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Keynes: piena occupazione, senza valori niente crescita

Scritto il 01/11/15 • nella Categoria: Recensioni Condividi Tweet

L’asse portante della teoria macroeconomica dell’economista inglese degli anni Trenta John Maynard Keynes, tornato al centro del dibattito politico-economico nel pieno dell’attuale crisi economica e sociale prodotta dalla finanza internazionale libera da ogni vincolo e regola, è eliminare l’instabilità del mercato e le diseguaglianze economiche e sociali per realizzare “una buona vita e una buona società”. Il suo pensiero, basato sul rifiuto di una crescita economica priva di valori umani, della sostenibilità sociale e ambientale, lo portò a dire: «Noi economisti abbiamo la responsabilità non per la civiltà stessa ma per creare le possibilità che una civiltà possa realizzarsi». Ammonimento «accolto da un nucleo ristretto di eretici della sinistra» e poi «debitamente oscurato, quando non stravolto e opportunamente manipolato, da una sinistra attratta dalle sirene del pensiero unico neoliberista, linfa vitale della finanza internazionale», scrive Carlo Patrignani sull’“Huffington Post”, presentando l’ultimo volume che riassume il pensiero del grande economista inglese, archiviato dall’oligarchia planetaria.
A fare chiarezza sull’opera e la persona di Keynes, «la cui fama e importanza nel XX secolo è stata pari a quella di Carlo Marx nel XIX», è ora Jesper Jesperson, economista dell’università danese di Roskilde, che toglie Keynes «dall’uso contraffatto agito dai tutori del pensiero unico neoliberista». Un libro scorrevole e chiaro, “John Maynard Keynes. Un manifesto per la buona vita e la buona società”, edito da Castelvecchi e curato dall’economista Bruno Amoroso, amico e allievo di Federico Caffè, «uno degli eretici più autorevoli delle sacche di resistenza che negli anni ‘70 con il loro agire, di fatto, si opposero alla manipolazione e occultamento di Keynes nelle università come nei ministeri europei delle finanze e in particolare oggi di Berlino, Londra, Roma, Copenaghen e Bruxelles». Fautore della piena occupazione, «che non coincide con la crescita economica illimitata ma con l’equa ripartizione del lavoro e dei redditi», Keynes è stato ridotto – dice Amoroso – all’assunto che la causa della disoccupazione risiede nella rigidità dei salari monetari.
«Al contrario è l’assenza e imprevedibilità della domanda, sostiene Keynes, a causare l’instabilità del mercato, il che è in diretta opposizione alla tesi degli economisti neoclassici secondo cui l’offerta genera la sua domanda e il sistema di mercato si autoregola». Per Keynes, la disoccupazione non è solo dovuta alla mancanza di posti di lavoro – per cui, seguendo il suo insegnamento, «è possibile invertire la congiuntura negativa con il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’Ue per creare 20 milioni di posti di lavoro che mancano». Ma i veri valori della società umana «non si ottengono con lunghe ore di lavoro e neanche con gli acquisti di prodotti superflui e di facile invecchiamento», scrive Patrignani. E di fronte alle sfide che l’Europa si trova ad affrontare oggi, Jespersen la vede così: «La filosofia sociale di Keynes, ispirata alla costruzione di un sistema economico internazionale che coniuga regolamentazione del mercato dei capitali e libero commercio, può costituire uno straordinario contributo nella direzione di una politica coordinata e solidale che rispetti le diversità e le situazioni dei singoli paesi».
(Il libro:  Jesper Jesperson, “John Maynard Keynes. Un manifesto per la buona vita e la buona società”, Castelvecchi, 156 pagine, euro 17,50).

L’asse portante della teoria macroeconomica dell’economista inglese degli anni Trenta John Maynard Keynes, tornato al centro del dibattito politico-economico nel pieno dell’attuale crisi economica e sociale prodotta dalla finanza internazionale libera da ogni vincolo e regola, è eliminare l’instabilità del mercato e le diseguaglianze economiche e sociali per realizzare “una buona vita e una buona società”. Il suo pensiero, basato sul rifiuto di una crescita economica priva di valori umani, della sostenibilità sociale e ambientale, lo portò a dire: «Noi economisti abbiamo la responsabilità non per la civiltà stessa ma per creare le possibilità che una civiltà possa realizzarsi». Ammonimento «accolto da un nucleo ristretto di eretici della sinistra» e poi «debitamente oscurato, quando non stravolto e opportunamente manipolato, da una sinistra attratta dalle sirene del pensiero unico neoliberista, linfa vitale della finanza internazionale», scrive Carlo Patrignani sull’“Huffington Post”, presentando l’ultimo volume che riassume il pensiero del grande economista inglese, archiviato dall’oligarchia planetaria.

A fare chiarezza sull’opera e la persona di Keynes, «la cui fama e importanza nel XX secolo è stata pari a quella di Carlo Marx nel XIX», è ora Jesper Jesperson, economista dell’università danese di Roskilde, che toglie Keynes «dall’uso contraffatto agito Jesper Jespersondai tutori del pensiero unico neoliberista». Un libro scorrevole e chiaro, “John Maynard Keynes. Un manifesto per la buona vita e la buona società”, edito da Castelvecchi e curato dall’economista Bruno Amoroso, amico e allievo di Federico Caffè, «uno degli eretici più autorevoli delle sacche di resistenza che negli anni ‘70 con il loro agire, di fatto, si opposero alla manipolazione e occultamento di Keynes nelle università come nei ministeri europei delle finanze e in particolare oggi di Berlino, Londra, Roma, Copenaghen e Bruxelles». Fautore della piena occupazione, «che non coincide con la crescita economica illimitata ma con l’equa ripartizione del lavoro e dei redditi», Keynes è stato ridotto – dice Amoroso – all’assunto che la causa della disoccupazione risiede nella rigidità dei salari monetari.

«Al contrario è l’assenza e imprevedibilità della domanda, sostiene Keynes, a causare l’instabilità del mercato, il che è in Keynesdiretta opposizione alla tesi degli economisti neoclassici secondo cui l’offerta genera la sua domanda e il sistema di mercato si autoregola». Per Keynes, la disoccupazione non è solo dovuta alla mancanza di posti di lavoro – per cui, seguendo il suo insegnamento, «è possibile invertire la congiuntura negativa con il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’Ue per creare 20 milioni di posti di lavoro che mancano». Ma i veri valori della società umana «non si ottengono con lunghe ore di lavoro e neanche con gli acquisti di prodotti superflui e di facile invecchiamento», scrive Patrignani. E di fronte alle sfide che l’Europa si trova ad affrontare oggi, Jespersen la vede così: «La filosofia sociale di Keynes, ispirata alla costruzione di un sistema economico internazionale che coniuga regolamentazione del mercato dei capitali e libero commercio, può costituire uno straordinario contributo nella direzione di una politica coordinata e solidale che rispetti le diversità e le situazioni dei singoli paesi».

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