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Maryam Mirzakhani, la pensatrice lenta: un genio assoluto

Scritto il 16/7/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet

Un genio a bassa velocità, una “pensatrice lenta”. Maryam Mirzakhani era una delle scienziate più sbalorditive dei nostri tempi, famosa perché nel 2014 fu la prima donna nella storia a vincere la Fields Medal, l’equivalente del Nobel per la matematica, scrive Viviana Mazza sul “Corriere della Sera”. Quattro anni fa le era stato diagnosticato un cancro al seno. Si è spenta il 14 luglio in California, all’età di 40 anni. «La sua scomparsa – osserva il “Corriere” – unisce nel dolore due nazioni, l’Iran e gli Stati Uniti, spesso divise dalla politica. Mirzakhani apparteneva a entrambe, entrambe l’hanno resa la donna che era». I media di Stato della Repubblica Islamica la piangono ritraendola con un foulard (photoshoppato), mentre le femministe ricordano che non portava l’hijab sui capelli cortissimi ed era sposata con un non musulmano. «Da piccola sognava di fare la scrittrice, ed è stata la fantasia a guidare il suo destino», permettendole di fare cose prima impensabili per una donna. «Non penso che tutti dovrebbero diventare matematici», ha detto, in una recente intervista. «Alle medie, andavo male in matematica. Se non ne sei entusiasta può sembrare una materia fredda. La bellezza della matematica si mostra solo ai più pazienti».
«Si è spenta una luce. Un genio? Sì, ma anche una madre, una figlia e una moglie», è il saluto dell’amico Firouz Naderi, scienziato della Nasa. La vita di Maryam Mirzakhani scorre parallela a quella dell’Iran rivoluzionario: nata a Teheran nel 1977, completa le elementari alla fine della durissima guerra Iran-Iraq. Alle superiori, lei e la sua amica Roya furono le prime ragazze in Iran a partecipare alle Olimpiadi internazionali di matematica grazie all’aiuto della preside: così, nel 1994, la 17enne Maryam vinse la medaglia d’oro, racconta il “Corriere”. Dopo la laurea si trasferì a Harvard, completò il dottorato con una tesi sulla geometria delle superfici iperboliche, poi andò a insegnare a Princeton e quindi a Stanford. I suoi campi di studio includevano la teoria ergodica e la geometria simplettica, settori molto astratti della matematica pura. «Per concentrarsi amava scarabocchiare la stessa figura all’infinito, tanto che la figlia Anahita la credeva una pittrice». Aggiunge Viviana Mazza: «Mirzakhani si definiva una pensatrice lenta. Gravitava intorno ai problemi più profondi». Il marito Jan Vondrak, anche lui matematico, raccontava che una volta, da fidanzati, andarono a correre. «Io ero in forma, lei gracile. Così all’inizio io ero in testa. Ma un’ora dopo mi ero fermato. Lei invece continuava a correre, alla stessa velocità».
Una carriera fulminante. «Galeotto fu il fratello più grande: aveva l’abitudine di raccontarle ciò che imparava a scuola, accendendole la curiosità per le materie scientifiche», scrive Rosita Rijtano su “Repubblica”. Il primo ricordo fatto di cifre? La storia di un bimbo tanto prodigioso quanto turbolento: Carl Friedrich Gauss, poi diventato il “principe dei matematici”. Per punizione, il maestro gli aveva chiesto di risolvere un problema: fare la somma di tutti i numeri da uno a cento. La storia narra che ci sia riuscito in pochi minuti, adottando una soluzione brillante, che ha “affascinato” la piccola Maryam. Ma cruciale, per le scelte del futuro, è stato l’ultimo anno di liceo: «Più tempo trascorrevo sulla matematica e più ne diventavo appassionata», ha raccontato Mirzakhani in un’intervista al “Guardian”. A soli 17 anni ha vinto la medaglia d’oro “olimpica” a Hong Kong, e da lì è stata una continua escalation. Dopo la laurea a Teheran, continua “Repubblica”, il dottorato ad Harvard con una tesi sui cammini chiusi sulle superfici in geometria iperbolica, considerata da molti colleghi “spettacolare”.
Anche Rosita Rijtano sottolinea il carattere della Mirzakhani: «Amava definirsi una “pensatrice lenta”. Forse proprio questa sua qualità, di soffermarsi sulle questioni un po’ più a lungo, le ha permesso di concentrarsi su problemi che riguardano le strutture geometriche sulle superfici e il modo in cui si deformano». Viaggi nel mondo della matematica che descriveva come «lunghe escursioni, senza un sentiero tracciato né un traguardo visibile». La meccanica invisibile della materia, esplorata dalla matematica. Nel 2014, la medaglia Fields per “i suoi contributi alla dinamica e alla geometria delle superfici di Riemann e dei loro spazi di moduli”. Le è stata consegnata nella capitale della Corea del Sud, Seoul, durante il ventisettesimo Congresso internazionale dei matematici che si tiene ogni quattro anni. «Quel giorno Mirzakhani ha rotto un tabù, dato che il premio non era mai finito tra le mani di una donna da quando la medaglia è stata assegnata per la prima volta: nel lontano 1936». Il commento di Frances Kirwan, dell’università di Oxford, membro della giuria: «Spero che questo riconoscimento sia d’ispirazione per sempre più giovani ragazze».
Prima di entrare a Harvard, ha raccontato in un’intervista, aveva studiato soprattutto topologia combinatoria e algebra. «L’analisi complessa mi era sempre piaciuta, ma non ne sapevo molto». Ha dovuto imparare molti argomenti che negli Stati Uniti uno studente universitario conosce già. «Ho cominciato frequentando il seminario informale organizzato da Curt McMullen, e la maggior parte del tempo non capivo una parola di quello che dicevano. Ero affascinata dal modo semplice ed elegante di parlare di McMullen, perciò ho cominciato a fargli tante domande, a ragionare, discutere». Le sue ricerche? «La maggior parte dei problemi su cui lavoro – ha spiegato – è collegata a strutture geometriche su superfici e le loro deformazioni. In particolare mi interessa studiare le superfici iperboliche. Soprattutto trovo affascinante poter guardare allo stesso problema da diversi punti di vista, e affrontarlo usando metodi differenti». L’aspetto più gratificante? «Il momento in cui provi l’eccitazione della scoperta, il piacere di capire qualcosa di nuovo, la sensazione di essere arrivati in cima a una montagna e avere la visuale sgombra. Ma la maggior parte del tempo per me fare matematica è come una lunga escursione senza sentiero tracciato e senza una destinazione visibile». Ancora: «Io sono una che pensa lentamente, e ho bisogno di tempo prima di fare passi avanti». Lentezza e flessibilità: in matematica «ognuno ha il suo stile, e una cosa che funziona per una certa persona magari non funziona così bene per altre».

Un genio a bassa velocità, una “pensatrice lenta”. Maryam Mirzakhani era una delle scienziate più sbalorditive dei nostri tempi, famosa perché nel 2014 fu la prima donna nella storia a vincere la Fields Medal, l’equivalente del Nobel per la matematica, scrive Viviana Mazza sul “Corriere della Sera”. Quattro anni fa le era stato diagnosticato un cancro al seno. Si è spenta il 14 luglio in California, all’età di 40 anni. «La sua scomparsa – osserva il “Corriere” – unisce nel dolore due nazioni, l’Iran e gli Stati Uniti, spesso divise dalla politica. Mirzakhani apparteneva a entrambe, entrambe l’hanno resa la donna che era». I media di Stato della Repubblica Islamica la piangono ritraendola con un foulard (photoshoppato), mentre le femministe ricordano che non portava l’hijab sui capelli cortissimi ed era sposata con un non musulmano. «Da piccola sognava di fare la scrittrice, ed è stata la fantasia a guidare il suo destino», permettendole di fare cose prima impensabili per una donna. «Non penso che tutti dovrebbero diventare matematici», ha detto, in una recente intervista. «Alle medie, andavo male in matematica. Se non ne sei entusiasta può sembrare una materia fredda. La bellezza della matematica si mostra solo ai più pazienti».

«Si è spenta una luce. Un genio? Sì, ma anche una madre, una figlia e una moglie», è il saluto dell’amico Firouz Naderi, scienziato della Nasa. La vita di Maryam Mirzakhani scorre parallela a quella dell’Iran rivoluzionario: nata a Teheran nel 1977, Maryam Mirzakhanicompleta le elementari alla fine della durissima guerra Iran-Iraq. Alle superiori, lei e la sua amica Roya furono le prime ragazze in Iran a partecipare alle Olimpiadi internazionali di matematica grazie all’aiuto della preside: così, nel 1994, la 17enne Maryam vinse la medaglia d’oro, racconta il “Corriere”. Dopo la laurea si trasferì a Harvard, completò il dottorato con una tesi sulla geometria delle superfici iperboliche, poi andò a insegnare a Princeton e quindi a Stanford. I suoi campi di studio includevano la teoria ergodica e la geometria simplettica, settori molto astratti della matematica pura. «Per concentrarsi amava scarabocchiare la stessa figura all’infinito, tanto che la figlia Anahita la credeva una pittrice». Aggiunge Viviana Mazza: «Mirzakhani si definiva una pensatrice lenta. Gravitava intorno ai problemi più profondi». Il marito Jan Vondrak, anche lui matematico, raccontava che una volta, da fidanzati, andarono a correre. «Io ero in forma, lei gracile. Così all’inizio io ero in testa. Ma un’ora dopo mi ero fermato. Lei invece continuava a correre, alla stessa velocità».

Una carriera fulminante. «Galeotto fu il fratello più grande: aveva l’abitudine di raccontarle ciò che imparava a scuola, accendendole la curiosità per le materie scientifiche», scrive Rosita Rijtano su “Repubblica”. Il primo ricordo fatto di cifre? La storia di un bimbo tanto prodigioso quanto turbolento: Carl Friedrich Gauss, poi diventato il “principe dei matematici”. Per punizione, il maestro gli aveva chiesto di risolvere un problema: fare la somma di tutti i numeri da uno a cento. La storia narra che ci sia riuscito in pochi minuti, adottando una soluzione brillante, che ha “affascinato” la piccola Maryam. Ma cruciale, per le scelte del futuro, è stato l’ultimo anno di liceo: «Più tempo trascorrevo sulla matematica e più ne diventavo appassionata», Maryam alla lavagnaha raccontato Mirzakhani in un’intervista al “Guardian”. A soli 17 anni ha vinto la medaglia d’oro “olimpica” a Hong Kong, e da lì è stata una continua escalation. Dopo la laurea a Teheran, continua “Repubblica”, il dottorato ad Harvard con una tesi sui cammini chiusi sulle superfici in geometria iperbolica, considerata da molti colleghi “spettacolare”.

Anche Rosita Rijtano sottolinea il carattere della Mirzakhani: «Amava definirsi una “pensatrice lenta”. Forse proprio questa sua qualità, di soffermarsi sulle questioni un po’ più a lungo, le ha permesso di concentrarsi su problemi che riguardano le strutture geometriche sulle superfici e il modo in cui si deformano». Viaggi nel mondo della matematica che descriveva come «lunghe escursioni, senza un sentiero tracciato né un traguardo visibile». La meccanica invisibile della materia, esplorata dalla matematica. Nel 2014, la medaglia Fields per “i suoi contributi alla dinamica e alla geometria delle superfici di Riemann e dei loro spazi di moduli”. Le è stata consegnata nella capitale della Corea del Sud, Seoul, durante il ventisettesimo Congresso internazionale dei matematici che si tiene ogni quattro anni. «Quel giorno Mirzakhani ha rotto un tabù, dato che il premio non era mai finito tra le mani di una donna da quando la medaglia è stata assegnata per la prima Mirzakhanivolta: nel lontano 1936». Il commento di Frances Kirwan, dell’università di Oxford, membro della giuria: «Spero che questo riconoscimento sia d’ispirazione per sempre più giovani ragazze».

Prima di entrare a Harvard, ha raccontato in un’intervista, aveva studiato soprattutto topologia combinatoria e algebra. «L’analisi complessa mi era sempre piaciuta, ma non ne sapevo molto». Ha dovuto imparare molti argomenti che negli Stati Uniti uno studente universitario conosce già. «Ho cominciato frequentando il seminario informale organizzato da Curt McMullen, e la maggior parte del tempo non capivo una parola di quello che dicevano. Ero affascinata dal modo semplice ed elegante di parlare di McMullen, perciò ho cominciato a fargli tante domande, a ragionare, discutere». Le sue ricerche? «La maggior parte dei problemi su cui lavoro – ha spiegato – è collegata a strutture geometriche su superfici e le loro deformazioni. In particolare mi interessa studiare le superfici iperboliche. Soprattutto trovo affascinante poter guardare allo stesso problema da diversi punti di vista, e affrontarlo usando metodi differenti». L’aspetto più gratificante? «Il momento in cui provi l’eccitazione della scoperta, il piacere di capire qualcosa di nuovo, la sensazione di essere arrivati in cima a una montagna e avere la visuale sgombra. Ma la maggior parte del tempo per me fare matematica è come una lunga escursione senza sentiero tracciato e senza una destinazione visibile». Ancora: «Io sono una che pensa lentamente, e ho bisogno di tempo prima di fare passi avanti». Lentezza e flessibilità: in matematica «ognuno ha il suo stile, e una cosa che funziona per una certa persona magari non funziona così bene per altre».

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10 Commenti

  1. Kryptos
    16 luglio 2017 • 16:18

    Riposa in Pace, giovane donna, mamma, figlia. Riposa in pace, Giovane mente.

    Ti saluto con questi versi:

    Ora, lasciatemi tranquillo.

    Ora, abituate
    vi senza di me.

    Io chiuderò gli occhi

    E voglio solo cinque cose,
    cinque radici preferite.

    Una è l’amore senza fine.

    La seconda è vedere l’autunno.
    Non posso vivere senza che le foglie
    volino e tornino alla terra.

    La terza è il grave inverno,
    la pioggia che ho amato, la carezza
    del fuoco nel freddo silvestre.

    La quarta cosa è l’estate
    rotonda come un’anguria.

    La quinta cosa sono i tuoi occhi.
    Matilde mia, beneamata,
    non voglio dormire senza i tuoi occhi,
    non voglio esistere senza che tu mi guardi:
    io muto la primavera
    perché tu continui a guardarmi.
    Amici, questo è ciò che voglio.

    E’ quasi nulla e quasi tutto.

    Ora se volete andatevene.

    Ho vissuto tanto che un giorno
    dovrete per forza dimenticarmi,
    cancellandomi dalla lavagna:
    il mio cuore è stato interminabile.

    Ma perché chiedo silenzio
    non crediate che io muoia:
    mi accade tutto il contrario:
    accade che sto per vivere.

    Accade che sono e che continuo.

    Non sarà dunque che dentro
    di me cresceran cereali,
    prima i garni che rompono
    la terra per vedere la luce,
    ma la madre terra è oscura:
    e dentro di me sono oscuro:
    sono come un pozzo nelle cui acque
    la notte lascia le sue stelle
    e sola prosegue per i campi.

    E’ che son vissuto tanto
    e che altrettanto voglio vivere.
    Mai mi son sentito sé sonoro,
    mai ho avuto tanti baci.

    Ora, come sempre, è presto.

    La luce vola con le sue api.

    Lasciatemi solo con il giorno.

    Chiedo il permesso di nascere.

    Pablo Neruda

  2. Giorgio
    16 luglio 2017 • 18:30

    Quest’articolo fa a pugni con il precedente, concludo che uno dei due è in errore.
    Bruno afferma che è il pensiero a formare la materia e non viceversa e prima di lui, millenni prima, è stato anticipato da altri.
    Il cancro è una neo-formazione oppure una crescita incontrollata di cellule, a detta del nolano quindi è il cervello che non funziona, allora che matematica è la Nostra? Mah!
    Forse nei suoi matematici voli pindarici si è smarrita ed assalita dalle vertigini non ha più saputo orientarsi?

    Massimo Troisi spesso ripeteva; “Voi siete molti a scrivere, io sono solo a leggere.”
    Kryptos, Google sostiene che fino al 2010 sono stati pubblicati circa 600 milioni di titoli, lei quanti ne ha letti?
    Specialmente di medicina e biologia, dato che ha sorvolato di trattare il cancro in un precedente commento?
    Solo R. Steiner ha tenuto 6.000 conferenze raccolte in 300 tomi, ne ha forse letto qualcuno? E se sì, ritiene di aver capito l’autore?

  3. Kryptos
    16 luglio 2017 • 21:49

    Le devo chiedere scusa Giorgio, per non aver notato questo suo commento. Mia mera disattenzione. Limitandomi a notare e conseguentemente rispondere, all’altro su Giordano Bruno.

    Cercherò di rimediare sul momento.

    premesso che il donare il personale riposo all’anima di questa giovane donna. Non era e non voleva essere in alcun modo in palese contraddizione con quanto da me esposto nell’altro articolo. Ma un umano, commiato, ad una donna, giovane donna, che a prescindere da qualsiasi teorizzazione filosofica o scientifica.

    Provando solidarietà, più negli affetti cari, assorti nel loro dolore ( riferendomi al marito e soprattutto ai figli ) e alla donna stessa per la sofferenza data dalla malattia, sia per il dolore affettivo, nel sapere, non di morire, del quale potrebbe essersene dispiaciuta in una misura più o meno maggiore di tanti altri. Ma nel dolore di sapere di dover lasciare la crescita affettiva dei suoi piccoli.

    Non credo nella morte! e a prescindere da ciò che ella esprimeva concettualmente nella sua professione e posizione sociale ove era collocata, non so, ma sono convinto che, anche lei, non credesse alla morte, bensì vivesse questo stato di fine vita corporeo o se vuole materiale o bidimensionale. Ne posso essere assolutamente certo? no! ma questo mi viene da supporre considerati i suoi studi.

    in relazione alla sua domanda, corroborata dai dati forniti da google, le rispondo che la mia conoscenza universitaria mi ha portato a doverne, oltre che leggerne, comprendere molti. Taluni anche da me considerati superflui, ma dovuti.

    Detto ciò, aggiungo, solo per piacere di conversazione che ho, nello svolgere la mia professione, ma anche per piacere personale, dovuto leggere e comprendere tanti altri testi, seppur di varia natura oltre il mio titolo di studio.

    A questo le porgo un ulteriore contributo di mera conversazione, che per puro piacere, senza per questo averlo dovuto e doverlo trovare per lavoro, a livello conoscitivo e cognitivo del tutto personale, ho letto e continuo a leggere quanto a me, sarà utile e possibile.

    Quanti ne ho letti? non lo so! probabilmente meno rispetto ad altri, di più rispetto a tanti, di sicuro 2 cose:

    1) quanti ne ho reputati giusti leggerne;

    2) sicuramente meno di quanti ne avrei e vorrei leggere.

    Le pongo io una domanda, quanti pensa che di tutti quelli pubblicati da google, ritiene ne siano stati letti e soprattutto compresi, dagli altri?

    Personalmente ai miei figli ho insegnato una cosa, e se solo avesse modo di poterglielo chiedere avrebbe questa risposta.

    Un libro per poterlo definire “letto” deve essere compreso.

    Altrimenti, non potete dire di averlo letto, ma sfogliato e guardato.

    Un libro si comprende. Non limitandosi al contenuto stampato, ma anche in ciò che è scritto senza esser visto dall’occhio, tra le righe.

    Un libro è un dono di altri che a prescindere se scritto bene o male, vuole poter dare il suo contributo alla riflessione.

    Ed in ultimo un libro, dopo essere stato compreso, non va accettato ma solo preso nella valenza che ha. Quella di essere la considerazione di altri ( esclusi taluni ovvio ) che si può più o meno condividere.

    Un libro non deve fare fare le idee di un uomo, vorrebbe dire che egli non ne possiede di sue e deve colmare il suo vuoto. Ma un “uomo” delle sue “idee” oltre ai fatti può farne un libro. Vuol dire che ha qualcosa da dire..qualcosa da dare a se stesso e agli altri.

    Ora con la consapevolezza di non averla soddisfatta a pieno, ma non le nascondo che non comprendo, pur rispettandola, la durezza delle sue osservazioni a me rivolte, come è sempre stato e per quanto mi riguarda, la saluto con simpatia augurandole un felice proseguo delle sue attività lavorative e non.

    Nel concludere, con l’occasione, le rispondo un brevissimo pensiero su R. Steiner. Si! so chi è; so cosa ha scritto; ho letto talune sue e non solo, cose. Fino a quando, ho ritenuto che non fosse corrispondente alla mia personale visone , tanto meno quelle esoteriche.

    Kryptos

  4. Emmy
    17 luglio 2017 • 00:56

    Onore al merito per una persona che, con passione e forza di volontà, si è elevata davvero al di sopra delle masse. Dio, se esiste, le avrà riservato un posto d’onore.

    Saluti.

  5. Giorgio
    17 luglio 2017 • 06:46

    La natura ci mette a disposizione, attraverso i nostri genitori, un corpo fisico affinché il nostro spirito che è eterno e non di questa dimensione possa sperimentare la Terra, Kryptos.
    Come fa a comunicare con noi se sbagliamo la conduzione della vita qui nella materia?
    Cosa è basilare conoscere nell’esperienza che stiamo vivendo? Forse le opere di Umberto Eco? O di chi se non lui?
    Ripeto, la Nostra essendosi disincarnata a 40 anni cioè molto prima dei 120 previsti da madre natura, si è auto posizionata sul rogo, a differenza di Giordano che lo hanno messo sul rogo.
    Senza alcuna acrimonia o livore noi tutti dovremmo confrontarci con i nostri simili pacificamente senza rivalità e senza spirito di competizione o sopraffazione. Semplicemente uno scambio di esperienze accumulate nel vissuto più o meno recente.
    Per rispondere alla sua domanda e con l’auspicio di essere contraddetto, sempre in base alla mia esperienza, le persone acquistano libri come oggetti d’arredamento per riempire gli scaffali delle loro biblioteche, spesso senza averli nemmeno sfogliati.
    Il già prof. Tullio De Mauro, confortato anche dall’Istat, sosteneva che la popolazione italiana per il 98% non è capace d’intelligere, non è in grado di leggere una carta geografica e nella stessa non riesce ad individuare il proprio paese, quelli che non ci vivono, nel capoluogo della propria regione, non ci si sono mai recati, non hanno mai visto Roma o Venezia. E non mi riferisco alle persone di bassa scolarizzazione che dopo il ‘68 sono stati promossi politicamente, ma soprattutto ai laureati.
    Le faccio un esempio su tutti: se lei pone allo storico dell’arte prof. Vittorio Sgarbi un problemino aritmetico da scuola primaria rimarrà insoddisfatto perché il sullodato non è in grado di risolverlo e credo che questi di libri ne abbia letto, non sfogliato, più di qualcuno.
    Quindi di che erudizione stiamo parlando?
    La stessa rete testimonia la fatuità della scolarizzazione, dal momento che uno su diecimila lettori di un blog commenta, chissà cosa sfoglieranno o leggeranno e sapranno introiettare gli altri 9999.
    Per concludere, che sia un caso che la nostra giovane matematica, sposa e madre, sia morta di un cancro al seno?
    Io sostengo di no trovandomi in ciò in compagnia del già senatore Giulio Andreotti che andava ripetendo che il caso non esiste.
    Sarà un piacere rileggerla.

  6. kryptos
    17 luglio 2017 • 14:38

    Buongiorno Giorgio,

    proverò, con il racchiudere in unica risposta per entrambi i commenti, il mio pensiero.

    Nell’intraprendere questo colloquio, a volte convergente, talune divergente ed altre ancora, pura semantica neutra. Fatta di riflessioni reciprocamente personali, per le quali non vi era e non vi è ancora motivo di tornarci sopra, considerato che, le “neutre”, non rivestono ruoli particolari e preminenti, anche se attinenti, nell’intera struttura ed articolazione, del nostro confronto.

    Confronto del quale termine inappropriatamente ne faccio uso, considerato che non sempre la nostra conversazione ha posseduto o mantenuto, tale presupposto, passando da colloquio e relativa segmentazione, fino a giungere, non ad un confronto, bensì, ad una dialettica fine a se stessa etc. Fortunatamente, mai ad uno scontro, eccezion fatta per le divergenze d’opinione. Ma che sono del tutto naturali e talune volte, potrei definirle, adiuvanti ad una costruttiva riflessione. Mantenendo sempre il reciproco, quanto educato, rispetto, dell’altro.

    Prendendo spunto dal suo commento conclusivo nel pezzo di G.Bruno, dove mi chiede se la sto invitando a cambiare argomento. Le faccio notare, che nella realtà, lei, in più occasioni, seppur piacevoli e stimolanti, mi ha portato ad esprimermi su svariate nature.

    E come lei ebbe a farmi presente, nel nostro primo incontro epistolare, che si adattava alla natura del suo interlocutore, cosi da poterne creare una condivisa, sulla quale potersi confrontare. Io di contro, mi adatto all’argomentazione che di volta in volta, il mio interlocutore, avanza.

    Ciò non porta sempre ad avere un solo filo conduttore, spesso questi è soggetto a mutamenti. Senza per questo, contravvenire al proprio fondamento. Almeno nel mio caso.

    Ho sempre cercato di esprimerle la mia posizione sia cognitiva che di personale “ sapere”, pur riconoscendone la limitatezza. Convinto, se pur non condiviso, di averle risposto.

    Cosa che, spesso, non ho colto nei suoi commenti. Che poi, gli stessi li definissi, stimolanti ciò non esclude, che spesso non ho avuto risposte. Ma solo ulteriori considerazioni personali o rimandi ad altri.

    Le faccio presente che è con lei che si è instaurata una conversazione ed è lei che dovrebbe rispondermi, senza rimandi a citazioni, in suo sostegno. Come si dice : domandare e lecito, rispondere è educazione. ( spero non voglia leggerci nessun risentimento in questa mia affermazione). Mi perdoni la ripetitività, come io ritengo di aver sempre risposto a tutte le sue domande.

    Ho notato, non per questo dispiacendomene, che lei da un “assunto” seppur opinabile, ha molteplici volte, dirottato su altro, apparentemente conseguenziale, ma solo nell’apparenza. Portando le nostre piacevoli riflessioni, su ed in altri campi della semantica e non solo.

    Non è una critica la mia. Ben comprendevo il senso delle sue affermazioni, considerazioni, attribuzioni. Infatti la seguivo volentieri.

    La mia presente è solo un risponderle a quanto da lei esposto nel commento a riguardo del mio scritto per la giovane matematica, che si è, come da lei definita, “disincarnata”.

    Voglio sottolinearle la mia non volontà di contro critica. tutt’altro!

    Cerco solo comprendere meglio, non la sua visone, della quale, più o meno, concretamente, potrei e dovrei essermene fatto un idea. Ma l’essere nella sostanza, la natura su la quale è ipotizzabile che si sia incardinata la nostra conversazione.

    Non è mia intenzione negarle che talune volte, ciò mi viene meno. E se lei in un altro scambio, definì un suo momento, uno stato afasico, io le dico, che a volte, sono attonito. Ciò non di meno, cerco di darmi una comprensione, che a volte non so se, la riuscita sia completa e le rispondo. Seguendo quello che ritengo di aver colto come senso della sua domanda o insieme di esse.

    Ci sarò sempre riuscito? Solo a volte o per nulla? Questo non saprei, ma di certo ci ho provato, senza mai ritrarmi e\o rimandando a citazioni e considerazioni altrui. Siano questi contemporanei o postumi, quale unica attribuzione delle mie riflessioni.

    Lei ben sa che sono scevro da molteplici cose, tra esse le assicuro che non vi è neppure il livore. Né in me, né in ciò che scrivo e le scrivo.

    Tornando invece alla natura del contendere, se cosi bonariamente possiamo definirlo e lei me lo concede.

    Mi convinco sempre più che spesso per non dire “spessissimo” si attribuisce al passato, ancor più è distante da noi, quell’aurea di tempi migliori che furono. Questo sia nel vivere quotidiano, che nell’attribuzione dell’intelletto e conoscenze.

    Mai e sottolineo mai, mi capitato di leggere in una parte di letteratura, definire il passato “remoto” come quel tempo che poco ha oggi di similare e del quale si fa demagogia e dietrologia a puri fini speculativi generali.

    Definisco il fare ciò come quando qualcuno immedesima se stesso nel passato, mai che nell’immaginarsi, egli si veda o possa pensare di essere o esser stato, un povero, mendicante, ciabattino, scarpellino, schiavo o prostituta. Ma sempre molto molto di più.

    Ciò che ci giunge dai libri che citano la storia e personaggi più o meno meritevoli di essere ricordati, sono solo cose che pur importanti ed apprezzabili di cui tenerne in considerazione, se non altro per non ricommettere gli stessi errori, lasciano illudere che in quel tempo, l’uomo possedesse quello che ormai più non potrà.

    Mi diletto a far osservare (esempio che vale per N nello spazio tempo ) che nella tanto ama rivoluzione francese che molto di buono diete, basti pensare alla scuola per tutti, la sanità, l’uguaglianza nel diritto e nella legge etc . Per la prostituta o il mendicante etc etc, nulla cambiò. Quello era quello rimasero. E se cambiarono non fu di certo per l’instaurazione del bonapartismo ma perché fortuna o volere, essi decisero di non essere più che erano.

    Sempre è stato e sempre sarà, questo tempo non è immune da tutto ciò.

    Nessuno diete loro conoscenze ancestrali e se le ebbero non furono loro ad averle dai veri detentori, ma e dico sé ..caso mai gli furono tramandate, come oggi chi le possiede, potrebbe se solo volesse tramandarle agli altri, senza più settarismi che ne determinano ed elevano il loro predominio su altri.

    Nel riallacciarmi a quanto appena sopra esposto, aggiungo, non solo “sè” queste furono tramandate, ma per tante altre, essi cercarono, nel loro intelletto, nella loro coscienza e spiritualità, formandone un sapere.
    A volte condivisibile altre meno ma pur sempre, “un” ed “il”, loro sapere. Interscambiabile, confrontabile, assoggettabile, soprattutto, tramandabile ed accoglibile nello spazio e nel tempo.

    Vede Giorgio, potrei ed a volte ho fatto quello che lei dice, l’ho fatto con altri e anche lei. Ho cercato di comprendere, di vedere il vostro punto di vista, con più o meno elementi per poterlo fare, determinati dalla conoscenza più o meno approfondita delle persone. ( Anche se il vecchio buon detto che se vuoi conoscere una persona, devi mangiare insieme a lui 7 chili di sale e forse..lo avrai in parte conosciuto).

    Ma il punto non credo sia comprendere gli altri, ma quanto di te gli altri riescano o possano comprendere. E quanto noi siamo in grado di farci comprendere.

    Lei nell’ultimo post, a parte “ De Mauro “ mi parla di Steiner..oppure il nolano, Eco, ed ora non ricordo altri da lei citati anche nei precedenti commenti, ma potremmo farle una lista davanti la quale la divina commedia uff..

    Personalmente non vedo la questione dal suo punto di vista. Bensì da un altro molto più semplice e terra terra.

    Tutti coloro che vengono menzionati, sono morti! Dato di fatto non controvertibile. Eccezione per il modo di esprimere tale stato, dall’essere a non essere. Ad essi si attribuisce qualcosa che tranne per qualche ciarlatano, loro stessi pur elevandosi intellettivamente e spiritualmente, con approssimazione di superbia, non si sono mai attribuiti. Il sapere con certezza se ciò che ipotizzassero poi una volta tornati al non essere, cosa effettivamente vi fosse.

    Sono morti e non sono mai tornati a dirci se le loro teorizzazioni avessero riscontrato certezze.

    Quindi sono 2 le cose. Ho sono degli egoisti che hanno pensato solo a se stessi nel non tornare a dirci cosa e come sia; oppure, non solo non lo sapevano nonostante la riflessologia in merito, ma che poi, anche loro hanno dovuto rivedere le loro convinzioni, se mai si fossero presi veramente sul serio, nel loro filosofare, teorizzare, scientificamente provare che il “ dopo essere” rimanesse tale.

    La verità e che pur io non credendo alla fine nel post mortem, non so se è vero. Ma la certezza è che nessuno sa..a parte il Cristo! Che è l’unico, inventato o meno, che mi risulti, aver detto, non solo che non vi è fine, ma che egli stesso dalla morte è risorto a nuova vita.

    Quindi se devo credere forzosamente a qualche portatore di verità non comprovabile, allora preferisco credere in Cristo! Che dice io sono la la via, la verità e la vita..

    sé.. solo, lo volessimo, cercare negli altri, la valenza delle nostre idee, ipotesi, convinzioni, rischieremmo di trovare solo dubbi ai quali i più onesti non sono in grado di dare certezze; i disonesti o gli stolti.. affermare assolutezze, per non far crollare il loro castello basato sul nulla..nella migliore delle ipotesi..appunto..ipotesi.

    Einstein affermò che di 2 cose era assolutamente certo:

    la prima era l’universo si espandeva;

    la seconda la stupidità umana.

    Ecco, in considerazione che le teorie sull’espansione dell’universo, credibili o meno, stanno.. diciamo così, quantomeno , vivendo un momento di crisi, io dico che unica certezza è la stupidità umana, ivi compresa la mia.

    Con cordialità la saluto e le rinnovo la mia personale simpatia

    Kryptos

  7. kryptos
    17 luglio 2017 • 15:44

    come al solito mi perdoni gli errori di battitura.. e punteggiatura..ma preso dal risponderle. “ama” = amata “diete..”diede” etc..

    certo che comprenderà sia gli errori che il senso del testo..

    con stima e simpatia

    Kryptos

  8. kryptos
    17 luglio 2017 • 16:10

    Sera Giorgio le riposto il commento, rivisto di parte degli errori. La invito a non tener conto di quello sopra e leggere se vuole direttamente questo. Grazie!

    Buongiorno Giorgio,

    proverò, con il racchiudere in unica risposta per entrambi i commenti, il mio pensiero.

    Nell’intraprendere questo colloquio, a volte convergente, talune divergente ed altre ancora, pura semantica neutra. Fatta di riflessioni reciprocamente personali, per le quali non vi era e non vi è ancora motivo di tornarci sopra, considerato che, le “neutre”, non rivestono ruoli particolari e preminenti, anche se attinenti, nell’intera struttura ed articolazione, del nostro confronto.

    Confronto del quale termine inappropriatamente ne faccio uso, considerato che non sempre la nostra conversazione ha posseduto o mantenuto, tale presupposto, passando da colloquio e relativa segmentazione, fino a giungere, non ad un confronto, bensì, ad una dialettica fine a se stessa etc. Fortunatamente, mai ad uno scontro, eccezion fatta per le divergenze d’opinione. Ma che sono del tutto naturali e talune volte, potrei definirle, adiuvanti ad una costruttiva riflessione. Mantenendo sempre il reciproco, quanto educato, rispetto, dell’altro.

    Prendendo spunto dal suo commento conclusivo nel pezzo di G.Bruno, dove mi chiede se la sto invitando a cambiare argomento. Le faccio notare, che nella realtà, lei, in più occasioni, seppur piacevoli e stimolanti, mi ha portato ad esprimermi su svariate nature.

    E come lei ebbe a farmi presente, nel nostro primo incontro epistolare, che si adattava alla natura del suo interlocutore, cosi da poterne creare una condivisa, sulla quale potersi confrontare. Io di contro, mi adatto all’argomentazione che di volta in volta, il mio interlocutore, avanza.

    Ciò non porta sempre ad avere un solo filo conduttore, spesso questi è soggetto a mutamenti. Senza per questo, contravvenire al proprio fondamento. Almeno nel mio caso.

    Ho sempre cercato di esprimerle la mia posizione sia cognitiva che di personale “ sapere”, pur riconoscendone la limitatezza. Convinto, se pur non condiviso, di averle risposto.

    Cosa che, spesso, non ho colto nei suoi commenti. Che poi, gli stessi li definissi, stimolanti ciò non esclude, che spesso non ho avuto risposte. Ma solo ulteriori considerazioni personali o rimandi ad altri.

    Le faccio presente che è con lei che si è instaurata una conversazione ed è lei che dovrebbe rispondermi, senza rimandi a citazioni, in suo sostegno. Come si dice : domandare e lecito, rispondere è educazione. ( spero non voglia leggerci nessun risentimento in questa mia affermazione). Mi perdoni la ripetitività, come io ritengo di aver sempre risposto a tutte le sue domande.

    Ho notato, non per questo dispiacendomene, che lei da un “assunto” seppur opinabile, ha molteplici volte, dirottato su altro, apparentemente conseguenziale, ma solo nell’apparenza. Portando le nostre piacevoli riflessioni, su ed in altri campi della semantica e non solo.

    Non è una critica la mia. Ben comprendevo il senso delle sue affermazioni, considerazioni, attribuzioni. Infatti la seguivo volentieri.

    La mia presente è solo un risponderle a quanto da lei esposto nel commento a riguardo del mio scritto per la giovane matematica, che si è, come da lei definita, “disincarnata”.

    Voglio sottolinearle la mia non volontà di contro critica. tutt’altro!

    Cerco solo comprendere meglio, non la sua visone, della quale, più o meno, concretamente, potrei e dovrei essermene fatto un idea. Ma l’essere nella sostanza, la natura su la quale è ipotizzabile che si sia incardinata la nostra conversazione.

    Non è mia intenzione negarle che talune volte, ciò mi viene meno. E se lei in un altro scambio, definì un suo momento, uno stato afasico, io le dico, che a volte, sono attonito. Ciò non di meno, cerco di darmi una comprensione, che a volte non so se, la riuscita sia completa e le rispondo. Seguendo quello che ritengo di aver colto come senso della sua domanda o insieme di esse.

    Ci sarò sempre riuscito? Solo a volte o per nulla? Questo non saprei, ma di certo ci ho provato, senza mai ritrarmi e\o rimandando a citazioni e considerazioni altrui. Siano questi contemporanei o postumi, quale unica attribuzione delle mie riflessioni.

    Lei ben sa che sono scevro da molteplici cose, tra esse le assicuro che non vi è neppure il livore. Né in me, né in ciò che scrivo e le scrivo.

    Tornando invece alla natura del contendere, se cosi bonariamente possiamo definirlo e lei me lo concede.

    Mi convinco sempre più spesso per non dire “spessissimo” si attribuisce al passato, ancor più è distante da noi, quell’aurea di tempi migliori che furono. Questo sia nel vivere quotidiano, che nell’attribuzione dell’intelletto e conoscenze.

    Mai e sottolineo mai, mi capitato di leggere in una parte di letteratura, definire il passato “remoto” come quel tempo che poco ha oggi di similare e del quale si fa demagogia e dietrologia a puri fini speculativi generali.

    Definisco il fare ciò come quando qualcuno immedesima se stesso nel passato, mai che nell’immaginarsi, egli si veda o possa pensare di essere o esser stato, un povero, mendicante, ciabattino, scalpellino, schiavo o prostituta. Ma sempre molto molto di più.

    Ciò che ci giunge dai libri che citano la storia e personaggi più o meno meritevoli di essere ricordati, sono solo cose che pur importanti ed apprezzabili di cui tenerne in considerazione, se non altro per non ricommettere gli stessi errori, lasciano illudere che in quel tempo, l’uomo possedesse quello che ormai più non potrà.

    Mi diletto a far osservare (esempio che vale per N nello spazio tempo ) che nella tanto amata rivoluzione francese che molto di buono diede, basti pensare alla scuola per tutti; la sanità; l’uguaglianza nel diritto e nella legge etc . Per la prostituta o il mendicante etc etc, nulla cambiò. Quello era quello rimasero. E se cambiarono non fu di certo per l’instaurazione del bonapartismo ma perché fortuna o volere, essi decisero di non essere più che che erano.

    Sempre è stato e sempre sarà e questo tempo, non è immune, da tutto ciò.

    Nessuno diede loro conoscenze ancestrali e se le ebbero non furono loro ad averle dai veri detentori, se mai ve ne fossero. Ma e dico sé ..caso mai, gli vennero tramandate, oggi chi le possiede, potrebbe se solo volesse tramandarle agli altri, senza più settarismi che ne determinano ed elevino il loro predominio su altri.

    Nel riallacciarmi a quanto appena sopra esposto, oltre al “sè” queste furono tramandate, aggiungo che, per tante altre, essi cercarono, nel loro intelletto, nella loro coscienza e spiritualità, formandone un sapere.
    A volte condivisibile altre meno ma pur sempre, “un” ed “il”, loro sapere. Interscambiabile, confrontabile, assoggettabile, soprattutto, oltre al tramandabile, accoglibile nello spazio e nel tempo.

    Vede Giorgio, potrei ed a volte ho fatto quello che lei dice. L’ho fatto con altri e anche lei. Ho cercato di comprendere, di vedere il vostro punto di vista, con più o meno elementi per poterlo fare, determinati dalla conoscenza più o meno approfondita delle persone. ( Anche se il vecchio buon detto che se vuoi conoscere una persona, devi mangiare insieme a lui 7 chili di sale e forse..lo avrai in parte conosciuto).

    Ma il punto non credo sia comprendere gli altri, ma quanto di te gli altri riescano o possano comprendere. E quanto noi siamo in grado di farci comprendere.

    Lei nell’ultimo post, a parte “ De Mauro “ mi parla di Steiner..oppure il nolano, Eco, ed ora non ricordo altri da lei citati anche nei precedenti commenti, ma potremmo fare una lista davanti la quale la divina commedia uff..

    Personalmente non vedo la questione dal suo punto di vista. Bensì da un altro molto più semplice e terra terra.

    Tutti coloro che vengono menzionati, sono morti! Dato di fatto non controvertibile. Eccezione per il modo di esprimere tale stato, dall’essere a non essere. Ad essi si attribuisce qualcosa che tranne per qualche ciarlatano, loro stessi pur elevandosi intellettivamente e spiritualmente, con approssimazione di superbia, non si sono mai attribuiti. Il sapere con certezza se ciò che ipotizzassero poi una volta tornati al non essere, cosa effettivamente vi fosse.

    Sono morti e non sono mai tornati a dirci se le loro teorizzazioni avessero riscontrato certezze o discrasie.

    Quindi sono 2 le cose. O sono degli egoisti che hanno pensato solo a se stessi nel non tornare a dirci cosa e come sia; oppure, non solo non lo sapevano nonostante la riflessologia in merito, ma poi, anche loro hanno dovuto rivedere le loro convinzioni, se mai si fossero presi veramente sul serio, nel loro filosofare, teorizzare, scientificamente provare che il “ dopo essere” rimanesse tale.

    La verità e che pur io non credendo alla fine nel post mortem, non so se è vero. Ma la certezza è che nessuno sa..a parte il Cristo! Che è l’unico, inventato o meno, che mi risulti, aver detto, non solo che non vi è fine, ma che egli stesso dalla morte è risorto a nuova vita.

    Quindi se devo credere forzosamente a qualche portatore di verità non comprovabile, allora preferisco credere in Cristo! Che dice io sono la la via, la verità e la vita..

    sé.. solo, lo volessimo, cercare negli altri, la valenza delle nostre idee, ipotesi, convinzioni, rischieremmo di trovare solo dubbi ai quali i più onesti non sono in grado di dare certezze; i disonesti o gli stolti.. affermare assolutezze, per non far crollare il loro castello basato sul nulla..nella migliore delle ipotesi..appunto..ipotesi.

    Einstein affermò che di 2 cose era assolutamente certo:

    la prima era l’universo si espandeva;

    la seconda la stupidità umana.

    Ecco, in considerazione che le teorie sull’espansione dell’universo, credibili o meno, stanno.. diciamo così, quantomeno , vivendo un momento di crisi, io dico che unica certezza è la stupidità umana, ivi compresa la mia.

    Con cordialità la saluto e le rinnovo la mia personale simpatia

    Kryptos

  9. Giorgio
    17 luglio 2017 • 16:48

    Se non le ho risposto, Kryptos, chiedo venia.
    Non vorrei annoiarla ma può gentilmente ripropormi i quesiti che avrei trascurato di soddisfare?
    Ricevo le sue riflessioni e le propongo un mio squisitamente personale aggiustamento: più che aver consumato 7 chili di sale assieme per vagamente credere di conoscere una persona io sostengo di volermi sedere allo stesso desco per consumare un piatto di minestra di fagioli con tagliatelle stese rigorosamente a mano.
    Ognuno di noi è un mondo a sé stante.

  10. kryptos
    17 luglio 2017 • 18:31

    Buonasera Giorgio,

    lei sa, altrettanto quanto me che non ve ne è necessità di doverle accettare venia, perchè di nulla deve scusarsi.

    Come ritengo, seppur non conoscendola, dalla nostra conversazione non può non cogliersi la sua raffinatezza intellettiva e culturale. Lo dico senza ironia.

    Quindi sa perfettamente che le risposte inattese, dopo tutto da me non lo sono affatto. Le evidenziavo solo il fatto che personalmente, l’avevo con piacere di conversazione e di confronto, seguita sul suo terreno, ogni qualvolta lei avesse deciso su quale colloquiare.

    Come ho già avuto modo di scriverle, non vi è in me, come natura personale, sentimenti di livore e inutile critiche. Salvo queste ultime, non siano di una più ampia visione a fine comune di reciproca costruttività.

    in ultimo condivido il “mondo a sè stante”. Ed almeno in questo caso, preferisco di gran lunga il suo, senza nulla eccepire.

    Come sempre la saluto augurandole di cuore una felice serata

    Kryptos

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