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Strage di Parigi, polizia ridicola. Chi ha depistato gli agenti?

Scritto il 10/1/15 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

«Com’era facilmente prevedibile, i due fratelli Kouachi sono stati entrambi uccisi durante un blitz delle teste di cuoio, portandosi nella tomba le risposte a molti interrogativi sull’attentato a “Charlie Hebdo”, che ha tutte le fattezze del terrorismo ascrivibile alla “strategia della tensione”». Un attentato falsa bandiera in stile New York 9/11? No, risponde Federico Dezzani su “Come Don Chisciotte”: «A ragion veduta è un’operazione di infiltrazione e sovversione in stile anni ’70, dove i fratelli franco-algerini rappresentano i brigatisti di basso rango che premono il grilletto», mentre «chi si occupa dalla pianificazione, organizzazione e logistica, il Br Mario Moretti del caso, probabilmente non sarà mai preso perché legato ai servizi». L’intelligence francese? Ne esce «sconfitta secondo i media che leggono il copione», ma invece «vincente in base agli obbiettivi programmati, e marcia fino al midollo per chi analizzi a fondo la vicenda in divenire». Il politologo Aldo Giannuli, storico dei servizi segreti, è più cauto: salvo restando l’idea di una strage di matrice islamica, «è possibile che ci siano stati inserimenti di altri, in una eterogenesi dei fini». Un’ipotesi, non ancora una verità.
Said e Cherif Kouachi, franco-algerini di 32 e 34 anni, per Dezzani sono invece «terroristi talmente perfetti che sembravano coltivati in vitro: nati e cresciuti a Gennevilliers, banlieue a Nord di Parigi, rimangono orfani, poi sono dati in affidamento e suonano un po’ di rap crescendo nel mondo della piccola criminalità; il maggiore è arrestato nel 2008 in quanto affiliato alla rete Buttes-Chaumont che recluta volontari da spedire in Iraq. Sono perciò da almeno cinque anni nei radar delle forze di sicurezza». Dopodiché, in base alle informazioni che piovono a catinelle già a poche ore dall’attacco, sarebbero passati nei campi di addestramenti di Al-Qaeda in Yemen e avrebbero partecipato alla guerra in Siria. «Il primo grande quesito da porsi è: com’è possibile che non fossero pedinati a vista? Le informazioni in possesso dei giornali dopo un giorno dall’attentato non erano negli archivi dell’intelligence? Sembra assurdo, anche perché i due fratelli erano nella lista nera compilata dal “Terrorist Screening Center” statunitense». Il 7 gennaio, continua Dezzani, i due fratelli fanno irruzione della sede di “Charlie Hebdo” e uccidono 12 persone, urlando i nomi dei vignettisti. L’assalto avviene durante la riunione di redazione del giornale: quindi è altamente probabile che l’attentato sia stato accuratamente pianificato, gli orari della redazione studiati, memorizzati i nomi e il viso delle vittime.
«Forse per dare un tono di dilettantismo all’operazione, è diffusa la notizia che gli attentatori non conoscessero il numero civico della redazione. Ma è possibile che chi conosce il nome dei vignettisti e gli orari della riunione settimanale della redazione non sappia dov’è la sede dell’attentato? Nessuno dei fratelli ha mai fatto un sopralluogo?». Altra incredibile leggerezza, per un efficiente commando che si sarebbe formato nei campi Al-Qaeda: “dimenticare” la carta d’identità nell’auto, abbandonata dopo l’attentato. «I due fratelli franco-algerini non sanno che la regola base per qualsiasi rapinatore o terrorista è di liberarsi di documenti, telefoni, orecchini o qualsiasi mezzo di riconoscimento per non essere identificati? Perché indossare i passamontagna per poi dimenticare il documento in auto?». Probabilmente, continua Dezzani, «il documento è stato aggiunto sulla scena del crimine dall’intelligence su soffiata della mente dell’operazione, il Br Mario Moretti del caso, che conosce il nome e il piano degli attentatori, perché è stato lui a progettarlo».
Con il ritrovamento della carta si desiderava quindi instradare rapidamente la polizia sui colpevoli per liquidarli in poche ore? «Tutta la vicenda ha un triste e fresco precedente, che stranamente pochi ricordano: nel marzo del 2012 il franco-algerino Mohamed Merah uccide sette persone, sparando da uno scooter, prima di asserragliarsi in un appartamento dove è ucciso durante il blitz delle teste di cuoio. Si scoprirà che anche lui era nei radar dell’intelligence francese da tempo, essendo stato un collaboratore della Dgse per cui si era recato in Afghanistan raccogliendo informazioni sugli islamisti francesi». L’insuccesso della polizia dipende da errori e incapacità oppure da non volontà di prendere i responsabili? «La polizia e i servizi francesi sono ad un elevato livello di professionalità», ammette Aldo Giannuli: «I servizi francesi, per chi non lo sapesse, hanno sofisticate teorie di intelligence riflesse in una corposa produzione pubblicistica». Vero, «non sempre a un elevato livello teorico corrisponde altrettanta capacità operativa». Però «non appare probabile una serie di errori, lacune, incertezze di questo genere».
Certo, non è da escludere «l’ipotesi della cattiva volontà e magari di una “manina” poliziesca nella vicenda, sul modello della strategia della tensione: la “sicurezza” ci sta facendo una tale figura che un comportamento del genere sarebbe masochistico». Ma strategia della tensione per cosa? «Qui ad avvantaggiarsene sarebbe l’opposizione lepenista, non il governo», ragiona Giannuli. Che aggiunge: «In via subordinata si può pensare anche a un settore di polizia che lo stia facendo per far cadere l’attuale gruppo dirigente della stessa polizia o favorire una sconfitta elettorale di Hollande». Anche qui «ipotesi possibile, ma molto poco probabile: soprattutto in assenza di elementi concreti, resta una congettura come un’altra». Dezzani però insiste sulle stranezze della vicenda: la fuga dei fratelli Kouachi, barricatisi insieme a un ostaggio in una tipografia di Dammartin-en-Goële, a nord-est di Parigi, dopo un inconcludente peregrinare nelle campagne del dipartimento Senna e Marna. «Perché uscire in fretta da Parigi nelle ore successive all’attentato per poi trascorre 36 ore da latitanti nella campagna francese e finire asserragliati in una piccola azienda?».
Domande senza risposta: «Era previsto un punto di raccolta dove avrebbero dovuto essere prelevati e portarti in salvo, mentre sono stati ingannati e all’appuntamento non c’era nessuno?». Di certo, «eliminandoli si è persa ogni traccia per risalire ai vertici dell’organizzazione, dove si annida probabilmente il collegamento con i servizi d’informazione», ipotizza Dezzani. Nel frattempo un altro presunto terrorista, Amedy Coulibaly, è stato liquidato dopo aver preso in ostaggio cinque persone in un negozio kosher di Porte de Vincennes: sarebbe l’assassino della vigilessa uccisa l’8 gennaio. «Una rete quindi di tre o più terroristi, molti dei quali noti da anni alle forze dell’ordine, avrebbe tenuto in scacco Parigi per tre giorni quando i servizi algerini avrebbero allertato il 6 gennaio le autorità francesi che era in preparazione un attentato. Perché nessuno ha agito? A chi fa comodo quanto sta avvenendo?». Particolarmente inquietante, infine, la notizia della morte di uno degli investigatori, che si sarebbe suicidato nel suo ufficio di Limoges sparandosi con l’arma di servizio. Secondo il quotidiano “Le Populaire du Centre”, stava lavorando all’indagine della polizia giudiziaria sul caso “Charlie Hebdo”.
Aldo Giannuli invita a riflettere con calma, evitando conclusioni poco lucide. Spesso, ricorda, nei delitti opachi e “mediatici” «c’è una catena di comando che va dal vertice politico a quello operativo, passa per i livelli dell’organizzazione, per arrivare agli esecutori che, spesso, sono assistiti nella fuga da uomini di copertura e poi nascosti in covi dell’organizzazione». Tanti passaggi, «durante i quali è possibile che ci siano infiltrazioni e intromissioni», in cui un “soggetto terzo”, con «interessi diversi da quelli degli attentatori», può «intervenire facilitando l’azione oppure forzando e deviando la mano agli esecutori o anche, dopo l’attentato, indirizzare gli investigatori verso una direzione piuttosto che un’altra». Attenzione: «Più sono le persone coinvolte e i gradi di passaggio, più è alta la probabilità che ci possano essere state interferenze». Per Giannuli, l’ipotesi più credibile è che «la polizia e i servizi siano caduti vittime di un colossale depistaggio», a cui fa pensare la strana faccenda della carta d’identità fatta ritrovare sul posto. «Una “intossicazione ambientale” partita sin da prima dell’attentato», per infilare gli inquirenti in un tunnel di errori. «Risultato che si può ottenere inquinando le fonti, producendo false prove, alimentando voci». Questo ovviamente «presuppone che non di una micro-cellula si tratti, ma di una organizzazione capace di agire a livelli professionali piuttosto alti».

«Com’era facilmente prevedibile, i due fratelli Kouachi sono stati entrambi uccisi durante un blitz delle teste di cuoio, portandosi nella tomba le risposte a molti interrogativi sull’attentato a “Charlie Hebdo”, che ha tutte le fattezze del terrorismo ascrivibile alla “strategia della tensione”». Un attentato falsa bandiera in stile New York 9/11? No, risponde Federico Dezzani su “Come Don Chisciotte”: «A ragion veduta è un’operazione di infiltrazione e sovversione in stile anni ’70, dove i fratelli franco-algerini rappresentano i brigatisti di basso rango che premono il grilletto», mentre «chi si occupa dalla pianificazione, organizzazione e logistica, il Br Mario Moretti del caso, probabilmente non sarà mai preso perché legato ai servizi». L’intelligence francese? Ne esce «sconfitta secondo i media che leggono il copione», ma invece «vincente in base agli obbiettivi programmati, e marcia fino al midollo per chi analizzi a fondo la vicenda in divenire». Il politologo Aldo Giannuli, storico dei servizi segreti, è più cauto: salvo restando l’idea di una strage di matrice islamica, «è possibile che ci siano stati inserimenti di altri, in una eterogenesi dei fini». Un’ipotesi, non ancora una verità.

Said e Cherif Kouachi, franco-algerini di 32 e 34 anni, per Dezzani sono invece «terroristi talmente perfetti che sembravano coltivati in vitro: nati e cresciuti a Gennevilliers, banlieue a Nord di Parigi, rimangono orfani, poi sono dati in affidamento e Polizia francesesuonano un po’ di rap crescendo nel mondo della piccola criminalità; il maggiore è arrestato nel 2008 in quanto affiliato alla rete Buttes-Chaumont che recluta volontari da spedire in Iraq. Sono perciò da almeno cinque anni nei radar delle forze di sicurezza». Dopodiché, in base alle informazioni che piovono a catinelle già a poche ore dall’attacco, sarebbero passati nei campi di addestramenti di Al-Qaeda in Yemen e avrebbero partecipato alla guerra in Siria. «Il primo grande quesito da porsi è: com’è possibile che non fossero pedinati a vista? Le informazioni in possesso dei giornali dopo un giorno dall’attentato non erano negli archivi dell’intelligence? Sembra assurdo, anche perché i due fratelli erano nella lista nera compilata dal “Terrorist Screening Center” statunitense». Il 7 gennaio, continua Dezzani, i due fratelli fanno irruzione della sede di “Charlie Hebdo” e uccidono 12 persone, urlando i nomi dei vignettisti. L’assalto avviene durante la riunione di redazione del giornale: quindi è altamente probabile che l’attentato sia stato accuratamente pianificato, gli orari della redazione studiati, memorizzati i nomi e il viso delle vittime.

«Forse per dare un tono di dilettantismo all’operazione, è diffusa la notizia che gli attentatori non conoscessero il numero civico della redazione. Ma è possibile che chi conosce il nome dei vignettisti e gli orari della riunione settimanale della redazione non sappia dov’è la sede dell’attentato? Nessuno dei fratelli ha mai fatto un sopralluogo?». Altra incredibile leggerezza, per un efficiente commando che si sarebbe formato nei campi Al-Qaeda: “dimenticare” la carta d’identità nell’auto, abbandonata dopo l’attentato. «I due fratelli franco-algerini non sanno che la regola base per qualsiasi rapinatore o terrorista è di liberarsi di documenti, telefoni, orecchini o qualsiasi mezzo di riconoscimento per non essere identificati? Perché indossare i passamontagna per poi dimenticare il documento in auto?». Probabilmente, continua Dezzani, «il documento è Forze specialistato aggiunto sulla scena del crimine dall’intelligence su soffiata della mente dell’operazione, il Br Mario Moretti del caso, che conosce il nome e il piano degli attentatori, perché è stato lui a progettarlo».

Con il ritrovamento della carta si desiderava quindi instradare rapidamente la polizia sui colpevoli per liquidarli in poche ore? «Tutta la vicenda ha un triste e fresco precedente, che stranamente pochi ricordano: nel marzo del 2012 il franco-algerino Mohamed Merah uccide sette persone, sparando da uno scooter, prima di asserragliarsi in un appartamento dove è ucciso durante il blitz delle teste di cuoio. Si scoprirà che anche lui era nei radar dell’intelligence francese da tempo, essendo stato un collaboratore della Dgse per cui si era recato in Afghanistan raccogliendo informazioni sugli islamisti francesi». L’insuccesso della polizia dipende da errori e incapacità oppure da non volontà di prendere i responsabili? «La polizia e i servizi francesi sono ad un elevato livello di professionalità», ammette Aldo Giannuli: «I servizi francesi, per chi non lo sapesse, hanno sofisticate teorie di intelligence riflesse in una corposa produzione pubblicistica». Vero, «non sempre a un elevato livello teorico corrisponde altrettanta capacità operativa». Però «non appare probabile una serie di errori, lacune, incertezze di questo genere».

Certo, non è da escludere «l’ipotesi della cattiva volontà e magari di una “manina” poliziesca nella vicenda, sul modello della strategia della tensione: la “sicurezza” ci sta facendo una tale figura che un comportamento del genere sarebbe masochistico». Ma strategia della tensione per cosa? «Qui ad avvantaggiarsene sarebbe l’opposizione lepenista, non il governo», ragiona Giannuli. Che aggiunge: «In via subordinata si può pensare anche a un settore di polizia che lo stia facendo per far cadere l’attuale gruppo dirigente della stessa polizia o favorire una sconfitta elettorale di Hollande». Anche qui «ipotesi possibile, ma molto poco probabile: soprattutto in assenza di elementi concreti, resta una congettura come un’altra». Dezzani però insiste sulle stranezze della vicenda: la fuga dei fratelli Kouachi, barricatisi insieme a un ostaggio in una tipografia di Dammartin-en-Goële, a nord-est di Parigi, dopo un inconcludente peregrinare nelle campagne del dipartimento Senna e Marna. «Perché uscire in fretta da Parigi nelle ore successive all’attentato per poi trascorre 36 ore da latitanti nella campagna francese e finire asserragliati in una piccola azienda?».

Domande senza risposta: «Era previsto un punto di raccolta dove avrebbero dovuto essere prelevati e portarti in salvo, mentre sono stati ingannati e all’appuntamento non c’era nessuno?». Di certo, «eliminandoli si è persa ogni traccia per risalire ai vertici dell’organizzazione, dove si annida probabilmente il collegamento con i servizi d’informazione», ipotizza Dezzani. Nel frattempo un altro presunto terrorista, Amedy Coulibaly, è stato liquidato dopo aver preso in ostaggio cinque persone in un negozio kosher di Porte de Vincennes: sarebbe l’assassino della vigilessa uccisa l’8 gennaio. «Una rete quindi di tre o più terroristi, molti dei quali noti da anni alle forze dell’ordine, avrebbe tenuto in scacco Parigi per tre giorni quando i servizi algerini avrebbero allertato il 6 gennaio le autorità francesi che era in preparazione un attentato. Perché nessuno ha agito? A chi fa comodo quanto sta avvenendo?». Particolarmente inquietante, infine, la notizia della morte di uno degli investigatori, Aldo Giannuliche si sarebbe suicidato nel suo ufficio di Limoges sparandosi con l’arma di servizio. Secondo il quotidiano “Le Populaire du Centre”, stava lavorando all’indagine della polizia giudiziaria sul caso “Charlie Hebdo”.

Aldo Giannuli invita a riflettere con calma, evitando conclusioni poco lucide. Spesso, ricorda, nei delitti opachi e “mediatici” «c’è una catena di comando che va dal vertice politico a quello operativo, passa per i livelli dell’organizzazione, per arrivare agli esecutori che, spesso, sono assistiti nella fuga da uomini di copertura e poi nascosti in covi dell’organizzazione». Tanti passaggi, «durante i quali è possibile che ci siano infiltrazioni e intromissioni», in cui un “soggetto terzo”, con «interessi diversi da quelli degli attentatori», può «intervenire facilitando l’azione oppure forzando e deviando la mano agli esecutori o anche, dopo l’attentato, indirizzare gli investigatori verso una direzione piuttosto che un’altra». Attenzione: «Più sono le persone coinvolte e i gradi di passaggio, più è alta la probabilità che ci possano essere state interferenze». Per Giannuli, l’ipotesi più credibile è che «la polizia e i servizi siano caduti vittime di un colossale depistaggio», a cui fa pensare la strana faccenda della carta d’identità fatta ritrovare sul posto. «Una “intossicazione ambientale” partita sin da prima dell’attentato», per infilare gli inquirenti in un tunnel di errori. «Risultato che si può ottenere inquinando le fonti, producendo false prove, alimentando voci». Questo ovviamente «presuppone che non di una micro-cellula si tratti, ma di una organizzazione capace di agire a livelli professionali piuttosto alti».

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Tag: 11 settembre, Afghanistan, Al Qaeda, Aldo Giannuli, Algeria, Amedy Coulibaly, attentati, banlieues, Blitz, Br, Brigate Rosse, Buttes-Chaumont, Charlie Hebdo, Cherif Kouachi, Come Don Chisciotte, complotto, criminalità, Dammartin-en-Goële, depistaggi, Dgse, disinformazione, eversione, false flag, Federico Dezzani, Fn, François Hollande, Front National, Gennevilliers, governo, guerra, identità, infiltrazioni, intelligence, Iraq, Isis, Islam, jihadisti, kosher, Le Populaire du Centre, Limoges, mainstream, Marine Le Pen, Mario Moretti, Marna, media, Mohamed Merah, musica, New York, omicidio, opposizione, ostaggi, parigi, polizia, Porte de Vincennes, prove, rap, Said Kouachi, Senna, servizi segreti, sicurezza, Siria, storia, strage, strategia della tensione, suicidi, terrorismo, teste di cuoio, Tolosa, Torri Gemelle, tradimento, Twin Towers, Usa, verità, Yemen

6 Commenti

  1. SILVIO
    10 gennaio 2015 • 21:42

    Polizia depistata ? Da chi?
    Da supposti “jihadisti islamici” che si sbarbavano regolarmente, parlavano in perfetta madrelingua, bevevano alcool, frequentavano locali notturni ed andavano a puttane?
    Che, insomma, non vivevano affatto osservando gli insegnamenti del Corano?

    Mmmm…L’intelligence francese ha pochi rivali in certe “cosucce”, per cui….

    E poi il suicidio di Helric Fredou (= il vice direttore del Dipartimento di Investigazione Criminale di Limoges,che indagava sulla strage di “Charlie Hebdo”) – avvenuto mercoledì scorso – potrebbe non essere dovuto a depressione…

  2. SILVIO
    10 gennaio 2015 • 21:45

    Intanto cominciano a fioccare le prime “pistole fumanti” del possibile false flag.

    Una delle più sconcertanti è stata censurata da You Tube
    https://www.youtube.com/watch?v=ZVMV44lwx_E

    con la scusa che il video conteneva immagini scioccanti e disgustose.
    Ma è proprio così? Balle!

    E VIMEO ce lo attesta riproponendo il medesimo video cancellato da You Tube
    http://vimeo.com/116322290

    Esso mostra la falsa esecuzione di un poliziotto da parte di un “terrorista” durante la fase iniziale della strage di “Charlie Hebdo”.

    Niente sangue, niente morto… e la pallottola si conficca poco distante sollevando una nuvola di polvere
    http://4.bp.blogspot.com/-eMXS5SeXG1Q/VK9ArxbgtAI/AAAAAAAAZg0/3hHg_dz3BUQ/s400/HebdoPolizistSchuss.JPG

    —————————-
    Postilla:
    Ringrazio il blogger svizzero Freeman
    per avermi fornito la “dritta” di cui sopra
    http://alles-schallundrauch.blogspot.de/2015/01/die-offizielle-charlie-hebdo-story.html

  3. SILVIO
    10 gennaio 2015 • 21:54

    Intanto cominciano a fioccare le prime “pistole fumanti” del possibile false flag.

    Una delle più sconcertanti è stata censurata da You Tube
    https://www.youtube.com/watch?v=ZVMV44lwx_E

    con la scusa che il video conteneva immagini scioccanti e disgustose.
    Ma è proprio così? Balle!

    E VIMEO ce lo attesta riproponendo il medesimo video cancellato da You Tube
    http://vimeo.com/116322290

    Esso mostra la falsa esecuzione di un poliziotto da parte di un “terrorista” durante la fase iniziale della strage di “Charlie Hebdo”.

    Niente sangue, niente morto… e la pallottola si conficca poco distante sollevando una nuvola di polvere

  4. SILVIO
    10 gennaio 2015 • 21:59

    Mi spiace.
    Ho cercato di postare un commento illustrante una prova del false flag ma il sistema del blog l’ha bannato ambedue le volte.

  5. Anna
    11 gennaio 2015 • 10:54

    Le notizie di questi giorni bisogna prenderle con le molle perché sappiamo che di stupidaggini ne escono tante, ma se fosse vero che 6 mesi fa è stata interrotta la sorveglianza perché dal 2011 e fino all’estate del 2014 nulla suggeriva un qualsiasi collegamento con movimenti del radicalismo islamico, né attraverso il telefono, né su internet, mi fa molto riflettere. Mi domando chi sapeva che la sorveglianza è stata interrotta e di chi è stata l’opera di “risveglio” del “potenziale terrorista”? Non sono cose che succedono a caso e certe informazioni non sono alla portata di terroristi, ma di servizi segreti e quelli più attivi sappiamo anche quali sono.

  6. Saif
    13 gennaio 2015 • 08:08

    Beh almeno i Francesi quando si devono fare le false flag non ammazzano nessuno (tranne l’investigatore “suicidatosi” nel corso delle indagini ) da questo punto di vista hanno creato un interessante (per tutti noi) precedente…

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