Archivio del Tag ‘banche’
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Ricchi contro poveri: chi ha voluto questa nuova guerra
La lotta di classe dopo la lotta di classe. Il titolo dell’ultimo saggio di Luciano Gallino racconta lo storico ribaltamento in atto: è il turbo-capitalismo che ha ingranato la quarta contro le conquiste dei movimenti operai ottenute fino agli anni ‘70. Oggi i lavoratori sono sempre più divisi, costretti a una guerra tra poveri. L’attacco all’articolo 18, ma anche semplici frasi come quella di Monti: «Le aziende non assumono perché non possono licenziare». Un disegno ben preciso: una lotta di classe alla rovescia. «Sono idee che circolano da decenni – dice Gallino – e fanno parte della controffensiva iniziata a fine anni ‘70 per superare le conquiste che i lavoratori avevano ottenuto a caro prezzo dalla fine della guerra». Dottrine neoliberiste «imposte adesso con la forza, combattendo i sindacati, comprimendo i salari e tagliando le spese sociali».
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Ladroni a casa nostra, Lerner: crudele nemesi padana
L’indecoroso epilogo della “rivoluzione” leghista, scivolata dalle valli del Nord nella bambagia governativa di Roma, e poi giù fino al paradiso speculativo della Tanzania, deturpa irrimediabilmente la biografia di Umberto Bossi. Il leader politico che si pretendeva addirittura fondatore di una nazione – dice Gad Lerner – viene accusato ora di avere usufruito di soldi pubblici, denaro non contabilizzato, anche per sostenere i costi della sua famiglia: il suo vero punto debole, da quando il Senatùr «s’è adoperato nel tentativo di perpetuare il suo carisma per via dinastica nell’inadeguata figura del figlio Renzo». Proprio lui che aveva fatto della sobrietà popolana la sua cifra esistenziale, continua Lerner su “Repubblica” il 4 aprile, avrebbe commesso leggerezze mai digerite dalla base militante, come la casa in Sardegna intestata al sindacato padano di cui è segretaria la sua “badante” Rosi Mauro.
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Diaz, undici anni dopo: chi ha paura di quel film-verità?
La furia dei tonfa, i manganelli dall’impugnatura a T: un rumore raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale che allagano il parquet della palestra scolastica, schizzano sugli intonaci, gocciolano dai termosifoni. «Un sabba infernale di grida e lamenti che hanno il suono osceno di bestie portate al macello», scrive Carlo Bonini su “Repubblica” il 24 marzo dopo aver visto in anteprima – insieme a due poliziotti e ad una delle vittime – il film sulla “macelleria messicana” alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, girato da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci. Un film arduo: pochissime riprese a Genova per evitare disagi, e i mezzi della polizia usati per le riprese – furgoni e blindati – sequestrati per accertamenti al ritorno da Bucarest, dov’era stato allestito il set. Invitati all’anteprima, i politici – senza spiegazioni – non si sono fatti vedere né a Palermo né a Torino, dove in compenso hanno inviato i vigili urbani a verificare orari e capienza della sala.
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Noi, “plebaglia europea” ingannata dai trattati-capestro
«Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?». Parole, testuali, dell’economista francese Jacques Attali, gran maestro – insieme a Jacques Délors – di leader storici del centrosinistra italiano, come Massimo D’Alema. A raccontare lo sconcertante aneddoto è Alain Parguez, già consigliere di François Mitterrand. Il professor Parguez era presente al summit organizzato lo scorso febbraio a Rimini da Paolo Barnard con gli economisti neo-keynesiani della Modern Money Theory, gli uomini che hanno “resuscitato” l’Argentina. Tesi: chi è dotato di moneta sovrana non può temere il debito pubblico, che invece diventa un’autentica tragedia se gli Stati non possono più stampare moneta, ma sono costretti a prenderla in prestito, a caro prezzo. L’Europa? Praticamente, un caso unico al mondo di suicidio finanziario organizzato, pianificato all’insaputa di mezzo miliardo di persone, cioè noi.
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Non si Monti la testa: finora ha salvato soltanto le banche
Forse è venuto il momento di dire al professor Mario Monti che s’è montato la testa. E la Fornero ancor di più. A furia di leggere sui giornali amici (cioè quasi tutti) che sono i salvatori della patria, i due hanno finito col crederci. In realtà, in estrema e brutale sintesi, finora hanno recuperato miliardi sulla pelle dei pensionati e degli “esodati”, facendo dell’Italia il paese europeo dove si va in pensione più tardi; e altri contano di recuperarli sulla pelle dei lavoratori, dando mano libera alle aziende di cacciare chi vogliono, camuffando per licenziamenti economici anche quelli disciplinari e discriminatori. Quanto alle liberalizzazioni, a parte qualche caccolina sui taxi e le farmacie, non s’è visto nulla, mentre s’è visto parecchio a favore delle banche.
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Occupyamo Piazza Affari: cacciamo quei bugiardi fanatici
L’ho definito un ricattatore, e gli si attaglia: Mario Monti mi preoccupa, lo dico francamente. All’inizio, qualche mese fa, mi pareva solo un pallone gonfiato; adesso sta diventando pericoloso: è un fanatico, un sacerdote fanatico, e i fanatici sono sempre pericolosi. Qualcuno gli ha detto che deve salvare l’Italia; lui ci ha creduto, e per questo vuole ri-educarci. E siccome non gli riesce bene, a quanto pare, nonostante tutto pensa di poteci ricattare: o fate così, come dico io, oppure me ne vado e vi lascio in pasto ai politici corrotti dai quali vi ho appena liberato. Rispondo così: caro Monti, tu non sei diverso da loro almeno per una caratteristica, la tua capacità rapinatoria; la differenza sta solo nello stile. Per cui proporrei, senza troppi rimpianti, di cacciare te e loro, insieme.
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Mai così ricchi: la finanza scommette sulla nostra rovina
Quello che il mondo chiama “crisi”, per loro è il paradiso: “loro” sono quelli che moltiplicano favolosi profitti, proprio mentre noi stiamo affondando. Mai come oggi la casta finanziaria del pianeta ha realizzato guadagni stellari, puntualmente sorretta dalla Federal Reserve che negli Stati Uniti ha pompato dollari nei serbatoi di Wall Street salvando dalla bancarotta tecnica la contabilità speculativa delle super-lobby. Peggio ancora in Europa, dove i tecnocrati di Bruxelles – non eletti da nessuno e nominati di fatto dalle grandi corporation – impongono il rigore a tutto il continente, per proteggere i privilegi della finanza. Che intanto galoppa indisturbata tra oceani di miliardi di carta, frutto della speculazione: oggi l’economia virtuale delle banche d’affari vale 14 volte più dell’economia reale, quella che produce beni e servizi.
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Sorpresa, l’Italia regalò miliardi a Morgan Stanley: perché?
Oltre due miliardi e mezzo di euro – l’equivalente di mezza riforma delle pensioni – finiti in gran silenzio nelle casse della Morgan Stanley, super-banca americana, in virtù di una strana clausola stipulata nel lontano 1994, quando a dirigere le operazioni era un certo Mario Draghi, allora a capo dello staff tecnico del Tesoro. Ora che lo Stato italiano ha versato tutti quei soldi alla Morgan, dice Gad Lerner sul suo blog, è lecito domandarsi: chi prese all’epoca quella decisione? E in base a quali motivazioni? Secondo il “Financial Times”, negli anni ’90 la banca d’affari americana vendette al governo italiano una montagna di “titoli derivati” facendo ricorso a un’insolita clausola legale, a tutto vantaggio del colosso finanziario statunitense: libero di sciogliere l’impegno non appena avesse cessato di garantirgli maxi-rendite, scaricate poi sul debito e quindi sulle tasse degli italiani.
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La diserzione della politica: cittadini sempre più indifesi
L’incredibile Bersani demolito in mondovisione da Marco Travaglio in soli 13 minuti, senza essere riuscito a dire una parola a giustificazione della Tav Torino-Lione. E poi Alfano che blatera contro il “pericolo rosso” e le nozze gay, mentre il suo capo Berlusconi festeggia l’assoluzione di Dell’Utri in Cassazione. Così, il dialogo con la popolazione italiana – dalla valle di Susa militarizzata alle retrovie dell’ultimo corteo romano della Fiom – è affidato ai reparti antisommossa, mandati “al fronte” da un governo di anonimi tecnocrati che nessuno ha eletto. Ormai, avverte Lorenzo Guadagnucci, stanno usando la polizia contro di noi, secondo lo schema inaugurato al famigerato G8 di Genova: per Andrea Camilleri, quelle erano «prove tecniche di colpo di Stato».
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Tav, la talpa occulta della Casta che ci scava nelle tasche
Probabilmente non vincerà nessuno e perderemo tutti. Sulle grandi opere si sta scommettendo il futuro delle nostre economie, in particolare in Italia, perché le architetture finanziarie che si costruiscono su queste grandi opere sono meccanismi per scavare un debito pubblico occultato nella contabilità di società di diritto privato. Il cosiddetto project financing, del quale si riempiono la bocca molti politici quando le risorse pubbliche vengono a mancare, è esattamente il meccanismo che ha prodotto la crisi del 2009. In quel caso, il debito era costruito su finanziamenti privati; in questo caso, l’impacchettamento del debito è costruito sul debito pubblico. E il project financing è esattamente questo: una talpa, che provoca un debito pubblico futuro che prima o poi, inevitabilmente, emergerà. Questa talpa è già partita da molti anni – dall’inizio degli anni ’90, dal “dopo Tangentopoli” in poi – ed emergerà, prima o poi, perché è un debito occultato.
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Licenziare per crescere? Barnard: siete bugiardi e criminali
Licenziare per crescere? Follia, ossimoro. Ma attenti: il nuovo dogma riciclato dal club di Mario Monti in realtà è roba vecchia. La coniò cent’anni fa l’economista inglese Arthur Cecil Pigou, alfiere della scuola “neoclassica” europea, nemica dell’economia democratica fondata sulla condivisione progressiva della ricchezza prodotta. Quello di Pigou non era un errore, ma un calcolo: impoverire milioni di lavoratori significa innanzitutto concentrare fortune inaudite nelle mani di pochissimi “rentiers”, veri eredi dei nobili che in Francia nel 1789 esasperarono il paese fino a far scoppiare la Rivoluzione. Come può un lavoratore amputato nel reddito essere poi colui che consuma abbastanza da sorreggere l’economia a cui l’azienda stessa si rivolge? E, come disse Keynes: in un’economia che soffre per il calo dei consumi, a loro volta come fanno le aziende ad assumere lavoratori?
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Green economy? No, grazie: Torino incenerisce il futuro
Per favore, fermare quel mostro: servirà solo a seppellirci di debiti e probabilmente anche di tumori. Il “mostro” è l’inceneritore torinese del Gerbido, in via di costruzione alla periferia di Mirafiori, affidato “in house” alla società pubblica Trm, trattamento rifiuti metropolitani. Costo iniziale: quasi mezzo miliardo di euro. Soldi prestati dalle banche, scrive il battagliero comitato No-Inc, che dovranno essere restituiti (con fior di interessi) nei prossimi vent’anni: questo condannerà la Provincia di Torino per almeno quattro lustri a distruggere i suoi rifiuti, anziché riciclarli con intelligenza, restando «completamente tagliata fuori da tutti gli sviluppi futuri delle tecnologie alternative e sicure». Se la risposta ai No-Inc è la stessa riservata ai No-Tav, nessuna speranza: nonostante la crisi, anziché l’occupazione della green economy Torino preferisce l’antico sistema dei maxi-affari per grandi opere anti-ecologiche e nate già vecchie.