Torino: offerta di lavoro, ma solo per non-stranieri
Sei un giovane che ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni? Cerchi un lavoro ben retribuito per sostenere le piccole spese o gli studi universitari? Fare il commesso in un grande centro commerciale potrebbe essere la risposta che cerchi. A patto che disponga di buona dialettica, bella presenza e un minimo di serietà. L’importante è che tu non sia un perditempo. O peggio: uno straniero. Per chi non è italiano, l’offerta non vale. Incredibile ma vero: la proposta di lavoro, allettante per molti giovani in questo difficile periodo di crisi economica, è rivolta a tutti, con una eccezione: niente da fare per chi ha origine straniera.
A Torino hanno tappezzato i muri delle vie e le piazze più importanti del centro città, scrive Paolo Coccorese su “La Stampa”. Centinaia di volantini, scritti su carta colorata e attaccati col nastro adesivo: «Cercasi commessi e commesse per aree pubbliche e per centri commerciali». Postilla: «No perditempo, No stranieri». Poche parole a caratteri cubitali per un messaggio che indigna. «Sono rimasta sconvolta», dice Dania Rodrigues, studentessa di 24 anni con in tasca una laurea all’Università di Lisbona e un italiano fluente con un simpatico accento lusitano. «Per attaccare volantini razzisti ci vuole tanto coraggio. Ma quello che mi colpisce è che nessuno ha fatto niente per impedirlo».
Dania, che gira il mondo lavorando fra cantieri archeologici, a Lisbona ha creato il network di volontariato sociale “Dedalus Ilimitado”, divenuto famoso in tutto il Portogallo: a bambini e ragazzi non-vedenti si offre la possibilità di un contatto emozionante con gli animali dello zoo, da “conoscere” con gli altri organi sensoriali: un “incontro” delicato, fatto di udito, olfatto e contatto fisico. Dania si sente cittadina del mondo; suo padre ottenne un riconoscimento internazionale per il suo contributo umanitario a favore dei ciechi in Mozambico. I cartelli anti-stranieri a Torino, città eletta a sede di studi, sono uno choc: «Non voglio accettare che la maggioranza degli abitanti di questa città sia d’accordo con quanto scritto».
Un dubbio che ha il sapore amaro di una sconfitta, scrive Coccorese su “La Stampa”. Lo stesso che si prova se si decide di passeggiare per le strade più conosciute della città. Piazza Statuto, via Garibaldi, via Po: i volantini affissi sui muri e i pali della luce da giorni decorano il centro. Per trovare una spiegazione, però, non basta neanche contattare il numero indicato sugli stessi annunci di lavoro. «L’offerta non è più valida». Con poche parole, infatti, una voce di donna senza troppo riguardo congeda ogni tentativo di spiegazione. Motivazioni che prova a dare Dario Padovan, professore dell’Università di Torino ed autore del libro “Sociologia del Razzismo”. «Siamo di fronte ad una fase nuova», dice. «In passato dovevamo confrontarci con un “razzismo sottile”, una forma di pregiudizio sotto traccia e difficile da studiare. Oggi la realtà è diversa: il razzismo popola sempre più lo spazio pubblico diventando una cosa ordinaria».
Una “normalità” che Ilda Curti, assessore comunale alle Politiche per l’integrazione, non accetta. Figlia di emigrati in Belgio, la Curti ha gestito a Torino la perfetta integrazione della comunità rumena, accanto alle altre etnie presenti. «Chiedo scusa a nome della città», dichiara. «Segnalerò il caso all’Osservatorio anti-razzista di Roma e manderò i vigili a controllare se ci sono state infrazioni delle leggi». Una presa di posizione netta, accompagnata da una riflessione sul presente di una città che deve fare ancora enormi passi in avanti sul capitolo integrazione. «Molti negozianti hanno una clientela di origine straniera, ma non accettano di avere un commesso non italiano», rileva la Curti: a Porta Palazzo, sede del mercato multietnico più grande d’Europa, le banche hanno impiegati di origine romena e cinese che lavorano a stretto contatto con il pubblico. «E’ un passaggio obbligato, per una città veramente cosmopolita» (info: www.lastampa.it).