RaiTre, Ruffini espulso: scomodo perché troppo bravo
In qualsiasi altra azienda Paolo Ruffini sarebbe stato premiato, mentre da RaiTre è stato espulso proprio perché ha realizzato risultati invidiabili. Lo afferma Giuseppe Giulietti su “Micromega”, interpretando la cacciata di Ruffini dalla terza rete Rai come una punizione per l’eccessiva efficienza al servizio (pubblico) della verità, attraverso le news e programmi di infotainment tra i più amati dal pubblico, con la costante promozione di personaggi televisivi del calibro di Fabio Fazio e Milena Gabanelli, autrice di “Report”.
Massima stima per il successore di Ruffini, premette Giulietti, che definisce Antonio Di Bella «un giornalista colto e sensibile, assai attento ai valori della autonomia professionale e della libertà», per anni alla guida del Tg3 «illuminando temi e soggetti sociali altrove oscurati, se non addirittura cancellati». Per questo, aggiunge Giulietti, «non riusciamo ad immaginarlo nei panni del censore o del tagliatore di teste». Eppure, tutta la vicenda che ha preceduto la suo nomina «non ci ha convinto affatto». Soprattutto, continua Giulietti, «non ci piace il coro di ipocrisia e di finte congratulazioni che hanno salutato la sua investitura a direttore di Rai3».
Per spiegare l’incomprensibile decapitazione dell’ottimo Ruffini, Giulietti il «berlusconianissimo» Angelo Maria Petroni, nominato nel Cda della Rai su proposta del ministro Tremonti, in qualità di tecnico. Petroni, afferma Giulietti, avrebbe liquidato tutte le ipocrisie e gli attestati di stima nei confronti del direttore Paolo Ruffini più o meno con queste parole: ho sempre detto che questa rete non corrisponde ai requisiti di servizio pubblico, dunque è ora di cambiare con la speranza che il nuovo direttore voglia invertire la rotta. Stesse parole, «anche con toni più intimidatori», erano state pronunciate da Berlusconi medesimo, dal ministro Scaiola, dal suo vice Romani, da Marcello Dell’Utri e dallo stesso Licio Gelli in una memorabile intervista di qualche mese fa.
«Non è in discussione, dunque, la biografia di Antonio Di Bella, ma le modalità di una decisione che ha registrato il solo, isolato dissenso del consigliere della Rai Nino Rizzo Nervo», insiste Giulietti. «Le cause della cacciata di Ruffini affondano solo e soltanto in una decisione assunta, a suo tempo, a Palazzo Grazioli e trasmessa agli attuali vertici della Rai. Non a caso non hanno neppure tentato di portare uno straccio di motivazione professionale o aziendale. Come avrebbero potuto? La rete ha aumentato gli ascolti, mettendosi spesso alle spalle anche Rai2, la critica ha più volte assegnato a Rai3 il premio per la qualità, alcune delle serate realizzate da Fabio Fazio o da Milena Gabanelli, per fare solo due esempi, sono state considerate pagine memorabili della tv pubblica».
Per Giulietti, la bravura di Ruffini ha infastidito Berlusconi due volte: come politico (che diffida di chi non riesce a controllare) e come concorrente, proprietario dell’azienda televisiva rivale, insofferente verso «una rete libera, scapigliata, capace persino di guadagnare ascolti e di far incassare soldi freschi con la pubblicità al servizio pubblico». Ruffini, dunque, «non è stato cacciato per incapacità, ma per eccesso di capacità». E non lo ha capito, secondo Giulietti «ha commesso il solito, antico, disastroso errore di continuare a credere che possa esistere un Berlusconi mite, moderato, pronto a trattare e a riconoscere le ragioni e i diritti degli altri».
Molto esplicita, osserva Giulietti, la quasi-dichiarazione di guerra civile pronunciata nelle ultime ore. «Non solo ha minacciato Fini e invitato i dissidenti a fare le valigie. Non contento, ha anche chiesto una museruola per i giudici e la chiusura di quelle trasmissioni Rai che parlano male del governo». Per Giulietti «il messaggio è chiaro e rivolto al gruppo dirigente della Rai: o fate subito le liste di proscrizione o sarò costretto a interventi più energici». Come era prevedibile, aggiunge Giulietti, la testa di Ruffini non è bastata. Sono a rischio anche «i pochi autori, giornalisti e dirigenti che ancora tentano di fare il loro mestiere, che non è quello di genuflettersi davanti al sovrano che sta per diventare il proprietario unico del telecomando».
Chi ancora ama l’Articolo 21 della Costituzione, a partire dalla prossima manifestazione del 5 dicembre, «dovrà predisporsi a realizzare una grande catena umana per impedire lo smantellamento non solo di Rai3, ma anche di Rainews24, e di quelle trasmissioni che non vogliono piegarsi al nuovo super-editto», avverte Giulietti. «Tra qualche giorno anche Antonio Di Bella finirà nel mirino dei censori e da lui ci aspettiamo che faccia quello che ha sempre fatto: respingere al mittente i messaggi intimidatori e non accettare i consigli di chi vorrebbe costringerlo a sacrificare gli interessi generali sull’altare del conflitto di interessi» (info: http://temi.repubblica.it/micromega-online/).