Archivio del Tag ‘barbarie’
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La sfida dell’eresia, dai Catari al mondo del pensiero unico
“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.In questa Italia frastornata da una campagna elettorale stanca e mediocre, condizionata dal dogmatismo neoliberista del pensiero unico imposto da Bruxelles, serpeggia la tentazione di una sorta di diserzione di massa, mentre cresce – silenziosamente – una minoranza sempre meno sparuta di cittadini che si fanno domande, si documentano in proprio e si riuniscono, consultando esperti, nel fondato sospetto che qualsiasi versione ufficiale – dai vaccini alla geopolitica fino alla storiografia, passando per l’esegesi biblica dottrinaria – sia sempre inattendibile, incompleta, reticente. E’ un panorama, questo, nel quale fioriscono iniziative impensabili, fino a dieci anni fa: come la lusinghiera campagna di crowdfunding per finanziare, dal basso, il documentario “Bogre”, girato da Fredo Valla tra Bulgaria, Italia, Catalogna e soprattutto Occitania. Un viaggio affascinante, che ripercorre le remote geografie della più importante eresia del medioevo, cioè il Cristianesimo “dualistico” interpretato dai bogomili nei Balcani e poi dai càtari, i “bulgari” travolti dalla Crociata Albigese nella contea di Tolosa, per poi essere annientati da settant’anni di spietate persecuzioni ad opera dell’Inquisizione. Una tragedia che causò la rovina socio-economica della terra dei Trovatori, che alla fine del 1100 era tra le regioni europee più prospere e avanzate, più libere e tolleranti.Fu un trauma, per lo sviluppo armonico dell’Europa: lo sostiene una scrittrice a sua volta “eretica” come Simone Weil, secondo cui proprio la brutale repressione dell’eresia càtara – gli assedi e le stragi, il terrore scatenato dagli inquisitori – alimentò nel continente la generale rassegnazione al culto della forza, alla guerra come esito inevitabile di qualsiasi conflitto, fino al supremo orrore dell’abominio nazista. Chi è l’eretico? E’ uno che si alza in piedi e dice, semplicemente: non sono d’accordo. E spiega il perché. Chi lo ascolta, sa che sta rischiando il carcere, magari la vita. Il coraggio dell’eretico ricorda a tutti, inevitabilmente, che le versioni dei fatti sono sempre almeno due, mai una sola. Se invece l’ideologia è unica, per di più non proposta pacificamente ma imposta in modo dogmatico (cioè con l’esplicito divieto di metterne in discussione i fondamenti) allora l’umanità è in pericolo, si disumanizza, si divide in buoni e cattivi. Sotto il governo di Raimondo VI, conte di Tolosa, sul finire del 1100 poteva capitare di assistere, nelle chiese, ad avvincenti dispute teologiche tra parroci cattolici e predicatori càtari, di fronte alla platea dei fedeli: oggi, nel 2018, è praticamente impossibile che alla televisione abbia accesso qualche vero “eretico”, radicalmente critico nei confronti del sistema socio-economico che ci viene presentato come l’unico possibile.Quella del Catarismo è una storia spesso denegata, che le burocrazie religiose tendono a sminuire, come fosse un fantasma scomodo. Lo è: ma per il potere in generale e non solo per la Roma di allora, se è vero che l’Inquisizione inaugurò la prima vera forma di terrorismo totalitario, ostacolato – per reazione – dalla rivolta armata dei cavalieri “Faidits”, i primi guerriglieri della storia europea. Uno schema che poi non ha fatto che ripetersi, in modo tragicamente sistematico. Vaticano medievale e càtari? Ruoli e maschere di quasi mille anni fa. Più che la casacca indossata, in fondo può contare un gesto destinato a rimanere vivo: come l’immensa pietà per gli sconfitti, che risuona tra i versi cavallereschi della Canzone della Crociata, scritti da cattolici. E l’ultimo “perfetto” càtaro d’Occitania, Guilhelm Belibàsta, a un passo dalla morte sul rogo arrivò a perdonare (e a tentare di convertire) l’uomo che l’aveva tradito, consegnandolo ai carnefici. E questa l’umanità che il film “Bogre” cercherà di riesumare, dopo otto secoli di oblio, tra le pieghe di vicende solo in apparenza lontane da noi. L’eresia è una domanda, che costringe a interrogarsi. E’ il contrario dell’odio, che teme le domande e ama le guerre, vietando ai soldati di pensare. Rileggere l’avventura dei càtari può servire a scoprire di cos’è stata capace, l’umanità, prima di arrendersi al comodo letargo delle verità imposte.(E’ possibile aderire alla campagna di crowdfunding del documentario “Bogre” attraverso la piattaforma “Produzioni dal basso”; in cambio, si potrà ricevere il film in anteprima).“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.
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Totò Riina, un progetto organico al tritacarne del potere
Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.«Il potere – spiega Carpeoro – cerca sempre di additare un responsabile con cui te la devi prendere, altrimenti fininisci per mettere in discussione il vero potere: l’autoconservazione del potere impone che tu te la prenda con qualcuno, non con qualcosa». Per contro, aggiunge, per uno Stato che si ponga obiettivi di progresso «è necessario sgominare un’organizzazione criminale come quella di Totò Riina». E’ esistita una trattativa Stato-mafia? «Sì, più volte», risponde Carpeoro. «Nel momento in cui la mafia ha un riferimento nel potere politico che governa, di questi accordi ce ne saranno stati migliaia». Molte volte, addirittura, «è stata la mafia stessa a consegnare alla pubblica gogna (e alle forze dell’ordine) alcuni suoi esponenti divenuti ingombranti, indifendibili e ingestibili, troppo nell’occhio del ciclone». E l’ha fatto «con l’obiettivo (concordato) di tacitare tutte le altre iniziative di contrasto della criminalità mafiosa». Aggiunge Carpeoro: «Se uno vuole fare davvero la lotta alla mafia, deve combattere lo schema di potere che ha deciso di utilizzare la mafia, così come si è configurata nell’arco di decenni», a partire dallo sbarco alleato in Sicilia nella Seconda Guerra Mondiale.«Per gestire anche la mafia – aggiunge Carpeoro – gli americani hanno creato appositamente una loggia massonica: hanno dato vita al cosiddetto Progetto Colosseum, da cui sono nate numerose logge». Gli statunitensi «hanno utilizzato la mafia anche a scopi bellici, per assicurarsi un’invasione indisturbata della Sicilia (a fin di bene, in quel caso, perlomeno rispetto al contrasto del nazifascismo)». I rapporti tra gli Usa e Cosa Nostra sono sempre stati organici, dice Carpeoro: «Non a caso Andreotti, nel suo processo d’appello, per ottenere l’assoluzione ha citato come testimoni consoli, diplomatici e alti dirigenti degli Stati Uniti d’America». I politici uccisi dalla mafia, da Salvo Lima a Piersanti Mattarella? «Alcuni erano obiettivi tattici, cioè davano fastidio in quel momento; altri erano obiettivi strategici, cioè rappresentavano battaglie da dissuadere fin dall’inizio». Dipende dalle circostanze, dal periodo: «Ci sono stati dei momenti in cui alla mafia è convenuto essere meno visibile, e altri momenti in cui la mafia ha valutato invece che riaffermare le proprie prerogative sul territorio comportasse una certa visibilità».Cosa conteneva la famosa Agenda Rossa di Borsellino? «Elementi delle sue indagini, credo», ipotizza Carpeoro. «Non penso fosse arrivato a indicazioni generali; credo abbia indagato sui rapporti tra la mafia e una certa politica siciliana, e che fosse andato molto avanti, in questa direzione. Non scordiamoci che quel tipo di politica, in realtà, è indispensabile per vincere le elezioni, in Sicilia: quel tipo di politica utilizza anche la mafia, il voto di scambio, tant’è vero che troviamo continuamente casi di politici siciliani coinvolti». Storicamente, continua Carpeoro, la mafia in Sicilia è stata sempre collegata alla Democrazia Cristiana: «Quindi, basta andare appresso agli ex democristiani e si trovano le radici del problema. Borsellino poi indagò anche su Forza Italia, ma perché Forza Italia, in Sicilia, per vincere le elezioni si fece infiltrare da quel tipo di politica democristiana». Le indagini di Borsellino potevano illuminare anche i retroscena della grande svendita finanziaria dell’Italia? «Quelle sono logiche che poi si sono sovrapposte, nel potere. Esistono logiche generali e logiche locali; a volte queste logiche coincidono, e allora si creano questi coaguli di pressione».Il pentito Vincenzo Calcara parla della mafia come di una “entità” accanto ad altre, come la massoneria e il Vaticano. «Tutto ciò che gestisce potere, alla fine, finisce nel tritacarne», insiste Carpeoro: «Tutto il tritato generale della nostra vita civile è fatto di tante componenti; nel momento in cui un certo modo di fare politica ha infiltrato anche la massoneria, la stessa massoneria (almeno quella locale, non so quella nazionale) è diventata uno dei gangli di questo schema di potere. D’altro canto, la stessa massoneria internazionale si è resa “fruibile”, da parte di meccanismi di potere, quindi la cosa non mi meraviglia minimanente». Mafia Capitale a Roma? «Interpretare il termine “mafia” in senso estensivo, cioè riferibile a qualunque associazione criminale, è possibile in linea teorica ma non so quanto sia utile sul piano pratico: perché la mafia, pur essendo diventata di portata ultra-nazionale, è pur sempre un fenomeno molto radicato su territori». La mafia siciliana come prodotto dell’Italia unita? «Cerchiamo di capirci: tutti quelli che collegano la mafia all’Unità d’Italia dicono un cazzata», sostiene Carpeoro, sottolineando che, prima dell’Unità d’Italia, nel Meridione, il potere era in mano ai latifondisti, i cosiddetti baroni, con i loro temutissimi “camperi”.«Il principale alleato del barone era il capobastone del posto», ricorda Carpeoro, «perché la polizia borbonica non era così efficiente e ramificata da garantire l’ordine pubblico. E quindi in ogni paese c’era uno – più furbo, più arrogante, più violento, magari anche dotato di un certo magnetismo nei confronti di coloro che formavano la sua banda – che garantiva ai latifondisti l’esercizio di un potere incontrastato e lo sfruttamento indisturbato delle altre persone. Questa era già mafia», inutile negarlo. Nel momento in cui si crea l’Unità d’Italia, poi, la mafia diventa brigantaggio, «nella dissidenza di quelli a cui il potere è stato tolto». Ma attenzione: «C’è anche una vasta area di trasformazione e di coesione di questi vecchi sistemi nei confronti del nuovo assetto politico: per cui, poi, si creerà il nuovo asse, sul territorio, tra il potere politico e la mafia». Nell’atroce storia mafiosa, suscitano orrore delitti come l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino rapito a 13 anni e poi, dopo oltre 700 giorni di prigionia, ucciso da Brusca e altri complici, che ne sciolsero il corpo nell’acido. «Come leggere un delitto di questo tipo? Come una barbarie, ricollegabile al basso livello della manovalanza mafiosa – basso livello da ogni punto di vista: non solo etico, ma anche pratico e strategico». Eppure, sottolinea Carpeoro, bisogna ricordarsi che la mafia di Brusca e Riina è stata usata e incorporata nello schema di potere dell’Uomo Nero, quello che fa in modo che ce la prendiamo sempre con qualcuno, non con il sistema stesso. E’ così che il gioco è destinato a non finire.Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.
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Guénon: macché progresso, scivoliamo verso la barbarie
René Guenon è un esoterista francese del Novecento. Esoterista è una parola non proprio comune, anzi del tutto fuori moda nell’odierna civiltà. Esoterista è chi si occupa dell’esoterico, cioè di un sapere per pochi iniziati attinente alle cose Nascoste, Ultime, Vere. Ha a che fare con un approccio spirituale, con una venerazione per il ‘Sacro’ collocabile a mille miglia, agli antipodi addirittura, dal greve materialismo, dalla superficialità chiacchierona, dall’agire compulsivo e senza scopi dell’Evo post moderno. In ogni caso, Guenon suggeriva una lettura della Storia umana in totale controtendenza rispetto a quella insegnata nelle scuole, soprattutto occidentali, e di cui molti ‘maestri’ contemporanei sono imbevuti debitori. Parlo dell’idea ‘progressista’ secondo la quale le vicende umane sono paragonabili a una freccia, a un tracciante ben direzionato che va da un prima a un dopo, ma anche da un indietro a un avanti, da un sotto a un sopra, da un meno a un di più. Secondo questa logica, il nostro è il migliore dei mondi possibili proprio perché viene dopo quelli barbari del passato.Tale logica ha partorito il concetto dei ‘secoli bui’ medievali e il mito illuminista e positivistico di una Ragione Umana tesa a una marcia di ineluttabile miglioramento delle nostre sorti e condizioni. Ebbene, la visione di Guenon cattura perché sovverte la prospettiva. Egli recupera gli insegnamenti di uno dei primi poeti greci, Esiodo, e di molta letteratura indiana antica sui cicli cosmici. Da queste fonti ricava il convincimento di una Storia composta di cicli votati al degrado anziché al progresso, una successione di ere che – da quella dell’oro – scalano a quella dell’argento e poi del bronzo e poi del ferro. Secondo Guenon, l’età in corso (e lui se ne andò prima di assistere allo sfacelo dei decenni successivi alla sua morte) è quella del Kali Yuga, cioè del materialismo trionfante, dell’amnesia spirituale, della solidificazione energetica.Il metodo suggerito da René asseconda una presa di coscienza oggi detestata dagli ottimisti a cottimo, da quelli che ‘bisogna pensare positivo’, dai cultori dei prodigi futuristi della scienza e della tecnica. Infatti, esorta ad aprire gli occhi e a non farsi illusioni. Derubrica a umana arroganza la pretesa di poter cambiare lo stato delle cose, di voler trovare una via d’uscita dalla crisi morale, politica, economica, sociale dell’Evo Competitivo. Questo, secondo Guenon, è il Tempo del Declino e ogni pulsione prometeica di mutarne il verso, di capovolgere il senso degli eventi, si libra – per ciò stesso – nei cieli dell’utopia. Insomma, Guenon, custode di una Tradizione perduta, ci suggerisce non di lottare per cambiare il mondo esterno, ma di lottare per cambiare il mondo interno, per non spegnere la piccola fiaccola di ‘altezza’, di ‘profondità’, di ‘senso’, di ‘sacro’, ancora accesa in noi, sempre che lo sia. In attesa di una svolta che verrà – questo è certo – ma non grazie all’umanità attuale. Piuttosto, nonostante essa.(Francesco Carraro, “Magnifiche sorti regressive”, dal blog di Carraro del 29 ottobre 2017).René Guenon è un esoterista francese del Novecento. Esoterista è una parola non proprio comune, anzi del tutto fuori moda nell’odierna civiltà. Esoterista è chi si occupa dell’esoterico, cioè di un sapere per pochi iniziati attinente alle cose Nascoste, Ultime, Vere. Ha a che fare con un approccio spirituale, con una venerazione per il ‘Sacro’ collocabile a mille miglia, agli antipodi addirittura, dal greve materialismo, dalla superficialità chiacchierona, dall’agire compulsivo e senza scopi dell’Evo post moderno. In ogni caso, Guenon suggeriva una lettura della Storia umana in totale controtendenza rispetto a quella insegnata nelle scuole, soprattutto occidentali, e di cui molti ‘maestri’ contemporanei sono imbevuti debitori. Parlo dell’idea ‘progressista’ secondo la quale le vicende umane sono paragonabili a una freccia, a un tracciante ben direzionato che va da un prima a un dopo, ma anche da un indietro a un avanti, da un sotto a un sopra, da un meno a un di più. Secondo questa logica, il nostro è il migliore dei mondi possibili proprio perché viene dopo quelli barbari del passato.
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Rivoluzione d’Ottobre, oggi, per demolire il potere dell’élite
La Rivoluzione d’Ottobre è la più importante rivoluzione dell’epoca moderna. Finora almeno, aggiungo con un moto di ottimismo. Il 25 ottobre 1917, calendario giuliano, la questione sociale ed il rifiuto della guerra presero il potere in Russia, dando avvio ad un colossale percorso di liberazione dell’umanità. Nonostante gli errori e gli orrori dello stalinismo, l’Unione Sovietica è stata determinante nella sconfitta del nazifascismo e nell’avvio di un’epoca di progresso sociale e di liberazione dei popoli in tutto il mondo, epoca che è durata alcuni decenni, fino agli anni ottanta del secolo scorso. La portata storica generale della Rivoluzione di Ottobre si misura ancora di più nel mondo attuale, ove un capitalismo che non ha più paura del nemico sta mostrando tutta la sua ingorda follia. Non è vero che l’Ottobre abbia esaurito la sua spinta propulsiva, come fu detto quasi 40 anni fa. Anche nella portata della controrivoluzione liberista si misura la forza della rivoluzione sovietica. Quando scoppia una rivoluzione? Secondo Lenin quando le classi dominanti non possono più governare come sempre han governato e le classi subalterne non vogliono più vivere come sempre hanno vissuto. Con questo concetto, si vuole chiarire che le condizioni della rivoluzione siano sia la crisi generale del sistema di potere dominante, sia l’esplodere della soggettività delle masse.Noi oggi viviamo in un sistema economico e politico che ha esaurito tutte le proprie capacità riformiste. Un sistema incapace di qualsiasi vera mediazione sociale, chiuso in sé stesso e nelle sue élites. Un sistema non riformabile. Nel 1914 l’Europa si suicidò con la Prima Guerra Mondiale, una sporca inutile strage che non solo distrusse milioni di vite, ma anche quella che allora era la sinistra, la socialdemocrazia, che nella sua maggioranza tradì sé stessa e chi rappresentava approvando il massacro. Oggi l’Europa si sta suicidando con le politiche di austerità governate dalla Ue, politiche che fanno guerra sociale ai popoli e che hanno visto la stessa distruzione della sinistra ufficiale, che quelle politiche ha approvato e gestito. Oggi torna la necessità di rotture rivoluzionarie, che qui in Europa viene annunciata da crisi politiche diffuse e da una rabbia di massa, che viene espressa in varie e anche opposte forme con quello che oggi viene genericamente definito populismo. La crisi delle classi dominanti non ha ancora dispiegato tutta la sua portata, esse sono ancora capaci di coinvolgere nel proprio potere una parte degli oppressi e soprattutto delle loro rappresentanze. Tuttavia il logoramento del sistema avanza e le rotture avvengono, come sempre partendo dai punti più deboli.Le rivoluzioni le scatenano le masse e nessun surrogato è possibile di esse. Ma questo non significa che si debba stare con le mani in mano. Innanzitutto bisogna cogliere e capire le linee di rottura rivoluzionaria. Che proprio per il concetto stesso di rivoluzione sono sempre diverse da quanto normalmente si presenti sulla scena politica, sono rivoluzioni appunto. Qual era l’argomentazione di fondo dei menscevichi contro Lenin e Trotsky? Che non si dovesse far fare salti alla storia e che in Russia non ci fossero le condizioni oggettive per la rivoluzione. Oggi i neo menscevichi delle varie anime della sinistra usano gli stessi argomenti per giustificare Tsipras in Grecia: e come poteva lui da solo andare contro tutta l’Europa? Oppure per condannare senza appello la Catalogna: cosa c’entra quella mobilitazione popolare per l’indipendenza con la giusta lotta di classe? Oppure per non rompere con Ue e Nato: non sapete che disastro se ci isoliamo da quelle strutture, che in fondo ci tutelano da rischi peggiori?Tutte queste argomentazioni sono piene di parziali verità, ma assieme costituiscono un’unica menzogna. La menzogna è che si debba attendere una evoluzione di tutto il mondo verso momenti migliori, per il cambiamento. Questa evoluzione non esiste, o si arriva ad un processo rivoluzionario, o si precipita nella barbarie verso cui già stiamo scivolando. Lenin e Marx erano prima di tutto dei geni rivoluzionari e in quanto tali dei giganteschi scienziati sociali. Essi non attendevano la conferma delle proprie teorie, ma le verificavano nella rottura rivoluzionaria reale. Marx auspicò che la comunità contadina russa fosse alla base di una rivoluzione sociale, che in quel paese saltasse alcune fasi dello sviluppo capitalistico. Lenin mise in pratica quella intuizione adottando la parola d’ordine populista della terra ai contadini, che i bolscevichi avevano fieramente avversato, senza la quale non avrebbe vinto la guerra rivoluzionaria contro le armate bianche finanziate da tutto l’Occidente. Le rivoluzioni ci spiazzano sempre, proprio perché esse nascono dalla necessità delle masse. Esse per loro natura sono la rottura della politica consolidata, in tutte le sue espressioni.La soggettività rivoluzionaria si misura proprio in quel momento. Se essa è vera e sufficientemente preparata e forte, allora può svolgere il ruolo necessario di direzione del processo, che se ne avvantaggia. Se non lo è allora la rivoluzione va per conto suo, nel bene o nel male, e lascia le “avanguardie” a dare rancorosi voti alla storia. Per questo oggi io sento più attuale che mai la lezione dell’Ottobre sovietico. Quando il sistema è bloccato prima o poi le rivoluzioni esplodono e compito dei veri rivoluzionari è capire ciò che accade e provare a governarlo. Governarlo verso il consolidamento della rottura rivoluzionaria, anche se essa non corrisponde a quanto previsto dai manuali delle giovani marmotte marxiste leniniste, anche se essa non avviene dove si sperava e nel modo e con le dimensione e che si sperava. Perché l’alternativa alla rivoluzione non è un cambiamento più lento e più sicuro, ma la reazione, la regressione brutale. Per questo oggi più che mai dobbiamo prima di tutto essere grati a coloro che nel 1917 hanno dato l’assalto al cielo. E farci carico delle necessità rivoluzionarie del presente.(Giorgio Cremaschi, “L’attualità della Rivoluzione d’Ottobre”, da “Micromega” dell’8 novembre 2017).La Rivoluzione d’Ottobre è la più importante rivoluzione dell’epoca moderna. Finora almeno, aggiungo con un moto di ottimismo. Il 25 ottobre 1917, calendario giuliano, la questione sociale ed il rifiuto della guerra presero il potere in Russia, dando avvio ad un colossale percorso di liberazione dell’umanità. Nonostante gli errori e gli orrori dello stalinismo, l’Unione Sovietica è stata determinante nella sconfitta del nazifascismo e nell’avvio di un’epoca di progresso sociale e di liberazione dei popoli in tutto il mondo, epoca che è durata alcuni decenni, fino agli anni ottanta del secolo scorso. La portata storica generale della Rivoluzione di Ottobre si misura ancora di più nel mondo attuale, ove un capitalismo che non ha più paura del nemico sta mostrando tutta la sua ingorda follia. Non è vero che l’Ottobre abbia esaurito la sua spinta propulsiva, come fu detto quasi 40 anni fa. Anche nella portata della controrivoluzione liberista si misura la forza della rivoluzione sovietica. Quando scoppia una rivoluzione? Secondo Lenin quando le classi dominanti non possono più governare come sempre han governato e le classi subalterne non vogliono più vivere come sempre hanno vissuto. Con questo concetto, si vuole chiarire che le condizioni della rivoluzione siano sia la crisi generale del sistema di potere dominante, sia l’esplodere della soggettività delle masse.
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Ma senza ideologie (oneste) subiamo l’unica rimasta, la loro
Sono ormai decenni che in rete vi parliamo del fatto che questo liberismo sfrenato, ammantato del portato positivo di un concetto di cui tutti si appropriano per i fini più disparati, la “libertà”, era solo un modo per togliervi i diritti faticosamente accumulati dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, dalla rivoluzione industriale in poi. Un modo di rimettervi le catene e legarle nuovamente ai neo schiavisti che tutto hanno a cuore tranne il rispetto della vita, soprattutto di quella umana. Sono decenni che ve lo si dice in tutti i modi, ma voi niente. Volete cambiare lo smartphone ogni sei mesi, volete andarvi a comperare le bottiglie di vino anche alle due di notte, volete (anzi dovete) fare la spesa la domenica perché gli altri giorni siete sequestrati dal caposquadra della nave negriera a remare fino allo stremo delle forze, volete le fragole e le more a gennaio e le arance a luglio, rinunciate all’essenziale ma non al superfluo che vi pagate a rate. Rinunciate persino alla vostra vita, pur di vivere quella degli altri, la sera, a pagamento (si intende).Lo sapevate, ma alla fine vi siete fatti convincere lo stesso che la famiglia è un vincolo, che le tradizioni sono un ostacolo, che la religione è per gli ignoranti, che i confini sono inutili, che le razze sono un’illusione, che le ideologie sono pericolose, che i sessi non esistono, che studiare non serve, che imparare a memoria è sterile, che l’edonismo, il protagonismo e il voyuerismo sono valori, che competere è un dovere, che è perfettamente normale ricomprarvi la salute che vi tolgono assumendo medicinali a vita. Vi siete fatti togliere tutto quello che faceva di voi esseri umani, e avete continuato a votare sempre le stesse persone che vi stavano lentamente consegnando alla casta predatoria, come lotti di schiavi ceduti all’ingrosso: qualche milione di italiani all’asta della Fornero, qualche altro milione all’asta con il Job Act di Renzi, mentre le scudisciate di Monti sfessavano la vostra capacità di opporvi (loro la chiamano “distruzione della domanda interna”).E adesso siete soli. La famiglia non c’è più, è un disvalore. Avete permesso che venisse svilita e spezzata, e ora che al posto dell’acqua avete solo un atomo di ossigeno e due di idrogeno, vagate nel nulla alla ricerca di un legame qualunque, per poi lamentarvene. Eppure era proprio il legame familiare la prima roccaforte che vi difendeva dall’assalto dei barbari invasori. Perché le famiglie si difendono, al loro interno. E per meglio riuscirvi, si alleano con altre famiglie, creano gruppi di interesse, associazioni di quartiere, si uniscono nel nome di un bene superiore, quell’anelito alla trascendenza senza il quale tutto perde di significato. L’amore che le unisce vuole essere rivendicato e pretende di avere il tempo di esprimersi compiutamente. Sì, la famiglia era la più grande minaccia per i proprietari degli allevamenti intensivi di esseri umani.E così, con la celebrazione del rito quotidiano individualistico, e con la riduzione dell’esistenza, operata dallo scientismo, a mera relazione di causa effetto misurabile con il microscopio, tutti i valori, i simboli, i principi, le idee superiori, cioè il carburante di cui brucia ogni scatto di orgoglio, ogni anelito di dignità, si sono progressivamente inariditi, fino a restare un pallido riflesso, una leggenda metropolitana che rivive nei colossal storici alla Spartaco, che non a caso da un lato ci emozionano, dall’altro ci appagano, come se tenessimo di più al destino di qualche centinaia di schiavi vissuti duemila anni fa, piuttosto che al nostro e a quello dei nostri figli.E dopo avervi tolto ogni scudo, ogni difesa, ogni faro cui guardare, nella speranza di riceverne un’indicazione, un conforto che rinvigorisse il desiderio di combattere, dopo avere cioè distrutto ogni riferimento culturale che potesse dare un senso alla ribellione, ora stanno scassinando l’ultima serratura che ancora, in maniera pur dubbia e riformabile, si frappone tra i lupi e gli agnelli, cioè tra le sfrenate élite di capitalisti del globalismo finanziario-speculativo e voi, piccoli lavoratori, il cui ideale più elevato che vi è concesso coltivare è cercare di far quadrare i conti a fine mese, mentre il famoso 1% che ora vuole tenervi in coma farmacologico con il reddito di cittadinanza si gode una vita dal tenore per voi inimmaginabile, disponendo di risorse illimitate al punto da poter essere sprecate infinite volte. Vi stanno cioè togliendo anche le ultime protezioni che potevano garantirvi i sindacati, entrati nel mirino delle marionette della politica ormai da qualche anno.Smantellare i sindacati, senza sostituirli con fortificazioni più efficienti, è l’ultimo passo per avervi totalmente alla loro mercé, come miliardi di formiche impazzite sotto alla percussione pianificata delle possenti zampe dell’elefante globale. E così, mentre le pecore inneggiano all’uccisione del cane pastore, su istigazione dei lupi che nel frattempo si apparecchiano ad un luculliano banchetto, sotto ai nostri occhi ormai accadono cose che avrebbero fatto inorridire i nostri padri, prima ancora dei nostri nonni, ma che a noi sembrano quasi normali, perché il valore della vita è stato completamente svuotato e sostituito con il concetto vuoto della produttività. Non si lavora più per vivere, si vive per lavorare, affinché altri possano vivere senza lavorare. E se osi metterlo in discussione, vieni immediatamente calpestato dalle zampe dell’elefante. Tanto possono farlo, perché sei rimasto solo. Sei stato talmente stupido da farti convincere che “soli” era meglio.È quello che accade ormai dappertutto, e se non ci credete leggete quello che sta succedendo adesso all’Outlet Mc Arthur Glen di Castel Romano, nel servizio del “Manifesto”. Ci sono mamme costrette a lavorare sempre, domeniche comprese. Tutte le domeniche. E siccome osano accordarsi per fare una turnazione in modo che, almeno una domenica sì e quattro no, possano stare a casa con i loro bambini, con la loro famiglia, vengono trasferite a 50 chilometri di distanza o sono costrette ad andarsene, mentre capi senza scrupoli, senza cuore e forse ancora meno consapevoli della loro condizione, rispondono alle mamme imploranti che «bisogna scegliere tra lavoro e famiglia», e ai responsabili aziendali della Calvin Klein è concesso dire impunemente che «la linea dell’azienda è questa. La domenica si lavora, sempre. E basta. E non mi parlate di sindacati perché io non li considero neanche».Questo è il progresso che volevate? Questa è la libertà che desideravate? Essere liberi di scegliere se farvi sfruttare come africani nelle piantagioni di cotone dei secoli scorsi, oppure restare senza lavoro e senza il latte per i vostri figli? E tutto per cosa? Perché qualche ricco turista cinese e russo possa spruzzarsi le ascelle sudate con l’ultimo profumo Calvin Klein? Altro che “le ideologie sono superate“! Qui vanno recuperate, e anche in fretta, perché con la storiella del sogno americano, che tutti possono diventare miliardari e dunque se non lo diventano è solo colpa loro, abbiamo partorito mamme che non importa quanto siano brave sul lavoro: non potranno mai, mai e poi mai andare a vedere i loro bambini tirare calci ad un pallone la domenica mattina. Guardate l’orologio: che ora è? Quanto manca prima che li mandiate tutti affanculo?(Claudio Messora, “Quanto manca prima che li mandiamo tutti affanculo?”, dal blog “ByoBlu” del 20 ottobre 2017).Sono ormai decenni che in rete vi parliamo del fatto che questo liberismo sfrenato, ammantato del portato positivo di un concetto di cui tutti si appropriano per i fini più disparati, la “libertà”, era solo un modo per togliervi i diritti faticosamente accumulati dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, dalla rivoluzione industriale in poi. Un modo di rimettervi le catene e legarle nuovamente ai neo schiavisti che tutto hanno a cuore tranne il rispetto della vita, soprattutto di quella umana. Sono decenni che ve lo si dice in tutti i modi, ma voi niente. Volete cambiare lo smartphone ogni sei mesi, volete andarvi a comperare le bottiglie di vino anche alle due di notte, volete (anzi dovete) fare la spesa la domenica perché gli altri giorni siete sequestrati dal caposquadra della nave negriera a remare fino allo stremo delle forze, volete le fragole e le more a gennaio e le arance a luglio, rinunciate all’essenziale ma non al superfluo che vi pagate a rate. Rinunciate persino alla vostra vita, pur di vivere quella degli altri, la sera, a pagamento (si intende).
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Violenza-spettacolo, le amnesie dei media e le regie occulte
Inorridisce giustamente, l’italiano medio, di fronte alla brutalità della polizia spagnola che a Barcellona prende a calci i giovani inermi finiti a terra, maltratta le donne tirandole per i capelli, rompe nasi e spezza braccia, spara nel mucchio proiettili di gomma ad altezza uomo, spintona e strattona persino le nonne, trascinadole via come pericolose terroriste. Inorridisce, ma senza chiedersi come mai tanta violenza di Stato venga esibita di colpo a reti unificate. E si domanda invece, giustamente, per quale motivo il governo democratico di Madrid non si vergogni nemmeno un po’ dello spettacolo barbarico dei suoi agenti antisommossa, i robocop neri a cui è stato semplicemente ordinato di picchiare senza riguardi, di pestare gente con le mani alzate, di spedire all’ospedale cittadini, popolo, anziani. Sono le domande naturali, ovvie, che assillano e disturbano lo spettatore neutrale, estraneo ai fatti, turbato dalla violenza andata in scena a Barcellona. Quegli interrogativi se li pongono anche gli addetti all’informazione ospiti dei talkshow. Ma, attenzione: sono gli stessi giornalisti mainstream che si guardarono bene dal fiatare quando a prendere a calci i cittadini – italiani – erano le forze antisommossa spedite dal governo di Roma in valle di Susa col medesimo ordine: mandare all’ospedale la gente che aveva osato protestare, presidiare spazi e invocare giustizia, molto prima che la battaglia NoTav venisse inquinata dalle derive rabbiose nate dall’esperazione.«Giornalisti bugiardi e cialtroni: ne caccerei nove su dieci», ebbe a dire recentemente un reporter di razza come lo statunitense Seymour Hersh, Premio Pulitzer. La sua tesi: se la stampa non avesse abdicato al suo ruolo, rinunciando a fare il proprio dovere, in questi ultimi decenni avremmo avuto meno vittime. Meno abusi e meno stragi, meno guerre, meno terrorismi opachi. E forse, costringendo politici e governi a dire la verità, qualche oscuro mandante sarebbe stato costretto a venire allo scoperto. I grandi media sono ormai “Presstitutes”: così li chiama Paul Craig Roberts, liberale, già viceministro di Reagan. Non sono più veri mass media, ma strumenti orwelliani di propaganda, megafoni di un regime finanziario unificato, proprietario universale dell’editoria cartacea e radiotelevisiva che ha trasformato l’informazione in gossip, in politica-marketing e tifoseria da stadio contro nemici apparenti come la Russia di Putin, o fabbricati a tavolino come i tagliagole-kamikaze dell’Isis. E’ tutto spettacolo, soltanto spettacolo – senza mai analisi, spiegazioni, memoria storica, retroscena e denunce argomentate, al punto da spingere milioni di utenti a spegnere il televisore cercando rifugio nella galassia magmatica del web, alla ricerca affannosa di informazioni e ricostruzioni (attendibili, o almeno plausibili) su qualsiasi guaio contemporaneo, dall’euro alle scie chimiche, dalle guerre ai vaccini obbligatori.Lo spettacolo, oggi, è quello della violenza imposta dagli uomini neri che Madrid ha spedito a Barcellona? Ieri era quello della Troika euro-tedesca impegnata a gambizzare un altro popolo alle prese con un referendum, quello greco. Quando i primi NoTav si agitavano in corteo nella loro valle di Susa, appena dopo il duemila, non immaginavano neppure lontanamente la reale geografia della partita in corso: ancora non era arrivato Mario Monti a usare il manganello (finanziario) contro gli italiani. In Francia, il pallido François Hollande era riuscito a conquistare l’Eliseo promettendo la fine del rigore imposto da Berlino? E’ stato “sistemato” a colpi di attentati, insieme ai francesi: che adesso si godono Macron, l’omino-Rothschild confezionato in vitro direttamente dalle officine supermassoniche cui sovrintendono personaggi come Jacques Attali, il finto-socialista che spinse a destra la politica di Mitterrand, nel segno euro-imperiale dell’ordoliberismo da cui è appena scappata la Gran Bretagna votando la Brexit. E’ tutto spettacolo, quello che va in televisione: e se ci va, è sempre bene chiedersi perché. Secondo un analista indipendente come Federico Dezzani, a manipolare la Catalogna indipendentista sarebbero gli stessi super-poteri oligarchici che orchestrarono il crollo della Prima Repubblica in Italia, corrotta ma ancora relativamente sovrana, ostile al falso europeismo neo-feudale degli oligarchi interessati a smantellare l’economia della penisola, aprendo la stagione della crisi infinita.La polizia che malmena gli inermi non è mai un bello spettacolo, e a Madrid non potevano non saperlo. Non poteva non sapere, il debolissimo governo Rajoy, che l’intera Europa avrebbe simpatizzato, in diretta televisiva, con gli abitanti di Barcellona. Ha ragione Dezzani: non può essere a Madrid, la vera regia di questa pagina imbarazzante, con troppo sangue e troppe ossa rotte. Forse non è nemmeno a Marsiglia, dove – in contemporanea – le forze di sicurezza francesi hanno abbattuto a pallettoni, tanto per cambiare, l’ennesimo presunto jihadista accoltellatore, destinato come tutti gli altri a non parlare più. La regia dell’orrore non è nemeno a Nizza, dove la polizia locale (un po’ come i Mossos catalani) si rifiutò di obbedire agli ordini di Parigi, quando il ministro dell’interno le impose di distruggere i filmati delle telecamere che avevano ripreso la strage del 14 luglio sulla Promenade des Anglais. Una parte di questa ipotetica regia probabilmente risiede proprio a Parigi, dove – dopo il non-suicidio di un valente commissario – il governo silenziò e chiuse le indagini su Charlie Hebdo con l’imposizione del segreto di Stato (segreto militare), togliendo il dossier al coraggioso magistrato che aveva scoperto una strana triangolazione per la fornitura delle armi al commando stragista, Kalashnikov slovacchi giunti in Francia via Belgio attraverso un uomo della Dgse, il servizio segreto parigino.Se tutto è spettacolo, in televisione, manca sempre il vero mandante, perché sfugge regolarmente il movente. Era di quello che si occupava il giudice italiano Gabriele Chelazzi, stranamente morto dopo aver scritto una lettera di protesta alla Procura di Firenze, che accusava di averlo lasciato solo, senza uomini e mezzi. Lo racconta un super-poliziotto, Michele Giuttari, che fece condannare i “compagni di merende”. Prima del Mostro di Firenze (la cui vera storia si è rassegnato a scriverla nei suoi romanzi), Giuttari aveva sgominato – con Chelazzi – la gang di Cosa Nostra impegnata a realizzare gli attentati dinamitardi di Milano, Firenze e Roma. Un’indagine record, con decine di mafiosi in manette. Per ordine di chi avevano agito? Totò Riina, Leoluca Baragarella. D’accordo, si domanda Giuttari: ma chi aveva ordinato a Riina e Bagarella di piazzare ordigni fuori dalla Sicilia? E per quale oscuro motivo? Per una ragione formidabile e al tempo stesso indicibile: terremotare l’Italia e renderla fragile, mentre i poteri forti organizzavano la tagliola fatale del Trattato di Maastricht, l’inizio della fine delle economie prospere e sovrane. A dirlo non è Giuttari ma Dezzani, lo studioso che ora accusa i politci catalani di essersi fatti strumento di quegli stessi poteri oligarchici che – c’è da giurarci – spingeranno il vento nelle vele degli autonomisti lombardi e veneti al referendum del 22 ottobre, sperando di veder presto anche l’Italia sbriciolarsi, come la Spagna, per meglio dominare, finanziariamente, un popolo ormai ipnotizzato dalla televisione.Inorridisce giustamente, l’italiano medio, di fronte alla brutalità della polizia spagnola che a Barcellona prende a calci i giovani inermi finiti a terra, maltratta le donne tirandole per i capelli, rompe nasi e spezza braccia, spara nel mucchio proiettili di gomma ad altezza uomo, spintona e strattona persino le nonne, trascinandole via come pericolose terroriste. Inorridisce, ma senza chiedersi come mai tanta violenza di Stato venga esibita di colpo a reti unificate. E si domanda invece, giustamente, per quale motivo il governo democratico di Madrid non si vergogni nemmeno un po’ dello spettacolo barbarico dei suoi agenti antisommossa, i robocop neri a cui è stato semplicemente ordinato di picchiare senza riguardi, di pestare gente con le mani alzate, di spedire all’ospedale cittadini, popolo, anziani. Sono le domande naturali, ovvie, che assillano e disturbano lo spettatore neutrale, estraneo ai fatti, turbato dalla violenza andata in scena a Barcellona. Quegli interrogativi se li pongono anche gli addetti all’informazione ospiti dei talkshow. Ma, attenzione: sono gli stessi giornalisti mainstream che si guardarono bene dal fiatare quando a prendere a calci i cittadini – italiani – erano le forze antisommossa spedite dal governo di Roma in valle di Susa col medesimo ordine: mandare all’ospedale la gente che aveva osato protestare, presidiare spazi e invocare giustizia, molto prima che la battaglia NoTav venisse inquinata dalle derive rabbiose nate dall’esasperazione.
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Potere e denaro, dal caso Moro all’Isis fino al Russiagate
Andreotti e Cossiga: sarebbero stati soprattutto loro a impedire che Aldo Moro venisse liberato dai Gis dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, insieme ai Nocs della polizia. Reparti speciali che, si dice, avevano individuato la prigione romana dello statista democristiano. E’ la tesi, più volte esposta (anche in libri di successo) da un magistrato di lungo corso come Ferdinando Imposimato, già pm e poi presidente onorario della Cassazione. La sua versione, suffragata da testimoni-chiave delle forze dell’ordine: il blitz decisivo fu impedito da Andreotti e Cossiga. Movente: ambivano entrambi alla carica alla quale sarebbe stato destinato Moro, il Quirinale. Gli americani? C’entrano, ma fino a un certo punto: perché poi, al dunque, “ritirarono” il loro uomo, Steve Pieczneick, in un primo momento inviato a Roma per controllare (e depistare) le indagini. Regia dell’operazione Moro: affidata alla Gladio, costola dell’intelligence Nato, in Italia gestita da uomini della P2 come il generale Giuseppe Santovito, allora a capo del Sismi. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Gianfranco Carpeoro aggiunge un nome, quello del politologo statunitense Michael Leeden, tuttora attivissimo: sarebbe stato il vero burattinaio di Gelli. Per Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni”, la P2 era il terminale italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, potentissima superloggia internazionale di stampo antidemocratico.
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Come vaccinarsi contro decreto-vaccini e politici impostori
«Con l’infame decreto vaccini stiamo vivendo una delle pagine più nere dell’aggressione di forze anticoscienza alla costituzione umana ed alla sua evoluzione». Lo sostiene Fausto Carotenuto, già analista internazionale dell’intelligence, ora promotore del network “Coscienze in Rete”. La sua tesi di fondo: il potere si sta imbarbarendo perché scorge, ancora sottotraccia, un potenziale “risveglio” delle coscienze, e dunque tenta di reprimerlo. «Negli ultimissimi decenni», secondo Carotenuto, «è in corso la più grande rivoluzione della storia: la rivoluzione delle coscienze, che stanno cominciando a risvegliarsi in grandi numeri, per la prima volta nella storia umana». E’ una lotta per far emergere «la propria interiorità che vuole il bene, il bene vero per tutti e non solo per sé», in un mondo «dominato da istituzioni oscure e di potere». Cresce la voglia di consapevolezza, cioè «sapere la verità delle cose che ci circondano, che siano alimenti, medicine, malattie, avvenimenti, politica, economia, finanza, lavoro, arte, cultura, ambiente, spiritualità». E se la conoscenza rende più liberi, i vaccini obbligatori rappresentano «una campagna di indebolimento del sistema immunitario umano, ideata per minare alle basi le possibilità di ulteriore crescita della coscienza».Se il punto di partenza di Carotenuto è spiritualistico, la sua analisi affronta anche i passaggi politici e sociologici, osservando ad esempio le proteste spontanee contro il decreto-vaccini. Proteste che rappresentano «una fiammata di voglia di libertà che sta coagulando tutto lo sparso e disorganizzato mondo del “risveglio di coscienza”», ovvero «quel mondo di persone libere che stanno cercando una vita diversa, fatta di una alimentazione e di una medicina consapevoli, nuove, etiche. Il mondo dell’olismo, delle medicine nuove, della nuove spiritualità, del biologico, della economia solidale, della finanza etica, della cultura del bene per tutti». Un mondo su cui è caduta la tegola del decreto-vaccini: «Questa aggressione fino ad ora ha prodotto solamente il meraviglioso risultato di far vibrare insieme un esercito di coscienze fino ad ora troppo sparse e disorganizzate, finalmente unite al grido di “libertà”», scrive Carotenuto su “Coscienze in Rete”. L’analista parla di «protervia, cecità e sfrenato egoismo» da parte dei «poteri anticoscienza», che forse hanno compiuto «un passo eccessivamente azzardato, per loro infine controproducente».Con i vaccini, aggiunge Carotenuto, «stanno perseguendo il disegno di indebolire il sistema immunitario umano», cioè «la presenza dello spirito nella nostra costituzione psico-fisica», come uno degli strumenti principali «per frenare la crescita della coscienza umana, ora in pieno sviluppo». Ma, aggiunge, quelli che chiama Poteri Oscuri «non hanno calcolato il livello già raggiunto dal risveglio di coscienza». E spiega: «Solamente dieci anni fa avrebbero potuto fare meglio questa operazione: non ci sarebbero state masse di persone consapevoli in rivolta in nome della libertà. E poi hanno aggredito un tema, quello della salute dei figli, capace di generare reazioni enormi in qualsiasi popolo. Ma forse ancora di più in quello italiano, più fortemente legato ai sentimenti familiari». Folle nelle piazze, dunque. E questa fiammata inattesa ha spiazzato i partiti. «Più furba di tutti la Lega, che ha colto subito la possibilità di avere voti sposando le tesi “no vax”. Ma sarebbe il colmo se, mossi dalla voglia di bene e dall’amore, si finisse per votare il partito dell’odio. Così come un altro partito che ha fatto dell’odio la sua bandiera, il 5 Stelle, si è ritrovato in grave difficoltà: lanciato verso il governo dai gruppi internazionali di potere che lo hanno creato, è costretto a mostrare il suo vero volto, e a sposare sostanzialmente le tesi pro-vaccino, quando moltissimi di quegli elettori che ha illuso fino ad ora sono proprio nel movimento del risveglio».Tutto questo, sostiene Carotenuto, «servirà a molte persone ad aprire gli occhi e a capire cosa è in effetti il vertice dei 5 Stelle», ovvero «uno strumento gattopardesco degli stessi poteri che dice di combattere». Un imbroglio: «Un modo per illudere proprio le coscienze in risveglio» è proprio quello di presentarsi come «grande partito nel quale ritrovarsi e che potrà cambiare le cose in meglio, per lasciarle con un po’ di cosmesi esattamente nelle mani di chi il potere lo ha da millenni». Ormai è chiaro – e lo dimostrano anche le grandi città che ora governa – che man mano che il grillismo si avvicina al potere, «mostra le stesse, identiche propensioni degli altri partiti: servire i poteri internazionali a danno della gente». Il Pd da parte sua «ha mostrato ancora il suo vero volto di partito strumento del potere e delle lobbies a discapito dei cittadini». e infatti «non riesce a provare alcuna sensibilità nei confronti dei veri interessi della gente». Così come Forza Italia, «che sta ora facendo l’occhiolino ai “no vax” con l’unico scopo di guadagnare qualche voto ed eventualmente tornare a governare nel modo pessimo che le è tipico».Aggiunge Carotenuto: è singolare come tutti questi poteri, «che hanno sempre dominato facendosi abusivamente “pastori” di greggi di “pecore” umane, che come tali andavano quindi trattate, stiano ora assistendo alla rivolta delle coscienze su un tema che comprende proprio la tanto decantata balla della “immunità di gregge”». Una parte del “gregge” non vuole più esserlo, e non solo per i vaccini: per tutto, in nome della libertà. «E’ un segnale molto forte, al quale il potere risponde ancora giocando sul fatto che la maggioranza della popolazione ancora non si è risvegliata». E’ sempre utilizzabile come “gregge”. E va usata «come clava maggioritaria contro i diritti umani della gente in risveglio». La tattica è antoca, quella del divide et impera, basata «sul creare una spaccatura tra gli “obbedienti” ciechi e sordi e gli “untori”». Un gioco di manipolazione del sistema democratico. Ma lo stesso movimento di opposizione al decreto-vaccini non è immune da pericoli, avverte Carotenuto: è fontamentale «che l’elemento coagulante sia la voglia di bene per tutti e non l’odio», rendendosi conto «dei lupi che già circolano nel movimento “no vax” per farsene guide e strumentalizzarlo per successive operazioni».«Con l’infame decreto vaccini stiamo vivendo una delle pagine più nere dell’aggressione di forze anticoscienza alla costituzione umana ed alla sua evoluzione». Lo sostiene Fausto Carotenuto, già analista internazionale dell’intelligence, ora promotore del network “Coscienze in Rete”. La sua tesi di fondo: il potere si sta imbarbarendo perché scorge, ancora sottotraccia, un potenziale “risveglio” delle coscienze, e dunque tenta di reprimerlo. «Negli ultimissimi decenni», secondo Carotenuto, «è in corso la più grande rivoluzione della storia: la rivoluzione delle coscienze, che stanno cominciando a risvegliarsi in grandi numeri, per la prima volta nella storia umana». E’ una lotta per far emergere «la propria interiorità che vuole il bene, il bene vero per tutti e non solo per sé», in un mondo «dominato da istituzioni oscure e di potere». Cresce la voglia di consapevolezza, cioè «sapere la verità delle cose che ci circondano, che siano alimenti, medicine, malattie, avvenimenti, politica, economia, finanza, lavoro, arte, cultura, ambiente, spiritualità». E se la conoscenza rende più liberi, i vaccini obbligatori rappresentano «una campagna di indebolimento del sistema immunitario umano, ideata per minare alle basi le possibilità di ulteriore crescita della coscienza».
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Tino Aime, il timido maestro che ha fatto parlare l’invisibile
Quando un maestro trasloca, tace il rumore e l’aria si popola di parole sospese, che restano lì e non se ne andranno. Tino Aime, riconosciuto caposcuola ed elegantissimo incisore, cresciuto nella Torino del dopoguerra, quella di Casorati, fu iniziato alla Libera Accademia sotto la guida di Idro Colombi. Era nato a Cuneo 86 anni fa. Discendeva da una stirpe di pastori annidata sulle impervie alture di Roaschia, valle Gesso, zona Nuto Revelli. Memorabile il primo incontro tra i due, in alta val Maira: lo scrittore a caccia di sopravvissuti in carne e ossa, il pittore in cerca di altre sopravvivenze, ancora più impalpabili. Nuto Revelli e poi anche Davide Lajolo, Nico Orengo, Massimo Mila, finissimi cantori come Francesco Biamonti. Tutti innamorati del segno inimitabile dell’ex ragazzo di Roaschia. Fino al grande Mario Rigoni Stern, vera e propria anima gemella, accomunato dallo stesso amore per i silenzi del bosco, la montagna scabra e nuda, la lingua nitida e sincera della neve. Il vero nome di Aime, Battista, rivela quasi una vocazione: un battesimo della luce, fatto di nuovi occhi per scrutare l’orizzonte e scoprire che, volendo, la meraviglia abita ovunque.Chi l’ha conosciuto ha potuto constatare la perfetta coincidenza tra l’opera e la vita: stessa capacità di dire tutto, con pochissimo, senza parlare quasi mai. Arte figurativa, in apparenza, ma con dentro le stimmate del vasto Novecento, il codice cifrato dei Sironi, dei Morandi. Le tele degli esordi raccontano periferie desolate, urbane, travolte dall’industria. Lo spirito del tempo: un carotaggio nel dolore, tra le macerie della guerra appena spentasi – tanto più vivo nell’artista giovanissimo, scampato con terrore (per due volte, da bambino) alle bombe degli alleati. Poi, però, Tino ha lasciato la città. Ha scelto la montagna, seguendo l’istinto: il ritorno alla terra magra degli antenati. E non ne ha fatto un’elegia, ma un cantico, riuscendo sempre a far vibrare l’aria. Schivo e ritroso, timidissimo, si è avventurato nel sua homeland che non ha confini, ha per frontiera solo il cielo. Niente alpinismo, nessuna cartolina. Terra vissuta, scura e primordiale, dentro un’archeologia di case diroccate, un’antropologia di assenze. Un viaggio nel silenzio, rischiarato dalla luna. Un’armonia di essenze indecifrabili e misteri, oltre il fraseggio elementare della geografia, dell’apparenza.Vedere quello che non c’è. Mostrare quel che c’è, ma non si vede. Una missione: condotta fino in fondo, per tutta la vita, come un dovere segreto, una promessa impossibile da estinguere. Tutto nasce da una strana confidenza, che avvicina all’invisibile. Narrazioni sottili, la finezza laconica dell’haiku. Ovunque espressa: nella solarità mediterranea del Ponente ligure, nei deserti spagnoli dell’Estremadura, nel bianco abbacinante dell’Andalusia. E tra le lande dell’amatissima Provenza dove Tino, ancora giovane, fu scelto – per elezione – dalla chiassosa banda dei gitani, il favoloso popolo migrante, alle prese coi festeggiamenti della loro regina, sulla spiaggia che ricorda il leggendario sbarco delle Marie venute dal mare, appena dopo il supplizio del Calvario. Tra i misteri di Tino Aime, il Battista cuneese, la passione con la quale – da laico irriducibile – ha offerto la sua arte alla simbologia spirituale, religiosa, con Cristi crocefissi – plastici, inteneriti – che adornano abbazie, chiese, cappelle di montagna.Si è spinto in Romania, tra le selve dei germani, nella laguna di Venezia – ricamando l’intarsio dei palazzi che si specchiano in un cielo d’acqua. Ma la sua vera casa è stata soprattutto la montagna piemontese, dalle natìe vallate d’Occitania fino alla patria di più recente acquisizione, la tormentata val di Susa, esplorata in profondità e fatta parlare in modo insospettabile, sciorinando storie e lingue sconosciute. Un’epica silente, che ricorda le cadenze di Neruda, l’attitudine domestica alla gioia, là dove non l’aspetti. Compaiono giganti, ma sono solo pettirossi, merli, ortensie. E tutto è misteriosamente sacro, in Tino Aime. Le sue notti incantate, i suoi inverni. L’impenetrabile splendore delle cose, recitato col cuore, rispondendo a una chiamata antica.Era anche amaro, a volte, il vecchio Tino. Scoraggiato, dalla barbarie incorreggibile del mondo. Siate onesti, ha mandato a dire – di recente – a una scolaresca di artisti in erba. E state in guardia: non fidatevi di quel che vi raccontano. Tino ha ascoltato tutti, ma poi ha sempre scelto in solitudine. Sapeva cosa fare, dove andare. Che verità evocare, sapendole tacere. Usava specchi, per incidere le lastre. Come Leonardo, conosceva l’arte del contrario – certo che il tutto, poi, si rivelasse alla distanza, senza strappi. Niente e nessuno in prima fila, mai, nel suo mosaico: parti dell’armonia, l’insieme risuonante. Amava lavorare a suon di musica, spesso sceglieva Bach. Ha frequentato – in buona compagnia, la sua – il gran paese da cui scendono silenzi e sogni. Quelli rimasti qui non svaniranno, grazie a lui.Quando un maestro trasloca, tace il rumore e l’aria si popola di parole sospese, che restano lì e non se ne andranno. Tino Aime, riconosciuto caposcuola ed elegantissimo incisore, cresciuto nella Torino del dopoguerra, quella di Casorati, fu iniziato alla Libera Accademia sotto la guida di Idro Colombi. Era nato a Cuneo 86 anni fa. Discendeva da una stirpe di pastori annidata sulle impervie alture di Roaschia, valle Gesso, zona Nuto Revelli. Memorabile il primo incontro tra i due, in alta val Maira: lo scrittore a caccia di sopravvissuti in carne e ossa, il pittore in cerca di altre sopravvivenze, ancora più impalpabili. Nuto Revelli e poi anche Davide Lajolo, Nico Orengo, Massimo Mila, finissimi cantori come Francesco Biamonti. Tutti innamorati del segno inimitabile dell’ex ragazzo di Roaschia. Fino al grande Mario Rigoni Stern, vera e propria anima gemella, accomunato dallo stesso amore per i silenzi del bosco, la montagna scabra e nuda, la lingua nitida e sincera della neve. Il vero nome di Aime, Battista, rivela quasi una vocazione: un battesimo della luce, fatto di nuovi occhi per scrutare l’orizzonte e scoprire che, volendo, la meraviglia abita ovunque.
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Guzzi: noi, umanità nuova, e i morti viventi ancora al potere
Questa crisi è antropologica, quindi molto più profonda dei numeri, molto più radicale. Ma è anche una grande crisi di crescita. Io sono positivo. È una grande crisi, ma non è più grande di noi: è alla nostra portata. Dobbiamo renderci conto della sua radicalità e prenderla di petto. È una crisi di crescita, è una crisi sostanzialmente evolutiva, e noi non siamo ancora in grado di interpretare questa direzione evolutiva e facilitarla. E questo la aggrava. Questa è la cosa più pericolosa: non tanto che la crisi sia antropologica, cioè è una crisi paragonabile a quella del Neolitico, perché sta cambiando un’antropologia, cioè un modo di essere uomini. La crisi antropologica del Neolitico è il momento in cui (grossomodo dall’8.000 al 5.000 a.C.) l’umanità si dà una forma che è poi quella che – con moltissime evoluzioni – arriva fino a noi. Inizia l’agricoltura, gli uomini cominciano quindi a stabilizzarsi in un luogo, a costruire le città, e sorge la civiltà che poi, con enormi mutazioni, arriva fino a noi. Noi siamo in una fase di trasformazione ancora più grande per l’essere umano. Questo vuol dire, in termini semplici, che tutto un modo di “essere umani”, come il diritto, l’economia, la filosofia, la democrazia, la politica, i rapporti sessuali, i rapporti familiari, cioè tutte le forme antropologiche, le istituzioni in cui l’umanità organizza la sua vita, sono in travaglio.Quelle che appartengono alla modalità che sta finendo tracollano. Ecco perché c’è una crisi generale. Tutto è in crisi perché le forme storiche – matrimonio, democrazia, università, religioni – è come se si stessero esaurendo, non ci soddisfano più. Per cui noi non sappiamo che fare. Siamo in una fase caotica – che è una fase, però, di transizione. Se noi riuscissimo a capire un po’ meglio quale figura di uomo si sta consumando e quale modalità nuova sta emergendo, riusciremmo a vivere questo passaggio per quello che è: un enorme momento di crescita. Mi viene in mente la fase decadente dell’Impero Romano. Ci vollero centinaia di anni, ci volle un’epoca di barbarie per far rifiorire un nuovo Rinascimento. Oggi forse, con tutta questa tecnologia, con la rete, potremmo metterci di meno? Quando abbiamo una crisi esistenziale, possiamo reagire in due modi diversi. Il primo modo è: negare la crisi, fare finta che la crisi non ci sia, non capire che certe modalità della nostra vita non funzionano più. Se facciamo così, cioè resistiamo, fingiamo, neghiamo, la crisi diventa molto lunga e molto dolorosa.Se invece iniziamo a interrogarci e ci chiediamo: “Ma forse c’è qualche cosa nella nostra vita che posso correggere, forse c’è qualche cosa nel modo di fare, nei miei affetti, nel modo in cui lavoro che non è giusto, che non va più bene, che posso incominciare a correggere”, se assumiamo un atteggiamento di questo tipo, direi di cura, allora la crisi solitamente è meno penosa e anche meno lunga. La stessa cosa vale per la nostra civiltà. Il problema è che questa civiltà non vuole capire. E non è mica una cosa che nasce ieri. Tutto il XX° Secolo è catastrofico dal punto di vista della vecchia umanità. Un certo tipo di “essere uomo” vive lungo il XX° Secolo catastrofi mondiali: due guerre mondiali, campi di concentramento, totalitarismi. C’è una fase di distruzione mostruosa. Eppure non abbiamo ancora ben capito, non vogliamo capire. E questo neoliberismo degli ultimi trent’anni – a mio parere – è la forma estrema di resistenza al cambiamento. Cioè, il vecchio io, l’uomo morente, quello che non funziona più, che io amo chiamare “Egoico bellico”, cioè un’umanità che si rafforza nel contrapporsi, contrapporsi all’altro, contrapporsi alla natura, ecco: questa forma tracolla, ma resiste.Il neoliberismo è una forma estrema di egotismo, di egocentrismo, di individualismo egoistico, cieco e suicidario, che non vuole capire la lezione. E quindi le catastrofi non sono rappresentative solo del nostro passato, ma sembrano purtroppo prefigurare anche il futuro. La politica vigente? E’ la politica neoliberista. Quindi le classi dominanti occidentali, oggi, sono i portavoce dell’io morente. Sono i portavoce di questa forma di umanità che è già morta, è già esaurita, ma che persiste a dominare sul mondo in una forma vampiristica o zombistica. È come un mondo di morti viventi che fingono di essere vivi, ma sono zombie, sono morti e vogliono che tutti siano come loro. Perché gli zombie, come i vampiri, vogliono che tu diventi come loro. Una metafora un po’ forte? Questa metafora era alla base anche del primo film di zombie, “La notte dei morti viventi“, diretto da George Romero, alla fine degli anni sessanta, che metteva in scena proprio questa critica della società. Tant’è vero che lo zombie lo uccidi annientando il cervello, perché è nel cervello che si annida quella forma di massificazione, di non-pensiero, che non può morire se non esiste – ma, appunto, era questo il paradosso, la metafora.D’altra parte “The Walking Dead”, il serial che sta avendo successo mondiale in questi anni (la storia – appunto – di un manipolo di umani che sono sopravvissuti a questa epidemia di zombie), simbolicamente molto significativo, ci racconta proprio la disperata volontà di questo gruppo di uomini di rimanere umani in un mondo di zombie. Ed è per questo che ha tanto successo, perché spesso le serie americane – in modo non sempre consapevole – riescono a parlare in modo diretto, ma anche mitico dei drammi dell’umanità contemporanea. Perciò hanno uno straordinario successo. “Breaking Bad”, “The Walking Dead”, insomma quelle… Ma anche “House of Cards”. Cioè… ci parlano come pochi, oggi, di questo tempo finale. Quel tempo che si viene a collocare dopo la fine della storia in cui siamo come congelati. Un po’ anche “Matrix” ci ha raccontato questo. Siamo bloccati e congelati, per cui i politici attuali – quelli che oggi dominano i paesi occidentali – sono i funzionari di questa resistenza al cambiamento e adoperano tutti i loro strumenti, specialmente le armi di distrazione di massa: cioè ci distraggono, ci distolgono, ci occupano per mesi interi a discutere di una legge elettorale in Italia che ha il valore del due di picche, capite?Nel contesto terminale in cui sta vivendo il pianeta, con fenomeni come quello migratorio che si sta scatenando e che nell’arco di pochi anni diventerà una cosa incredibile… I demografi ci dicono che nell’arco di 15/20 anni solo la Nigeria avrà 500 milioni di abitanti, cioè superererà l’intera area europea! Capite? Questo è il paesaggio prossimo futuro, e questi deficienti – questa vergognosa Unione Europea gestita da queste persone inverosimili – si occupano di quisquilie! Ma non è un caso: è appunto una strategia di distrazione, perché se ci dovessimo occupare dei veri problemi, l’intero assetto che loro dominano dovrebbe essere messo in discussione. Le vaccinazioni? Non posso pensare che, come tali, siano un male, perché le vaccinazioni nella storia – a partire dall’antivaiolosa – ci hanno liberato da alcune patologie. Che poi ci sia una degenerazione, un pericolo, un eccesso per cui dobbiamo obbligatoriamente farne 12, su questo anch’io ho qualche dubbio. Ma anche questo si può inserire nel processo di meccanicizzazione tecnologica della società, dove l’unico criterio che si adotta è la quantificazione di pulegge e ruote, ingranaggi che girano.Tutto è algoritmo, il fattore umano è diventato un inquinante. Cioè è tutta una questione di numeri, di leve, di giochi di forza e di potere, di catene di montaggio. E’ chiaro che la “figura di umanità morente”, che io chiamo “egoico-bellica” ma che si può chiamare anche neoliberista, materialistica, nichilistica, questa forma di umanità vuole sostanzialmente eliminare l’io umano come principio libero e spirituale. Quindi vuole trasformare l’essere umano in qualcosa di meccanico, di non spirituale, di non libero, essenzialmente, di condizionato e determinato al punto da potersi inserire dentro un sistema nel quale tu sei solo una rotellina sostituibile, come diceva Heidegger. Tutto dev’essere sostituibile. E questa è proprio la natura antitetica dell’io. L’io, nel suo mistero è proprio insostituibile. Ognuno di noi è se stesso: un mistero insostituibile. Loro vogliono, invece che tutto venga sostituito. E da qua, per esempio, la svalutazione crescente del mondo del lavoro, delle professioni. Perché le professioni connotano qualche qualità umana che non è sostituibile. Invece tutto deve essere sostituibile, tutto deve essere disanimato, calcolabile, contabile.Tutto deve essere ridotto a numero, a economia matematica che viene fatta passare come legge naturale, come se fosse una legge della natura. Mentre sappiamo – almeno da 150 anni – che non esiste alcuna economia come scienza esatta, ma esiste sempre un’economia che è l’organizzazione di interessi molto precisi. E qui è il punto. È questo che non si vuole mostrare. È questo l’indicibile! E qui ci stanno degli interessi precisi di élite oligarchiche precise che dominano il mondo a livello finanziario. Ma questo oggi ce lo dice Habermas, cioè ce lo dicono pensatori moderati. Quest’idea del complottismo è veramente ridicola e denuncia una grande ignoranza. Perché allora è complottista anche il Papa, è complottista Habermas, è complottista Rifkin, cioè sono complottisti praticamente tutti quelli che ancora pensano. Ci sarebbe da chiedere, se questi sono complottisti, gli altri chi sono? Sono quelli che i complotti li fanno davvero! Perché questo è il problema: c’è una vasta area di collaborazionismo, oggi! Perciò ci vuole una rivoluzione culturale inedita, che è la rivoluzione della nuova umanità. Cioè, quella che sta nascendo in questa crisi, perché sta nascendo una nuova umanità. Un’umanità più relazionale, un’umanità che non si può meccanicizzare, che scopre i livelli più profondi di libertà interiore e li vuole manifestare socialmente.L’uomo nascente, la nuova umanità, ancora non trova dei fuochi di aggregazione, per cui è disseminata e molto controversa e confusa. Quindi dobbiamo trovare dei minimi comuni denominatori, cioè dei punti su cui persone molto diverse, che hanno anche formazioni diverse, potranno convergere in questa dinamica rivoluzionaria. E io credo che i punti poi siano pochi, quelli necessari per creare poi un’aggregazione. C’è un accordo tra una visione laica e una visione di chi pratica il buddismo, lo yoga, le medicine alternative e via dicendo: tutti concordano sul fatto che è un’intera figura di umanità che non funziona più. Il secondo punto su cui possiamo concordare tutti è che questo passaggio non può essere soltanto estrinseco, cioè “cambiamo le strutture del mondo”, come sono state le rivoluzioni moderne: “assaltiamo la Bastiglia”, “prendiamo il Palazzo d’Inverno”, “facciamo l’insurrezione mazziniana”… No! Questo è oggi impossibile. Dobbiamo organizzare un movimento di trasformazione che parta sempre anche dal profondo di sé. Cioè, il Palazzo d’Inverno ce l’ho anche dentro di me. La modalità “egoico-bellica” c’è anche nei gruppi alternativi ed è fortissima! La modalità bellica di pensare la trovi anche in tanti pacifisti. Dobbiamo collaborare ad un processo che certo sarà secolare, però ce lo possiamo godere anche oggi.Dobbiamo immaginare un movimento che sia al contempo interiore, diciamo spirituale in senso assolutamente transconfessionale, e politico-storico. Insieme, su questi due grandi fuochi, io credo che potremo organizzare un’aggregazione finalmente in grado di avere una rappresentanza politica e finalmente mettere seriamente in crisi il sistema, altrimenti rimaniamo nell’ambito dell’idealismo, della testimonianza, anche bella ma di nicchia, e non potremo aspirare a quello che invece dobbiamo aspirare: cioè a trasformare le strutture. La grande riforma implica una riforma spirituale. Dobbiamo cioè aiutarci a far uscire l’umanità dalla modalità bellica, che non è naturale. Ecco perché io ho creato dei gruppi di liberazione interiore, con un percorso che dura sette anni. Perché sennò sono chiacchiere. E di chiacchiere, negli ultimi duecento anni, ne abbiamo sentite tante… Dall’Illuminismo in poi c’è questa idea che l’uomo, di punto in bianco, diventi santo, diventi generoso, diventi altruista, ma sono tutte balle! Poi abbiamo prodotto il Terrore di Robespierre, abbiamo prodotto le devastazioni del comunismo nel XX° secolo in nome della pace e della giustizia e della libertà. Dovrebbe essere finito questo tempo, cioè: trasformarci è un lavoro quotidiano.Ma questo deve poi divenire un movimento storico, culturale e quindi politico. Politico nel senso grande e in un senso nuovo. Dovremmo creare aggregazioni, anche delle forme di attestazione non-violenta, totalmente post-novecentesca, post-ideologica, direi ridente, sorridente e determinata, che abbia la forza della novità, la forza della vita crescente. Capite che è travolgente la vita che cresce? Se ne strafotte del passato, non ha nemmeno più bisogno di confutarlo, si manifesta nella sua novità. La novità è travolgente. Questo è quello che io sento e che i grandi poeti – ai quali mi rifaccio – profetizzano da almeno duecento anni. Perché questa è una storia – ripeto – antica, è una storia antica che sta vivendo una fase nuova. Ma non è una cosa che nasce adesso. L’idea della nuova umanità non nasce adesso: ha perlomeno duemila anni, in Occidente. E tutta la modernità – a partire del XV°/XVI° secolo – si è proposta come una nuova umanità. Noi siamo in una fase nuova di questo lungo processo e anche questo lo dobbiamo capire, perché altrimenti poi facciamo la new age, che è un fenomeno di costume, si sbriciola.I passi io li vedo molto semplici e chiari, anche se poi i tempi della realizzazione storica di questa insurrezione non sono facilmente prevedibili. Bisogna partire da sé stessi, ma bisogna ripartire tutti i giorni. Cioè non è che parti e poi te lo scordi. L’insurrezione della nuova umanità è il processo quotidiano attraverso il quale ci liberiamo di legami interiori, schiavitù, paure, blocchi, terrori, risentimenti, di tutto ciò che impedisce alla nuova umanità, alla sua creatività di esprimersi. Questo è il primo passo sempre da rifare. Dopodiché, questa cosa bisogna viverla in gruppi, non è che la vivi da solo. Bisogna espandersi a cerchi concentrici partendo dai gruppi – potremmo dire – più iniziatici, quelli che lavorano assiduamente su di sé. Bisogna poi che questo diventi un discorso comune, ecco: dobbiamo far sì che questi concetti elaborino una nuova cultura.(Marco Guzzi, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per la video-intervista “Siamo entrati in un nuovo Neolitico”, pubblicata da “ByoBlu” il 16 giugno 2017. Poeta e filosofo, Guzzi è il fondatore del movimento “Darsi pace”, un laboratorio di nuova umanità).Questa crisi è antropologica, quindi molto più profonda dei numeri, molto più radicale. Ma è anche una grande crisi di crescita. Io sono positivo. È una grande crisi, ma non è più grande di noi: è alla nostra portata. Dobbiamo renderci conto della sua radicalità e prenderla di petto. È una crisi di crescita, è una crisi sostanzialmente evolutiva, e noi non siamo ancora in grado di interpretare questa direzione evolutiva e facilitarla. E questo la aggrava. Questa è la cosa più pericolosa: non tanto che la crisi sia antropologica, cioè è una crisi paragonabile a quella del Neolitico, perché sta cambiando un’antropologia, cioè un modo di essere uomini. La crisi antropologica del Neolitico è il momento in cui (grossomodo dall’8.000 al 5.000 a.C.) l’umanità si dà una forma che è poi quella che – con moltissime evoluzioni – arriva fino a noi. Inizia l’agricoltura, gli uomini cominciano quindi a stabilizzarsi in un luogo, a costruire le città, e sorge la civiltà che poi, con enormi mutazioni, arriva fino a noi. Noi siamo in una fase di trasformazione ancora più grande per l’essere umano. Questo vuol dire, in termini semplici, che tutto un modo di “essere umani”, come il diritto, l’economia, la filosofia, la democrazia, la politica, i rapporti sessuali, i rapporti familiari, cioè tutte le forme antropologiche, le istituzioni in cui l’umanità organizza la sua vita, sono in travaglio.
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Arriva il cancro del Ceta tra le anime morte del Parlamento
Il degrado della nostra democrazia è ben rappresentato dal fatto che uno scontro megalattico stia accompagnando la discussione su una legge all’acqua di rose sullo ius soli, mentre il Senato si prepara ad approvare nel silenzio generale il famigerato trattato Ceta. Il trattato è quello stipulato tra Unione Europea e Canada e serve a far passare liberamente la globalizzazione più selvaggia e distruttiva, travolgendo le poche regole rimaste a difesa dei lavoratori, dei consumatori, dei cittadini. Il succo del trattato è il via libera ai prodotti, ai servizi e alle attività delle grandi multinazionali, secondo le regole loro e del paese più disponibile verso di esse. E se qualche Stato dovesse decidere di opporsi in nome delle proprie leggi su lavoro, salute e ambiente, le multinazionali potrebbero citarlo in giudizio in un arbitrato, gestito a condizioni, per esse, di favore. La extragiudizialità dei grandi fruitori di profitti rispetto agli Stati diventa legge, lo stesso privilegio di fronte alla giustizia comune di cui nel Medio Evo godevano prìncipi e baroni.Il Ceta è una Bolkestein globale ed è perfettamente eguale all’altro trattato, sul quale invece l’opinione pubblica europea era stata in grado di fermare i suoi folli governi: il Ttip con gli Stati Uniti. Forse perché la potenza degli Usa intimoriva di più, alla fine anche Hollande e Merkel bloccarono la ratifica di quel trattato. Non il governo italiano, però, che – servo tra i servi – ha invece continuato a dichiararsi favorevole ad esso. Bloccato il Ttip, il Ceta con il più simpatico Canadà è diventato lo strumento, il cavallo di Troia, per far passare la stessa devastazione di massa dei diritti. Tutta la stampa italiana ha incensato il gentile e fascinoso leader canadese, Trudeau, che omaggiava le vittime del terremoto. Era una bella opera di promozione di un trattato che toglierà le barriere alla importazione del grano duro, che in Nord America si coltiva con largo uso del cancerogeno glifosato. Le multinazionali Usa, in attesa che passi il trattato con il loro paese, potranno così utilizzare le loro sedi canadesi ed il Ceta per ottenere subito il via libera ai loro affari, per noi, più distruttivi.La ratifica del Ceta avviene da parte di un Parlamento dove quasi tutti, poi, si pentono dei trattati che firmano ed approvano. La mostruosa riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che ha costituzionalizzato l’austerità europea, è avvenuta quasi alla unanimità nelle due Camere, ma ora non si trova chi l’abbia votata. Tutti oggi dicono di voler cambiare i trattati europei, ma fanno finta di non saper che ogni modifica di quei trattati richiederebbe l’unanimità degli Stati, quindi il consenso della Germania. Tutti dicono di voler cambiare i trattati dopo, ma pochi cercano di fermarli prima. Il Ceta è un attentato ai diritti e alla democrazia, per me chi lo approva dovrà essere considerato nemico, ma anche chi si occupa d’altro mentre proprio qui dovrebbe rovesciare il tavolo, anche chi lo lascia passare in silenzio dovrà essere chiamato alle sue responsabilità. Una democrazia muore per colpa di chi la colpisce, ma anche di chi volge lo sguardo da un’altra parte.(Giorgio Cremaschi, “Ceta, un attentato ai diritti e alla democrazia”, da “Micromega” del 24 giugno 2017).Il degrado della nostra democrazia è ben rappresentato dal fatto che uno scontro megalattico stia accompagnando la discussione su una legge all’acqua di rose sullo ius soli, mentre il Senato si prepara ad approvare nel silenzio generale il famigerato trattato Ceta. Il trattato è quello stipulato tra Unione Europea e Canada e serve a far passare liberamente la globalizzazione più selvaggia e distruttiva, travolgendo le poche regole rimaste a difesa dei lavoratori, dei consumatori, dei cittadini. Il succo del trattato è il via libera ai prodotti, ai servizi e alle attività delle grandi multinazionali, secondo le regole loro e del paese più disponibile verso di esse. E se qualche Stato dovesse decidere di opporsi in nome delle proprie leggi su lavoro, salute e ambiente, le multinazionali potrebbero citarlo in giudizio in un arbitrato, gestito a condizioni, per esse, di favore. La extragiudizialità dei grandi fruitori di profitti rispetto agli Stati diventa legge, lo stesso privilegio di fronte alla giustizia comune di cui nel Medio Evo godevano prìncipi e baroni.
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Terrorismo, il bugiardo copione della morte. Fino a quando?
Qualcuno crede ancora che sia stato Osama Bin Laden, cioè il socio storico della famiglia Bush, poi agente speciale della Cia in Afghanistan, a far radere al suolo le Torri Gemelle, il giorno in cui – per la prima e unica volta nella storia degli Stati Uniti – l’aviazione era stata interamente impegnata in una decina di esercitazioni concomitanti, dall’Alaska alla West Cost, lasciando solo 4 aerei a guardia del cielo di New York e Washington? E qualcuno crede ancora che lo stesso Bin Laden sia stato davvero ucciso il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, su ordine di Obama, dai Navy Seals poi tragicamente a loro volta uccisi (tutti) da un razzo dei Talebani all’aeroporto di Kabul? Qualcuno, davvero, crede che il fantomatico Abu Bakr Al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca e poi fotografato in Siria in amena compagnia del senatore John McCain, non c’entri nulla con le reti di intelligence occidentale che hanno organizzato a tavolino la “guerra infinita” fabbricando, allo scopo, prima Al-Qaeda e poi lo Stato Islamico?Mentre si prolunga il silenzio assordante dei media mainstream, che ignorano deliberamente le ormai migliaia di fonti – da Wikileaks in giù – che raccontano tutta un’altra storia, come quella dell’ambasciatore americano a Bengasi saltato in aria con tutte le sue carte dopo che il network di Assange aveva scoperto il traffico di ami chimiche dalla Libia verso la Siria (da cui l’emailgate di Hillary Cinton, con 1.400 messaggi precipitosamente cancellati), ammonta a ormai molti milioni di persone la platea internazionale degli “webeti” che vogliono sapere, informarsi, scoprire perché agli europei oggi tocca morire per strada, al bar, in metropolitana, al concerto, allo stadio. Voci eminenti hanno squarciato un velo di omissioni, falsità e depistaggi. Giornalisti, premi Pulitzer, ex ministri americani, ex militari d’alto rango, massoni, analisti, specialisti dell’intelligence. Raccontano tutti la stessa storia: un’élite impazzita ha il terrore di perdere il potere assoluto conquistato negli ultimi trent’anni, da quando – afflosciatasi la minaccia sovietica – il “partito della guerra”, il business degli armamenti, aveva assoluta necessità di “inventare” un altro nemico, necessario a giustificare il boom inesauribile della spesa militare, e così ha “fabbricato” la minaccia islamista.Lo ammette l’anziano Zbigniew Brzezisnki nelle sue memorie: fu lui a reclutare Bin Laden, fu lì che tutto cominciò. Il seguito è stato solo una tragica farsa, sanguinosissima: l’11 Settembre, le “armi di distruzione di massa” di Saddam, l’esercito barbarico del Califfo, le armi chimiche di Assad e quelle di Gheddafi, l’atomica dell’Iran. Ora siamo ai kamikaze, veri o presunti, ma comunque non sopravviventi: immancabilmente “già segnalati dall’intelligence”, regolarmente “sfuggiti al controllo”, prontamente individuati e riempiti di piombo. Terrorizzare un paese come la Francia, strategico per l’oligarchia finanziaria Ue, secondo alcuni osservatori è una misura preventiva: le leggi speciali frenano la protesta per le misure di rigore sociale in arrivo, e concorrono all’elezione in carrozza di un soggetto come Macron, creatura in vitro della supermassoneria reazionaria incarnata dall’onnipresente Jacques Attali, l’uomo che derise la “plebaglia europea”, illusasi che l’euro fosse stato creato per la sua felicità. Fino a quando durerà, questa recita, che attualmente insanguina il Regno Unito colpevole di aver scelto la Brexit? Se è vero che i signori del terrore hanno paura di perdere il regno, come sostiene qualcuno, c’è ragione di temere un maxi-attentato, stile 11 Settembre. A meno che, a monte, non accada qualcosa, e l’élite “nera” sia sconfitta. Ma non c’è caso che gli “webeti” vengano a saperlo da giornali e televisioni. Siamo nel 2017, e la verità non è mai stata così incerta e rischiosa, avara e tristemente clandestina.Qualcuno crede ancora che sia stato Osama Bin Laden, cioè il socio storico della famiglia Bush, poi agente speciale della Cia in Afghanistan, a far radere al suolo le Torri Gemelle, il giorno in cui – per la prima e unica volta nella storia degli Stati Uniti – l’aviazione era stata interamente impegnata in una decina di esercitazioni concomitanti, dall’Alaska alla West Cost, lasciando solo 4 aerei a guardia del cielo di New York e Washington? E qualcuno crede ancora che lo stesso Bin Laden sia stato davvero ucciso il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, su ordine di Obama, dai Navy Seals poi tragicamente a loro volta uccisi (tutti) da un razzo dei Talebani all’aeroporto di Kabul? Qualcuno, davvero, crede che il fantomatico Abu Bakr Al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca e poi fotografato in Siria in amena compagnia del senatore John McCain, non c’entri nulla con le reti di intelligence occidentale che hanno organizzato a tavolino la “guerra infinita” fabbricando, allo scopo, prima Al-Qaeda e poi lo Stato Islamico?