Herta Muller: l’arma della scrittura contro i totalitarismi
«Sono contenta, non ci posso credere»: queste le prime parole pronunciate dalla scrittrice Herta Muller non appena ha saputo di aver vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2009. Ci credevano invece gli ambienti letterari inglesi che la davano per favorita già nel 2008 e quelli americani che nei giorni scorsi avevano indicato proprio il suo nome, in barba agli stessi statunitensi che oramai non vincono dal 1993 e a tutte le previsioni della vigilia (Philiph Roth, David Grossman, addirittura Bob Dylan).
E ci credevano in Germania, terra dove la Muller è conosciutissima e dove ha deciso di vivere dal 1987, fuggita dalla sua Romania (è nata nel 1953 nel Banato Svevo, regione di lingua e cultura tedesca passata sotto il controllo della Romania solo dopo la seconda guerra mondiale) e dal regime di Ceausescu, assieme al marito anch’egli scrittore.
Gran parte della cifra letteraria della Muller sta proprio qui: le sue origini e la ferma opposizione a quel regime e, più in generale, a tutti i totalitarismi. Impressionano e meritano di essere riportare altre parole del neo-premio Nobel, pronunciate anche queste subito dopo aver appreso della vittoria: «Mi dico che sono loro, non io, sono i miei libri che hanno vita propria. Sono loro le “persone” che hanno vinto il premio. Romanzi, racconti e poesie rappresentano una testimonianza contro tutte le dittature. Potete anche metterci il regime nazista, i campi di concentramento, le dittature militari e le dittature religiose in alcuni paesi islamici. Così tanta gente è stata schiacciata, così tante vite sono state rovinate…».
D’altro canto gli Accademici di Svezia sono stati chiari nella motivazione del premio: “la forza della poesia e la franchezza della prosa con cui la scrittrice descrive il panorama dei diseredati”. Insomma, una scelta niente affatto banale e che riconcilia anche con il Nobel, evidentemente non sempre all’altezza dei prescelti (e non solo in campo letterario).
A quanto pare, uno degli “argomenti” più convincenti della Muller è stato il libro “La bestia del cuore”, in Italia uscito l’anno scorso da Keller, piccolo editore di Rovereto, e pubblicato con il romantico “La ballata delle prugne verdi”, anche se la traduzione letterale del titolo originario dice molto proprio sulla “bestialità” di ogni repressione (qui vista e descritta attraverso la storia e le vicissitudini di quattro amici perseguitati dalla polizia di Ceausescu) e sulla voglia di libertà e di amore di quanti invece non si piegano.
Per noi – diciamolo francamente per quel po’ che ci picchiamo di seguire le vicende cultural-letterarie anche fuori dall’orticello delle Alpi – il riconoscimento alla Muller è stato proprio un fulmine a ciel sereno: un po’… ci speravamo, soprattutto dopo che all’ultimo recente festival letterario di Mantova (e poi dicono che certe kermesse non servono…) eravamo rimasti impressionati favorevolmente proprio dalla ressa e dall’entusiasmo all’incontro con la scrittrice romeno-tedesca, apparentemente inspiegabile: tutto sommato non aveva un libro di grido da proporre, mai è stata in vetta alle classifiche di vendita italiane (altri libri sono usciti addirittura nel 1987 e nel 1992 rispettivamente da Editori Riuniti e Marsilio e più recentemente è apparsa una sua novella in una raccolta pubblicata da Avagliano) e tanto meno è stata oggetto di chissà quale gossip. Eppure lì a Mantova c’era tanta gente, festante e… pagante, evidentemente mossa da un passa-parola che spesso resta l’unica arma a disposizione di quanti scrivono cose interessanti e che vale la pena leggere e far leggere.
Lasciateci sottolineare anche come – rispetto alla massificazione di certa editoria italiana – ci fanno un po’ tenerezza, ma detto nella migliore accezione del termine, le dichiarazioni rese nelle ore immediatamente successive alla notizia del Nobel da parte di Roberto Keller, dell’omonima casa editrice di Rovereto, titolare dell’ultimo libro della Muller: «Ci siamo imbattuti in un suo bellissimo libro, “La bestia del cuore”, un paio di anni fa, impressionati da una scrittrice vera, da una lingua particolare, da una storia forte, e così abbiamo voluto pubblicarla, grazie anche alla bella traduzione di Alessandra Henke. Anche perché ci è parso di ritrovare in questo libro, ma più in generale in tutta la storia della Muller, anche un po’ della nostra storia di editori che guardano alle terre di confine, a quanti si radicano in determinati territori ma con un’idea della letteratura che va oltre».
Oltre tutti i totalitarismi e le repressioni, dunque, con la forza autentica, e la sola disarmante, della scrittura.
(Igor Traboni, “Herta Muller: scrivere contro tutti i totalitarismi”, www.ffwebmagazine.t).