Archivio del Tag ‘beneficenza’
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Quando eravamo ricchi, con la lira e l’inflazione a mille
«Negli anni Ottanta, gli anni in cui l’Italia navigava nell’oro, quando eravamo il quarto paese più ricco del mondo, il tasso d’inflazione si aggirava mediamente attorno al 15% e raggiungeva picchi di oltre il 21%». Le famiglie spendevano e il risparmio medio dei nuclei familiare durante il periodo d’inflazione più alta superava il 25%: «Eravamo il primo paese al mondo per risparmio privato e le famiglie avevano ampia libertà di spesa», ricorda Vincenzo Bellisario. Oggi l’inflazione si aggira attorno allo 0%, e l’economia è alla canna del gas: «Le famiglie devono risparmiare su tutto, hanno scarsa libertà economica, abbiamo raggiunto e superato i livelli di consumo da fame del periodo della “grande depressione” e, nonostante ciò, la media attuale di risparmio privato è del 4% circa. E tutto va male». Secondo Bellisario, esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi per contribuire alla democratizzazione della politica italiana contro lo strapotere dell’élite economica, «lo spettro dell’inflazione è una grande truffa, così come lo è stata e lo è purtroppo ancora oggi quella del debito pubblico, che altro non è se non l’indicatore che misura la ricchezza finanziaria del cittadini».«Più lo Stato spende, più la popolazione si arricchisce», riassume Bellisario. Questo può provocare il “rischio” inflazione, cioè troppi soldi, a fronte di pochi prodotti? L’inflazione può essere facilmente contenuta, in tre modi: lo Stato spende di meno nel comparto pubblico, oppure spende di più per aumentare la produttività nel settore privato (l’inflazione non è mai un problema finché la produzione non si riduce in maniera troppo corposa), o ancora, lo Stato introduce una tassa temporanea, in modo da togliere di mezzo gli eventuali soldi in eccesso. «L’inflazione in realtà è un falso problema», insiste Bellisario. Idem il debito pubblico, agitato come spauracchio: come se lo Stato fosse una normale famiglia, nei guai con la banca (il che, nell’Eurozona, è esattamente la realtà: il governo può solo finanziarsi tassando a morte i cittadini e prendendo a prestito gli euro, a caro prezzo, mettendo all’asta i titoli di Stato). Come se ne esce? In un solo modo: recuperando la sovranità monetaria, come sottolinea l’economista Nino Galloni, altro esponente del Movimento Roosevelt.Sulla mistificazione che vela la vera natura del debito pubblico, Bellisario lancia una provocazione: chiamiamolo “ricchezza nazionale”, così almeno la gente capisce di cosa di tratta veramente. «Invito tutti voi alla massima attenzione su questa precisa e personale proposta di modifica del termine “debito pubblico” in “ricchezza pubblica” o, molto più semplicemente, in “ricchezza dei cittadini”», scrive Bellisario sul blog del movimento. «Detto questo, immaginate che da domani tutti i vari Tg, le varie rubriche di approfondimento, giornali, Internet e quant’altro annunciassero che la “ricchezza dei cittadini” (quindi non più il “debito pubblico”, parola che spaventa la gente) è aumentata nell’ultimo anno di 100 miliardi di euro. Ecco, provate ad immaginare questo». Sarebbe una rivoluzione, ovviamente. Ma non partirà mai, almeno fino a quando l’oligarchia finanziaria centralizzata a Bruxelles continuerà a colonizzare partiti e fabbricare leader obbedienti.Sotto il regime dell’euro, è praticamente impossibile raggiungere la piena occupazione, che in teoria sarebbe la ragione sociale dello Stato democratico. Serve un “futuro Nuovo Stato”, come lo chiama Bellisario: uno Stato «sovrano, con moneta sovrana e banca al 100% pubblica e direttamente sotto il controllo politico». Primo passo: «Inserire in Costituzione il principio della “piena occupazione”. E abrogare, nell’immediato, il “pareggio di bilancio”», che non è solo un obbrobrio, ma anche un delitto: «Se c’è crisi, se c’è disoccupazione – dice Galloni – puntare al pareggio di bilancio è un crimine». Uno Stato sovrano, dotato cioè di pieno potere di spesa, non avrebbe alcun problema ad «assumere immediatamente (senza se e senza ma) tutte le persone che attualmente collaborano precariamente per conto dello Stato in ogni settore della pubblica amministrazione». E inoltre «istituirebbe bandi di concorso in ogni settore per il numero che ritiene giusto, per far sì che ogni comparto possa operare a pieno organico e nella maniera più efficiente e rapida possibile». Nulla di tutto ciò è all’orizzonte, naturalmente. «Stiamo morendo di fisco», disse a Torino già nel 2012 il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «Gli imprenditori sono disposti a rinunciare a tutti gli incentivi in cambio di una riduzione della pressione fiscale a carico di imprese e famiglie».L’eventuale futuro “Nuovo Stato” italiano, auspicato dal Movimento Roosevelt, baserebbe le sue entrate fiscali su due sole aliquote, il 20% per i redditi fino ai 100.000 euro e il 23% per i redditi superiori. Altre eventuali tasse solo per «tutti coloro che investono nei beni di lusso, che creano principalmente benessere personale e non collettivo». Motivo: «Tassandola, si incoraggia la persona benestante a spendere e investire di più nei cosiddetti beni quotidiani, in modo da far girare meglio l’economia reale. Questo inciderebbe positivamente sulla costruzione di nuovi posti di lavoro». A questo punto, aggiunge Bellisario, è giusto ricordare cosa rappresentano le tasse in un paese libero, cioè sovrano, «concetto spiegato in maniera impeccabile dalla Mosler Economic, o Modern Money Theory, portata in Italia dal giornalista Paolo Barnard grazie al suo lavoro, che ho sempre senza mezzi termini definito “ai limiti dell’umano”».Se uno Stato è libero di emettere moneta in quantità teoricamente illimitata per il benessere della comunità nazionale, non rinuncia in ogni caso al prelievo fiscale. Perché le tasse, all’interno di un “contesto sovrano”, vengono utilizzate per quattro precisi scopi. Primo: tenere a freno la ricchezza dei privati e quindi il loro strapotere. Secondo: evitare l’eccesso di inflazione. Terzo: scoraggiare o incoraggiare comportamenti (si tassa l’alcool, il fumo o l’inquinamento, mentre ad esempio si detassano le beneficenze, le ristrutturazioni). Quarto: imporre ai cittadini l’uso della moneta sovrana dello Stato dove si vive. Tutrto questo, ovviamente, in un paese libero. Non nell’Eurozona, dove lo Stato è ridotto a super-tassare per sovravvivere. Scavandosi la fossa, come diceva – in tempi non sospetti – un certo Winston Churchill: «Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico».«Negli anni Ottanta, gli anni in cui l’Italia navigava nell’oro, quando eravamo il quarto paese più ricco del mondo, il tasso d’inflazione si aggirava mediamente attorno al 15% e raggiungeva picchi di oltre il 21%». Le famiglie spendevano e il risparmio medio dei nuclei familiare durante il periodo d’inflazione più alta superava il 25%: «Eravamo il primo paese al mondo per risparmio privato e le famiglie avevano ampia libertà di spesa», ricorda Vincenzo Bellisario. Oggi l’inflazione si aggira attorno allo 0%, e l’economia è alla canna del gas: «Le famiglie devono risparmiare su tutto, hanno scarsa libertà economica, abbiamo raggiunto e superato i livelli di consumo da fame del periodo della “grande depressione” e, nonostante ciò, la media attuale di risparmio privato è del 4% circa. E tutto va male». Secondo Bellisario, esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi per contribuire alla democratizzazione della politica italiana contro lo strapotere dell’élite economica, «lo spettro dell’inflazione è una grande truffa, così come lo è stata e lo è purtroppo ancora oggi quella del debito pubblico, che altro non è se non l’indicatore che misura la ricchezza finanziaria del cittadini».
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Marina militare, vero affare: stessa nave, prezzo doppio
Gli idraulici, si sa, godono di pessima fama. Non certo per le pochade sexy che ormai hanno fatto il loro tempo, quanto per i ritardi (“vengo verso le 14” e arriva se va bene tre giorni dopo) e per la tombola dei prezzi. Ognuno di noi ha la propria riserva di disastri e storielle da raccontare. Una guarnizione che perde può costare dai 40 ai 200 euro. Se poi il malcapitato dovesse chiedere la ricevuta (ma perché dovrebbe farlo stante l’andazzo?) scopre che l’Iva è sempre da aggiungere. Una sorta di mistero mistico: appare solo a chi la invoca. Facciamo adesso un giochino. Mettiamo al posto del cliente con il tubo che perde, chessò, un Parlamento. Magari quello italiano. Un po’ screditatello, ma insomma pur sempre un Parlamento. Invece dell’idraulico, ecco qua: un bel Governo. Forse anche un governicchio qualsiasi, ma un Governo. Il governicchio dice: ci servono delle navi da guerra, ma attenti è solo per portare il pane ai terremotati e ridare la vista ai bambini ciechi. Gesù di Nazareth non avrebbe saputo fare meglio.È il traslato istituzionale del mettete dei fiori nei vostri cannoni, iconizzato dalle foto di Marc Riboud e Bernie Boston. O forse l’onda lunga della rivoluzione portoghese dei garofani. Ma fare beneficenza, si sa, costa. Diciamo 5,4 miliardi di euro secondo un primo conto. Non starò a tediarvi con gli avanti e indietro di questi miliardi. Vi racconterò solo la conclusione. Lo scorso gennaio le commissioni Difesa dettero l’ok all’acquisto, tra le altre, di una nave anfibia del tipo Lhd, Landing Helicopter Dock. Una nave di oltre 20 mila tonnellate con bacino allagabile dove trasportare i mezzi da sbarco, un ponte di volo per elicotteri e (scommettiamo?) caccia F-35B. Naturalmente ai deputati e senatori nessuno ha detto veramente come sarà questa nave. Solo fumo, e un gran parlare di doppio uso, anzi dual-use, sempre rigorosamente in inglese che fa tanto, ma tanto più figo. Primo principio dell’idraulica dal manuale “L’idraulico for dummies”: siate vaghi, approssimativi, lasciate intendere che potrebbe essere niente o forse tutto.In questa vaghezza, a gennaio il Ministero dello sviluppo economico (scusate, avevo dimenticato: i soldi non vengono dalla Difesa ma dal Mise, altrimenti come faremmo a tenere le spese militari sotto l’1 per cento del Pil?) spiegò al Parlamento che la nave sarebbe costata 844 milioni. Ammettiamolo: un sacco di soldi per una nave che è poco più di un traghetto, considerando che la sua missione non è combattere nemici sofisticatissimi ma portare, scortata, qualche centinaio di uomini il più vicino possibile a una costa e poi togliere il disturbo il più velocemente possibile. Grave errore, è stato violato il secondo principio dell’idraulica: mai dare cifre esatte. Arriva l’estate e a inizio luglio non il Governo, non un ministro qualsiasi, anche screditato, ma Finmeccanica e Fincantieri annunciano di aver firmato un contratto per costruire quella benedetta Lhd. Un totale di € 1.126.000.000. Avete letto bene: un miliardo e 126 milioni. Ma non erano 844 milioni, si sarà chiesto il camallo di Sampierdarena? Una domanda sorge spontanea, avrebbe reagito il buonanima Riccardo Pazzaglia: ma quei quasi 300 milioni in più a cosa servono?Qualcosa del genere se l’è chiesta anche Massimo Artini, che non è né un emulo di Pazzaglia né tantomeno un camallo genovese, ma è vicepresidente della commissione Difesa della Camera. Artini, già pentastellato espulso e ora transitato ad “Alternativa Libera”, si è chiesto come mai questa stratosferica differenza e ha girato la domanda al Governo. Il quale Governo anziché dire, come avrebbe fatto anche il gatto preso con il sorcio in bocca, “carissimi vi abbiamo gabbato” mentre accenna al gesto dell’ombrello o si esibisce in un pernacchio alla De Filippo (sostituendo “Duca Alfonso Maria di San’Agata dei Fornari” con “italiani”) è riuscito a produrre uno dei più straordinari esempi di sintassi burocratica. Perfetta applicazione del terzo principio dell’idraulica: se ti beccano, spara cazzate una dopo l’altra.Tre-pagine-tre di risposta, lette senza vergogna dal sottosegretario Gioacchino Alfano, di cui vi propongo alcuni passaggi topici. Comincia con «In esito al portato dell’articolo 1, comma» (in esito al portato? Siamo sicuri?) e dopo una quindicina di righe di nulla si arriva finalmente alla nave che serve «per la proiezione di assetti (sic!) operativi ad elevata prontezza, militari e umanitari, per il concorso della Difesa ad attività di soccorso umanitario in occasione di eventi straordinari/calamità naturali con spiccati requisiti di standardizzazione e interoperabilità nell’ambito della politica di difesa comune europea». Da cui si capisce che se non ci fossero terremoti, maremoti, disastri assortiti questa nave non servirebbe a nulla perché la guerra non fa parte delle sue prospettive. E l’omaggio di rigore alla politica di difesa europea è del tutto vuoto perché, come si sa, non esiste.Andiamo avanti. «La progressiva definizione… hanno, nel contempo, portato a determinare, nel dettaglio, la tipologia e il costo delle acquisizioni necessarie per il soddisfacimento del requisito operativo… sono state individuate le capacità che non rientravano nel volume finanziario effettivamente disponibile». Traduzione: pensavamo di spendere 844 milioni per una nave che non ci serviva perché non rispondeva al requisito operativo (portare pane agli affamati, se abbiamo ben capito). Mancanze che non dovevano essere poche se fanno aumentare il prezzo di un circa 300 milioni. Alfano chiama questo abominio semantico “processo di rimodulazione”. Beato lui che riesce a dirlo senza contorcersi dalle risate; per cui, prosegue senza il minimo di ironia l’omonimo del ministro degli Interni, «è stata data priorità alla compiuta realizzazione dei singoli progetti e al consolidamento dei contenuti tecnologici sottesi al loro sviluppo». Par di capire dunque che l’alternativa, senza questi 300 milioni, sarebbe stata comperare della navi che non servivano o non funzionavano. Interessante.Ma le coup de théâtre arriva adesso: «L’integrazione di 282.295.487 euro (precisi al centesimo, ndr) non ha comportato alcun incremento delle capacità originariamente previste dal requisito operativo della Lhd». No, davvero? Spendo 300 milioni in più per nulla? Questo è fondamentale: pago un sacco di soldi in più ma non mi viene in tasca un beata mazza. Per cui, sembra voler dire l’indefettibile Alfano, noi Governo non vi abbiamo imbrogliato a voi parlamentari e italiani. La nave è la stessa. Costa trecento milioni in più, ma non starete a guardare il pelo sull’uovo. O gufoni. È l’apoteosi: il quarto principio dell’idraulica assurto a imbroglio sublime, tanto perfetto da lasciare senza fiato per l’ardire. Se ti beccano con le mani nello scarico mentre smonti il tubo che funziona perfettamente, parla della tua infanzia infelice. Naturalmente tutto ciò non avviene davanti a un lavandino che perde, ma in un’aula del Parlamento. E speriamo che non pretendano anche l’Iva (quinto principio dell’idraulica).(Toni De Marchi, “Marina militare, vero affare: stessa nave, prezzo doppio”, da “Il Fatto Quotidiano” del 4 agosto 2015).Gli idraulici, si sa, godono di pessima fama. Non certo per le pochade sexy che ormai hanno fatto il loro tempo, quanto per i ritardi (“vengo verso le 14” e arriva se va bene tre giorni dopo) e per la tombola dei prezzi. Ognuno di noi ha la propria riserva di disastri e storielle da raccontare. Una guarnizione che perde può costare dai 40 ai 200 euro. Se poi il malcapitato dovesse chiedere la ricevuta (ma perché dovrebbe farlo stante l’andazzo?) scopre che l’Iva è sempre da aggiungere. Una sorta di mistero mistico: appare solo a chi la invoca. Facciamo adesso un giochino. Mettiamo al posto del cliente con il tubo che perde, chessò, un Parlamento. Magari quello italiano. Un po’ screditatello, ma insomma pur sempre un Parlamento. Invece dell’idraulico, ecco qua: un bel Governo. Forse anche un governicchio qualsiasi, ma un Governo. Il governicchio dice: ci servono delle navi da guerra, ma attenti è solo per portare il pane ai terremotati e ridare la vista ai bambini ciechi. Gesù di Nazareth non avrebbe saputo fare meglio.
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Arrivano i Buoni: filantropia finanziaria, business del dolore
Geldof, Bono Vox, Soros e compagnia filantropica cantante hanno scoperto cosa significa “investire 1 euro e ottenerne 2,74 euro in un anno”. Quale investimento vi garantisce oggi un rendimento del 174%? Conseguentemente hanno investito un bel po’ di soldi in quelle operazioni di “tanto cuore, poco cervello”. O forse sono operazioni di “tutto cervello e niente cuore”? Non so, fate voi. Non credo che la truffa di One (Bono) o di Band Aid sia molto diversa dalla truffa dell’Open Society (Soros). Fatto sta che venendo meno lo Stato di diritto, sostituito dallo Stato di dovere (ve ne eravate accorti?), al cittadino viene imposto l’obbligo morale di fare ciò che fino a prima lo Stato faceva, ovvero normare la perequazione e finanziare il diritto. L’imperativo morale che ci sovrasta è fornire montagne di soldi a carrozzoni che dovrebbero (notate il condizionale) aiutare le persone o i popoli in difficoltà, dando così la possibilità agli squali della finanza di lucrare quel 174% sulla nostra buona fede e sui nostri sensi di colpa. Eppure paghiamo già abbondanti tasse e balzelli, il nostro dovere lo facciamo ogni giorno.Forse avete già intuito che tutti quei soldi vanno a finire nel salvataggio delle banche, o giù di lì. La novità consiste nel donare alla filantropia per permettere guadagni scandalosi alla finanza. Da Tares, Tari, Tasi a Telethon o Band Aid, cosa cambia quindi? L’idea, selvaggia e perversa al tempo stesso, è che noi cittadini dobbiamo salvare il mondo: Stati, banksters e filantropi compresi. Siamo perseguitati dalla tv del dolore che non perde occasione per farci vedere un’umanità sofferente che necessita del nostro aiuto. Sono tempi bui, e, come diceva un utile idiota, «non chiederti cosa lo Stato può fare per te, chiediti cosa TU puoi fare per lo Stato». Era il New Deal, o giù di lì, il massimo dell’espansione dello Stato. Figuriamoci oggi, che lo Stato è in totale recessione: cosa dovremmo fare per soddisfare gli insaziabili appetiti di Ong, Onlus e associazioni umanitarie varie?Ma poi di chi sarebbe la colpa di tutta questa oscena morale? Sono «le regole che hanno permesso agli speculatori di fare quel che hanno fatto» (e che continueranno a fare) dice il buon Soros, aggiungendo che «non è colpa degli speculatori». E ci mancherebbe! Che colpa ne hanno se lo Stato “consiglia” di donare soldi alla speculazione filantropica? Eppoi non facciamone una questione personale: nessun miliardario che si rispetti evita la filantropia, neanche Gates, secondo cui investire in Africa contro malattie e povertà è del tutto simile all’innovazione tecnologica. E porta ai medesimi risultati. L’uomo più ricco del pianeta (66 miliardi di dollari) è convinto che non solo sia giusto interessarsi dei bisogni non recepiti dai mercati, ma anche economicamente interessante. Ecco la nuova frontiera della finantropia (acronimo tra finanza e filantropia): unisci le tecniche del venture capital agli obiettivi del non profit e avrai “venture philanthropy”. La nuova filantropia mette da parte il paternalismo e tenta la sfida degli investimenti finanziari.E’ tutto un proliferare di attività finantropiche, ve ne siete accorti? Il mondo ha bisogno della nostra collaborazione, perchè il mondo sta finalmente cambiando. In questo nuovo quadro che si va delineando il ruolo storico dell’intermediazione e della consulenza finanziaria deve essere ridisegnato. Lo scopo non può essere soltanto quello di massimizzare il rapporto rendimento/rischio del cliente, è invece imperativo un allargamento del processo di investimento che, dal binomio rischio-rendimento, deve estendersi al trinomio sostenibilità-rischio-rendimento. Sappiate che le prestazioni dotate di buon senso e che creano valori sostenibili conferiscono energia al denaro, così che questo genera altro denaro e benessere per tutti allo stesso modo: per i filantropi e per chi riceve il capitale investito o i doni, per le organizzazioni, i collaboratori in seno al progetto e per il fundraiser.Lo Stato di dovere ci impone l’obbligo di aiutare i paesi poveri, e al microcredito è andato addirittura un Nobel. Sapete perchè? Ma perchè dalla filantropia al business il passo è breve, ammesso che esista: il credito a breve – erogato ai piccolissimi imprenditori dei paesi in via di sviluppo – è remunerativo e sicuro. Capito? Come sono stati raccolti questi capitali? Per esempio da fondi pensione svizzeri interessati a diversificare il loro portafoglio cercando investimenti che da una parte offrono un rendimento superiore a quelli di mercato, dall’altra rispondono a requisiti di responsabilità sociale. «Possiamo dire che la trasformazione della microfinanza in asset class investibile è nata in Svizzera, soprattutto a Ginevra». Non vi piacciono i neutrali banchieri svizzeri? Tranquilli che Unicredit ha ciò che fa per voi: “il mio dono” ovvero la rete della solidarietà di Unicredit.Date un’occhiata, ci sono ben 105 pagine di organizzazioni non-profit da scegliere perchè è «giusto interessarsi dei bisogni non recepiti dai mercati», come dice Gates. Cioè il Mercato va allargato a ciò che non è tecnicamente Mercato, come la solidarietà. Insomma la finantropia. Li avete già dati i due osceni euro? Avete già fatto quel fetente Sms per collaborare con quell’importantissimo progetto che salverà migliaia di vite? State dando una mano a Soros e fratelli in affari per diffondere finalmente benessere, democrazia, salute e non ultima della sana felicità nel mondo? NO? FATE SCHIFO! Ps: adesso vi regalo anche un passatempo per le festività: provate a distinguere il mio sarcasmo da ciò che gli avvoltoi finantropici spacciano per verità. Se avete dubbi seguite i link, poi fatemi sapere. Buon Natale, e siate sempre più buoni, mi raccomando. Che loro ci tengono.(Tonguessey, “Finantropia”, da “Come Don Chisciotte” del 24 dicembre 2014)Geldof, Bono Vox, Soros e compagnia filantropica cantante hanno scoperto cosa significa “investire 1 euro e ottenerne 2,74 euro in un anno”. Quale investimento vi garantisce oggi un rendimento del 174%? Conseguentemente hanno investito un bel po’ di soldi in quelle operazioni di “tanto cuore, poco cervello”. O forse sono operazioni di “tutto cervello e niente cuore”? Non so, fate voi. Non credo che la truffa di One (Bono) o di Band Aid sia molto diversa dalla truffa dell’Open Society (Soros). Fatto sta che venendo meno lo Stato di diritto, sostituito dallo Stato di dovere (ve ne eravate accorti?), al cittadino viene imposto l’obbligo morale di fare ciò che fino a prima lo Stato faceva, ovvero normare la perequazione e finanziare il diritto. L’imperativo morale che ci sovrasta è fornire montagne di soldi a carrozzoni che dovrebbero (notate il condizionale) aiutare le persone o i popoli in difficoltà, dando così la possibilità agli squali della finanza di lucrare quel 174% sulla nostra buona fede e sui nostri sensi di colpa. Eppure paghiamo già abbondanti tasse e balzelli, il nostro dovere lo facciamo ogni giorno.
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L’immenso tesoro del Papa e il custode venuto da Sydney
Lingotti e monete d’oro, banconote di ogni valuta, proprietà immobiliari sterminate: ricchezza accumulata nei secoli da preti, vescovi e cardinali, fino ad assumere proporzioni bibliche. Spulciando una relazione segreta della Cosea, la dissolta Commissione referente sull’organizzazione della struttura economica del Vaticano, “L’Espresso” scopre ad esempio che «le varie istituzioni vaticane gestiscono i propri asset e quelli di terzi a un valore dichiarato di 9-10 miliardi di euro, di cui 8-9 miliardi in titoli e uno di immobiliare». Leggendo il bilancio (mai pubblicato) dell’Apsa, l’ente che amministra il patrimonio della sede apostolica, insieme ad alcune note confidenziali firmate dal neo-presidente dello Ior, Jean-Baptiste de Franssu, «si capisce che parte importante del tesoro è nascosto proprio all’Apsa, che a differenza dello Ior non ha mai reso noti i suoi conti». Dopo che uno dei suoi contabili, monsignor Nunzio Scarano, è stato arrestato per riciclaggio, corruzione e truffa, Papa Bergoglio ha deciso di mettere il naso anche lì.“L’Espresso” ha trovato anche spese e ricavi di decine di enti pubblicati nel 2013: dalla Segreteria di Stato alle nunziature estere, passando per Radio Vaticana e il Governatorato. E’ evidente, scrive Emiliano Fittipaldi in un reportage ripreso da “Micromega”, che «le spese della curia (case, segretari, viaggi, sicurezza, rappresentanza) sono ancora senza controllo». A Place Vendôme, nel centro di Parigi, una società francese controllata dall’Apsa possiede alcuni tra i più prestigiosi immobili della zona. «La Sopridex Sa ha avuto inquilini famosi (come François Mitterrand) e oggi ha attività iscritte a bilancio che arrivano a 46,8 milioni di euro». Tra i dipendenti, anche «la bellezza di 16 portieri». Ma l’Apsa, continua “L’Espresso”, controlla anche 10 società svizzere, «tra cui la misteriosa Diversa Sa, l’Immobiliere Sur Collonge e l’Immobiliere Florimont». Società che, insieme alla Profima Sa, «gestiscono proprietà e terreni nella confederazione elvetica e in mezza Europa». Tutte insieme «valgono 18 milioni».«Va ricordato che storicamente il bilancio dell’Apsa sottostima, per questioni fiscali, i valori dei palazzi di sua proprietà», spiega a Fittipaldi una qualificata fonte dell’istituto che ha sede nel Palazzo Apostolico. «Inoltre quelle svizzere sono società non consolidate: in pancia potrebbero avere molto più di quanto dichiarato». La Profima è stata aperta a Losanna nel 1926 e fu utilizzata da Pio XI per nascondere all’estero parte dei “risarcimenti” che la Chiesa ottenne grazie ai Patti Lateranensi stipulati con il regime fascista, mentre la holding Diversa «è praticamente sconosciuta». Fondata a Lugano nell’agosto del 1942, mentre si combatteva da Stalingrado ad El Alamein, risulta oggi presieduta da Gilles Crettol, «un avvocato svizzero che gestisce gli interessi del Papa oltralpe: il suo nome spunta in quasi tutte le altre società elvetiche». Fino a qualche tempo fa, il referente italiano era invece Paolo Mennini, ma gli uomini di Papa Francesco hanno deciso di farlo fuori: da qualche settimana, al suo posto, nei Cda delle società svizzere è comparso Franco Dalla Sega, presidente della bazoliana Mittel e «manager di fiducia del nuovo boss delle finanze vaticane, il cardinale George Pell».Il Vaticano, ricorda “L’Espresso”, possiede società immobiliari anche in Inghilterra: la British Grolux Investments Ltd, fondata nel 1933, «gestisce oggi a Londra attività per la bellezza di 38,8 milioni di euro inclusi negozi di lusso in New Bond Street». Quanto all’Italia, «oltre allo sterminato forziere di Propaganda Fide, ribattezzata Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (ha un patrimonio stimato, al netto della crisi immobiliare, di circa 7 miliardi), l’Apsa controlla pure le società Sirea e Leonina, che a bilancio valgono oltre 16 milioni». Tra affitti a privati e locazioni commerciali, tutte le sigle che fanno capo all’Apsa hanno ricavato nel 2011 circa 23,5 milioni di euro. «Il bilancio finale dell’Apsa è impressionante», rileva Fittipaldi. «Case e appartamenti sparsi in Europa nel 2013 hanno toccato il valore complessivo di 342 milioni», mentre quello del portafoglio investimenti in euro ha superato quota 475 milioni, «cui bisogna aggiungere titoli per 137 milioni di dollari, 33 milioni di sterline e 17 milioni di franchi svizzeri».Un “tesoro” che vale complessivamente più di un miliardo, e che oggi gestiscono in tre: il super-consulente Dalla Sega e i due monsignori a capo dell’Apsa, il presidente Domenico Calcagno e il segretario Luigi Mistò. «Se gli immobili dell’Apsa valgono più di quanto riportato in bilancio, anche sull’oro ci sono molte cose che non tornano», aggiunge la fonde de “LEspresso”. Leggendo i dati riservati del 2013, scrive Fittipaldi, si scopre che l’Apsa detiene metalli preziosi per 30,8 milioni di euro, e «alcune stime interne della segreteria di Stato, da prendere con le molle, parlano di un controvalore di 140 miliardi di euro, il doppio di quanto conservato dalla Banca d’Italia». Qualcuno, però, sospetta che parte importante delle riserve auree del Vaticano sia conservata nei forzieri svizzeri e inglesi. «La stima mi sembra eccessiva – chiosa il dirigente Apsa – anche perché parte cospicua del nostro metallo giallo è stato venduto tra gli anni ‘90 e l’inzio del nuovo secolo dal cardinale venezuelano Rosalio Castillo Lara, ex presidente dell’amministrazione».Oltre all’oro dell’Apsa, il Vaticano controlla anche il patrimonio dello Ior, valutato 6 miliardi di euro. «Non stupisce che sul gruzzolo, dopo l’arrivo del nuovo pontefice, si sia scatenata una battaglia (l’ennesima) per la gestione. Francesco ha innanzitutto spazzato via gli uomini di Tarcisio Bertone che dal 2007 guidavano lo Ior e, attraverso Calcagno, la cassaforte dell’Apsa. Troppi gli scandali della decadente “lobby italiana”: a parte le scorribande di Scarano e le vicende di Bertone (i casi Carige e Lux Vide promettono sviluppi), le inchieste per riciclaggio hanno fatto saltare il direttore dello Ior Paolo Cipriani, il suo vice Massimo Tulli e il tesoriere della banca, mentre presto la prefettura degli Affari economici guidata da Giuseppe Versaldi, amico intimo di Bertone, potrebbe essere soppressa». Per ricostruire un sistema più trasparente, continua “L’Espresso”, Bergoglio ha poi chiamato dall’Australia il cardinale George Pell e lo ha nominato capo di un nuovo dicastero, la Segreteria dell’Economia. Una sorta di super-ministero che controllerà, di fatto, tutti gli enti finanziari dentro le Mura Leonine.Noto al Papa per le sue doti di economo, dopo aver gestito con buoni risultati una grande diocesi come quella di Sidney, il cardinale Pelle è soprattutto un uomo di comando. Ha subito silurato il presidente dello Ior, Ernst von Freyberg, rottamando le vecchie strutture di governance e accentrando nei suoi uffici i poteri esecutivi: la segreteria di Stato è stata ridimensionata (il successore di Bertone, Pietro Parolin, si occuperà prevalentemente di diplomazia), mentre lo Ior e l’Apsa sono stati commissariati. In Vaticano c’è chi teme ambizioni dell’australiano: «Se Parolin ha sotterrato l’ascia di guerra solo perché Francesco lo ha ammesso nel C9, il gruppo ristretto di cardinali che devono aiutarlo nella guida della Chiesa, il presidente del Governatorato Giuseppe Bertello sta tentando in tutti i modi di bloccarne l’ascesa». Tra i nuovi potenti, però, a «limitare il raggio d’azione di Pell» ci hanno priovato, «per ora senza successo», solo Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del C9, e il cardinale Santos Abril y Castelló, presidente della commissione cardinalizia dello Ior.In Australia, i cattolici progressisti rimproverano al prelato di Sydney le posizioni ultra-conservatrici e le sparate pubbliche sull’Islam («religione guerresca», piena di «invocazioni alla violenza»). Inoltre, Pell fu scagionato nel 2002 dall’accusa di aver abusato di un ragazzino di 12 anni, mentre nel 2008 un’altra presunta vittima di abusi lo aveva incolpato di aver “coperto” un sacerdote pedofilo. «Lo scorso marzo, infine, il cardinale è stato chiamato a testimoniare di fronte alla Commissione nazionale d’inchiesta sugli abusi contro i minori istituita dal governo di Canberra, in merito a una causa che un altro ex chierichetto, John Ellis, aveva fatto alla Chiesa e allo stesso Pell in seguito a violenze sessuali avvenute tra il 1974 e il 1979». Pell ha chiesto scusa, continua “L’Espresso”, ma in molti sono restati sconcertati per la sua promozione decisa da Bergoglio. «Nella giungla vaticana – aggiunge Fittipaldi – il ranger venuto da Sydney non si muove da solo. Il capo segue i consigli di tre fidati consiglieri: il neo presidente dello Ior, Jean-Baptiste de Franssu, il tycoon maltese Joseph Zahra (entrambi membri del Consiglio dell’Economia, l’altro neonato ufficio economico guidato da Reinhard Marx), e l’amico Danny Casay, manager che ha gestito con lui la diocesi di Sydney».Gli sconfitti, i vecchi cardinali di curia, li chiamano “la banda dei maltesi”, adombrando il pericolo di conflitti d’interessi: l’unico membro italiano chiamato a far parte del Consiglio dell’Economia, Francesco Vermiglio, ha fondato con l’amico Zahra (patron del colosso finanziario Misco Malta) la Misco Advisory Ltd, «una joint venture per invogliare i nostri connazionali a investire nell’isola, fino a pochi anni fa vero paradiso fiscale». A marzo 2014, inoltre, il figlio di de Franssu, Luis Victor, è stato assunto dalla Promontory, società Usa che da un anno sta spulciando i conti dello Ior. «Ma il numero uno dello Ior pare abbia buoni rapporti anche con alcuni giovani consulenti della McKinsey che hanno lavorato sui bilanci dell’Apsa. Tra loro c’era pure Filippo Sciorilli Borrelli. Classe 1981, è un figlio d’arte: suo padre Ivo è infatti tra gli azionisti di maggioranza di Banca Arner, l’istituto svizzero che ha tra i suoi (pochi) correntisti Silvio Berlusconi». Non c’è nessuna lobby maltese, ha ribattuto Pell, indignato. Tuttavia, ribatte “L’Espresso”, proprio i finanzieri de Franssu e Zahra – titolari di società di investimento – avevano ideato i nuovi assetti del business vaticano, secondo un modello «che rispecchia in gran parte quello annunciato da Pell», ovvero: potere assoluto della Segreteria dell’Economia, Apsa trasformata in Banca centrale e nascita di un nuovo Vatican Asset Management (Vam) per gestire titoli e obbligazioni.Nelle mire di Pell, aggiunge Fittipaldi, c’è anche un altro patrimonio della Santa Sede: i musei vaticani, tra i più visitati e redditizi al mondo: nel 2011 l’utile netto è stato di 58,7 milioni, e gli incassi (tra biglietti e merchandising) superiori a 91 milioni. Per contro, le spese 2013 della Curia romana ammontano a 77,9 milioni, e l’Apsa ha chiuso il suo bilancio in perdita di 48,4 milioni. «Se l’Obolo di San Pietro grazie alla beneficenza dei fedeli nel 2013 ha portato nelle casse 78 milioni, la mitica Radio Vaticana ha perso, secondo un report interno pubblicato nel 2013 e riferito al 2011, ben 26,6 milioni», scrive Fittipaldi. «Anche la tipografia che stampa “L’Osservatore romano” ha chiuso i conti a meno 5,5 milioni». Un salasso, a cui aggiungere il deficit delle 170 nunziature all’estero (meno 25,1 milioni) e i 5,8 milioni che servono a pagare le 110 guardie svizzere. «Chissà, infine, se la spending review minacciata da Pell peserà anche sulle messe di papa Francesco: nel 2011 l’Ufficio celebrazioni liturgiche ha speso per Ratzinger 1,1 milioni. Viste le dimensioni del tesoro di Dio, si tratta poco più di una mancia».Lingotti e monete d’oro, banconote di ogni valuta, proprietà immobiliari sterminate: ricchezza accumulata nei secoli da preti, vescovi e cardinali, fino ad assumere proporzioni bibliche. Spulciando una relazione segreta della Cosea, la dissolta Commissione referente sull’organizzazione della struttura economica del Vaticano, “L’Espresso” scopre ad esempio che «le varie istituzioni vaticane gestiscono i propri asset e quelli di terzi a un valore dichiarato di 9-10 miliardi di euro, di cui 8-9 miliardi in titoli e uno di immobiliare». Leggendo il bilancio (mai pubblicato) dell’Apsa, l’ente che amministra il patrimonio della sede apostolica, insieme ad alcune note confidenziali firmate dal neo-presidente dello Ior, Jean-Baptiste de Franssu, «si capisce che parte importante del tesoro è nascosto proprio all’Apsa, che a differenza dello Ior non ha mai reso noti i suoi conti». Dopo che uno dei suoi contabili, monsignor Nunzio Scarano, è stato arrestato per riciclaggio, corruzione e truffa, Papa Bergoglio ha deciso di mettere il naso anche lì.
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Si fingono poveri: funziona, per tener buono il popolo
Un Papa italo-argentino che rinuncia ai paramenti d’oro e un principe inglese che vuole che i primi vagiti del figlio vengano emessi in una casa borghese: gesti che, amplificati opportunamente dai media, portano acqua alla stasi sociale. «L’imbonitore mediatico è all’opera nella sua funzione di servizio d’ordine mentale», ed è «più efficace di un corpo d’armata per tenere a bada le rivendicazioni di giustizia e eguaglianza sociale», accusa Maria Mantello. Buonismo di facciata, «per rimuovere finanche le legittime aspirazioni di promozione sociale». Così, «la vittoria del turbo-capitalismo sembra piena, e va a braccetto con la religione che dei poveri fa gli eletti per il regno dei cieli». E i ricchi sempre più ricchi? «Per il momento si accontentano di recitare la parte dei poveri».
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Sordi: sarà atroce tornare poveri, dopo esser stati ricchi
Sembra che fàmo a gara a chi magna de più, ci bombardano di pubblicità televisiva, che io la vieterei, e tutti a consuma’. Vedi ’ste trattorie, piene di culoni che màgnano? Ma che te magni? Io magno un supplì e me basta. No, dice, siccome tu sei ricco di supplì ne magni dieci. Ah, sì? Allora guarda, io so’ ricco davero, ma non è che quando entro in trattoria, siccome c’ho i soldi, magno tutto quello che c’è. Vedi ‘sto goccetto de vino? Mi basta per essere felice. E invece no, dice, siccome sei ricco te bevi tutta ’a botte. Anzi no, te compri la vigna. Importiamo un sacco di carne anche se sappiamo che ci fa male. Prima la mangiavamo la domenica, ce se faceva il sugo. Adesso il pupo non mangia lo spezzatino, vuole il filetto, e importiamo il filetto. E tutti a spendere. Ma state attenti, non c’è niente di peggio che diventare poveri dopo essere stati ricchi.
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Obama premia Bob Dylan, amaro giudice dell’Occidente
Barack Obama è l’uomo che ha fatto frettolosamente inabissare “con rito islamico” la salma-fantasma di Osama Bin Laden nell’Oceano Indiano: calata in mare, si racconta, dal ponte di una portaerei. Pura narrazione, senza uno straccio di documento fotografico. Poco dopo, la Us Navy sarebbe stata impegnata nel Mediterraneo a bombardare a morte la Libia, con un unico obiettivo: l’eliminazione fisica di Muhammar Gheddafi. Sempre lui, Barack Obama, ora si è concesso il lusso di elargire la “Medaglia Presidenziale della Libertà” a diverse “grandi personalità” che hanno avuto un “incredibile impatto” sulla società. Tra queste l’israeliano Shimon Peres, che non mosse un dito quando le truppe di Tel Aviv massacrarono la popolazione civile di Gaza, e l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, braccio armato di Bill Clinton nella mattanza della guerra civile balcanica. Tra i premiati anche il mito in persona, il settantenne Bob Dylan: quello che, cinquant’anni fa, malediceva i masters of war giurando che avrebbe sputato sulla loro tomba.
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Licenziare per crescere? Barnard: siete bugiardi e criminali
Licenziare per crescere? Follia, ossimoro. Ma attenti: il nuovo dogma riciclato dal club di Mario Monti in realtà è roba vecchia. La coniò cent’anni fa l’economista inglese Arthur Cecil Pigou, alfiere della scuola “neoclassica” europea, nemica dell’economia democratica fondata sulla condivisione progressiva della ricchezza prodotta. Quello di Pigou non era un errore, ma un calcolo: impoverire milioni di lavoratori significa innanzitutto concentrare fortune inaudite nelle mani di pochissimi “rentiers”, veri eredi dei nobili che in Francia nel 1789 esasperarono il paese fino a far scoppiare la Rivoluzione. Come può un lavoratore amputato nel reddito essere poi colui che consuma abbastanza da sorreggere l’economia a cui l’azienda stessa si rivolge? E, come disse Keynes: in un’economia che soffre per il calo dei consumi, a loro volta come fanno le aziende ad assumere lavoratori?
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Per gli homeless l’ultima battaglia di Bob Dylan
Un misterioso labirinto bizzarramente profumato di Natale. Il vecchio Bob proprio non ce la fa a togliersi la maschera beffarda di dosso. Come sempre, si nasconde, racconta soprattutto quel che non pensa e quello che non è, eppure piccoli squarci di verità vengono fuori, talvolta. Plotoni di critici non gli hanno perdonato la sua ultima sortita: un album natalizio, “Christmas in the Heart”, pieno zeppo di vecchi standard anni ‘40, più un’incredibile versione di “Adeste fideles” e un vecchio Christmas Blues preso da Dean Martin, il più mellifluo di tutti i crooner.
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Bob Dylan, un disco di Natale per sfamare i poveri
A ferragosto, la polizia del New Jersey lo aveva fermato per strada, scambiandolo per un vecchio vagabondo. «Sono Bob Dylan», ha spiegato, ma gli agenti non gli hanno creduto e l’hanno scortato all’albergo dove aveva lasciato i documenti. Ai poveri, comunque, Dylan stava pensando: si intitola “Christmas in the Heart”, Natale nel cuore, il disco natalizio che la Columbia Records lancerà il 13 ottobre. Babbo Natale d’eccezione, il menestrello di Duluth devolverà i proventi in beneficenza: le royalties andranno all’organizzazione “Feeding America”, che conta di utilizzarle per nutrire 1,4 milioni di famiglie indigenti, almeno durante le festività natalizie. «E’ una tragedia che la gente vada ancora a letto affamata»