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Bavaglio alla cultura Rai? Errore: il Pdl imiti la sinistra

Scritto il 02/10/09 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

Tagliare, oscurare, censurare? Errore: per la Rai ci vogliono idee, non il bavaglio. L’appello giunge alla vigilia della manifestazione del 3 ottobre per la libertà di stampa, dopo il mezzo milione di firme raccolte da “Repubblica”, con 10 premi Nobel tra i firmatari. Dalle colonne del “Tempo”, quotidiano vicino al centro-destra, Angelo Mellone avverte: «Di tutto il baccano di questi giorni una cosa è certa: Michele Santoro ha goduto gratuitamente, canone Rai a parte, di una formidabile grancassa pubblicitaria». Fazioso? Intanto «resterà il cruccio di avergli regalato un boom di ascolti, consentendogli una straordinaria azione di marketing auto-martirizzante».

«Il centrodestra – continua Mellone – non può continuare a porsi il problema dell’informazione in televisione solo come un problema di sottrazione: Santoro, santoro-1Gabanelli, Floris», dicendo: «Hanno troppo spazio, leviamoglielo». Quello, osserva l’opinionista del “Tempo”, è il modo migliore per «costruire santini resistenziali, prestando il fianco alle accuse di affogare il pluralismo nelle pratiche di una mezza censura e di impoverire la Rai per ammazzare il servizio pubblico».

Il Pdl, secondo Mellone, «dovrebbe porsi in una prospettiva completamente opposta». A trasmissioni di un certo segno politico – aggiunge, citando Mario Valducci – deve corrispondere un analogo numero di programmi di segno opposto. «Non bisogna essere luminari del giornalismo politico televisivo». Nessuno, a quel punto, potrebbe più «accusare i vertici Rai, i ministri di questo governo o qualche autorità» di fabio-faziogiocare a «soffocare la libertà d’informazione». Allora sì che il pluralismo «diventerebbe davvero un’abitudine dei palinsesti, un menù più ricco da mettere a disposizione dei telespettatori».

Aggiungere, anziché togliere. Più programmi, più idee. Più scelta. «Non agire per sottrazione, ma per addizione: aumentare l’offerta di informazione. Migliorarla». Dimostrare, come sostiene da anni l’associazione “Lettera 22”, «che anche nell’area giornalistico-culturale del centrodestra esistono le idee, le energie, le professionalità giuste per produrre programmi che vadano in prima serata, o magari in una buona seconda fascia serale, e non si sgonfino alla prova dell’audience come bolle di sapone».

Santoro, aggiunge Mellone, vince perché sarà pure «fazioso in termini esasperanti», come ha ammesso lo stesso Angelo Guglielmi, «ma la sua capacità di stare e fare televisione non si discute. Il resto sono giaculatorie in politichese». E’ ora che il Pdl cominci a rendersene conto, avverte l’eidtorialista del “Tempo”: «Negli anni scorsi è la gente, e non le centrali progressiste del giovanni-florisMale, che ha affondato uno dopo l’altro i pochi tentativi di metter su trasmissioni, di approfondimento o talk show, anche schierate politicamente vicino al centrodestra».

A prescindere dalle buone intenzioni di chi li ha fatti, aggiunge Mellone, quei programmi «sono stati deboli nei contenuti», incentrati «su format lacunosi». Privi, per giunta, «di quell’ingrediente di spettacolarizzazione e drammatizzazione che – è questa la legge della tivvù, e sarebbe assurdo negarla o stigmatizzarla proprio ora – serve per mantenere il pubblico sintonizzato e non farsi cancellare alla quarta puntata».

Una strada difficile, certo. Ma anche l’unica, dice Mellone, «se si vuole smetterla con il piagnisteo su santori e santorini, fazi e faziosi, non Floris ma opere di bene, ed esplorare, almeno esplorare, la possibilità di sfidare il monopolio della sinistra televisiva». Oggi, rileva il notista, le condizioni ci sono tutte – istituzionali, organizzative, politiche, di humus culturale – perché si cominci seriamente a organizzare qualche idea nuova di trasmissione, di spazio informativo politico e culturale «che dia davvero voce all’Italia maggioritaria». Trovando il coraggio di proporre novità e di sostenerle di fronte alla critica, di fronte a eventuali share non fantasmagorici, e senza la smania di sfornare prodotti insipidi o scotti.

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