Archivio del Tag ‘antipolitica’
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Sfascisti codardi e perdenti, non spegnerete la nostra voce
«Hanno violentato la legittima protesta degli “indignati”», scrive Gad Lerner all’indomani del disastro della manifestazione romana del 15 ottobre, nella quale alcune centinaia di teppisti hanno rovinato l’I-Day, il corteo pacifico di duecentomola dimostranti contro la “dittatura” della finanza mondiale che taglia il welfare con la scusa del debito gonfiato dalla speculazione. «Di fronte a quegli scalmanati in nero che hanno umiliato e nascosto le nostre legittime incazzature – rincara la dose Ennio Remondino, valoroso inviato di guerra della Rai – l’espressione più diretta che mi viene sarà forse rozza, ma sincera: bastardi, brutti bastardi. Codardi, aggiungo, col vostro mascherarvi alle spalle di chi quell’enorme corteo pacifico lo stava vivendo come momento di grande democrazia.
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Antipolitica? No, ribellione: l’Italia non ne può più
In principio c’è un artificio semantico, una truffa verbale. “Antipolitica”, l’epiteto con cui la politica ufficiale designa questa nuova cosa. Marchio di successo, tant’è che digitandolo su Google si contano 780 mila risultati. Ma che cos’è l’antipolitica? Un sentimento becero, un vomito plebeo? No, un inganno. L’ennesimo inganno tessuto dal sistema dei partiti. Perché mescola in un solo calderone il popolo di Grillo e il think tank di Montezemolo, le signore della borghesia milanese che hanno votato Pisapia e gli studenti in piazza contro la Gelmini, i dipendenti pubblici bastonati da Brunetta e gli imprenditori taglieggiati dall’assessore di passaggio. E perché con questa parola i politici definiscono l’identità altrui a partire dalla propria. Come facciamo ormai un po’ tutti, definendo extracomunitario il filippino o l’egiziano.
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Reichlin: schiavi del denaro, nel vuoto della non-politica
L’avatar di Berlusconi che davanti al Parlamento balneare dice che va tutto bene, Bersani che replica che «le banche vanno male perché le aziende vanno male, e il mondo lo sa», e poi Casini, l’unico che propone qualcosa (a parte la sostituzione del premier): tanto vale, dice, bere subito la medicina amara dei super-tagli di Tremonti, imposti da Bruxelles ma assurdamente posticipati al 2013. Un funerale in diretta, a reti unificate: nessuna soluzione per uscire dalla crisi. Nessuna diagnosi, a parte la rituale condanna del Cavaliere ad personam. E soprattutto, nessuna alternativa: stando ai partiti che siedono in Parlamento, domani l’Italia avrà di fronte la stessa non-politica di oggi, al massimo emendata dall’ingombro dell’uomo di Arcore. Più che altrove, a Roma si riflette quello che Alfredo Reichlin chiama «il vuoto mondiale».
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Tav a mano armata: fine della sovranità popolare?
Tav a mano armata: per imporre la Torino-Lione è stato ventilato anche l’impegno dell’esercito, dovendo militarizzare la valle di Susa. E senza mai spendere una parola per dimostrare – conti alla mano – che la nuova linea ferroviaria servirebbe davvero a qualcosa, oltre che a regalare euro-miliardi alla lobby del cemento. Eppure la “colpa” viene fatta ricadere sugli abitanti della valle di Susa, dei quali viene evocata la “violenza”, quando invece sono stati proprio loro, finora, a finire all’ospedale, colpiti dai manganelli. E restano tuttora senza colpevoli i 12 attentati incendiari e dinamitardi che alla fine degli anni ’90 scossero la valle, provocando l’arresto dei giovani anarchici Edoardo Massari e Soledad Rosas, morti in stato di detenzione prima ancora che venisse provata – come poi avvenne – la loro estraneità rispetto a quella tenebrosa pagina di strategia della tensione.
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Facce pulite, fuori dalla Casta: anche il Pd impari la lezione
«Emozionante», commenta Paolo Flores d’Arcais, direttore di “Micromega”, sulle pagine del “Fatto Quotidiano” all’indomani della storica disfatta berlusconiana in tutta Italia, da Milano a Napoli. Se la democrazia sembra quasi diventata “eversiva”, ben vengano gli outsider come Pisapia e De Magistris, bollati come estremisti e populisti: è il popolo sovrano che li vuole, preferendoli al cupo Cavaliere minaccioso ma anche ai sordi burocrati del centrosinistra. «Non si vince “al centro”», insiste Flores d’Arcais, che critica il centrosinistra dai giorni di Mani Pulite: «Non si vince con la geometria delle nomenklature: vince chi conquista la posizione strategia della cosiddetta “antipolitica”, che poi è l’incoercibile voglia di politica autentica, dove i cittadini tornano protagonisti e i partiti o le liste elettorali sono loro strumenti».
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Antiberlusconiani? Troppi concorrenti, rissosi e divisi
Nonostante «vocina chioccia e taglia sovrappeso», Beppe Grillo, «mercuriale comico genovese riciclatosi in profeta», ha preso le distanze dalla protesta popolare organizzata dalla Fiom il 16 ottobre in nome dei diritti del lavoro e contro la “dittatura” della Casta. Perché Grillo non ha aderito? «L’ermeneutica del sospetto», scrive Pierfranco Pellizzetti su “Repubblica”, «ci porta subito a dire che nell’area emotiva dell’antiberlusconismo duro e puro sta dilagando il nervosismo. Per una ragione semplicissima: il sovraffollamento». Di Pietro, Vendola, Grillo. Se poi ci si mette anche la Fiom, si fa serrata la concorrezza per aggiudicarsi quel 10-15% di elettori arrabbiati. Perché invece non pensare ad unirsi?
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Chiamatela come volete, ma questa non è politica
Ma non chiamatela politica. Dategli almeno un altro nome, meglio se inventato: chiamatela “pasticcia” o magari “raffazzona”, o anche “rabbercia”. Insomma, dategli il nome che volete ma vi prego non chiamatela “politica”. Perché lo spettacolo di questi giorni, di queste ore, di faldoni, carte bollate, decreti, azzeccagarbugli, circolari, firme, controfirme, telefonate, liste vere, liste finte, urla, manifestazioni, ricorsi, dichiarazioni, accuse infondate e di scuse mai arrivate, responsabili irresponsabili, non può assomigliare nemmeno da lontano all’arte magnifica di governare la città.
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Grillo: non fermerete la rivoluzione della verità
Kamikaze della perestrojka: così lo staff di Gorbaciov etichettò, all’epoca, l’oscuro e ambiguo Boris Eltsin, che strattonava l’uomo del Cremlino per affrettare le riforme e poi, una volta al potere, instaurò la “democratura” di Mosca, in seguito corretta – a modo suo – da Vladimir Putin. Non corre quei rischi il kamikaze dell’antipolitica italiana, Beppe Grillo, il pirata della Rete, principe delle incursioni mediatiche più esplosive degli ultimi anni, da quando cioè il crollo del Muro di Berlino ha trascinato con sé anche i rottami della Prima Repubblica italiana, traslocati precariamente nella Seconda, ereditati da Silvio Berlusconi e “smascherati”, prima che da chiunque altro, dal comico genovese.