Archivio del Tag ‘colonialismo’
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Abbiamo ucciso 400.000 civili: scusate, chi è il terrorista?
L’Occidente si considera una “cultura superiore” (nuovo conio del razzismo, essendo diventato quello classico impresentabile dopo Hitler), ritiene di avere i valori migliori, anzi assoluti, e quindi il dovere morale di imporli, abbattendo dittature, autocrazie, teocrazie e quei Paesi, come l’Afghanistan talebano, dove si pratica l’intollerabile sharia (ma la sharia non c’è anche in Arabia Saudita? E che c’entra? Quelli sono alleati). E vediamola allora, a volo d’uccello, la storia della “cultura superiore”. Dal 1500 al 1700 portoghesi, spagnoli e inglesi si specializzarono nella tratta degli schiavi (la schiavitù era scomparsa da mille anni, col crollo dell’impero romano). Ma nel 1789 arrivò la Rivoluzione francese con i suoi sacri principi: libertè, egalitè, fraternitè. Peccato che l’800 sia stato il secolo del colonialismo sistematico europeo. I “sacri principi” non valevano per gli altri.
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Abbiamo fame: l’Africa in rivolta, nel nome di Sankara
«Abbiamo fame». Semplice gesso bianco su un povero foglio di cartone trasformato in manifesto, dietro al quale spuntano occhi penetranti. Occhi scuri, quelli dell’Africa nera. Che fino a ieri esprimevano urgenze elementari: fame e paura. Da qualche giorno, la paura sta perdendo terreno: gli Uomini Integri, i “puri” burkinabé, sono in rivolta. Come il Maghreb, il Medio Oriente e metà del continente nero. Fame, paura e rabbia: la speculazione finanziaria mondiale gonfia i prezzi del grano e del riso, la corruzione locale frena la distribuzione e le redini del potere sono ancora in mano ai dittatori-stampella dell’Occidente, che ora è sul piede di guerra anche nel Mediterraneo, dove si sta giocando il suo futuro post-coloniale e l’accesso alle risorse strategiche.
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Il bunga bunga siamo noi: sudditi ciechi ridotti a merce
La regina cattiva della favola di Biancaneve oggi direbbe: specchio, specchio delle mie brame, chi è il più ricco del reame? Il bunga bunga è l’estrema propaggine della mercificazione cui tutti siamo stati trascinati a viva forza. La società umana è da tempo divenuta mero accessorio del sistema economico, anzi, società e mercato sono ormai la stessa cosa. E poiché questo sistema è dominato dal denaro, ecco che ogni individuo, e gli individui tutti insieme, cioè la società, è ora funzione del denaro. Uomini e donne, donne e uomini, la natura intera, l’acqua, l’aria, sono diventati merce.
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Il sud del mondo rivuole quel che gli abbiamo rubato
Rivoluzione democratica del mondo arabo? Per favore, chiamiamo le cose col loro nome: non è che i maghrebini e i mediorientali vogliano “finalmente” anche per sé la “nostra” magnifica democrazia liberale; svegliati da Internet e dalla tv satellitare, che rivela i nostri standard di vita, ora pretendono semplicemente che le loro vaste ricchezze siano resitituite e condivise, sottratte all’indegna custodia di dittature e satrapie che hanno finora sequestrato e derubato interi popoli per spartire il bottino petrolifero tra pochi intimi, a tutto vantaggio del business privilegiato occidentale. Restituzione del maltolto: questa la chiave del terremoto in corso, secondo lo storico Franco Cardini. Terremoto che parte dal Maghreb ma potrebbe coinvolgere l’intera Africa.
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Gheddafi è spacciato: ora le sue tribù gli muovono guerra
Gheddafi non ha scampo: potrà solo prolungare l’agonia e far dilagare la strage fino al genocidio, ma la sua sorte è segnata. Lo hanno decretato gli anziani delle “tribù della montagna”, i cui giovani miliziani stanno ora cingendo d’assedio il dittatore furente. Lo afferma lo storico Angelo Del Boca, grande studioso del colonialismo italiano. Facendo sparare sulla folla, Gheddafi ha commesso l’ultimo errore fatale, spingendo anche i veterani del regime ad abbandonarlo, come dimostrano le defezioni a valanga, a tutti i livelli: politici, militari e diplomatici. E’ questione di ore o di giorni, ma il Colonnello è finito: tutti i maggiori clan libici si stanno armando per l’assalto finale al bunker di Tripoli.
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Rivolta, il riscatto degli ex schiavi: la profezia di Sankara
Tra i preziosi servigi che nel corso della sua lunghissima e controversa carriera Muhammar Gheddafi avrebbe reso all’Occidente, c’è chi aggiunge un omicidio particolarmente eccellente: quello del capitano Thomas Sankara, presidente rivoluzionario del Burkina Faso, assassinato a freddo il 15 ottobre 1987 nel suo ufficio nella capitale Ouagadougu dopo che tre mesi prima aveva coraggiosamente ribadito, alla Conferenza panafricana di Addis Abeba, la volontà di guidare la lotta nonviolenta dell’Africa per la cancellazione del debito. «Non dobbiamo restituire proprio niente», disse Sankara: «Abbiamo già dato tutto, anche il sangue». Mancava, appunto, il suo. «Se resterò solo in questa richiesta – aggiunse, con una battuta tragicamente profetica – l’anno prossimo non sarò più qui a questa conferenza».
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Obama, l’Egitto e la dura legge imposta da Israele
Hosni Mubarak è un signore di 82 anni. Le manifestazioni di questi giorni hanno dimostrato, poi, quanto il popolo egiziano lo ama. Facendo queste due semplici considerazioni, ieri sera il presidente degli Stati Uniti ha fatto un discorso in cui ingiunge, con fare piuttosto autoritario, a Hosni Mubarak a fare delle “riforme” e a “dialogare” con il popolo. Questo non vuol dire mandare via Hosni Mubarak dopo 30 anni di fedele servizio; ma è una bella bacchettata a un impiegato che non ha saputo fare il suo mestiere. Così, quando Hosni Mubarak se ne andrà, o in Arabia Saudita o direttamente in Paradiso, la colpa non sarà data agli Stati Uniti.
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Sankara, l’eroe che denunciò l’impostura mondiale
Anche se per Leibniz il nostro è il migliore dei mondi possibili, viene il sospetto che non sia così facile immaginarne uno peggiore. Basta sfogliare i giornali: l’ambasciatore Usa che racconta a Washington come il governo di Roma si impegnò a insabbiare la verità sull’omicidio Calipari, la setta dei 9 super-banchieri che da Wall Street decidono la vita e la morte di governi, popoli e destini e, nel nostro piccolo, lo spettacolo offerto dal governo “ad personam” che, mentre organizza traslochi di parlamentari, discute su come limitare l’accesso alle manifestazioni di piazza, magari sbattendo in galera gli avversari. Servirebbe una rivoluzione, disse Mario Monicelli, un anno prima di suicidarsi. C’è chi la fece davvero, la rivoluzione, e neppure tanti anni fa. Osò sfidare il potere mondiale: e per questo fu puntualmente assassinato.
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Sankara: la mia rivoluzione si chiamava felicità
«La nostra rivoluzione avrà valore solo se, guardando intorno a noi, potremo dire che i Burkinabé sono un po’ più felici grazie a essa. Perché hanno acqua potabile e cibo abbondante e sufficiente, sono in splendida salute, perché hanno scuola e case decenti, perché sono meglio vestiti, perché hanno diritto al tempo libero; perché hanno l’occasione di godere di più libertà, più democrazia, più dignità. La rivoluzione è la felicità. Senza felicità, non possiamo parlare di successo». Così Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, definiva il senso della sua azione, tredici giorni prima del colpo di stato del 15 ottobre 1987 nel corso del quale sarebbe stato assassinato.
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Sankara: le idee non si possono uccidere
«Sankara era ben cosciente di questo sistema, che oggi chiamiamo globalizzazione, che permette a poche famiglie, trecento o quattrocento, di controllare quasi tutto», afferma Alex Zanotelli, instancabile alfiere dei diritti dell’Africa, ricordando il sacrificio del leader popolare del Burkina Faso, assassinato nel 1987 pochi mesi dopo il celebre discorso alla conferenza di Addis Abeba per la cancellazione del debito del terzo mondo: «Se il Burkina Faso resterà solo in questa richiesta – disse – io l’anno prossimo non sarò qui più a questa conferenza». Lo aveva detto chiaramente: protesta non-violenta, altrimenti «ci elimineranno fisicamente». Così è stato, anche se Sankara non mai tradito la vocazione non-violenta della sua missione politica: liberare l’Africa dalla schiavitù del neo-colonialismo finanziario.
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Sankara: rivoluzione, ribellarsi ai vampiri della crisi
Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci avevano prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa coi finanziatori internazionali che erano i nostri fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito, quindi non possiamo pagare. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici. Anzi, dovremmo dire: assassini tecnici.
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Assalto all’Africa: terra e acqua per cibo e biofuel
Terra e acqua, da strappare agli africani per ottenere cibo e biofuel, a basso costo: l’Africa è la terra più economica al mondo. Per saziarsi, ora le imprese straniere vanno a caccia di giganteschi appezzamenti in tutto il continente nero, sottraendoli all’economia locale. Commercianti internazionali, banche, fondi finanziari, industrie, importatori di materie prime, piccoli investitori: una “febbre di terra” di reminiscenza coloniale, provocata dalla crescente domanda mondiale di alimenti, dopo il forte aumento del petrolio nel 2008, la crescente scarsità d’acqua e l’insistenza dell’Unione Europea a incrementare al 10% la quota del bio-combustibile.