Archivio del Tag ‘autocensura’
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Vaccini, strage di militari: la verità della commissione difesa
Uranio impoverito? Pochissime righe sui media mainstream, frettolosamente archiviate. Articoli spesso comparsi solo nella versione web dei quotidiani, con titoli fuorivianti del tipo “oltre mille i marinai malati”. In realtà i militari italiani colpiti da gravi patologie sono almeno 4.000, cui si aggiungono 340 soldati deceduti. E’ il “bollettino di guerra” stilato dalla commissione difesa presiduta dal senatore Gian Pietro Scanu, già sottosegretario alle riforme, non ricandidato dal Pd alle elezioni del 4 marzo. Clamorosa la sua denuncia sulle “strage silenziosa” dei militari italiani, spesso impegnati nelle missioni all’estero. «Particolarmente vergognoso il silenzio dei media sui vaccini somministrati ai militari», afferma Patrizia Scanu, del Movimento Roosevelt. «Insieme all’esposizione all’uranio impoverito, proprio i vaccini rappresentano l’altra sospetta fonte delle gravissime patologie segnalate dal lavoro della commissione». Denuncia confermata da Ivan Catalano, vicepresidente della commissione, deputato eletto coi 5 Stelle e poi passato al gruppo misto, ora impegnato in un confronto pubblico, a Torino, proprio con Patrizia Scanu. Obiettivo: rimediare alle gravi omissioni della stampa su un argomento che investe migliaia di famiglie italiane, a cominciare da quelle dei militari in servizio.Oltre a riconoscere il nesso fra tumori ed esposizione all’uranio impoverito, sottolinea “Blasting News”, la relazione finale della commissione difesa «evidenzia come la pratica vaccinale sia uno dei fattori alla base dei decessi che hanno colpito le truppe italiane». Troppe morti, e troppi giovani soldati alle prese con il cancro: «In particolare, l’attenzione è stata posta sull’esposizione dei militari a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, sull’uso di munizioni contenenti uranio impoverito, sulla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti a seguito di esplosione di materiale da guerra e ad eventuali interazioni». L’inchiesta è durata cinque anni e ha visto coinvolti 30 parlamentari italiani, supportati da un team scientifico con il compito di fornire il supporto medico necessario per ricercare le cause che hanno portato alla morte i militari italiani. Un dossier che fa decisamente riflettere, «in quanto proprio le vaccinazioni militari sono state identificate come uno dei fattori che hanno portato all’insorgere di gravi patologie nei militari italiani e ai decessi di alcuni», aggiunge il newsmagazine, segnalando che la relazione integrale è liberamente disponibile sul sito di Catalano.Come già evidenziato nella relazione intermedia del luglio 2017, scrive la commissione, la vaccinazione comporta di rischi precisi: problemi di immunodepressione, iperimmunizzazione, autoimmunità e ipersensibilità. Affermazione che «ha trovato conferma dall’analisi dei documenti pubblici dei vaccini, quali fogli illustrativi e schede tecniche». In particolare, le stesse case farmaceutiche «chiedono l’applicazione di opportune precauzioni all’impiego del vaccino e, tra l’altro, la verifica dello stato di salute del vaccinando». Nel suo documento, la commissione d’inchiesta chiede quindi «l’adozione del principio di precauzione, dal momento che non si può escludere un nesso di casualità fra la profilassi vaccinale, così come è attualmente praticata fra i militari, e le reazioni avverse, denunciate dalle stesse case farmaceutiche». La commissione chiede inoltre vaccini monodose e monovalenti, che siano anche vaccini “puliti” (ossia privi delle sostanze tossiche attualmente utilizzate nella loro produzionei). E inoltre: somministrazione delle vaccinazioni presso la sanità pubblica, con protocolli militari, esami pre-vaccinali e un’attiva sorveglianza post-vaccinale.Di fatto, le raccomandazioni formulate dalla commissione difesa contengono le medesime richieste avanzate dai genitori italiani contrari all’obbligo vaccinale (legge Lorenzin) e favorevoli invece alla libera scelta di vaccinare o meno i propri figli. Dal canto suo, Patrizia Scanu ha seguito da vicino i lavori della commissione, studiando a fondo – più in generale – anche il “terremoto” dell’obbligo vaccinale che ha mandato in crisi i genitori italiani. Per il Movimento Roosevelt, contrario al decreto Lorenzin («metodo inaccettabile, imposizione non motivata da vere emergenze sanitarie»), Patrizia Scanu ha condotto uno studio approfondito e imparziale sulla materia. Conclusione: un conto è consigliare il ricorso ai nuovi vaccini (con tutte le precauzioni del caso) e un altro è obbligarie le famiglie, dato che in Italia non ci sono epidemie preoccupanti. Inaudito, poi, il silenzio dei media sulla catastrofe sanitaria che ha colpito i militari: una reticenza che, secondo Patrizia Scanu, viola l’articolo 21 della Costituzione, che recita: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Serve trasparenza, innanzitutto: a fronte di una situazione così minacciosa per la democrazia, conclude Patrizia Scanu, occorre reagire: «Il popolo italiano è fatto di cittadini, non di sudditi». E i cittadini, compresi i militari e le loro famiglie, «hanno diritto di sapere».(Ivan Catalano esporrà le conclusioni della commissione difesa insieme a Patrizia Scanu in un incontro pubblico promosso a Torino dal Movimento Roosevelt il 24 marzo 2018, nella sala del Comune di Torino in via De Sanctis 12 – Salone 1, blocco A, alle ore 20,30. L’incontro sarà filmato dal video-blog “ByoBlyu” diretto da Claudio Messora).Uranio impoverito? Pochissime righe sui media mainstream, frettolosamente archiviate. Articoli spesso comparsi solo nella versione web dei quotidiani, con titoli fuorivianti del tipo “oltre mille i marinai malati”. In realtà i militari italiani colpiti da gravi patologie sono almeno 4.000, cui si aggiungono 340 soldati deceduti. E’ il “bollettino di guerra” stilato dalla commissione difesa presiduta dal senatore Gian Pietro Scanu, già sottosegretario alle riforme, non ricandidato dal Pd alle elezioni del 4 marzo. Clamorosa la sua denuncia sulle “strage silenziosa” dei militari italiani, spesso impegnati nelle missioni all’estero. «Particolarmente vergognoso il silenzio dei media sui vaccini somministrati ai militari», afferma Patrizia Scanu, del Movimento Roosevelt. «Insieme all’esposizione all’uranio impoverito, proprio i vaccini rappresentano l’altra sospetta fonte delle gravissime patologie segnalate dal lavoro della commissione». Denuncia confermata da Ivan Catalano, vicepresidente della commissione, deputato eletto coi 5 Stelle e poi passato al gruppo misto, ora impegnato in un confronto pubblico, a Torino, proprio con Patrizia Scanu. Obiettivo: rimediare alle gravi omissioni della stampa su un argomento che investe migliaia di famiglie italiane, a cominciare da quelle dei militari in servizio.
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Clinton, pedofili al potere: e Trump mobilita il Pentagono
Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dai Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, prove alla mano) hanno il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.«Che i media siano controllati e che si auto-censurino per salvarsi il sedere, lo sa anche un cacciavite», premette. «Ma che due notizie bomba sul presidente della nazione più potente del mondo, e accessibili a tutti, scomparire nel nulla sui maggiori media occidentali, per un ordine di scuderia, questo non lo credevo». Attenti: nei Pentagon Papers, nel Watergate, nell’Iran-Contras, nell’Iraq-gate, i fatti erano occulti. Qui invece «sono pubblici e accessibili da una pensionata, riguardano l’uomo più potente del pianeta, eppure sono stati ‘suicidati’ e sepolti da tutti i grandi media con un accordo e con una sincronia scioccanti». In pratica, «i media non esistono più». Trump è sotto attacco da parte di due “Stati ombra” ben noti: il raggruppamento dei servizi segreti (Cia, Nsa, Nga, Fbi) che va sotto il nome di Shadow Government, e le maggiori corporations coi loro lobbysti che foraggiano il Congresso: Big Oil, Big Pharma, Big Banks, Big Media, Arms Industry e Silicon Valley, che passano sotto il nome di Deep State. Nota per gli scettici: chiunque neghi l’esistenza e i poteri di questi apparati, liquidandoli con la parola “complottismo”, «non ha mai letto una pagina del “New York Times”, del “Washington Post” o sentito di P2 e stragismo in Italia, quindi è un cretino».Donald Trump? Un presidente «incontrollabile, e forse anche mentalmente instabile», ma proprio per questo «ha devastato la sacra tradizione di almeno 70 anni di presidenze americane, dove le politiche reali furono sempre influenzate o truccate da Shadow Government e Deep State, fino alla presidenza Obama inclusa». Conclusione: «Trump va quindi abbattuto. Ma quest’uomo è molto meno fesso di ciò che appare», scrive Barnard. O meglio: «Si è circondato di alcuni dei più brillanti ‘Rasputin’ di tutta la storia moderna». Messo sotto assedio, ha quindi contrattaccato con quei due numeri, 13818 – 82 FR 60839. Premessa: «Donald Trump è sotto una ‘Dresda’ di bombe per abbatterlo», fra cui il presunto accordo-scandalo con Putin per truccare le elezioni 2016, che coinvolge anche la sua famiglia (e la relativa inchiesta è nelle mani dell’implacabile ex direttore dell’Fbi Robert Mueller). Sconta «accuse di grave instabilità mentale da impeachment», apparentemente documentate dall’esplosivo bestseller “Fire and Fury” di Michael Wolff: «Una presunta serie di abusi sessuali ai danni di donne lungo la sua carriera sia da businessman che come politico». Poi c’è una sfilza di accuse a membri del suo governo (Steve Mnuchin, Ryan Zinke, Tom Price) per uso personale di denaro pubblico. «Tutti questi scandali s’appoggiano pesantemente sui poteri e/o sulle spiate dello Shadow Government».Ce n’è a sufficienza per demolire chiunque, osserva Barnard. E Trump, senza quel micidiale documento (che ha firmato il 20 dicembre 2017) sembrava un gigante dai piedi d’argilla. «Non controlla l’Fbi, prima diretta dal suo arci-nemico Comey e oggi da Christopher Wray che a sua volta non controlla l’Fbi». In più Trump «non controlla la Cia, diretta da Mike Pompeo, che a sua volta non controlla la Cia». Di più: «Non controlla la Nsa diretta dall’ammiraglio Michael Rogers, che a sua volta non controlla la Nsa». Donald Trump «non ha nessuna influenza sulla Nga, che gioca un ruolo centrale in tutte le inchieste di massima sicurezza in America». Questo, per quanto riguarda lo Shadow Government. «Poi è troppo ricco per poter essere comprato dal Deep State, che – specialmente con Wall Street e la dirigenza ebraica americana – è lo sponsor principale dei democratici, e di tutti i repubblicani ostili al presidente». Poi, continua Barnard, quattro giorni prima di Natale cade la bomba 13818 – 82 FR 60839. «E, usando un’impareggiabile espressione americana, “the shit hit the fan” (la merda finì nelle pale del ventilatore)». Attenzione: l’ordine esecutivo «è uno degli atti legislativi americani più dirompenti da sessant’anni». Cosa dice? Colpisce con le massime armi – militari, giuridiche e finanziarie – chiunque si renda colpevole di violazioni dei diritti umani e di corruzione, negli Usa e nel mondo».L’ordine esecutivo presidenziale «colpisce anche i governi esteri coinvolti, i loro funzionari, e qualsiasi complice in qualsiasi forma». Di più: «Va a colpire queste infami catene là dove gli fa più male, cioè nei soldi, con il blocco e la confisca dei loro denari, proprietà, titoli, azioni, anche nelle loro forme più maliziosamente nascoste o lontanamente imparentate». Certo, «sappiamo che Trump non è Mandela», e infatti quel decreto è stato scritto «per mitragliare a morte un settore ben preciso delle violazioni dei diritti umani». Nel mirino c’è una piaga indicibile: «Il mercato dei minori per pedofilia, nel bacino più ampio dei trafficanti di persone». Infatti, spiega Barnard, il presidente aveva anticipato questa legge il 23 febbraio 2017 in conferenza stampa, rilanciata dalla “Associated Press”, «dove parlò proprio di traffici umani per pedofilia». Ma perché? «Perché Trump sa bene che questo abominio, l’abuso di minori venduti, sembra aver infettato la maggioranza dei vertici del Deep State, col silenzio dello Shadow Government, e con un presunto forte coinvolgimento di una notissima beneficienza: la Clinton Foundation». Come fa Trump a saperlo? «Da anni ne parla in pubblico un ex pezzo grosso della Cia, più altre fonti autorevoli». Sicché, il suo “executive order” «colpirà proprio i suoi nemici».In questo preciso momento, giura Barnard, «negli Stati Uniti alcuni altissimi nomi stanno tremando, e precisamente dalla mattina del 21 dicembre scorso, quando l’“executive order” 13818 – 82 FR 60839 è stato pubblicato ‘in Gazzetta’ a Washington». Un conrattacco mortale: «Jfk fu ucciso per meno, a quanto sappiamo fino ad oggi. Infatti i ‘Rasputin’ di Trump sapevano che la vita del presidente sarebbe stata immediatamente in pericolo dopo quell’ordine esecutivo». Proprio per questo, infatti, «hanno fatto la pensata di tutte le pensate». Cioè: il ricorso d’emergenza al Pentagono. Nelle prime righe dell’“executive order”, il presidente scrive: «Io perciò decido che i gravi abusi dei diritti umani, e la corruzione, nel mondo costituiscono un’insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale». Notare: le parole “minaccia” e “sicurezza nazionale”, pronunciate dal presidente degli Stati Uniti, «implicano l’immediata mobilitazione di tutto l’esercito americano, cioè del Pentagono. E’ di fatto un preallarme di guerra, e di conseguenza le protezioni intorno al presidente divengono massime. E quando si muove il Pentagono non esiste nulla al mondo, se non un arsenale nucleare straniero, che possa batterlo. Questo è ultra-chiaro a tutti gli apparati di Deep State e Shadow Government, che ora sono in “deep shit”, nella merda fino al collo, per essere chiari».Non è stato un caso che Trump abbia messo nei posti chiave a Washington tre generali, e un ammiraglio a capo dei più potenti 007 degli Usa, sottolinea Barnard. «Abbiamo il generale James “Mad Dog” Mattis come ministro della difesa, il generale John Kelly come White House Chief of Staff e il generale H. R. McMaster come Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Poi, anche se boicottato dai suoi sottoposti, c’è l’ammiraglio Michael Rogers a capo dalla Nsa. Insomma, il Pentagono. Trump sarà anche scemo, ma cosa sia lo Shadow Government lo sapeva benissimo, e si è protetto». Protezioni salva-vita, ora che Trump – per sfuggire all’assedio di cui è vittima – incalza i suoi nemici, capeggiati da Hillary Clinton, con quell’ordine esecutivo concepito «per metterli in un angolo con indagini profonde sul traffico internazionale di minori per pedofilia, in cui sarebbero coinvolti molti vertici Usa del Deep State, inclusi i Clinton, col silenzio dello Shadow Government». “The Donald” lo sta facendo «coprendosi le spalle con l’intero esercito degli Stati Uniti». Del resto, l’argomento toccato è off limits: pedofilia e potere, “non aprite quella porta”. Nessuno aveva mai osato tanto: l’abuso di bambini, nelle alte sfere, è un tabù inaccessibile. Chi tocca, muore.«Esisterebbe dunque un traffico di minori per pedofili di altissimo livello ai vertici del Deep State, inclusi i Clinton», scrive Barnard. «Trump apprende questo da molte fonti, la prima delle quali è l’ex agente e dirigente pluridecorato della Cia Kevin M. Shipp. Costui, senza la fama attribuita al suo collega ‘whistleblower’ Edward Snowden, sta rivelando da anni il livello di marciume criminale che davvero permea lo Shadow Government in America». Shipp è stato esperto di anti-terrorismo, guardia del corpo di due direttori della Cia. Era ai vertici della Counterintelligence, ed è stato citato dal “New York Times” come «veterano della Central Intelligence Agency». In altre parole: «Non è proprio un signor nessuno nello Shadow Government americano». Barnard ricorda che da anni il “Washington Times”, il “New York Post” e l’inglese “Guardian” «riportavano notizie certe sui cosiddetti “Voli Lolita” – cioè voli su un jet privato per orge con minori – organizzati dal miliardario pedofilo Jeffrey Epstein». Per dire: «Bill Clinton, secondo gli atti del processo che condannò Epstein, fu ospite 26 volte su quei voli». Altri nomi di alto rango trovati nell’agenda “nera” del miliardario «furono Tony Blair, Michael Bloomberg, Richard Branson fra molti altri, e i cellulari delle minori schiave del sesso fra cui “Jane Doe N.3”», una ragazzina che negli atti processuali ha dichiarato di «essere stata costretta a rapporti sessuali con diversi politici americani, top businessmen, un premier famosissimo e altri leader internazionali».Nel 2006, continua Barnard, «Epstein fece una grassa donazione alla Clinton Foundation». Nella capitale Usa, la Ong di Conchita Sarnoff, “Alliance to Rescue Victims of Trafficking”, ha decine di files su “potere e pedofilia”. Un incubo? Certo. «Ora, provate a trovare traccia sui grandi media italiani o americani dell’esplosivo affare». Niente: silenzio assoluto sui nomi coinvolti, «come Bill e Hillary Clinton, Robert Mueller, Kevin M. Shipp». Sui media, le espressioni Deep State e Shadow Government neppure compaiono. «Attenti, non parliamo di una legge del Nicaragua, ma del presidente americano più discusso e delegittimato della storia». Silenzio stampa totale: ne accenna il solo “Financial Times”, «ma svuotando tutta la news». Peggio: il 19 gennaio, giunge al Congresso un memorandum «che sembra contenere le prove delle azioni della Clinton, coi soldi del Partito Democratico, col silenzio di Cia ed Fbi, per usare i poteri “tech” della Nsa permessi dalla legge Fisa, sotto la presidenza di Obama… e il tutto per spiare la campagna elettorale di Trump, per corrompere testimoni russi a dire il falso contro il neo-eletto presidente, e con la collusione di Londra».“Fox News” titola: “Molto più grave del Watergate”. Il sito di finanza “Zero Hedge” pubblica all’istante i Tweet di alcuni senatori americani sotto shock, con parole come «questo memorandum manderà a spasso un sacco di gente, al Dipartimento della Giustizia, e certi nomi finiranno in galera», dalla bocca del senatore Matt Gaetz. Roba da invadere le prime pagine di “New York Times” e “Repubblica”, passando per “Cnn”, “Bbc” e “Rai”. «Nulla. Vado su “Fox News”, e in prima non c’è più nulla! Perdo il fiato. Ma lo recupero quando “Zero Hedge” pubblica un Tweet del più autorevole fra gli autorevoli, Edward Snowden, che conferma tutto». Eppure, di nuovo – scrive Barnard – ago e filo «hanno cucito la bocca e le dita di tutto il mondo dei media che contano in un istante, e con un potere di assolutismo che davvero non credevo possibile a questo livello». Ipotesi: «E’ possibile che lo stesso Donald Trump sia parte di questa incredibile congiura del silenzio, per barattare coi suoi nemici e per poterli poi ricattare per anni, ma ciò non cambia la sostanza». Sotto i nostri piedi si sta spalancando un abisso: «Non fate figli», chiosa Barnard.Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dal clan Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, probabilmente ricattabili a vita) hanno comunque il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.
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Magaldi: 007 complici dei kamikaze, chi lo nega è bugiardo
«Toglietevi dalla testa l’idea che i servizi segreti non siano al corrente dei preparativi terroristici in corso: se la strage avviene, significa che settori dell’intelligence l’hanno consentita». Parola di Gioele Magaldi, all’indomani dell’ennesimo attentato di Londra, avvenuto pochi giorni dopo quello di Manchester. Attentati “false flag”, targati Isis, opportunamente confezionati – come già in Francia, Belgio e Germania – per produrre una politica securitaria: non stupisce oggi la premier Theresa May che dice “adesso basta, cambiamo le regole del nostro vivere”. Meno libertà per tutti? E’ esattamente l’obiettivo delle vere “menti” degli attentati-kamikaze, nient’affatto islamiche. Attentati che, peraltro, continuano a risparmiare l’Italia. E non a caso, secondo Magaldi: «Da noi, gli apparati di sicurezza lavorano lealmente, con professionalità. Laddove comunque dovessero emergere delle falle nella sicurezza – aggiunge Magaldi – sappiamo per certo che ci sarebbe lo zampino di qualche complice, all’interno delle istituzioni preposte alla vigilanza. Perché è matematicamente impossibile che i preparativi di un attacco, in Italia come in tutta Europa, sfuggano alla rete dell’intelligence: e chi dice il contrario mente, sapendo di mentire».Nel bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi svela il ruolo – anche nell’incubazione del neo-terrorismo – di Ur-Lodges supermassoniche internazionali come la “Hathor Pentalpha” fondata dal clan Bush, implicata nell’11 Settembre. E ora, ai microfoni di “Colors Radio”, denuncia quelle che definisce evidenti complicità nella carneficina in corso, dimostrate anche dalla puntuale, apparente “impreparazione” delle forze di polizia, inglesi e francesi: «Cose assurde, incredibili: personaggi lasciati circolare da un posto all’altro a preparare attentati. Invece della sorveglianza c’è stata quasi un’osservazione benigna, come a dire: “Fa’, pure, perché per qualche motivo ti devo lasciar compiere il tuo attentato”. Quindi, per favore, non raccontiamoci frescacce». Troppi strani “errori”, nella rete di protezione: «Se ne sono accorti persino i media, solitamente “ovattati” e autocensurati». In realtà, aggiunge Magaldi, «è anormale il funzionamento dei servizi antiterrorismo in Francia, in Gran Bretagna e ovunque si siano verificati attentati di questo tipo».Si punta a produrre paura generalizzata, che può aver avuto un effetto drammatico anche nell’incidente di Torino, con la folla impazzita di paura per l’esplosione di un petardo davanti al maxischermo che trasmetteva in piazza la finale di Champions: «Se si sollecita l’immaginario collettivo nel senso del terrore, è facilissimo che queste onde si trasmettano». Dobbiamo abituarci, insiste Magaldi: «C’è una maestria nel diffondere questa psicosi». C’era stato un momento quasi di assuefazione, dopo gli attentati francesi (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza) e ora c’è un nuovo salto di qualità. «Si vuol far credere che l’attentato è imprevedibile, che può succedere ovunque, dietro casa, in piazza, al concerto, come se noi non fossimo costantemente nella capacità di prevenire, intercettare, filtrare informazioni». La gente, forse, non sa come opera «un sano ed efficace antiterrorismo», quello delle reti di intelligence. «Chi conosce questi mondi – spiega Magaldi – sa perfettamente che è impossibile sfuggire ad una sorveglianza adeguata, a meno che coloro che sorvegliano non si “distraggano”, e lo facciano in malafede, in connivenza con chi poi li esegue, gli attentati».Anziché credersi in pericolo costante, i cittadini farebbero meglio a «chiedere ai governi di essere protetti efficacemente, ma senza subire restrizioni alla loro libertà». In questo, aggiunge Magaldi, «è sospetta la reazione di Theresa May all’ennesima odiosa carneficina: proprio la tolleranza e il rispetto delle libertà individuali sono ciò che la retorica del terrorismo combatte». Addio libertà? E’ esattamente l’obiettivo dei burattinai del terrore, che si nascono dietro sigle come l’Isis. «Dietro ci sono interessi non integralisti, ma che utilizzano l’integralismo religioso per promuovere regimi di vita in senso non tollerante, repressivo e illiberale nei paesi occidentali», continua Magaldi. «Ricordiamoci che la prima stagione del terrorismo globale, quella di Al-Qaeda, negli Usa ha prodotto le norme del Patriot Act, leggi liberticide che hanno limitato la libertà di movimento e diverse libertà civili dei cittadini americani, sostanzialmente conseguendo proprio quegli obiettivi che il terrorismo dice di perseguire, cioè la trasformazione in senso antidemocratico e illiberale dell’Occidente».Per Magaldi, il retroscena è geopolitico: chi sperava di “reincarnare” Al-Qaeda nello Stato Islamico per prolungare illimitatamente la “guerra infinita”, oggi è in difficoltà. «L’elezione di Donald Trump ha rappresentato un fattore disorientante per chi era pronto a declinare la “parte due” del copione, riguardante l’Isis, e ora ci sono dei colpi di coda». Che fare?Innnanzitutto non cedere alla paura, come vorrebbero gli strateghi occulti del terrore: «Bisogna tenere la barra dritta, sapendo che qualunque penetrazione attraverso le maglie dell’antiterrorismo e dell’intelligence ha precise responsabilità istituzionali». E quindi «non è certo limitando la libertà dei singoli, dei gruppi o del vivere civile occidentale che si consegue efficacemente la protezione dei cittadini». Il problema è, semmai, «cercare le mele marce». Magaldi lo ripete con la massima chiarezza: «In Francia, a Londra e ovunque accada un evento terroristico, se accade è perché l’intelligence e l’antiterrorismo non hanno fatto il loro mestiere, e non certo perché c’è una società che consente la libera circolazione delle persone e la tutela dei diritti individuali».Questo va chiarito, «altrimenti non si spiega perché, per esempio, in Italia – dove l’intelligence e l’antiterrorismo funzionano molto bene – finora non ci sono stati attentati». Qualcuno potrebbe dire: ma ce ne saranno, prima o poi. «Quando ci fossero – scandisce Magaldi – sarà perché qualcuno magari avrà tradito o avrà allentato il controllo per favorire la realizzazione di qualche attentato». Impossibile che qualcuno colpisca, con successo, eludendo le reti di sicurezza: di questo, Magaldi si dice certissimo. «Con gli attuali strumenti (risorse umane sul territorio e dotazioni tecnologiche) è assolutamente possibile prevenire attentati, ovunque. Quindi non è vero che c’è una loro imprevedibilità. Gli attentati sono spesso prevedibili, dunque prevenibili», e chi sostiene il contrario «mente, sapendo di mentire». In passato, peraltro, non è sempre andata così liscia: al contrario, l’Italia è stata colpita tante volte, dal terrorismo. Il motivo per cui non è più successo, «e probabilmente non succederà», ribadisce Magaldi sta nella lealtà e nell’impegno delle nostre forze di sicurezza. E aggiunge, a mo’ di avvertimento: «Se dovessi essere smentito, a quel punto saprò dove puntare il dito, con nomi e cognomi».«Toglietevi dalla testa l’idea che i servizi segreti non siano al corrente dei preparativi terroristici in corso: se la strage avviene, significa che settori dell’intelligence l’hanno consentita». Parola di Gioele Magaldi, all’indomani dell’ennesimo attentato di Londra, avvenuto pochi giorni dopo quello di Manchester. Attentati “false flag”, targati Isis, opportunamente confezionati – come già in Francia, Belgio e Germania – per produrre una politica securitaria: non stupisce oggi la premier Theresa May che dice “adesso basta, cambiamo le regole del nostro vivere”. Meno libertà per tutti? E’ esattamente l’obiettivo delle vere “menti” degli attentati-kamikaze, nient’affatto islamiche. Attentati che, peraltro, continuano a risparmiare l’Italia. E non a caso, secondo Magaldi: «Da noi, gli apparati di sicurezza lavorano lealmente, con professionalità. Laddove comunque dovessero emergere delle falle nella sicurezza – aggiunge Magaldi – sappiamo per certo che ci sarebbe lo zampino di qualche complice, all’interno delle istituzioni preposte alla vigilanza. Perché è matematicamente impossibile che i preparativi di un attacco, in Italia come in tutta Europa, sfuggano alla rete dell’intelligence: e chi dice il contrario mente, sapendo di mentire».
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Sorvegliati via smartphone: Singapore, governa Big Data
«Il nostro smartphone ci rende trasparenti e molto vulnerabili: certamente sarebbe meno pericoloso girare completamente nudi in un parco», anche perché il microfono «funziona anche quando la nostra conversazione è terminata (penso a Siri per l’iPhone)». Sicché, «ogni nostra parola, i suoni intorno a noi, i nostri movimenti, sono registrati». Un sistema di controllo perfetto. Perché allora non farne anche un sistema di governo? E’ esattamente la scelta di Singapore, che «sta progettando un nuovo modello d’ingegneria sociale che potrebbe presto essere applicato altrove, in particolare nelle grandi metropoli come Parigi», scrive il sociologo belga-canadese Derrick de Kerckhove, direttore scientifico della rivista italiana “Media2000” e dell’Osservatorio TuttiMedia all’Internet Forum di Pechino, dopo aver guidato il McLuhan Program di Toronto fino al 2008. Ora siamo alla “datacrazia” definitiva, il “potere dei dati”: i leader li crea direttamente un algoritmo, i cittadini si adeguano ai comportamenti sociali imposti dalla tecnologia, di cui il governo si serve per mantenere il controllo. Una “tirannia morbida”, verso il “governo delle macchine”.L’analisi di Derrick de Kerckhove, presentata su “Avvenire”, parte dall’esempio di una città-Stato, Singapore, dove il modello di gestione è fondato sulla tecno-etica. «Ho definito quest’organizzazione “datacracy”, perché è una civiltà che si fonda sui dati e apparentemente permette di vivere in un luogo ideale senza rapine né furti». Tutto è regolato secondo un nuovo ordine che parte dalla raccolta e dall’analisi dei dati. «Il protagonista di questo nuovo modello è lo smartphone, perché ci identifica molto più del nostro passaporto, della nostra carta di credito o del nostro certificato di nascita». Il telefono palmare, infatti, «contiene tutto ciò che riguarda ciascuno di noi ed è sempre pronto a condividere contenuti con chiunque abbia le giuste capacità tecniche, anche se non possiede requisiti giuridici o diritti legali». Di noi, lo smarthone registra tutto, cosa che «ormai è di dominio pubblico». Follia? No, è solo l’ultimo gradino della scala che stiamo scendendo, da anni: «Dall’arrivo di Internet – scrive il sociologo – abbiamo iniziato a perdere privacy e anche il controllo delle nostre idee, scritte o discusse. E presto, forse, perderemo anche l’esclusiva sui nostri pensieri».Le tracce che ciascuno di noi lascia, continua de Kerckhove, sono raccolte da banche dati e poi riutilizzati per tanti scopi. Scandaloso? Ma anche ineluttabile: «Quello che sta accadendo dopo l’adozione globale di Internet è una graduale diminuzione delle libertà civili e delle garanzie che associamo con l’idea di democrazia occidentale», ammette lo studioso. «La privacy svanisce più velocemente nelle società dove le garanzie per l’individuo sono meno sacre o addirittura inesistenti; ne è prova l’evoluzione di Singapore, dove Lee Hsien Loong, figlio di Lee Kuan Yew, continuando l’opera del genitore ha abilmente usato la tecnologia per mettere sotto sorveglianza permanente i suoi cittadini». E guarda caso, «Singapore è la città-Stato con il più alto tasso di penetrazione al mondo di smartphone». Fino a che punto il fine può giustificare i mezzi? «Singapore si pone come Stato precursore del controllo urbano attraverso la sorveglianza fondata su Big Data e smartphone». Un modello di vita basato sulla tecno-etica: «I cittadini di Singapore, come la maggior parte di noi, trascorrono molta della loro vita attiva di fronte a uno schermo, lasciano tracce: sono geolocalizzati, si sa cosa scrivono e dicono. Le istituzioni di Singapore hanno deciso senza pudore di fare pieno uso di tali informazioni al fine di garantire ordine sociale e comportamenti corretti. Nessuno sporca la città, nessuno trasgredisce la legge».Nella metropoli asiatica, rilva il sociologo, la tendenza alla sorveglianza occhiuta si manifesta tra il 1965 e il 1990, quando Lee Kuan Yew (premier e padre dell’attuale capo di governo), istituisce regole draconiane per ripulire la città e per gestire le tensioni tra i quattro gruppi etnici che popolano Singapore. Tante le imposizioni: vietato masticare chewingum fuori casa, sputare per terra; non azionare lo scarico nei bagni pubblici. Bacchettate sulle mani per gli autori di graffiti, fustigazione per gli atti vandalici. Idem per l’ambito privato: zero pornografia, illegale il sesso gay (due anni di carcere). E’ illegale persino camminare nudi, in casa, fuori del bagno. Questo regime ha un nome, si chiama “democratura”. E oggi sta diventando anche “datacracy” o “governo di algoritmi”. «L’imposizione di una trasparenza completa permette di sapere il più possibile su tutto e tutti». Salito al potere nel 2004, Lee Hsien Loong ha imposto nuovi divieti e onnipresenti telecamere di sorveglianza: «Siamo alla ricreazione di Argus, il gigante della mitologia greca che tutto vede con i suoi 100 occhi. L’attuale capo del governo ha sostituito la democratura del padre con la datacrazia: siamo al “governo dell’ algoritmo”. E questo significa che dai dati raccolti e analizzati viene automaticamente il responso e, nel caso, la pena».Nuovi sensori e telecamere poste su tutto il territorio di Singapore raccolgono dati e informazioni per consentire al governo di monitorare ogni azione o evento, controllare pulizia degli spazi pubblici, tassi d’inquinamento, densità di folla e movimento di tutti i veicoli. «La sorveglianza è completa grazie ai dati raccolti da smartphone, social media, sensori e telecamere pubbliche». Il sistema «assicura l’immediato giudizio, il verdetto e l’esecuzione della pena (multe o peggio)». E le persone? «Sembrano soddisfatte della situazione, che assicura pace e ordine, pulizia, e attrae investitori», senza contare «salute e tutto il benessere possibile». A Singapore, scrive Derrick de Kerckhove, «si respira un senso di armonia sociale di cui i cittadini sembrano essere orgogliosi». Tutti d’accordo? No, ovviamente: esiste «una frangia di dissenso», peraltro «già sotto stretta sorveglianza». I critici sostengono che l’uso di Internet non è sicuro e quindi le persone tendono all’auto-censura, preferiscono tenere la bocca chiusa. Anche perché i blogger dissidenti sono perseguitati: Amos Yee, 16 anni, è in carcere dal maggio 2015 per commenti offensivi. Ong e informazione libera sono scoraggiati, la tv è monopolio statale, la stampa è fortemente controllata.«La narrazione politica sulla supposta armonia interculturale impera», sottoinea de Kerckhove, «ma il razzismo continua, soprattutto nelle assunzioni». Intanto, «i simboli del passato vengono soffocati da opere moderne, senza rispetto per la storia della città», che viene «riscritta, nei testi scolastici, per soddisfare la propaganda di Stato». A maggior ragione, «l’accesso agli archivi governativi pubblici è limitata». Secondo il sociologo, «ci avviamo al punto di non ritorno di un cambiamento radicale, paragonabile solo al Rinascimento europeo. Questa volta, però, mondiale». De Kerckhove cita Marshall McLuhan, secondo cui l’elettricità è l’infrastruttura della rivoluzione: «Dispositivi d’informazione elettrici sono gli strumenti per la tirannia e la sorveglianza universale, dal grembo materno alla tomba. Nasce così un grave dilemma tra il nostro diritto alla privacy e la necessità della comunità di sapere. Le idee tradizionali legate ai pensieri e alle azioni private sono minacciate dai modelli di tecnologia meccanica che grazie all’elettricità permette il recupero istantaneo delle informazioni». Fascicoli zeppi di notizie e pettegolezzi che non perdonano: «Non c’è redenzione, nessuna cancellazione di “errori” di gioventù». Alla fine, conclude Derrick de Kerckhove, dovremo «trovare un equilibrio tra le esigenze di vita privata e quelle sociali». Cos’è peggio, la vecchia “democratura” o la nuova, inquietante “datacrazia”, ovvero il «potenziale tirannico di un governo dei Big Data»? E soprattutto: «Abbiamo ancora una scelta, in materia», o si tratta di un destino inesorabile?«Il nostro smartphone ci rende trasparenti e molto vulnerabili: certamente sarebbe meno pericoloso girare completamente nudi in un parco», anche perché il microfono «funziona anche quando la nostra conversazione è terminata (penso a Siri per l’iPhone)». Sicché, «ogni nostra parola, i suoni intorno a noi, i nostri movimenti, sono registrati». Un sistema di controllo perfetto. Perché allora non farne anche un sistema di governo? E’ esattamente la scelta di Singapore, che «sta progettando un nuovo modello d’ingegneria sociale che potrebbe presto essere applicato altrove, in particolare nelle grandi metropoli come Parigi», scrive il sociologo belga-canadese Derrick de Kerckhove, direttore scientifico della rivista italiana “Media2000” e dell’Osservatorio TuttiMedia all’Internet Forum di Pechino, dopo aver guidato il McLuhan Program di Toronto fino al 2008. Ora siamo alla “datacrazia” definitiva, il “potere dei dati”: i leader li crea direttamente un algoritmo, i cittadini si adeguano ai comportamenti sociali imposti dalla tecnologia, di cui il governo si serve per mantenere il controllo. Una “tirannia morbida”, verso il “governo delle macchine”.