: nei santuari dell’oligarchia finanziaria, industriale, militare, che – partendo dai circuiti esclusivi delle superlogge internazionali – dirama vere e proprie direttive, declinate attraverso think-tank e organismi paramassonici (Trilaterale, Bilderberg, World Bank, Fmi) per poi scendere, a cascata, fino ai governi nazionali, ai leader come D’Alema, Prodi, Renzi. A volte, poi, l’élite supermassonica “commissaria” direttamente un paese: è accaduto con il “fratello” Monti, «che rappresenta quanto di peggio può offrire la rete massonica sovranazionale in senso neo-aristocratico».«Ho più rispetto e stima per un Mario Draghi, che reputo più pericoloso», dice Magaldi. «Monti è un massone che è stato vittima della propria tracotanza, della propria retorica manipolatoria. E appena ha avuto l’occasione di passare dal “back-office” al “front-office”, ha fallito miseramente per eccesso di narcisismo, avendo creduto lui stesso alla retorica che i media italiani avevano creato attorno alla sua figura e alle meraviglie presunte del suo governo». Per Magaldi, Mario Monti è comunque «un grande sconfitto, in questo tentativo di devastazione industriale, economica e sociale dell’Italia: ci ha provato, ha fatto dei danni, ma poi è stato preso a calci nel sedere dall’elettorato». Dopo di lui, è arrivato Enrico Letta, che secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, è un “paramassone”, in realtà in quota all’Opus Dei. «Non ne sentiamo la mancanza», assicura Magaldi. «Nessun rimpianto: se c’è una cosa buona che ha fatto Renzi, a parte la legge sulle unioni civili, è stata quella di aver mandato a casa Enrico Letta e il suo soporifero governo, che peraltro riprendeva e ricalcava pienamente le politiche di Monti». Quanto alle tentazioni massoniche dell’ex premier, Magaldi si è già espresso più volte: «Renzi ha ripetutamente bussato alle porte della supermassoneria reazionaria, attraverso il Council on Foreign Relations, ma non gli è stato aperto». A differenza del “fratello” Romano Prodi, che invece – secondo Magaldi – siede da lunghi anni nel salotto buono della super-massoneria di potere.Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa, tra le tante: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo “ricevuto” nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.
-
Renzi senza vergogna, le mance come metodo di governo
Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).Mutatis mutandis, siamo in pieno laurismo. Per i più giovani che non l’hanno mai conosciuto, ricordo il “Comandante Achille Lauro”, leader monarchico napoletano, che distribuiva pacchi di pasta e scarpe agli elettori, ma solo scarpe sinistre e mezzi biglietti da mille lire prima del voto, quelle destre e l’altra metà dei biglietti da mille sarebbero stati dati solo dopo, se fosse riuscito eletto. Peccato che non abbiano ancora inventato i mezzi bonus o i mezzi voucher. In secondo luogo, ci fa capire la concezione economica renziana: c’è poca domanda interna? E lui distribuisce bonus, guardandosi bene da una politica fiscale organicamente diversa o di garanzie salariali. I ragazzi fanno lavoro nero? Lui non cerca di eliminarlo, ma di renderlo un po’ più sopportabile, distribuendo voucher. Ci sono problemi per l’industria libraria e culturale? Ecco il buono da 500 euro per l’acquisto di libri e film. Insomma, le mance come metodo di governo: provvedimenti temporanei e ad hoc, mai interventi strutturali.E questo ci informa anche sulle sue concezioni sociali. Infatti, gli interventi strutturali poi generano diritti e garanzie, ma questo non produce consensi o forse lo fa per un momento e poi, acquisito il diritto, la gente vota come vuole. E questo non va bene, è meglio che la gente resti legata al bisogno. E dunque, niente diritti ma mance volta per volta. Mi chiedo come facciano gli ex militanti del Pci a non vergognarsi di stare in un partito che fa questa politica. La mossa di Renzi, però ci dice anche cose più contingenti. Ad esempio il segnale “familista” ai cattolici significa “vi ho fatti soffrire lo so, ma ora vi dimostro che abbiamo il valore comune della famiglia. Il che contiene un sotto-messaggio in codice: facciamo un accordo, voi votate Sì e del problema delle adozioni non se ne parla sino a fine legislatura”. E ci dice anche un’altra cosa: che la minaccia di votare No dei cattolici ha molto spaventato il fiorentino. Dunque, anche lui non è convinto di vincere il referendum con tanta facilità. E ha ragione, ma ne riparleremo.(Aldo Giannuli, “Renzi: le mance come metodo di governo”, dal blog di Giannuli del 16 maggio 2016).Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).
-
Euro, Nato, Senato: zitti su tutto. E Becchi lascia i 5 Stelle
Credevo fosse amore, invece era un calesse. E’ l’amara scoperta del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, fino a ieri considerato co-ideologo del Movimento 5 Stelle. Fine del sogno: non una parola su euro e Nato, cioè le due grandi emergenze, economia a pezzi e politica estera che sta esplodendo di giorno in giorno, a suon di bombe. Grillo? «Ha fatto un discorso di fine anno che era uno spot pubblicitario al suo spettacolo, un intervento teatrale nel quale dice che tutti siamo ologrammi ma, ahimé, è diventato un ologramma pure lui», dice Becchi, intervistato da “Formiche.net”. Strano ma vero, il “Movimento” delle elezioni in rete, dei diktat e delle espulsioni in massa «si sta trasformando in un partito ibrido». A Roma «si può vincere ma si ha paura di farlo e magari non lo si vuole proprio», Dove invece si vuole vincere, «il candidato e la lista vengono blindati e imposti dall’alto come accaduto con Massimo Bugani a Bologna». E, nel frattempo, si puntella Renzi. Come per l’elezione dei giudici costituzionali, dove i 5 Stelle hanno abbandonato la linea dell’opposizione alle nomine renziane. «Il prossimo sarà quello sulle unioni civili», poi verrà «la legge sullo ius soli, anche qui sconfessando Grillo».Il leader, secondo Becchi, è stato sconfessato dal vicepresidente della Camera addirittura sul “Financial Times”, al quale Luigi Di Maio ha detto che loro «non sono favorevoli all’uscita dell’Italia dalla Nato, come invece ha sostenuto Grillo». Il fondatore sembra in ritirata, ma pronto a restare in campo come garante delle regole? «Peccato però che qui non venga rispettata nessuna regola, come sull’espulsione della senatrice Serenella Fucksia: non c’è stata nessuna assemblea dei parlamentari con voto poi ratificato dalla rete. Ormai regna l’arbitrio». Dietro l’angolo ci sono le comunali, e i sondaggi danno i grillini in forte crescita. «Sì, ma ritengo che ai vertici queste elezioni interessino poco», dice Becchi: «Ciò che conta per loro è andare al governo, ma non si sa bene per fare cosa, tranne le politiche anti-casta». Scomparse dai radar le battaglie che contano. L’euro, per esempio: «Grillo aveva promesso agli italiani che entro il dicembre 2015 o al massimo nel gennaio 2016 ci sarebbe stato il referendum sull’euro. Ora più nessuno ne parla, salvo per i banchetti fatti in estate quando il tema appassionava di più e c’era da soffiare qualche voto alla Lega. Ma cosa pensa il Movimento sull’euro? Perché non si porta avanti con convinzione in Parlamento la legge di iniziativa popolare per il referendum?».Buio anche sulla politica estera, altra trincea cruciale. Isis, guerre, Siria. Il Movimento 5 Stelle tace su tutto. «In particolare sul tema della Nato, qual è la posizione? Grillo o Di Maio?». E poi le “riforme” di Renzi, la “rottamazione” della Costituzione: «Perché non si lancia una forte campagna di opposizione alla riforma costituzionale in vista del referendum sul quale Renzi punta tutto quest’anno?». Paolo Bcechi se n’è accorto: «Si pensa troppo a fare opposizione di facciata, come nel caso della mozione di sfiducia alla Boschi su Banca Etruria». Nel frattempo, la tanto decantata democrazia diretta «è stata da tempo accantonata e sostituita dalla democrazia eterodiretta da Casaleggio». Becchi è deluso? «Sì, tanto che il 31 dicembre ho cancellato la mia iscrizione al Movimento, al quale avevo aderito con grande convinzione e entusiamo; l’ho fatto perché non corrisponde più a quella speranza dell’inizio. Non sono nella testa di Beppe, e non so se questo suo progressivo farsi da parte sia sintomatico di un po’ di delusione anche da parte sua, ma è sempre più politicamente assente. Forse era inevitabile che il Movimento si istituzionalizzasse, ma il sogno è finito».Credevo fosse amore, invece era un calesse. E’ l’amara scoperta del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, fino a ieri considerato co-ideologo del Movimento 5 Stelle. Fine del sogno: non una parola su euro e Nato, cioè le due grandi emergenze, economia a pezzi e politica estera che sta esplodendo di giorno in giorno, a suon di bombe. Grillo? «Ha fatto un discorso di fine anno che era uno spot pubblicitario al suo spettacolo, un intervento teatrale nel quale dice che tutti siamo ologrammi ma, ahimé, è diventato un ologramma pure lui», dice Becchi, intervistato da “Formiche.net”. Strano ma vero, il “Movimento” delle elezioni in rete, dei diktat e delle espulsioni in massa «si sta trasformando in un partito ibrido». A Roma «si può vincere ma si ha paura di farlo e magari non lo si vuole proprio», Dove invece si vuole vincere, «il candidato e la lista vengono blindati e imposti dall’alto come accaduto con Massimo Bugani a Bologna». E, nel frattempo, si puntella Renzi. Come per l’elezione dei giudici costituzionali, dove i 5 Stelle hanno abbandonato la linea dell’opposizione alle nomine renziane. «Il prossimo sarà quello sulle unioni civili», poi verrà «la legge sullo ius soli, anche qui sconfessando Grillo».