Archivio del Tag ‘università Bicocca’
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Ciao Milano, meglio la viticoltura eroica della Valtellina
«Studiavo scienze naturali a Milano e già questo mi sembrava un paradosso. La voglia di tornare la stavo maturando da tempo ma mi mancava la spinta. E’ arrivata sei anni fa, quando ho perso mio nonno, viticoltore, figlio di viticoltori. I miei genitori, figli invece del boom economico, non avevano seguito la strada dei padri e così quei terreni sarebbero rimasti incolti. Non potevo permetterlo. Quindi ho lasciato la città, sono tornato a casa e mi sono messo al lavoro». Jonatan Fendoni, 31 anni, valtellinese, trasferitosi a Milano per studiare, da sei anni è tornato a casa, tra le sue montagne, per riprendere il lavoro del nonno e dedicarsi alla terra. Insieme a lui un gruppo di amici riscopre tecniche antiche e applica nuovi saperi all’agricoltura e alla viticoltura, in un luogo in cui la natura è davvero impervia, ma solo se non la sai ascoltare. Terrazzamenti costruiti pietra su pietra, rupi su rupi, labirinti di viti, scalette di roccia, pendenze ripide, gradini piccoli e scoscesi: in Valtellina l’agricoltura non è per niente facile. «E non è neanche meccanizzabile», precisa Jonatan. «Qui facciamo tutto a mano. Spesso lavoriamo molto d’inverno, sotto zero. Ci carichiamo gli attrezzi in spalla, curiamo le viti una a una, conosciamo ogni centimetro di queste terrazze».A San Giacomo di Teglio, 4000 abitanti sparsi in 120 chilometri quadrati di Alpi Orobiche, Jonatan ha imparato un mestiere e ora, dopo anni, ne sta raccogliendo i frutti: «Posso applicare le tecniche che mi sono state tramandate e insieme sperimentare ciò che ho appreso in anni di studio su testi scientifici». E i risultati si vedono, scrive su “Il Cambiamento” Elena Tioli, che si è arrampicata fin lassù per intervistare il neo-viticoltore. In un puzzle di vigneti, quelli della famiglia Fendoni saltano subito all’occhio: «Sono i più disordinati, ma la natura non è ordine. E questa, posso garantire, è l’uva più naturale della zona». Perché Jonatan non solo non utilizza mezzi meccanici ma cerca di ridurre a zero anche gli interventi chimici sulle piante. «Le fatiche sono ampiamente ricompensate dal frutto dei vitigni: Ciauenasca, Pignola, Rossula, Brugnola. Se lavorati con la testa e senza additivi, sanno dare un vino onesto da 13 gradi che sa di tutti i buoni e veri profumi della Valle di Teglio». Adottare i tanti incolti non è stato difficile: «Quando trovo un terreno abbandonato inizio a chiedere in giro agli anziani del luogo di chi è. Una volta scoperto cerco di contattare gli eredi, spesso trasferiti, disinteressati al terreno o addirittura inconsapevoli di averlo. Una volta trovati basta quasi sempre chiedere semplicemente di poterlo coltivare. In cambio di vino o anche di niente, te li lasciano senza problemi».Tre ragazzi disoccupati, racconta Jonatan, lo stanno aiutando con i vigneti e con la terra in cambio dei suoi insegnamenti. «Insieme cerchiamo di coltivare anche sementi autoctone e antiche», come il grano saraceno: «Un tempo qui ne se coltivava molto. Oggi è praticamente tutto importato dall’Est Europa e dalla Cina. Noi abbiamo recuperato dei semi antichi da vecchi mulini, bauli e soffitte. Una volta fatti analizzare abbiamo iniziato a piantarli per moltiplicarli». Un progetto portato avanti in collaborazione con l’Università Bicocca di Milano, ma senza l’appoggio delle istituzioni locali: «Non vogliamo avere alcuna contaminazione, non vogliamo far parte di certe dinamiche. La nostra genuinità sta anche in questo». Jonathan non ha fretta, scrive Elena Tioli: si adatta ai tempi della natura. «Vorrei che anche in me la natura potesse seguire il proprio corso. Vorrei vivere con i suoi ritmi e vorrei, soprattutto, dedicare a lei la mia vita». E spiega: «Non mi interessa vendere il mio vino o fare soldi. Non mi interessa l’omologazione dei gusti e dei sapori. Mi interessa che anche solo poche persone vengano qua a conoscere queste storie, questi luoghi, questi sapori. Perché ritrovarsi tra amici in queste cantine, mostrare a viaggiatori e curiosi il nostro lavoro, portare avanti certi discorsi e diffondere certi saperi, bevendo il nostro vino e mangiando ciò che autoproduciamo, per me, ha un valore inestimabile».Eroi? «Più che altro “liberi pensatori” passati all’azione», sorride Jonatan. «Eravamo tutti qui, con qualcosa dentro che non riuscivano a esprimere. Altri erano lontani ma volevano tornare. Ci siamo incontrati grazie alla Rete ed è stato subito facile riconoscerci». Così è nata l’idea di creare “Orto Tellinum”, «un progetto che vuole esortare al ritorno a un’agricoltura veramente sostenibile, incentivare la creatività rurale e la fantasia applicata ai territori di montagna», spiega Jonatan. «La nostra idea di agricoltore è di un custode dei semi, in grado di moltiplicare e salvare semenze locali antiche; diffondere saperi e arti in disuso aggiornandole e adattandole; recuperare sentieri e mulattiere in disuso; festeggiare con eventi i passaggi principali delle stagioni seguendo i ritmi delle semine e dei raccolti». E, ovviamente, brindare a tutto questo con dell’ottimo vino. Manca qualcosa? «Un po’ di stabilità economica. E anche botti, tini, tinelli e attrezzatura varia per cantina, per la gestione delle strutture nel vigneto e per l’imbottigliamento. Ma, a parte questo, qui ho tutto: tornare a casa senza sentirsi in prigione e dedicare la vita alla propria passione non ha prezzo».«Studiavo scienze naturali a Milano e già questo mi sembrava un paradosso. La voglia di tornare la stavo maturando da tempo ma mi mancava la spinta. E’ arrivata sei anni fa, quando ho perso mio nonno, viticoltore, figlio di viticoltori. I miei genitori, figli invece del boom economico, non avevano seguito la strada dei padri e così quei terreni sarebbero rimasti incolti. Non potevo permetterlo. Quindi ho lasciato la città, sono tornato a casa e mi sono messo al lavoro». Jonatan Fendoni, 31 anni, valtellinese, trasferitosi a Milano per studiare, da sei anni è tornato a casa, tra le sue montagne, per riprendere il lavoro del nonno e dedicarsi alla terra. Insieme a lui un gruppo di amici riscopre tecniche antiche e applica nuovi saperi all’agricoltura e alla viticoltura, in un luogo in cui la natura è davvero impervia, ma solo se non la sai ascoltare. Terrazzamenti costruiti pietra su pietra, rupi su rupi, labirinti di viti, scalette di roccia, pendenze ripide, gradini piccoli e scoscesi: in Valtellina l’agricoltura non è per niente facile. «E non è neanche meccanizzabile», precisa Jonatan. «Qui facciamo tutto a mano. Spesso lavoriamo molto d’inverno, sotto zero. Ci carichiamo gli attrezzi in spalla, curiamo le viti una a una, conosciamo ogni centimetro di queste terrazze».
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Servire il Popolo, anzi il business (e addio alla sinistra)
Ieri il motto era “Servire il Popolo”, e oggi? Tutti ai posti di comando, dall’altra parte della barricata: giornali, televisione, grandi aziende, partiti di governo. Dov’è finita la sinistra, quella che dovrebbe difendere gli italiani, per esempio dagli abusi del regime euro-Ue? Bisognerebbe chiederlo a loro, gli ex trotzkisti, che secondo i numerosi detrattori «stanno alla sinistra esattamente come i “neocon” e i “teocon” stanno alla destra», scrive Sebastiano Caputo, alludendo ai vari Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Alessandro Sallusti. «Accecati da un anticomunismo in assenza di comunismo, furono Gianfranco Fini e i suoi seguaci a sposare definitivamente il liberismo economico di Silvio Berlusconi». E furono i loro “intellettuali di complemento” a «consegnare le chiavi della biblioteca» agli ultras della destra. E a sinistra? Idem, se si pensa agli ex trotzkisti, da Santoro a Lerner: «Stessi finanziatori, stessi interessi, stessi nemici». Destino speculare: «La la nazione per gli uni, la rivoluzione per gli altri», ma – si sa – la rivoluzione non c’è stata e la nazione sta sparendo, assorbita dall’Eurozona.«L’esistenza di una destra e di una sinistra – premette Caputo – aveva ancora senso qualche decennio fa». A prescindere dalla guerra fredda, quello che separava (e allo stesso tempo univa) i due schieramenti, «era un profondo spirito di appartenenza ideale e una forte identità culturale». Eppure «entrambi, come le subculture degli anni Sessanta e Settanta, sono stati inglobati dal sistema dominante per diventare progressivamente forze antinazionali e conservatrici». Il “tradimento” della sinistra, continua Caputo sul blog “Da dietro il sipario”, è tuttavia anteriore a quello della destra. E affonda le sue radici nell’eccentrica parabola dei trotzkisti italiani. Riuniti sotto diverse sigle (“Gruppo Comunista Rivoluzionario”, “Servire il Popolo”, “Avanguardia Operaia”, “Lotta Continua”, “Potere Operaio”) ed eredi del pensiero di Lev Trockij (internazionalismo e anti-sovietismo), dopo la contestazione studentesca del ‘68 adottarono la strategia dell’“entrismo”, cioè l’infiltrazione nei sindacati, nel Pci di Berlinguer e nei giornali di area.Tutto questo, probabilmente, secondo Caputo è avvenuto anche «con il sostegno economico dei servizi statunitensi, i quali finanziavano tutte le forze anti-sovietiche e di destabilizzazione dell’epoca», indipendentemente dal loro colore politico, «come del resto si è potuto verificare nei decenni successivi: non è un caso che quegli stessi trotzkisti che militavano nelle organizzazioni extra-parlamentari si siano successivamente ritrovati a occupare posizioni di potere in ambienti che spaziano da quello accademico a quello mediatico-giornalistico, passando per quello politico». La lista di quelli che Caputo chiama “i traditori dei principi della sinistra” è pressoché sterminata. Da “Servire il Popolo” provengono il sondaggista Renato Mannheimer, collaboratore del “Corriere della Sera” e docente dell’Università Bicocca di Milano, nonché Antonio Polito, membro dell’Aspen Institute ed editorialista del “Corriere”, e Barbara Pollastrini, ministro delle Pari opportunità del governo Prodi e attualmente deputata del Pd.Sempre da “Servire il Popolo” arrivano Linda Lanzillotta, senatrice di “Scelta Civica” di Mario Monti, e il popolarissimo Michele Santoro, mattatore della Tv-contro. E’ invece “Lotta Continua” la casa-madre di Adriano Sofri, editorialista di “Repubblica” come l’ex compagno Gad Lerner. Sono ex di “Lc” anche Paolo Liguori, giornalista Mediaset e conduttore televisivo, e il sociologo Luigi Manconi, docente universitario e senatore Pd. “Potere Operaio”, di Toni Negri, ha invece allevato Francesco Pardi, detto Pancho, già senatore Idv e promotore del “No Cav Day”. Con lui Ritanna Armeni, conduttrice televisiva di “Otto e Mezzo” con Giuliano Ferrara, e un peso massimo della cultura italiana come Paolo Mieli, storico, già direttore del “Corriere”, ora dirigente di Rcs. Infine, dal “Gruppo Comunista Rivoluzionario” è emerso Paolo Flores D’Arcais, direttore di “Micromega” (Gruppo Espresso), nel quale spicca il direttore di “Repubblica”, Ezio Mauro, che archivia il suo passato di sinistra con editoriali come quello intitolato “L’Occidente da difendere”, in cui «identifica il nemico russo e quello islamico, legittimando di conseguenza l’Occidente capitalista, pseudo-democratico, imperialista e a trazione statunitense». Mala tempora currunt: persino l’ex “zapatista” salottiero Bertinotti arriva a dire: «Abbiamo sbagliato tutto, sono anche un liberale». Poi uno si chiede dov’è finita la sinistra. E si domanda perché nessuno alzi mai la voce, neppure una volta, per difendere gli italiani massacrati dal rigore dell’élite tecno-finanziaria di Bruxelles, braccio armato dell’oligarchia ultraliberista.Ieri il motto era “Servire il Popolo”, e oggi? Tutti ai posti di comando, dall’altra parte della barricata: giornali, televisione, grandi aziende, partiti di governo. Dov’è finita la sinistra, quella che dovrebbe difendere gli italiani, per esempio dagli abusi del regime euro-Ue? Bisognerebbe chiederlo a loro, gli ex trotzkisti, che secondo i numerosi detrattori «stanno alla sinistra esattamente come i “neocon” e i “teocon” stanno alla destra», scrive Sebastiano Caputo, alludendo ai vari Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Alessandro Sallusti. «Accecati da un anticomunismo in assenza di comunismo, furono Gianfranco Fini e i suoi seguaci a sposare definitivamente il liberismo economico di Silvio Berlusconi». E furono i loro “intellettuali di complemento” a «consegnare le chiavi della biblioteca» agli ultras della destra. E a sinistra? Idem, se si pensa agli ex trotzkisti, da Santoro a Lerner: «Stessi finanziatori, stessi interessi, stessi nemici». Destino speculare: «La la nazione per gli uni, la rivoluzione per gli altri», ma – si sa – la rivoluzione non c’è stata e la nazione sta sparendo, assorbita dall’Eurozona.
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Tamas: gli Usa costringono la Russia al riarmo
L’Iran non ha assolutamente le capacità militari di inviare un missile in Europa, tantomeno le ha la Corea del Nord: le nuove basi Nato in Polonia e Repubblica Ceca sono invece una minaccia evidente rivolta alla Russia