Archivio del Tag ‘borghesia’
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Io borghese di merda e tutti noi scarafaggi da schiacciare
«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.Ti spiego il mio percorso. Sono una borghese, dicevo, e la mia è la classe media che, ad un certo punto, nel secolo scorso, è riuscita storicamente ad inglobare emancipandola anche tanta parte della classe operaia. Merito delle lotte dei borghesi dalla coscienza infelice di cui sopra, condotte assieme agli operai, certo, ma anche di un capitalismo che pensava che estendere la ricchezza a fasce più ampie della popolazione, facendo diventare i proletari classe media, significava più merci vendute, più profitti e più benessere per tutti. Il famigerato moltiplicatore. Ma già, Henry Ford era un nazifascista anche se pensava che aumentando il salario ai suoi operai questi avrebbero potuto comperare il modello T che fabbricavano. Quello della mia gioventù sembra un mondo perduto ed estinto; una meraviglia, sai, in confronto a quello di oggi. E sono sicura che te ne ricordi, perché non sei di primo pelo neppure tu.Uno stipendio in famiglia bastava a condurre una vita più che dignitosa dove non ti mancava nulla di veramente necessario. Esisteva ancora il concetto di superfluo e per quello c’era il «no, non ce lo possiamo permettere». Quel no ti aiutava a crescere e a capire che, una volta grande, te lo saresti guadagnato con il tuo lavoro, perché il lavoro ci sarebbe stato, secondo quello che avevi studiato e imparato a fare. Perfino con uno stipendio solo, con i risparmi (allora si riusciva a mettere da parte qualcosa ogni mese), la famiglia riusciva a comperarsi la casa dove viveva e, se lavoravano tutti e due i genitori, ci si comperava magari un’altra casa, al mare o in campagna o in montagna. Perché allora esistevano ancora le ferie e le vacanze non duravano meno di venti giorni. Per le malattie c’era il welfare, ad una certa età arrivavano la pensione e la liquidazione con la quale ti potevi togliere qualche sfizio in più o farti la casetta di cui sopra, perché i nonni non erano costretti a mantenere nipoti disoccupati.Erano i tempi in cui l’Italia stava diventando, pur tra corruzione, mafia e caste, e sottoposta a sovranità limitata come paese sconfitto, la quinta potenza industriale del mondo. Non erano tutte rose e fiori? Certo, c’erano come sempre i poveri e lo sfruttamento, il mondo era diviso in classi. C’erano la crisi petrolifera, il terrorismo di Stato, le bombe, le guerre imperialiste. Poi arrivò la shock economy, prima dal Sudamerica (però così lontano da noi) e poi nel mondo anglosassone, con i primi vagiti del dominio finanziario sulle nostre vite; ma la speranza di un futuro migliore non mancava, nessuno pensava che, pur lavorando da rompersi la schiena, da vecchio sarebbe stato povero e abbandonato perché gli avrebbero portato via tutto. Non avevamo nulla da perdere, casomai ci sarebbe stato ancora qualcosa da ottenere. Il muro nero della depressione, dell’assenza di un futuro o dell’angoscia data dal pensiero di che cosa sarà il nostro futuro in balia della povertà non esisteva e nessuno sarebbe stato in grado di immaginarlo, a meno che non fosse vissuto al di là di qualche Cortina di Ferro.Soprattutto, nessuno si sarebbe mai immaginato che il benessere ottenuto in base alle lotte sindacali, nato dal sangue degli operai e di quei borghesi empatici e simboleggiato in maniera sacra dalla democrazia, dato ormai per acquisito perché certificato nella Costituzione, sarebbe stato possibile toglierlo al popolo per consegnarlo ad un’élite intenzionata a redistribuire la ricchezza esistente verso l’alto, accaparrandosela tutta e creando un mondo dove l’1% ha tutto e il 99% quasi nulla, senza più democrazia. Un mondo nuovo ma tremendamente simile al Medioevo che, per essere realizzato, ormai lo sappiamo, nei trent’anni previsti per il suo compimento non potrà che finire con l’eliminazione fisica della classe media, magari sostituita da carne da macello proveniente dal terzo mondo, da impiegare per la pulitura dei cessi dove andranno a sedersi i culi imperiali.Credo che, se qualcuno allora, negli anni sessanta-settanta, avesse visto un’anteprima del futuro, ovvero dei giorni nostri, lo avrebbe considerato il peggiore incubo mai vissuto e nessuno avrebbe potuto immaginare che coloro che si sarebbero offerti spontaneamente per farlo avverare sarebbero stati i partiti di sinistra, quelli più tradizionalmente (allora) vicini al popolo. Eccoci, caro, al perché io non sono più comunista, non sono più di sinistra, anzi non sono niente, sono solo una borghese di merda ma molto, molto incazzata. Sono incazzata e mi difenderò fino all’ultimo perché vogliono farmi fuori. Vogliono portarmi via ciò che la mia famiglia mi ha lasciato, affinché, assieme a ciò che mi guadagno con il mio lavoro, potessi avere una vecchiaia serena senza dover dipendere da nessuno. Penso a me stessa, certo. Gli altri hanno smesso di pensare a me.Ti pare impossibile che l’orrendo scenario che ti ho descritto possa realizzarsi? Cosa ti stanno ripetendo giorno e notte, tutti i giorni e a tutte le ore, caro amico? Che quel mondo che ti ho descritto e che abbiamo vissuto, che ci ha permesso di crescere ed arrivare fin qui dobbiamo scordarcelo perché NON POSSIAMO PIU’ PERMETTERCELO. E, di grazia, ti stai chiedendo il PERCHE’? Perché le risorse mondiali sono limitate? Per quello basterebbe uno sviluppo più responsabile. Basterebbe quella cosa che si chiama progresso e che nasce dall’ingegno di persone molto creative in ogni epoca e che in poco più di cento anni ci hanno dato l’elettricità, la mobilità di persone e merci e la comunicazione. Progresso che serve da sempre a migliorare la vita delle persone e a renderla più facile. Basterebbe tendere a realizzare uno di quei mondi futuribili ideali che nessun romanzo di fantascienza ha più il coraggio di immaginare.Il nostro benessere non possiamo più permettercelo perché ciò che abbiamo lo vuole qualcun altro, e non sono certo coloro che non hanno nulla ma quelli che hanno già tutto. Vedi, in fondo, da borghese di merda, con queste parole sto pensando anche a te, sto cercando di avvertirti del pericolo, anche se non meriteresti affatto di essere salvato. Non sono direttamente le élite che ti annunciano la fine del tuo diritto al benessere perché un domani conterà solo il loro, perché la scusa delle risorse limitate è un’occasione ghiotta per fare un po’ di pulizia sociale e vincere la Lotta di Classe. Te lo fanno dire dai loro servi. Quelli che si sentono superiori perché non sono razzisti ma democratici, a favore delle minoranze, antifascisti, ammiratori dell’Europa e della serietà teutonica, progressisti, internazionalisti, contro tutte le diversità perché devoti all’OMOLOGAZIONE. Che si sentono importanti perché con il 99% possono masturbarsi sulle grandi cifre e non si accorgono che la loro maggioranza è destinata a diventare il Soylent Green. Sono quelli che ogni mattina ringraziano non si sa chi per non essersi svegliati trasformati in scarafaggi piccoloborghesi.Quando tutto iniziò, con i primi attacchi ai diritti sociali acquisiti e l’avvento della dittatura del mercato, avrebbero dovuto riconoscere subito il progetto reazionario e revanchista dell’élite. Certo avrebbero dovuto difendere il benessere generale, le conquiste ottenute fino a quel momento e la democrazia, distinguendo tra capitalismo accettabile e capitalismo disumano, alleandosi con quella borghesia di merda che però sa fare le rivoluzioni e che un minimo di riconoscenza se la meriterebbe. Invece, pur di non rinnegare la lotta antiborghese di principio, hanno ascoltato le sirene della globalizzazione travestita da internazionalismo ed hanno scelto l’omologazione nel concime, il “semo tutti uguali” come materia organica anfibia, per potere essere ancora più merda della borghesia e in fondo distinguersi. Perché in fondo sono dei neoaristocratici pure loro. Si sono alleati con il Capitale contro il resto del mondo e di fatto contro loro stessi. Perché credono di appartenere ad un corpo speciale e privilegiato per essersi guadagnati con il tradimento l’onore di poter dare il colpo di grazia all’odiata borghesia (rinnegando Marx, Lenin e gli altri che ho nominato) ma sono anche loro feccia destinata a soccombere. Li tengono per ultimi per compostarli meglio. Concimeranno con onore i giardini degli ingiusti di Elysium.(Barbara Tampieri, “Io sono una borghese di merda”, da “Il blog di Lameduck” del 29 maggio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.
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Scarpinato: la crisi aumenta il potere del sistema-mafia
Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini. Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti. La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Gemania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la S maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.L’oscenità del potere? E’ l’impostura culturale che la mafia è solo una storia di brutti sporchi e cattivi, di cui sono protagonisti personaggi come Riina, Provenzano o i casalesi. La realtà è che, tranne un breve periodo che dura dal 1980 al 1990, i più grandi capi della mafia sono sempre stati borghesi. Il capo della mafia di Corleone, prima di Riina e Provenzano, era un medico chirurgo: il dottor Michele Navarra. La lezione della storia ci insegna che in questo paese nessuno – fosse di centro, destra o sinistra – ha mai potuto governare senza venire a patti con questo blocco sociale che è anche il principale responsabile del sottosviluppo del Mezzogiorno, della privazione sistematica delle risorse. Situazione che oggi è più grave: a causa di fattori macrosistemici come l’avanzare del federalismo fiscale, il tetto massimo stabilito alla spesa pubblica dopo il Trattato di Maastricht e altri fattori di crisi economica, il Sud precipita sempre di più in una situazione di degrado economico, la forbice del differenziale tra Nord e Sud aumenta, una parte del Nord tende a staccarsi per seguire la locomotiva del Nord Europa e abbandonare il Sud al suo destino.Questo Sud privato di risorse avrà il problema di garantire a milioni di persone di mettere insieme il pranzo e la cena. In assenza di spesa pubblica, il pericolo è che per evitare che il Sud diventi una polveriera sociale ci si affida all’economia alternativa del crimine, cioè che il Sud diventi un’enorme zona di no-tax, una sorta di Singapore del Mediterraneo, dove l’economia si genererà grazie al porto franco, all’afflusso di capitali sporchi, alle case da gioco, alla benzina defiscalizzata e quant’altro. Noi continuiamo ad avere un Parlamento, consigli regionali, governi e organi rappresentativi affollati di persone che sono state condannate per mafia, e che nonostante ciò restano degli “intoccabili”. Continuiamo ad avere quella che poco fa ho chiamato borghesia mafiosa, che è un pezzo importante di classe dirigente, ed è il vero terreno su cui si gioca il futuro della lotta alla mafia.Nel libro “Il ritorno del Principe” leggo il sistema di potere mafioso attraverso la lente dei “Promessi sposi”: non ci si può illudere di sconfiggere la mafia arrestando solo i Bravi. Rispetto a quella legale dello Stato, l’offerta sociale mafiosa prospera quando le persone non hanno la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti, quando sono costrette a piegarsi per avere un lavoro, per avere un minimo di dignità sociale, quando uno Stato non è in grado di offrire occupazione e pari dignità ai cittadini. È allora che molta gente è spinta a mettersi nelle mani della mafia, che quantomeno garantisce una sopravvivenza economica.(Roberto Scarpinato, dichiarazioni rilasciate ad Antonello Castellano per l’intervista “Il lato osceno del potere”, apparsa su “Narcomafie” e ripresa da “Megachip” il 22 aprile 2014. Magistrato antimafia, Scarpinato ha firmato con Saverio Lodato il libro “Il ritorno del Prinicipe”, edito da Chiarelettere).Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini. Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti. La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Germania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la S maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.
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Barnard: neo-feudalesimo, chi e perché ci ha rovinato
Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti, soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di Neofeudalesimo. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri. Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?Il massimo storico dell’Olocausto mai esistito si chiamava Prof. Raul Hilberg. Il suo monumentale volume “La Distruzione degli Ebrei d’Europa” racconta fra la tante cose un fatto proprio ‘irragionevole’ e ‘non-plausibile’, una cosa che si direbbe pazzesca. Ed è che, nella civilissima Germania degli anni ’40 del XX secolo, la macchina mostruosa dell’Olocausto si compose precisamente di due componenti: a) di un’ideologia divenuta fede – cioè che l’ebreo andava eliminato per la salvezza del continente Europa; b) e di una, si faccia attenzione!, macchina burocratica di sterminio AUTOPROPAGATASI autopropagatosi, cioè non comandata dall’alto né pianificata dai vertici nazisti. Ovvero di un moto perpetuo e autonomo che creava pezzi della macchina di sterminio man mano che questo moto passava da una testa all’altra, da una burocrazia all’altra, da una regione all’altra, da un’autorità locale all’altra, in Germania come in Polonia.Nessun decreto di Hitler con le parole “gassateli”, nessun comando berlinese di ingegneri pianificatori dei campi di concentramento, nessuna riunione del Terzo Reich dove ogni sei mesi si faceva il punto dello sterminio. Ma, ripeto, un moto AUTOPROPAGATOSI autopropagatosi da un’ideologia/fede e che ha finito col ricomporsi SPONTANEAMENTE spontaneamente in un Olocausto gestito da migliaia di pezzetti burocratici autonomi senza alcuna gestione centrale. Non so se vi è chiaro, ma tutto questo ha dell’incredibile, eppure fu così, lo decreta il massimo storico del Nazismo mai esistito. Ora… immaginate se un’autorità della statura immensa come quella del Prof. Raul Hilberg avesse scritto di tutto ciò, previsto tutto ciò, negli anni dell’ascesa al potere di Hitler. Ma è straovvio: lo avrebbero squalificato come un mentecatto delirante e un complottista, probabilmente anche dagli stessi ebrei tedeschi. Facile, come bere un bicchier d’acqua.E qui arrivo al nostro NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo. Il mio lavoro di oggi, dopo il saggio “Il Più Grande Crimine 2011”, sta svelando una pianificazione di quasi un secolo da parte delle élite Tradizionaliste Neofeudali europee, cioè il Vero Potere, per riprendersi il dominio perduto dall’Illuminismo in poi; per, soprattutto, re-imporre alle “masse ignoranti” d’Europa un GIUSTO ORDINE giusto ordine che ne avrebbe evitato, a loro parere, la degenerazione in un modello di ‘depravata democrazia all’americana’. Il GIUSTO ORDINE giusto ordine significava e significa oggi per loro l’assoluto controllo di una élite non-eletta su centinaia di milioni di cittadini europei sempre più impoveriti, e quindi resi servi impotenti. E lo strumento che queste élite Neofeudali hanno usato per portare al successo quella pianificazione è l’UNIONE MONETARIA EUROPEA Unione Monetaria Europea, oggi chiamata Eurozona, che infatti sta ottenendo la devastazione della democrazia e degli standard di vita in tutta Europa, con crolli di quegli standard e dell’economia della piccola-media borghesia di proporzioni indicibili. Ebbene, ricordate Hilberg: facile per i tromboni servi del Vero Potere ridicolizzare me e le mie autorevoli fonti accademiche come complottisti. Ma non lo siamo. Noi vi stiamo raccontando il prossimo Olocausto, dove nei campi di sterminio è già oggi finita la DEMOCRAZIA democrazia.Elite Tradizionaliste Neofeudali: da dove nascono? E cosa hanno fatto?Per semplificare un racconto immenso, parto dal New Deal di Franklyn D. Roosevelt. Quando la notizia di quella rivoluzione sociale ed economica americana giunse in Europa, essa fu accolta dai discendenti delle famiglie dominanti e dai maggiori capitani d’industria, i Tradizionalisti Neofeudali, con orrore. Niente meno che orrore. Ma che stava facendo quel pazzo degenerato di Roosevelt?, pensarono. Dio! Stava usando i soldi dello Stato per creare dei “falsi diritti” per le “masse ignoranti”, per i disoccupati, e gli stava migliorando lo standard di vita! Questo era anatema per Tradizionalisti Neofeudali, per due motivi: lo Stato Usa, poiché possessore di una moneta sovrana, aveva in mano uno strumento di potere di fuoco infinito per far avanzare proprio le spregevoli “masse ignoranti”, e questo poteva contagiare anche gli Stati d’Europa. Andava evitato a tutti i costi; e una volta che le “masse ignoranti” avessero ottenuto abbastanza diritti e benessere, sarebbero divenute troppo potenti e avrebbero definitivamente distrutto i VALORI DEL GIUSTO ORDINE SOCIALE valori del giusto ordine sociale perduto dopo il crollo dei feudalesimi a favore della democrazia.Questi valori sono: a) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle élite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI sovranazionali rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali (vi dice già qualcosa….?); b) una vita di permanente povertà o scarsità delle “masse ignoranti” per non alzare troppo la testa sopra il regno della Chiesa vaticana, fedele alleata della restaurazione del GIUSTO ORDINE giusto ordine; c) da quella scarsità doveva venire paura e insicurezza continua delle “masse ignoranti” per cementare tutto ciò. Un esempio concreto: essi pensarono che con “masse ignoranti” rese benestanti ‘all’americana’ non sarebbe più stato possibile spedire milioni di poveracci a crepare come maiali al macello nelle trincee di una guerra Neofeudale (I Guerra Mondiale), o in avventure coloniali dello stesso stampo; non sarebbe più stato possibile estrarre manodopera della gleba per i loro conglomerati industriali.Ora ecco chi erano i Tradizionalisti Neofeudali. Il primo gruppo si riunì fra le due Grandi Guerre attorno al Comité des Forges in Francia, finanziato dalla famiglia Wendel e dai tedeschi Krupp, con interventi finanziari di non poco conto della Banca di Francia. Erano politici, principalmente, ma raccoglievano le idee di pensatori noti, da Junger a Keyserling, Heidegger, Jouvenel, Perroux, Mounier, Céline, naturalmente selezionandone le analisi più convenienti per il loro sogno di restaurazione del GIUSTO ORDINE giusto ordine, e scartandone molte altre (ad eccezione di Perroux che fu preso e copia-incollato da cima a fondo). Gli economisti di riferimento erano i Neoclassici più noti allora: Walras, Jevons, Menger. Questo primo drappello fu immediatamente ingrossato nelle sue fila dai maggiori industriali nordeuropei (franco-tedeschi soprattutto, il cosiddetto cartello dell’acciaio-carbone), dalle famiglie nobili, prima fra tutte la famiglia tedesca dei Thurn Und Taxis e i belgi Davignon e Boel, i Reali allora esistenti in Europa (esclusa la Gran Bretagna) e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufen (non posso qui elencare tutti questi ‘rentiers’ europei, ma sono migliaia di famiglie).Se ne deduce che era principalmente un ‘asse’ franco-tedesco, ed aveva un progetto ben preciso: sottomettere a quasi servitù intere nazioni europee a cominciare da Italia, Portogallo, Spagna, il Benelux e anche gli scandinavi. L’Europa dell’est neppure era presa in considerazione, la consideravano territorio coloniale come l’Africa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i Tradizionalisti Neofeudali avevano due visioni nette: la prima era che la ‘democrazia dei consumi’ d’oltreoceano avrebbe finito per corrompere quella società con i valori ‘depravati’ del benessere minimo della gente, fino alla sua distruzione. Infatti il capitalismo americano, per quanto infestato di imperfezioni, doveva (e deve) mantenere in vita un minimo di spesa pubblica per evitare il collasso totale dei consumi, che è contrario agli interessi delle corporations, e quindi doveva (e deve) mantenere le strutture democratiche di: governo sovrano, Parlamento che decide la spesa (Congresso) e Banca Centrale che la finanza (Fed). Tutti elementi, questi, che per i Tradizionalisti Neofeudali erano bestemmie politiche allo stato puro che avrebbero affondato gli Usa celebrando la vittoria della loro Europa neofeudale.La seconda visione era che appunto l’Europa non avrebbe mai dovuto diventare un modello americano di Stati Uniti d’Europa con un governo centrale democraticamente eletto, un Tesoro comune e Banca Centrale a garanzia dei debiti pubblici (vi dice già qualcosa…..?). Il fatto è che in America nessun singolo Potere era, ed è mai riuscito badate bene, come invece in Europa oggi proprio al culmine del sogno Neofeudale, a impossessarsi di tutti e tre i poteri fondamentali delle élite: il potere economico, quello politico e quello di manipolazione delle masse. I Tradizionalisti Neofeudali invece lavorarono proprio per impossessarsi di tutti e tre questi poteri, con un successo tragico oggi chiamato Unione Europea / Eurozona.Ora torniamo al loro valore numero uno, sopradescritto come: a) sottomissione delle “masse ignoranti” alla superiore saggezza delle élite non-elette, che le governa attraverso istituzioni SOVRANAZIONALI sovranazionali rette da tecnocrati fedeli ai Tradizionalisti Neofeudali. La domanda che si posero fu come ottenere una struttura simile. La risposta che gli arrivò fu lampante: creare una UNIONE MONETARIA Unione Monetaria che, privando gli Stati della loro moneta, li distruggeva di fatto totalmente e li assoggettava ai gestori esterni, sovranazionali, di quella UNIONE Unione. Uno Stato senza portafoglio è un eunuco, anche meno di questo, è come un padre di famiglia senza reddito, il cui Parlamento diventa una facciata di cartapesta: democrazia MORTA morta. Di conseguenza le “masse ignoranti” sarebbero andate allo sbando e crollate nella deflazione permanente del loro standard di vita (vi dice già qualcosa….?), esattamente lo scopo dei Tradizionalisti Neofeudali.La sopraccitata risposta gli fu servita da quattro uomini: Robert Schuman, lobbista dell’industria pesante francese di acciaio e carbone, e un prediletto del Vaticano, uomo di collegamento coi trust dell’acciao-carbone tedeschi; Jean Monnet, banchiere, esperto di finanza, e uomo strategico perché in buoni rapporti con gli Usa; Walter Funk, presidente della Reichsbank (1943); e Francois Perroux, economista, il vero cervello dietro la moneta unica e il modello di Banca Centrale Europea che poi sarebbe venuto, un filonazista puro (almeno fino a che non giudicò Hitler troppo ‘soffice’), con cui lavorava un altro economista di pura tradizione neofeudale, Jaques Rueff.I Neofeudali di Francia e Germania, a quel tempo – e qui stiamo già parlando dei primi anni dopo il 1945 – capirono però che non potevano portare avanti un progetto di rottura così violento coi valori americani, perché l’Europa ridotta a macerie era appesa alla tetta di Washington disperatamente. Qui fu la furbizia di Monnet a fare il trucco. Monnet semplicemente descrisse il micidiale progetto neofeudale della UNIONE MONETARIA Unione Monetaria ai presidenti Usa Truman e Eisenhower come un’unione europea di nazioni retta da un governo di saggi in funzione anti-sovietica! Un muro contro il ‘pericolo rosso’. Non solo, Monnet disse agli americani che la Banca di Francia avrebbe continuato a finanziare la Germania dell’ovest, visto che i Wendel erano di fatto i padroni della banca. Washington ci cascò, e rimase totalmente inconsapevole della vera natura del progetto descritta sopra, e del suo odio feroce per qualsiasi modello americano.Prima di proseguire, va spiegata una cosa di una importanza cruciale, ma veramente assoluta. Quando parliamo di uomini del Vero Potere, tendiamo automaticamente a pensare a questi vampiri che siedono su castelli stracolmi di oro, ricchezze, fortune immani, e che fanno ciò che fanno a milioni di innocenti per pura arrogante avidità. No. Fermi. Personaggi di questa matrice esistono certamente, ma sono più gli americani a essere di quella pasta, come alcuni europei certo, ma NON non i Tradizionalisti Neofeudali. No, no e no. Essi, dovete capirlo, lavorarono, e oggi lavorano, solo per due motivi: a) Un senso di investitura divina al DIRITTO diritto di governare le “masse ignoranti”, esattamente come i loro antenati in epoca feudale. Ma soprattutto… b) Un senso del DOVERE dovere, cioè di dover fare quello che fanno, se no, essi sono convinti, il mondo del GIUSTO ORDINE SOCIALE giusto ordine sociale verrà travolto dalla depravazione di quel mostro purulento chiamato democrazia, che per loro è la fonte della fine di ogni valore, di ogni buon senso, la fonte della fine di tutto. Loro DEVONO devono salvarsi e salvarci, a costo di ammassare montagne di cadaveri.Ricordate bene: un uomo come l’attuale presidente del Consiglio Europeo, il super-Neofeudale Herman Von Rompuy, o un uomo come Mario Monti, ne sono convinti fin nel midollo. Così Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, così erano Padoa Schioppa e soci. Ecco perché non mostrano un milligrammo di pietà umana per le sofferenze di milioni di europei oggi (vedi Grecia). Pensano che essa è la giusta via del SACRIFICIO sacrificio per impedire a tutto il continente di sprofondare nella sparizione finale dei loro ‘GIUSTI VALORI’ ‘giusti valori’. Lo Stato non dovrà MAI PIU’ mai più garantire alle masse i “falsi diritti” del welfare, della democrazia, del benessere in crescita (non vi dice già qualcosa….?).In questo i Tradizionalisti Neofeudali odierni derivano la loro ideologia non solo dai personaggi sopraccitati, ma anche da Heidegger, Hitler, Goebbels, Funk e Schacht, tutti autori di scritti e noti discorsi contro la ‘perversione’ del New Deal di Roosevelt, cioè del modello di Stato interventista nel sociale, e a favore invece della supremazia delle elite su Stati imbelli. Ma la derivano soprattutto (Monti fra i primi) da colui che si contende il titolo di ‘Il più sociopatico economista mai vissuto’ con Robert Malthus, cioè Friedrich Von Hayek, della cosiddetta scuola austriaca, un vero razzista di proporzioni epiche, l’uomo che scrisse di poter tollerare un minimo di Stato Sociale ma solo «per impedire ai poveri di esasperarsi al punto da divenire un pericolo fisico per le classi dominanti» (sic). E’ l’uomo che dopo il francese Perroux si batté per impedire l’accesso delle “masse ignoranti” all’istruzione pubblica, considerata pericolosa perché avrebbe fatto comprendere alle masse l’economia.Il salto del Neofeudalesimo dei Tradizionalisti al Vero Potere Neofeudale del giorno d’oggi.Non vi faccio perdere tempo. La nascita dell’Unione Europea è roba stranota come tappe formali: Piano Schuman 1949, la Ceca nel 1951, il Trattato di Roma 1957, nel 1967 la Comunità Europea (Ce), nel 1979 eleggemmo il primo Parlamento Europeo, poi arriva il 1993 quando nasce l’Unione Europea col Trattato di Maastricht, che sancì una serie di riforme eclatanti, fra cui dal 1° gennaio 2002 quella dell’euro come moneta unica per i suoi membri. La nostra Banca Centrale Europea di oggi è stata modellata precisamente sulle indicazioni del tradizionalista neofeudale François Perroux, che già allora scrisse quelli che oggi sono i comandamenti della Bce: impedire agli Stati di spendere a deficit per il terrore dell’inflazione; le crisi si curano con Austerità feroci, cioè tagli sociali e super-tasse; il Mercato Unico deve esser il Signore assoluto senza nessuna interferenza degli Stati; la flessibilità del lavoro è un comandamento imprescindibile. Questo scrisse il neofeudale Perroux nel 1943 (!), e questo è oggi!E sempre stando col francese, ma anche con l’ultra-neofeudale austriaco sopraccitato, Hayek, si viene a sapere che l’idea di sottomettere le banche al potere delle élite neofeudali – oggi in pieno svolgimento con l’Unione Bancaria Ue (………………………..) – fu loro già 60 anni fa. Oggi, le idee tradizionaliste/neofeudali degli anni ’30 di UNIONE MONETARIA Unione Monetariia, Banca Centrale e distruzione della spesa pubblica degli Stati, hanno preso la forma della perversa struttura dell’Eurozona, con l’UNIONE MONETARIA Unione Monetaria, la Bce e le AUSTERITA’ austerità. Queste perfette riproduzioni del vecchio progetto tradizionalista neofeudale hanno di fatto spogliato totalmente gli Stati ex sovrani di ogni reale potere consegnandolo a élite non-elette (Commissione Ue), e ne hanno esautorato i Parlamenti con i Trattati Ue sovranazionali che sono superiori in autorità alle nostre leggi, cioè il sogno neofeudale come detto più sopra.Ora notate però una cosa: il progetto tradizionalista neofeudale ha tolto tutto allo Stato nazionale meno una cosa: il potere di polizia fiscale, proprio per imporre a milioni di esasperati cittadini gli orrori del ‘giusto sacrificio’ del GIUSTO ORDINE giusto ordine neofeudale, che io ho battezzato coi nomi di Economicidio e Chemiotassazione. Bene, anche questa idea risale al club di Perroux, Funk, Rueff e soci, altra mostruosità neofeudale presente sulla soglia di casa di milioni di noi oggi. Ma chi sono oggi i portatori dell’oscena torcia Neofeudale nella Ue? Cioè: CHI SONO GLI UOMINI CHE HANNO RACCOLTO L’EREDITA’ DEL PIANO TRADIZIONALISTA NEOFEUDALE DEGLI ANNI ’30, E CHE LA STANNO PORTANDO ALLA VITTORIA CON LA DEVASTAZIONE DI TUTTE LE NOSTRE EX DEMOCRAZIE, CON DISOCCUPAZIONE RECORD, PAURA SOCIALE, E DEFLAZIONE ECONOMICA PERMANENTE AI MASSIMI LIVELLI DA 70 ANNI CREATE A TAVOLINO DALL’EUROZONA E DAI SUOI TRATTATI?Chi sono gli uomini che hanno raccolto l’eredità del piano tradizionalista neofeudale degli anni ‘30, e che la stanno portando alla vittoria con la devastazione di tutte nostre ex democrazie, con disoccupazione record, paura sociale e deflazione economica permanente ai massimi livelli da 70 anni, create a tavolino dall’Eurozona e dai suoi trattati?Ne ho già nominati alcuni, cioè Herman Von Rompuy, Mario Monti, Juncker, Draghi, Issing, Barnier, Rehn, Barroso, così era Padoa Schioppa. Aggiungo alcuni altri colossi neofeudali: Jaques Attali, Jaques Santer, lo fu François Mitterrand, Jean-Claude Trichet, poi Giuliano Amato, Romano Prodi, Theo Weigel, col codazzo di centinaia di vassalli tecnocrati come gli italiani Marco Buti e Massimo Tononi. Vi si aggiunge la corte di latifondisti, nobili e massoni ammorbati di Opus Dei che si riuniscono attorno a Etienne Davignon e al famigerato club Bilderberg, sempre potentissimi. Poi il micidiale Jaques Delors, l’uomo di devota ‘scuola Perroux’ che ha tenuto le massime redini d’Europa (presidente della Commissione Europea, il vero potere Ue) per tutti i 10 anni cruciali del passaggio dalle democrazie degli anni ’70 agli Stati fantoccio del dopo-Maastricht, Eurozona. Poi non si dimentichino le correnti tedesche di economia della Scuola di Berlino e di Bremen, con il cosiddetto ‘Ordo-Liberismo’ di Walter Eucken che ha spacciato a generazioni di gonzi tedeschi il Neofeudalesimo come corrente sociale!Ma qui c’è un altro passaggio da capire, che è cruciale. L’avanzata del NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo, cioè della VERA ANIMA vera anima di tutto quello che a voi raccontano come Eurozona e Unione Europea e che ci sta distruggendo come democrazie, si è servita di una specie di ‘ascensore’ per arrivare invisibile nella stanze del potere. Hanno usato l’economia cosiddetta Neoclassica e quella Neoliberista. Come detto, i Neofeudali hanno usato un’arma principale per ottenere l’abbattimento del potere degli Stati di spendere per la crescita del popolo e della democrazia: l’UNIONE MONETARIA Unione Monetaria che, ripeto, significa 1) bloccare la spesa pubblica 2) creare il terrore dei deficit 3) imprigionare i governi entro spese pubbliche microscopiche 4) quindi paralizzare il flusso di denaro nelle società, portando deflazione economica, fallimenti a catena, disoccupazione alle stelle, paura e insicurezza di tutti 5) e consegnare noi cittadini/aziende nelle mani dei produttori ‘privati’ di denaro, cioè le banche, visto che il produttore di denaro pubblico, lo Stato, è stato castrato.Bene, queste folli regole erano per coincidenza anche il vangelo degli economisti prezzolati dal Vero Potere che si organizzarono per distruggere, per letteralmente polverizzare, tutta l’Economia Sociale nata dal pensiero di Marx, di Keynes, della Robinson, di Kalecki, di Godley, quella cioè che predicava l’esatto opposto: uno Stato DEVE SPENDERE PIU’ DI QUELLO CHE TASSA PER FAR CRESCERE IL 99%, A SCAPITO DELL’1%. Deve spendere più di quello che tassa per far crescere il 99% a scapito dell’1%. Questi economisti prezzolati dal Vero Potere erano e sono appunto i Neoclassici e i Neoliberisti, quelli che (parlando dell’Italia) oggi campeggiano alla Bocconi e sul “Corriere della Sera”, cioè i Giavazzi, gli Alesina, i Boeri, i Mingardi, Stagnaro, Boldrin, ecc. Ma soprattutto i loro ‘superiori’ internazionali come Von Mises, Friedman, Brunner, Tsiang, Meltzer, Lucas, Reinhart e Rogoff, Mankiw.La cosa pietosa di ’sto drappello di venduti con crimini sociali sulla coscienza è che non si sono mai resi conto di essere stati usati come ‘ascensori’ da un potere ben più devastante, quello Neofeudale, che li disprezza persino, considerandoli troppo morbidi nell’opera di annientamento delle “masse ignoranti”, così come Perroux considerava Hitler troppo morbido. Ma i Neofeudali li hanno e li stanno ancora usando. Il problema è che tantissimi antagonisti del Vero Potere credono in buona fede che il nemico da combattere in Ue siano ’ste ‘puttane’ dell’economia Neoclassica e Neoliberista, mentre no! NO!, No!, il nemico ha un altro nome: NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo. Ma naturalmente…. Barnard è un complottista… eh? Cari miei economisti ‘di sinistra’ eteroignari alla Brancaccio, Zezza o Bellofiore? Non avete ancora capito NIENTE niente del Vero gioco, sciocchi.Il grande paradosso capitalistico.Una domanda, sono certo, vi ha già percorso la mente da un bel po’. Questa: ma le classi capitaliste europee non la vedono la contraddizione fra la dottrina ormai dilagante del Neofeudalesimo e i loro interessi? Non lo vedono che distruggere la ricchezza immessa dallo Stato in cittadini/aziende (la spesa pubblica), creare così deflazione permanente e ridurre alla semi-povertà milioni di europei li danneggia nei commerci di beni e servizi e quindi nei profitti? La risposta a questa domanda è sempre – come tutto è quando si parla di Vero Potere, e così come nell’esempio iniziale dell’Olocausto – scioccante e incredibile. La semplifico. Uno dei colossi dell’economia sociale, quella dell’INTERESSE PUBBLICO Interesse Pubblico, e naturalmente sepolto e dimenticato, era Michal Kalecki, polacco. Già lui negli anni ’40 del XX secolo ci avvisava della miopia, MIOPIA, miopia, permanente e irrimediabile della classe capitalista imprenditrice. Disse Kalecki che, contrariamente a tutte le evidenze della scienza economica, gli imprenditori nascono, crescono e muoiono con stampato nel loro cervello il Dogma secondo cui un’azienda profitta se paga i lavoratori il meno possibile. E questo, già ai tempi del geniale polacco, valeva per il gigante Krupp come per il salumaio di quartiere.Oggi questa demenziale distorsione mentale esiste identica in tutta la classe imprenditrice europea, dalla Fiat o Siemens, alle piccole medie imprese, al bar. Non è valso nulla che un altro genio dell’economia sociale come John Maynard Keynes abbia dimostrato all’infinito che il “Paradosso del Risparmio” è una rovina di tutto il ciclo economico mondiale: se si pagano poco i lavoratori, se si risparmia e non si spende, crolla il flusso di liquidità che è proprio quello che fa crescere aziende ed economia, che permette gli investimenti e infine i profitti stessi. E’ lampante no? Ma no. Non è valso a nulla che Marx nell’800 o che Godley pochi decenni fa abbiano spiegato ai capitalisti i precisi meccanismi della creazione del profitto, che richiede SEMPRE sempre l’esistenza di categorie di salariati capaci di spendere bene a favore di altre categorie (e se possibile senza ricorrere al debito con le banche) con, come fornitore di liquidità di ultima istanza, lo Stato. No. Niente. I capitalisti non lo capivano, e non lo capiscono ancora oggi.Gli imprenditori colossi, ma anche quelli medi e piccoli, non la vogliono capire. E allora ecco che si spiega perché il fanatismo dei Neoclassici di ridurre tutti i salari a livelli di semi-povertà gli va a genio perfettamente. E’ il trionfo del loro istinto idiota di dominare i dipendenti credendo di trarne profitto. E’ il trionfo della cocciuta stupidità dell’imprenditore che NON CAPISCE MAI, non capisce mai, MAI NULLA DEI FONDAMENTALI DELLA MACROECONOMIA KEYNESIANA, mai nulla dei fondamentali della macroeconomia keynesiana, che invece farebbe la fortuna sua e dei suoi dipendenti allo stesso tempo. Pensate, in questo contesto, al fenomeno delle mega-fusioni e acquisizioni industriali e bancarie. Spiego: da diversi anni assistiamo a una corsa maniacale di corporations e banche ad acquistare rivali, o aziende minori, per creare questi colossi sempre più immensi. Cito solo la tedesca Audi o la Deutsche Bank, perché la Germania è oggi lo Stato che più al mondo corre per gonfiare in modo mostruoso le dimensioni delle proprie maggiori aziende; ma anche la nostra Unicredit, Eni o Enel tentano espansioni simili, e altri esempi sono infiniti. Il punto che hanno in comune tutti questi operatori del mega-capitale è sempre il medesimo: tagliare i costi e i salari.Cosa stanno facendo questi sciagurati? Semplice: obbediscono all’ordine Neofeudale secondo cui, appunto, l’immane concentrazione del potere dei Signori deve ritornare agli splendori dei secoli IX o XII, con servitù della gleba come manodopera sia di colletti bianchi che blu. E di nuovo non comprendono che questo deprimerà proprio l’economia su cui vivono. No! Comandare è più importante per loro, del resto sono ciechi. E poi si faccia attenzione: i Neofeudali sanno benissimo che una volta che una Corporation o una banca divengono ipertroficamente colossali, è impossibile per qualsiasi Stato lasciarle fallire quando l’economia che esse stesse hanno depresso, come detto sopra, collassa, perché finirebbero per trascinarsi dietro mezzo mondo. E allora gli Stati devono usare il denaro pubblico per salvarle, chinando la testa come sguatteri. E perché la chinano? PERCHE’ NON POSSONO PIU’ USARE LA LEGGE DEI PARLAMENTI PER COMANDARE NELL’INTERESSE PUBBLICO, VISTO CHE I NEOFEUDALI SONO OGGI I SOLI POSSESSORI DELLA LEGGE SOVANAZIONALE. Perché non possono più usare la legge dei Parlamenti per comandare nell’Interesse Pubblico, visto che i Neofeudali sono oggi i soli possessori della legge sovranazionale. Attenti a questo passaggio, lo ripeto. Solo i Tecnocrati Neofeudali possono oggi controllare questi colossi industriali e bancari, visto che sono loro, i Neofeudali della Commissione Europea, della Bce o del Consiglio Ue che gestiscono l’arma finale di tutte le armi: LA LEGGE la legge, oggi da loro esclusivamente creata in Ue.La disperazione di un pubblico che non capisce. Cosa va fatto.Una precisazione importantissima per i lettori, che, mi perdonino, non riescono mai bene a capire le ombre del Vero Potere e virano sempre verso un quadro di buoni contro cattivi, chi vince chi perde. No, le cose nel mondo del Vero Potere, specialmente nella sua versione Neofeudale, non stanno così. La guerra è in corso, non è vinta; i Neofeudali hanno indiscutibilmente ottenuto vittorie agghiaccianti, le ho già descritte alla noia, ma ribadisco: basti pensare al fatto che Camera e Senato oggi sono stati resi teatrino di campagna assieme alla nostra Costituzione; basti pensare che l’Italia non ha mai visto un crollo dei consumi come quello odierno dalla fine della II Guerra Mondiale (Istat), con i giovani disoccupati italiani in numeri di livello africano. Io qui vi ho raccontato dell’esistenza di questo mostro e di ciò a cui mira in futuro. Ma ci sono forze antagoniste alla restaurazione finale del NEOFEUDALESIMO Neofeudalesimo in Europa: non sono certo gli attivisti, che non ci capiscono nulla e si rifiutano di capire; non sono certo (perdonate, conato…) i sindacati. Sono alcune forze di capitalismo europeo filo-Usa; è una parte del mondo finanziario, quella più vicina al sistema bancario ‘retail’, cioè piccole-medie banche; ma soprattutto sono le colossali incognite del capitalismo russo e cinese, dell’asse che stanno creando con l’idea di uno Yuan moneta di riserva internazionale sostenuta dal gas/petrolio russo, cioè una rivoluzione economica sempre modellata sugli Stati Uniti che potrebbe spazzare via da sola tutto il progetto neofeudale in pochi anni.Ma per ora i Neofeudali sono qui, a Bruxelles e a Francoforte, e sono micidiali, hanno in mano tutto il potere, TUTTO tutto. E qui arriva la mia disperazione: un pubblico che non capisce. Lo avete capito che tutto ciò che hanno creato i NEOFEUDALI Neofeudali in oltre 70 anni è all’origine della più devastante crisi delle democrazie, dell’economia, dei posti di lavoro, del futuro dei giovani, della tutela sociale dalla fine della II Guerra Mondiale? Lo capite che l’urlo dell’operaio del Veneto, che la depressione della famiglia laziale una volta benestante e oggi in crisi, che il collasso dei diritti alla vita dignitosa alla salute alla prosperità di milioni di noi provengono tutti dal progetto Neofeudale, OGGI VINCITORE oggi vincitore? Lo avete capito che quel progetto ha distrutto la spesa pubblica, la sovranità dei Parlamenti e l’economia dell’Interesse Pubblico, per restaurare il GIUSTO ORDINE giusto ordine del regno delle élite sulle “masse ignoranti”? E si chiama Eurozona, Ue dei tecnocrati.Lo avete capito che un fantoccio patetico come Renzi, immediatamente chiamato a obbedienza dalla neofeudale Angela Merkel, conta come una cacca di piccione sul davanzale d’Europa? Lo capite che i politici di Roma sono ridicoli figuranti impotenti e grottescamente ignari di tutto il Vero Potere? Vi è chiaro che gli sbraiti di un cretino di Genova neppure arrivano alla soglia di casa dell’autista di uno come Herman Von Rompuy? Che neppure arrivano all’orecchio della camiciaia di Barnier? Lo avete capito che il Vero Potere va studiato e che dobbiamo contrapporgli una guerra totale combattuta da uomini e donne con pedigree d’acciaio, con una preparazione che spacca un capello con uno sguardo? Che va combattuto da chi ha la seguente idea chiara, limpida e scolpita nell’acciaio della propria determinazione a liberarsi:I NEOFEUDALI CI HANNO SOTTOMESSI, DEPREDATI DI DEMOCRAZIA E DIRITTI, CI HANNO SCHIAVIZZATI USANDO CODICI DI LEGALITA’ DA LORO RESI ‘PLAUSIBILI’, QUANDO INVECE ERANO ‘INIMMAGINABILI’, E CI RISERVANO UN FUTURO DA SERVITU’ DELLA GLEBA NEL TERZO MILLENNIO.ORA NOI DOBBIAMO RIPRENDERCI 250 ANNI DI CODICI DI VERA LEGALITA’, QUELLA CHE HA PRODOTTO LE PIU’ AVANZATE COSTITUZIONI DEL MONDO PER L’INTERESSE PUBBLICO, E SBATTERGLIELA IN FACCIA, CON IL POTERE RESTITUITO AGLI STATI SOVRANI E AI PARLAMENTI DI FERMARLI E DI ARRESTARLI, DI PROCESSARLI PER I LORO IMMANI CRIMINI, E DI FARLI SPARIRE.I Neofeudali ci hanno sottomessi, depredati di democrazia e diritti, ci hanno schiavizzati usando codici di legalità da loro resi ‘plausibili’, quando invece erano ‘inimmaginabili’, e ci riservano un futuro da servitù della gleba nel terzo millennio.Ora noi dobbiamo riprenderci 250 anni di vera legalità, quella che ha prodotto le più avanzate Costituzioni del mondo per l’Interesse Pubblico, e sbattergliele in faccia, con il potere restituito agli Stati sovrani e ai Parlamenti di fermarli e di arrestarli, di processarli per i loro immani crimini, e di farli sparire.Questo dobbiamo fare. Significa: l’uscita dell’Italia dall’Eurozona neofeudale, il ripristino della nostra SOVRANITA’ MONETARIA E PARLAMENTARE sovranità monetaria e parlamentare, e l’applicazione in Italia della migliore economia dell’Interesse Pubblico mai esistita: la Mosler Economics Mmt (leggete il Programma di Salvezza Economica per il Paese). Ma significa soprattutto un’altra cosa, caro lettore, cara lettrice: che tu, come me, ritrovi il CORAGGIO coraggio, il coraggio di ribellarti, ora che sai cosa ti stanno facendo. Caro lettore, cara lettrice, senza coraggio siete morti, e saranno morti i vostri figli, e se non avrete coraggio ve lo meritate. Ps: buone elezioni europee… come andare a investire in un pollaio di Vicenza credendo di influenzare la Borsa di New York.(Paolo Barnard, “Il feudalesimo si chiama Eurozona. E’ un mostro. Storia, nomi, fatti”, dal blog di Barnard del 27aprile 2014).Il complotto. Una parola trasformatasi in un’arma micidiale ai danni di chi studia, denuncia e lotta contro il Vero Potere. E’ usata da giornalisti, soprattutto, quelli che dalle pagine dei grandi quotidiani e dagli schermi Tv ammiccano sorrisetti spregiativi quando quelli come me parlano di Unione Europea criminale, di progetto Neoclassico e infine di Neofeudalesimo. Ci tacciano di essere dei fantasisti o pazzoidi che parlano di complotti, sciocchezze… suvvia, siamo seri. Io (e pochissimi altri) denuncio cose che volano in effetti chilometri sopra la comprensione comune della gente. Esse sono così distanti dal ‘ragionevole’, dal ‘plausibile’, che è gioco facile, per coloro che sanno invece benissimo che quello che io denuncio è vero, squalificarmi come complottista. E allora l’Olocausto?
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Suicidare la Francia: i veri obiettivi di Hollande e Valls
François Hollande ha ricevuto all’Eliseo Peter Hartz, l’ex consigliere del cancelliere tedesco Gerhard Schröder: «L’ex direttore del personale della Volkswagen era stato condannato a due anni di prigione per aver corrotto i sindacalisti della sua impresa pagandoli con 2,6 milioni di euro in prostitute e viaggi esotici», scrive Thierry Meyssan. «Non è precisato se il presidente Hollande desideri seguire l’esempio di Peter Hartz fino alla sua quarta riforma, che limita a tre mesi la durata delle assicurazioni contro la disoccupazione». Per Meyssan, comunque, anche l’incontro con Hartz – insieme al nuovo governo di Manuel Valls, creato con l’alibi della débacle elettorale alle comunali – testimonia la volontà dell’Eliseo di puntare su un nuovo colonialismo per facilitare le grandi aziende francesi, sull’esempio del suo “maestro” Jules Ferry, che già a fine ‘800 difese gli interessi del grande capitale francese mentre sviluppava il colonialismo, forgiando gli insegnanti perché «formassero i giovani in modo che diventassero i soldati dell’espansione coloniale e della Prima Guerra Mondiale».Non a caso, osserva Meyssan in un’analisi ripresa da “Megachip”, la prima parte del mandato di Hollande è stata caratterizzata dal rilancio della guerra in Siria e dagli interventi militari in Mali e nella Repubblica Centrafricana, tutte «avventure» che sarebbero state «coordinate presso l’Eliseo – sovente contro il parere dello stato maggiore e del ministro della difesa – dal capo di gabinetto militare, il generale tradizionalista Benoît Puga». La seconda parte del quinquennio di Hollande – annunciata già il 14 gennaio, ben prima delle elezioni comunali – si vuole “socialdemocratica”, nel senso dell’Agenda 2010 del cancelliere Schröder: reindirizzare la produzione, agevolando le grandi aziende. «Intrapresa un decennio fa, questa politica facilitò il governo federale, rese più competitive le imprese esportatrici ma aumentò considerevolmente le disparità sociali e la povertà».L’opinione pubblica francese, intanto, ha accolto con scetticismo l’avvicendamento alla guida del governo. «Mai, nella storia della Francia – scrive Meyssan – le elezioni comunali erano sfociate in un cambio di governo: sembrava infatti impossibile trarre conclusioni nazionali da elezioni esclusivamente locali». Tuttavia, se consideriamo i 788 Comuni con più di 50.000 abitanti (che corrispondono al 23% della popolazione), si osserva «un record di astensionismo, soprattutto tra gli elettori che avevano votato due anni prima per François Hollande». L’estensione della sfiducia è stata tale, aggiunge Meyssan, che numerosi Comuni tradizionalmente ancorati a sinistra sono passati alla destra, a favore dell’Ump. Da qui la mossa di Hollande: l’incarico a Valls per formare un nuovo governo «coeso, coerente e saldo», in realtà votato alla realizzazione dei grandi obiettivi annuciati il 14 gennaio, ad oltre due mesi da voto.«Il presidente – continua Meyssan – pensa così di seguire le orme di François Mitterrand che, nel luglio 1984, congedò il suo primo ministro operaista Pierre Mauroy, abbandonò le sue 101 proposte e designò un esponente dell’alta borghesia, Laurent Fabius, affinché conducesse una politica più “realistica”». E’ il “vizietto” storico della sinistra europeista: assorbire e neutralizzare le istanze popolari, per meglio imporre le politiche neoliberiste della destra economica e tecnocratica. Non tutti appreazzano, naturalmente: «Così come i comunisti si rifiutarono di partecipare al governo Fabius accusato di liquidare le promesse sociali dell’elezione presidenziale, anche i Verdi si ritirano dal governo Valls, rifiutando di condividere il suo prevedibile fallimento».Per Meyssan, «così come Mitterrand aveva scelto un primo ministro ebreo e sionista per placare l’ostilità di Israele, allo stesso modo François Hollande ha scelto una delle persone più impegnate in favore della colonizzazione della Palestina». E se Fabius era un primo ministro «troppo giovane e inesperto per imporsi dopo il machiavellico Mitterrand», anche Manuel Valls «non ha avuto la capacità di formare da solo il suo governo e ha dovuto adeguarsi ai suggerimenti presidenziali». Tuttavia, mentre Mitterrand aveva operato un vero cambio di politica e di uomini nel 1984, Hollande intende proseguire la politica avviata nel primo anno di mandato. Così il nuovo governo comprende le stesse persone del precedente, con due eccezioni: Ségolène Royal, la madre dei figli di Hollande, e il suo vecchio amico François Rebsamen. «Possiamo da ciò concludere che il suo obiettivo non sia quello di abbandonare la scia di Jules Ferry, ma di aggiungervi l’esempio delle relazioni con il grande capitale di Gerhard Schröder».Valls si è attenuto alle direttive presidenziali: “patto di responsabilità” con il Medef, la Confindustria francese, “transizione energetica” per compiacere i Verdi e “patto sociale” per le classi popolari. «Ma i bisogni della Francia sono facili da stabilire: da molti anni lo Stato rinuncia ai suoi mezzi d’intervento, abbandonando la sua moneta per esempio, aumentando gli strati amministrativi, le sue leggi e i suoi regolamenti. Alla fine, il potere si è impigliato nella propria burocrazia e ha perduto ogni efficacia». Uno status quo deludente, che «pochi pensano di cambiare davvero». Il grande suggeritore, aggiunge Meyssan, è la superpotenza Usa: smarcare Parigi da Washington «richiederebbe una grave crisi politica internazionale, come quella aperta nel 1966 da Charles De Gaulle quando improvvisamente espulse la Nato dalla Francia». Se ne guardano bene Hollande e Valls, che annunciano una colossare riforma per tagliare gli enti locali, dimezzare il numero delle Regioni e accorpare i piccoli Comuni.«Se tutti sono d’accordo nel considerare che questa “millefoglie” era indigesta e costosa – sostiene Meyssan – la scelta degli strati da sopprimere non corrisponde alla storia politica francese, bensì al progetto di transizione dagli Stati-nazione all’Unione Europea». Questo progetto, «instillato dagli Stati Uniti durante il Piano Marshall», sostituirebbe gli attuali Stati-nazione con delle macroregioni, trasferendo i poteri sovrani a un’entità burocratica come la Commissione Europea: l’esatto contrario del progetto gollista di regionalizzazione del 1969. «Risulta perlomeno sorprendente vedere questa riforma trattata dal primo ministro come una semplice variabile di aggiustamento economico, mentre il suo obiettivo finale è la scomparsa dello Stato francese, e quindi della Repubblica francese, a vantaggio della burocrazia di Bruxelles (Unione Europea e Nato)», scrive Meyssan. Di fatto, «il cambio di governo non risponde al voto dei francesi», ma alle mire neo-coloniali dell’industria. «Questa politica ha una sua logica: in tempi di crisi, è impossibile aumentare lo sfruttamento della classe operaia, occorre cercarsi dei super-profitti all’estero, presso popoli che non hanno i mezzi per difendersi». Così, «il sangue continua a scorrere in Siria e in Africa, mentre la povertà continuerà a espandersi in Francia».François Hollande ha ricevuto all’Eliseo Peter Hartz, l’ex consigliere del cancelliere tedesco Gerhard Schröder: «L’ex direttore del personale della Volkswagen era stato condannato a due anni di prigione per aver corrotto i sindacalisti della sua impresa pagandoli con 2,6 milioni di euro in prostitute e viaggi esotici», scrive Thierry Meyssan. «Non è precisato se il presidente Hollande desideri seguire l’esempio di Peter Hartz fino alla sua quarta riforma, che limita a tre mesi la durata delle assicurazioni contro la disoccupazione». Per Meyssan, comunque, anche l’incontro con Hartz – insieme al nuovo governo di Manuel Valls, creato con l’alibi della débacle elettorale alle comunali – testimonia la volontà dell’Eliseo di puntare su un nuovo colonialismo per facilitare le grandi aziende francesi, sull’esempio del suo “maestro” Jules Ferry, che già a fine ‘800 difese gli interessi del grande capitale francese mentre sviluppava il colonialismo, forgiando gli insegnanti perché «formassero i giovani in modo che diventassero i soldati dell’espansione coloniale e della Prima Guerra Mondiale».
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Benvenuti nel neo-feudalesimo totalitario e tecnocratico
«Se la lotta contro i banchieri, la casta, le multinazionali, vi è sempre sembrata una guerra, non avete ancora visto nulla. Quella era una scampagnata. Adesso si piange veramente». Paolo Barnard certifica l’avvento definitivo di «una politica tecnocratica che in Usa ed Europa ora mena ceffoni ai banchieri, cosa mai accaduta dal XIV secolo a oggi». Un allarme speciale: se oggi a essere colpite sono anche le banche, significa che «qualcosa di orribilmente sinistro sta accadendo all’interno del Vero Potere», cioè l’élite mondiale che non ha mai digerito lo Stato democratico moderno – quello che vive di spesa pubblica, cioè deficit per investimenti sociali – e oggi «ha fatto fuori la borghesia in tutti i paesi avanzati, ha esautorato i Parlamenti, ha abolito il diritto». Ora anche le banche sono in ginocchio, «esattamente come nei secoli dal X al XVII». Le banche, cioè gli istituti di credito che «con la mano destra servono il Vero Potere ma che con la sinistra possono acquisire troppa ricchezza, dunque potere».Da almeno 90 anni, sostiene Barnard, il Vero Potere si è semplicemente detto: «La rivoluzione borghese finanziata dalle banche, la griglia di potere superiore affidata alla democrazia e la politica elettiva non ci fotteranno mai più. Lo hanno fatto una volta, ora mai più. Vanno distrutte». Detto fatto. «Il loro progetto è un ritorno, adattato alla modernità, del potere feudale. Neofeudalesimo moderno, quindi tecnocratico». La versione aggiornata del feudalesimo medievale: non c’è posto per la democrazia, perché è il supremo potere del vertice che detta le regole, trasformate in leggi da istituzioni totalmente asservite all’élite, colonizzate dall’oligarchia planetaria. «Il Vero Potere è tornato, vestito di nuovo: è il Neofeudalesimo delle tecnocrazie internazionali», quelle che – per inciso – ora “spiegano” a Washington e Bruxelles come devono riscrivere le regole del commercio tra Usa ed Europa, col Trattato Transatlantico, a vantaggio delle grandi multinazionali e a scapito di chiunque altro – governi, cittadini e lavoratori, abbandonati a se stessi anche su temi cruciali come l’ambiente, la salute, i servizi vitali, la sicurezza alimentare.Riassume Barnard: «La Fed americana, come la Bce, non sono banche. Sono branche del governo. Ma in questi casi i governi cui appartengono – in Usa la rete neoliberista delle fondazioni e in Europa la rete neoclassica, neomercantile tedesca e neofeudale della Commissione Ue – hanno deciso da tempo che le componenti che minacciano il loro potere vanno totalmente distrutte». Nell’ordine, vanno rase al suolo «la borghesia piccolo-medio industriale, i Parlamenti col potere di legiferare, e anche le banche». L’euro? Un puro strumento di dominazione, vocato al sabotaggio dell’economia diffusa e del reddito medio. Il tutto, accettato passivamente da una sinistra inquinata, infiltrata dall’élite. Per un economista come Joseph Halevi, il piano egemonico può essere fermato solo con una forte resistenza politica. Mission impossibile: come raccomandato da Lewis Powell nel famigerato memorandum del 1971, l’oligarchia ha comodamente “comprato” i leader delle organizzazioni che avrebbero dovuto tutelare i lavoratori.«Se la lotta contro i banchieri, la casta, le multinazionali, vi è sempre sembrata una guerra, non avete ancora visto nulla. Quella era una scampagnata. Adesso si piange veramente». Paolo Barnard certifica l’avvento definitivo di «una politica tecnocratica che in Usa ed Europa ora mena ceffoni ai banchieri, cosa mai accaduta dal XIV secolo a oggi». Un allarme speciale: se oggi a essere colpite sono anche le banche, significa che «qualcosa di orribilmente sinistro sta accadendo all’interno del Vero Potere», cioè l’élite mondiale che non ha mai digerito lo Stato democratico moderno – quello che vive di spesa pubblica, cioè deficit per investimenti sociali – e oggi «ha fatto fuori la borghesia in tutti i paesi avanzati, ha esautorato i Parlamenti, ha abolito il diritto». Ora anche le banche sono in ginocchio, «esattamente come nei secoli dal X al XVII». Le banche, cioè gli istituti di credito che «con la mano destra servono il Vero Potere ma che con la sinistra possono acquisire troppa ricchezza, dunque potere».
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Frantumare il mondo: a chi serve la macchietta Renzi
Se avete visto il magnifico e sconvolgente “The wolf of Wall Street”, di quel bimbo di Andersen (“Il re è nudo”) che è Martin Scorsese, avrete compreso l’affinità antropologica tra quei cannibali e il loro sottoprodotto al mandolino, Renzi. Ma, per capire il modello che stanno mettendo in opera, conviene fare un breve elenco dei tratti fisiognomici di una classe di criminali che ha imperversato sulle Americhe e poi sul mondo dalla Mayflower in qua. Dal genocidio degli indio-americani a oggi, gli Usa hanno superato qualsiasi altro Stato della storia per numero di guerre e vittime; in media una guerra all’anno, sempre portate, mai ricevute. Dal 1945 al 2014 sono intervenuti militarmente in 90 paesi. Attualmente sono impegnati con forze speciali, Ong, quinte colonne, bombardieri e droni, colpi di Stato effettuati o tentati, sanzioni, destabilizzazioni e mercenariato surrogato, in 135 paesi.I serial-mass-killer insediati nella Casa Bianca dal 1991 hanno ammazzato 3 milioni in Iraq, 40 mila in Afghanistan, 4000 in Serbia, 100 mila in Libia, 130 mila in Siria, migliaia in Pakistan, Yemen, Somalia. Altri milioni li hanno fatti uccidere da proconsoli e ascari in Ruanda (dove si sono confrontati Francia e Usa per chi facesse scannare più hutu), Congo, Mali, Rac, Latinoamerica. E abbiamo saltato Vietnam, Corea, Centroamerica. Con il 4% della popolazione mondiale contano per il 75% dell’inquinamento globale, l’80% del traffico e consumo di stupefacenti e il 65% dell’acqua dolce del mondo è stata avvelenata dagli agro-tossici Usa. Ogni anno la polizia Usa uccide più di 5.000 persone disarmate. Con 2,5 milioni di detenuti, sono il paese con il più alto tasso di carcerazione del mondo. Lo 0,01 più ricco possiede il 23% della ricchezza nazionale, il 90% più povero il 4%. La loro teoria economica chiamata “crisi” ha procurato al 3% un più 75% di ricchezza, alle multinazionali più 171%.Una macchina da devastazione, saccheggio, terrorismo e morte che, nel nostro paese, ha espettorato una serie di zombie addestrati a tirarsi uova marce di giorno e banchettare insieme di notte, come dal ‘700, sotto varie denominazioni, partito repubblicano e partito democratico nordamericani insegnano. E, come in ogni teatro di marionette che si rispetti, i pupi si scambiano i ruoli, a seconda delle temperie e delle urgenze di “cambiamento” e “innovazionie”, da Bertinotti a Renzi, da Occhetto a Letta, da Berlusconi ai fascisti dichiarati. Di questo avvicendarsi di parti in commedia oggi vediamo l’espressione più chiara, del tutto de-mimetizzata: il blob che si definisce centrosinistra, socialdemocrazia, rappresentante di classe operaia e ceti popolari, mette in campo un manipolo di trucidi e sciacquette che soffiano al finto avversario il modello Chiesa-Wall Street-Pentagono-mafia; gli altri, mutati da grassatori, puttanieri, ladri, in “moderati”, saltano il fosso e si pretendono a fianco di operai, ceti medi scarnificati, euroschifati e perfino Putin.Di tutto questo l’incarnazione più lineare è il capobastone del Colle, transitato dagli inni ai carri sovietici di Budapest a quelli agli F-35 Usa. E’ vero che il sangue nelle vene di costoro, se non intorbidito, si deve essere un bel po’ diluito, se riusciamo a resistere in poltrona davanti a certi vaudeville, oltre a tutto sempre più Grand Guignol. Con, per opposizione, solo una ruspa truccata da tanko di chi si vorrebbe fare lo stesso spettacolo tutto da solo. Lo stupefacente e agghiacciante fatto che un saltimbanco, incolto e abissalmente ignorante, spargitore di fuffa tossica, manifestamente imbroglione e bugiardo al solo sguardo volpino da pusher, al solo arricciarsi della boccuccia a culo di gallina, possa aver affascinato, interessato, anche solo incuriosito, questi vasti pezzi di società italiana (fuori se la ridono), è la dimostrazione di cosa ci hanno fatto vent’anni di vaudeville berlusconiana, con la stuoina “centrosinistra” a fargli strofinare le scarpe.Il volgare e mediocre Stenterello schiamazzone, accademico ineguagliato di populismo, restauratore mascherato da rottamatore, confezionato con un tweet di Bilderberg e carburato da euro-merda e cianuro, ha fatto meglio in pochi mesi di Andreotti in quarant’anni. Si permette di definirsi rullo compressore e, pur essendo di cartone, l’ignavia di massa gli consente di fare il lavoro dello schiacciasassi che tutto asfalta e sotto cui niente vive. Assimilata la pseudo-opposizione parlamentare sindacale e mediatica, quella residua delle istituzioni e dell’intelletto è considerata stravaganza di comici e, insistendo in piazza, eversione e terrorismo (vedi No Tav o No Muos). Nessun Mussolini, nessun Hitler e nemmeno i falsari elettorali delle democrazie borghesi avrebbero avuto la protervia di presentarci una legge elettorale così spudoratamente da roulette truccata con la calamita sotto. Una legge che vieta agli elettori di scegliere i loro rappresentanti, che, escludendo da ogni voce in capitolo milionate di cittadini, dà, alla tibetana, potere di vita e di morte sui sudditi a chi arriva al 20% del 50% di italiani che votano.Neanche la Gorgone Fornero, del rettilario bancario, avrebbe osato sognare la socialdemocratica riduzione in panico e schiavitù delle generazioni presenti e a venire, grazie ai 36 mesi a tempo determinato, a zompi intervallati di 4 mesi, dopodiché fuori dalle palle e sotto un altro. Infine, per elevare l’indispensabile tasso di criminalità, il bellimbusto pitocco fa passare una legge sulla custodia cautelare che esime dal gabbio quelli che, forse, si beccherebbero fino a 4 anni, cioè in prima fila i compari elettori e finanziatori dai colletti bianchi. Dopo l’avvenuta evirazione dei Comuni, abolizione delle provincie per collocare negli enti sostitutivi altri 30 mila clienti, come dimostrato dai Cinque Stelle, ma soprattutto per togliere di mezzo gli organismi intermedi di rappresentanza, potenzialmente più vicini al territorio e più distanti dalle cosche apicali. Obliterazione, grazie allo tsunami propagandistico dei “costi della politica”, di quell’istanza d’appello e di controllo che è il Senato. La sua scomparsa, per risparmiare, dicono, 300 milioni (fatti passare per 1 miliardo) ci costerà quanto costò alle libertà romane, nel passaggio dalla Repubblica al Principato, il Senato trasformato in innocua camera di compensazione di latifondisti e usurai. Riduzione delle pene per il voto di scambio, per chi si fa comprare – e obbligare – dai voti procurati dall’altra criminalità, a conferma dell’unità di gestione aziendale di Stato e mafia.Mascherine da festa cotillon che si agitano ai piani bassi dei palazzi dove, in alto, si scatenano i lupi mannari di Wall Street. Rispetto a quella realizzata nel ‘22, la loro dittatura in fieri parrebbe l’avanspettacolo di Bonolis a fronte di una tragedia di Euripide. Ma le cose stanno molto peggio. Rispetto ai triumviri e federali di Mussolini, ai gauleiter e feldmarescialli di Hitler, fenomeno assediato dal resto del mondo, questi sono i tentacoli di una piovra gigante che abbranca mezzo emisfero, tre quarti di tutte le bombe atomiche, mezzo patrimonio produttivo e finanziario, le tecnologie di controllo e soppressione più avanzate e la complicità del più potente istituto per la manipolazione religiosa di coscienze di tutti i tempi. A proposito di quest’ultimo, capeggiato oggi dal quasi-santo Francesco, a strappare i veli dall’umile buonismo esibito da costui basta la pronuncia della gerarchia cattolica del Venezuela, capeggiata dal nunzio nominato dal papa, Parolin, avverso al “despota” Maduro, e a sostegno delle bande di terroristi scatenati dalla Cia contro la nazione bolivariana. Oscenità imperialista che si affianca alla nomina a consigliere del papa di Oscar Maradiaga, primate dell’Honduras e complice di quei golpisti che proseguono nella strage di oppositori, contadini e indigeni. Fin dal suo primo “buonasera”, si sarebbe dovuto capire che il Bergoglio silente tra i generali argentini sarebbe stato l’anti-Chavez dell’America Latina.Del rilievo dato al burattino italiota dalla strategia del Nuovo Ordine Mondiale sono stati testimoni gli augusti visitatori che si sono precipitati a Roma a completare l’agenda che a Renzi era stata commissionata nei giri per Londra, Berlino, Bruxelles e Parigi. Per Obama, d’intesa con il proconsole sul Colle, è stata la consueta intimazione-consacrazione del vassallo di turno. Per la regina Elisabetta è stato il rinnovo del patto tra classe dirigente italiana e la secolare loggia Rothschild-Windsor, sancito nel 1992 in forma definitiva sul suo yacht “Britannia”, quando emissari come Soros, Draghi, Andreatta e bancari vari, concordarono con Ciampi e poi Amato e Prodi la privatizzazione dell’Italia e la sua riduzione a piattaforma mediterranea di guerre d’aggressione e a hub del traffico di energia e stupefacenti, terra di rapina per multinazionali perfezionata nel Ttip, “Partneriato Transatlantico per Commercio e Investimenti”.Prima mossa domestica, capitoletto dell’ordine di servizio imperiale eseguito in Ucraina, Venezuela, Iran, Siria, non i soli F-35, ma la messa fuori gioco di Paolo Scaroni, ad dell’Eni. Non si tratta di compiangere un lestofante, con stipendio milionario, che s’è aperto la strada verso giacimenti e rotte petroliferi in tutto il mondo a forza di creste e tangenti. Così fan tutte ed è la condizione in questo mondo di merda per assicurare al tuo paese rifornimenti energetici. Specie se di fornitori incorrotti ne hai solo uno, il Venezuela e quell’altro onesto, la Libia, l’hai regalato ai terroristi Al Qaida. E per farcene prevedere la detronizzazione basterebbe la corifea delle banche (“basta col contante, tutto per via bancaria”), Milena Gabanelli, con la sua ossessiva denuncia delle malefatte del capo dell’Eni, in “profonda sintonia” con l’avversione al tipo da parte di governanti e petrolieri angloamericani, per le libertà che si prendeva nel saltare, insieme a russi, iraniani, africani e centroasiatici, i tubi del petrolio e del gas sotto controllo Usa. Per molto meno Enrico Mattei e Giorgio Mazzanti furono fatti fuori, uno per attentato, l’altro per scandalo.Sette sorelle, vecchie, ma sempre arrapate. In un sistema in cui i petrolieri texani devono tenere in mano il rubinetto dell’energia e neutralizzare, come predica Brzezinski, demonio all’orecchio di Obama, Bush, Clinton, Reagan e Nixon, la fisiologica tentazione europea verso l’orizzonte euroasiatico, uno come Scaroni risulta incompatibile. Ci vogliono, come per la Jugoslavia, quinte colonne imperiali che contribuiscano alla debolezza e subalternità del proprio continente e dei suoi singoli Stati. Renzi è perfetto. Il frenetico tour di Obama tra i valvassori europei e partner del Golfo va visto in sinergia con le mattanze in atto in Afghanistan, avamposto asiatico anti-russo, il caos creativo del terrorismo nel Pakistan nucleare, le stragi da droni in Somalia e Yemen, capisaldi geostrategici non normalizzati, lo sminuzzamento della Siria antisraeliana, come prima della Libia, le spedizioni degli ascari francesi nel Sahel dell’uranio e del petrolio, lo spolpamento dell’Ucraina dagli enormi terreni da assegnare alle multinazionali del cibo e dell’agrocombustibile e dei missili da piazzare sui piedi di Putin, lo scatenamento del naziterrorismo contro il Venezuela bolivariano.E’ in gioco una dittatura mondiale, fatta gestire agli Usa con stampelle anglosassoni che, attraverso il controllo del rubinetto dell’energia, regoli i rapporti di forza globali. Il Pakistan e l’Iran non devono realizzare l’oleodotto che li unirebbe. Iran, Iraq e Siria non si sognino di approvvigionare, con una nuova pipeline, l’Europa. Russia ed Europa non devono collegarsi tramite i due tubi “North Stream” e “South Stream”. Il Venezuela la deve smettere di assicurare a basso prezzo e con notevoli ricadute politiche e sociali i paesi poveri dell’area e, magari, domani l’Europa. I recentemente scoperti enormi giacimenti di gas nel bacino est del Mediterraneo devono essere sottratti a titolari come Siria, Libano, Gaza, Egitto (apposta paralizzati da costanti fibrillazioni indotte) e Cipro e messi tutti sotto controllo israeliano. Ovunque, in questi fastidi recati a “Big Oil”, c’è stata anche lo zampino dell’Eni di Scaroni (“Senza il gas russo siamo nei guai”). Tutti i percorsi indicati lacerano per il lungo e per il largo la rete sotto controllo anglo-franco-statunitense, solleticano l’insubordinazione dell’America Latina, legano Europa ai detestati Russia e Iran, garantiscono i rifornimenti alla secca Cina.Fratturare il mondo? Lo strumento si chiama scisti. Il metodo per estrarli dal sottosuolo, “fracking”, fratturazione idraulica. L’esito, la destabilizzazione del pianeta dalle profondità alla superficie, l’inquinamento delle falde e dei terreni attraverso l’immissione forzata di enormi quantità d’acqua mista a sostanze chimiche tossiche che spaccano la roccia e liberano le riserve fossili. E, come sperano, la graduale riduzione dei flussi dagli Stati indipendenti, sostituiti dal gas liquefatto che dai destinatari deve poi essere rigassificato. Costi di gran lunga superiori all’estrazione dai giacimenti e perfino alle energie rinnovabili (quelle che i petrolieri raccomandano a Sgarbi di demonizzare) e, perciò, uso della potenza militare, di cecchini nazisti, tagliagole jihadisti e vicerè obbedienti, per imporne l’inconveniente adozione.Il commercio tra Europa e Russia è 10 volte quello tra Europa e Usa. L’Europa orientale trae un terzo della sua energia dalla Russia e una bella fetta dall’Iran. L’Italia quasi metà, con il resto che arriva dall’Algeria, anche per questo in costante guerra di bassa intensità con le armate di complemento jihadiste, non più dalla Libia, e da fonti minori. Berlino ha 6.000 aziende operanti in Russia. Unica a far valere questa situazione è la Germania, che tenta una resistenza sia alle sanzioni a Mosca, sia alla deriva nazista dell’Ucraina favorita dagli Usa (il suo candidato al governo di Kiev era il “moderato” Klitschko, “fottuto”, nelle sue stesse parole, dalla sottosegretaria Usa, Nuland, con il candidato amerikano Jatseniuk). Renzianamente, Obama (vengono tutti dalla stessa caverna) ha promesso a noi e agli altri bischeri europei tanto gas dai suoi scisti da farci rinunciare a quello finora preso dalla Russia. E’ vero che le riserve nordamericane sembrano vaste e sono già fratturate da migliaia di trivelle (con altrettante rivolte della popolazione locale).Ma, se l’Europa ha un po’ di rigassificatori per il gas liquefatto negli Usa, questo paese non dispone neanche di un solo liquefattore. Nella migliore delle ipotesi il gas da scisti arriverà in Europa fra quattro anni, convogliato dal primo liquefattore costruito, capace di spedirci la miseria di 4 miliardi di Bcf di gas al giorno. Basta appena per il Belgio. E ricordiamo: il fracking per scisti incastrati tra rocce da far esplodere, e che dovrà col Ttip essere imposto a un’Europa che già si è dichiarata disponibile e ha iniziato a spaccare il sottosuolo (anche in Italia), sarà costosissimo e quindi provocherà ribellioni tra i consumatori. Sconvolge la pancia della Terra con l’immissione forzata di gigantesche quantità d’acqua – in prospettiva della guerra dell’acqua che si sta per scatenare in tutto il pianeta – e conseguente rottura verticale e orizzontale di ciò che stabilizza i nostri piedi e le nostre case. Scarseggerà l’acqua per bere, per irrigare, per tutto, e conflitti e mega-migrazioni sconvolgeranno quel che resta della stabilità globale.(Fulvio Grimaldi, estratti dall’intervento “Il fracking di Renzi e quello di Obama”, dal blog di Grimaldi dell’8 aprile 2014).Se avete visto il magnifico e sconvolgente “The wolf of Wall Street”, di quel bimbo di Andersen (“Il re è nudo”) che è Martin Scorsese, avrete compreso l’affinità antropologica tra quei cannibali e il loro sottoprodotto al mandolino, Renzi. Ma, per capire il modello che stanno mettendo in opera, conviene fare un breve elenco dei tratti fisiognomici di una classe di criminali che ha imperversato sulle Americhe e poi sul mondo dalla Mayflower in qua. Dal genocidio degli indio-americani a oggi, gli Usa hanno superato qualsiasi altro Stato della storia per numero di guerre e vittime; in media una guerra all’anno, sempre portate, mai ricevute. Dal 1945 al 2014 sono intervenuti militarmente in 90 paesi. Attualmente sono impegnati con forze speciali, Ong, quinte colonne, bombardieri e droni, colpi di Stato effettuati o tentati, sanzioni, destabilizzazioni e mercenariato surrogato, in 135 paesi.
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Perché i russi amano Putin? Scoprirlo è molto istruttivo
Pare che i russi siano proprio innamorati di Vladimir Putin. Non tutti, certo, ma una enorme maggioranza. L’ultimo sondaggio dell’istituto Vciom-Levada, considerato il più affidabile del paese, accredita al leader del Cremlino un indice di popolarità del 76 per cento (per la precisione il 75,7). Sì dirà che il dato è falsato dai fatti della Crimea, ma nel maggio del 2012 era il 68,8 per cento a sostenere Putin, e mediamente negli ultimi 13 anni questo dato si è mantenuto sempre più o meno stabile, un po’ sopra al 60 per cento. In questi giorni, poi, come mai prima, arrivano molte telefonate di amici russi che proprio non riescono a spiegarsi l’atteggiamento dei paesi occidentali verso il loro leader e, dunque, semplificando, verso di loro. Chi pensa che sia facile dare una spiegazione convincente, sbaglia di grosso. Perché per spiegare ci vogliono le parole, e le parole hanno un significato molto diverso quando le dici a Roma o a Mosca.Democrazia? Per i russi normali, soprattutto nella periferia del paese, spesso è una parolaccia. La nuova borghesia? Sulle rive della Moscova la parola suona dispregiativa. La prepotenza del regime contro un оligarca democratico come Khodorkovskij che voleva sfidare Putin alle urne? Per moltissimi sotto le mura del Cremlino è il minimo sindacale di un atto di giustizia contro i tanti oligarchi arricchiti e non sazi di soldi e di potere. Ucraina, Crimea, prezzo del gas… una continua commedia degli equivoci che rende impossibile capirsi. E tutto comincia nei “terribili” anni Novanta. La notte del 25 dicembre 1991 i russi non riuscirono a dormire. Il giorno prima erano cittadini di un paese, l’Unione Sovietica; da quel momento, non lo erano più. Fu uno shock. Milioni di persone di nazionalità russa si ritrovarono, abbandonati dalla Madrepatria, cittadini di paesi che non li volevano e che spesso, come è accaduto nelle Repubbliche baltiche, negavano loro i diritti minimi della cittadinanza. Ma non c’era tempo, né forza per occuparsene.Presto le cose cominciarono ad andare peggio di quanto mai si sarebbe potuto immaginare. Arrivò la politica del Fondo monetario e degli Harvard Boys, introdotta dal governo di Boris Eltsin: liberalizzazione e privatizzazione. Fu chiamata “terapia shock”. Uno shock sullo shock. La promessa era che alla fine del tunnel ci sarebbe stato un paese finalmente libero, democratico e benestante. I russi si fidavano, erano pronti ai sacrifici. Pensavano che l’Occidente, essendo stato capace di offrire benessere, democrazia e giustizia a casa propria, lo avrebbe fatto anche da loro. La fiducia crollò lentamente, ma inesorabilmente, sotto i colpi della realtà. Sotto gli occhi impotenti della gente, per il bene del paese, le aziende cominciarono ad essere vendute per un prezzo vicino allo zero, tra l’1,5 e il 2 per cento del loro valore. In tutto, lo Stato realizzò dall’operazione circa il 10 per cento del valore effettivo, beni mobili e immobili inclusi.Alle persone normali fu dato un pezzo di carta, si chiamava voucher, che era l’equivalente della quota a cui avevano diritto. Valevano 10 mila rubli. Natalja Fjodorovna, l’anziana mamma di una mia cara amica, fu la prima a pronunciare quella che credevo fosse una battuta: «Muzhiki prodadut za butilku», gli uomini lo venderanno per una bottiglia. Ci volle poco a capire che non era una boutade. I voucher si vendevano agli angoli delle strade per una vodka, tremila rubli. Come scrive Naomi Klein nel suo “Shock Economy”, «nel 1998, oltre l’80% delle aziende agricole erano in bancarotta, e circa 70 mila fabbriche statali avevano chiuso i battenti, generando un’epidemia di disoccupazione». E «74 milioni di russi vivevano sotto la soglia di povertà, secondo la Banca Mondiale». Lavoro non ce n’era nel modo più assoluto. I ragazzi sognavano di fuggire e chiedevano i computer, le pensioni arrivavano in ritardo, gli stipendi non arrivavano più; medici, insegnanti, professori, chi poteva cercava un lavoretto all’estero.Le file nei negozi erano scomparse, come i soldi per comprare. Ovunque fiorivano tetri negozietti temporanei dove si pagava direttamente in dollari. Gli ospedali non davano più neanche le lenzuola. La criminalità fioriva, al punto che era diventato rischioso girare di notte anche in una città come Mosca. Nel frattempo, tutti i soldi della Russia erano passati nella tasche di pochi intraprendenti, che diventarono miliardari e potenti, i cosiddetti oligarchi. A proposito di Khodorkhovskij, quando fu arrestato, nel 2003, era il padrone della Yukos, il terzo colosso petrolifero del paese, e l’aveva acquistata partecipando ad un’asta, sebbene fosse stato proprietario della banca Menatep che quell’asta aveva gestito. In pratica, come spiegò poi il responsabile del programma di privatizzazione Alfred Kokh, aveva comprato la Yukos con i soldi della Yukos. Ottenne il 77 per cento delle azioni con 309 milioni di dollari. E poiché il valore reale si aggirava intorno ai 30 miliardi, entrò direttamente a far parte degli uomini più ricchi del mondo (“Forbes”).Così la vedono i russi. Che hanno ritrovato un po’ di fiducia il giorno in cui è arrivato Putin e ha ripreso in mano, nel bene e nel male, il paese. Questo dice Natalia Fjodorovna, che ha avuto una vita lunga e difficile, e partorì il suo primo figlio su un treno mentre fuggiva non sapeva dove coi nazisti alle calcagna. Ogni russo ha una storia incredibile da raccontare, una storia che – proprio come ha dimostrato Emmanuel Carrère con “Limonov” – vale un romanzo. Loro sì che possono spiegarci perché non si è ancora formata una vera borghesia in Russia. Ma per favore, almeno a Mosca, non chiamatela così.(Fiammetta Cucurnia, “Come si spiega il consenso russo per Putin”, da “Il Venerdì di Repubblica” dell’11 aprile 2014, ripreso da “Megachip”).Pare che i russi siano proprio innamorati di Vladimir Putin. Non tutti, certo, ma una enorme maggioranza. L’ultimo sondaggio dell’istituto Vciom-Levada, considerato il più affidabile del paese, accredita al leader del Cremlino un indice di popolarità del 76 per cento (per la precisione il 75,7). Sì dirà che il dato è falsato dai fatti della Crimea, ma nel maggio del 2012 era il 68,8 per cento a sostenere Putin, e mediamente negli ultimi 13 anni questo dato si è mantenuto sempre più o meno stabile, un po’ sopra al 60 per cento. In questi giorni, poi, come mai prima, arrivano molte telefonate di amici russi che proprio non riescono a spiegarsi l’atteggiamento dei paesi occidentali verso il loro leader e, dunque, semplificando, verso di loro. Chi pensa che sia facile dare una spiegazione convincente, sbaglia di grosso. Perché per spiegare ci vogliono le parole, e le parole hanno un significato molto diverso quando le dici a Roma o a Mosca.
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Dopo Marx, sarà l’ex terzo mondo a sfidare l’élite
“Lavoratori di tutto il mondo unitevi”, recita l’iscrizione sulla tomba di Karl Marx nel cimitero di Highgate a Londra. Di sicuro la storia non è andata proprio in questo modo. Per quanto rumore “Occupy Wall Street” sia riuscito a generare in pochi mesi, ora il silenzio è assordante. Infatti, mentre le multinazionali si mangiavano il potere contrattuale dei lavoratori, gli operai del mondo ricco sono diventati meno inclini ad aiutare i loro compagni salariati dei paesi poveri. Ma c’è una scuola di pensiero che immagina il ritorno di una politica di classe globale. Se così fosse, dice Charles Kenny, le élite dovrebbero iniziare a tremare. Un nuovo spettro si aggira per il mondo, inquietando l’1% dei super-ricchi? Forse sì: ed è «l’attivismo della classe media». A una condizione, ovviamente: che non cessi la crescita dei Brics e dell’ex terzo mondo. In quel caso, un nuova mid-class globale potrebbe rivendicare i suoi (nuovi) diritti, sfidando l’attuale strapotere dell’élite.Nel blog “Foreign Policy”, Kenny ricorre alla rivisitazione del marxismo: «Nella sua lotta di classe, Marx vide una logica apocalittica. E la battaglia della grande massa contro la piccola plutocrazia aveva una conclusione inevitabile: lavoratori 1, ricchi 0». Marx pensava che l’impulso rivoluzionario proletario fosse soprattutto globale, che le classi lavoratrici sarebbero state unite in tutto il mondo dalla loro comune esperienza di povertà devastante e dall’alienazione della vita in fabbrica. Ragionevole, per l’epoca. Secondo Branko Milanovic, economista della Banca Mondiale, quando nel 1848 fu scritto il “Manifesto” comunista la maggior parte della disuguaglianza del reddito a livello globale dipendeva dalla differenza fra classi su base nazionale. Sebbene alcuni paesi fossero più ricchi di altri, il reddito che poteva rendere un uomo ricco o confinarlo alla povertà in Inghilterra si sarebbe tradotto nella stessa cosa in Francia, negli Stati Uniti e persino in Argentina.Ma, mentre la Rivoluzione Industriale prendeva piede, quella parità mutava drammaticamente durante il secolo successivo: una ragione per la quale la predizione di Marx circa una rivoluzione proletaria globale si rivelò errata. Solo pochi anni dopo la pubblicazione del “Manifesto”, i salari dei lavoratori cominciarono a crescere in Inghilterra. La tendenza proseguì nel resto d’Europa e in Nord America, mentre divennero abissali le differenze col resto del mondo: «Centoquarant’anni fa l’africano medio era ricco un quinto del suo compagno inglese. Oggi, vale meno di un decimo». Mentre l’Occidente decollava verso una crescita continua, scrive Kenny in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”, le differenze di reddito fra paesi sovrastavano il divario di reddito all’interno dei paesi stessi. Ovvero: «Una segretaria a tempo determinato nell’Est di Londra può ancora avere difficoltà ad arrivare alla fine del mese, ma se la mandi a Lagos potrà vivere come una regina». Lo stesso Milanovic stima che il reddito medio del 5% più ricco dell’India equivale a quello del 5% più povero degli Usa.I lavoratori municipali di più basso grado in Europa e negli Stati Uniti sono ben più ricchi dei loro omologhi nei paesi poveri in via di sviluppo, e stanno comunque meglio della gran parte degli occupati in quei paesi. Vero, la povera gente in Europa e in America fa parte dell’élite reddituale, secondo gli standard del Sud Asia o dell’Africa. Questo perché «i lavoratori di tutto il mondo non si sono ancora uniti», conclude Kenny. Nel 1920, l’Internazionale Comunista condannò il “tradimento” di molti socialisti europei e americani durante la Prima Guerra Mondiale, quando difesero la madrepatria per camuffare il “diritto” della loro borghesia di schiavizzare le colonie. Per i comunisti, la diffidenza generata nel resto del mondo poteva essere sradicata solo abbattendo l’imperialismo nei paesi avanzati e riscattando l’economia del terzo mondo. Oggi, il colonialismo si chiama globalizzazione. Ma secondo Kenny «è ancora un processo in fase di cambiamento», perché «a mano a mano che i mercati globali diventano sempre più interconnessi, i redditi medi convergono». Dati alla mano, «gli ultimi dieci anni hanno visto i paesi in via di sviluppo crescere molto più rapidamente dei paesi ad alto reddito, diminuendo la differenza fra redditi medi».Un altro economista, Arvind Subramanian, prevede che la Cina nel 2030 sarà ricca come l’intera Unione Europea oggi. E lo stesso Brasile non sarà molto indietro, attestandosi a un Pil pro-capite di 31.000 dollari, seguito a breve distanza da paesi come l’Indonesia e la Corea del Sud. «Semplicemente – annota Kenny – questo significa che, nello spazio di una generazione al massimo, una buona porzione del mondo sarà presto ricca, o come minimo solidamente classe media». Secondo le previsioni sviluppate in collaborazione con Sarah Dykstra di “Global Development”, Kenny rileva che circa il 16% della popolazione della Terra vive in paesi tanto ricchi da poter essere considerati dalla Banca Mondiale “ad alto reddito”. Se i tassi di crescita continueranno come nella decade passata, il 41% della popolazione mondiale si troverà entro il 2030 nella fascia “ad alto reddito”. «Quindi, se i paesi in via di sviluppo continueranno a crescere al ritmo che abbiamo visto di recente, la disuguaglianza fra nazioni si ridurrà, e la disuguaglianza all’interno delle nazioni tornerà la componente dominante della disuguaglianza globale».Ciò significa che Marx aveva ragione, con due secoli di anticipo? «Non esattamente», sostiene Kenny. «La realtà è che questa nuova classe media avrà una vita che la classe lavoratrice dell’era vittoriana poteva solo sognare. Lavoreranno in negozi e uffici illuminati da led piuttosto che in oscure e infernali fabbriche. E vivranno quasi 40 anni più a lungo della persona media nel 1848, secondo l’aspettativa di vita alla nascita». Ma la vera domanda è: condivideranno la causa con i loro compagni operai che sono ad un oceano di distanza? «Forse, ma non perchè le barricate sono l’unica opzione praticabile. Marx ha predetto che la classe lavoratrice globale si sarebbe unita e ribellata perché ovunque i salari sarebbero stati portati a livelli di sussistenza. Ma, a mano a mano che i salari crescono e si livellano in tutto il mondo, la brutta situazione del proletariato – lavoro duro, paga bassa – oggi più che mai significa lavoro più semplice e paga migliore».Solo in Cina, questo sviluppo sta portando centinaia di milioni di persone fuori dalla povertà. «Proprio perché il ricco e il povero di Lagos e di Londra si somiglieranno, sarà più probabile nel 2030 un’unione dei lavoratori di tutto il mondo». Mentre la tecnologia e il commercio livellano il campo di gioco e uniscono l’umanità, i previsti 3,5 miliardi di lavoratori nel mondo potranno capire quanto hanno in comune rispetto alle super-ricche élite dei propri paesi. Secondo Kenny, i nuovi esponenti della mid-class mondiale «faranno pressioni sui governi per collaborare al fine di assicurare che il loro sudore e il loro sangue non arricchiscano troppo una piccola globale élite capitalista, ma siano diffusi più largamente». E magari «lavoreranno per fermare i paradisi fiscali dove i plutocrati del mondo nascondono i loro guadagni, e sosterranno i trattati per prevenire le corse al ribasso sui diritti del lavoro e nelle politiche fiscali pensate e stilate per attrarre le compagnie». Uno stile di vita globale, non solo per i più ricchi. Rivoluzione in vista? «La prossima decade – profetizza Kenny – non vedrà tanto la povertà disperata affrontare la plutocrazia, quanto la classe media riprendersi quanto le spetta».“Lavoratori di tutto il mondo unitevi”, recita l’iscrizione sulla tomba di Karl Marx nel cimitero di Highgate a Londra. Di sicuro la storia non è andata proprio in questo modo. Per quanto rumore “Occupy Wall Street” sia riuscito a generare in pochi mesi, ora il silenzio è assordante. Infatti, mentre le multinazionali si mangiavano il potere contrattuale dei lavoratori, gli operai del mondo ricco sono diventati meno inclini ad aiutare i loro compagni salariati dei paesi poveri. Ma c’è una scuola di pensiero che immagina il ritorno di una politica di classe globale. Se così fosse, dice Charles Kenny, le élite dovrebbero iniziare a tremare. Un nuovo spettro si aggira per il mondo, inquietando l’1% dei super-ricchi? Forse sì: ed è «l’attivismo della classe media». A una condizione, ovviamente: che non cessi la crescita dei Brics e dell’ex terzo mondo. In quel caso, un nuova mid-class globale potrebbe rivendicare i suoi (nuovi) diritti, sfidando l’attuale strapotere dell’élite.
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Sapelli: via tutti, l’Italia si salva solo con una rivoluzione
«Fino al 1450 eravamo l’economia più florida del mondo. Poi abbiamo conosciuto la crisi del ‘600. Perché i figli della borghesia comunale hanno lasciato le città e sono andati a vivere in villa come nobili: quando si guadagnano troppi soldi, non si risponde più a se stessi». Secondo il professor Giulio Sapelli, per l’Italia «forse non c’è più speranza. «A forza di imporre l’ortodossia monetarista e deflazionista, i tedeschi stanno facendo dell’Europa un deserto». Italia addio: «Questa è una nazione ricca, con un grande risparmio. E la cultura. Ma i risparmi si stanno erodendo. E tra 20 anni, forse, saremo un paese desertificato». Come uscirne? Licenziare immediatamente l’attuale classe dirigente, e puntare a una svolta radicale, «socialista e rivoluzionaria», per dire no alla politica della Troika di Bruxelles.Per l’economista che ha conosciuto l’Italia di Olivetti, la grande e la media impresa, le cooperative e i distretti, scrive Giovanna Faggionato su “Lettera 43”, la crisi di oggi è il frutto di un male antico: la persistenza di una classe dirigente che ci condanna alla sudditanza estera. Così, mentre la Commissione Europea certifica che siamo il paese in cui «la situazione sociale si è deteriorata maggiormente», e in cui una quota consistente di occupati non riesce più ad arrivare a fine mese, lo studioso non si dà pace. E si chiede come il Parlamento Ue abbia potuto firmare il Fiscal Compact. Risposta: «Le nostre classi dirigenti cercano approvazione, legami e inserimento nella finanza internazionale. Lo ha fatto Romano Prodi. E poi Mario Monti. E ora anche Enrico Letta punta alle cariche all’estero». Quindi non fanno gli interessi italiani? «Monti ha fatto gli interessi di chi lo ha sempre sostenuto, cioè le istituzioni finanziarie». Draghi? «Lui viene da Goldman Sachs, dalla scuola americana. E prova a fare la politica Usa».La Germania, aggiunge Sapelli nell’intervista, «ci vuole fare morire di deflazione». Meglio gli Stati Uniti, perché a loro «in questo momento serve un’Europa forte». E’ vero, sono proiettati verso il Pacifico perché «preparano la guerra che verrà con la Cina», ma hanno bisogno di avere le spalle coperte, cioè un’economia europea in salute. «Stiamo trattando un accordo di libero scambio transatlantico: possiamo negoziare», dice Sapelli. «E comunque, meglio gli Stati Uniti del dominio tedesco», a cui Draghi “non osa” opporsi. Andiamo verso un crack come quello argentino del decennio scorso? «Dell’Argentina stiamo iniziando a copiare i leader peronisti», a comiciare da Renzi. «Abbiamo avuto due sole “rivoluzioni” generazionali in Italia. Una l’ha fatta Benito Mussolini ed era il fascismo. E l’altra è stata il ‘68. Basta guardare come sono finite». Spiragli? «Avete votato il Pd, Berlusconi…». E cosa bisogna votare, Grillo? «Nessuno. Bisogna rifondare un partito socialista, rivoluzionario. Come Syriza, in Grecia. Che non vuole uscire dall’Europa, ma rinegoziare il debito».«Fino al 1450 eravamo l’economia più florida del mondo. Poi abbiamo conosciuto la crisi del ‘600. Perché i figli della borghesia comunale hanno lasciato le città e sono andati a vivere in villa come nobili: quando si guadagnano troppi soldi, non si risponde più a se stessi». Secondo il professor Giulio Sapelli, per l’Italia «forse non c’è più speranza. «A forza di imporre l’ortodossia monetarista e deflazionista, i tedeschi stanno facendo dell’Europa un deserto». Italia addio: «Questa è una nazione ricca, con un grande risparmio. E la cultura. Ma i risparmi si stanno erodendo. E tra 20 anni, forse, saremo un paese desertificato». Come uscirne? Licenziare immediatamente l’attuale classe dirigente, e puntare a una svolta radicale, «socialista e rivoluzionaria», per dire no alla politica della Troika di Bruxelles.
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Figli di un’Italia fallita: la ferocia liberatoria di Virzì
Negli anni della sedicente rinascita della commedia (i Brizzi, i Genovese, i Miniero, i Bruno), finalmente un film italiano riprende lo spirito originario della commedia all’italiana – quella ferocia autodiretta e quella disperazione che segnarono (con “Il sorpasso” e “Io la conoscevo bene” da una parte dello spettro temporale, e “Un borghese piccolo piccolo” e “La terrazza” dall’altra) una specie di controstoria morale del nostro paese: un’Italia che si disfece del fascismo solo di facciata per reindossarlo immediatamente sotto la maschera della Democrazia Cristiana, diede vita a una borghesia immorale e moralista, si fece vanto del peggior familismo premoderno, e in nome dell’illusione perenne di diventare una nazione adulta si tramutò invece nella patria di un rovinoso infantilismo. Un paese che uccise i più giovani e i più innocenti – una Adriana Astarelli di “Io la conoscevo bene” o un Roberto Mariani del “Sorpasso” – e lasciò sopravvivere chi aveva perduto qualsiasi anima.Nel “Capitale umano” di Paolo Virzì la vittima sacrificale è un cameriere che tornando in bici su una strada notturna dopo un ricevimento viene investito da un fuoristrada guidato da non si sa chi. Da qui parte un thriller lento, semplice ma senza sbavature, che racconta le due famiglie di una Brianza immaginaria da cui la sera dopo l’incidente la polizia busserà alla porta per capire cosa è successo: quella dei ricchissimi Giovanni (Fabrizio Gifuni) e Carla (Valeria Bruni Tedeschi) Bernaschi e di loro figlio Massimiliano (Guglielmo Pinelli); e quella medioborghese dell’immobiliarista parvenu Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) della sua compagna psicologa Roberta Morelli (Valeria Golino) e della figlia di lui, Serena (Matilde Gioli).Tenuto su da una regia mai leziosa nonostante un uso continuo di dolly e carrelli e di un montaggio quasi a incastro perché funzionale a una sceneggiatura in quattro capitoli di cui i primi tre raccontano, con sovrapposizioni e giochi di specchio, la storia da tre punti di vista diversi (quello di Dino, quello di Carla e quello di Serena), “Il capitale umano” sembra veramente un film alla lettera eccezionale, un film non italiano verrebbe da dire, o anti-italiano; complice forse la fotografia cupissima dei francesi Jérôme Alméras e Simon Beuflis, e la possibilità data agli attori di recitare secondo una tecnica e uno scopo e non secondo una maniera: Gifuni tira fuori il suo mestiere teatrale (gli accenti gaddiani rimodulati in un ominicchio brianzolo, le mosse elettriche di una psiche implosa) nel dar vita al glaciale Bernaschi, Bentivoglio dà sfogo alla sua vena comica sordiana senza tema di dover dare una tridimensionalità inutile a uno zanni meschinissimo, Bruni Tedeschi usa una specie di understatement inquietante con cui può permettersi di scivolare su qualunque emozione, e Golino è straordinaria nel far leva, unica del gruppo, su un codice naturalistico, proprio per dar corpo al solo personaggio adulto ancora dotato di un cuore. (Meno efficace, ma perché più abbozzato il personaggio, la recitazione di Luigi Lo Cascio, amante intellettuale della signora Bernaschi).Il ritratto generazionale che Virzì tratteggia di queste due coppie è finalmente impietoso. Feroce e per questo liberatorio. Dopo aver visto per anni film che traboccavano di indulgenza per questa generazione nata tra i ’50 e ’60 (compresi quelli di Bruni o di Virzì stesso), figlia minore di una fierezza politica che s’illuse di cambiare l’Italia e per campare si trovò a ereditare titoli di stato gonfiati e case cadenti da affittare, e finì per darsi in pasto ai Berlusconi, ai suoi epigoni più deprimenti (il leghismo delle fabricchette), o a un postcomunismo che del Pci conservò solo l’ipocrisia. Gente che aveva sbagliato tutto e si faceva scudo però di un’innocenza preventiva; che rimpiangeva un’età dell’oro della contestazione e non sapeva dare uno straccio di educazione ai figli; arricchiti senza merito, traditori se non idioti: per tutti questi Virzì finalmente ha trovato, con l’aiuto di un clinico e luminoso romanzo americano (Il capitale umano di Stephen Amidon rimodellato per i nostri schermi con Francesco Bruni e Francesco Piccolo) le parole per indicare le responsabilità della rovina di un paese. Quando alla fine Carla Bernaschi guarda in macchina attraverso lo specchio e sentenzia: «Avete scommesso sulla rovina del nostro paese e avete vinto», suo marito Giovanni giustamente la corregge, ed è come se indicasse direttamente noi spettatori: “Abbiamo vinto, ci sei anche tu”, le (e ci) dice. Nessuno è innocente, cara.Mentre vedevo il film e pensavo alle demenziali polemiche sulla Brianza, presuntamente dileggiata da Virzì, mi venivano in mente due cose. La prima, la “Cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda. Ecco qual è l’unico paesaggio che può raccontare il disastro spirituale di un’epoca lunghissima come quella di un’Italia sempiternamente fascista: la Brianza messicana di Gadda. Le sue ville, i suoi ricevimenti, le sue fintissime lacrime e falsissime gioie. Virzì avrà pensato, piuttosto che a dileggiare, a trovare come Gadda un détournement degli industrialotti vacui, dei mobilifici Aiazzone. Come è metafisica la Brianza della “Cognizione del dolore”, anche qui l’astrattezza del luogo è data dal semplice motivo che la crisi globalizzata e la finanziarizzazione dell’economia ha trasformato anche le case, i focolari domestici, in non-luoghi.La seconda cosa che mi è venuta in mente sono alcune foto del progetto “Corpi di reato” di Alessandro Imbriaco, Tommaso Bonaventura e Fabio Severo, alcune foto tipo questa. E’ un’immagine scattata in uno dei paesini della Lombardia dove i consigli comunali sono stati indagati per infiltrazioni camorristiche e ndraghetiste. Sotto le fondamenta di queste case, sotto questo pratino curato come in una foto di un rendering, le organizzazioni criminali hanno sversato quintali di rifiuti tossici. Ecco, la sensazione che si prova vedendo “Il capitale umano” è la stessa. Che ci sia stata una generazione, vestita bene, che gioca a tennis tutti i venerdì mattina, che è stata complice – se non collusa, silente – con il disastro di una nazione. E che di fronte a certe responsabilità sociali, ora non le si concede altro scampo che la pietà umana o la pena. Incapaci di fare i genitori, perché competitivi contro i propri figli, inetti a dare testimonianza o passare un’eredità morale, edonisti senza libertà, la sola speranza che hanno lasciato è che questi figli siano il più presto possibile in grado di sbarazzarsi dei padri (ucciderli o quantomeno renderli innocui), di diventare orfani, per poter assumersi il compito che la generazione precedente non è nemmeno stata capace di riconoscere come proprio.(Christian Raimo, “La ferocia liberatoria de Il capitale umano, di Paolo Virzì”, da “Minima et moralia” dell’11 gennaio 2014).Negli anni della sedicente rinascita della commedia (i Brizzi, i Genovese, i Miniero, i Bruno), finalmente un film italiano riprende lo spirito originario della commedia all’italiana – quella ferocia autodiretta e quella disperazione che segnarono (con “Il sorpasso” e “Io la conoscevo bene” da una parte dello spettro temporale, e “Un borghese piccolo piccolo” e “La terrazza” dall’altra) una specie di controstoria morale del nostro paese: un’Italia che si disfece del fascismo solo di facciata per reindossarlo immediatamente sotto la maschera della Democrazia Cristiana, diede vita a una borghesia immorale e moralista, si fece vanto del peggior familismo premoderno, e in nome dell’illusione perenne di diventare una nazione adulta si tramutò invece nella patria di un rovinoso infantilismo. Un paese che uccise i più giovani e i più innocenti – una Adriana Astarelli di “Io la conoscevo bene” o un Roberto Mariani del “Sorpasso” – e lasciò sopravvivere chi aveva perduto qualsiasi anima.
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Nuova Resistenza, contro chi ha tradito l’Italia per l’Ue
La Costituzione italiana del 1948 fu il prodotto di un processo costituente reso necessario dal tradimento delle classi dirigenti che avevano abbandonato la guida del paese e svenduto la sua sovranità a interessi e paesi stranieri. Fu anche il tentativo di rimettere in piedi un progetto condiviso tra forze politiche, sociali, culturali e religiose diverse ma concordanti su alcuni punti centrali di pace, di giustizia sociale, di valorizzazione delle risorse nazionali e di rilancio di un contributo autonomo dell’Italia alla realizzazione di questi obiettivi in e con la solidarietà di altri paesi. Il progetto europeo fu il prodotto di queste scelte e di questo clima politico, e non certo d’illuminati europei delle cancellerie degli Stati o di intellettuali impegnati nella elaborazione delle teorie sulla pace universale.L’Europa di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli nacque dal bisogno di contrapporre all’idea nazista della Grande Europa l’idea internazionalista di un’Europa di pace e solidarietà. La rottura del patto costituzionale, già incrinato dalle imposizioni della Guerra Fredda, si realizza dagli anni Novanta con la scelta di parti importanti delle élite politiche di svendere la sovranità politica del paese e le ricchezze nazionali per inserirsi nel gioco dei nuovi centri internazionali del potere militare, economico e finanziario. I passaggi principali di questo trasfigurazione del patto costituzionale sono noti e documentati. L’ex ministro delle finanze Giuseppe Guarino ne ha dato un resoconto puntuale nel suo scritto “Un saggio di verità sull’Europa e sull’euro” nel quale data al 1999 il “colpo di Stato” attuato dai poteri europei contro gli Stati nazionali espropriandoli della loro sovranità economica.L’euro è parte integrante di questa operazione resa possibile dal trasformismo (Mauro Fotia, “Il consociativismo infinito”, 2011) di parte delle élite nazionali dei paesi europei, e dell’adesione corporativa a questo piano da parte di sindacati, sinistra europea, organi separati del potere (istituzioni, magistratura, ecc.) interessati a negoziare la propria adesione alla nuova struttura del potere con la conservazione dei propri privilegi (Giulio Sapelli, “Chi comanda in Italia”, 2013). Sono gli anni in cui si organizza scientificamente la conquista del potere da parte della borghesia globale, mettendo fuori gioco le istituzioni democratiche esistenti mediante la loro delegittimazione sistematica, fino allo stravolgimento del sistema politico italiano attuato su direttiva della Troika e dei nuovi poteri finanziari nel 2011 (governo Monti e seguenti).Questo piano si realizza con la copertura del polverone mediatico che utilizza le sue armi di confusione di massa per dividere le opposizioni e le voci critiche su falsi obiettivi: pro o contro l’Europa, pro o contro l’euro, pro o contro la Costituzione, pro o contro la democrazia, pro o contro la corruzione. Su queste false divisioni si realizza l’unità delle nuove élite europee che assorbono le élite politiche nazionali dentro il nuovo meccanismo del potere trasversale ai partiti e ai poteri economici. Mentre l’attenzione si concentra sui “faccendieri”, sui “furbetti” sul “bunga bunga”, le P4 o P5, la Troika consolida il proprio potere sparando nel mucchio e rimuovendo con l’appoggio di pezzi delle istituzioni da incarichi istituzionali le persone “inaffidabili” al nuovo sistema di potere (da Baffi a Fazio).Si consolida così un sistema di potere autoritario in grado di controllare le politiche e le economie di tutti i paesi europei dei quali prende sempre più in presa diretta la gestione del potere. Un sistema di potere “criminale” del “capitalismo predatorio”, secondo la definizione utilizzata da James K. Galbraith per descriverne l’equivalente negli Stati Uniti. La resistenza a tutto questo c’è stata dagli anni Ottanta anche nel campo della cultura e della società civile. Tre voci a noi ben note, definite “gli innominati” della politica e dell’economia, sono state quelle di Federico Caffè, di Augusto Graziani e di Paolo Sylos Labini. Tre voci rapidamente isolate e marginalizzate da una sinistra e forze della società civile impegnate a ritagliarsi spazi “critici” e di proprio inserimento e sopravvivenza dentro le nuove strutture del potere. Tre voci che non hanno mai confuso il diritto con l’economia, le teorie con il progetto politico, ma che hanno tentato e potentemente contribuito a servirsi di questi strumenti per tenere la dritta di un processo di costruzione democratica e sociale.La loro biografia documenta la loro attiva partecipazione e intreccio con il processo costituzionale. Il loro impegno di studio ha contribuito in modo veramente innovativo, con una innovazione a servizio dei cittadini e non del principe o dei baroni di turno, ad aprire nuove vie alla riflessione e alla elaborazione politica. Basta ricordare qui il contributo di Federico Caffè a creare le basi teoriche per una economia sociale e uno spirito civico di solidarietà sul quale far convergere pezzi diversi e importanti della cultura economica e civile italiana, al di fuori delle schematizzazione delle scuole accademiche. Uno sforzo ostacolato da chi allora propugnava approcci più o meno marxisti e che ritroviamo oggi nelle file del pensiero liberista e nei posti del potere economico e finanziario.Interrompendo due decenni di contrapposizioni teoriche sull’analisi di classe della società italiana, con le quali i partiti e il sindacato hanno reso impossibile ogni strategia politica di alleanze sociali che non fosse quella del loro schema preferito della “compartecipazione” al potere dominante, Paolo Sylos Labini produsse una riflessione sulle classi sociali in Italia a metà degli anni Settanta nel tentativo di riaprire uno spazio di iniziativa politica non corporativa e non trasformistica alla creazione di un sistema politico di alleanze popolari in Italia. Impegno contrastato da gran parte della cultura istituzionale e di sinistra in Italia. Infine è utile richiamare anche il contributo di Augusto Graziani, un economista di chiara impostazione marxista, che mai ha piegato l’analisi della questione meridionale alle mode sociologiche di sinistra degli anni Ottanta-Novanta orientate ad addomesticare il problema sociale e di classe del Mezzogiorno ai nuovi bisogni del potere che si è cercato di legittimare con la tesi della scomparsa della questione meridionale, dei distretti chiavi in mano importati dal nord, ecc.; tesi sostenute da chi è passato dalle posizioni di sinistra di riviste come i “Quaderni Piacentini”, “Stato e Mercato” a quelle di “Meridiana” e, poi, a posizioni accademiche e politiche di potere.Noi vogliamo ripartire da qui, dalla consapevolezza che il tradimento che ancora una volta si è consumato in questi anni, e che vede oggi coinvolte forze politiche, economiche e “sindacali”, richiede la nascita di una nuova resistenza, l’unione di tutte le forze popolari che vi si oppongono. Sarà la partecipazione a questa nuova resistenza a segnare i confini dell’appartenenza dei movimenti e dei partiti al nuovo arco costituzionale, all’elaborazione di un patto costituzionale così come fu dopo il 1945. Non esistono scorciatoie giuridiche o economiche per riappropriarsi della sovranità nazionale e del progetto europeo. Quanto è accaduto non è il frutto di ingordigia, di ignoranza, ma di una rapina annunciata e scientificamente attuata del potere.Non siamo in presenza di errori o di fallimenti, ma del pieno successo delle strategie messe in campo. La crisi ha segnato in modo chiaro i confini geografici e sociali delle forze in campo; partendo da questi deve ripartire la formazione di un blocco sociale e politico europeo e nazionale. Le proposte su come affrontare la situazione esistono. Non si tratta di aggiungere buone idee a quelle esistenti, di continuare nella gara sulle “buone pratiche” o della scoperta risolutiva dell’uovo di Colombo, ma di uscire dall’illusione del tecnicismo e del tatticismo. È necessario un grande sforzo di verità che sappia fondere insieme, così come fu con la Resistenza e la Costituente, proposte e movimenti popolari, scegliendo le idee sulla loro capacità di camminare sulle gambe delle persone coinvolte. Così come avvenne nel 1945 è necessario riproporre un progetto europeo di pace e di solidarietà che contrasti e travolga quello della Grande Germania, oggi espresso dalle istituzioni dell’Unione Europea.(Bruno Amoroso, “Un sistema europeo autoritario, quale alternativa”, dal blog “Insightweb”, ripreso da “Megachip” il 21 dicembre 2013).La Costituzione italiana del 1948 fu il prodotto di un processo costituente reso necessario dal tradimento delle classi dirigenti che avevano abbandonato la guida del paese e svenduto la sua sovranità a interessi e paesi stranieri. Fu anche il tentativo di rimettere in piedi un progetto condiviso tra forze politiche, sociali, culturali e religiose diverse ma concordanti su alcuni punti centrali di pace, di giustizia sociale, di valorizzazione delle risorse nazionali e di rilancio di un contributo autonomo dell’Italia alla realizzazione di questi obiettivi in e con la solidarietà di altri paesi. Il progetto europeo fu il prodotto di queste scelte e di questo clima politico, e non certo d’illuminati europei delle cancellerie degli Stati o di intellettuali impegnati nella elaborazione delle teorie sulla pace universale.
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Qualcuno era comunista e voleva un’umanità felice
Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia. Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no. Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre. Qualcuno era comunista perché si sentiva solo. Qualcuno era comunista perché aveva avuto una educazione troppo cattolica. Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche – lo esigevano tutti. Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto. Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto. Qualcuno era comunista perché prima – prima, prima – era fascista. Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano, ma lontano. Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo. Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari. Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio. Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio. Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio. Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente. Qualcuno era comunista perché la borghesia, il proletariato, la lotta di classe… Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre. Qualcuno era comunista perché guardava solo Rai Tre. Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione. Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto. Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico per il Vangelo secondo Lenin. Qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sé la classe operaia. Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri. Qualcuno era comunista perché c’era il grande partito comunista. Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il grande partito comunista. Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio. Qualcuno era comunista perché abbiamo avuto il peggior partito socialista d’Europa. Qualcuno era comunista perché lo Stato, peggio che da noi, solo in Uganda. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi democristiani incapaci e mafiosi. Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera…Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista. Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia. Qualcuno credeva di essere comunista, e forse era qualcos’altro. Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana. Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri. Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno; era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.Sì, qualcuno era comunista perché, con accanto questo slancio, ognuno era come… più di sé stesso. Era come… due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita. No. Niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare… come dei gabbiani ipotetici. E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall’altra il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo.(Giorgio Gaber e Sandro Luporini, “Qualcuno era comunista”, dall’album “La mia generazione ha perso”, aprile 2001).Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia. Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no. Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre. Qualcuno era comunista perché si sentiva solo. Qualcuno era comunista perché aveva avuto una educazione troppo cattolica. Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche – lo esigevano tutti. Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto. Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto. Qualcuno era comunista perché prima – prima, prima – era fascista. Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano, ma lontano. Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.