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Abolire le lezioni di storia: i docenti non insegnano niente

Scritto il 01/11/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

Un po’ di giorni fa, le associazioni dei docenti di storia e l’Istituto Storico per la Storia della Resistenza hanno lanciato un grido di dolore contro la proposta di abolire la traccia di storia fra quelle degli esami di Stato, additando l’incultura di chi ha fatto l’infausta proposta ed hanno colto l’occasione per la solita geremiade sulle cattedre perse, della marginalizzazione delle ore di insegnamento della storia ridotte ad una sola negli istituti tecnici, eccetera. La commissione ministeriale che ha approvato questa riforma degli esami di Stato è certamente composta da allevatori di bestiame capitati non si sa come in quella posizione, non discuto. Ma bisogna riconoscere che qualche ragione ce l’hanno: è un fatto che nell’ultimo decennio (più o meno) la traccia è stata scelta solo dall’1% dei candidati. E la cosa, cari colleghi, non vi dà nessun sospetto? Se il 99% degli studenti scansa la traccia di storia, non dipenderà dal fatto che la storia gli è stata insegnata con i piedi? Non cominciamo con le solite scuse sulla vulgata corrente che marginalizza le materie umanistiche e disincentiva i giovani a studiare la storia, su quella trappola infernale che è Internet, eccetera eccetera; il punto è che i nostri docenti non riescono ad interessare i ragazzi alla materia in questione.
E questo si inserisce nel problema più generale dei troppi insegnanti che, magari, conoscono la materia ma non la sanno insegnare, e questo vale per tutte le discipline. In estate lessi di una classe di un istituto livornese dove erano stati bocciati o rimandati 40 studenti su 41, e un imbecille di docente confessava come giustificazione: «Non riusciamo a farli studiare». Come dire che “non sappiamo fare il nostro mestiere”, visto che il compito del docente è proprio quello di motivare i ragazzi a studiare. Morale: licenziamo in blocco i docenti di quella classe e faremo una cosa santa. Ma, si dice, della storia ha bisogno non solo la cultura ma anche la democrazia, perché, si dice, la storia ha un alto valore formativo. Ecco: il punto è proprio questo: la storia, così come viene insegnata, ha ancora questo valore formativo? Direi proprio di no. Per il modo in cui è ora mal insegnata non ha alcun valore culturale e, meno che mai, professionale. La storia non serve a “far bella figura in società” o ad assecondare una qualche voglia individuale di intrattenimento. La storia ha una funzione precisa nella spiegazione e critica del presente e, solo a questa condizione, è elemento utile al dibattito politico e culturale.
Frugare a caso nel passato non serve a niente, quello che serve è risalire lungo la catena dei nessi causa effetto-che spieghino l’attuale stato di cose e servano da lente di ingrandimento per individuare cosa va conservato e cosa mutato nell’attuale ordinamento. Ora, c’è qualcuno che ha il coraggio di sostenere che l’attuale insegnamento serva a questo? Quanti docenti sarebbero in grado di spiegare il passaggio dalla formula merce-denaro-merce a quella denaro1-merce-denaro2 e spiegarne la portata storica? Quale insegnante saprebbe spiegare le conseguenze della decisione di Nixon sulla non convertibilità del dollaro nel 1971? Quanti docenti hanno una pur vaga idea del pensiero politico di Gandhi, Sukarno, Kemal Ataturk o sanno chi sono stati Nasser, Al Qutb o Franz Fanon? E chi saprebbe presentare adeguatamente il processo di codificazione dello Stato moderno europeo o il passaggio dalla decretazione alla legge? Ne dubito fortemente, perché i nostri docenti in massima parte sono filosofi o letterati che non capiscono nulla di diritto o economia e poco di sociologia o politologia.
D’altro canto, i libri di testo che hanno a disposizione non parlano di certe cose e ripropongono la solita sbobba identica a se stessa da almeno 60 anni. Sì, ci abbiamo appiccicato a forza qualche capitolo sulla storia delle donne, dei giovani o dell’ambiente (che nessun docente trova il tempo di spiegare e che sono posti senza alcun legame con tutto il resto) ma la struttura resta quella di sempre, nella quale è possibile distinguere con chiarezza i suoi vari strati alluvionali: alla base il catechismo della “religione della Patria” con i suoi martiri (Menotti, Speri, Bandiera) e il suo glorioso cammino verso l’unità; poi il capitolo sulla Prima Guerra Mondiale per lo più di derivazione fascista; quindi la grande cupola dell’insegnamento crociano con il suo culto per l’analogia e il suo insopportabile moralismo, per cui il fine della storia è il giudizio morale (insomma, il voto in condotta a chi ci ha preceduto) e la sua totale insensibilità ai dati istituzionali ed economici; infine un po’ di catechismo antifascista.
Beninteso: sono antifascista da sempre, non ritengo affatto che l’antifascismo sia un valore superato, ma non sopporto alcun tipo di catechismo. Si può capire che nel primo trentennio della Repubblica fosse necessario radicare la condanna del fascismo, ma vogliamo capire che la storia del fascismo va studiata in riferimento al tipo di modernità che si è costruita in questo paese? E che dopo il fascismo ci sono stati 70 anni di storia che sono bellamente ignorati dai nostri manuali? E senza che questo attenui di un etto la condanna del fascismo. L’antifascismo va benissimo, ma facciamolo vivere nel quadro del presente e non trasformiamolo in un polveroso museo di memorie. Insomma, è accettabile che il nostro insegnamento ignori cose come la decolonizzazione, la strategia della tensione, il Sessantotto, i mutamenti dell’ordine monetario, il crollo dell’Urss e dell’ordinamento bipolare, la trasformazione imperiale della presidenza americana, le rivoluzioni di Cina, Indonesia, Algeria, Vietnam, le guerre mediorientali, eccetera eccetera? Caro colleghi, ma in che secolo vivete?
E non si tratta solo di recuperare il passato più recente, ma di leggere con altri occhi anche tutto il resto della storia alla luce dell’attuale ordinamento del mondo. Ad esempio, siamo sicuri che la storia degli Assiri, dei Babilonesi, dei Fenici sia così importante, mentre si trascurano del tutto le ben più importanti civiltà di India e Cina? Certo che la storia romana dobbiamo studiarla, ma è necessario beccarsi tutta la solfa delle dinastie gallo-romane, l’elenco completo delle battaglie di Cesare, gli imperatori più insignificanti, e non tentare una comparazione con le parallele vicende dell’India? Il medioevo va studiato, ma è così fondamentale dare tanto spazio alla lotta per le investiture, piuttosto che dare uno sguardo all’evoluzione dell’economia cinese a metà del XIV secolo, con il passaggio all’economia del riso e con il parallelo affermarsi del dispotismo asiatico? E, nella storia moderna, si potrebbe restringere un po’ il solito elenco di guerre e battaglie, ma dare più spazio alla nascita del diritto commerciale o al colbertismo. Quanto alla storia contemporanea, va bene che si parli della Shoà, ma non sarebbe più urgente e importante parlare del colonialismo e del suo residuo permanente? Magari ci riuscirebbe di capire meglio un fenomeno come il terrorismo jhadista.
Tutto questo, però, presupporrebbe un corpo docente ben altrimenti formato. Anche l’istituzione del corso di laurea in storia è stato un vero disastro: nessun insegnamento di economia, diritto, scienza della politica, una infarinatura appena di sociologia, psicologia e antropologia e, in cambio, una valanga delle storie più minute e meno utili. Solito schema per le storie generali all’interno del solito eurocentrismo. Un marziano che scendesse sulla Terra e leggesse i nostri manuali di storia per farsi unìidea, capirebbe che l’unico protagonista della storia è sempre stato l’uomo bianco, salvo qualche rapida comparsata di qualche altro; che la storia umana ha seguito un unico cammino rettilineo, e che gli umani si sono sempre preoccupati solo dell’aspetto ideologico, dedicando di tanto in tanto qualche cenno di attenzione ai processi materiali. Cari colleghi, diciamolo, voi non fate storia, fate una noiosissima antiquaria. E non parliamo dell’aspetto metodologico: quanti docenti hanno idea di cosa sia la scienza della complessità o sarebbero spiegare cosa è un modello di simulazione e come funziona (anche un semplice wargame)? Quanti se la sentirebbero di accennare un approccio comparatistico? E quanti potrebbero provare una spiegazione dei processi storici in termini di psicoanalisi di massa? Lasciamo perdere.
Già sento la risposta: «Dobbiamo rispettare i programmi ministeriali». Già, l’annosa piaga dei programmi ministeriali che mi fanno pensare che sia arrivato il momento di sbarazzarci della scuola statale (non ho detto della scuola pubblica, ma di quella statale): un modello organizzativo che ha avuto i suoi meriti ma che oggi, forse, è il caso di superare. In ogni caso, non mi è capitato di leggere di nessuna protesta dei docenti, dei loro sindacati, delle loro associazioni disciplinari contro i famigerati programmi ministeriali, pecoronescamente applicati. Tutto ciò premesso, come si fa a sostenere che l’attuale insegnamento della storia abbia una qualche utilità e possa riscuotere più di qualche sbadiglio dei ragazzi? Capisco la difesa più che della storia, degli impiegati statali incaricati di spiegare la “storia” da cui cercano “di tirare quattro paghe per il lesso”, ma se l’insegnamento della storia deve essere questo, forse è meglio che lo aboliamo del tutto. E forse i ragazzi odieranno di meno la storia e qualcuno inizierà a studiarla per proprio conto.
(Aldo Giannuli, “Una modesta proposta sull’insegnamento della storia: aboliamolo. Lettera aperta ai colleghi storici”, dal blog di Giannuli del 30 ottobre 2018).

Un po’ di giorni fa, le associazioni dei docenti di storia e l’Istituto Storico per la Storia della Resistenza hanno lanciato un grido di dolore contro la proposta di abolire la traccia di storia fra quelle degli esami di Stato, additando l’incultura di chi ha fatto l’infausta proposta ed hanno colto l’occasione per la solita geremiade sulle cattedre perse, della marginalizzazione delle ore di insegnamento della storia ridotte ad una sola negli istituti tecnici, eccetera. La commissione ministeriale che ha approvato questa riforma degli esami di Stato è certamente composta da allevatori di bestiame capitati non si sa come in quella posizione, non discuto. Ma bisogna riconoscere che qualche ragione ce l’hanno: è un fatto che nell’ultimo decennio (più o meno) la traccia è stata scelta solo dall’1% dei candidati. E la cosa, cari colleghi, non vi dà nessun sospetto? Se il 99% degli studenti scansa la traccia di storia, non dipenderà dal fatto che la storia gli è stata insegnata con i piedi? Non cominciamo con le solite scuse sulla vulgata corrente che marginalizza le materie umanistiche e disincentiva i giovani a studiare la storia, su quella trappola infernale che è Internet, eccetera eccetera; il punto è che i nostri docenti non riescono ad interessare i ragazzi alla materia in questione.

E questo si inserisce nel problema più generale dei troppi insegnanti che, magari, conoscono la materia ma non la sanno insegnare, e questo vale per tutte le discipline. In estate lessi di una classe di un istituto livornese dove erano stati bocciati oIl progfessor Aldo Giannuli, dell'ateneo di Milanorimandati 40 studenti su 41, e un imbecille di docente confessava come giustificazione: «Non riusciamo a farli studiare». Come dire che “non sappiamo fare il nostro mestiere”, visto che il compito del docente è proprio quello di motivare i ragazzi a studiare. Morale: licenziamo in blocco i docenti di quella classe e faremo una cosa santa. Ma, si dice, della storia ha bisogno non solo la cultura ma anche la democrazia, perché, si dice, la storia ha un alto valore formativo. Ecco: il punto è proprio questo: la storia, così come viene insegnata, ha ancora questo valore formativo? Direi proprio di no. Per il modo in cui è ora mal insegnata non ha alcun valore culturale e, meno che mai, professionale. La storia non serve a “far bella figura in società” o ad assecondare una qualche voglia individuale di intrattenimento. La storia ha una funzione precisa nella spiegazione e critica del presente e, solo a questa condizione, è elemento utile al dibattito politico e culturale.

Frugare a caso nel passato non serve a niente, quello che serve è risalire lungo la catena dei nessi causa effetto-che spieghino l’attuale stato di cose e servano da lente di ingrandimento per individuare cosa va conservato e cosa mutato nell’attuale ordinamento. Ora, c’è qualcuno che ha il coraggio di sostenere che l’attuale insegnamento serva a questo? Quanti docenti sarebbero in grado di spiegare il passaggio dalla formula merce-denaro-merce a quella denaro1-merce-denaro2 e spiegarne la portata storica? Quale insegnante saprebbe spiegare le conseguenze della decisione di Nixon sulla non convertibilità del dollaro nel 1971? Quanti docenti hanno una pur vaga idea del pensiero politico di Gandhi, Sukarno, Kemal Ataturk o sanno chi sono stati Nasser, Al Qutb o Franz Fanon? E chi saprebbe presentare adeguatamente il processo di codificazione dello Stato Franz Fanon, teorico della decolonizzazionemoderno europeo o il passaggio dalla decretazione alla legge? Ne dubito fortemente, perché i nostri docenti in massima parte sono filosofi o letterati che non capiscono nulla di diritto o economia e poco di sociologia o politologia.

D’altro canto, i libri di testo che hanno a disposizione non parlano di certe cose e ripropongono la solita sbobba identica a se stessa da almeno 60 anni. Sì, ci abbiamo appiccicato a forza qualche capitolo sulla storia delle donne, dei giovani o dell’ambiente (che nessun docente trova il tempo di spiegare e che sono posti senza alcun legame con tutto il resto) ma la struttura resta quella di sempre, nella quale è possibile distinguere con chiarezza i suoi vari strati alluvionali: alla base il catechismo della “religione della Patria” con i suoi martiri (Menotti, Speri, Bandiera) e il suo glorioso cammino verso l’unità; poi il capitolo sulla Prima Guerra Mondiale per lo più di derivazione fascista; quindi la grande cupola dell’insegnamento crociano con il suo culto per l’analogia e il suo insopportabile moralismo, per cui il fine della storia è il giudizio morale (insomma, il voto in condotta a chi ci ha preceduto) e la sua totale insensibilità ai dati istituzionali ed economici; infine un po’ di catechismo antifascista.

Beninteso: sono antifascista da sempre, non ritengo affatto che l’antifascismo sia un valore superato, ma non sopporto alcun tipo di catechismo. Si può capire che nel primo trentennio della Repubblica fosse necessario radicare la condanna del fascismo, ma vogliamo capire che la storia del fascismo va studiata in riferimento al tipo di modernità che si è costruita in questo paese? E che dopo il fascismo ci sono stati 70 anni di storia che sono bellamente ignorati dai nostri manuali? E senza che questo attenui di un etto la condanna del fascismo. L’antifascismo va benissimo, ma facciamolo vivere nel quadro del presente e non trasformiamolo in un polveroso museo di memorie. Insomma, è accettabile che il nostro insegnamento ignori cose come la decolonizzazione, la strategia della tensione, il Sessantotto, i mutamenti dell’ordine monetario, il crollo dell’Urss Lezionee dell’ordinamento bipolare, la trasformazione imperiale della presidenza americana, le rivoluzioni di Cina, Indonesia, Algeria, Vietnam, le guerre mediorientali, eccetera eccetera? Caro colleghi, ma in che secolo vivete?

E non si tratta solo di recuperare il passato più recente, ma di leggere con altri occhi anche tutto il resto della storia alla luce dell’attuale ordinamento del mondo. Ad esempio, siamo sicuri che la storia degli Assiri, dei Babilonesi, dei Fenici sia così importante, mentre si trascurano del tutto le ben più importanti civiltà di India e Cina? Certo che la storia romana dobbiamo studiarla, ma è necessario beccarsi tutta la solfa delle dinastie gallo-romane, l’elenco completo delle battaglie di Cesare, gli imperatori più insignificanti, e non tentare una comparazione con le parallele vicende dell’India? Il medioevo va studiato, ma è così fondamentale dare tanto spazio alla lotta per le investiture, piuttosto che dare uno sguardo all’evoluzione dell’economia cinese a metà del XIV secolo, con il passaggio all’economia del riso e con il parallelo affermarsi del dispotismo asiatico? E, nella storia moderna, si potrebbe restringere un po’ il solito elenco di guerre e battaglie, ma dare più spazio alla nascita del diritto commerciale o al colbertismo. Quanto alla Giulio Cesarestoria contemporanea, va bene che si parli della Shoà, ma non sarebbe più urgente e importante parlare del colonialismo e del suo residuo permanente? Magari ci riuscirebbe di capire meglio un fenomeno come il terrorismo jhadista.

Tutto questo, però, presupporrebbe un corpo docente ben altrimenti formato. Anche l’istituzione del corso di laurea in storia è stato un vero disastro: nessun insegnamento di economia, diritto, scienza della politica, una infarinatura appena di sociologia, psicologia e antropologia e, in cambio, una valanga delle storie più minute e meno utili. Solito schema per le storie generali all’interno del solito eurocentrismo. Un marziano che scendesse sulla Terra e leggesse i nostri manuali di storia per farsi un’ìdea, capirebbe che l’unico protagonista della storia è sempre stato l’uomo bianco, salvo qualche rapida comparsata di qualche altro; che la storia umana ha seguito un unico cammino rettilineo, e che gli umani si sono sempre preoccupati solo dell’aspetto ideologico, dedicando di tanto in tanto qualche cenno di attenzione ai processi materiali. Cari colleghi, diciamolo, voi non fate storia, fate una noiosissima antiquaria. E non parliamo dell’aspetto metodologico: quanti docenti hanno idea di cosa sia la scienza della complessità o sarebbero spiegare cosa è un modello di simulazione e come funziona (anche un semplice wargame)? Quanti se Benedetto Crocela sentirebbero di accennare un approccio comparatistico? E quanti potrebbero provare una spiegazione dei processi storici in termini di psicoanalisi di massa? Lasciamo perdere.

Già sento la risposta: «Dobbiamo rispettare i programmi ministeriali». Già, l’annosa piaga dei programmi ministeriali che mi fanno pensare che sia arrivato il momento di sbarazzarci della scuola statale (non ho detto della scuola pubblica, ma di quella statale): un modello organizzativo che ha avuto i suoi meriti ma che oggi, forse, è il caso di superare. In ogni caso, non mi è capitato di leggere di nessuna protesta dei docenti, dei loro sindacati, delle loro associazioni disciplinari contro i famigerati programmi ministeriali, pecoronescamente applicati. Tutto ciò premesso, come si fa a sostenere che l’attuale insegnamento della storia abbia una qualche utilità e possa riscuotere più di qualche sbadiglio dei ragazzi? Capisco la difesa più che della storia, degli impiegati statali incaricati di spiegare la “storia” da cui cercano “di tirare quattro paghe per il lesso”, ma se l’insegnamento della storia deve essere questo, forse è meglio che lo aboliamo del tutto. E forse i ragazzi odieranno di meno la storia e qualcuno inizierà a studiarla per proprio conto.

(Aldo Giannuli, “Una modesta proposta sull’insegnamento della storia: aboliamolo. Lettera aperta ai colleghi storici”, dal blog di Giannuli del 30 ottobre 2018).

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25 Commenti

  1. brumbrum
    1 novembre 2018 • 05:47

    via tutto!

  2. Gio rgio
    1 novembre 2018 • 07:50

    Se una cosa non funziona c’è l’obbligo di cambiarla, quindi la storia va insegnata diversamente nel metodo e nel contenuto.

  3. Wubbì
    1 novembre 2018 • 08:50

    Abolire le lezioni di storia?

    Per il bene di quello che è rimasto dei nostri ragazzi ci sarebbe da abolire tutto l’impianto scolastico

    https://www.youtube.com/watch?v=vGG7DryUbUE

  4. brumbrum
    1 novembre 2018 • 08:59

    Wubbì,

    vero

  5. Primadellesabbie
    1 novembre 2018 • 09:41

    Un tale dice che il vino fa bene soprattutto se é cattivo, perché in questo caso non lo bevi.

    Lo stesso concetto si potrebbe applicare senza sforzo alcuno all’insegnamento scolastico, nella migliore delle ipotesi, e se uno non perde la speranza, in qualche decennio di impegno e applicazione si può riuscire ad attenuarne i danni alla propria formazione culturale (quelli alle relazioni sociali sono indelebili).

    Ma per fortuna c’é la televisione.

  6. Gio rgio
    1 novembre 2018 • 09:52

    Wubbì,

    vero
    ti stai ripetendo! Sconfini nella monotonia! E d’altronde che pretendere da un mero materialista?
    La materia ha fantasia? Ha estro? Ha inventiva?

  7. brumbrum
    1 novembre 2018 • 10:03

    Gio rgio

    hai dormito con il culo scoperto la scorsa notte?
    porca miseria quanto sei caustico ultimamente

  8. Gio rgio
    1 novembre 2018 • 10:06

    E’ una tua esclusiva impressione, e d’altronde sei il centro del mondo.

  9. brumbrum
    1 novembre 2018 • 10:08

    E’ una tua esclusiva impressione, e d’altronde sei il centro del mondo.

    ………………………
    ………………………………
    ……………………………………

  10. brumbrum
    1 novembre 2018 • 10:13

    “e d’altronde sei il centro del mondo”

    se continui a ripetermelo va a finire che ci credo pure io

  11. Wubbì
    1 novembre 2018 • 10:21

    Giorgio ,

    lo avevo già detto? … non ricordo di averlo detto espressamente per la scuola … eh , il tempo passa anche per me … la memoria ;)

  12. Gio rgio
    1 novembre 2018 • 10:31

    Wubbi, era una citazione di brumbrum non era mia, io l’ho ripresa per rispondergli.

  13. Wubbì
    1 novembre 2018 • 10:41

    Ah , ok , non avevo notato il corsivo

  14. Monia De Moniax
    1 novembre 2018 • 12:29

    Radio24 ed i suoi “giornalisti”….Irrecuperabile è La zanzara, condotta ad urla belluine e parolacce da due assatanati assuntori di non si sa quale sostanza psicotropa che rompono il Gioiello a destra e manca con atteggiamento inquisitorio…levateje er fiasco e mandateli a fare i colf negli erigendi cessi alle stazioni ferroviarie dei capoluoghi di provincia, regione, stato…Però una volta tanto i loro colleghi della mattina, una co-orte di inquisitori del Santo Orifizio, sono stati utili. Stamane hanno trasmesso una “replica” dell’intervista all”Illustrissimo, Benemerito, Professor Daniele Novara, fondatore e direttore del CPPdel CPP CentroPsicoPedagocico, che non è stato sottoposto ad urla seviZiose, cosicché abbiamo potuto goderci la Sua Tesi d’insegnamento…Il nome me lo sono cercato su Infernet ché non lo ricordavo.
    CAMBIARE LA SCUOLA SI PUO’
    Un nuovo metodo per insegnanti e genitori, per un’educazione finalmente efficace.
    Da almeno 100 anni la scuola italiana è impostata allo stesso modo, mentre riforme e “maquillage” educativi, come la digitalizzazione, fingono che le cose stiano cambiando. In realtà nulla si muove: lezioni frontali, compiti a casa, studio mnemonico continuano a essere al centro della didattica, spesso senza motivazioni pedagogiche, e i nostri figli imparano con lo stesso metodo delle generazioni precedenti, come per inerzia.
    In questo libro Daniele Novara demolisce, uno per uno, i falsi miti dell’istruzione e propone un metodo “MAIEUTICO che, in alternativa alle pratiche antiquate che ancora governano la grande e complessa macchina dell’istituzione scolastica, pone al centro la scuola come comunità di apprendimento: una comunità dove si impara dai compagni, si fanno domande, si sperimenta in laboratorio, si sbaglia e ci si diverte, e in cui l’insegnante agisce come un regista, lasciando il protagonismo ai suoi allievi.
    Un libro destinato a creare un vivace dibattito ma che soprattutto incita genitori e insegnanti a cercare nuove motivazioni, fornendo intanto alternative concrete e attuabili per ritrovare il senso autentico della scuola. Con un po’ di coraggio, entusiasmo e voglia di uscire dai soliti schemi.
    Il contenuto del libro è sviluppato nel corso “La metodologia maieutica a scuola e nei processi di apprendimento” a cura di Daniele Novara e Marta Versiglia. Nel libro è presentato il manifesto della Scuola Maieutica.
    “Questo non è un libro di istruzioni per costruirsi la propria scuola ideale. La scuola ideale non esiste. Il mio scopo è aiutare insegnanti e genitori a cogliere la ricchezza e le potenzialità della scuola di oggi che, anche fra gli addetti ai lavori, è spesso considerata un’istituzione sostanzialmente irrecuperabile.”
    “Novara rompe qualsiasi barriera, rinuncia a filtri e a toni moderati per portare qualche rimedio all’emergenza formativa che fotografa.”

  15. Sergio
    1 novembre 2018 • 13:33

    Ben detto Monoa e interessante segnalazione. D altronde anche nel mondo del lavoro il nuovo approccio e di “knowledge sharing” specialmente nella progettazione, dove ol project manager simile all insegnate si dedica più come facilitatore nella costruzione ed applicazione delle idee che con impositore di visioni.

  16. Brup
    1 novembre 2018 • 20:15

    Le impressioni di Aldo Giannuli sono sempre di notevole interesse e vanno sempre tenute nella dovuta considerazione.

  17. Copronio Sterchi
    1 novembre 2018 • 23:37

    Sono d’accordo sul fatto che la storia, nelle scuole, non la si sappia insegnare.
    Quando va bene è una specie di “elenco telefonico” di date (totalmente irrilevanti),
    che i ragazzi dimenticheranno entro due giorni.
    Ma non credo sia una buona idea sostituire la nostra storia, con la storia delle economie mondiali.
    La storia, è fatta di uomini, delle loro imprese e delle loro debolezze,
    e personalmente sarei felice che i ragazzi conoscessero le nostre radici e l’evoluzione della nostra cultura e società,
    prima che le ragioni economiche mondiali. Quella, è ‘un’altra storia’

  18. brumbrum
    2 novembre 2018 • 05:23

    ma quale storia
    la storia non esiste
    il passato è solo un ammasso di punti di vista e parole sparate a piacimento
    basta cambiare una virgola nel racconto e tutto assume forme diverse
    da invasioni barbariche si passa a migrazioni barbariche, tanto per fare un esempio
    che poi a farle diventare migrazioni etniche basta poco, dipende dalla moda del momento
    se i romani praticavano la sodomia e non fa comodo far sapere che avevano il b del c slabrato
    basta dire che erano solo attivi e i rotti in c lo erano solo gli schiavi
    sembrano cagate ma la visuale cambia
    lo stesso vale per tutto il resto

  19. Gio rgio
    2 novembre 2018 • 08:27

    Copronio Sterchi, il suo nickname ha un vago odore, comunque sono d’accordo sul suo pensiero.

    bb, mi sto meravigliando del sottoscritto, sono d’accordo sulle tue considerazioni (sic???).

  20. brumbrum
    2 novembre 2018 • 08:33

    “sono d’accordo sulle tue considerazioni (sic???)”

    ci “conosciamo” da tempo e non è la prima volta che lo sei
    e io non nego di essere spesso in accordo con le tue
    oggi sei tu carente in quanto a memoria

  21. Leitmotif
    2 novembre 2018 • 11:46

    C’è gente che non si ricorda neanche quello che ha fatto il giorno prima e addirittura neanche durante il giorno, quindi non vedo dove sia il problema, tanto i giovani vanno a scuola meccanicamente e per inerzia, della storia non gliene può fregar di meno considerando che tanto molte materie sono poi inutili e inutilizzabili durante la vita lavorativa e sociale, cioè cosa gliene può importare a un adolescente che le truppe militari dell’esercito x si scannava al pari di orde di maiali inferociti contro l’esercito y, e poi le persone comuni e ordinarie nella storia sono soltanto carne da macello, utili solo per essere sacrificati in nome di chissà quale “nobile” causa, e mai protagonisti ma sempre pedine, sempre sudditi, ogni tanto qualche d’uno riesce ad elevarsi e diventare un’ “eroe”, ma si tratta nella quasi totalità dei casi di personaggi che per arrivare al potere si sono venduti letteralmente l’anima alle forze infere. Che ognuno si faccia carico della propria storia e del proprio vissuto personale, se poi ci si deve pure sobbarcare la storia degli altri, ahahhahahha, l’aria fritta………

  22. brumbrum
    2 novembre 2018 • 11:59

    quello che penso pure io
    gli e le adolescenti dovrebbero pensare solo a scopare a quell’età
    chi se ne frega di quel che fecero i vari tizi e cai trapassati
    meglio un mondo di gnuranch consapevoli
    che di pecoroni istruiti

  23. brumbrum
    2 novembre 2018 • 17:59

    Max Tuanton

    http://www.alpinicollio.it/2015/06/inizio-lavori-di-recupero-trincee-al-maniva/

    già che ci sei fai una donazione
    cospicua mi raccomando

  24. brumbrum
    3 novembre 2018 • 04:46

    https://www.youtube.com/watch?v=Et8eiLURIFk

  25. brumbrum
    3 novembre 2018 • 08:28

    le mie aspirazioni sono ben altre
    ma le mie pippe sono il nulla rispetto ai fatti
    se gli eroi avessero fatto gli eroi per loro stessi e non per una ipotetica patria
    forse non saremmo in questo stato ora
    e non si faccia l’errore madornale di credere che il popolo abbia una sua identità o tantomeno una sua volontà
    i popoli sono sempre stati manovrati a piacimento
    l’uomo non è un essere pensante ma pensato

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