Archivio del Tag ‘Ankara’
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Chi ci porta in guerra, e perché i giornali non lo rivelano
Mille cisterne di petrolio dell’Isis, dirette in Turchia, distrutte in pochi giorni dai caccia russi. Poi l’abbattimento del Sukhoi-24, col mitragliamento di uno dei piloti mentre scendeva col paracadute. E il ministro degli esteri turco che dice al collega russo Lavrov che i militari di Ankara, quei pasticcioni, non avevano capito che l’aereo sul confine turco-siriano fosse russo. Una farsa pericolosa, su cui Obama si è limitato a dire che “la Turchia ha il diritto di difendersi”, come se il bombardiere Su-24 stesse minacciando la sicurezza turca. Conseguenze? Imprevedibili. Secondo Pepe Escobar, Mosca potrebbe chiudere i rubinetti del gas (da cui la Turchia dipende), armare segretamente i separatisti curdi dell’Anatolia e, intanto, spedire gli “Spetznaz” – i temibili reparti speciali – in missione punitiva tra le montagne dove si annidano i guerriglieri turcomanni, quelli che hanno mitragliato il paracadutista compiendo un crimine di guerra particolarmente odioso, sanzionato dalla Convenzione di Ginevra del 1977. Il “colpo alla schiena” sferrato a Putin ci spinge verso una guerra più vasta?
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Madsen: Gladio, terroristi “islamici” per spaventare l’Europa
Strani attentati alle ambasciate, presunti terroristi intercettati sui treni, killer “impazziti” che fanno stragi e poi vengono puntualmente giustiziati dalla polizia. Tutto questo ha un nome preciso: Gladio. Secondo Wayne Madsen, ex funzionario della Nsa, la storica rete “Stay Behind” che la Nato utilizzò per la strategia della tensione in Europa non è mai stata smantellata. E oggi torna utilissima, per intimidire gli europei schiacciati dalla crisi: anziché cercare soluzioni di rottura – politiche, economiche, internazionali – dovremmo restare incollati agli attuali leader, approvando decisioni sempre più autoritarie, “suggerite” dagli Usa, anche di fronte alla crisi dei migranti che agisce come detonatore della recessione economica, mentre il Medio Oriente è in fiamme e qualcuno, al Pentagono, sogna una guerra con la Russia. Già dirigente della struttura spionistica da cui fuggì anche Edward Snowden, scatenando lo scandalo “Datagate” (tutti i leader occidentali monitorati e intercettati), Madsen fu il primo, dopo l’11 Settembre, a evocare il fantasma di Gladio mettendo in collegamento il G8 di Genova con l’attentato alle Torri: due eventi di sangue, figli della stessa matrice, il terrorismo di Stato.Oggi, Madsen denuncia il carattere opaco di troppi recenti attentati, dalla Francia alla Turchia, proprio mentre il quadro internazionale si fa sempre più pericoloso e instabile grazie all’azione “coperta” di Washington, che dopo aver devastato l’Iraq ha innescato la primavera araba, rovesciato Gheddafi scatenando il caos in Libia e infine armato i jihadisti in Siria dando origine al fenomeno Isis, da cui il grande esodo di profughi che sta assediando l’Italia e il resto d’Europa. In un dettagliato report su “Strategic Culture”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, Madsen analizza le troppe “coincidenze” degli ultimi attentati che hanno scosso l’opinione pubblica europea. «La recente sparatoria al consolato americano di Istanbul da parte di due donne, secondo il governo turco membri di un gruppo terroristico di estrema sinistra, il “Revolutionary People’s Liberation Army-Front” (Dhkp-C), così come l’incidente sospetto sul treno ad alta velocità “Thalys” diretto a Parigi da Amsterdam, per Madsen indicano che le operazioni “false flag” condotte dalla rete Stay Behind della Cia dell’epoca della guerra fredda, conosciuta come Gladio, siano di nuovo pienamente operative.Si ritiene che il Dhkp-C sia responsabile di un attentato suicida all’ambasciata americana di Ankara nel 2013, che causò la morte di un agente della sicurezza turca. In quell’attacco, un sito web chiamato “The People’s Cry”, presumibilmente gestito dal Dhkp-C, rivendicò il ruolo di uno dei suoi membri, Ecevit Sanli, come esecutore dell’attentato suicida all’ambasciata, finito con la morte dello stesso Sanli e della guardia turca. Per l’ex analista dell’intelligence Usa, c’è puzza di bruciato: «Il problema generale riguardo alla dichiarazione del coinvolgimento del Dhkp-C è stato un video postato dal “The People’s Cry” e scoperto dal “Site”, un gruppo legato al Mossad israeliano, con base a Washington, noto per aver distribuito ai media discutibili video e comunicati attribuiti ad “Al Qaeda”, “Is”, ed altri presunti gruppi terroristici islamici». Il presunto ritorno del Dhkp-C, continua Madsen, ha fornito al governo turco una copertura per colpire i guerriglieri curdi nella Turchia orientale e insinuare una mentalità da “Stato sotto assedio” nella mente dei votanti turchi, proprio mentre la nazione si avvia verso un’altra elezione nazionale che vedrà opporsi il governo filo-islamico del presidente Recep Tayyip Erdogan all’opposizione laica.Poi c’è il caso del marocchino Ayoub El Khazzani, accusato di essere salito a Bruxelles sul treno diretto a Parigi con l’intenzione di sterminare i passeggeri. Khazzani, che aveva con sé un Ak-47 e altre armi, in una borsa che ha detto di aver “trovato “ in un parco di Bruxelles, è stato sopraffatto da tre americani e un inglese. Due degli americani che hanno aiutato a bloccare Khazzani sono militari statunitensi, il pilota dell’Air Force Spencer Stone e la guardia nazionle dell’Oregon Alek Skarlatos. Il cittadino di nazionalità inglese è Chris Norman, nato in Uganda e residente nel sud della Francia. Si ritiene che Khazzani, nativo di Tetouan in Marocco, al pari degli altri numerosi presunti terroristi in Francia, abbia viaggiato molto all’estero prima di commettere l’attacco terroristico. Fino al 2014 era residente in Spagna, poi si è trasferito in Francia per lavorare per la società di telefonia mobile “Lycamobile”. Si dice che Khazzani «si sarebbe radicalizzato in una moschea di Algeciras, di fronte al territorio inglese di Gibilterra, dove l’intelligence inglese mantiene uno stretto controllo sui territori spagnoli circostanti, inclusa Algeciras». A giugno, si ritiene che l’uomo stesse combattendo a fianco dei guerriglieri dello Stato Islamico in Siria, per poi spostarsi ad Antiochia in Turchia e a Tirana, in Albania.La storia di Khazzani, scrive Madsen, è quasi uguale a quella di Mahdi Nemmouche, il franco-algerino ritenuto responsabile per l’attacco al Museo Ebraico di Bruxelles. Prima, anche Nemmouche avrebbe combattuto con l’Isis in Siria (e avrebbe trascorso del tempo in Inghilterra). Dopo l’attacco al museo di Bruxelles, Nemmouche è salito su un autobus notturno per Marsiglia. Un controllo doganale ha scoperto la sua sacca, contenente un Kalashnikov, un revolver e proiettili. Arrestato dalla polizia francese, Nemmouche ha dichiarato di aver trovato le armi in una macchina parcheggiata a Bruxelles e di averle rubate per poi venderle sul mercato nero a Marsiglia. Khazzani sostiene che voleva usare le armi trovate in un parco di Bruxelles (un Ak-47, una pistola Luger, un taglierino, mezzo litro di benzina e nove caricatori) per derubare i passeggeri del treno “Thalys”, così da comprarsi del cibo, in quanto era senza un soldo e senza casa. «Sia Khazzani che Nemmouche – continua Madsen – erano ben noti alle forze dell’ordine francesi ed europee come potenziali minacce, eppure non è stato fatto nulla per sorvegliare le loro attività».Prima dell’attacco al treno, Khazzani era l’oggetto di una “Fiche S” della polizia francese: un dossier trasmesso a varie forze di polizia europee, per chiedere che il soggetto venisse posto sotto stretta sorveglianza. Inoltre, la polizia spagnola aveva il Dna di Khazzani in archivio. E ancora, prima dell’attacco sul treno, «dossier completi su Khazzani erano in possesso non solo della polizia spagnola, ma anche di quella tedesca e belga, così come di quella francese». Una storia simile a quella di altri attentatori. Il primo fu Mohamed Merah, il franco-algerino che nel 2012 uccise sette persone nella regione di Tolosa, inclusi tre bambini di una scuola ebraica. Lo imitarono Said e Cherif Kouachi, i fratelli franco-algerini che quest’anno hanno attaccato a Parigi la redazione di “Charlie Hebdo”. Anche loro erano oggetto di una “Fiche S” e di altri dossier delle forze dell’ordine francesi. Idem per il caso del franco-maliano-senegalese Amedy Coulibaly, che ha attaccato il supermarket ebraico Hyper-Cacher a Parigi durante l’attacco a “Charlie Hebdo”: pure lui era noto alla polizia e all’intelligence francesi.In altre parole, nessuno dei nuovi presunti terroristi europei viene dal nulla: la polizia li controlla strettamente, fino al momento in cui entrano in azione per riempire le cronache. E non solo in Francia: «Anche i files della polizia e dei servizi segreti danesi hanno restituito il nome del presunto attentatore omicida della sinagoga centrale di Copenhagen e del Festival del Cinema danese, Omar Alhamid Alhussein, un danese di origini palestinesi». Di fatto, «un criminale schedato per violenza, che era stato rilasciato da una prigione danese appena due settimane prima dell’attacco alla singoga». Scontato, anche qui, il finale: «La polizia danese ha sparato e ucciso Alhussein dopo il suo presunto doppio attacco». Quanto al treno “Thalys”, quello dell’attacco “sventato”, stava transitando nella regione di Oignies nell’alta Piccardia in Francia, quando Khazzani è stato bloccato dai passeggeri. Attenzione allora al ministro degli interni francese, Bernard Cazeneuve: «Ha subito suggerito che Khazzani fosse un membro di un gruppo islamista radicale». Non ha perso tempo, il ministro, e si è recato immediatamente a Copenhagen subito dopo gli attacchi alla sinagoga e al festival. «Si dice che Cazeneuve fosse sotto inchiesta, da parte del 45enne commissario di polizia francese Helric Fredou, vicecomandante della polizia giudiziaria di Limoges, per legami con Jeannette Bougrab».La Bougrab, continua Madsen, era la cosiddetta “fidanzata” del redattore ucciso di “Charlie Hebdo” Stephane Charbonnier, “Charb” per i colleghi. La donna sosteneva di essere la fidanzata di Charb, che sarebbe stato il padre di sua figlia. Si dice inoltre che Fredou si sarebbe suicidato al culmine dell’indagine sui legami tra Bougrab e Cazeneuve. «Fredou si sarebbe sparato alla testa in preda allo sconforto dopo aver incontrato la famiglia di una delle vittime degli attentati francesi». Tuttavia, aggiunge Madsen, la famiglia e gli amici di Fredou hanno scartato la possibilità di una presunta depressione del commissario. «Inoltre, essi hanno sottolineato il fatto che Fredou aveva scoperto importanti indizi sugli attentati terroristici, cosa che lo aveva messo in rotta con Cazeneuve». Secondo notizie francesi, Fredou sospettava del ministro fin dai suoi giorni di commissario alla polizia di Cherbourg, località di cui Cazeneuve era stato sindaco. In quel periodo, Fredou «aveva per la prima volta scoperto l’esistenza dei legami di Cazeneuve con il Mossad, della sua relazione con la Bougrab e con la sua congrega di sobillatori anti-musulmani».Madsen non ha dubbi, è certo di riconoscere i sintomi del male oscuro: «La ricomparsa di Gladio sulla scena politica europea è la risposta alla crescente ostilità all’Unione Europea e all’austerità dettata dai banchieri centrali europei». E accusa: «I corporazionisti e i fascisti che hanno portato l’Europa al fallimento stanno ora usando le loro risorse mediatiche per trasformare la minaccia favorita degli ultimi vent’anni, il terrorismo islamico, in una minaccia composita di terroristi islamici che collaborano con una rete internazionale di anarchici». Secondo l’ex stratega dell’intelligence statunitense, «in Grecia, Italia, Turchia e Spagna ci sono segnali che il cambio di paradigma da terrorismo islamico ad anarchismo di sinistra sia già in corso, con attentati altamente sospetti e probabilmente di coperura presso ambasciate e altre strutture». Madsen è convinto che «i media faranno comparire sempre più storie fabbricate per collegare “anarchici” e “jihadisti”».Dopo l’incidente del treno “Thalys” a Bruxelles, Cazeneuve e «il suo amico anti-musulmano e socialista di destra, il primo ministro francese Manuel Valls», stanno richiedendo controlli di tipo aeroportuale alle stazioni ferroviarie europee. «Il fine è dare all’Unione Europea un maggiore controllo politico e sociale sulle popolazioni del continente». Madsen fa notare che l’avanzata di gruppi “anarchici” fino a ieri sconosciuti sta avvenendo negli stessi paesi in cui le operazioni di Gladio erano più ampie: Italia, Turchia e Grecia. «L’Italia era il centro focale per l’“Organizzazione Gladio”, la filiale italiana delle operazioni terroristiche paneuropee gestite dalla Cia». In Turchia, Gladio era conosciuta come “Ergenekon”, e in Grecia come “Operazione Sheepskin”. «Finché Gladio sarà di nuovo attiva in Europa – avverte Madsen – i popoli del continente dovranno avere paura, molta paura».Strani attentati alle ambasciate, presunti terroristi intercettati sui treni, killer “impazziti” che fanno stragi e poi vengono puntualmente giustiziati dalla polizia. Tutto questo ha un nome preciso: Gladio. Secondo Wayne Madsen, ex funzionario della Nsa, la storica rete “Stay Behind” che la Nato utilizzò per la strategia della tensione in Europa non è mai stata smantellata. E oggi torna utilissima, per intimidire gli europei schiacciati dalla crisi: anziché cercare soluzioni di rottura – politiche, economiche, internazionali – dovremmo restare incollati agli attuali leader, approvando decisioni sempre più autoritarie, “suggerite” dagli Usa, anche di fronte alla crisi dei migranti che agisce come detonatore della recessione economica, mentre il Medio Oriente è in fiamme e qualcuno, al Pentagono, sogna una guerra con la Russia. Già dirigente della struttura spionistica da cui fuggì anche Edward Snowden, scatenando lo scandalo “Datagate” (tutti i leader occidentali monitorati e intercettati), Madsen fu il primo, dopo l’11 Settembre, a evocare il fantasma di Gladio mettendo in collegamento il G8 di Genova con l’attentato alle Torri: due eventi di sangue, figli della stessa matrice, il terrorismo di Stato. -
Piano Usa: guerra in Europa, prima che crolli il dollaro
«C’è l’intento del Pentagono di colpire la Russia prima del collasso planetario del dollaro». In questa chiave Carlo Tia inquadra i drammatici sviluppi che oppongono Mosca e Washington in Ucraina. «Gli scambi tra la Cina e la Russia sono ormai in yuan, fra la Cina e l’Iran in oro», scrive Tia su “Megachip”. «La stessa Cina si sta liberando di circa 50 miliardi di dollari al mese – trasformati in obbligazioni “ricomprate” forzosamente dal Belgio, non si sa esattamente da chi – per sostenere il dollaro (più esattamente, i petrodollari). Lo stesso George Soros sta pesantemente speculando al ribasso a Wall Street. Sono tutti segni di una prossima depressione mondiale, da cui forse gli Stati Uniti potrebbero uscire solo con una prolungata guerra in Europa». A conferma del “pilotaggio” della crisi esplosa a Kiev, lo scoop del “Giornale”: in una telefonata alla “ambasciatrice” dell’Ue, Catherine Ashton, il ministro degli esteri dell’Estonia, Urmas Paet, dice che i cecchini che hanno sparato sulla folla di piazza Maidan non erano uomini di Yanukovich ma probabilmente «della coalizione appoggiata dall’Occidente».Resta la domanda: perché gli europei non si sono resi conto della trappola mortale tesa a loro dagli Usa? E’ ormai chiaro, sostiene Tia, che secondo i piani dei registi delle Ong operanti in Ucraina (gente del calibro di George Soros e Zbigniew Brzezinski) è contemplata una guerra civile fra i russofoni dell’est e gli ucraini dell’ovest. «Pochissimi media occidentali – continua Tia – hanno trasmesso la registrazione trapelata del colloquio di Victoria Nuland, incaricata Usa della cura dei rapporti diplomatici con Europa ed Eurasia, con l’ambasciatore statunitense in Ucraina». La Nuland disponeva e comandava la composizione del nuovo governo di Kiev dopo aver cacciato Yanukovich, presidente pessimo ma regolarmente eletto. La “strategia della tensione” innescata a Kiev darebbe agli Usa e alla Nato «il pretesto di intervenire per “pacificare” l’Ucraina, stabilirsi minacciosamente nel Mar Nero e proiettarsi sempre di più nel Caucaso e verso il Mar Caspio, ricchissimo di risorse petrolifere e di gas».Grazie alle nuove tecnologie di “fracking”, aggiunge Tia, la stessa Ucraina è diventata nel giro di pochi anni un campo d’interesse primario per esplorazioni e sfruttamento di nuove aree. Lo sviluppo di simili giacimenti (specie da parte di compagnie nordamericane) insidia direttamente la posizione dominante russa di Gazprom. Molto evidente anche la volontà di colpire la Cina, che in questa crisi è schierata con Putin: «I cinesi – rivela l’analista di Megachip – hanno di recente acquistato diritti di sfruttamento agricolo su circa 6 milioni di ettari di terre ucraine coltivabili. Cosa che ha fatto venire il sangue alla testa alla Monsanto e affini. Dico “aveva”, perché il governo fantoccio messo su dagli americani ha revocato subito i diritti concessi l’anno scorso ai cinesi». Per Carlo Tia, il rischio concreto è drammatico: «I meccanismi della guerra sono innescati. Se dovesse fare fino in fondo la sua corsa il gioco automatico delle alleanze, fra non molti giorni ci troveremo in guerra».Nel piano bellico, secondo Tia, si collocano anche le dotazioni del Muos in Sicilia, l’installazione di scudi antimissile in Polonia, l’apertura di basi americane in Romania e Bulgaria, senza contare la Turchia, membro della Nato, che controlla gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Il governo di Ankara ha appena concesso a una grande nave da guerra Usa di entrare nel Mar Nero, in violazione della Convenzione di Montreaux, mentre ad Atene c’è una presenza navale ancora più pesante, la portaerei “George Bush”. Secondo la Russia, la convenzione che vieta l’ingresso nel Mar Nero di navi da guerra non appartenenti a paesi affacciati su quel mare, è già avvenuta in questi giorni con la comparsa della fregata statunitense “Taylor” e della “Mount Whitney”, nave-comando della Sesta Flotta».Da questa crisi, è evidente, l’Europa ha tutto da perdere. Perché allora asseconda l’offensiva statunitense alla frontiera russa? «La Germania – scrive Tia – ha abboccato all’amo di una espansione verso un mercato ucraino di 46 milioni e mezzo di abitanti, previa distruzione del modello di economia sociale di mercato dell’Ucraina, e della sua industria, soprattutto all’est del Paese». E la Francia di François Hollande «è stata pesantemente minacciata a partire dal dossier iraniano nel corso del recente viaggio del presidente francese a Washington». Bocciata, di fatto, la missione a Teheran condotta da 140 grandi industriali francesi, «che avevano creduto al clima (fasullo) di buoni nuovi rapporti con l’Iran». Motivo: «Obama ha detto senza peli sulla lingua che tutte le relazioni della Francia (e dell’Europa) devono rispettare non solo le sanzioni che non sono ancora state tolte, ma anche quelle, soprattutto commerciali e finanziarie, che gli Usa dettano unilateralmente».Un gioco pericoloso, che potrebbe chiamarsi Terza Guerra Mondiale, se gli Usa faranno precipitare la situazione con l’adesione dell’Ucraina all’Ue, spingendo i missili della Nato fino ai confini con la Russia. «La Cina, da parte sua, ben sapendo di essere il prossimo obiettivo, ha dichiarato di sostenere la Russia, ed è comunque sotto attacco, sia finanziariamente sia economicamente: il piano americano attuale consiste nel far deragliare l’economia cinese e poi destabilizzarla nelle regioni occidentali, che saranno, per la Cina, l’equivalente dell’Ucraina per la Russia». Di fatto, aggiunge Tia, il mondo si sta avviando ad una bipolarizzazione molto pericolosa: Cina e Russia da un lato, Stati Uniti e Europa al suo guinzaglio dall’altro lato. «È questa una tappa del disegno di dominio planetario degli Usa: ricreare un clima di tensione continua, di fronte alla quale gli europei non potranno che compattarsi attorno allo Zio Sam, per non buttarsi nelle braccia dell’altro blocco».«C’è l’intento del Pentagono di colpire la Russia prima del collasso planetario del dollaro». In questa chiave Carlo Tia inquadra i drammatici sviluppi che oppongono Mosca e Washington in Ucraina. «Gli scambi tra la Cina e la Russia sono ormai in yuan, fra la Cina e l’Iran in oro», scrive Tia su “Megachip”. «La stessa Cina si sta liberando di circa 50 miliardi di dollari al mese – trasformati in obbligazioni “ricomprate” forzosamente dal Belgio, non si sa esattamente da chi – per sostenere il dollaro (più esattamente, i petrodollari). Lo stesso George Soros sta pesantemente speculando al ribasso a Wall Street. Sono tutti segni di una prossima depressione mondiale, da cui forse gli Stati Uniti potrebbero uscire solo con una prolungata guerra in Europa». A conferma del “pilotaggio” della crisi esplosa a Kiev, lo scoop del “Giornale”: in una telefonata alla “ambasciatrice” dell’Ue, Catherine Ashton, il ministro degli esteri dell’Estonia, Urmas Paet, dice che i cecchini che hanno sparato sulla folla di piazza Maidan non erano uomini di Yanukovich ma probabilmente «della coalizione appoggiata dall’Occidente».
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Al-Qaeda, il killer pagato della Nato: scandalo in Turchia
Il “banchiere” di Al-Qaeda, Yasin al-Qadi, ricercato dagli Stati Uniti dopo gli attentati contro le loro ambasciate in Kenya e Tanzania del 1998, era un amico personale sia dell’ex vicepresidente Usa Dick Cheney sia dell’attuale primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha visitato almeno quattro volte nel 2012 facendo scalo a Istanbul dove – grazie alle telecamere oscurate – ha aggirato i controlli doganali, sotto la protezione degli agenti sicurezza turchi. Secondo la polizia e i magistrati turchi che hanno rivelato queste informazioni e incarcerato i collaboratori di svariati ministri coinvolti nel caso, il 17 dicembre 2013 – prima di essere spogliati delle indagini o sollevati dal loro incarico dal primo ministro – Yasin al-Qadi e Erdoğan avevano sviluppato un vasto sistema di distrazione di fondi per finanziare Al-Qaeda in Siria, racconta Thierry Meyssan, secondo cui lo scandalo che sta scutendo la Turchia rivela che Al-Qaeda, in realtà, «ha sempre combattuto gli stessi nemici dell’Alleanza Atlantica», fin dalla sua nascita nel 1979 come struttura di guerriglia contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan.Nel momento in cui questo incredibile doppio gioco veniva portato alla luce ad Ankara, continua Meyssan in un post tradotto da “Megachip”, la polizia turca ha fermato vicino al confine siriano un camion che trasportava armi per Al-Qaeda. «Delle tre persone arrestate, una dichiarava di trasportare il carico per conto della Ihh, l’associazione “umanitaria” dei Fratelli Musulmani turchi, mentre un’altra affermava di essere un agente segreto turco in missione». In definitiva, il governo ha ostacolato la giustizia, confermando che «il trasporto era un’operazione segreta del Mit (i servizi segreti turchi)», e ha ordinato che il camion e il suo carico potessero riprendere il loro cammino. L’inchiesta mostra anche che il finanziamento turco di Al-Qaeda usava un’industria iraniana, sia per agire sotto copertura in Siria sia per condurre operazioni terroristiche in Iran. «La Nato disponeva già di complicità a Teheran durante l’operazione “Iran-Contras” presso i circoli vicini all’ex presidente Rafsanjani, come lo sceicco Rohani, divenuto poi l’attuale presidente».Questi fatti, aggiunge Meyssan, sono intervenuti nel momento in cui l’opposizione politica siriana in esilio lancia una nuova teoria alla vigilia della Conferenza di Ginevra: le milizie qaediste che hanno seminato strage in Siria sarebbero creature dei servizi di Assad, incaricate di terrorizzare la popolazione per indurla ad accettare la protezione del regime. «Saremmo dinque pregati di dimenticare tutto il bene che la stessa opposizione in esilio diceva di Al-Qaeda da tre anni, così come il silenzio degli Stati membri della Nato sulla diffusione del terrorismo in Siria». Pertanto, se si può ammettere che la maggior parte dei leader dell’Alleanza atlantica ignorasse del tutto il sostegno della loro organizzazione al terrorismo internazionale, per Meyssan «si dovrà anche ammettere che la Nato è il principale responsabile mondiale del terrorismo».Finora, le autorità Nato hanno sostenuto che il movimento jihadista internazionale, da esse sostenuto in occasione della sua formazione durante la guerra in Afghanistan contro i sovietici, si sarebbe ritorto contro di loro dopo la liberazione del Kuwait nel 1991. Gli Stati Uniti accusano Al-Qaeda di aver attaccato le ambasciate Usa in Kenya e in Somalia nel 1998 e di aver fomentato gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, ma ammettono che dopo la morte “ufficiale” di Osama Bin Laden, nel 2011, «certi elementi jihadisti hanno nuovamente collaborato con loro in Libia e in Siria». Tuttavia, Washington avrebbe messo fine a questo riavvicinamento tattico nel dicembre 2012. «In realtà, questa versione è contraddetta dai fatti», sottolinea Meyssan, perché Al-Qaeda ha sempre combattuto dalla parte della Nato, come ora viene confermato anche dallo scandalo turco.Il “banchiere” di Al-Qaeda, Yasin al-Qadi, ricercato dagli Stati Uniti dopo gli attentati contro le loro ambasciate in Kenya e Tanzania del 1998, era un amico personale sia dell’ex vicepresidente Usa Dick Cheney sia dell’attuale primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha visitato almeno quattro volte nel 2012 facendo scalo a Istanbul dove – grazie alle telecamere oscurate – ha aggirato i controlli doganali, sotto la protezione degli agenti sicurezza turchi. Secondo la polizia e i magistrati turchi che hanno rivelato queste informazioni e incarcerato i collaboratori di svariati ministri coinvolti nel caso, il 17 dicembre 2013 – prima di essere spogliati delle indagini o sollevati dal loro incarico dal primo ministro – Yasin al-Qadi e Erdoğan avevano sviluppato un vasto sistema di distrazione di fondi per finanziare Al-Qaeda in Siria, racconta Thierry Meyssan, secondo cui lo scandalo che sta scutendo la Turchia rivela che Al-Qaeda, in realtà, «ha sempre combattuto gli stessi nemici dell’Alleanza Atlantica», fin dalla sua nascita nel 1979 come struttura di guerriglia contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan.
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Siria, strano silenzio sul rapimento di Domenico Quirico
Lo stranissimo silenzio dei media e del governo italiano sul sequestro del cronista della “Stampa”, Domenico Quirico, si accompagna a un “raffreddamento” occidentale verso i “ribelli” siriani. Un po’ troppo qaedisti per essere i “freedom fighters” della propaganda. Una svolta nella guerra alla Siria? Si direbbe proprio di sì. E così, sbaragliate le bande dei “ribelli”, il regime di Assad ricomincia a trovare credito addirittura sui media mainstream, dal giornale di Quirico alla stessa “Reuters”, nonché in non poche cancellerie occidentali, ormai fredde di fronte alla “guerra per procura” finora condotta in Siria, soprattutto attraverso mercenari coordinati dalla Nato. Esercitare pressioni sull’Italia? Potrebbe essere uno degli obiettivi di un simile rapimento. Una cosa è certa: i cosiddetti ribelli sono ormai alle corde e Assad stravincerà le elezioni nel 2014: secondo un sondaggio della Cia, il presidente ha con sé il 75% della popolazione siriana.
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Armi chimiche, Obama e la Siria: ricordate Colin Powell?
«E’ possibile dimenticare Colin Powell, segretario di Stato Usa nel 2003, che agita una provetta di “armi batteriologiche” mentre interviene all’Onu? Era falso, ma venne preso per buono e spianò la strada alla guerra e all’invasione dell’Iraq». Lo scenario si ripete con la Siria: “fonti” israeliane hanno denunciato trasferimenti sospetti di armi chimiche. Questo, afferma Alessandro Avvisato su “Contropiano”, è bastato a Usa e Nato per dichiarare che gli Stati Uniti, in caso di uso provato di armi chimiche, interverranno in qualche modo. E mentre «l’aria di manipolazione mediatica a fini di guerra è fin troppo evidente», si scopre che i droni di Tel Aviv già sorvolano il confine siriano, e che il Mossad – stando alla rivista “Atlantic” ha già chiesto alla Giordania il permesso di sorvolo per bombardare i presunti siti delle armi chimiche siriane, che secondo il “Washington Post” sarebbero addirittura 75.
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Macelleria-Siria, la strana alleanza tra Israele e Jihad
La Reuters ha faticato parecchio prima di poter pubblicare che qualche mese fa il presidente americano Barack Obama aveva approvato una “intelligence” dalla quale risulta che la Cia, Central Intelligence Agency, doveva dare un appoggio ai “ribelli” armati, che si battono per un cambiamento di regime in Siria e che ora questo sostegno deve essere tolto. A questo punto anche i più sperduti pescatori delle isole Figi già saranno a conoscenza di questo “segreto” (per non tornare a ripetere che in tutta l’America Latina si conosce una cosetta o due su come la Cia si sappia destreggiare nel rovesciare un regime). La Reuters descrive con cautela questo sostegno, come «circoscritto». Ma questo è, ovviamente, il codice per “proteggersi le spalle”. Infatti ogni volta che la Cia vuole abbandonare qualche progetto si serve della stampa e di qualche scriba fedele, come David Ignatius del “Washington Post”.
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Giulietto Chiesa: l’onore dell’Italia calpestato da tutti
I marò arrestati in India, in contemporanea con la vicenda tragica dell’attacco dei commandos britannici in Nigeria che ha provocato la morte di un italiano: due occasioni che hanno permesso di assistere a una specie di scontro tra gallinacci – che in Italia hanno gareggiato per vedere chi è che fa il coccodè più forte – al quale ha partecipato anche il ministro degli esteri Terzi e in qualche misura anche il presidente Napolitano. Tutti a cercare di dimostrare che sono molto preoccupati per il prestigio e l’onore dell’Italia. Mi viene in mente anche l’episodio precedente, quello di Battisti (personaggio indigesto, di cui non voglio nemmeno parlare), perché dietro c’è un altro gigante, il Brasile.
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Siria, sangue e menzogne: e se un giorno toccasse a noi?
Una “tecnica” (in inglese technical) è un tipo di veicolo militare low cost, un micidiale accrocchio composto da un mezzo civile con un cassone (tipicamente un pick-up) attrezzato con armi pesanti, quali lanciarazzi e grosse mitragliatrici. È spaventosamente efficace e distruttivo. Gli hanno dato anche altri nomi: gunship, guerrilla truck, battlewagon, gunwagon. Noi continuiamo a chiamarlo con il nome che ne battezzò la comparsa in Somalia. Guardiamolo bene, fissiamocelo in testa, quel veicolo. Quando la “tecnica” scorrazzerà nelle nostre strade di sempre, in slalom tra le macerie, l’involucro della nostra normalità sarà stato già frantumato.
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“Ribelli” di Bengasi in Siria per la prossima guerra Nato
Sta arrivando una guerra ancora più sporca di quella appena conclusa in Libia per rovesciare Gheddafi col pretesto umanitario. Nuovo obiettivo: Damasco, anticamera di Teheran. “Libia 2.0” uguale Siria? No, peggio: «E’ più “Libia 2.0 remix”», col solito alibi “R2p”, cioè “responsabilità di proteggere”, ovvero «i civili bombardati fino alla democrazia», ma stavolta senza neppure la copertura dell’Onu, perché Russia e Cina opporranno il veto. E mentre anche la Turchia soffia sul fuoco, Hillary Clinton scalda i reattori degli F-16: alla televisione indonesiana ha appena annunciato che in Siria sta per scatenarsi «una guerra civile», ben finanziata e «ben armata» da un’opposizione zeppa di disertori, ma non solo: il nuovo regime di Tripoli ha inviato al confine siriano 600 miliziani, reduci della “rivoluzione” contro Gheddafi.
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Galtung: Turchia ed Euro-Cina dopo il declino Usa
Ovviamente la Turchia diverrà membro dell’Unione Europea, col sostegno francese e tedesco. Ci vorrà un po’, ma hanno un bisogno reciproco. Il matrimonio è scritto nelle stelle. Quando, è più difficile dire. Probabilmente per il 2015, sicuramente per il 2020; può anche arrivare molto prima per ragioni da esplorare. Chiarisco perché. Una volta (nel 1980) predissi il declino e la caduta dell’impero Sovietico, cominciando dal Muro di Berlino, di lì a dieci anni; e (nel 2000) predissi il declino e la caduta dell’impero Usa, non del paese Usa, per molti versi meraviglioso, entro vent’anni.