Archivio del Tag ‘boat-people’
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Virus letali contro la popolazione? Gli Usa la sanno lunga
Quelli che prevengono le malattie e si espongono alla creazione di virus sono eroici, ma quelli che creano e diffondono intenzionalmente malattie e virus sono spietati. Data la storia del governo degli Stati Uniti e del suo complesso industriale militare riguardo alla guerra batteriologica e con i germi, l’uso di questi agenti contro le grandi popolazioni e il desiderio di creare agenti che sono ceppi specifici per razza, queste potenti entità sono diventate diffusori di morte, che non dimostrano compassione per gli innocenti. I virus artificiali intesi per la guerra, che si tratti di rovina economica, fame o morte di massa, sono i meccanismi del vero male che è tra noi. Una volta pensavo che la guerra nucleare avrebbe segnato la fine della vita per come la conosciamo, ma considerando la guerra e la tecnologia della modernità, ora penso che virus incontrollati e mortali possano logorare la popolazione mondiale, poiché uno dopo l’altro i veleni vengono rilasciati come atti di guerra nascosta. Non può esserci fine a questa follia, poiché qualsiasi ritorsione con la stessa moneta comporterà la diffusione di malattie in tutto il mondo: tutto creato dall’uomo.Il nuovo coronavirus (2019-nCoV) è uno in una serie di molti che, probabilmente ma più certamente, non sono stati i soli prodotti dall’uomo nei laboratoro. Questo virus ha caratteristiche uniche, che hanno avuto luogo in precedenza con Sars e Mers, e ha materiale genetico che non è mai stato identificato e non è legato a nessun virus noto, animale o umano. Questo dovrebbe essere preoccupante per tutti, perché se questo è prodotto dall’uomo, è stato fabbricato come un’arma da guerra. Quindi chi è responsabile del suo rilascio in Cina? È possibile che questo virus sia stato creato in Cina e sia stato “accidentalmente” rilasciato nella popolazione, ma non sembra credibile a qualsiasi livello: pensate che il governo cinese avrebbe creato un virus specifico per la razza cinese e lo avrebbe rilasciato nel proprio paese? È interessante notare che, in passato, le università e le Ong statunitensi si sono recate in Cina appositamente per fare esperimenti batteriologici illegali, e questo è stato così vergognoso, per i funzionari cinesi, che il risultato è stato la rimozione forzata di queste persone.L’università di Harvard, uno dei principali attori di questo scandalo, ha rubato i campioni di Dna di centinaia di migliaia di cittadini cinesi, se ne è andata dalla Cina con quei campioni e ha continuato la ricerca batteriologica illegale negli Stati Uniti. Si pensa che l’esercito americano, il che imprime una svolta completamente diversa nel filo del discorso, aveva commissionato la ricerca in Cina in quel momento. Questo è più che sospetto. Gli Stati Uniti, secondo “Global Research”, hanno avuto un massiccio programma di guerra batteriologica, almeno dai primi anni ’40, ma hanno usato agenti tossici contro questo paese e altri a partire dal 1860. Questo non è un segreto, indipendentemente dalla propaganda diffusa dal governo e dai suoi partner nella ricerca e produzione criminale di armi batteriologiche. A partire dal 1999, il governo degli Stati Uniti aveva dispiegato il suo arsenale di armi chimiche e batteriologiche (Chemical and Biological Weapons – Cbw) contro le Filippine, Portorico, Vietnam, Cina, Corea del Nord, Laos, Cambogia, Cuba, i boat-people haitiani e il vicino Canada, secondo “Counterpunch”.Naturalmente, i cittadini degli Stati Uniti sono stati usati molte volte anche come cavie ed esposti, dal governo, ad agenti di germi tossici e sostanze chimiche letali. Tenete presente che questo è un breve elenco, in quanto gli Stati Uniti sono ben noti per l’utilizzo di procure per diffondere i loro prodotti chimici tossici e agenti germinali, come è accaduto in Iraq e in Siria. Dal 1999 si sono verificati continui episodi di diversi virus, molti dei quali si presume siano prodotti dall’uomo, incluso l’attuale coronavirus. Non sono solo gli Stati Uniti a sviluppare e produrre agenti e virus di guerra batteriologica; lo fanno anche molti paesi sviluppati in tutto il mondo. Ma gli Stati Uniti, come in ogni area di guerra e di uccisione, sono di gran lunga il leader mondiale, nel disumano desiderio di poter uccidere intere popolazioni attraverso mezzi di guerra batteriologica e chimica. Poiché questi agenti sono estremamente pericolosi e incontrollabili e possono diffondersi all’impazzata, è evidente il rischio non solo per le popolazioni isolate, ma anche per il mondo intero.Considerate che un virus mortale creato dagli Stati Uniti e usato contro un altro paese è stato scoperto e verificato e, per rappresaglia, quel paese o altri hanno deciso di contrattaccare l’America con altri agenti tossici. Dove andrebbe a finire, e nel tempo, quanti miliardi di persone potrebbero essere interessate in un simile scenario? Tutte le indicazioni sottolineano il fatto che i virus più tossici, velenosi e mortali mai conosciuti vengono creati nei laboratori di tutto il mondo. Negli Stati Uniti pensiamo a Fort Detrick (Maryland), Pine Bluff Arsenal (Arkansas), Horn Island (Mississippi), Dugway Proving Ground (Utah), Vigo Ordinance Plant (Indiana) e molti altri. Pensate alle partnership a carattere fascista tra questo governo [americano] e l’industria farmaceutica. Pensate alle installazioni militari statunitensi posizionate in tutto il mondo. Da ciò non può derivare nulla di buono, dal momento che non si tratta di trovare cure per le malattie o di scoprire vaccini, ma viene fatto solo per una ragione, e questo è a scopo di guerra batteriologica per uccidere in massa.Il tentativo di trovare armi batteriologiche che ammaleranno e uccideranno milioni di persone alla volta non è solo una farsa, ma oltrepassa ciò che è il male. Il primo passo è scoprire che i governi – il colpevole più probabile è il governo degli Stati Uniti – stanno disseminando questi virus appositamente, per causare gravi danni. Una volta dimostrato ciò, sarà noto l’incredibile rischio per tutti, e quindi le persone di tutto il mondo dovrebbero mettere da parte tutto ciò che causa la loro divisione, fare fronte comune e fermare questo assalto all’umanità. «Nei vasti laboratori del Ministero della Pace e nelle stazioni sperimentali, team di esperti sono instancabilmente al lavoro alla ricerca di gas nuovi e letali; o di veleni solubili che possono essere prodotti in quantità tali da distruggere la vegetazione di interi continenti; o di ceppi di germi patogeni, immunizzati contro tutti i possibili anticorpi» (George Orwell, “1984″).(Gary Barnett, estratti dell’intervento “Gli Stati Uniti sono il leader mondiale nella ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche contro l’umanità”, pubblicato il 22 febbraio 2020 su “Information Clearing House” e tradotto da “Come Don Chisciotte”).Quelli che prevengono le malattie e si espongono alla creazione di virus sono eroici, ma quelli che creano e diffondono intenzionalmente malattie e virus sono spietati. Data la storia del governo degli Stati Uniti e del suo complesso industriale militare riguardo alla guerra batteriologica e con i germi, l’uso di questi agenti contro le grandi popolazioni e il desiderio di creare agenti che sono ceppi specifici per razza, queste potenti entità sono diventate diffusori di morte, che non dimostrano compassione per gli innocenti. I virus artificiali intesi per la guerra, che si tratti di rovina economica, fame o morte di massa, sono i meccanismi del vero male che è tra noi. Una volta pensavo che la guerra nucleare avrebbe segnato la fine della vita per come la conosciamo, ma considerando la guerra e la tecnologia della modernità, ora penso che virus incontrollati e mortali possano logorare la popolazione mondiale, poiché uno dopo l’altro i veleni vengono rilasciati come atti di guerra nascosta. Non può esserci fine a questa follia, poiché qualsiasi ritorsione con la stessa moneta comporterà la diffusione di malattie in tutto il mondo: tutto creato dall’uomo.
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Boat People: quando l’Italia andò a salvarli in capo mondo
Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.Le immagini di questi disperati fanno il giro del mondo e dividono l’opinione pubblica mondiale, ancora divisa per ideologie pre-muro di Berlino. Il comunismo non può essere contestato né fare errori, sono «menzogne raccontate dai media che ingigantiscono la faccenda per strumentalizzarla». Mentre l’Occidente blatera, i rifugiati sui barconi scoprono di non poter sbarcare da nessuna parte. Vengono ribattezzati “boat people”, disperati con a disposizione due cucchiai d’acqua e due di riso secco al giorno che raccolgono l’acqua piovana coi teli di plastica e sono in balia di tempeste e crudeltà. Il governo della Malesia li rimorchia a terra per spennarli di tutti i loro averi, poi li rimette sulle barche dicendogli che stanno arrivando degli aiuti e li rimorchia in alto mare, dove taglia le funi e li abbandona a morire. A volte le tempeste tropicali li affondano, altre volte pescatori armati saltano a bordo e uccidono e stuprano finché sono stanchi, poi li abbandonano lì. A bordo c’è così tanta puzza da far svenire, e la fame è tale che ci sono episodi di cannibalismo. Navi occidentali si affiancano e gettano qualcosa da mangiare per fotografarli, poi se ne vanno.Intanto, l’Italia è un mondo diverso. Sono anni difficilissimi tra inflazione alle stelle, bombe e attentati, ma il neonato benessere è ancora troppo recente per far dimenticare agli italiani il loro passato di povertà, ruralità ed emigrazione. Quando le immagini dei boat people vengono rese pubbliche da Tiziano Terzani il 15 giugno 1979, invece di aggiungersi al dibattito globale di opinionisti e intellettuali impegnati a decidere se salvare dei profughi di un regime comunista sia un messaggio capitalista o no, Pertini capisce che ogni minuto conta, chiama Andreotti e dà ordine di recuperarli e portarli in Italia. Andreotti è presidente del Consiglio, ma è stato prima ministro della difesa. Quella che riceve è una richiesta folle, perché l’Italia non ha mai fatto missioni simili né per obiettivo né per distanza. Ora però il ministro della difesa è Ruffini, e dice che in teoria è fattibile. Insieme scelgono come braccio destro Giuseppe Zamberletti, uno che aveva già dimostrato un’estrema capacità organizzativa in situazioni di crisi, e si mettono a studiare il da farsi. Non sanno quanti sono, né in che zona precisa; sono fotografie sfocate in mezzo al nulla.Se il primo problema è il dove, subito dopo vengono tempo e lingua. Il mondo del 1979 non parla inglese, figurarsi il vietnamita. Anche gli interpreti scarseggiano e non c’è tempo di trovarli, però c’è la Chiesa. Andreotti domanda al Vaticano se ha a immediata disposizione preti vietnamiti e gli arrivano padre Domenico Vu-Van-Thien e padre Filippo Tran-Van-Hoai. Per un terzo interprete, i carabinieri piombano all’università di Trieste, scorrono i registri e reclutano sul posto uno studente, Domenico Nguyen-Hun-Phuoc. A quel punto, Ruffini può alzare il telefono. L’incrociatore Vittorio Veneto dell’ottavo gruppo navale è alla fonda a Tolone, in Francia, dopo aver finito la stagione. L’equipaggio di 500 uomini non vede l’ora di sbarcare per abbracciare le proprie famiglie, quando nelle mani del comandante Franco Mariotti arriva un cablogramma urgentissimo dall’ammiraglio di Divisione Sergio Agostinelli, a bordo dell’Andrea Doria. Ordina di tenere a bordo solo il personale addetto alle armi, poi di riadattare l’assetto della nave e salpare alla volta di La Spezia per riunirsi all’Andrea Doria per una missione di recupero. Quando capiscono di cosa si tratta, gli equipaggi si esaltano.Mariotti lascia a terra 350 uomini, che invece chiedono di restare a bordo per aiutare. Predispone 300 posti letto per donne e bambini su letti a castello nell’hangar a poppa, e 120 posti per gli uomini a prua. L’alloggio sottufficiali diventa un’estensione dell’infermeria, e sotto il ponte di volo viene adibita la zona d’aria. Servono almeno dieci bagni in più, ma ce la fa. Impiega cinque giorni a cambiare l’assetto, e solo al quarto giorno, prima di partire, ordina agli uomini di scendere a salutare le famiglie. Arrivano a La Spezia il 4 luglio, dove vengono caricati e istruiti medici, infermieri, interpreti, medicinali e vestiti. Il giorno dopo salpano alle 10 diretti verso il sud di Creta, dove si riuniscono con la nave logistica Stromboli, comandata dall’ammiraglio Sergio Agostinelli; in totale ci sono 450 posti letto sulla Vittorio Veneto, 270 sulla Doria e 112 sulla Stromboli. È un viaggio orrendo, nella stagione peggiore. Oltre al caldo mostruoso del Mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano portano il vento a forza 7. Onde lunghe e gigantesche che mettono a dura prova i 73.000 cavalli vapore degli incrociatori.Dopo 10 giorni di navigazione ininterrotta, il 18 luglio ormeggiano a Singapore e caricano le provviste supplementari, così da dare il tempo all’intelligence di fare “ricognizione informativa” e di improntare un piano. In quattro giorni parlano con l’ambasciatore della Malesia, con l’addetto della marina militare inglese, i portavoce di World Vision International e definiscono le zone da pattugliare. Le direttrici di fuga sono cinque: due verso Thailandia e Hong Kong, di scarso interesse perché passano per acque territoriali. Le altre tre sono di preminente interesse, cioè dall’estremo sud del Vietnam verso la Thailandia (costa occidentale del Golfo del Siam), verso Malesia e isole Anambas dell’Indonesia. Le ultime due sono le più probabili perché sono vicine alla piattaforma petrolifera della Esso, che per chi mastica poco il mare è l’unico polo di attrazione. Alle 10 del 25 luglio salpano alla volta del Mar Cinese Meridionale e Golfo del Siam. Durante la notte, va e viene un eco-radar. Il giorno dopo il mare è a forza 4 (esempio), e il ponte viene spazzato da raffiche di vento e acqua. Alle 8.15, con un coraggio notevole, l’Agusta Bell 212 si alza in volo per investigare le coordinate e localizza la prima barca alla deriva. È un catorcio di 25 metri carico fino all’inverosimile che sta colando a picco davanti alla piattaforma della Esso.L’Andrea Doria dà l’avanti tutta e arriva a prenderli alle 9.20, carica su un gommone interprete, medici, scorta e glielo manda incontro in mezzo alla burrasca che monta, raccomandandosi di rispettare norme di prevenzione e contagio. Il gommone si affianca e gli interpreti recitano un testo che hanno imparato a memoria. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi ci porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e assistenza medica. Dite cosa volete e di cosa avete bisogno». Un’onda allontana il gommone, e una donna vietnamita, convinta che gli italiani li stiano abbandonando come tutti, gli lancia il proprio figlio a bordo. I marinai erano italiani del 1979, un mondo in cui non esistevano i social e queste scene non erano già state raccontate. A quella vista, impazziscono. Tutte le procedure per evitare contagi vengono infrante, e dallo scafo tirano fuori 66 uomini, 39 donne e 23 bambini.Teodoro Porcelli, all’epoca marinaio di vent’anni, è sul barcarizzo di dritta quando riconsegna il figlio alla madre. Lei per tutta risposta gli accarezza i capelli e si mette a piangere, poi portano insieme il bambino dal dottore. Sono i primi di tanti altri che arriveranno nei giorni successivi. A bordo degli incrociatori, gli uomini sgobbano come animali. Infermerie, lavanderie, forni e cucine lavorano senza sosta, coi panettieri che danno il turno e i cuochi che devono allestire 1000 pasti al giorno, di cui una doppia razione per i macchinisti che sono ridotti a pelle e ossa per a far andare le quattro caldaie Ansaldo-Foster Wheeler contro le onde, il tutto con temperature tropicali e navi tutt’altro che adatte. Medici e marinai devono stare attenti a 125 bambini che una volta nutriti corrono dovunque, ma ovviamente prediligono il ponte di volo. Il 31 luglio a bordo dell’Andrea Doria nasce un bambino che la madre battezza col nome di Andrea. Pasquale Marsicano lo avvolge con un vestitino di seta che doveva regalare a sua figlia. I vietnamiti più in salute vogliono essere d’aiuto e fare qualcosa, così vengono messi a fare i lavori del mozzo secondo il vecchio e famosissimo proverbio della Marina: “Pennello e pittura, carriera sicura”.Il 1° agosto a bordo delle navi non c’è più spazio fisico; hanno navigato per 2.640 miglia, esplorato 250.000 kmq di oceano e salvato 907 anime. L’ammiraglio dà ordine di tornare a casa, e il 21 agosto 1979 gli incrociatori entrano in bacino San Marco. Ad accoglierli c’è un oceano di gente, oltre a chi ha pianificato l’operazione fin dall’inizio: Andreotti, Ruffini, Zamberletti e Cossiga, che in seguito alla crisi di governo ha sostituito Andreotti. A bordo ci sono malattie anche tropicali e uomini malmessi, così a qualcuno viene in mente che Venezia, riguardo a importazioni di merci e uomini, qualcosina ne sa. Così, proprio come faceva la Serenissima novecento anni prima, i vietnamiti vengono messi in quarantena nel Lazzaretto vecchio e in quello nuovo. Quelli che non ci stanno vengono spediti in Friuli. Sono entrati così in simbiosi con l’equipaggio che a parte pianti, abbracci, baci e giuramenti, alcuni si rifiutano di scendere dalla nave chiedendo se possono arruolarsi.Alla fine ci sarà uno scambio di dichiarazioni tra vietnamiti ed equipaggio: «Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie». L’ammiraglio risponde da parac… da italiano: «Noi siamo dei militari; ci è stata affidata una missione e abbiamo cercato di eseguirla nel modo migliore. Siamo felici d’aver salvato voi e così tanti bambini e di portarvi nel nostro paese. L’Italia è una bella terra anche se gli italiani, a volte, hanno uno spirito irrequieto. Marco Polo andò con pochi uomini alla scoperta dell’Asia; voi venite in tanti nel nostro piccolo mondo. Sappiate conservare la libertà che avete ricevuto». Vengono creati campi d’accoglienza a Chioggia, Cesenatico e Asolo. Il popolo italiano si mobilita in massa; vengono raccolti 26.500.000 di lire tramite raccolta di abiti usati e altrettanto arriva tramite donazioni private.Arrivano offerte di lavoro e di abitazione, una famiglia si offre di costruire una casa alle famiglie, una ditta si offre di arredarla. Una scolaresca raccoglie i soldi per comprare un motorino e una macchina da cucire, i dipendenti della Banca Antoniana si tassano lo stipendio fino all’agosto del 1980, versando ogni mese i loro risparmi nel conto corrente della Caritas. I commercianti padovani inviano generi alimentari, molti ospitano i rifugiati nelle loro case ad Arsego, San Giorgio delle Pertiche, Fratte e Zugliano. Ruffini, ricordando la storia, dirà: «Potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici». I vietnamiti si integrano alla perfezione, diventano italiani o disperdendosi per l’Italia arrivando oggi alla terza generazione. Parecchi marinai prenderanno la medaglia di bronzo. Quarant’anni dopo, i marinai e i profughi hanno aperto un gruppo Facebook per ritrovarsi. State attenti ad aprirlo se avete la lacrima facile. «A tutti i marinai della “Stromboli”, noi vietnamiti vi siamo molto riconoscenti. Se non ci foste venuti in aiuto, noi ora non saremmo probabilmente vivi. Vi pensiamo spesso, ora che siamo qui al sicuro e ricordiamo quanto buoni e gentili siete stati con noi. Il vostro ricordo rimarrà sempre nel nostro cuore e anche se non ci vediamo più, noi vi penseremo che con affetto, riconoscenza e nostalgia. Grazie ancora!».(Nicolò Zuliani, “Quando negli anni ’80 la marina militare italiana riuscì a fare l’impossibile”, da “Termometro Politico” del 3 agosto 2019. Le foto presentate a corredo dell’articolo sono di Roberto Vivaldi).Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.
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Mare Nostrum, affari loro: migranti, li vuole l’Europa
«Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l’invasione controllata e pianificata che l’establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico», senza dimenticare «i profitti delle multinazionali dei consumi di massa». Lo sostiene Eugenio Benetazzo, secondo cui «in Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020». Si tratta in fondo di «nuovi consumatori e lavoratori», naturalmente sottopagati, che «consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità». Per Benetazzo, non è il caso di parlare di cospirazionismo o complottismo, ma di una vera e propria exit strategy: l’Europa, che finora ha sempre voluto «controllare e commissariare tutto quello di cui aveva paura», o che «doveva essere gestito per l’interesse di qualcuno», è sostanzialmente «rimasta alla finestra, lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto», cioè la pressione migratoria dal Sud.Questo, aggiunge Benetazzo nel suo blog, è il principale indizio che fa capire come «quanto sta accadendo non solo va benissimo, ma anzi deve continuare», perché «lasciare il tutto nelle mani degli italiani è la soluzione ideale», secondo Bruxelles, indifferente all’onere rappresentato dalla vigilanza e dal controllo militare del Mediterraneo, di cui si fa carico l’Italia – da sola – con le costose missioni quotidiane di pattugliamento e assistenza, a cura della marina militare. Benetazzo insiste sulla teoria della pianificazione dell“invasione”: molti dei disperati alla deriva sui barconi pagano anche 5.000 euro per attraversare il Sahara e poi il Canale di Sicilia, mentre «se solo avessero un passaporto, potrebbero atterrare a Roma con un volo di prima classe spendendo meno della metà». Dettaglio: le ondate di boat-people provengono dal Nord Africa della “primavera araba” e da paesi devastati dalla guerra, come la Siria e la Somalia, o da terre come l’Eritrea dove l’Italia supporta una feroce dittatura da cui i giovani fuggono. La grande falla, in ogni caso, è proprio il Maghreb, una volta caduto il regime-gendarme di Gheddafi per mano americana e anglo-francese.«Tutti rimpiangono i vari leader/dittatori che prima governavano i rispettivi paesi», scrive Benetazzo. «Più di tutti si rimpiange Gheddafi, l’uomo che agli inizi degli anni Ottanta aveva intenzione di creare gli Stati Uniti d’Africa, coalizzando e guidando tutti le nazioni del continente, per evitare di subire lo strapotere delle economie occidentali: per questo faceva paura, non perchè era un dittatore ma perchè il suo carisma e leadership potevano portare ad un cambio di svolta epocale per l’Africa e le loro genti». Piano andato in fumo, come si sa, per il fermo ostruzionismo “imperiale” degli Usa, oltre che per «l’egocentricità» di troppi leader africani, dall’ugandese Idi Amin Dada allo stesso Colonnello libico. «Purtroppo – chiosa Benetazzo – con la sua morte sono iniziati i problemi per il Mediterraneo: il controllo che aveva sulla Libia e sulle sue coste rappresentava la miglior garanzia di stabilità sociale per tutti le popolazioni del Mediterraneo». Ora l’invasione non ha più freni, e ricade interamente sull’Italia – come previsto fin dall’inizio, secondo Benetazzo, che accusa direttamente gli strateghi dell’oligarchia europea insediata a Bruxelles.«Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l’invasione controllata e pianificata che l’establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico», senza dimenticare «i profitti delle multinazionali dei consumi di massa». Lo sostiene Eugenio Benetazzo, secondo cui «in Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020». Si tratta in fondo di «nuovi consumatori e lavoratori», naturalmente sottopagati, che «consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità». Per Benetazzo, non è il caso di parlare di cospirazionismo o complottismo, ma di una vera e propria exit strategy: l’Europa, che finora ha sempre voluto «controllare e commissariare tutto quello di cui aveva paura», o che «doveva essere gestito per l’interesse di qualcuno», è sostanzialmente «rimasta alla finestra, lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto», cioè la pressione migratoria dal Sud.
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Crepi Lampedusa, meglio soldi sporchi da migranti ricchi
Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d’accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato. La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del Mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi.La conditio sine qua non per ottenere un permesso di soggiorno è possedere un bene immobile sul suolo lettone – d’un valore minimo di 150 mila euro nella capitale, della metà di tale cifra in provincia. Alcuni, meno numerosi, hanno scelto una delle altre opzioni offerte: investire in un’azienda nazionale o piazzare 300 mila euro in una banca lettone. In cambio, un permesso di soggiorno di 5 anni che, in seguito, può diventare definitivo. Immigrati, sì, ma facoltosi. Per il governo questa manna finanziaria deve aiutare a risanare l’economia nazionale, ma anche a sostenere la demografia. In dieci anni, il paese ha perso più del 10% della sua popolazione, in parte a causa di un saldo migratorio negativo. Tra il 2010 e il 2011, data d’inizio d’entrata in funzione del dispositivo, il numero di permessi di soggiorno è raddoppiato. Il primo anno, sono stati consegnati 1.700 certificati di residenza rispondenti ai criteri d’investimento economico. Abbastanza per rilanciare gradualmente l’immigrazione – facoltosa – verso questo paese. Per il poco che la gente ci resta!Agli arrivanti non è imposta nessuna condizione di residenza sul territorio nazionale: in quanto residenti di un paese dell’Unione Europea e dell’area Schengen, sono liberi di spostarsi in Europa. In base a certi criteri, possono anche ottenere un diritto di soggiorno in un altro Stato membro. Basta provare che possiedano le risorse necessarie e un’assicurazione sanitaria, spiega Cecilia Malmström, commissario europeo per gli Affari Interni. La Lettonia non è il solo paese in Europa a proporre i nuovi visti. Quanti altri praticano questo scambio nell’Unione? Due? Cinque? Una quindicina! Ungheria, Portogallo, Malta, Paesi Bassi…da nord a sud, dai più toccati dalla crisi ai più risparmiati. La maggior parte hanno iniziato tale pratica tra il 2010 e il 2014, certi vedendoci un mezzo per attirare nuovi capitali, altri per ridinamizzare un mercato immobiliare duramente colpito dalla crisi, come la Spagna.Le condizioni iniziali variano da un paese all’altro: investimenti finanziari nell’industria, aiuto al riscatto del debito pubblico, acquisizione di un bene immobile… Si tratta soltanto di essere ricchi. La differenza sta negli importi imposti e nel monitoraggio dei nuovi residenti. Nei Paesi Bassi, dove il sistema esiste da ottobre 2013, la soglia imposta è tra le più elevate 1,25 milioni di euro piazzati nell’economia locale per ottenere un visto definitivo. Quasi allo stesso livello della Spagna che, da settembre 2013, chiede due milioni di euro di riscatto del debito pubblico. Per i “più modesti”, la penisola iberica concede anche permessi di soggiorno per un investimento immobiliare di 500 mila euro. Dal canto suo, Cipro propone dal 2012 dei permessi di soggiorno per l’acquisto di un bene per 300.000 euro, ma esige che i candidati abbiano la fedina penale immacolata, per prevenire le cattive sorprese.Dall’Irlanda a Malta: come ci si compra il diritto di vivere in Europa? Verificare chi sono i nuovi arrivanti è una condizione che forse il Portogallo avrebbe dovuto applicare quando ha lanciato il suo dispositivo nel 2012. In questo paese colpito dalla crisi, con l’avallo della Troika (Commissione Europea, Bce e Fmi), il governo portoghese di Pedro Passos Coelho (centro-destra) decide di creare a sua volta un “permesso di soggiorno per attività d’investimento”. Permessi soprannominati nel paese “vistos durados”, visti dorati. I candidati possono scegliere tra un acquisto immobiliare di almeno 500.000 euro, il trasferimento di minimo un milione di euro, o la creazione di 10 impieghi. Dalla sua applicazione, secondo le stime ufficiali il Portogallo avrebbe rilasciato 772 permessi di soggiorno, di cui 612 a cinesi. Tra questi Xiadong Wang, sistematosi dal 2013 a Cascais, sontuosa città alle porte di Lisbona. Nel marzo 2014, il cittadino cinese viene arrestato dalle autorità portoghesi. Come rivelato da un giornale locale, “Diario de Noticias”, l’uomo è ricercato in Cina per frode fiscale. Su di lui pende una pena di 10 anni di prigione. Il suo paese d’origine non l’aveva segnalato.L’elemento scatenante è stato l’inserimento del suo nome della banca dati dell’Interpol, lo scorso gennaio. Per le autorità portoghesi, il suo arresto è la prova che il governo e la polizia di frontiera hanno fatto il loro lavoro. Ma sul sito Internet di “Diario de Noticias”, numerosi internauti insorgono. «Questo governo è incompetente. Svendono il paese, ne fanno una discarica a cielo aperto dove i [truffatori] vengono a lavare il denaro sporco», si legge. Poco dopo, un’altra persona non esita a dire: «Questo governo [e il suo dispositivo] sono la vergogna dei portoghesi». La faccenda è stato uno shock, rilanciando la domanda delle ragioni di questo ricchi migranti. Far traghettare i ricchi? Un affare redditizio. Alcune aziende si sono specializzate nell’accompagnamento dei migranti facoltosi. Un esempio è la società Henley & Partners, come descrive “Le Figaro” in un articolo. Con base a Jersey, un paradiso fiscale, tale società rappresenterebbe il leader mondiale nel settore. Sul suo sito Internet, sono elencate le destinazioni. L’Europa è largamente rappresentata: Austria, Belgio, Croazia, Cipro, e ancora la Svizzera e il Regno Unito. Per ciascun paese, un programma dettagliato di tappe e condizioni da rispettare.Un autentico manuale d’istruzioni, al quale si aggiungono le attrattive proprie ad ogni regione. Natura verdeggiante e calorosa qui, vantaggi fiscali per i residenti là, e le nicchie di cui si può beneficiare. La società non lascia nulla al caso affinché ognuno trovi il suo paradiso. E per agevolare l’arrivo dei nuovi migranti. Perché perdere tempo con le lunghe e complesse procedure di richiesta dei visti quando un permesso di residenza permette di circolare facilmente in tutta l’Unione? In più, la maggior parte di questi paesi tassa poco o per nulla i residenti in possesso di un permesso di soggiorno a lungo periodo. Per gli stranieri dai migliori portafogli, la ditta propone una soluzione ancor più interessante: regalarsi una nazionalità europea. Sul sito ci sono tre destinazioni: l’Austria, Cipro e Malta. Dal 2013, il governo del più piccolo stato dell’Unione Europea, Malta, ha deciso di “vendere” la cittadinanza del suo paese. Ha affidato l’esclusività della gestione delle pratiche alla società Henley & Partners, in cambio di una commissione di 7.500 euro per candidatura.Una cittadinanza europea da vendere ai migliori offerenti: 650.000 euro, è il prezzo fissato lo scorso autunno dal parlamento maltese. Nessuna condizione di residenza sull’isola, basta questo semplice apporto finanziario. Il primo ministro, Joseph Muscat, vede in ciò un modo di attirare nuovi capitali nel paese. Secondo le stime avanzate dal governo, la misura potrebbe interessare dai 200 ai 300 candidati l’anno. Ossia un minimo di 130 milioni di euro di introiti annui per il paese. Ma secondo un sondaggio realizzato dal quotidiano locale “Malta Today”, la maggior parte della popolazione sarebbe contraria al dispositivo. Un parere condiviso da Bruxelles. La decisione ha provocato un vero terremoto all’interno del Parlamento Europeo, sollevando alcune critiche rispetto alla mercificazione della cittadinanza europea. Nelle istanze dell’Unione, alcuni eurodeputati e membri delle commissioni europee hanno immediatamente manifestato la loro ostilità verso la nuova normativa maltese. Tra questi, Vivianne Reding, commissario incaricato della Giustizia. «La cittadinanza non è in vendita», ha dichiarato a Strasburgo nel mese di gennaio. Subito dopo, il Parlamento Europeo adotta una risoluzione, stimando che «un tale regime di vendita pura e semplice della cittadinanza europea compromette la fiducia reciproca su cui poggia l’Unione».Da allora Malta ha accettato di tornare sul dispositivo, in parte: è oramai obbligatorio risiedere sull’isola la maggior parte dell’anno e dimostrare un legame reale con Malta. È inoltre necessario un investimento di 1,15 milioni di euro, di cui 500.000 in acquisti immobiliari, a cui si aggiunge un importo di 25.000 euro per il coniuge o per il figlio minorenne, e 50.000 euro per il figlio dai 18 ai 26 anni. Concessioni che il governo maltese ha accettato nonostante nulla lo obbligasse a farlo. Nell’Unione Europea, la nazionalità di un paese membro permette di accedere automaticamente alla nazionalità europea, ma le condizioni di rilascio fanno parte di prerogative proprie ad ogni Stato. Ciascuno dei 28 governi decide quindi della propria legislazione e delle sue condizioni. Mentre l’immigrazione clandestina è al cuore dei dibattiti per le elezioni europee, i candidati ignorano completamente la mercificazione dei permessi di soggiorno.Clarisse Heusquin, candidata per “Europe Écologie-Les Verts” nella regione Centro-Massiccio Centrale (Francia), ammette di scoprire il dispositivo: «Sono rimasta scioccata, mortificata venendone a conoscenza. Si sta costruendo un’Europa a due velocità. Da un lato, si chiudono le frontiere e dall’altro si accolgono i capitali. Questa Europa-fortezza è indegna». Secondo lei la soluzione passa da un’Europa federale e politiche armonizzate in materia d’immigrazione. Dal canto suo, Pierre Henry, direttore generale dell’Ong “France Terre d’Asile” si rammarica che il dibattito sulle questioni migratorie non sia affrontato nel suo insieme. «Tra quelli che si augurano di uscire da Schengen, quelli che vogliono punire gli Stati che non rispettano alcune regole, quelli che pensano che la nomina di un commissario europeo per l’immigrazione risolverebbe il problema e quelli che si accontentano di criticare senza proporre. In realtà, non c’è un vero dibattito sulla questione migratoria».La vendita della nazionalità è tenuta a debita distanza dalla pubblica piazza, ma si popolarizza tra i governi. La Lituania affina il progetto e dovrebbe essere il prossimo paese a porre le sue condizioni. Il prezzo: 260.000 euro versati a un’azienda lituana e la creazione di cinque posti di lavoro. Il governo non attende altro che il via del Parlamento. E in Francia? L’Esagono non propone le stesse condizioni agevolate dei suoi vicini. Tuttavia, in un documento della Commissione Europea, si precisa che in Francia si possono attribuire dei permessi di residenza per “contributi economici eccezionali” ad azionisti (almeno il 30% del capitale) di grandi società. Le condizioni: creare 50 posti di lavoro sul territorio nazionale o investire almeno 10 milioni di euro. Per ora non è prevista l’applicazione di clausole più vantaggiose o più severe per i ricchi investitori. Nulla di sorprendente, secondo Pierre Henry: «Oggi, in Francia, il governo cerca ad ogni costo di evitare il dibattito sull’immigrazione, come per paura del populismo. Ciò non risolve niente e non è in questo modo che si arrestano le polemiche». Quelle e quelli che non dispongono dei visti “business class” ne pagano caro il prezzo: in 14 anni, 23.000 migranti sono morti alle porte dell’Europa.(Morgane Thimel, “Quando la cittadinanza europea diventa mercanzia”, da “Bastamag” del 21 giugno 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d’accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato. La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del Mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi.