Mini: le nostre truppe senza strategia dal 2002
Scritto il 19/9/09 • nella Categoria:
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L’attentato di Kabul «aggiunge altra nebbia al ruolo italiano». Lo afferma il generale Fabio Mini, intervistato da Alfonso Desiderio per “Limes”. «In termini più crudi – aggiunge Mini – sorge la prima domanda: che ci stiamo a fare? Oppure, come qualcuno già si chiede, quanti morti vale l’Afghanistan?». E’ duro il giudizio del generale, già comandante delle forze Nato in Kosovo, secondo cui dal 2002 non è più chiara la funzione della presenza italiana a Kabul, dopo che la Nato ha assunto la guida della missione. Rivelatasi disastrosa (e sanguinosa) la strategia di Bush, ora si attende l’unica soluzione possibile: che dovrà essere indicata da Barack Obama.
«Il ruolo italiano – afferma Mini – è stato chiaro solo per pochi mesi nel 2002. Poi, con l’inserimento della Nato e con l’allargamento della giurisdizione Nato a tutto l’Afghanistan, è diventato più definito in termini tattici e più confuso in termini strategici e politici. Anzi quelli politici sono proprio scomparsi». Il ruolo è importante, sottolinea Mini, «anche perché, almeno, si potrebbe sapere per quale causa – con la C maiuscola – sono morti i nostri soldati. Temo che la risposta non ci sia. O che quella plausibile sia anche peggiore dell’attentato».
Troppi, aggiunge l’alto ufficiale, gli errori commessi. «Primo errore fondamentale, politico strategico, è stato quello di considerare il regime dei Taliban abbattuto e di inaugurare una nuova stagione di democrazia senza mandare sotto processo nessuno dei criminali di guerra del regime talebano. In quelle condizioni l’Afghanistan si è messo in contatto con la comunità internazionale basando il proprio rapporto sull’ipocrisia». Per anni, aggiunge Mini, «gli afghani per bene hanno atteso di vedere una parvenza di processo o di individuazione delle responsabilità in quelli che avevano annullato i diritti umani e avevano perseguitato le opposizioni, vilipeso la dignità di tutti e perfino distrutto i Buddha di Bamiyan».
Il secondo errore «è stato quello di ritenere che un autorevole personaggio come Karzai potesse interpretare la volontà e le aspettative di tutto l’Afghanistan e dovesse necessariamente appoggiarsi alla forze straniere». Terzo errore, infine, «sovrapporre l’azione di Isaf (Nato) a quella di Enduring Freedom (Usa) e poi quello di allargare Isaf mantenendo lo stesso numero di uomini e poi di fare un nuovo patto internazionale con l’Afghanistan basato sulle chiacchiere. Mi sembra che ce ne sia abbastanza – conclude Mini – per dichiarare che tutti questi errori hanno distrutto la parvenza di strategia iniziale e non hanno mai consentito di formulare una nuova strategia».
Se le truppe sul terreno pagano per gli errori disastrosi dello staff di George Bush, Dick Cheney, Condoleezza Rice e Donald Rumsfeld, ora sulla scena internazionale, anche afghana, ha fatto la sua comparsa Barack Obama. Secondo il generale Mini, Obama «si è avvicinato al problema afghano con idee corrette e anche proponimenti ragionevoli», con un equilibrio tra interventi civili e militari. «Questo finora non è stato possibile – rileva Mini – perché la parte militare non intende cedere nulla alla parte civile e insiste sull’aumento degli uomini come fattore fondamentale per una presunta vittoria».
Il fatto che oggi Obama dica che «non c’è ancora una strategia per l’Afghanistan», secondo il generale italiano è una notizia buona e, insieme, cattiva. E’ buona, perché significa che Obama «sta resistendo alle pressioni militari di avere più uomini e di coinvolgere nuovi armamenti» e, se resiste, «vuol dire che non è convinto e, più i militari tentano di convincerlo, maggiori sono le possibilità che si contorcano su se stessi e che diventino sempre meno convincenti. A quel punto la strategia di Obama potrebbe essere quella più sensata ed anche accettata».
La brutta notizia, aggiunge Mini, è che questa lunga riflessione di Obama richiede molto tempo. «Mentre lui riflette i soldati muoiono, i ribelli gongolano, i politici afghani si preparano alle vendette incrociate e i militari americani si deprimono. Se la decisione arriva troppo tardi – avverte il generale – rischia di essere completamente inutile, qualunque essa sia». Tenendo conto che, più che pensare a delegittimare Karzai, Obama dovrebbe concertarsi sul vero protagonista regionale, il Pakistan: «Un Pakistan negletto può essere la tana nella quale si nasconde il lupo», mentre un Karzai «delegittimato e vendicativo può essere il germe di una guerra civile».
Ad ogni disgrazia, si sente parlare di exit strategy: abbandonare subito l’Afghanistan? «L’exit strategy non è una strategia a sé stante ma una fase di una grande strategia. E non è neppure quella finale, perché dopo l’uscita dal punto di vista politico internazionale ci sono ancora molte questione irrisolte da affrontare. Oggi in Afghanistan non esiste più alcuna grande strategia – osserva Mini – per cui chi parla di exit strategy in pratica vorrebbe che i soldati scappassero dal teatro. Questa è una cosa che non può avvenire, che nessun militare vuole e che serve solo ad inasprire il dibattito. Prima di parlare di uscire bisogna ridefinire la strategia che ci vede ancora lì, ridefinire i compiti e valutare i risultati e le conseguenze». In attesa, naturalmente, che Obama si decida a giocare le sue carte (info: http://temi.repubblica.it/limes/).
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