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Expo, la resa dell’Italia: saremo solo pizza e mandolino

Scritto il 04/5/15 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

Ai tradizionali argomenti contro l’Expo (sfruttamento del lavoro precario, danni per l’ambiente, inquinamento malavitoso, spreco di denaro, ecc.) vorrei aggiungerne uno che non vedo citato spesso. La scelta di modello di crescita economica che una manifestazione del genere nasconde. Nel corso della loro storia più che secolare, le Esposizioni universali hanno avuto due funzioni. La prima, mostrare lo “stato dell’arte” nel campo della tecnologia, dello sviluppo industriale, di quello che era definito genericamente “il progresso” (capitalistico, è ovvio). La seconda, far conoscere al mondo la posizione del paese ospitante in quel quadro, presentandolo come centrale e ben inserito nei grandi risultati raggiunti. L’Italia è stata, fino a tempi recentissimi, la terza potenza industriale europea, dopo Germania e Francia. Sarebbe stato logico, dunque, che un’Esposizione universale esibisse i suoi gioielli in quel campo. Ma sono bastati pochi anni di crisi e molti di neoliberismo (leggi Unione Europea) perché quei gioielli fossero venduti, trasferiti altrove, messi all’asta, trasformati in carbone. Così come i lavoratori che li avevano creati.
L’Expo 2015 si profila dunque come un gigantesco ristorante, un Eataly di proporzioni colossali, secondo il progetto con cui Renzi (e Farinetti, e gli altri geni che gli stanno attorno) intendono rimodellare l’economia italiana e segnarne le sorti. Terra di cibi e musei, paese da turismo e da vacanze. Una Riviera Romagnola estesa all’intera penisola. A beneficio di chi? Degli Stati che dominano la Ue, cui rimarrebbe il monopolio assoluto dell’industria pesante e della finanza. A loro le produzioni che contano e rendono, a noi l’accoglienza delle comitive. Non ho citato la Riviera Romagnola a caso. E’ da sempre, per la conformazione della sua economia (che non ha andamento continuativo), la patria del lavoro precario e malpagato. Così come lo è l’agricoltura, che funziona a cicli. Vale anche per la Spagna, il Portogallo, la Grecia, Cipro. Tutta la catena dei debitori dell’Europa meridionale.
L’Italia si è a lungo sottratta a questa regola, ma arriva l‘Expo a sancire la resa. Esibiamo cassette di frutta, formaggi, pizza, spaghetti, accanto a prodotti non più nostri perché venduti alle multinazionali dell’alimentazione. Un simpatico mercato rionale, con forza-lavoro non organizzata né tutelata dalla legge da mandare a casa finito il ciclo stagionale “alto”. Accompagnato da guide turistiche, ragazzi di fatica, personale alberghiero, autisti ecc. (mancano solo i suonatori di mandolino) che, dopo il pranzo, rendano il soggiorno piacevole al ricco visitatore. Ricco perché ha ormai in mano l’essenziale dell’industria italiana, a cominciare dal comparto agro-alimentare. Cosa resta da fare al cameriere ipersfruttato, in simili frangenti? Ce lo dice la logica. Rovesciare il tavolo del cliente e gettare il vassoio in faccia al padrone. Ricostruire un Primo Maggio di lotta e dignità.
(Valerio Evangelisti, “Expo, l’industria del mandolino”, da “Carmilla online” del 1° maggio 2015).

Ai tradizionali argomenti contro l’Expo (sfruttamento del lavoro precario, danni per l’ambiente, inquinamento malavitoso, spreco di denaro, ecc.) vorrei aggiungerne uno che non vedo citato spesso. La scelta di modello di crescita economica che una manifestazione del genere nasconde. Nel corso della loro storia più che secolare, le Esposizioni universali hanno avuto due funzioni. La prima, mostrare lo “stato dell’arte” nel campo della tecnologia, dello sviluppo industriale, di quello che era definito genericamente “il progresso” (capitalistico, è ovvio). La seconda, far conoscere al mondo la posizione del paese ospitante in quel quadro, presentandolo come centrale e ben inserito nei grandi risultati raggiunti. L’Italia è stata, fino a tempi recentissimi, la terza potenza industriale europea, dopo Germania e Francia. Sarebbe stato logico, dunque, che un’Esposizione universale esibisse i suoi gioielli in quel campo. Ma sono bastati pochi anni di crisi e molti di neoliberismo (leggi Unione Europea) perché quei gioielli fossero venduti, trasferiti altrove, messi all’asta, trasformati in carbone. Così come i lavoratori che li avevano creati.

L’Expo 2015 si profila dunque come un gigantesco ristorante, un Eataly di proporzioni colossali, secondo il progetto con cui Renzi (e Farinetti, e gli altri geni che gli stanno attorno) intendono rimodellare l’economia italiana e segnarne le sorti. Terra di Black bloccibi e musei, paese da turismo e da vacanze. Una Riviera Romagnola estesa all’intera penisola. A beneficio di chi? Degli Stati che dominano la Ue, cui rimarrebbe il monopolio assoluto dell’industria pesante e della finanza. A loro le produzioni che contano e rendono, a noi l’accoglienza delle comitive. Non ho citato la Riviera Romagnola a caso. E’ da sempre, per la conformazione della sua economia (che non ha andamento continuativo), la patria del lavoro precario e malpagato. Così come lo è l’agricoltura, che funziona a cicli. Vale anche per la Spagna, il Portogallo, la Grecia, Cipro. Tutta la catena dei debitori dell’Europa meridionale.

L’Italia si è a lungo sottratta a questa regola, ma arriva l‘Expo a sancire la resa. Esibiamo cassette di frutta, formaggi, pizza, spaghetti, accanto a prodotti non più nostri perché venduti alle multinazionali dell’alimentazione. Un simpatico mercato rionale, con forza-lavoro non organizzata né tutelata dalla legge da mandare a casa finito il ciclo stagionale “alto”. Accompagnato da guide turistiche, ragazzi di fatica, personale alberghiero, autisti ecc. (mancano solo i suonatori di mandolino) che, dopo il pranzo, rendano il soggiorno piacevole al ricco visitatore. Ricco perché ha ormai in mano l’essenziale dell’industria italiana, a cominciare dal comparto agro-alimentare. Cosa resta da fare al cameriere ipersfruttato, in simili frangenti? Ce lo dice la logica. Rovesciare il tavolo del cliente e gettare il vassoio in faccia al padrone. Ricostruire un Primo Maggio di lotta e dignità.

(Valerio Evangelisti, “Expo, l’industria del mandolino”, da “Carmilla online” del 1° maggio 2015).

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Tag: agricoltura, alimentazione, ambiente, beni culturali, capitalismo, Carmilla online, cibo, Cipro, corruzione, crescita, crisi, debito pubblico, declino, deindustrializzazione, delocalizzazioni, dignità, diritti, dominio, Eataly, economia, Europa, Expo 2015, finanza, Francia, genio, Germania, giovani, Grecia, industria, lavoratori, lavoro, mafia, Matteo Renzi, Mediterraneo, mercato, monopolio, multinazionali, musei, neoliberismo, Oscar Farinetti, patria, Piigs, Portogallo, Potenza, precari, privatizzazioni, progresso, Romagna, sfruttamento, Spagna, sprechi, Stati, storia, svendita, sviluppo, tecnologia, turismo, Ue, Unione Europea, Valerio Evangelisti

5 Commenti

  1. Gabriele
    4 maggio 2015 • 09:16

    Io Farinetti l’avrò visto al massimo due volte in Tv e sò che in saccoccia ha le serpi ed è uno schiavista perchè ho letto che i suoi dipendenti li paga una miseria e poi sono tutti precari, però se riuscisse a mettere Ko tutti i vari chicken hut, mcdonald, burgerking e merdate viarie mi farebbe piacere…… e l’Italia per me potrebbe tranquillamente campare solo di turismo, cibo, arte,cultura, storia. Comunque Expo è per persone ricche perchè il biglietto costa un trentina d’euro, più tutto quello che mangi te lo devi pagare e come minimo ci vorrà na piotta, quindi anche volendo non ci potrei andare. ciao

  2. SILVIO
    4 maggio 2015 • 17:24

    Bologna “la dotta e la grassa” è, come al solito, ingenerosa con la Romagna (ricordo che Valerio Evangelisti è bolognese) .

    Ma che avrebbero dovuto fare i romagnoli a fronte di un’Emilia accentratrice e piglia-tutto ?
    Subire e aspettare la manna dal cielo?
    A mio parere, si sono invece comportati benissimo nel rimboccarsi le maniche, valorizzando al massimo le risorse di cui disponevano a mezzo di un marketing intelligente, mirato ai vari target a partire quelli inferiori.

    E poi, dissento da chi sottovaluta il comparto turistico –alberghiero ed il corollario dei servizi ad esso connessi, considerandoli intrapresa economica poco dignitosa.

    Nei Servizi non esistono padroni e servi, bensì prestatori e fruitori aventi gli uni e gli altri pari dignità, a prescindere dallo “spessore” del portafoglio.

  3. SILVIO
    4 maggio 2015 • 17:27

    Aggiungo che gli operatori dei Servizi (altamente specializzati) costituiranno buona parte della struttura portante dei Lavori del futuro.

    Sarebbero invece in pericolo di estinzione (entro il 2030) 101 professioni tradizionali ( Avvocati – Giornalisti – Medici chirurghi – Medici specialisti di varie categorie – Insegnanti – Geologi – Consulenti fiscali- ecc. ecc.)

    http://www.futuristspeaker.com/2014/11/101-endangered-jobs-by-2030/

    Codesto è il parere di Thomas Frey, celebre scienziato “futurista,” molto addentro nei disegni futuri del grande capitale.

  4. Cesare
    5 maggio 2015 • 07:40

    La pianificazione economica internazionale, figlia della globalizzazione, ha portato a designare vincitori e perdenti in conseguenza non di risultati aziendali, ma di loschi traffici corruttivi a livello politico/governativo. L’apertura incondizionata alla globalizzazione e quindi ai prodotti asiatici in concorrenza sleale verso le merci prodotte in Italia, rappresenta la volontà di spostare ricchezza da una parte all’altra del pianeta in funzione di una crescita di ricchezza a livello planetario i cui benefici sono solo per le multinazionali e vanno contro gli interessi dei popoli occidentali. L’impoverimento dell’occidente è funzionale alla crescita dell’oriente, ma senza un ritorno di benefici, anche futuro, per l’Occidente stesso se non per quelle multinazionali in grado di sfruttare la manodopera sottopagata asiatica o le banche in grado di intercettare questa nuova ricchezza sempre asiatica.
    Il destino dell’occidente l’hanno predisposto a tavolino un manipolo di multinazionali in funzione del loro tornaconto in totale dispregio della povertà indotta dalle loro scelte alle popolazioni occidentali. Le multinazionali non redistribuiscono il reddito, se lo tengono in pancia e non versano imposte in quanto sfruttando la delocalizzazione fiscale degli utili, evitano la tassazione ordinaria. Le multinazionali sono i moderni pirati di antica memoria, razziano ricchezza, creano povertà e disperazione, impoveriscono i popoli.

  5. Mauro Bellini
    7 maggio 2015 • 12:23

    L’Italia ridotta a semplice luogo di vacanza per turisti di paesi ricchi? Potrebbe essere un’ipotesa troppo ottimistica; con lo sblocca Italia si dà il permesso a trivellazioni selvagge in tutto il territorio nazionale per la ricerca di petrolio, con i rischi per l’ambiente che queste comportano. In caso di disastro ambientale potremmo non avere neanche delle spiagge da offrire ai bagnanti d’oltreconfine o terreni in cui produrre le nostre eccellenze alimentari.
    Per costruire un’economia in grado di farsi almeno rispettare a livello internazionale turismo, alimentazione e beni culturali non sono sufficienti, ma si dovrebbero cominciare a proteggerli e valorizzarli per avere delle basi per risollevarci dalla crisi degli ultimi anni, dovrebbero essere la principale preoccupazione di una classe politica realmente interessata a risolvere i problemi della nazione, oltre ovviamente a preservare le nostre produzioni migliore a livello industriale, invece di sostenere il dogma delle privatizzazioni, leggere dare a prezzi di forte saldo le nostre industrie migliori ai concorrenti esteri, vero incarico ricevuto dal nostro governo con la g minuscola dai poteri economici e finanziari esteri, oltre a sedicenti riforme, volte a comprimere i salari dei nostri lavoratori e a trasformare il nostro Paese in un mero serbatoio di manodopera a basso costo.
    Per l’Italia il futuro è da nazione del terzo mondo.

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