Archivio del Tag ‘Claudio Messora’
-
Ecco il vero Grillo, che fa tremare il potere (ma dal ridere)
Dopo la colossale figura di palta, anziché una letterina di scuse per avere esposto tutto il Movimento 5 Stelle al pubblico ludibrio, a un fallimento politico colossale e avere rovinato irrimediabilmente i rapporti nel gruppo politico dove M5S Europa risiede, l’Efdd, arriva questo testo sul blog di Beppe Grillo: «L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima. Grazie a tutti coloro che ci hanno supportato e sono stati al nostro fianco. La delegazione del MoVimento 5 Stelle in Parlamento Europeo continuerà la sua attività per creare un gruppo politico autonomo per la prossima legislatura europea: il Ddm (Direct Democracy Movement)». Per una volta lasciatelo gridare a me: Gombloddoh! (e per scriverne io, ce ne vuole… eh?). I poteri forti non vi hanno permesso di vendervi ai poteri forti! Ma ve l’ha scritto Crozza?L’establishment ha deciso? Si chiama politica. Quella che evidentemente qualcuno lì dentro ha cercato di fare e che ha fallito miseramente. Ma davvero pensavate di poter fare una trattativa con gli squali più accaniti dell’euro-fanatico ultraliberismo che sono espressione di quel mondo che ha stritolato la Grecia e che ha posseduto ogni governo italiano, come “L’esorcista”, dal 2011 in poi? Siete ragazzi partiti dai banchetti, siete lì per difendere e rappresentare quelli che ai banchetti ci sono ancora, non per stringere la mano a Mario Monti sperando che gente che possiede più think-tank di quanti capelli abbia in testa non ve la sbrani. Questa posizione vi avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del vostro programma? Ma credete che continuare a recitare una farsa insostenibile fino alla fine servirà a limitare i danni? Il vostro programma contiene 7 punti, dovreste saperli a memoria! Tra questi sette punti, per dirne due, c’è l’abolizione del Fiscal Compact e c’è il referendum sull’euro. Davvero pensavate che entrare nell’Alde vi avrebbe consentito, seduti nel banchetto insieme a Mario Monti, di abolire “meglio” il Fiscal Compact?Davvero pensavate che fare comunella con quelli che “l’euro è irreversibile” vi avrebbe consentito di perseguire “meglio” la storiella del referendum sull’euro? Ma c’è un limite all’idea che gli attivisti M5S siano completamente deficienti? Avete fatto tremare il sistema come mai prima? Avete fatto ridere il sistema come mai prima! Avete fatto la figura dei cioccolatai, dei dilettanti allo sbaraglio. Siete andati da Monti in ginocchio sui ceci e vi siete fatti rispondere un “Vaffa”! E avete cercato di venderla come se 17 vergini stessero per trasferirsi al Castello di Dracula, perché così almeno avrebbero tutelato meglio il loro sangue. Avete fatto scrivere al povero Grillo, che vi è stato a sentire, un papello per convincere sprovveduti attivisti che “entrare nell’Alde” era la cosa migliore, perché “l’Efdd sarebbe morto”, quando l’Efdd, il gruppo politico dove state e che è frutto del grande lavoro del 2014, è lì tranquillo tranquillo fino al 2019 e nessuno lo tocca, quindi avevate tutto il tempo. E adesso invece sì, che l’Efdd è morto.E voglio proprio vedere con che faccia ci ritornate, da Nigel Farage, dopo avere spernacchiato l’uomo che, al contrario di voi, ha vinto la sua battaglia politica e ha portato tutto il Regno Unito fuori dalla Ue, nonostante minacce di morte e attentati cui è scampato per miracolo. Con che faccia lo saluterete, lassù, tra i corridoi del piano del gruppo, dopo che Grillo gli ha dato il ben servito questa mattina sul bog? Gli direte “Hi Nigel… of course, you know… it was a joke“? E se non starete più nell’Efdd perché ormai sareste ridicoli a sedere negli stessi banchi, cosa farete? Andrete nei “non attached“, il gruppo dei non iscritti? Allora sì che non avrete più niente, soldi.. uffici.. tempi di parola.. diritto di esprimere relatori nelle commissioni… Bravi! Complimenti! Grande successo politico. Vi siete condannati al nulla per i prossimi due anni almeno! E dovrete magari anche licenziare della gente, che fuori da un gruppo i soldi per gli stipendi sono meno… Dovevate chiedere scusa. E per una volta, chi si è reso responsabile di questa tragicommedia che ha tutto il sapore di aspirazioni personali fatte passare per una interesse collettivo, si dimetta!(Claudio Messora, “Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima…”, dal blog “ByoBlu” del 9 gennaio 2017).Dopo la colossale figura di palta, anziché una letterina di scuse per avere esposto tutto il Movimento 5 Stelle al pubblico ludibrio, a un fallimento politico colossale e avere rovinato irrimediabilmente i rapporti nel gruppo politico dove M5S Europa risiede, l’Efdd, arriva questo testo sul blog di Beppe Grillo: «L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima. Grazie a tutti coloro che ci hanno supportato e sono stati al nostro fianco. La delegazione del MoVimento 5 Stelle in Parlamento Europeo continuerà la sua attività per creare un gruppo politico autonomo per la prossima legislatura europea: il Ddm (Direct Democracy Movement)». Per una volta lasciatelo gridare a me: Gombloddoh! (e per scriverne io, ce ne vuole… eh?). I poteri forti non vi hanno permesso di vendervi ai poteri forti! Ma ve l’ha scritto Crozza?
-
Magaldi: serve un’Italia che esca dall’orrore di questa Ue
L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.Quindi, da un lato abbiamo Jean Monnet che scrive il discorso di Robert Schuman che inaugura appunto una traiettoria economicistica dell’Europa, e dall’altro abbiamo il progetto di Coudenhove-Kalergi, che negli anni ‘20 e ‘30 era stato un progetto vago, generico, a cui avevano aderito anche progressisti – si parlava di Europa unita in un contesto in cui c’era il nazismo e l’idea di un’Europa davvero triste e tarata su una serie di disvalori, quindi l’appello all’Europa unita sembrava un appello contro la barbarie fascio-nazista. Invece, poi, Coudenhove-Kalergi negli anni ‘40 ha chiarito meglio il suo progetto: una sorta di neo-feudalesimo, dove al posto dei feudatari di epoca medievale ci sono i tecnocrati, in una scala gerarchica che li pone al di sopra di qualunque sovranità popolare. Questa sorta di ideologia neo-feudale e la declinazione economicistica si saldano insieme e portano a che cosa? Lo vediamo: portano a un’Europa che tutto è, tranne che unita sotto il proprio governo continentale. E’ solo un equilibrio di nazioni. Questi soggetti, che hanno costruito questa Europa, sono nemici di qualunque valore europeo. La loro Europa è come la loro democrazia: la si propone come retorica, ma non la vive come sostanza.Lo dico a chi si dice anti-europeista o contro l’Europa: l’Europa non c’è mai stata. Come si fa a essere contro qualcosa che non c’è? Non esiste nessun livello continentale, legittimato democraticamente, che conti davvero. Il Parlamento Europeo è un organo stucchevole, limitatissimo nei poteri. La Commissione Europea è un consesso di cicisbei, che non fanno altro che eseguire i dettami e rispettare i limiti imposti della Banca Centrale Europea, e per il resto le nazioni si guardano in cagnesco e fanno, ciascuna, quelli che sembrano interssi nazionali ma in realtà non lo sono: sul medio-lungo periodo, anche la nazione che sembra aver lucrato di più da questa Disunione Europea, la Germania, avrà dei grossi problemi, perché sta venendo meno la capacità di consumo, stanno morendo i ceti medi, in Europa, e quindi la Germania avrà anche problemi con le sue esportazioni, su cui ha tanto puntato. La cancelleria tedesca – tramite Angela Merkel, anche lei “libera muratrice” di circuiti oligarchici – è anch’essa ostaggio di quegli stessi gruppi sovranazionali che puntellano questa globalizzazione, dove non si globalizza il diritto di ciascuno a una vita dignitosa, anche sul piano economico.E’ una globalizzazione dove, oltretutto, le carte sono truccate, perché evidentemente si può competere e liberalizzare il commercio tra le diverse produzioni solo se si gioca con le stesse regole: se tu “giochi” in un paese dove si tutela il lavoro, mentre in altri paesi il lavoro è di tipo neo-schiavistico, c’è qualcosa che non funziona. L’obiettivo di ogni sincero progressista è quello di ripristinare la coscienza della democrazia. Invece ho osservato con raccapriccio che la maggior parte degli italiani non sa nemmeno per che cosa va a votare, a questo referendum costituzionale. Forse, se vogliamo essere degni di sovranità, se vogliamo poterci lamentare a buon diritto di quella espropriazione di sovranità, di benessere e di diritti che imputiamo ai nostri governanti a livello nazionale, a Bruxelles e in altre parti del mondo, forse dovremmo iniziare a informarci un po’ di più. Abbiamo bisogno di pedagogia politica, di informarci meglio sul mondo in cui viviamo, altrimenti saremo sempre manipolati, o vittime di questo scontro insensato, tra “buoni e cattivi”, spesso alimentato dagli stessi burattinai che ci svuotano di diritti e di democrazia. E’ una visione un po’ complottistica: c’è un’élite maligna che governa il mondo, un’élite demo-pluto-giudaico-massonica. Ma le cose non stanno così.La massoneria è stata la principale artefice delle libertà, della sovranità popolare, della democrazia e anche della nostra possibilità di criticare il potere, oggi – la libertà di critica, di espressione, di giornalismo. Con i coniugi Roosevelt, la massoneria è stata anche un faro, nel ‘900, di difesa di questa libertà e democrazia contro la barbarie nazifascista. Poi è stata anche alla base della New Frontier kennedyana, cioè di quel sogno – interrotto con le uccisioni dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King – di una Great Society, che in parte Lyndon Johnson riuscì a realizzare, continuando il progetto kennedyano (e cioè: estendere sempre più diritti, possibilità di istruzione e mobilità sociale, a vaste fette della popolazione). Tutto questo si è interrotto. Dagli anni ‘70, il faro che ha illuminato in senso tenebroso la società mondiale è stato quell’idea enucleata in “The crisis of democracy” (di Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki), un libello che contiene i fondamenti di questa idea secondo cui troppa democrazia “fa male”.Se lo dissero i massoni reazionari della “Three Eyes”, che commissionarono quel testo alla Trilateral Commission: la democrazia va limitata. Quello è un testo di più di quarant’anni fa, però noi ne viviamo oggi tutte le conseguenze. Per capire questo non basta protestare, non basta avercela con la casta, con i corrotti, con i cattivoni, con la finanza – la finanza è uno strumento, come il denaro: non è né buono né cattivo, dipende da come lo si gestisce. Noi abbiamo bisogno di un mondo in cui la politica torni a essere preminente sull’economia e sulla finanza, e in cui economia e finanza collaborino per garantire prosperità a tutti e a ciascuno.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per la video-intervista “Dietro a Donald Trump, le trame della massoneria progressista”, pubblicata da “ByoBlu” l’11 novembre 2016. Massone progressista, già gran maestro della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, Magaldi ha fondato l’associazione Grande Oriente Democratico, è stato affiliato alla superloggia internazionale Thomas Paine e ha fondato il Movimento Roosevelt, organismo meta-partitico che si propone di sollecitare un profondo risveglio sovranista della politica italiana. E’ autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere, nel quale denuncia lo strapotere di 36 Ur-Lodges a carattere apolide, alcune delle quali coinvolte nel disegno geopolitico neo-feudale e nella strategia della tensione internazionale, dall’11 Settembre all’Isis. Nell’intervista su “ByoBlu”, Magaldi dichiara anche che Matteo Renzi sarebbe «tuttora “bussante” presso circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», dalla “Three Eyes” in cui militerebbe anche Giorgio Napolitano, ad altre superlogge come la “Pan-Europa”, la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose” e la “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble).L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.
-
Sconfitta Hillary, non l’oligarchia: chi è Trump si vedrà ora
Donald Trump rischia di essere assassinato? Se lo domanda l’economista e politologo Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan, all’indomani dell’exploit del grande outsider delle presidenziali Usa. La sua più grande paura, scrive su “Information Clearing House”, è che venga semplicemente “spolpato” dalla super-élite che, con l’appoggio dei grandi media, si era schierata con Hillary. Timori condivisi anche in Italia, con svariate sfumature, da personalità provenienti dalla cultura massonica. «Se i poteri che sostenevano Hillary erano così forti, perché hanno perso?», si domanda Gianfranco Carpeoro il 13 novembre in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Se ne conclude che non tutti i “poteri forti” stavano con la Clinton: qualcuno ha puntato anche su Trump. Persino elementi della super-massoneria progressista, afferma Gioele Magaldi, intervistato da Claudio Messora su “ByoBlu”: ai nastri di partenza delle primarie repubblicane, Trump è stato visto come il “meno peggio”, sicuramente meno pericoloso di Jeb Bush, terminale della tenebrosa “Hathor Pentalpha”, network della strategia della tensione, fino all’Isis. Eminenze grigie dell’élite progressista dietro a Trump? Niente di strano: «Quando sei in guerra – aggiunge Carpeoro – è molto utile sceglierti il nemico: quello che fa meno paura, che magari farà più errori».Donald Trump potrebbe persino stupirci in positivo, dice Magaldi, per esempio con l’annunciata campagna di opere pubbliche destinare a produrre occupazione su impulso statale, un po’ come fu per il New Deal di Roosevelt. E, in ogni caso, la sferzata dell’elezione di Trump «potrebbe finalmente produrre il “risveglio” del mondo progressista, che ha acceso speranze con Bernie Sanders ma ha bisogno che nasca una nuova leadership, giovane, capace di invertire il corso di questa globalizzazione senza democrazia». Grande preoccupazione, intanto, dalle prime analisi di Craig Roberts, già “editor” del “Wall Street Journal”: se la vittoria di Trump ha clamorosamente demolito il prestigio dell’élite di potere più in vista, dimostrando che «né la classe politica appartenente ai due principali partiti né i mezzi d’informazione godono più di alcuna credibilità presso il popolo americano», resta però da capire se Trump avrà davvero la volontà (e la forza) di mantenere le promesse, e cioè creare posti di lavoro e instaurare relazioni amichevoli con Russia e Cina, Siria e Iran. Come reagirà il “Deep State” clintoniano alla vittoria di Trump? Wall Street e la Federal Reserve «potrebbero provocare una crisi economica per mettere Trump sulla difensiva», mentre Cia e Pentagono «potrebbero causare un attacco sotto falsa bandiera che incrinerebbe le relazioni con la Russia».Evoluzione da seguire passo passo. Il primo: «Trump potrebbe commettere l’errore di includere i neoconservatori nel suo governo». Niente illusioni: «Per quanto Trump abbia sconfitto Hillary, l’oligarchia esiste ancora ed è ancora potente». In altre parole, «tutto dipende da chi sono i consiglieri di Trump e quali suggerimenti gli daranno: quando conosceremo la composizione del suo governo, sapremo se possiamo aspettarci che i cambiamenti, ad oggi solo sperati, divengano realtà». Corollario-horror: «Se l’oligarchia non sarà in grado di controllare Trump, e se Trump avrà davvero successo nel ridurre il potere e i finanziamenti degli apparati militari e della sicurezza e nell’inchiodare Wall Street alle proprie responsabilità politiche, Trump potrebbe perfino essere assassinato». Secondo Craig Roberts, è in corso un durissimo scontro nelle “segrete stanze” del massimo potere: «Le canaglie che si trovano negli apparati militari e della sicurezza potrebbero comunque farcela ad assassinare qualcuno, ma senza i neocon al governo diventerebbe più difficile insabbiare la verità».Quanto a Trump, il neopresidente «conosce e comprende la situazione molto più di quanto i suoi avversari si rendano conto: per un uomo come lui, rischiare di farsi così tanti nemici potenti e mettere a rischio la sua ricchezza e la sua reputazione, significa che sapeva bene che il malcontento della gente verso l’attuale classe dirigente poteva consentirgli di essere eletto presidente». Di fatto, «non sapremo cosa aspettarci» finché non conosceremo l’identità di ministri e viceministri: «Se ritroveremo la solita gente, significa che Trump è stato catturato dal sistema». Unica buona notizia, senza ombre: «Il totale screditamento dei mezzi d’informazione». Hanno perso, nonostante la “guerra” condotta contro Trump: «Il paese li ha completamente ignorati». Attenzione, però: «Hillary è caduta, ma non gli oligarchi». E il super-potere è già al lavoro per rimediare, ammesso che (come suggerisce Carpeoro) non fosse già, in parte, schierato anche col tycoon. «Se a Trump verrà consigliato di essere conciliante, di tendere la mano all’establishment e includerlo nella compagine di governo, il popolo americano rimarrà un’altra volta deluso», avverte Craig Roberts. «In una nazione le cui istituzioni sono stati corrotte così in profondità dall’oligarchia, è difficile concretizzare un reale cambiamento senza spargimenti di sangue».Donald Trump rischia di essere assassinato? Se lo domanda l’economista e politologo Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan, all’indomani dell’exploit del grande outsider delle presidenziali Usa. La sua paura, scrive su “Information Clearing House”, è che venga semplicemente “spolpato” dalla super-élite che, con l’appoggio dei grandi media, si era schierata con Hillary. Timori condivisi anche in Italia, con svariate sfumature, da personalità provenienti dalla cultura massonica. «Se i poteri che sostenevano Hillary erano così forti, perché hanno perso?», si domanda Gianfranco Carpeoro il 13 novembre in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Se ne conclude che non tutti i “poteri forti” stavano con la Clinton: qualcuno ha puntato anche su Trump. Persino elementi della super-massoneria progressista, afferma Gioele Magaldi, intervistato da Claudio Messora su “ByoBlu”: ai nastri di partenza delle primarie repubblicane, Trump è stato visto come il “meno peggio”, sicuramente meno pericoloso di Jeb Bush, terminale della tenebrosa “Hathor Pentalpha”, network della strategia della tensione, fino all’Isis. Eminenze grigie dell’élite progressista dietro a Trump? Niente di strano: «Quando sei in guerra – aggiunge Carpeoro – è molto utile sceglierti il nemico: quello che fa meno paura, che magari farà più errori».
-
Armi di migrazione di massa, è il piano del super-potere
Non è che, francamente, avessimo bisogno delle controprove. Dal documento dell’Onu che parla esplicitamente, per primo, di migrazione selettiva dei popoli, passando per lo studio della Cornell University, “Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy”, – Armi di migrazione di massa: deportazione, coercizione e politica estera – che racconta dell’immigrazione come di una “nuova arma bellica non convenzionale”, una vera e proprio arma di migrazione di massa, fino ai progetti Ue di migrazione selettiva portati alla London School of Economics and Political Science dal vicepresidente della Commissione Europea in persona, nientemeno che Franco Frattini, che parla di vere e proprie campagne orchestrate dai governi per «incoraggiare i potenziali migranti a diventare europei», di prove ce ne sono a sufficienza per comprendere che la volontà politica di portare in Europa un numero elevatissimo di migranti non solo c’è, ma è determinata e alla luce del sole.Del resto, oltre alle continue ondate di migranti che dalle coste africane raggiungono l’Italia via mare, senza che nessuno cerchi di risolvere il problema alla radice, i primi esperimenti “ufficiali” sono stati realizzati in Germania, quando in conseguenza dell’onda pressoria di indignazione pubblica suscitata dalle immagini del corpo del piccolo di 4 anni buttato sulla spiaggia, lambito dalle onde del mare, Angela Merkel un anno fa ha aperto le porte ai rifugiati siriani (solo quelli con gli occhi azzurri, però), e la Repubblica Ceca ne ha immediatamente messi al lavoro almeno 5 mila (ma a condizioni che un europeo non avrebbe mai accettato, a meno che non ci fosse stato costretto – come dire – dalla concorrenza). Il motivo non era la tanto decantata solidarietà che i nostri quotidiani si sono affrettati a tributare al cancelliere tedesco, quanto (e qui si era scritto molto prima) la fretta di metterli al lavoro nel settore automobilistico. E chissà che lo scandalo Volkswagen non sia scoppiato anche per contrastare la competitività dell’industria automobilistica tedesca, nel momento in cui stava per disporre di forze fresche e a basso costo. Oltre che, naturalmente, come rappresaglia per l’ostilità di Berlino nei confronti del Ttip e nei confronti della necessità degli Usa di sostituire l’arsenale nucleare presente sul suolo tedesco.Ma, in caso voleste sentirvelo dire forte e chiaro, eccovi le dichiarazioni di uno-che-passava-di-lì, tale Peter Sutherland. Vi dice niente? I più attenti se lo ricorderanno: vent’anni presidente Goldman Sachs International, ex presidente British Petroleum e attualmente alto rappresentante per il segretariato generale della migrazione internazionale alle Nazioni Unite, oltre che a capo del Forum Globale su Migrazione e Sviluppo, al quale partecipano oltre 160 paesi. Uno che di politiche per regolare la migrazione se ne intende, dunque, uno che lavora per quella stessa organizzazione (l’Onu) che parlava appunti di migrazione sostitutiva dei popoli, uno che sulla Brexit il 25 giugno scorso ha detto: «In qualche modo, questo risultato va ribaltato». Bene, questo signore qui, nel 2012 ha detto alla Camera dei Lord (i nostri senatori, più o meno) che «l’Unione Europea dovrebbe fare del suo meglio per attaccare, indebolire l’omogeneità culturale degli Stati nazionali, perché la migrazione è una dinamica cruciale per la crescita economica in alcuni stati membri, per quanto difficile potrebbe essere spiegarlo ai cittadini di quegli Stati». [Fonte Bbc, mica miciomicio-baubau].Secondo Sutherland bisogna «costruire giocoforza Stati multiculturali», perché «è impossibile pensare che questo grado di omogeneità culturale possa sopravvivere, in quanto gli Stati devono diventare stati aperti». E ancora: «A differenza degli Stati Uniti, dell’Australia e della Nuova Zelanda, che rappresentano società frutto di migrazione e che sono più versatili nell’integrare chi viene da altre realtà, noi coltiviamo ancora un senso di omogeneità e differenza rispetto agli altri. Questo è precisamente ciò che l’Unione Europea, secondo me, dovrebbe distruggere». Senza nessun bisogno di scomodare Kalergi, probabilmente è per questo che Bruxelles sta cercando di abituarci a mangiare insetti.(Claudio Messora, “Siamo troppo uniti per i loro gusti: ci vogliono sminuzzare”, da “ByoBlu” del 16 settembre 2016).Non è che, francamente, avessimo bisogno delle controprove. Dal documento dell’Onu che parla esplicitamente, per primo, di migrazione selettiva dei popoli, passando per lo studio della Cornell University, “Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy”, – Armi di migrazione di massa: deportazione, coercizione e politica estera – che racconta dell’immigrazione come di una “nuova arma bellica non convenzionale”, una vera e proprio arma di migrazione di massa, fino ai progetti Ue di migrazione selettiva portati alla London School of Economics and Political Science dal vicepresidente della Commissione Europea in persona, nientemeno che Franco Frattini, che parla di vere e proprie campagne orchestrate dai governi per «incoraggiare i potenziali migranti a diventare europei», di prove ce ne sono a sufficienza per comprendere che la volontà politica di portare in Europa un numero elevatissimo di migranti non solo c’è, ma è determinata e alla luce del sole.
-
Ciampi e Bankitalia: per il nostro paese, l’inizio della fine
Alla fine degli anni ‘70 emerge una posizione più estremista, pro-Europa, che praticamente fa propria l’idea che si debba combattere la classe politica corrotta e clientelare e tutte le sue espressioni facenti capo fondamentalmente alla Democrazia Cristiana e ai suoi partiti alleati, compreso il Partito Socialista, e che per questo si debbano anche cedere porzioni di sovranità, e si comincia con la sovranità monetaria. Era cambiata la dirigenza della Banca d’Italia ed era passata la linea, diciamo, più estremista sull’Europa, facente capo a Carlo Azeglio Ciampi. Nella Dc la sinistra politica, che faceva capo a De Mita e soprattutto a Beniamino Andreatta, era su posizioni euroestremiste e giustificava questa rinuncia alla sovranità monetaria, cioè alla possibilità dello Stato di fare investimenti pubblici produttivi, per impedire alla classe politica stessa, corrotta e clientelare, di avere potere. Quindi per sottrarre potere alla classe politica, si cominciò a rinunciare alla sovranità monetaria, quindi agli investimenti pubblici.Quindi la classe politica poi si trovò ad occuparsi solo di nomine, di poltrone, eccetera, perché non c’era più da discutere gli investimenti pubblici che ormai dovevano minimizzarsi. Degli investimenti pubblici la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia, i trasporti e via dicendo, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale. Io negli anni ’80 feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione.Lo stesso divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, di cui stiamo parlando, non è che obbligava la Banca d’Italia a non comprare titoli, le dava la facoltà di non farlo. E la pratica, voluta da Carlo Azeglio Ciampi, fu di applicare questo divorzio in modo letterale. Per la cronaca, ricordo che l’Inghilterra aveva le stesse regole, perché noi copiammo quelle, ma non le praticava. Cioè la Banca d’Inghilterra, quando serviva, stampava sterline a gogò, mentre la Banca d’Italia si irrigidì su quella facoltà che le era stata riconosciuta attraverso una semplice lettera del ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, e quindi la parte di emissione obbligazionaria che non veniva coperta, causava un aumento del tasso di interesse finché non si piazzava questo residuo, ma poi questo tasso di interesse andava ad essere applicato su tutta l’emissione della mattinata. Quindi in questo modo c’è stata una rincorsa dei tassi di interesse verso l’alto.Il passaggio successivo però è molto più grave e riguarda appunto il periodo che va dalla fine degli anni ’80 all’inizio delle privatizzazioni. Nel mio ultimo libro “Chi ha tradito l’economia italiana” affronto questo problema e identifico due tipi di personaggi, cioè quelli che in buona fede volevano fare i salvatori della patria, ma anche quelli che traguardavano nella possibilità di una svendita delle partecipazioni statali, nelle privatizzazioni – allora si chiamavano dismissioni – la possibilità di fare immensi profitti, come fu. Quindi c’è stata anche una parte di questa componente, diciamo così, anti-statalista, anti-italiana, anti-sviluppista, che ha fatto affari strepitosi e su cui qualcuno, infatti, ha proposto una commissione di indagine parlamentare.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per l’intervista “Come ci hanno deindustrializzato”, pubblicata da “ByoBlu” il 29 aprile 2013).Alla fine degli anni ‘70 emerge una posizione più estremista, pro-Europa, che praticamente fa propria l’idea che si debba combattere la classe politica corrotta e clientelare e tutte le sue espressioni facenti capo fondamentalmente alla Democrazia Cristiana e ai suoi partiti alleati, compreso il Partito Socialista, e che per questo si debbano anche cedere porzioni di sovranità, e si comincia con la sovranità monetaria. Era cambiata la dirigenza della Banca d’Italia ed era passata la linea, diciamo, più estremista sull’Europa, facente capo a Carlo Azeglio Ciampi. Nella Dc la sinistra politica, che faceva capo a De Mita e soprattutto a Beniamino Andreatta, era su posizioni euroestremiste e giustificava questa rinuncia alla sovranità monetaria, cioè alla possibilità dello Stato di fare investimenti pubblici produttivi, per impedire alla classe politica stessa, corrotta e clientelare, di avere potere. Quindi per sottrarre potere alla classe politica, si cominciò a rinunciare alla sovranità monetaria, quindi agli investimenti pubblici.
-
Dal ‘45, Usa e Occidente hanno ucciso 55 milioni di persone
Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».La prima Guerra del Golfo ebbe inizio grazie ad un inganno: Saddam venne portato a credere che l’occupazione del Kuwait, che era stato un protettorato inglese ma che era rivendicato dall’Iraq fin dal 1961 come appartenente al suo territorio, sarebbe avvenuta senza l’interessamento degli Usa. «Fu una trappola tesa da April Gaspie, ambasciatrice Usa a Baghdad dell’epoca, che fece intendere che gli Usa non avrebbero interferito». Poi, l’11 settembre 2001, «l’abbattimento delle Torri Gemelle fornì il pretesto per terminare il lavoro». Dei 19 presunti attentatori nessuno era iracheno e nessuno era afghano: ben 15 di loro erano sauditi. Ma ad essere colpita non fu l’Arabia Saudita, bensì l’Afghanistan. «La sfortuna degli afghani – dice Ferrara – fu che in quel territorio doveva transitare un oleodotto, che i Talebani non volevano». Una condotta lunga 1.680 chilometri per portare il gas turkmeno di Dauletabad fino in Pakistan attraverso l’Afghanistan occidentale, cioè le province di Herat e Kandahar.Il progetto venne avviato nel 1996 dalla compagnia petrolifera statunitense Unocal, per la quale lavoravano sia Hamid Karzai che Zalmay Khalizad, in cooperazione con il regime talebano. Nel 1996, la Unocal apre una sede a Kandahar. E l’anno dopo, esponenti del governo talebano vengono ricevuti negli Usa. Ma il piano viene poi accantonato per le difficoltà politiche imputabili ai Talebani. «La seconda sfortuna era che gli anni ’70 avevano visto il boom della produzione di oppio e di eroina in Afghanistan. Era il cosiddetto triangolo d’oro», formato da Laos, Birmania e Cambogia. Triangolo «controllato dalla Cia, che in questo modo finanziava le operazioni anticomuniste nel sud-est dell’Asia». I Talebani negli anni ’90 «continuarono il business della droga con la Cia, ma nel 2000 il Mullah Omar lo mise al bando, allo scopo di guadagnarsi un consenso internazionale». L’anno dopo, la produzione di oppio crollò a valori prossimi allo zero. «Grazie alla conquista dell’Afghanistan, la produzione di eroina afghana (che gli Usa si rifiutarono di combattere, sostenendo che non era compito loro) tornò presto a soddisfare il 93% del fabbisogno mondiale».Gli Stati Uniti non combattono mai una guerra inseguendo un solo obiettivo, continua Ferrara: secondo l’Unicef, i 10 anni di embargo all’Iraq hanno causato la morte di un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini. Il segretario di Stato Usa Madeleine Albright, quando le fu chiesto di commentare la morte di questi 500 mila bambini, rispose che la scelta era stata difficile, ma che ne era valsa la pena. «La balla sesquipedale delle armi di distruzione di massa, che sarebbero state in mano a Saddam, fu la scusa per impadronirsi definitivamente dell’Iraq, nel quadro della strategia economico-commerciale “Pivot to Asia”, che mirava a cinturare la Cina per impedirle un’espansione a ovest». Ma le uniche armi di distruzione di massa in mano a Saddam «erano quelle che proprio gli Stati Uniti gli avevano venduto, perché fossero usate per lo sterminio dei curdi».Un genocidio, quello del Kurdistan iracheno, al quale abbiamo contribuito anche noi italiani, con la vendita a Saddam di ben 9 milioni di mine antiuomo: «Del resto ancora adesso Matteo Renzi ritiene doveroso fare affari con chi finanzia l’Isis». Ma anche supponendo che l’Iraq avesse posseduto quelle armi, aggiunge Ferrara, i 7.000 ordigni nucleari di cui gli Stati Uniti d’America sono dotati non sono forse “armi di distruzione di massa”? Bisognerebbe chiederlo all’allora vice di Bush, Dick Cheney, che «per pura coincidenza era anche a capo della grande azienda petrolifera Halliburton, che si avvantaggiò successivamente dell’occupazione dei pozzi petroliferi iracheni». Ma, chiusa la partita con l’Iraq, il processo di colonizzazione prevedeva l’invasione della Siria. «Senza dimostrare molta fantasia, gli Stati Uniti cercarono di convincere il mondo che Assad usava armi chimiche contro i suoi cittadini». Solo la ferma opposizione di Putin riuscì a bloccare Obama, che nel 2013 era a un passo dall’attacco.Serviva allora un’altra strategia: così si inventarono la guerra per procura. «Bisognava finanziare i gruppi che si opponevano ad Assad: Al Nusra e l’Isis. Così, arrivarono piogge di dollari statunitensi sugli jihadisti, come rivelarono in tanti, tra cui ex dipendenti della Cia, ex ufficiali». Michael Flynn: «Sostenere Isis fu una nostra decisione deliberata». Tra le ammissioni persino quelle di un senatore, Rand Paul, e di una deputata, Tulsi Gabbard. Per non parlare del vicepresidente Joe Biden, che nell’ottobre del 2014 rivelò che sugli jihadisti impegnati in Siria erano arrivate piogge di dollari statunitensi. «La vera ragione per cui Assad è stato attaccato – afferma Ferrara – è che nel 2009 si era rifiutato di far transitare sul proprio territorio un gasdotto, proposto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, che doveva passare per la Turchia e avere come destinazione l’Europa, per togliere alla Russia di Putin il monopolio». Non solo: «Assad si era accordato con l’Iraq per accogliere un gasdotto alternativo, ed era dalla parte dei palestinesi contro le aggressioni dello Stato di Israele».Poco prima, il “trattamento” era toccato alla Libia, che possiede le riserve di petrolio africane più importanti: 48.000 miliardi di barili, più 1.500 miliardi di metri cubi di gas. «Ma in realtà Gheddafi fu fatto fuori anche per un’altra ragione: proprio come Saddam, aveva deciso di non vendere più il petrolio in dollari, bensì attraverso un’altra moneta sovrana che stava creando: il dinaro libico». Dalla Libia alla Siria, fino all’attuale terrorismo internazionale: i recenti attentati in Francia, Belgio e Germania «hanno delle analogie con quello che accadde in Italia negli anni ’90, dopo la rottura del patto Stato-mafia, quando Roma e Milano furono duramente colpite dalle ritorsioni di Cosa Nostra». Dietro ai kamikaze ci sono «veri professionisti del terrore, che da sempre hanno usato mercenari, criminali, fondamentalisti e perfino squilibrati per seminare la paura e instaurare, sotto la copertura di una finta democrazia, una dittatura economico-militare». I jihadisti, poi, svolgono anche un altro ruolo importante: «Sono un eccellente concime per far germogliare il seme della paura in Occidente: più abbiamo paura, più cerchiamo protezione». Con buona pace del grande Tiziano Terzani, secondo cui «il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».
-
Londra: Cavour assassinato, l’Italia doveva restare docile
Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.Lo scrive Fasanella nel suo nuovo libro, “Intrighi d’Italia”, scritto con Antonella Grippo. Premessa: inutile stupirsi se così spesso, nella nostra storia recente, emergono strane “trattative” tra il potere istituzionale, attraverso settori dei servizi segreti, e la criminalità mafiosa. Quello era il metodo inaugurato proprio da Cavour, che reclutò la mafia in Sicilia e la camorra a Napoli per governare i nuovi terrori, largamente ostili all’unificazione e conquistati manu militari, dall’esercito piemontese. La resistenza dell’esercito meridionale (pur superiore) fu molto debole? Certo: l’intelligence di Cavour aveva “comprato” gli alti ufficiali delle Due Sicilie. A pagare il prezzo della conquista, con anni di legge marziale e stragi inaudite, fu la popolazione del Sud: mezzo milione di morti, si calcola, più 15 milioni di profughi, emigrati poco dopo, per lo più in America. «A Cavour non era piaciuta la modalità di conquista del Meridione», spiega Fasanella a Claudio Messora, in una video-intervista per il blog “ByoBlu”. «Si racconta infatti che arrivò a sollevare la scrivania, nell’ufficio del sovrano torinese, quasi volesse gettargliela addosso. Cavour non tollerava che i Savoia avessero concepito l’Unità d’Italia sul piano solo militare. Avrebbe voluto un progetto più graduale, federalista, basato sulla politica».Il sovrano non era l’unico nemico del primo ministro, racconta l’autore, brillante giornalista di “Panorama”. Cavour era in contrasto anche con Mazzini: non voleva lo scontro con il Vaticano per la conquista immediata di Roma, avrebbe preferito un accordo. Dal canto suo, con Cavour ce l’aveva anche Garibaldi, furioso per la cessione di Nizza alla Francia. E il primo ministro non piaceva neppure ai Rotschild, che miravano a lucrare sul finanziamento delle nuove infrastrutture italiane, mentre Cavour anche in quel caso avrebbe preferito giocare su più tavoli, per non dipendere da un solo potere. Abilissimo, astuto, geniale. E temuto: al punto da subire un complotto mortale? E’ quello che si evince dall’esame degli archivi inglesi, racconta Fasanella. Fonti autorevoli, finora sempre trascurate dagli storici. Una su tutte: le dettagliate relazioni dell’ambasciatore inglese a Torino, James Hudson. Un diplomatico decisivo: era stato lui ad assicurare a Cavour la protezione militare inglese per incoraggiare la spedizione di Garibaldi. Rivelazioni clamorose, da Hudson, sulle circostanze della morte dello statista italiano.Al ministro degli esteri britannico, John Russell, l’ambasciatore Hudson scrive che Cavour si è sentito male il 29 maggio 1961, poco più di due mesi dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Era a casa della sua amante, Bianca Ronzani, «che era anche una spia». Dalla Ronzani bevve qualcosa che lo mandò in crisi: spasmi addominali, accessi di vomito. Cavour riparò nella sua casa e si mise a letto. I medici accorsi, racconta sempre la fonte inglese, «lo salassarono come un vitello», estraendogli enormi quantità di sangue e indebolendolo in modo grave. A dargli il colpo di grazia, dopo una settimana di agonia, fu il dottore di corte, medico personale del re, insigne luminare della medicina torinese dell’epoca: «Gli fece bere un infuso di “lauroceraso”, cioè cianuro: il potentissimo veleno si ottiene proprio per infusione da quella pianta». Sulla morte di Cavour – che faceva comodo a troppi poteri – si è anche favoleggiato in modo complottistico, ammette Fasanella. Ma nessuno, prima d’ora, aveva individuato tracce concrete che avvalorino – via Londra, tanto per cambiare – l’ipotesi della cospirazione a scopo di omicidio politico.Noto per l’estrema disinvoltura, il cinismo e la spregiudicatezza con cui aveva guidato la politica del minuscolo Stato sabaudo per negoziare con i potentati europei la nascita della futura Italia, Camillo Benso – racconta Fasanella – non si era mai fatto scrupoli nel ricorrere alla malavita, attraverso i servizi segreti. Se ne accorse per prima la magistratura torinese, che incastrò un piccolo criminale: stranamente, il governo lo protesse a lungo. Non a caso: era il capo di una banda di malviventi utilizzata per il “lavoro sporco” commissionato da Filippo Curletti, famigerato capo dell’intelligence di Cavour. Un uomo che, s’è scoperto, aveva organizzato brogli in mezza Italia per truccare l’esito dei plebisciti a favore dell’annessione al Piemonte: «Emerge che, spesso, il numero di voti favorevoli era superiore addirittura a quello della totalità degli aventi diritto al voto», racconta Fasanella. E se nel centro-nord gli uomini di Curletti si occuparono soprattutto di aritmetica, nel Sud terrorizzato dalle truppe di Cialdini e La Marmora si bussò direttamente alla mafia: «In Sicilia, i picciotti prepararono il terreno allo sbarco di Garibaldi e alla sua marcia trionfale. E a Napoli, quando fu smantellata la polizia borbonica, chiamarono la camorra a dirigere i commissariati».Come dire: nessuno si stupisca se l’Italia è nata così male, unificata in modo truffaldino e spietato. E concepita – fin da subito – come “dependence” dei poteri forti d’Europa, decisi a non lasciarsi scappare il controllo sulla nostra penisola così strategica, vera chiave di volta nel Mediterraneo con l’apertura del Canale. Lungi dal sottovalutare l’importanza storica dell’unificazione, perfettamente coerente con il contesto storico e geopolitico dell’epoca, chiarisce Fasanella, è bene non dimenticare però che molte tappe del Risorgimento (su cui gli storici spesso sorvolano) maturarono in modo decisamente oscuro. Un giallo riguarda la misteriosa fine dello scrittore Ippolito Nievo, il “tesoriere” dei Mille: sapeva molte cose, avrebbe potuto raccontarle ai giudici che volevano interrogarlo. «Dopo lo sbarco – racconta ancora Fasanella – a Torino giunsero voci insistenti sui traffici dei garibaldini con la mafia: contrabbando d’armi, sperperi di denaro, arricchimenti improvvisi di garibaldini. Nievo fu richiamato nel capoluogo piemontese per riferire alla magistratura. Ma il piroscafo si inabissò al largo dell’isola di Capri. Ancora oggi non si conosce la causa dell’affondamento. Si parlò anche di una bomba a orologeria collocata a bordo. Forse quella è stata la prima strage di Stato della storia italiana».All’epoca, l’astuto Cavour era ancora al comando. Sapeva perfettamente che l’Italia neonata avrebbe dovuto vedersela con vicini potentissimi, decisi a dettar legge. Sperava, probabilmente, di tenerli a bada ancora una volta con la sua machiavellica diplomazia, in bilico tra Gran Bretagna e Francia? Se davvero è stato ucciso, come dicono gli inglesi, è probabile che gli autori del complotto temessero che potesse riuscire anche nell’impresa di fare dell’Italia un paese autonomo. Uno Stato pienamente sovrano, non infiltrato e dominato da potenze straniere. I documenti, conclude Fasanella, parlano chiaro: a Londra, la morte di Cavour fu archiviata come omicidio politico. «Era entrato in conflitto con troppi soggetti, italiani e stranieri». Il suo progetto, un’Italia davvero indipendente, sembra dunque sfumato quel giorno, il 6 giugno del 1861, con la pozione letale di cianuro somministrata dal medico personale del primo Re d’Italia. In compenso, i suoi “metodi” sono rimasti. E hanno fatto scuola: nel 1943 gli americani conquistarono la Sicilia con l’aiuto di Lucky Luciano e Calogero Vizzini, mentre a Napoli fu utilizzato Vito Genovese, emanazione della “famiglia” di Carlo Gambino, il boss di Brooklyn. Una storia “sbagliata”, che arriva fino ai mandanti delle stragi impunite e all’esplosivo che disintegrò Falcone e Borsellino.Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.
-
Messora: M5S e vincolo di mandato, vergogna totalitaria
«Se sei un parlamentare di un partito e cambi gruppo politico te ne vai a casa. Te ne vai a casa!», tuona Di Maio dal palco, ignorando che la Costituzione (articolo 67) dichiara che ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Diritto che i 5 Stelle vorrebbero abolire: «Una volontà della prima ora di Gianroberto Casaleggio», scrive Claudio Messora, già comunicatore dei grillini, ora in polemica col movimento. Curiosamente, aggiunge, proprio questa modifica alla Costituzione (che dunque non è più sacra e inviolabile) è una delle due proposte di legge più votate dagli iscritti. L’altra è il ripristino delle case chiuse, mentre le proposte serie, come quelle che «mirano all’uscita dall’euro», sono «giudicate inammissibili dallo staff, oppure spariscono dal web». A prima vista, il vincolo di mandato può sembrare “cosa buona e giusta”. «E inizialmente ne ero convinto anch’io», ammette Messora sul suo blog, “ByoBlu”. «Ma lo sembra solo fintantoché pensiamo a Razzi e a Scilipoti, cioè a qualcuno che di sua spontanea volontà abbandona un gruppo parlamentare per “cambiare casacca”».Cosa succede invece se un parlamentare viene espulso dal suo gruppo politico contro la sua volontà? Molti 5 Stelle sono stati cacciati con espulsioni di massa, 20 solo al Senato: «Alcune di queste sono state condotte con procedimenti sommari, privi del più elementare diritto di difesa, argomentate attraverso l’uso di una retorica di parte al fine di nascondere le reali motivazioni dell’espulsione e di ottenere una legittimazione basata su un plebiscito popolare similmente a quanto avveniva durante le fasi dell’annessione al Regno d’Italia o ai tempi del fascismo». Prova ne è che alcuni parlamentari hanno tentato di fare ricorso contro queste decisioni: il “cambiamento di casacca”, per alcuni, «non era certamente voluto, ma subito con dolore». Ma un parlamentare viene messo alla porta perché ha violato le regole, i principi, i valori del gruppo, oppure «viene fatto fuori perché era diventato scomodo, avendo visto quegli stessi principi calpestati proprio da quel gruppo che, per togliersi di mezzo un rompiscatole scomodo, lo espelle?». La legge della maggioranza è un’arma a doppio taglio: «E’ buona finché la maggioranza è buona, ma è cattiva quando ad essere buona è rimasta solo la minoranza».E qui, continua Messora, entra in gioco il “divieto imperativo di mandato”, che è presente in tutte le democrazie tranne il Portogallo, Panama, il Bangladesh e l’India. La forza dell’autonomia del singolo parlamentare? Può sempre ribellarsi al suo governo, al suo partito, se si accorge che è caduto nelle mani di un’oligarchia che opera contro l’interesse collettivo, tradendo l’ispirazione politica iniziale. Che succede se invece al parlamentare non è più consentito il dissenso? Viene espulso, allontanato Parlamento e sostituito con altri parlamentari, più compiacenti: «Si apre la strada, cioè, alla dittatura di pochi». Basta un gruppo dirigente deciso a impossessarsi del vertice del partito. Al contrario, l’assenza di vincolo di mandato garatisce al parlamentare la libertà di agire secondo coscienza, rifiutandosi di votare leggi che gli paiono inaccettabili, a prescidere dal colore politico del governo che le propone. «Una tutela per la democrazia – riconosce Messora – che i padri costituenti avevano introdotto, memori dell’esperienza del fascismo». Misura sulla quale, peraltro, nel 2010 lo stesso Grillo era d’accordissimo. «Chi è eletto risponde ai cittadini, non al suo partito», diceva, citando proprio l’articolo 67 della Costituzione, che esclude il vincolo di mandato.Certo, è una tutela che consente allo “scilipotismo” di manifestarsi, ma è ancora in grado di preservare la forma democratica, continuando a tutelare gli interessi originari in base ai quali il parlamentare era stato eletto, all’occorrenza aderendo o creando un nuovo raggruppamento parlamentare che coincida con quegli stessi valori. Una garanzia che evita di degradare il Parlamento a «ostaggio di un regime totalitario». Oggi più che mai, l’abolizione del vincolo di mandato «accentua il rischio della selezione di una classe dirigente prona ai voleri del padrone, che – per il suo proprio interesse, ovvero per conservare quella poltrona tanto vituperata a parole – accetta l’ubbidienza totale in cambio del mantenimento dello status di parlamentare». Ma a quel punto, aggiunge Messora, «a cosa serve avere un Parlamento se tutti i parlamentari di una intera forza politica sono vittima dello schiaffo di una dirigenza di partito? Tanto varrebbe allora ci fosse un solo parlamentare: il segretario di quello stesso partito, in rappresentanza di tutti, che magari fa le leggi insieme ai soli segretari degli altri partiti. Immaginate cosa avrebbero potuto fare Renzi e Berlusconi, al tempo del Pdl, se in Italia la Costituzione non vietasse il vincolo di mandato: avrebbero sostituito tutti i parlamentari che dissentivano con la loro volontà di riforma del paese, mettendone al loro posto altri pronti a votare sempre e solo sì, magari in cambio di soldi».Due sole persone, massimo tre, avrebbero già cambiato la Costituzione da tempo. E forse, continua Messora, non si sarebbe neanche trovato il numero di parlamentari necessari a chiedere un referendum confermativo, per cui adesso non ci sarebbe nessun tour per spiegare le ragioni del “No”. «Il problema dei cambi di casacca effettivamente c’è, ma non si risolve smantellando le norme costituzionali poste a baluardo dell’avvento dei regimi». Il problema vero? La selezione dei candidati: che dev’essere accurata, non come quella (online) effettuata dal M5S. E poi, una volta eletti, i parlamentari dovrebbero accettare di essere sottoposti a critiche senza sconti, non “perdonati” dai militanti in ogni caso, «quasi che si facesse parte di una famiglia i cui membri vanno difesi anche quando sbagliano». Tocca ai cittadini, innanzitutto, vigilare sugli eletti: stanno facendo il loro dovere, per il bene della nazione? «Se i cittadini sentissero di appartenere a un’unica squadra e la smettessero di dividersi e farsi dividere, secondo la vecchia strategia del “divide et impera” – conlude Messora – allora per la politica e per i demagoghi non ci sarebbe più alcun spazio di manovra, se non quello di essere costretti a perseguire un bene superiore. Il che rappresenta il vero, autentico “vincolo di mandato”».«Se sei un parlamentare di un partito e cambi gruppo politico te ne vai a casa. Te ne vai a casa!», tuona Di Maio dal palco, ignorando che la Costituzione (articolo 67) dichiara che ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Diritto che i 5 Stelle vorrebbero abolire: «Una volontà della prima ora di Gianroberto Casaleggio», scrive Claudio Messora, già comunicatore dei grillini, ora in polemica col movimento. Curiosamente, aggiunge, proprio questa modifica alla Costituzione (che dunque non è più sacra e inviolabile) è una delle due proposte di legge più votate dagli iscritti. L’altra è il ripristino delle case chiuse, mentre le proposte serie, come quelle che «mirano all’uscita dall’euro», sono «giudicate inammissibili dallo staff, oppure spariscono dal web». A prima vista, il vincolo di mandato può sembrare “cosa buona e giusta”. «E inizialmente ne ero convinto anch’io», ammette Messora sul suo blog, “ByoBlu”. «Ma lo sembra solo fintantoché pensiamo a Razzi e a Scilipoti, cioè a qualcuno che di sua spontanea volontà abbandona un gruppo parlamentare per “cambiare casacca”».
-
Galloni: economia per noi, non contro. Politici, dove siete?
Il baratro: le banche, i mercati e la finanza. Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio. Oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.Perché non lo si fa? Perché significherebbe avere piena occupazione e aumento dei salari, la gente non sarebbe più asservita e dunque un mondo rispetto al quale il vecchio modo di governare, basato sulla soggezione della gente, non funziona più e salta. Le soluzioni all’attuale crisi economica ci sono ma comportano un’emancipazione delle popolazioni, un aumento alla partecipazione democratica, il ripristino della classe media al posto della categoria dei cittadini-sudditi. Oggi la gente è disperata: non trova lavoro, non riesce a pagare il mutuo, ha paura di quello che può accadere al primo imprevisto. E sta buona. Senza questa sottomissione economica le classi dirigenti andrebbero in crisi: e come facciamo noi a sopravvivere?, si chiedono i parassiti. I poteri forti esistono e dominano perché non c’è una classe politica degna di questo nome. Quando ci sono i Roosevelt, i Kennedy, i Moro, i Mattei, è chiaro che questi poteri occulti hanno meno peso e importanza. Attraverso gli squilibri finanziari, monetari e bancari mantengono il controllo sulla formazione delle stese classi dirigenti che poi vanno formalmente a governare i paesi.Si potrebbe ancora rovesciare il tavolo delle regole, forse. Ad esempio autorizzando i disavanzi dei paesi in funzione del tasso di disoccupazione e non di parametri finanziari decisi chissà dove e come. Ma certo non lo può fare questa Unione Europea e le istituzioni che sono parte del problema. Perché sono lontanissime e tendenzialmente ostili a favorire la consapevolezza delle masse che un certo meccanismo si è rotto. E tendono a tamponare le situazioni per mantenere lo status quo. Le democrazie che guidano sono in crisi perché non sono riuscite a stabilire la differenza tra cittadino e suddito. Per ristabilirla, serve recuperare sovranità e capire quale è il modello economico oggi sostenibile. Ritengo che sia arrivato il momento di infrangere dei tabù e di tentare politiche opposte, di aumento dei salari e della spesa pubblica in disavanzo, di riconoscere la sostenibilità dei rendimenti negativi una volta si sia capito che credito e moneta sono a costo zero non hanno bisogno di copertura ma solo di stimolare la produzione di quei servizi necessari alla comunità di cui si dice erroneamente che mancano i soldi.Abbiamo il debito pubblico alle stelle? E’ vero. Ma su questo si deve fare un ragionamento finalmente vero e più onesto. Quando andiamo in banca ad accendere un mutuo ci viene concessa una somma fino a cinque volte il nostro reddito annuale. Il reddito di un paese è il prodotto interno lordo, ma il debito va paragonato al patrimonio che è di gran lunga superiore. Questa idea per cui siamo appesi ai conti economici delle entrate e delle uscite è una mistificazione che comprime le possibilità di sviluppo e di piena occupazione. Il 5 Stelle? Oggi coltiva l’ambizione del governo e questo sdoppia la sua matrice. Da una parte continua la deriva positiva degli anti-sistema al grido “onestà-onestà”, dall’altra una crescente propensione ad accreditarsi come referenti affidabili, anche presso i consessi internazionali. Ecco, se prevalesse la logica del “vedete, siamo bravi ragazzi” temo che anche mettendo a disposizione le mie ricette non cambierebbe nulla.(Nino Galloni, sintesi delle dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per l’intervista “Possiamo farcela senza l’Europa”, pubblicata su “Byoblu” l’8 luglio 2016).Il baratro: le banche, i mercati e la finanza. Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio. Oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.
-
I tedeschi: fuori dall’euro la Germania crolla (e l’Italia vola)
Theo Waigel è stato per dieci anni Ministro delle Finanze di Helmut Kohl. Il 21 giugno scorso ha rilasciato un’intervista a “T-Online”. Questo è un frammento delle sue dichiarazioni. Intervistatore: «I sondaggi sull’uscita dalla Ue mostrano che se si chiedesse ai francesi e ad altri, vincerebbe chi vuole uscire, con uno scarto minimo. Secondo lei da dove viene questa disaffezione per l’Ue?». Theo Waigel: «Al grado di sviluppo della globalizzazione e dei mercati aperti cui siamo arrivati – che non è più reversibile – ci sono forze che si oppongono, sostenendo la necessità di ritornare ai confini e alle regolamentazioni nazionali, che prima funzionavano bene, per tornare ad appropriarsi delle proprie capacità decisionali». E cosa gli si può rispondere? Waigel: «Gli si può rispondere in modo del tutto chiaro quali svantaggi ne scaturirebbero. Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco – che tornerebbe nuovamente in circolazione. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale».L’euro conviene alla Germania, ecco perché ci restiamo dentro. Va da sè che se il marco diventasse sconveniente, la lira diventerebbe conveniente per i mercati, per gli investitori e per i consumatori. Queste cose i commentatori nazionali non ve lo dicono. Queste notizie ai telegiornali non passano. Per chi lavora la stampa italiana? Per chi lavora la politica italiana? Per l’Italia o per Berlino? Se lavorasse per gli italiani, interviste come queste sarebbero in prima pagina su tutti i quotidiani, in luogo dello spettro dell’inflazione, e la gente inizierebbe a trarne le conclusioni. In Germania, invece, non si fanno problemi a dirlo con chiarezza. Anche perché hanno interessi opposti. Ci fu anche un pezzo dello “Spiegel Online”, che io riportai puntualmente sul blog, datato 13 giugno 2012 (ben 4 anni fa), che lo disse con altrettanta chiarezza:«Con un’uscita dall’euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora. Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei. E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda. Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative. Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro».(“Ministro delle finanze tedesco: se uscite dall’euro la Germania crollerà”, dal blog “Byoblu” di Claudio Messora del 9 luglio 2016).Theo Waigel è stato per dieci anni ministro delle finanze di Helmut Kohl. Il 21 giugno scorso ha rilasciato un’intervista a “T-Online”. Questo è un frammento delle sue dichiarazioni. Intervistatore: «I sondaggi sull’uscita dalla Ue mostrano che se si chiedesse ai francesi e ad altri, vincerebbe chi vuole uscire, con uno scarto minimo. Secondo lei da dove viene questa disaffezione per l’Ue?». Theo Waigel: «Al grado di sviluppo della globalizzazione e dei mercati aperti cui siamo arrivati – che non è più reversibile – ci sono forze che si oppongono, sostenendo la necessità di ritornare ai confini e alle regolamentazioni nazionali, che prima funzionavano bene, per tornare ad appropriarsi delle proprie capacità decisionali». E cosa gli si può rispondere? Waigel: «Gli si può rispondere in modo del tutto chiaro quali svantaggi ne scaturirebbero. Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco – che tornerebbe nuovamente in circolazione. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale».
-
Magaldi: Isis e austerity, doppia impostura e identici registi
Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).Loro, gli uomini del clan fondato dai Bush all’epoca dell’elezione di Reagan, avrebbero organizzato il disastro dell’11 Settembre. E oggi serebbero alle prese col nuovo copione del terrore, quello del Califfato. Per questo non bisogna mai credere all’Uomo Nero, aggiunge un altro massone, Gianfranco Carpeoro, schierato con Magaldi nel “Movimento Roosevelt”, associazione sorta per “risvegliare alla verità” la politica italiana (clamorosa la proposta, rivolta al Movimento 5 Stelle, di candidare a sindaco di Roma un valoroso combattente della democrazia come il grande economista Nino Galloni). L’Uomo Nero – ieri Bin Laden, oggi Al-Baghdadi – è sempre una creazione “magica” del potere: «Il loro obiettivo – ricorda Carpeoro a “Border Nights”, trasmissione radio via web – è sempre lo stesso: indurci a odiare il “nemico” di turno, anziché il sistema che l’ha prodotto». Ma l’Uomo Nero, per farci paura, ha bisogno di vaste coperture: politiche, diplomatiche, industriali, militari, finanziarie, mediatiche. I cosiddetti poteri forti. Attenzione, avverte Magaldi: non si tratta di una semplice élite di potere. I grandi burattinai sono tutti massoni, affiliati a superlogge segrete internazionali. E convinti che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi. Solo loro, gli “eletti”, auto-promossi in una sorta di “aristocrazia spirituale”, si credono in grado di stabilire cos’è bene e cos’è male.Sono gli uomini come il “venerabile” Mario Draghi, che Magaldi chiama “contro-iniziati”, cioè traditori della missione massonica originaria: “libertè, egalitè, fraternitè”, ideali su cui le logge del ‘700 basarono la storica guerra sotterranea contro l’assolutismo monarchico, innescando la Rivoluzione Francese e quella americana, quindi i Risorgimenti dell’800 e le grandi rivoluzioni del ‘900, compresa quella russa. Magaldi l’ha ripetuto in una lunga video-intervista che Claudio Messora ha realizzato e pubblicato sul seguitissimo blog “Byoblu”, vicino all’area grillina. Un’ora di rivelazioni a catena, per spiegare (anche) la candidatura romana di Galloni: «Se fosse eletto sindaco della capitale, esordirebbe con un gesto necessario e dirompente: la rottura del “patto di stabilità” che costringe artificiosamente gli enti pubblici a deprimere la spesa, mettendo in sofferenza i cittadini, non in nome di criteri economici ma solo di diktat ideologici imposti da quell’élite oligarchica che vuole semplicemente la fine della democrazia». L’autore di “Massoni” cita il politologo statunitense John Rawls e la sua “teoria della giustizia”: nulla in contrario alla ricchezza, se sudata, purché nella società non restino persone senza reddito, senza il diritto a un’esistenza dignitosa. Diritto al lavoro, da inserire nella Costituzione: «Oggi serve un’alta autorità deputata alla creazione della piena occupazione, in Italia», ben sapendo che la crisi – rigore, austerity, disoccupazione – è stata espressamente voluta: il bisogno e la paura del futuro trasformano i cittadini in sudditi, secondo la visione neo-feudale dell’élite dominante.Era un massone, Rawls, e purtroppo lo era anche Robert Nozick, il teorico dello “Stato minimo”: tagli drastici alla spesa sociale, come raccomandato anche dalla scuola austriaca, quella di Friedrich Von Hayek, altro massone, punto di riferimento di un esponente nostrano della massoneria neo-oligarchica, Mario Monti. Proprio la “libera muratoria”, insiste Magaldi, è il convitato di pietra dei nostri giorni: benché assente, clamorosamente, dalla storiografia, la massoneria ha letteralmente “fatto la storia”, creando le basi della modernità (democrazia, elezioni, Stato di diritto), e poi ha partorito un’élite di potere di segno opposto, reazionario, che ha dominato gli ultimi decenni. Un’élite di rinnegati e “contro-iniziati”, appunto: «Tradiscono l’ispirazione umanitaria della massoneria storica, che ha conferito ad ogni singolo cittadino, prima la prima volta, una quota di sovranità: prima non esistevano cittadini, ma solo sudditi, esposti all’arbitrio del monarca». Se non ci si decide a riconoscere finalmente il ruolo positivo e decisivo della “libera muratoria” come leva dello sviluppo civile democratico, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo promossa da Eleanor Roosevelt, è impossibile capire fino in fondo chi abbiamo di fronte oggi, insiste Magaldi: è fondamentale la matrice massonica del nuovo super-potere, quello delle Ur-Lodges apolidi e affaristiche, pronte a manipolare la storia sociale del mondo in nome delle proprie convinzioni iniziatiche, corrotte dal suprematismo neo-aristocratico.Enorme, comunque, anche tra i commenti sul blog di Messora, la diffidenza nei confronti di Magaldi e della massoneria in generale. «In materia, in Italia, c’è un’ignoranza abissale», ammette lo stesso Magaldi, che nel suo libro denuncia il ruolo di Gelli e della P2 come longa manus della superloggia reazionaria e golpista “Three Eyes”, quella di Kissinger, a cui sarebbe stato affiliato anche Giorgio Napolitano. In polemica col “Grande Oriente d’Italia”, Magaldi ha condotto una battaglia per la trasparenza, fondando il “Grande Oriente Democratico”. Poi ha concepito il progetto editoriale “Massoni”, per scuotere le acque, affiliandosi anche alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Il “Movimento Roosevelt” è l’ultima creatura, apertamente politica, per contrastare l’emergenza attuale, fondata sull’artificio ideologico del rigore. Non è casuale, ovviamente, il richiamo al grande presidente americano: «Quando gli Usa agonizzavano, in preda alla Grande Depressione, il repubblicano Hoover condusse la sua campagna elettorale nel silenzio imbarazzato del suo stesso partito: nessuno più credeva alla ricetta dell’austerity, ed era il 1929. La riscossa venne proprio dal massone Roosevelt, grazie al genio economico di un altro massone, John Maynard Keynes, l’uomo della spesa pubblica espansiva: solo lo Stato ha il potere di risollevare le sorti dell’economia. A loro, l’Europa deve lo sviluppo e la prosperità del dopoguerra».Grandi personaggi, leader storici indiscussi, di cui però viene sempre regolarmente omessa l’appartenenza massonica. Un “buco nero” a cui probabilmente ha contribuito la massoneria stessa, con la sua tradizionale riservatezza, ereditata dall’epoca in cui gli inventori della democrazia rischiavano il cercere e la forca. Oggi la massoneria torna a fare notizia, ma generalmente in negativo: sinonimo di potere occulto, di network deviato e pericoloso. «Io sono orgogliosamente massone», protesta Magaldi, «e, come me, tanti “fratelli”, in Italia e nel mondo, decisi a contrastare questa leadership egemonica nefasta». Grande complotto, da parte dei neo-aristocratici? L’autore di “Massoni” preferisce parlare di “progetto”: «E’ comprensibile che, chi ha creato la modernità, pensi di poterla pilotare a suo piacimento. Comprensibile, ma sbagliato: il potere deve assolutamente e rapidamente tornare al popolo, per via democratica. E questo, anche se i libri di storia non lo spiegano, è un orientamento non soltanto giusto, ma anche profondamente massonico, nonostante il pessimo esempio fornito dai contro-iniziati come Draghi e Monti». Il viaggio di Gioele Magaldi continua, come le tappe della presentazione del suo libro, oscurato dai media mainstream. «Lei non ha paura?», gli domanda Messora. «Ricevo minacce di morte, ma vado avanti», assicura Magaldi, deciso a completare la missione: strappare il velo che ci impedisce di vedere che i burattinai dell’Isis e quelli dell’austerity europea sono le stesse persone.Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).
-
Nino Galloni sindaco di Roma: troppo bello per essere vero?
«Carissimi, vi giro un link del Movemento Roosevelt (MR) in cui si fa una proposta diretta al M5S per la candidatura a sindaco di Roma. La proposta è un po’ “arrogante” ma il candidato, Nino Galloni, appare di elevato livello», scrive Filippo Ridolfi, il 29 novembre, sul forum del blog di Grillo. «Puoi dire al MR di andare a fare in c***», chiarisce il grillino Massimiliano Morosini. A un altro iscritto, “Gnam Gnam”, il nome Galloni non dice granché: «Vediamo un po’. Uhm, non trovo il curriculum del tizio». Un quarto attivista, “Filippo”, s’illumina: «Ahah… ho visto anche un “Passaparola” di Beppe con Galloni». Sdoganato, quindi, il grande economista? Macché: «Preferisco Virginia Raggi», chiosa “Ste”, alludendo alla giovane avvocatessa grillina «sbarcata in Campidoglio nel 2013 col vento del grillismo per occuparsi di stanziamenti per il verde pubblico», come scrive “Linkiesta”. La Raggi? «Un po’ di lavoretti da cameriera e baby sitter, il volontariato nei canili. Oggi è avvocato civilista esperta diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie. Se prendesse il posto di Marino sarebbe il primo sindaco donna nella storia della Capitale». E Galloni?La “pazza idea” di candidare a Roma l’insigne economista progressista, già alto funzionario governativo – protagonista di una battaglia sotterranea per salvare l’Italia dal disastro del Trattato di Maastricht – proviene dal movimento fondato da Gioele Magaldi, massone e autore del dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere) che denuncia i misfatti di alcune Ur-Lodges, fra le 36 superlogge segrete ai vertici del potere mondiale, negli ultimi decenni alle prese con la svolta oligarchica che ha imposto la grande crisi alle masse, arricchendo l’élite. Fulcro della grande restaurazione planetaria, il taglio neoliberista dello Stato a vantaggio dei signori del “mercato”: meno spesa pubblica, azzeramento del debito, tassazione alle stelle, crollo del Pil e disoccupazione. Tutto ciò imposto, in Europa, attraverso la scure dell’euro, che Galloni considera un’arma (economica) di distruzione di massa. Tanto era temuto, Galloni, che – ai tempi dell’ultima stagione governativa di Andreotti – spinse il cancelliere Kohl a muoversi, personalmente, perché fosse rimosso. Una battaglia, la sua, per la difesa della sovranità italiana, nella certezza che le modalità di imposizione della moneta unica avrebbero devastato l’economia nazionale, declassandola e deindustrializzandola.Era un piano preciso, ha spiegato Galloni a Claudio Messora, sul blog “Byoblu”: l’euro fu imposto dalla Francia per indebolire la Germania, di cui temeva la riunificazione; in cambio, Berlino pretese (e ottenne) il ridimensionamento del suo concorrente industriale più pericoloso: noi. Questo è il personaggio su cui “Filippo”, “Ste” e “Gnam Gnam” si saranno ormai documentati. Allievo del maggiore economista europeo del dopoguerra, il professor Federico Caffè, e quindi “compagno di banco” di Bruno Amoroso, eminente economista impegnato in Danimarca, e di un certo Mario Draghi, che si laureò con una testi sulla insostenibilità della moneta unica, molto prima di salire sul Britannia per la grande svendita dell’Italia. Riuscirà il Movimento 5 Stelle a prendere in considerazione l’offerta? Galloni collabora col Movimento Roosevelt, che vuole riscrivere le linee-guida della politica (e quindi dell’economia) per aiutare l’Italia a uscire dal disastro. Fine della sudditanza rispetto all’élite finanziaria che manovra Bruxelles? «Ma noi non siamo contro l’euro», dichiarò Gianroberto Casaleggio a Marco Travaglio, giusto alla vigilia delle ultime elezioni europee, segnate dalla squillante affermazione, in tutta Europa, di partiti e movimenti decisi a mettere fine alla catastrofe economica innescata proprio dalla moneta unica, quella che lo stesso Draghi, studente modello, giudicava una follia.«Nino Galloni sindaco di Roma? Magari!», sogna ad occhi aperti Andrea Signini su “Signoraggio.it”, definendo Galloni «grande giurista, nome di punta degli anni Ottanta e Novanta, il cosiddetto “oscuro funzionario” il quale, di contro, tutto è tranne che oscuro, dal curriculum di pregio e dalla profonda conoscenza delle dinamiche dell’economia, della finanza e anche della politica, di cui non ha mai fatto parte se non a richiesta, come professionista interrogato per risolvere i problemi che la politica stessa ha sempre causato». Già ricercatore all’università di Berkeley, tra il 1980 e il 1987 Galloni collaborò strettamente col suo maestro Federico Caffè, economista post-keynesiano, all’università di Roma. In seguito, Galloni ha insegnato economia alla Luiss di Roma, alla Sapienza, alla Cattolica di Milano, negli atenei di Modena e di Napoli. E’ stato direttore generale al ministero del lavoro, ha diretto l’osservatorio sul mercato del lavoro e l’occupazione giovanile, ha lavorato all’Inpdap e all’Ocse, è tra i sindaci dell’Inps e dell’Inail. Ha anche fondato il Centro Studi Monetari, un’associazione per lo studio dei mercati finanziari e delle forme di moneta emettibili senza creare debito pubblico.Galloni punta al ritorno della sovranità finanziaria nazionale e alla netta separazione tra banche d’affari, speculative, e credito pulito al servizio dell’economia reale, com’era prima dell’abolizione del Glass-Steagall Act ad opera di Bill Clinton, che diede la stura definitiva alla roulette finanziaria mondiale, decisa a “pescare” anche nella finanza pubblica. Il dramma risale al 1981, ricorda ancora Galloni, quando Ciampi e Andreatta staccarono il Tesoro da Bankitalia, che fino ad allora era il “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo il paese ad attingere denaro attraverso l’emissione di titoli di Stato. Interessi salatissimi: «Così, di colpo, il debito pubblico italiano raddoppiò». Galloni? «E’ l’uomo giusto al punto giusto», scrive Signini. «Apprezzato da destra a sinistra, dal popolo cosiddetto moderato e quello di nicchia; ma soprattutto ammirato da chi accorre alle sue conferenze; conferenze che tiene in tutta Italia senza mai farsi pagare, ricordiamolo. Nino è così: sobrio nelle scelte, sobrio nel vivere, anche nel vestire. Non giuda Jeep o Ferrari, no. Lo puoi trovare nei consessi internazionali di finanza ed economia e poi il giorno appresso seduto al bar con gli appartenenti di ogni forza politica, di qualsiasi colore e schieramento o a parlare amabilmente con chi lo riconosce e gli chiede consigli e suggerimenti».«Questo è Nino», conclude Signini: Galloni è «l’altro allievo di Federico Caffè, del tutto diverso da Mario Draghi». Con tutta probabilità, «grazie proprio al bagaglio culturale e professionale che ha sviluppato sin dai tempi in cui, dopo essere ritornato dagli Usa per venire ad insegnare nelle università italiane», Nino Galloni «non può che essere colui sul quale scaricare la responsabilità di rifondare Roma», devastata dalle amministrazioni Alemanno e Marino. «Tentare di pescare l’ennesimo nome dal cilindro lercio della politica, sappiatelo, è inutile, oltre che nocivo», assicura Signini: «C’è rimasto solo Galloni». Che ne pensano “Ste”, “Gnam Gnam” e tutti gli altri? E soprattuttto: come la vedono Grillo e Casaleggio? E’ ovvio che una candidatura come quella di Galloni nella capitale rappresenterebbe una rivoluzione copernicana, dopo decenni di politica nazionale affidata a mezze figure prone ai diktat dei “padroni” stranieri, i veri burattinai della “casta” impresentabile contro cui si è scagliato il grillismo prima maniera. La sola candidatura di Galloni, col suo inevitabile contributo culturale, contribuirebbe a scardinare una lunga stagione di menzogne. Mission impossible?«Carissimi, vi giro un link del Movemento Roosevelt (MR) in cui si fa una proposta diretta al M5S per la candidatura a sindaco di Roma. La proposta è un po’ “arrogante” ma il candidato, Nino Galloni, appare di elevato livello», scrive Filippo Ridolfi, il 29 novembre, sul forum del blog di Grillo. «Puoi dire al MR di andare a fare in c***», chiarisce il grillino Massimiliano Morosini. A un altro iscritto, “Gnam Gnam”, il nome Galloni non dice granché: «Vediamo un po’. Uhm, non trovo il curriculum del tizio». Un quarto attivista, “Filippo”, s’illumina: «Ahah… ho visto anche un “Passaparola” di Beppe con Galloni». Sdoganato, quindi, il grande economista? Macché: «Preferisco Virginia Raggi», chiosa “Ste”, alludendo alla giovane avvocatessa grillina «sbarcata in Campidoglio nel 2013 col vento del grillismo per occuparsi di stanziamenti per il verde pubblico», come scrive “Linkiesta”. La Raggi? «Un po’ di lavoretti da cameriera e baby sitter, il volontariato nei canili. Oggi è avvocato civilista esperta diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie. Se prendesse il posto di Marino sarebbe il primo sindaco donna nella storia della Capitale». E Galloni?