La lezione di Guido, leader gay dei liberali tedeschi
«La stragrande maggioranza della popolazione non ha nessun problema con la mia vita privata». Così, semplicemente, Guido Westerwelle, vero trionfatore delle elezioni tedesche e quasi sicuramente prossimo vicecancelliere, ha accantonato il “problema”. Che, poi, problema non è più, a quanto pare. Almeno in Germania, e in buona parte d’Europa. Neanche per i cristianodemocratici di Angela Merkel (anzi, qualche spiacevole critica sulla sua possibile nomina a ministro degli Esteri è arrivata da un esponente socialdemocratico). Guido e il suo compagno, il manager quarantaduenne Michael Mronz (che, come ha raccontato la Bild, è il principale artefice della sua “rinascita”) sembrano addirittura destinati a essere la coppia dell’anno. Di sicuro saranno protagonisti del governo di centrodestra che prenderà forma nei prossimi giorni. E allora, riflettere su qualche differenza con le cose di casa nostra può essere utile.
Il problema non è quanto la destra italiana (o, per i più pessimisti, l’Italia in generale) abbia qualche problema in più ad affrontare con serenità e distacco il tema dell’orientamento sessuale delle persone. Il punto è un altro. Il punto è che l’omosessualità, quando non viene taciuta (e allora, tutto ok), diventa per forza di cose una gabbia. Diventa la “cifra stilistica” di un politico. Il suo personale confino. Un leitmotiv al quale deve necessariamente accordarsi la sua vita politica, non solo quella privata. Un politico dichiaratamente gay, insomma, deve limitarsi a parlare di diritti civili. Al massimo, gli è concesso di sconfinare nel più ampio ambito della “laicità” dello Stato. O fare qualche capatina nel mondo dello spettacolo e della cultura. Difficile che possa essere preso in considerazione se parla di giustizia, di economia, di istruzione. Ecco il problema, in sostanza. Ecco perché la lezione di Westerwelle può essere utile. E non solo la sua, a dire il vero.
Sì, perché a Berlino c’è già un sindaco gay, Klaus Wowereit, con indici di gradimento altissimi. E anche a Parigi c’è un primo cittadino omosessuale, il socialista Delanoe, secondo molti l’unico leader in grado di risollevare il suo agonizzante partito. Ma c’è pure un ministro della Cultura gay, Frederic Mitterrand, fortemente voluto da Sarkozy, e un sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, Roger Karoutchi, che meno di un anno fa si è dichiarato pubblicamente: il presidente aveva esteso al suo compagno l’invito a un ricevimento ufficiale. A Londra, a presiedere insieme a David Cameron i conservatori, c’è Margot James, imprenditrice dichiaratamente lesbica. E si potrebbe continuare ancora.
Qualche tempo fa il senatore Gasparri disse: «Potrebbe assolutamente accadere che tra qualche anno sia un gay a guidare il Pdl». Chissà, forse sarà davvero così. Intanto, quello che succede a Berlino può servire a capire che per gli omosessuali, in politica, non può esistere solo la scelta deleteria tra il silenzio e il (metaforico) confino.
(Federico Brusadelli, “Perché è utile la lezione di Guido”, intervento pubblicato il 30 settembre 2009 sul periodico della fondazione “Farefuturo”, www.ffwebmagazine.it).
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