Archivio del Tag ‘Yom Kippur’
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Silverstein: è stato Israele a bombardare il porto di Beirut
Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio, sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevao, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.Ovviamente è inconcepibile che gli agenti israeliani non si siano curati di appurare tutto ciò che riguardava il loro obiettivo, incluso ciò che si trovava nelle immediate vicinanze. La tragedia che Israele ha provocato è un crimine di guerra di immensa grandezza. La Corte Penale Internazionale ha già stabilito di indagare su Israele per i crimini di guerra commessi a Gaza nel 2014 durante Protective Edge. Ora, immagino che amplierà la portata delle indagini, includendo il criminale massacro, causato da negligenza, del 4 agosto. Sebbene Israele abbia regolarmente attaccato Hezbollah e depositi e convogli di armi iraniani in Siria, raramente ha intrapreso attacchi così sfacciati all’interno del Libano. Questo attacco nella capitale del paese segna un’escalation maggiore. La pura incoscienza di questa operazione è sorprendente. Un’operazione di questo tipo può avvenire solo in mezzo a disfunzioni politiche interne. Bibi (Natanyahu) è alle corde, e cerca disperatamente di cambiare argomento. Quando i suoi ufficiali dell’intelligence gli hanno portato il piano, probabilmente si è fregato le mani con gioia e ha detto: «Vai!».L’intelligence israeliana era naturalmente pronta a soddisfare il capo, e probabilmente ha “smussato” gli angoli per portare a termine l’attacco. Quando nessuno al volante dice “stop”, la barca colpisce un iceberg e affonda. Questo è probabilmente quello che è successo in questo caso. L’attentato israeliano ne richiama alla memoria altri simili, orchestrati dai suoi agenti a Beirut nel periodo precedente e successivo all’invasione del 1982. Il libro di Ronen Bergman sugli omicidi del Mossad, come pure Remy Brulin, hanno documentato molteplici attentati israeliani, durante questo periodo, che hanno provocato molte morti e distruzioni ai danni della popolazione civile della città. In questo caso, il danno è stato accidentale, ma questo non sarà di conforto per le migliaia di abitanti di Beirut, le cui vite sono diventate un inferno vivente a causa di questo crimine israeliano. Per inciso, l’ex membro della Knesset per il Likud, Moshe Feiglin, ha twittato una citazione della Bibbia sul disastro: «Non ci sono mai stati giorni così grandi in Israele come il 15 di Av [il giorno dell'attentato] e lo Yom Kippur».Certo, mi duole ammettere che il presidente Trump aveva ragione nella sua affermazione che l’esplosione è stata «un attacco terribile», e che l’informazione gli era stata trasmessa dai «suoi generali». In questo caso, avevano ragione loro. Potrebbero (e dovrebbero) esserci ripercussioni politiche interne, per questo disastro. Quando Netanyahu ha approvato l’attacco, è divenuto responsabile delle conseguenze. Nel 1982, una commissione d’inchiesta trovò Ariel Sharon colpevole dell’invasione del Libano e del massacro di Sabra e Shatila. Fu mandato in esilio politico per un decennio. Per lo meno, questo dovrebbe escludere Bibi dal guidare il paese. Questo sarebbe il risultato in qualsiasi nazione democratica in cui il leader fosse ritenuto responsabile dei suoi fallimenti. Ma ahimè, Israele non è un paese del genere, e Bibi sembra sempre riuscire a sottrarsi alle responsabilità per i suoi errori. La differenza adesso è che il leader israeliano è già sotto pressione, a causa della disastrosa risposta del suo governo al Covid-19 e dell’incombente processo per corruzione, con tre capi d’accusa. Questo potrebbe essere il punto di svolta.Normalmente, gli israeliani non batterebbero ciglio di fronte a un simile massacro. Sono affascinati dalla sofferenza che infliggono ai loro vicini arabi. Ma data la decrescente popolarità di Netanyahu, questo accadimento potrebbe accelerarne la fine. Israele non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per infliggere tale sofferenza al Libano. Il paese è in profonda crisi economica. Le aziende falliscono, le persone non hanno nulla da mangiare, i politici litigano e si incolpano a vicenda, mentre non fanno nulla. Il Libano è come un cestino da basket. La sofferenza è ovunque. C’è poco interesse da parte dei suoi fratelli arabi, come l’Arabia Saudita, ad andare in suo aiuto. Se un paese non aveva bisogno di questa tragedia aggiuntiva, questo è il Libano. Ma ecco qui: Israele non sembra avere alcun senso di vergogna o moderazione quando si tratta di infliggere dolore ai suoi vicini. Naturalmente ci saranno degli scettici, persone che non crederanno alla mia fonte. Ma a loro faccio notare due evidenze.Di solito, se Israele ha intrapreso con successo un attacco terroristico (come quelli contro l’Iran), o rifiuterà di commentare, oppure una figura militare o politica di alto livello dirà qualcosa del genere: «Noi rifiutiamo di commentare, ma intanto qualcuno ha fatto un favore al mondo». In questo caso, Israele ha immediatamente negato ogni responsabilità. Perfino Hezbollah avrebbe detto che Israele non aveva causato il danno (probabilmente per proteggersi dall’inevitabile colpa di aver conservato le sue armi accanto a un edificio pieno di materiale esplosivo). Il secondo segnale rivelatore è che Israele non offre mai aiuti umanitari ai suoi vicini arabi. Durante la guerra civile siriana, l’unico gruppo a cui Israele offrì assistenza umanitaria furono i suoi alleati islamisti anti-Assad. Israele non ha mai offerto aiuti del genere in Libano, fino ad oggi. Ha invece causato decenni di morte e distruzione. Farlo ora è degno della sua faccia tosta.(Richard Silverstein, “Israele ha bombardato Beirut”, dal blog di Silverstein del 4 agosto 2020; post tradotto e ripreso l’indomani da Paola Di Lullo su “L’Antidiplomatico”. Silverstein, giornalista e blogger ebreo-americano, si definisce un «sionista progressista (critico)» che sostiene un «ritiro israeliano ai confini pre-67 e un accordo di pace internazionalmente garantito con i palestinesi». La stessa di Lullo segnala tre indizi: un video postato da “Repubblica”, in cui si vede un oggetto volante nero che lascia la zona, e i sospetti dell’esperto Danilo Coppe, intervistato dal “Corriere della Sera” e da “Fanpage”).Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio, sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevano, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.
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Mea Shearim, l’altra Gerusalemme: ebrei contro Israele
Durante l’offensiva contro Gaza mi avevano stupita le fotografie di ebrei ortodossi che nelle grandi città protestavano a migliaia contro i bombardamenti sulla Striscia. Avendo letto che a guidare le manifestazioni erano esponenti di “Neturei Karta”, gruppo che si oppone con forza all’occupazione, mi ero ripromessa di approfondire l’argomento. La possibilità l’ho avuta in occasione di una mia recente visita a Mea Shearim, quartiere ebraico vicino alla città vecchia di Gerusalemme. Il quartiere, sconsigliato dalle guide turistiche e evitato anche dagli stessi israeliani, è popolato esclusivamente da ebrei ortodossi, fra i quali molte famiglie appartenenti al gruppo “Neturei Karta”. Visitare Mea Shearim è un’esperienza affascinante e straniante al tempo stesso; appena si mette piede nel quartiere si viene catapultati nel passato e avvolti da un’atmosfera che ricorda, a quanto pare, i villaggi ebraici di fine ottocento dell’est-europeo. Le vie sono affollate da uomini con lunghi riccioli ai lati del viso e abiti dalla foggia antica; pastrani neri, camicie bianche e cappelli a tesa larga o di pelliccia. Le donne vestono in modo dimesso, maglia a maniche lunghe e gonna lunga; quelle sposate hanno i capelli coperti da un foulard o una retina e sono seguite da stuoli di bambini ben vestiti.Per darvi un assaggio dell’atmosfera del quartiere vi propongo le fotografie scattate in occasione del Kaparot, cruento rituale che si tiene alla vigilia dello Yom Kippur, che quest’anno si è celebrato l’otto di ottobre. Gli ortodossi ritengono che facendo roteare un pollo vivo attorno alla testa di una persona, i peccati di quest’ultima vengano trasferiti all’animale. Quando il pollo viene macellato, lo sgorgare del suo sangue rappresenta simbolicamente l’espiazione dei peccati del fedele, che può così presentarsi puro davanti a Dio nelle 25 ore di digiuno e preghiera a cui si dedicherà durante il giorno di Yom Kippur. Nel quartiere di Mea Shearim bisogna muoversi con una certa cautela, attenti a non urtare la sensibilità degli abitanti, che hanno rinunciato a ogni forma di modernità e vivono seguendo le severe regole dettate dalle sacre scritture; regole che diventano ancor più restrittive durante lo Shabbat quando anche per i turisti vi è il divieto di scrivere, maneggiare soldi o usare un cellulare. I muri all’entrata sono tappezzati da manifesti che ricordano ai turisti che non sono i benvenuti e pregano di non disturbare la santità del quartiere e dello stile di vita di ebrei profondamente devoti a Dio e alla sua Torà.E’ capitato che gli abitanti abbiano aggredito verbalmente e addirittura anche fisicamente turisti che non erano vestiti in modo appropriato. In occasione della mia visita sono stata molto attenta al mio abbigliamento e ho potuto esplorare tranquillamente le vie di Mea Shearim, anche se non ho osato scattare fotografie. Il quartiere è molto povero; le facciate degli edifici sono vecchie e sporche, le botteghe sono anguste e espongono poca varietà di mercanzia eccettuati i negozi di “Judaica”, dove si vendono libri e oggettistica interamente dedicati alla cultura ebraica. Fra gli ebrei ultra-ortodossi c’è un altissimo tasso di disoccupazione e la maggior parte delle famiglie vive grazie ai sussidi; gli uomini sono principalmente dediti allo studio della Torà e del Talmud mentre le donne provvedono al sostentamento della famiglia e si occupano della prole, compito non da poco dal momento che a Mea Shearim la media è di sette bambini per nucleo famigliare.Purtroppo non sono stata in grado di distinguere gli appartenenti a Neturai Karta dagli altri ebrei ortodossi e mi sono resa conto che mi ci vorrebbero mesi per riuscire ad orientarmi nella vasta galassia dei gruppi religiosi che popolano Mea Shearim. Ad accomunarli è il rifiuto di prestare servizio militare. A marzo il Parlamento israeliano ha però reso il servizio di leva obbligatori anche per loro, malgrado la decisione sia sta ampiamente contestata. Qualche settimana prima, a Gerusalemme centinaia di migliaia di ebrei ortodossi erano scesi in piazza per manifestare. I ragazzi impugnavano cartelli che recitavano “Avete creato voi il problema fondando lo stato di Israele. Non chiedeteci di risolverlo facendoci arruolare nell’Idf!” La scritta è esemplare del forte sentimento anti-sionista che anima alcuni gruppi di ebrei ortodossi di Mea Shearim e nel quartiere si scorgono ovunque segni di anti-sionismo. Manifesti che richiamano al riconoscimento della città di Gerusalemme come capitale indivisibile della Palestina e parecchie bandiere palestinesi dipinte sui muri. Spicca inoltre la totale assenza di bandiere israeliane e non potrebbe essere altrimenti visto che gli abitanti del quartiere si rifiutano di riconoscere lo Stato di Israele.Anche i Neturei Karta, che in aramaico significa “I guardiani della città”, si oppongono decisamente all’esistenza stessa dello Stato e sono anche il gruppo più radicalmente anti-sionista. Le origini dei “Guardiani della città” risalgono ai primi del Novecento, quando una parte dei vecchi abitanti ebrei di Gerusalemme cominciò a organizzarsi per fronteggiare la minaccia dei nuovi immigrati sionisti, politicizzati e poco o nulla osservanti delle norme religiose. Nel tempo molti gruppi si sono avvicinati al sionismo, ma i “Guardiani della città” restano tenacemente impegnati nella contestazione dello Stato di Israele al punto che non si recano a pregare al Muro del pianto perché la ritengono terra occupata, così come Gerusalemme Est. Secondo la loro interpretazione delle scritture agli ebrei è proibito avere un proprio Stato fino alla venuta del Messia e ritengono che l’attuale stato di Israele rappresenti un affronto alla volontà divina. Ne chiedono quindi la dissoluzione e la restituzione della terra ai palestinesi.Questa solidarietà con i palestinesi ha attirato loro la persecuzione da parte di Israele al punto di spingere molti seguaci a lasciare il Paese. Altri hanno preferito emigrare per il rifiuto ideologico di vivere in uno Stato che ritengono illegittimo. Il mondo degli ebrei ortodossi è difficilmente accessibile, ma voglio tornare nel suggestivo quartiere di Mea Shearim in compagnia di una guida, per cercare di conoscere meglio la loro cultura e le loro usanze. E capire qualcosa in più anche dei “Guardiani della città”. Queste le parole che ho estrapolato da un loro proclama: “Noi vogliamo che tutta la terra palestinese sia restituita ad un governo palestinese. Noi vogliamo il ritorno di tutti i profughi umiliati, anziani e giovani, alla loro legittima patria. Noi vogliamo vivere nella terra della Palestina come ebrei anti-sionisti, risiedere qui come cittadini palestinesi leali e pacifici, così come i nostri avi che avevano vissuto in Palestina per secoli prima della tragica usurpazione di questo paese”.(“I guardiani della città”, dal blog “Dietro al Muro” del 16 ottobre 2014).Durante l’offensiva contro Gaza mi avevano stupita le fotografie di ebrei ortodossi che nelle grandi città protestavano a migliaia contro i bombardamenti sulla Striscia. Avendo letto che a guidare le manifestazioni erano esponenti di “Neturei Karta”, gruppo che si oppone con forza all’occupazione, mi ero ripromessa di approfondire l’argomento. La possibilità l’ho avuta in occasione di una mia recente visita a Mea Shearim, quartiere ebraico vicino alla città vecchia di Gerusalemme. Il quartiere, sconsigliato dalle guide turistiche e evitato anche dagli stessi israeliani, è popolato esclusivamente da ebrei ortodossi, fra i quali molte famiglie appartenenti al gruppo “Neturei Karta”. Visitare Mea Shearim è un’esperienza affascinante e straniante al tempo stesso; appena si mette piede nel quartiere si viene catapultati nel passato e avvolti da un’atmosfera che ricorda, a quanto pare, i villaggi ebraici di fine ottocento dell’est-europeo. Le vie sono affollate da uomini con lunghi riccioli ai lati del viso e abiti dalla foggia antica; pastrani neri, camicie bianche e cappelli a tesa larga o di pelliccia. Le donne vestono in modo dimesso, maglia a maniche lunghe e gonna lunga; quelle sposate hanno i capelli coperti da un foulard o una retina e sono seguite da stuoli di bambini ben vestiti.