Pd e omofobia, salvate il soldato Binetti
Che qualcuno salvi dal “rogo” il soldato Paola Binetti. Che qualcuno faccia qualcosa per spiegare ai democratici del Pd che l’epoca del “processo politico” è ormai morta e sepolta. Non è possibile insomma che un partito a vocazione maggioritaria, pluralista e moderno come si candida a essere il Pd possa inciampare ancora nel paradigma della disciplina di partito. Fosse anche su un tema sul quale gli animi si accendono come quello sull’omofobia.
Dietro alla discussione che si è avuta ieri alla Camera – come ha scritto oggi Flavia Perina sul Secolo d’Italia – non si è consumato un bello spettacolo: è stata «un’occasione perduta» da entrambi gli schieramenti. Per questo sembra pretestuoso nascondere i problemi interni del Pd su alcuni temi addossando tutta la “colpa” al dissenso di un deputato che ha legittimamente espresso la propria opinione.
Nel momento in cui, anche all’interno del Popolo della libertà, il dibattito su alcuni temi inizia un faticoso cammino e anche qui le cosiddette “minoranze” rivendicano con sforzo spazio e agibilità politica, non è un buon segno se “nel maggior partito dello schieramento avverso” un deputato viene messo all’indice per un voto contrario a quello della sua maggioranza.
In un sistema bipolare, dove due grandi partiti rappresentato due terzi della società italiana, vogliamo davvero ritornare all’opinione disciplinata? Non è possibile credere, invece, che mentre si sceglie di stare in un partito (perché si condivide grosso modo il suo programma) su alcuni temi ci debba essere la più assoluta libertà di pensarla autonomamente?
Insomma, proprio alla vigilia della fine di un congresso importante e determinante per gli equilibri di un Paese, come è quello del Pd, non si capisce perché “anche” la posizione di Paola Binetti non possa essere a fianco di quella iper-laica di Ignazio Marino. Per questo è auspicabile che l’uscita di Dario Franceschini («Paola Binetti è un problemone») sia stata dettata dal nervosismo delle primarie.
Così come il commento dello sfidante Bersani che ha spiegato come «nell’organismo statutario sarei chiaro, sarebbe la prima cosa che farei, indicherei quali sono le materie su cui ci può essere libertà di coscienza e tutte le altre su cui vige la disciplina di partito». Ma non era questo il partito dell’incontro delle grandi culture della socialdemocrazia e del cattolicesimo democratico?
Le idee della Binetti – alcune delle quali discutibilissime – fanno parte di un bagaglio culturale e valoriale diffuso nella società e non solo nel suo partito. Stesso discorso vale per la proposta di Paola Concia che è stata sostenuta anche da tanti esponenti del Pdl e dalle associazioni di destra. Per questo motivo il fallimento di ieri non si può addossare a una sola persona. Ma ai limiti del dibattito all’interno dei due grandi partiti.
È proprio nella crescita di questo che si deve basare la sfida di un partito plurale. Nella sua capacità di includere, di mediare: di trovare così sempre la strada maestra per disinnescare il conflitto più duro. Sottrarre all’epurazione chi ha espresso un’opinione non conforme a una linea è una dimostrazione, crediamo, proprio di quel rispetto delle minoranze che è alla base della discussione interrotta alla Camera. Proprio in nome di quel provvedimento liquidato per i meccanismi perversi della politica bisogna “salvare” Paola Binetti.
(Antonio Rapisarda, dal periodico della fondazione “Farefuturo”, 14 ottobre 2009 – www.ffwebmagazine.it).
Paola Binetti ovvero:
c’è quando non serve e manca quando serve.
Lo stupore potrebbe sorgere se un personaggio così non fosse allontanato dal partito.
Dice di rispettare i suoi valori ma non è stata eletta per rappresentare i suoi di valori, ma quelli degli elettori che l’hanno votata a rappresentarli.
Insomma, Paoletta ha deciso di rappresentare se stessa, un po’ come Silvietto.
D’altronde non dimentichiamoci che è stato anche grazie alla sua assenza che lo scudo fiscale è passato.
Penso quindi che la sua confluenza con il PDL sia più che meritata.