Archivio del Tag ‘commissariamento’
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Renzi, l’azzardo: negare a Conte i pieni poteri sul Recovery
Stavolta Matteo Renzi vestirà i panni del Rottamatore, mandando il mal sopportato Conte, o invece indosserà quelli del Bomba, che la spara grossa ma poi non esplode mai il colpo mortale? Se lo domanda il direttore di “Libero”, Pietro Senaldi, di fronte all’escalation polemica di Renzi nei confronti di Conte, anche all’indomani del voto sul Mes al quale si sono piegati i grillini, tradendo anche l’ultima delle loro promesse (ostacolo superato in aula anche grazie alle provvidenziali assenze dei parlamentari di Forza Italia). Ricapitolando: sarà Renzi a licenziare Conte? «La politica gira intorno a tale amletico interrogativo, e ormai lo farà almeno fino a gennaio inoltrato». Prima di allora, ricorda Senaldi, c’è da approvare la legge di bilancio, evitare figuracce in Europa e tenere gli italiani in casa a Natale, scopo per il quale è necessario che la maggioranza conservi un minimo di contegno. «Se si fa vedere infatti ai cittadini che i governanti pensano prima alle beghe loro che al paese, poi chiedere e ottenere rigore e disciplina dalla gente diventa complicato». Conte è volato a Bruxelles forte del successo incassato alle Camere, «dove quasi tutto il gregge è rientrato all’ovile: i voti dei grillini dissidenti sono stati ampiamente compensati dalle assenze tattiche dei berlusconiani, più numerose dei parlamentari pentastellati anti-governo».Dopo che i 5 Stelle hanno approvato persino il Mes, «il trattato Ue contro il quale hanno combattuto da sempre, è ancora più evidente che i problemi al premier non verranno dalla banda di Di Maio, bensì dai renziani». Anche Italia Viva ha votato il sì al trattato, consentendo a Conte di «portare in dono alla Merkel e l’ennesimo atto di sottomissione dell’Italia». Ma non è sul Mes che Renzi gioca la sua partita, charisce Senaldi: quello che interessa all’ex premier (e anche al Pd) è sapere chi gestirà i soldi del Recovery Fund per la ripartenza post-Covid. «Si parla di 209 miliardi, anche se 87 in realtà sono già spariti», perché il governo ha deciso di destinarli a progetti già in cantiere, che inizialmente si pensava di finanziare coi titoli di Stato. «Saranno pagati dal Recovery, in un’operazione che sostituisce il debito con il mercato con quello con la Ue». La torta resta comunque ghiotta, osserva Senaldi: ed è normale, come predisse il vicepresidente del Pd, Orlando, che in tanti ci vogliano mettere le mani. «Quelle più lunghe e rapaci appartengono al premier», sostiene sempre il direttore di “Libero”. «Giacché non si fida, né umanamente né tecnicamente, della maggioranza che lo sostiene, Conte vuol gestire il malloppo come una sorta di monarca».Conte infatti vorrebbe agire in solitaria, «coadiuvato da sei viceré di sua nomina e un codazzo di trecento esperti, tutti rigorosamente fuori dai partiti, i quali sarebbero rappresentati solo dai ministri economici Gualtieri (Pd) e Patuanelli (M5S) nel ruolo di attendenti del grande capo». Ovvio che Renzi si ribelli: le sue ministre minacciano le dimissioni. «Ma lui stesso si è speso, riservando al premier l’insulto per lui peggiore, quello di voler fare come Salvini, mirando ai pieni poteri». La questione, ora – aggiunge Senaldi – è se il Rottamatore terrà il punto o, come fatto altre volte, lascerà che lo scontro finisca a tarallucci e vino. «L’intenzione del premier di risolvere il problema con un accordo di massima per presentarsi dalla Merkel con una situazione di pace è franata». Il braccio di ferro si annuncia ancora lungo: «L’avvocato pugliese vuole escludere i partiti perché teme l’immobilismo. La maggioranza sta in piedi con lo scotch, unita solo dal timore del voto anticipato. Sconta il peccato originale di essere nata non da un progetto politico comune, ma solo come un’alleanza di fortuna per fermare il centrodestra. Conte ne ha beneficiato, ma ora ne paga il prezzo: l’immobilismo che lo ha retto, adesso lo affonda».Circola con insistenza «la voce che sia stata l’Europa, a indirizzarlo verso la scelta dei super-commissari che di fatto esautorano Parlamento e governo». Ed è proprio per questo – ragiona Senaldi – gli è difficile tornare indietro: «Anche perché, se lo fa, si mostra ai partiti debole come non mai». Dall’altra parte c’è Renzi, «che dopo essersi inventato il Conte-bis non può accettare di fare solo lo spettatore». L’ex premier conosce le piaghe dove rigirare il coltello: «Denuncia le forzature della Costituzione operate dal presidente del Consiglio in senso autoritario ed è tornato aggressivo nell’inchiodare Palazzo Chigi alle sue responsabilità nella disorganizzazione con la quale è stata gestita la pandemia. È arrivato anche ad accusare il capo dell’esecutivo di spargere terrore tra la gente, attraverso i suoi scienziati di fiducia, al Comitato Tecnico Scientifico e fuori». Tutte argomentazioni sensate, osserva Senaldi, che non a caso arrivano ora: evidentemente, il leader di Italia Viva non crede alle ventilate minacce di un voto anticipato, in caso di crisi di governo. E’ convinto che, piuttosto che portare l’Italia alle urne, alla fine il capo dello Stato sarebbe disposto ad accettare soluzioni abborracciate.Stavolta Matteo Renzi vestirà i panni del Rottamatore, mandando il mal sopportato Conte, o invece indosserà quelli del Bomba, che la spara grossa ma poi non esplode mai il colpo mortale? Se lo domanda il direttore di “Libero“, Pietro Senaldi, di fronte all’escalation polemica di Renzi nei confronti di Conte, anche all’indomani del voto sul Mes al quale si sono piegati i grillini, tradendo anche l’ultima delle loro promesse (ostacolo superato in aula anche grazie alle provvidenziali assenze dei parlamentari di Forza Italia). Ricapitolando: sarà Renzi a licenziare Conte? «La politica gira intorno a tale amletico interrogativo, e ormai lo farà almeno fino a gennaio inoltrato». Prima di allora, ricorda Senaldi, c’è da approvare la legge di bilancio, evitare figuracce in Europa e tenere gli italiani in casa a Natale, scopo per il quale è necessario che la maggioranza conservi un minimo di contegno. «Se si fa vedere infatti ai cittadini che i governanti pensano prima alle beghe loro che al paese, poi chiedere e ottenere rigore e disciplina dalla gente diventa complicato». Conte è volato a Bruxelles forte del successo incassato alle Camere, «dove quasi tutto il gregge è rientrato all’ovile: i voti dei grillini dissidenti sono stati ampiamente compensati dalle assenze tattiche dei berlusconiani, più numerose dei parlamentari pentastellati anti-governo».
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Klaus Regling, tedesco: l’uomo del Mes controllerà l’Italia
In principio doveva essere un boccone amaro, indigeribile e da respingere con tutte le forze. Una buona fetta degli esponenti del Movimento 5 Stelle, presto rinominati “i ribelli”, era pronta a issare barricate e muovere pericolose guerre intestine a costo di respingere il Meccanismo Europeo di Stabilità. Invece, ecco il sì alla riforma del Mes, decisa all’ultimo Eurogruppo, con il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, pronto a rassicurare gli animi degli alleati di maggioranza. Gualtieri ha provato a spiegare che il via libera alla riforma del Mes non significa automaticamente un suo utilizzo, visto che «la riforma è cosa distinta dalla scelta se usare o meno il Mes sanitario», e che «su questo esistono posizioni diverse nel Parlamento e nella stessa maggioranza, e ogni decisione dovrà essere condivisa dall’intera maggioranza e approvata dal Parlamento». Il tentativo di Gualtieri di calmare le acque è fallito miseramente, visto che la diffidenza tra le fila grilline è aumentata. Però, se non altro, ribelli a parte il M5S non dovrebbe opporsi alla riforma. Dunque: crisi di governo scongiurata. Almeno per il momento. C’è un problema non secondario da considerare con la massima attenzione. Come ha sottolineato “Libero”, la riforma del Fondo salva-Stati che il Parlamento approverà in giornata consegnerà, di fatto, l’Italia nelle mani di tale Klaus Regling. Chi è costui?Iniziamo con il dire che cosa diventerà, ovvero l’alto burocrate più potente d’Europa. Il motivo è semplice, visto che Regling è il direttore generale del Mes. Detto in altre parole, è l’uomo che ha – e avrà sempre di più – i pieni poteri nella gestione del Meccanismo Europeo di Stabilità. Questo significa che, nel caso in cui il debito pubblico italiano scricchiolasse pericolosamente, questo freddissimo burocrate tedesco sarebbe pronto a indossare i panni del commissario straordinario dell’Italia. E un’ipotesi del genere non è neppure tanto remota, considerando che il governo giallorosso, guidato da un Giuseppe Conte sempre più sotto pressione, continua a spendere in bonus e misure sostanzialmente inutili quanto gravose sui conti. Regling è sostanzialmente il direttore generale del Mes. Quest’ultimo, a sua volta, è più di uno strumento: si tratta di un’organizzazione internazionale, creata nel 2012 per assegnare risorse ai paesi dell’Eurozona che si trovano o rischiano di trovarsi in grossi guai finanziari. Va da sé che il prestito – perché di questo stiamo parlando – non è gratuito e include condizioni super-rigorose, dannose per le nazioni con l’acqua alla gola bisognose di un salvagente.Regling, economista e tedesco, ha 70 anni e guida il Mes dal primo giorno. Il suo mandato è stato rinnovato e resterà in carica fino al 2022. La sua storia è piatta e non presenta particolari stranezze. Figlio di un falegname poi eletto in Parlamento con i socialdemocratici, ama ascoltare Wagner e, in economia, crede fortemente a due pilastri: stabilità e rigore. Il signor Klaus è sempre rimasto lontano dalle luci dei riflettori, anche se adesso, con l’imminente riforma del Mes, i suoi poteri saranno talmente enormi che difficilmente riuscirà a nascondersi dietro a un dito. Tra i suoi superpoteri troviamo: la possibilità di affiancare la Banca Centrale Europea nella valutazione della richiesta di sostegno messa sul tavolo da uno Stato e quella di formulare la proposta per aggiustare la situazione di quel paese. Non solo: la riforma introduce pure la “piena indipendenza” del direttore generale e del personale del Mes da ogni potere eletto. La responsabilità, insomma, sarà da intendere solo “nei confronti del consiglio d’amministrazione”. La sua nomina, e quella dei successori, da cosa dipende? Deve essere nominato a maggioranza qualificata dell’80% del capitale del Mes. Considerando che la maggioranza delle quote spettano a Germania (26,9%) e Francia (20,2%), Berlino e Parigi avranno la possibilità di mettere un bel veto sul successore di Regling. Non l’Italia, ferma al 17,7% delle quote.(Federico Giuliani, “La riforma del Mes consegna l’Italia nelle mani del supercommissario tedesco”, dall’inserto “InsideOver” de “Il Giornale” del 9 dicembre 2020).In principio doveva essere un boccone amaro, indigeribile e da respingere con tutte le forze. Una buona fetta degli esponenti del Movimento 5 Stelle, presto rinominati “i ribelli”, era pronta a issare barricate e muovere pericolose guerre intestine a costo di respingere il Meccanismo Europeo di Stabilità. Invece, ecco il sì alla riforma del Mes, decisa all’ultimo Eurogruppo, con il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, pronto a rassicurare gli animi degli alleati di maggioranza. Gualtieri ha provato a spiegare che il via libera alla riforma del Mes non significa automaticamente un suo utilizzo, visto che «la riforma è cosa distinta dalla scelta se usare o meno il Mes sanitario», e che «su questo esistono posizioni diverse nel Parlamento e nella stessa maggioranza, e ogni decisione dovrà essere condivisa dall’intera maggioranza e approvata dal Parlamento». Il tentativo di Gualtieri di calmare le acque è fallito miseramente, visto che la diffidenza tra le fila grilline è aumentata. Però, se non altro, ribelli a parte il M5S non dovrebbe opporsi alla riforma. Dunque: crisi di governo scongiurata. Almeno per il momento. C’è un problema non secondario da considerare con la massima attenzione. Come ha sottolineato “Libero”, la riforma del Fondo salva-Stati che il Parlamento approverà in giornata consegnerà, di fatto, l’Italia nelle mani di tale Klaus Regling. Chi è costui?
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Il virus dei banchieri svende i paesi con i lockdown-paura
Il piano (da sventare) è questo: hanno deciso di bloccare le economie con ripetuti lockdown, causare una spaventosa crisi sociale, costringere gli Stati, le aziende e i privati a sovraindebitarsi: così che i banchieri, prestandoci la loro moneta creata dal nulla (e passando quindi per salvatori del mondo), possano impadronirsi di tutto e noi si finisca a lavorare, come schiavi cinesi, per pagare a loro gli interessi sui debiti. Lo afferma l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che punta il dito contro Fmi e Bce, che avrebbero premuto per le nuove strette. Il giro di vite «metterà l’Italia come i banchieri franco-tedeschi la vogliono: a 90°, posizione detta ‘della troika’». Secondo Della Luna, la comunità bancaria mondiale si sta preparando: «Quando le economie saranno indebolite e indebitate dalle misure cosiddette anti-contagio, quando la popolazione sarà esasperata dalla povertà e dalla disoccupazione, quando ogni capacità di resistenza sarà fiaccata, allora si faranno avanti con la moneta che creano dal nulla grazie alla loro sovranità monetaria sottratta agli Stati, e compreranno tutto e tutti dalle macerie, istituzionalizzando il loro nuovo ordine sociale sul modello della dittatura cinese, con un pensiero unico obbligatorio e divieto di dissenso».Non saremo più padroni di nulla, sottolinea Della Luna: i governi saranno «perennemente commissariati dai banchieri», e noi «lavoreremo solo per pagare gli interessi sul nuovo debito, contratto col prendere a prestito denaro che essi creano dal nulla senza indebitarsi, e che anche gli Stati potrebbero creare dal nulla senza indebitarci, se i governanti non fossero i valletti stupidi dei banchieri predoni». Sovranità monetaria contro signoraggio: su questo, per Della Luna, «si giocherà la partita finale tra libertà e schiavizzazione». Insiste l’avvocato: «I governi stanno lavorando molto bene, per conto dei banchieri: hanno ritardato e sbagliato le misure di contenimento del contagio, hanno sbagliato diagnosi e protocolli di cura, hanno volutamente omesso di prescrivere l’assunzione di sostanze come la vitamina D e la vitamina C e altre, pure naturali, che proteggono dall’infezione e dalla malattia (ma costano poco e rendono poco a Big Pharma)». E ora continuano a imporre «misure assurde e improduttive che distruggono l’economia», persino le insalubri mascherine, «il che assicura che ci ammaliamo e che le statistiche restino alte e giustifichino il nuovo lockdown».Quello che Della Luna definisce «lo strangolamento dell’economia» è ritenuto necessario «per il piano dei banchieri e per sostenere l’avanzata cinese nel mondo». Pechino annuncia una crescita del 10% del suo export: «Stanno comperando tutto». Le nuove restrizioni colpiscono le attività produttive, quindi anche il reddito nazionale (che consente di pagare la sanità e gli altri servizi). E la catastrofe socio-economica fa più vittime del Covid-19. Inoltre, aggiunge Della Luna, «i governi stanno abituando la gente ad accettare sistematiche e radicali privazioni di diritti fondamentali e costituzionali, come il diritto di riunione politica, quello di spostamento, di libertà personale, di scelta terapeutica, di dissenso espresso». Di questo passo, «consegneranno al potere bancario una società non solo indebitata fino al collo, ma pure ammaestrata ad obbedire e a non opporre resistenza, e incapace di distinguere la realtà dalla mistificazione del regime e dei mass media». Sarà una popolazione «senza coscienza dei principi del diritto, della democrazia, della legalità», e quindi «semplicemente perfetta per un nuovo ordine zootecnico».Indifferente alle denunce di illegittimità che si levano da illustri costituzionalisti, «questa prassi di violazione della Costituzione continua ormai dal 31 gennaio, appoggiata dai mass media in coro e non ostacolata dal presidente della Repubblica», mentre le opposizioni «non si oppongono», sulle fondamentali questioni di legalità costituzionale. «Ma che senso avrebbe opporsi – si domanda Della Luna – data l’indifferenza morale e politica della popolazione bovina, che non si interessa alla legalità costituzionale, alla libertà, alla dignità?». Dal canto suo, l’avvocato non si sottrae alla necessità di formulare un Piano-B. «Cosa farei io contro la pandemia? Innanzitutto, ripristinerei la legalità costituzionale revocando i provvedimenti illegittimi come lo stato di emergenza e i Dpcm». Dopodiché, «preso atto che il virus è dappertutto, e che tutti verremo prima o poi in contatto con esso, quindi non ha senso proporsi di impedire il contatto», sarebbe meglio da un lato «rafforzare le difese dell’organismo per prevenire l’infezione o perlomeno minimizzare i sintomi», e dall’altro «diluire il contagio nel tempo, per non sovraccaricare le strutture sanitarie».In concreto, Della Luna propone un piano in 7 punti. Primo: distribuire gratis le vitamine D e C, nonché altre sostanze utili a migliorare le difese. Mascherine? No, grazie: «Imporrei l’uso del parasputi di plastica, che non costringe a respirare aria viziata attraverso un tessuto che si riempie di germi». Diradare gli incontri? Sì, ma in modo selettivo: «Limiterei gli assembramenti, soprattutto quelli superflui, ma non le riunioni culturali, politiche e religiose». Quanto allo “smart working”, sarebbe da limitare «in modo che non rallenti o deteriori la prestazione, soprattutto nella pubblica amministrazione». In via temporanea, meglio la didattica a distanza: «Chi è predisposto impara anche da casa, mentre gli altri imparano poco o niente anche se vanno a scuola». Tra i consigli: stroncare il consumo di tabacco, raddoppiando i prezzi delle sigarette. Ma soprattutto: «Emetterei moneta di Stato, senza debito, a circolazione nazionale in parallelo all’euro». Servirebbe a sostenere l’economia, gli investimenti utili, i redditi e i consumi, e quindi ad evitare disoccupazione e indebitamento, cioè infine «la svendita del paese agli speculatori».Della Luna mette nel mirino la Cina: «Preso atto che il Covid-19 ormai risulta essere il prodotto della ricerca militare cinese e che la sua diffusione sta tremendamente avvantaggiando l’espansionismo cinese nel mondo ai danni dell’Occidente», l’avvocato porrebbe apertamente, nelle sedi internazionali, il seguente problema: «La dittatura cinese potrebbe decidere di fabbricare e diffondere un virus all’anno, se le conviene nel quadro della sua strategia di potenza», e potrebbe farlo «anche a costo di milioni di morti cinesi e di un crollo momentaneo delle esportazioni cinesi» (crollo che peraltro non sta avvenendo, anzi: l’export del Made in China sta vivendo un vero e proprio boom, mentre il resto del mondo barcolla). «Infine, in sede militare – conclude Della Luna – farei presente che, se il Covid-19 viene usato come arma contro paesi membri della Nato o dell’Asean, allora la competenza a difenderci da esso spetta a questi organismi».Il piano (da sventare) è questo: hanno deciso di bloccare le economie con ripetuti lockdown, causare una spaventosa crisi sociale, costringere gli Stati, le aziende e i privati a sovraindebitarsi: così che i banchieri, prestandoci la loro moneta creata dal nulla (e passando quindi per salvatori del mondo), possano impadronirsi di tutto e noi si finisca a lavorare, come schiavi cinesi, per pagare a loro gli interessi sui debiti. Lo afferma l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che punta il dito contro Fmi e Bce, che avrebbero premuto per le nuove strette. Il giro di vite «metterà l’Italia come i banchieri franco-tedeschi la vogliono: a 90°, posizione detta ‘della troika’». Secondo Della Luna, la comunità bancaria mondiale si sta preparando: «Quando le economie saranno indebolite e indebitate dalle misure cosiddette anti-contagio, quando la popolazione sarà esasperata dalla povertà e dalla disoccupazione, quando ogni capacità di resistenza sarà fiaccata, allora si faranno avanti con la moneta che creano dal nulla grazie alla loro sovranità monetaria sottratta agli Stati, e compreranno tutto e tutti dalle macerie, istituzionalizzando il loro nuovo ordine sociale sul modello della dittatura cinese, con un pensiero unico obbligatorio e divieto di dissenso».
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Spariti i 5 Stelle, ora il Pd vorrebbe “commissariare” Conte
Il Pd vorrebbe commissariare Conte, ma molto dipenderà anche da quello che deciderà di fare Mattarella. Lo stesso capo dello Stato potrebbe infatti anche chiedere un “tagliando” o un rimpasto visto che il M5S è stato ridimensionato dal voto. Forse avrà più poteri Gualtieri o ci sarà addirittura un vicepremier democratico. A ogni modo ho l’impressione che qualcuno del Pd verrà messo a “marcare a uomo” Conte. Il 22 settembre, Antonio Misiani ha mandato un messaggio chiaro agli alleati del Movimento 5 Stelle dai microfoni di “Radio 24″. Il viceministro dell’economia ha infatti ricordato che il Pd ha vinto in Toscana, Puglia e Campania senza il sostegno pentastellato. Se «la leadership di Zingaretti esce rafforzata», questo significa che ci dovranno essere anche dei cambiamenti negli equilibri della maggioranza. «Speriamo che veti ideologici e pregiudiziali vengano via via superati», ha detto in particolare Misiani, con riferimento alla richiesta di accesso al Mes sanitario che l’Italia, secondo i dem, dovrebbe avanzare. Penso che ci sarà un cambio negli equilibri, ma i veri problemi nell’azione di questo governo rimangono.Comunque, a me non sembra una vera vittoria del Pd. Toscana a parte, il centrosinistra si è affermato con candidati per certi versi “populisti” come Emiliano e De Luca, che cercano di difendere apertamente gli interessi della loro regione oppure si fanno notare per dichiarazioni e atteggiamenti che spopolano sul web o non passano mediaticamente inosservati. Allo stesso modo non mi sembra che si possa parlare di una sconfitta della Lega in quanto tale. Laddove la Lega è concreta sui bisogni del territorio, fa proposte specifiche e opera, riesce a farsi apprezzare dagli elettori, come si è visto con Zaia e Toti. Non guadagna consensi laddove invece si presenta solo come movimento di protesta, trattando argomenti di politica nazionale o criticando l’Europa. Salvini, se voleva essere il vero leader del centrodestra, avrebbe dovuto giocare meglio la partita delle regionali puntando su specifici problemi economici locali. Per esempio, in Toscana sulla vicenda Mps che si sta nuovamente complicando, in Campania sui contratti di produttività per spingere l’occupazione giovanile, in Puglia sull’ex Ilva di Taranto.Cosa accadrà ora al governo? Non ha vinto il Pd il senso stretto, ma sicuramente ha perso il M5S, che non può intestarsi l’affermazione del Sì al referendum, visto che non era l’unico partito a sostenerlo. Inoltre, alle regionali sono arrivati pochi voti rispetto alle politiche di due anni fa. Mi sembra anche che i pentastellati si stiano sfaldando, dato che non si capisce chi comanda tra Crimi, Di Maio, Grillo e Casaleggio jr, senza dimenticare che Di Battista ha fatto campagna contro Emiliano. Zingaretti avrà vinto grazie ai populismi, ma a questo punto vorrà il suo trofeo. Conte è nei guai, perché non si può certo dire che abbia vinto lui. Tra l’altro, l’esito del referendum costringerà i partiti a occuparsi di legge elettorale, il che appare un po’ assurdo visti i problemi economici che il paese è chiamato ad affrontare. Ci saranno non poche liti, e non è nemmeno da escludere che non si riesca ad arrivare all’approvazione della legge in questa legislatura. Detto questo, personalmente ritengo che il referendum sia illegittimo perché si sarebbe dovuto tenere a marzo, ma è stato rinviato a settembre causa Covid. Tuttavia non bisogna dimenticare che lo stato d’emergenza relativo alla pandemia è stato prorogato fino a metà ottobre, quindi non si sarebbe dovuto votare.Se Zingaretti ha vinto, cosa chiederà a Conte? Oltre al ricorso al Mes sanitario, vorrà una situazione in cui il Pd potrà avere più peso nell’utilizzo dei fondi europei, nelle decisioni economiche e nei rapporti con le regioni. In buona sostanza, chiederà un po’ dei posti che adesso hanno i 5 Stelle. Per fare cosa? Il problema è che i dem non sono in grado di sbloccare gli investimenti, sono vaghi e generici, e la linea economia del governo non verrà di fatto modificata. Come sempre è accaduto dopo le pestilenze, anche oggi ci vorrebbe un condono fiscale, ma non lo faranno. Casomai continueranno con una navigazione a vista senza una politica che aiuti davvero crescita e occupazione. Essendoci un’alleanza anomala tra due partiti “tortuosi” avremo ancora un governo che faticosamente prende poche decisioni, non particolarmente azzeccate. Alla fine, credo che sarà solamente una questione di poltrone: a parte il Mes sanitario, non compare all’orizzonte alcuna possibile linea di discontinuità. Basta pensare ai vari dossier economici. Il Pd non sembra avere una proposta sull’ex Ilva, su Alitalia, su Mps, su Autostrade. Senza dimenticare che non pare nemmeno avere in mente una normativa per sbloccare gli investimenti come accaduto per il ponte di Genova.(Francesco Forte, dichiarazioni rilasciate a Lorenzo Torrisi nell’intervista “Il Pd vuole commissariare Conte, ma aspetta Mattarella”, pubblicata dal “Sussidiario” il 23 settembre 2020. Forte è stato ministro delle finanze e ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie).Il Pd vorrebbe commissariare Conte, ma molto dipenderà anche da quello che deciderà di fare Mattarella. Lo stesso capo dello Stato potrebbe infatti anche chiedere un “tagliando” o un rimpasto visto che il M5S è stato ridimensionato dal voto. Forse avrà più poteri Gualtieri o ci sarà addirittura un vicepremier democratico. A ogni modo ho l’impressione che qualcuno del Pd verrà messo a “marcare a uomo” Conte. Il 22 settembre, Antonio Misiani ha mandato un messaggio chiaro agli alleati del Movimento 5 Stelle dai microfoni di “Radio 24″. Il viceministro dell’economia ha infatti ricordato che il Pd ha vinto in Toscana, Puglia e Campania senza il sostegno pentastellato. Se «la leadership di Zingaretti esce rafforzata», questo significa che ci dovranno essere anche dei cambiamenti negli equilibri della maggioranza. «Speriamo che veti ideologici e pregiudiziali vengano via via superati», ha detto in particolare Misiani, con riferimento alla richiesta di accesso al Mes sanitario che l’Italia, secondo i dem, dovrebbe avanzare. Penso che ci sarà un cambio negli equilibri, ma i veri problemi nell’azione di questo governo rimangono.
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Dylan, Draghi e l’inferno Covid. Magaldi: presto la verità
«Forse gli italiani se lo meritano, un governo che li chiude in casa per un allarme gonfiato, poi li rovina economicamente lasciandoli senza soldi e li prende in giro fino alla fine, con promesse favolose, fino al miracolo (inesistente) dei mitici aiuti dell’Unione Europea: poche briciole che costeranno un prezzo salatissimo, e che arriveranno – forse – tra un anno, a piccole rate, quando ormai il peggio ci sarà crollato addosso, a partire dalle prossime settimane». Tanta amarezza, da parte di Gioele Magaldi, viene dall’impietosa fotografia degli ultimi mesi, che si prolunga nel cuore dell’estate: «Vedo ancora in giro gente con indosso la mascherina: c’è chi se la mette per passeggiare all’aperto, e chi la tiene sul viso mentre guida l’auto, da solo». Follia? E’ il risultato della micidiale manipolazione messa in atto, a tambur battente, dallo scorso febbraio. La paura di un virus ormai spento e debellato dai medici con terapie efficaci, ma tuttora presentato come minaccia invincibile. «C’è chi insiste nell’evocare “seconde ondate”, anche se persino il telegiornale di “Sky” ha ammesso che l’epidemia è praticamente finita». Gli italiani? «In maggioranza, hanno accettato di subire restrizioni spesso assurde, non motivate da alcuna ragione medica».
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O facciamo l’Irlanda del Mediterraneo, o moriamo di Troika
I soldi dall’Ue arriveranno tardi e – tolti quelli che sono prestiti da restituire – saranno meno generosi di quanto si finga di credere. In compenso la volontà di fare spesa pubblica corrente non si estinguerà, e alimenterà la spirale del debito pubblico. Lo scenario più probabile, a mio parere, è che entro la fine del 2021 i mercati o le autorità europee presentino il conto. A quel punto saranno dolori: nel giro di 2-3 anni potremmo ritrovarci come la Grecia negli anni 10 di questo secolo. Mai come in questo caso ho desiderato di sbagliarmi. Una strada per evitare questa fosca prospettiva? Non so se ci riusciremo, perché abbiamo già buttato molto, troppo tempo. O facciamo come l’Irlanda, o si muore. Siamo un paese infestato dalla burocrazia; dobbiamo liberarcene, perché uccide le imprese. Cominciamo con l’eliminare la “presunzione di furbizia” che sta alla base dell’ipertrofia delle norme. Poi serve un taglio drastico delle tasse: serve una imposta societaria al 12,5%. Infine è indispensabile che la pubblica amministrazione paghi i debiti verso le imprese. In una recente intervista ho criticato l’impostazione di tutti i precedenti tentativi, di destra e di sinistra, di diminuire la pressione fiscale. Il punto sta nel voler accontentare la più ampia platea possibile di beneficiari, facendo riduzioni modeste: Iva, Imu, Irpef, contributi sociali.Invece bisognerebbe intervenire subito sulle tasse che scoraggiano le attività produttive, Irap e Ires. Solo le imprese realmente produttive e competitive possono risollevare la nostra economia. Chi può farci diventare una “Irlanda mediterranea”? Certamente non questo governo. Nell’inerzia governativa potrebbe esserci anche un elemento di calcolo: lasciar marcire i problemi per prolungare la permanenza al governo ed eleggere un presidente della Repubblica di parte (in barba alle affermazioni del passato, secondo cui il Capo dello Stato andrebbe scelto con il concorso dell’opposizione). La cosa fondamentale che manca, a chiunque abbia il compito di governare, è la conoscenza di quale sarà la situazione a settembre: e senza quella conoscenza, formulare linee guida operative è impossibile. Per ora i dipendenti pubblici hanno aggiunto ai loro privilegi classici quello di lavorare poco e quasi tutti da casa. Quanto al futuro secondo me bisogna distinguere nettamente fra due scenari. Nello scenario A, con crollo del Pil ma senza una crisi finanziaria tipo 2011 o peggio, è probabile che i dipendenti pubblici conservino sostanzialmente i propri stipendi, e che un eventuale aggiustamento venga scaricato sulle pensioni medio-alte. Lo scenario B è crollo del Pil più crisi finanziaria drammatica, con i mercati che non ci rinnovano i titoli di Stato.In quel caso si potrebbe arrivare a una situazione tipo quella della Grecia dieci anni fa: commissariamento da parte della Troika e austerità per tutti, compresi i dipendenti pubblici. Il governo si trova in un’inerzia decisionale preoccupante. È inadeguatezza o calcolo politico? Forse tutte e due le cose. Che i nostri governanti siano gravemente inadeguati, può dubitarne solo chi è accecato dall’ideologia. Il governo Pd-M5S è stato costruito per impedire le elezioni e per evitare che il centrodestra potesse condizionare l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Il prezzo di questa strategia è un ennesimo rinvio dei problemi cruciali, ma soprattutto un aggravamento della situazione economica. Il ritardo con cui si è arrivati al vero lockdown – il blocco degli spostamenti fra comuni – è costato migliaia di morti, che si sarebbero potuti evitare intervenendo ai primi di marzo, come in quei giorni aveva auspicato il professor Andrea Crisanti, anziché tre settimane dopo. Anche all’economia il rinvio è costato molto: se si fosse intervenuti subito e drasticamente, la chiusura delle attività economiche sarebbe durata molto di meno, e anziché perdere 15-20 punti di Pil – come temo succederà – ne avremmo persi parecchi di meno, in linea con i principali paesi europei.Anche volendo, il centrodestra non riuscirebbe a infliggere all’economia danni maggiori di quelli che le sta infliggendo il governo giallorosso. Ma, pur essendo meno pericoloso per l’economia, anche il centrodestra non ha una visione convincente del futuro dell’Italia, né possiede una strategia economica all’altezza della situazione. Mi riferisco in particolare a quattro punti. Primo, le divisioni sul Mes e l’ambiguità del rapporto con l’Europa: Berlusconi pro-Europa, Salvini che conferisce lo scettro dell’economia ad Alberto Bagnai, economista di valore e convintamente anti-euro. Secondo punto: la sostanziale riproposizione del programma di governo del 2018, con la Flat Tax e il condono fiscale (ossia una misura inattuabile e una inopportuna). Terzo: la mancanza di una strategia convincente sul debito pubblico, e la tendenza a richiedere scostamenti di bilancio ancora maggiori di quelli stabiliti dal governo, come se fare ancora più debito fosse una soluzione. Ultimo rilievo: un’eccessiva concentrazione sul lavoro autonomo e sulle piccole imprese, perfettamente comprensibile in termini di acquisizione del consenso ma largamente inadeguata per un paese che ha un gravissimo problema di produttività.(Luca Ricolfi, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù nell’intervista “O facciamo l’Irlanda del Mediterraneo o moriamo di Troika”, pubblicata sul “Sussidiario” il 30 giugno 2020. Ricolfi è docente di analisi dei dati all’Università di Torino e presidente della Fondazione David Hume).I soldi dall’Ue arriveranno tardi e – tolti quelli che sono prestiti da restituire – saranno meno generosi di quanto si finga di credere. In compenso la volontà di fare spesa pubblica corrente non si estinguerà, e alimenterà la spirale del debito pubblico. Lo scenario più probabile, a mio parere, è che entro la fine del 2021 i mercati o le autorità europee presentino il conto. A quel punto saranno dolori: nel giro di 2-3 anni potremmo ritrovarci come la Grecia negli anni 10 di questo secolo. Mai come in questo caso ho desiderato di sbagliarmi. Una strada per evitare questa fosca prospettiva? Non so se ci riusciremo, perché abbiamo già buttato molto, troppo tempo. O facciamo come l’Irlanda, o si muore. Siamo un paese infestato dalla burocrazia; dobbiamo liberarcene, perché uccide le imprese. Cominciamo con l’eliminare la “presunzione di furbizia” che sta alla base dell’ipertrofia delle norme. Poi serve un taglio drastico delle tasse: serve una imposta societaria al 12,5%. Infine è indispensabile che la pubblica amministrazione paghi i debiti verso le imprese. In una recente intervista ho criticato l’impostazione di tutti i precedenti tentativi, di destra e di sinistra, di diminuire la pressione fiscale. Il punto sta nel voler accontentare la più ampia platea possibile di beneficiari, facendo riduzioni modeste: Iva, Imu, Irpef, contributi sociali.
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Mes, o fine dell’aiuto Bce. Mangia: il Pd ci vende ai tedeschi
Grazie al governo Conte, l’Italia dovrà entrare nel Mes per non vedersi rifiutare gli acquisti di Btp dalla Banca Centrale Europea. Lo afferma Federico Ferraù sul “Sussidiario”, in un’intervista con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. Finora, gli avversari del “vincolo esterno” si sono opposti al Mes contando sugli acquisti della Bce: c’è la banca centrale, dunque il Mes non ci serve. Ma se la Bce dovesse interromperli? «Lo scenario è l’ingresso dell’Italia nel Mes come contropartita degli acquisti: il nostro paese dovrebbe entrare nel Meccanismo Europeo di Stabilità per consentire la prosecuzione degli acquisti illimitati». Christine Lagarde ha chiesto di approvare rapidamente il bilancio 2021 e il Recovery Fund: come dire, sbrigatevi, perché il gioco non può continuare. Ma a che servono, i prestiti del Recovery Fund e del Mes, se la Bce sta facendo gli “straordinari”? «A rigore non dovrebbero servire a nulla», sostiene Mangia: «La Bce sta facendo quello che avrebbe fatto la Banca d’Italia prima del divorzio Ciampi-Andreatta del 1981. Che è poi quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Solo che lo deve fare di nascosto, coprendosi dietro cortine fumogene».La Bce, spiega il professore, è stata costretta ad anticipare i tempi: compera tutto quel che deve comperare, e poi qualcuno si attende che si entri nel Mes come contropartita. Da qui le pressioni concentriche, anche da parte di Confindustria. «Non capiscono le implicazioni che avrà il Mes sul sistema bancario italiano e sulle loro possibilità di finanziamento future», avverte Mangia, che segnala la recessione annunciata da Bankitalia (una flessione di almeno il 13% del Pil). Addio possibilità di finanziare le imprese: «Altro che 2011. E con un debito pubblico downgradato dalla presenza di creditori privilegiati, dove andrà il valore del debito pubblico che hanno in pancia?». Sul Mes, pesano le pressioni politiche «soprattutto di qualche partito che, a Mes attivato, spera di continuare a governare l’Italia per conto terzi, come sta facendo adesso». Evidente l’allusione al Pd. E poi ci sono le pressioni degli stessi funzionari del Mes, «che rilasciano interviste da piazzisti promettendo sconti a prestiti che nessuno vuole, a parte il partito del “vincolo esterno”». Insiste Mangia: «Quella del Mes sembra ormai una televendita: più si aspetta, più il prezzo per entrare si abbassa». Ma la fregatura è scontata: «Stupisce chi se ne fa fautore, favoleggiando di rinnovi del sistema sanitario nazionale con un finanziamento a termine e a condizioni capestro».Finora – osserva Ferraù – l’iniziativa di Francoforte ha poggiato esclusivamente sull’importanza dell’Italia per l’Eurozona, sul nostro essere “troppo grandi per fallire”. E invece? «E invece la Bce, pur facendo tutto quel che dovrebbe fare una banca centrale, ha i suoi problemi. In Germania e non solo in Germania il fastidio verso il Pepp è fortissimo, visto che è un aggiramento se non una violazione dei Trattati. Tant’è vero che in Germania è all’ordine del giorno il dibattito sull’opportunità di lasciare la zona euro». Insomma, è Berlino a mettere sotto pressione la Lagarde, che sta aiutando l’Italia. «Cosa succede se dall’oggi al domani la Bce, o meglio la Banca d’Italia su mandato Bce, smette di comperare sul mercato secondario, come già è successo in passato?». Stupisce, secondo Mangia, che il Tesoro non approfitti di una situazione oggi eccezionalmente favorevole, per finanziarsi: «Che si mettano sul mercato 15 miliardi con una richiesta di 100 è singolare, no? Sembra quasi che si voglia restare con la cassa prosciugata per poter dire che non si possono non prendere 36 miliardi e finire in mano alla Troika». Intanto, il 5 giugno persino la Grecia ha detto no al Mes sanitario. «Anche se ormai viene offerto a tassi negativi, il Mes non lo vuole nessuno. E chi se lo è preso (come la Spagna) ne è voluto uscire prima del tempo. Questo dovrebbe dire qualcosa».Dunque lo si vuole solo in Italia, il Mes? «Lo si vuole solo in Italia e solo da qualcuno. Chissà perché. Mi sembra un fatto molto politico e molto poco economico», osserva Mangia, che avverte: prima o poi, sotto la pressione della Germania, gli auti straordinari della Bce finiranno. Il 5 agosto ci sarà la resa dei conti di fronte alla Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe sugli acquisti selettivi della Bce. E non è un mistero che in Bce ci si prepari al peggio. Sull’Italia, buio pesto: «Politicamente, i 5 Stelle non esistono più: servono solo come massa di manovra al Pd in cambio di un prolungamento della legislatura». Per Mangia, «il problema che abbiamo da quasi trent’anni è quello di una Repubblica parlamentare senza più partiti, costretta a farsi governare da presidenza della Repubblica e magistratura». Cosa aspettarsi? «Come minimo, l’assalto delle categorie che si aprirà nel gennaio 2021, quando arriveranno i primi prestiti dall’Europa sotto specie di Recovery Fund. Tutti hanno bisogno di soldi, e quindi è un momento di grandi occasioni che aprirà la sagra del peggio. Tutti alla ricerca di mance e mancette, come ai tempi delle finanziarie di trent’anni fa». Con quale differenza? «Adesso il paese è molto più povero e disarticolato. E senza classe politica», chiosa Mangia. «Tant’è vero che, invece di rivolgersi ai partiti, ci si rivolge alle task force».Grazie al governo Conte, l’Italia dovrà entrare nel Mes per non vedersi rifiutare gli acquisti di Btp dalla Banca Centrale Europea. Lo afferma Federico Ferraù sul “Sussidiario“, in un’intervista con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. Finora, gli avversari del “vincolo esterno” si sono opposti al Mes contando sugli acquisti della Bce: c’è la banca centrale, dunque il Mes non ci serve. Ma se la Bce dovesse interromperli? «Lo scenario è l’ingresso dell’Italia nel Mes come contropartita degli acquisti: il nostro paese dovrebbe entrare nel Meccanismo Europeo di Stabilità per consentire la prosecuzione degli acquisti illimitati». Christine Lagarde ha chiesto di approvare rapidamente il bilancio 2021 e il Recovery Fund: come dire, sbrigatevi, perché il gioco non può continuare. Ma a che servono, i prestiti del Recovery Fund e del Mes, se la Bce sta facendo gli “straordinari”? «A rigore non dovrebbero servire a nulla», sostiene Mangia: «La Bce sta facendo quello che avrebbe fatto la Banca d’Italia prima del divorzio Ciampi-Andreatta del 1981. Che è poi quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Solo che lo deve fare di nascosto, coprendosi dietro cortine fumogene».
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Magaldi: Draghi dopo Conte, per salvare l’Italia dalla paura
Conto alla rovescia, per sfrattare Giuseppe Conte a furor di popolo. Lo annuncia Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, che preme per un governo di salvezza nazionale presieduto da Mario Draghi, con un unico obiettivo: mettere l’economia italiana in terapia intensiva, prima che sia troppo tardi. «I negozi erano vuoti già prima dell’emergenza: figurarsi adesso, che devono restare vuoti per legge. Le attività economiche salteranno: non se ne rende conto, questo governo?». A ricordarglielo provvedono iniziative “rooseveltiane” come il servizio di Sostegno Legale: avvocati gratis per i cittadini che si ritengono vittime di ingiuste sanzioni, subite durante il lockdown. Non solo: Magaldi non esclude azioni legali per chiedere risarcimenti: «Non si possono chiudere le attività economiche, lasciando i lavoratori senza veri aiuti finanziari: quelli di Conte, finora solo promessi, sono una miseria. Spiccioli fuori tempo massimo e soprattutto aria fritta, aiuti immaginari: credito oneroso, che le banche neppure concedono». A mettere sotto pressione la politica sarà anche la Milizia Rooseveltiana, formazione prossima al debutto, nelle piazze: «Sarà un “teatro” nonviolento ma determinato, per rispondere all’ignobile “teatro” che Conte ha imposto agli italiani, con misure restrittive che hanno devastato l’economia senza incidere sul contenimento del coronavirus».Lo confermerebbero i dati: secondo Magaldi, «la situazione italiana è paragonabile a quella di paesi come Svezia, Belgio e Svizzera, che si sono ben guardati dall’imporre un lockdown all’italiana». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «è venuto il momento di pretendere che lo Stato di diritto funzioni, con le buone o con le cattive: e per “cattive” intendo una mobilitazione costante e nonviolenta di cittadini organizzati e disciplinati, che sanno quello che vogliono e che inizieranno a lanciare un ultimatum al governo Conte, perché cominciano ad averne abbastanza». Quella che Magaldi annuncia è una “lunga marcia”, a oltranza: «Ci attende una rivoluzione, è venuto il momento di agire: vogliamo presentare le nostre richieste al governo e lottare fino alla fine, fino all’ottenimento dei risultati necessari a cambiare le cose con lungimiranza». Come? Nel modo che Draghi ha spiegato a marzo, nella sua lettera al “Financial Times”: ingenti aiuti di Stato, a fondo perduto. Obiettivo: azzerare il paradigma dell’austerity finanziaria neoliberista. Per avere quei soldi serve un cambio di sistema, e Conte non ne è all’altezza. «L’alternativa, del resto, non esiste: continuare con l’attuale rigore vorrebbe dire condannare l’Italia all’agonia economica o cedere al sistema-Cina, da cui in questo frangente abbiamo pericolosamente mutuato l’autoritarismo assoluto».Attenzione: «Come previsto, la Cina è l’unica potenza a uscire indenne dalla tragedia Covid, “provvidenziale” per resuscitare la sua immagine dopo l’umiliazione inflittale da Trump per mettere un argine alla sua subdola espansione: la Belt and Road Initiative spesso diventa uno strangolamento debitorio, per i paesi coinvolti». Tutto questo, secondo Magaldi, «ci deve far riflettere sulla matrice, sui mandanti della vicenda: è stata dolosa? E in quali momenti? Certamente c’è qualcuno che ci ha guadagnato molto, e questo qualcuno è il sistema cinese, a cui è stato permesso di entrare nel grande gioco della globalizzazione ma senza democratizzarsi». E oggi, aggiunge Magaldi, in Cina la libertà è concessa “a punteggio”, in base al comportamento filogovernativo dei cittadini, strettamente monitorati: «Uno stile a cui tendono ad avvicinarsi le misure adottate in Italia». Democrazia azzerata, economia a pezzi: un disastro epocale. «Nel frattempo, le scimmiette al governo si azzuffano tra loro, non portano soluzioni, deludono le aspettative dei cittadini? Molto bene: aspettiamo che la delusione arrivi al giusto punto di cottura, e poi ci libereremo a calci nel culo di questi signori», avverte Magaldi, sicuro del fatto che a essere chiamato a Palazzo Chigi sarà proprio Draghi, «quando finalmente si capirà che a gestire una situazione come questa non possono essere i Conte, gli Speranza e i Di Maio, tutti figuranti mediocri e inetti».Il presidente del Movimento Roosevelt scommette su «un governissimo a tempo limitato, con alcune cose da fare». Dopodiché, «se Draghi avrà saputo dare concretezza alle cose che ha detto», lo stesso ex numero uno della Bce potrebbe diventare presidente della Repubblica, carica da cui «continuare un’opera di trasformazione radicale del paradigma economico vigente in Italia e in Europa». Secondo Magaldi, Draghi sarà richiamato in servizio «quando i governanti e i partiti avranno il coraggio di ammettere che sono incapaci di trovare un degno rappresentante anche nei consessi internazionali». Nel frattempo, «forse, il popolo italiano (anche radunato nella Milizia Rooseveltiana) potrebbe fare pressione, perché gli attuali governanti se ne vadano». Magaldi li definisce «mascalzoni o piacioni inconcludenti, o addirittura semi-delinquenti: perché poi diventa delinquenza, quella di chi sequestra un paese, senza avere titolo né capacità di governare». Avverte il presidente “rooseveltiano”: «Se poi non se ne vogliono andare, dobbiamo cacciarli a calci in culo, con democratiche manifestazioni di piazza, pacifiche e nonviolente».Conto alla rovescia, per sfrattare “Giuseppi” a furor di popolo: è lo stesso premier a mettersi nei guai, giorno per giorno, rivelando l’inconsistenza assoluta di un governo incapace di sostenere l’economia italiana, dopo averla paralizzata col pretesto del Covid. A grandi passi, di disastro in disastro, sembrano maturare le condizioni per l’avvento di Mario Draghi, ieri grande stratega dell’ordoliberismo eurocratico, ma ora riconvertitosi – clamorosamente – alla filosofia keynesiana. Obiettivo: mettere l’economia italiana in terapia intensiva, prima che sia troppo tardi, con robustissimi aiuti statali a fondo perduto. Servono tanti soldi, centinaia di miliardi: e non è certo il povero Conte a poterli trovare. Occorre qualcosa di rivoluzionario: una svolta che sbaracchi l’attuale sistema Ue, capace solo di produrre crisi. Lo si vede benissimo, oggi più che mai: nessun aiuto all’Italia, a parte il quantative easing della Bce, neppure di fronte alla pandemia. L’unica minestra dell’euro-menù sarebbe il cappio del Mes? Se poi ci si mette anche il Conte-bis, la catastrofe è dietro l’angolo: «I negozi erano vuoti già prima dell’emergenza: figurarsi adesso, che devono restare vuoti per legge. Moltissime attività economiche salteranno: se non se ne rende conto, questo governo, a ricordarglielo saranno gli italiani». E’ così, infatti, che Conte e colleghi si stanno scavando la fossa.
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Urgono uomini seri, siamo sull’orlo di una guerra civile
C’è aria di guerra civile in Italia. Una brutta aria di odio e d’insofferenza. Si sta scavando un fossato incolmabile tra italiani. Riassumo gli ingredienti o le stazioni che portano all’odio radicale. In primis le restrizioni e i divieti anche assurdi hanno lasciato un segno e una scia sul corpo e la mente degli italiani; poi le carenze sanitarie più elementari unite alle clamorose cialtronerie di commissari, ministri e task force; aggiungi la mancanza assoluta di strategia, prevenzione e test per governare il futuro, ma tutto è affidato ai cittadini e alle loro limitazioni. Poi la drammatica situazione economica e sociale per famiglie e imprese, le tante aziende che non apriranno, i tanti che non riavranno il lavoro, l’impossibilità di far rinascere esercizi con quelle restrizioni, quei costi e quelle cadute. Intanto una legge libera fior di delinquenti dalle carceri e persino criminali in cella d’isolamento, che non erano a rischio di contagio; proprio mentre venivano inseguiti sulle spiagge come criminali innocui bagnanti, sporadici avventori o isolati corridori. Unisci questo quadro alla vanesia, fanfarona, irritante esibizione del governo, gli show inconcludenti su aiuti che non arrivano mai.Se a tutto questo unisci vicende dell’assurdo come la liberazione di Silvia Romano, con pagamento ai terroristi per finanziare le loro imprese e le loro armi, il ritorno dell’ostaggio da moglie di uno di loro e credente nella religione dei suoi stessi carcerieri nella versione più feroce e antioccidentale, insieme all’autoincensarsi del governo che sfrutta l’occasione per farsi uno spot e una passerella, col premier e il ministro degli esteri che sgomitano per prendersi la vetrina, il codazzo di media allineati e vescovi inclusi, ti accorgi che la polveriera sta per esplodere. Non c’è più dissenso ma disprezzo, livore. Su quest’ultimo caso ho letto giudizi sprezzanti che trasudano odio tra due Italie che non si parlano più ma si sputano, si schifano, si disprezzano. Agli uni pare civile, umano e misericordioso gioire per il ritorno a quelle condizioni dell’ostaggio e pare invece bestiale, infame e incivile chi ne mostra il conto, il rischio, la beffa. Agli altri, e ci sono anch’io tra questi, magari con toni e argomenti un po’ diversi, pare assurdo che una prigioniera torni con la divisa dei suoi carcerieri, che vanti il trattamento ricevuto, che ostenti anche nelle vesti il disprezzo per il mondo in cui è tornata e che ha pagato il riscatto e rischiato vite umane per riportarla a casa.Ma poi leggi i commenti dell’altro versante, anche di persone fino a ieri abbastanza equilibrate che provano schifo per chi fa queste elementari considerazioni, per chi ricorda le vittime del terrorismo e le volte che non abbiamo voluto pagare riscatti per non cedere ai terroristi, lasciando morire anche leader nazionali. A vergognarsi, per costoro, dovrebbe essere chi lo denuncia… Allora ti accorgi che qualcosa si è rotto, il malessere sta facendo saltare i nervi a tutti e ci sono due vulcani pronti a eruttare, l’un contro l’altro armati. C’è un’aria terribile. Lo vedo anche nel mio caso personale, lo riconosco: non riesco più neanche ad ascoltare programmi come quello della “vipera tirolese” o simili, a vedere i Tg filogovernativi o ad ascoltare, solo ad ascoltare, la voce del gagà di governo, di gigino, di fofò, della sinistreria assortita. Sono stato spesso all’opposizione, in aperto dissenso, non mi sono mai risparmiato nelle polemiche. Ma non mi era mai capitato di scendere a questi livelli d’insofferenza radicale e vedo che sta capitando anche dall’altro versante. Ed entrambi riteniamo di avere piena ragione.Ma che ci sta succedendo? Dove ci porterà questo clima se si aggraveranno, come temono in tanti, le condizioni sociali ed economiche del paese e la depressione diffusa muterà in rabbia? Il dissenso verso questo governo ormai va ben oltre la critica e la richiesta di farlo cadere. La gente vorrebbe vederli sparire, mandarli a casa a calci nel sedere, se non in galera, perlomeno nello stesso carcere in cui è stato confinato il popolo italiano oltremisura. Penso alla sventura di un paese che sta attraversando il peggior momento della sua storia repubblicana col peggior governo che potesse capitare. Con più incapaci, cialtroni, quaquaraquà, ignoranti e presuntuosi mai avuti nella sua pur assortita storia. Come pensate che si possa ricucire questo paese e riportare nella normale vita di una democrazia i dissensi e le divergenze?So che molti di voi sognano una svolta radicale, una sterzata elettorale, un’inversione di marcia. Lo capisco, d’istinto lo dico anch’io. Ma lasciate che vi dica una cosa: siamo arrivati a un punto che non si tratta più di destra e sinistra, di sovranisti e globalisti, di populisti e no. Urge affidare il paese nelle mani di persone serie. Abbiamo un elementare assoluto bisogno di gente seria. Seria, non dico altro. Una parola semplice e complicata. Serietà. Persone consapevoli della loro responsabilità, che non vendono fumo, che spengono gli odii, che mantengono gli impegni assunti, non vogliono raggirare nessuno. Voi direte sì, ma devono essere capaci, competenti, adeguati. Basta che siano seri. Perché una persona seria se capisce di non essere all’altezza non si assume il compito di guidare un paese, e in questo momento poi; e una persona seria nei campi in cui non ha competenza, si affida a persone serie, li investe di serie responsabilità. I buffoni, i mestatori e i dilettanti al potere sono gente priva di serietà. Noi abbiamo bisogno di gente seria, il coraggio della serietà. Altrimenti quelli “seri” arriveranno da fuori. Poi ragioniamo sul resto, ma è necessario che al più presto si concordi un cambio di guardia per un governo autorevole composto da gente seria. Perché la situazione, come si usa dire, è grave ma non è seria.(Marcello Veneziani, “Urgono uomini seri”, da “La Verità” del 13 maggio 2020; articolo ripreso dal blog di Veneziani).C’è aria di guerra civile in Italia. Una brutta aria di odio e d’insofferenza. Si sta scavando un fossato incolmabile tra italiani. Riassumo gli ingredienti o le stazioni che portano all’odio radicale. In primis le restrizioni e i divieti anche assurdi hanno lasciato un segno e una scia sul corpo e la mente degli italiani; poi le carenze sanitarie più elementari unite alle clamorose cialtronerie di commissari, ministri e task force; aggiungi la mancanza assoluta di strategia, prevenzione e test per governare il futuro, ma tutto è affidato ai cittadini e alle loro limitazioni. Poi la drammatica situazione economica e sociale per famiglie e imprese, le tante aziende che non apriranno, i tanti che non riavranno il lavoro, l’impossibilità di far rinascere esercizi con quelle restrizioni, quei costi e quelle cadute. Intanto una legge libera fior di delinquenti dalle carceri e persino criminali in cella d’isolamento, che non erano a rischio di contagio; proprio mentre venivano inseguiti sulle spiagge come criminali innocui bagnanti, sporadici avventori o isolati corridori. Unisci questo quadro alla vanesia, fanfarona, irritante esibizione del governo, gli show inconcludenti su aiuti che non arrivano mai.
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La prima regola: mai lasciarsi imporre l’agenda del nemico
La prima regola per difendere la propria libertà, probabilmente, sta nel cercare di non farsi imporre l’altrui agenda. Nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri” (Einaudi), Nuto Revelli traduce il concetto declinandolo nel contesto storico dell’estrema precarietà della guerra partigiana: mai accettare lo scontro, men che meno in campo aperto. Al rastrellamento non ci si oppone: ci si sottrae, dileguandosi sui monti. Per colpirla, una soverchiante forza di occupazione, non c’è che una strada: tendere agguati, con iniziative inattese e rapidissime, senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. La tattica della guerriglia non pretende certo di ottenere la sconfitta militare del nemico; però contribuisce a innervosirlo, destabilizzarlo e infine fiaccarlo. Presuppone una strategia lucidamente pianificata, e il concorso sincronizzato di svariate unità, ben addestrate e distribuite sul territorio. Armi leggere, o leggerissime, contro carri armati e obici: ha senso? La risposta è sì, conferma lo storico Alessandro Barbero: i comandi alleati si complimentarono con il comandante Revelli per essere riuscito a rallentare per 10 lunghissimi giorni l’avanzata, sulle Alpi cuneesi, di una potente divisione corazzata nazista, diretta in Provenza attraverso il Colle della Maddalena per ostacolare gli angloamericani appena sbarcati fra Tolone e Cannes.La chiave di quel successo tattico? Rinunciare alle artigliere partigiane schierate in linea e optare per agili azioni di commando sui fianchi della vallata, con solo qualche mortaio e poche mitragliatrici. In altre parole: sfuggire all’agenda imposta del nemico. Ora, occorre un discreto “salto quantico” per lasciare di colpo l’agosto del 1944 e piombare nella fatale primavera 2020. Domanda a bruciapelo: quand’è l’ultima volta che abbiamo rifiutato l’agenda altrui, cioè la logica dello scontro? Certo, fortunatamente oggi non siamo in guerra; ma l’inaudito stato d’assedio “cinese” imposto all’Italia in nome del coronavirus, il quasi-coprifuoco dello stato d’emergenza, ha fatto sobbalzare più d’un costituzionalista. Come se il maledetto Covid-19, tuttora ampiamente misterioso, avesse finito per rendere drammaticamente evidente, esplosivo (e pure luttuoso) un male che in realtà si era insinuato da lunghissimo tempo, nella nostra società: l’eterodirezione, palese e occulta, degli stati d’animo connessi con la vita sociale e politica. Vecchia storia, probabilmente, cominciata in tempo di guerra con l’infernale propaganda hitleriana (”tutta colpa degli ebrei”) e proseguita in tempo di pace coi giochetti del mago Edward Bernays, nipote di Freud, per lanciare anche tra le donne il consumo di sigarette. Psicologia, innanzitutto: è l’arma vincente di qualsiasi agenda ostile, pericolosa per la salute della democrazia.Magie: il complottismo (quello vero, affidato ai Travaglio, agli Scanzi) oggi difende a spada tratta l’increscioso Conte, l’ex Signor Nessuno che – da semplice comparsa – è riuscito a diventare protagonista assoluto, primattore della più grave catastrofe socio-economica che abbia travolto l’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il complottismo di regime aveva frastornato il pubblico, per decenni, elencando i presunti grandi mali nazionali, in quest’ordine: Berlusconi, corruzione, evasione fiscale, mafia. Erano gli anni d’oro di Di Pietro e dei girotondi, poi di Grillo. Non una parola – mai – sulla natura pericolosamente oligarchica della governance europea, sempre sorretta dall’establishment nazionale che vede nel Pd il suo stabile riferimento strumentale operativo. La consegna è sempre la stessa: lasciare in mano alla finanza speculativa le grandi decisioni, semplicemente ratificate dalla politica. Stesero il tappeto rosso, i cantori del rigore, ai piedi del commissario Monti che provvide immediatamente a disabilitare l’economia italiana e neutralizzare (col pareggio di bilancio in Costituzione) le residue possibilità finanziarie, ancorché virtuali, di uno Stato comunque intrappolato da Maastricht e Lisbona, reso incapace di intervenire in modo immediato (oggi lo si vede benissimo) persino se si tratta di salvare vite umane e famiglie ridotte sul lastrico. La barzelletta dei 600 euro a scoppio ritardato, con tanto di default del server dell’Inps, ha fatto il giro del mondo, in paesi che invece hanno subito accreditato mensilità direttamente sui conti correnti dei cittadini costretti a restare a casa.La politica come semplice paravento pubblico dell’establishment privatistico ha assunto toni ulteriormente spettacolari con la meteora Renzi e il suo vaniloquio immaginifico, per poi cedere il testimone al suo alter ego populista, il grillismo (che oggi infatti è al governo proprio con Renzi). Specularità assoluta: abissale distanza tra le parole e i fatti, e senza mai affrontare il vero problema – quello che oggi il funesto Covid mette in mostra impietosamente: a causa dell’euro-sistema non si mette mano al denaro, centinaia di miliardi, indispensabile per fronteggiare la catastrofe. Altra presenza poco più che meteorica, lo stesso Salvini: per oltre un anno, dopo aver incassato il “niet” dell’Ue sul deficit, il leader della Lega ha raccontato agli italiani che il loro vero problema erano gli sbarchi dei migranti. Salvini però – prima di venir costretto a gettare la spugna – è stato letteralmente surclassato dal chiasso degli avversari: sono riusciti a dargli persino del nazista, raccontando a loro volta agli italiani l’ennesima fiaba, e cioè che il vero problema nazionale fosse proprio lui, la Bestia. Tutto questo, mentre la narrazione della tragedia del surriscaldamento climatico terrestre era affidata alla sedicenne Greta, e mentre le eroiche Sardine prodiane formulavano la loro ricetta per la democrazia italiana: impedire ai ministri di esprimersi liberamente, sui social.Questa nuova moda della censura, in realtà antichissima, sta letteralmente tracimando: l’Agcom raccomanda di diffondere solo notizie “accreditate” (non si sa da chi), e lo stesso governo addirittura mette in campo una task force per imbavagliare il web (istituita da Andrea Martella – Pd, ovviamente), mentre si continua a dare la parola, a reti unificate, a un signore come il virologo Roberto Burioni, che si è permesso – nell’Italia nel 2020 – di chiedere alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito dagli italiani, cioè il popolo che Conte non ha protetto tempestivamente dalla pandemia, salvo poi chiuderlo in casa (e senza neppure uno straccio di assistenza economica). Tutto questo è semplicemente esorbitante, anomalo, mostruoso quanto le previsioni di economisti e sociologi: il paese rischia letteralmente di crollare, con conseguenze incalcolabili, anche grazie all’inerzia del suo non-governo scandaloso, imbelle ma improvvisamente autoritario. Nel frattempo, il cielo è scosso dal rombo di temporali vicini e lontani: Trump taglia i fondi all’Oms, accusandola di essere complice della diffusione del virus, mentre il figlio di Bob Kennedy accusa Bill Gates (grande sponsor della stessa Oms) di voler imporre il suo vaccino anti-coronavirus, probabilmente inutile e forse rischioso.Alla stragrande maggioranza degli italiani, stanchi di cantare l’inno nazionale dai balconi, sempre il coronavirus oggi consente finalmente di vedere di che pasta è fatta questa sedicente Unione Europea, convalidata pochi mesi fa dal solito Pd con l’aggiunta dell’ormai altrettanto impresentabile Movimento 5 Stelle, recentissimo interprete (con la sua sub-agenda locale) della grande agenda neoliberista, quella che dal 1971 con il Memorandum Powell si diede una vera e propria road map per la riduzione progressiva della democrazia. Tappa fondamentale, il golpe cileno del 1973 che segnò l’avvento del neoliberismo al potere. Due anni dopo, il manifesto “La crisi della democrazia” (commissionato dalla Trilaterale) preparò la capitolazione dell’economia sociale europea, sinistramente sigillata nel sangue nel 1986 con l’omicidio del premier socialista svedese Olof Palme, campione del welfare, fino poi all’estinzione della sinistra italiana. L’agenda ostile ha lavorato in modo perfetto per destrutturare minuziosamente qualsiasi difesa, usando i media come armi letali e riducendo l’offerta politica a puro folkore. Se si scorrono i nomi dei cosiddetti leader a disposizione degli italiani, si capisce al volo il boom storico dell’astensionismo (che lascia comunque campo libero ai veri decisori, quelli che scelgono chi farà il ministro e con quali compiti).Pur nel devastante caos planetario che ha causato, incrinando le certezze commerciali della globalizzazione, il micidiale Covid mette a fuoco un altro punto cardinale dell’agenda ostile: la scelta, dolorosa, tra sicurezza e libertà. Da una parte svetta il modulo-Wuhan raccomandato dall’Oms e prontamente adottato dall’Italia, dall’altra si registra l’insofferenza della Casa Bianca (che, tra le righe, sospetta l’Oms di essere il vero strumento dell’agenda-Covid, interpretata come piano di dominazione, affidato alla nuovissima polizia sanitaria capace di dettare lo stato d’emergenza sostituendosi ai governi). Niente sarà più come prima, ripetono tutti, ripiegando sull’incerta protezione delle mascherine. Una certezza negativa riguarda l’Italia: il nostro paese – crocevia strategico tra Usa e Cina, Mediterraneo e Ue – sta subendo danni incalcolabili, da cui non si sa come potrà risollevarsi, in che tempi e con quali costi sociali. Gli ottimisti invitano a riflettere sulle opportunità che il coprifuoco starebbe offrendo: cioè la riscoperta dell’autenticità dei valori umani. Per la riscoperta dei valori politici, invece, quanto ancora bisognerà attendere? O meglio: quali vettori impiegare, per tradurre sul piano pubblico le migliori istanze individuali?In un regime come l’attuale, sostanzialmente post-democratico e sempre meno libero, la domanda non è oziosa. La drammatica criticità della situazione sociale ripropone in modo automatico la consueta logica, perdente, dello scontro frontale. E’ forse il massimo risultato dell’agenda ostile: coltivare l’odio per il presunto nemico di turno. E’ il modo migliore per cancellare la buona politica, senza che nessuno se ne accorga, se il pubblico è impegnato a tifare solo e sempre “contro”, a fischiare qualcuno, a maledire qualcosa. Tutte battaglie di carta, fuochi di paglia. Cade il nemico apparente, ma ce n’è già pronto un altro. L’avversario vero – non altrettanto visibile – pare si diverta, a far combattere i suoi galletti, senza che nessuno di loro abbia mai la minima possibilità di cambiare veramente qualcosa. Se non teme i leader di cartone (promossi e bocciati a comando) cosa teme, davvero, l’agenda ostile? Il pensiero? La libertà? La capacità di strutturare proposte serie? A questo è servito, l’effimero leaderismo mediatico degli ultimi decenni: a far sparire i programmi, rottamati insieme ai diritti sociali, a partire dalla grande privatizzazione universale degli anni Novanta, affidata in Italia a Romano Prodi, Mario Draghi, Massimo D’Alema. A seguire, vent’anni di stupidaggini assordanti, fino alla demolizione di Berlusconi via gossip a mano armata, con tanto di spread.Una delle qualità che alla Resistenza gli storici riconobbero in modo unanime fu la sua capacità sinergica, trasversale, di unire forze eterogenee: comunisti, socialisti, azionisti, cattolici, liberali, persino monarchici. Le lezione: smettere di ragionare per schemi, in modo etnico, e ridiventare laici, riconoscendo pari dignità a chiunque (qualunque errore possa aver commesso, in passato). Ieri, il patto era basato sull’opposizione patriottica di fronte alla spaventosa calamità dell’occupazione nazista, esito finale di una dittatura che aveva risolto subito, a modo suo, la dicotomia sicurezza-libertà, e senza nemmeno bisogno di mascherine. Nel 1943, sul piano militare, il nemico era pressoché inaffrontabile. Lo si poteva solo infastidire seriamente, in attesa dell’arrivo decisivo degli alleati (che esistono sempre, e hanno sempre bisogno di partigiani intelligenti). Nell’agosto del 1944, Nuto Revelli cominciò la sua battaglia in Valle Stura rimuovendo i suoi cannoni controcarro schierati a Vinadio, in campo aperto: non sarebbero mai riusciti a fermare i panzer. Fucile in spalla, diresse i suoi verso le alture. Seguirono giorni difficilissimi, nei quali però la divisione tedesca rimaste ferma, imbottigliata nel fondovalle a fare da bersaglio.Gli alleati di allora, intanto, stavano finendo di sbarcare in Costa Azzurra. Quelli di oggi dove sono? Meglio: chi sono? Si nascondono dietro al ciuffo di Trump, che ha promesso di impedire il collasso socio-economico dell’Italia, contrastando sia l’Europa “matrigna” che il “partito cinese” che collega Wuhan a personaggi come Bill Gates, attraverso network opachi come l’Oms? Anche fosse, dove sarebbero i “partigiani” italiani? Forse affilano le armi ultraleggere del web, non a caso preso di mira dai nuovi censori? Domina il caos, in ogni caso: alle gravissime reticenze del mainstream, i social rispondono con un festival parossistico in cui si può leggere di tutto, solenni verità e bufale spaziali, grandi quanto quelle dei virologi televisivi. Servirebbe una piattaforma autorevole e plurale, inclusiva, per coordinare idee traducibili e spendibili. Primo passo: costruire finalmente un’agenda autonoma, alternativa a quella ostile, a disposizione della politica (nessuno escluso). Secondo step, appunto: smettere di spararsi addosso a vicenda, mettere da parte il tifo e imporsi un pensiero costruttivo. Volendo, l’occasione è ghiotta: mai, prima d’ora, la governance eurocratica (vera responsabile del declino italiano, ben prima dell’esplosione pandemica) aveva mostrato il suo vero volto.In frangenti come quello presente, forse, l’autentico eroismo consiste nella capacità di cambiare idea, riconoscendo i propri errori. E’ spesso citato ad esempio il caso, più unico che raro, del Sudafrica. Rovesciato l’apartheid, anziché procedere con operazioni di giustizia sommaria, Nelson Mandela preferì offrire agli ex aguzzini bianchi una possibilità di riabilitazione, consentendo anche ai peggiori di chiedere perdono ai familiari delle loro vittime. Tanti anni prima, fu capace di cambiare idea lo stesso Nuto Revelli, ufficiale degli alpini imbevuto di militarismo fascista. Spettacolare, la sua trasformazione – lacerante, dolorosissima – cominciata proprio sul fronte russo, in prima linea. Non difettava di coraggio, Nuto Revelli: fu l’ultimo uomo a chiudere la sterminata colonna in ritirata, nel ‘43. Dietro di lui, c’era solo il Don. E oltre il Don, l’Armata Rossa. Una volta a Udine, attraversato l’inferno bianco dello sfacelo dell’Armir, si spedì a casa i suoi mitra: sentiva che, di lì a poco, gli sarebbero serviti. Dopo aver fatto a pezzi il suo fascismo giovanile, si sarebbe deciso a sparare direttamente ai fascisti. Quanto è difficile, oggi, saper cambiare idea? Quanto è tenace, l’invisibile “psico-dittatura” del neoliberismo? Se a imporsi sarà sempre il consueto tifo contrapposto e televisivo, tra opzioni irrisorie, allora addio: ancora una volta, a vincere sarà l’agenda ostile.(Giorgio Cattaneo, “Prima regola, mai farsi imporre l’agenda del nemico”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 aprile 2020).La prima regola per difendere la propria libertà, probabilmente, sta nel cercare di non farsi imporre l’altrui agenda. Nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri” (Einaudi), Nuto Revelli traduce il concetto declinandolo nel contesto storico dell’estrema precarietà della guerra partigiana: mai accettare lo scontro, men che meno in campo aperto. Al rastrellamento non ci si oppone: ci si sottrae, dileguandosi sui monti. Per colpirla, una soverchiante forza di occupazione, non c’è che una strada: tendere agguati, con iniziative inattese e rapidissime, senza lasciare all’avversario il tempo di reagire. La tattica della guerriglia non pretende certo di ottenere la sconfitta militare del nemico; però contribuisce a innervosirlo, destabilizzarlo e infine fiaccarlo. Presuppone una strategia lucidamente pianificata, e il concorso sincronizzato di svariate unità, ben addestrate e distribuite sul territorio. Armi leggere, o leggerissime, contro carri armati e obici: ha senso? La risposta è sì, conferma lo storico Alessandro Barbero: i comandi alleati si complimentarono con il comandante Revelli per essere riuscito a rallentare per 10 lunghissimi giorni l’avanzata, sulle Alpi cuneesi, di una potente divisione corazzata nazista, diretta in Provenza attraverso il Colle della Maddalena per ostacolare gli angloamericani appena sbarcati fra Tolone e Cannes.
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Magaldi: Italia in agonia, con Colao e Prodi ancora austerity
«Vigileremo e impediremo che vada in porto il piano oligarchico di chi intende trasformare l’emergenza coronavirus (e l’evidente, disastrosa inadeguatezza di Conte) in un pretesto per commissariare l’Italia». Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, il pericolo è concreto: «Si deve leggere in questi termini la tentazione di sostituire Conte con l’aziendalista Vittorio Colao, per poi magari eleggere Romano Prodi al Quirinale». Attenzione: «Questa “cordata”, che ora rinfaccia a Conte di non aver tempestivamente assistito gli italiani colpiti dalla crisi, è ispirata dagli stessi soggetti che hanno fatto in modo che, a livello europeo, l’Italia non ottenesse le necessarie concessioni finanziarie, tanto più necessarie in un momento come questo». A preoccupare Magaldi è anche il possibile corollario, che già si affaccia: l’idea infatti è quella di «ridurre gli italiani a sudditi di una post-democrazia orwelliana di stampo cinese, sottoposti all’occhiuta sorveglianza di una nuova polizia sanitaria», con tracciature obbligatorie e spostamenti segnalati elettronicamente. Tutto questo «metterebbe fine a molte delle nostre libertà democratiche».Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ed esponente del network massonico progressista sovranazionale, Magaldi rilancia la contro-proposta formulata tre settimane fa da Mario Draghi sul “Financial Times”: «Draghi è l’unico ad aver chiarito che i debiti contratti oggi, per fronteggiare il coronavirus, non dovranno essere ripagati (esattamente come in caso di guerra)». Altro dettaglio illuminante: «La sola istituzione europea che si sia finora attivata concretamente a favore dell’Italia è la Bce, grazie alla “conversione” di Christine Lagarde, analoga a quella di Draghi». Retroscena: sarebbe stato Draghi a chiedere a Mattarella di protestare formalmente con l’Ue, invocando un allentamento del rigore. Ed era frutto di calcolo anche l’iniziale chiusura della Lagarde («non tocca a noi calmare gli spread»): serviva proprio a suscitare la reazione che poi è arrivata puntuale, costringendo la Commissione Europea (a parole, per ora) a impegnarsi a garantire che l’Ue non continui, in eterno, a essere soltanto un inflessibile gendarme dell’austerità.Spiega Magaldi: già esponenti di quel circuito massonico “neoristocratico” che è stato e resta il grande protagonista occulto del rigore europeo, Draghi e Lagarde hanno recentemente “divorziato” dai loro storici sodali, rinnegando la loro stessa storia recente, «per abbracciare finalmente una prospettiva rooseveltiana, archiviando il paradigma dell’austerity». Non a caso, «Draghi ha insistito – anche dalle colonne del “Financial Times” – per aiuti immediati alle aziende e alle famiglie italiane: aiuti che purtroppo non si sono ancora visti». Punto dolentissimo: solo due mesi dopo l’inizio del “lockdown” arriva col contagocce l’elemosina dei 600 euro per chi ne aveva fatto richiesta. Cifra irrisoria, insultante: nel solo settore del commercio, le associazioni di categoria parlano di 50.000 aziende rassegnate al fallimento, proprio per mancanza di fondi, con una perdita netta di 300.000 posti di lavoro. «Una follia: in casi come questo si dovrebbe erogare in modo immediato un “reddito d’emergenza”, che aiuti tutti – indistintamente – a non soffrire così tanto».Magaldi richiama anche la ricetta dell’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: una moneta nazionale parallela all’euro, non convertibile in oro o in valuta, stampabile a costo zero e senza incidere sul debito. «Spendibile subito, sarebbe un toccasana per le nostre aziende: come sappiamo, infatti, molte di esse potrebbero non sopravvivere al “lockdown”». Proprio l’inerzia di Conte aumenta le chances della cordata Colao-Prodi, un ticket con il quale l’Italia cadrebbe dalla padella alla brace. Per Magaldi, il nome dell’ex manager Vodafone (ennesimo campione del rigore eurocratico) serve a tagliare la strada all’unica ipotesi decisiva oggi per il futuro dell’Italia, ovvero «un governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, anche solo per un breve periodo, con un obiettivo epocale: rovesciare il paradigma dell’austerity e far ripartire l’economia con un forte intervento pubblico». Ecco il bivio: chi cavalca il coronavirus per “incatenare” ulteriormente il paese (magari con il Mes, caldeggiato dal Pd e da Gentiloni e Prodi), e chi – al contrario – usa l’emergenza che dimostrare che, se l’Italia agonizza perché l’Ue chiude i rubinetti, il vero problema non è il virus, ma l’attuale sistema europeo post-democratico e neoliberista.Queste, secondo Magaldi, le due opzioni sul tavolo di Mattarella per la “fase due”, al termine della quarantena. «Vedremo – dice il leader “rooseveltiano” – come si muoverà Mattarella, che deve proprio a Draghi la sua elezione al Qurinale: fu l’allora presidente della Bce a convincere Renzi ad appoggiare la sua candidatura». In palio, a quanto pare, non c’è solo l’Italia: il nostro paese «potrebbe diventare il punto di partenza per una storica svolta democratica nella governance europea». Le resistenze – sia a Roma che in Europa – sono fortissime, quanto le pressioni sul capo dello Stato. Lo rivela l’ombra di Colao, che spaventa Conte e serve soprattutto a sbarrare la strada a Draghi. «Dietro le quinte si muove Prodi: altro grande privatizzatore, che però – a differenza di Draghi – non è affatto pentito dei disastri che ha combinato, affossando l’economia italiana come richiestogli dall’oligarchia massonica reazionaria». Settimane decisive, a quanto pare. «Noi comunque faremo di tutto – avverte Magaldi – perché la filiera del rigore non approfitti dell’emergenza coronavirus». Questa élite «deve uscire finalmente sconfitta, dopo decenni di dominio neoliberista e privatizzatore: un regime che ha minato la nostra economia, segnando il declino del paese».«Vigileremo e impediremo che vada in porto il piano oligarchico di chi intende trasformare l’emergenza coronavirus (e l’evidente, disastrosa inadeguatezza di Conte) in un pretesto per commissariare l’Italia». Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, il pericolo è concreto: «Si deve leggere in questi termini la tentazione di sostituire Conte con l’aziendalista Vittorio Colao, per poi magari eleggere Romano Prodi al Quirinale». Attenzione: «Questa “cordata”, che ora rinfaccia a Conte di non aver tempestivamente assistito gli italiani colpiti dalla crisi, è ispirata dagli stessi soggetti che hanno fatto in modo che, a livello europeo, l’Italia non ottenesse le necessarie concessioni finanziarie, tanto più necessarie in un momento come questo». A preoccupare Magaldi è anche il possibile corollario, che già si affaccia: l’idea infatti è quella di «ridurre gli italiani a sudditi di una post-democrazia orwelliana di stampo cinese, sottoposti all’occhiuta sorveglianza di una nuova polizia sanitaria», con tracciature obbligatorie e spostamenti segnalati elettronicamente. Tutto questo «metterebbe fine a molte delle nostre libertà democratiche».
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Meno democrazia, grazie alla paura: è il disegno di Conte
Il problema è l’uso politico della paura. Perché oggi, padrona incontrastata della scena pubblica e dei sentimenti privati, è la paura della pandemia, del contagio, di questo nemico invisibile e feroce che si può nascondere dovunque e d’improvviso può assalirti e condannarti in poche ore a una morte atroce, solo come un cane. Una paura di tutto un popolo (e di quasi tutto il mondo) come mai si era vista serpeggiare fra la gente. Ma, attenzione, c’è un’operazione politica in corso in Italia che fa leva proprio su questa ansia collettiva. La tentazione del potere di usare la paura c’è sempre stata, come spiegava anni fa Zygmunt Bauman: «Di sicuro la costante sensazione di allerta incide sull’idea di cittadinanza nonché sui compiti ad essa legati, che finiscono per essere liquidati o rimodellati. La paura è una risorsa molto invitante per sostituire la demagogia all’argomentazione e la politica autoritaria alla democrazia. E i richiami sempre più insistiti alla necessità di uno stato di eccezione vanno in questa direzione». Queste parole di Bauman fanno pensare all’Italia oggi alle prese con l’epidemia da coronavirus. Ieri un insigne giurista, Claudio Zucchelli (fino a pochi mesi fa presidente della sezione normativa del Consiglio di Stato), in un suo intervento, giudicava «molto dubbia» la «costituzionalità» dei Dpcm e delle ordinanze emanate a causa del Covid-19, «avendo essi limitato diritti fondamentali costituzionali».Infatti si può incidere su quei diritti «in caso di emergenza purché le limitazioni scaturiscano dal rispetto delle forme cioè della sovranità popolare» che si esprime nel Parlamento. È vero che – dopo molte critiche in questo senso – «il governo ha presentato al Parlamento un decreto legge (n. 19 del 2020) con il quale ha creduto di aggiustare la situazione». In realtà, spiega Zucchelli, «nulla è cambiato, perché il Dl enumera e descrive tutte le misure restrittive già contenute nei precedenti Dpcm, ma non le adotta, delegandole al presidente. È questi che decide sulla esistenza o no dello stato di eccezione, non il Parlamento. Ma chi ha il potere di decidere lo stato di eccezione e sospendere il diritto, possiede la sovranità, e dunque la sovranità si sposta dal popolo al presidente». Zucchelli spiega: «Questa è la violazione avvenuta in questa contingenza perché sono stati accentrati nelle mani del governo il potere normativo e quello esecutivo. Situazione dalla quale metteva in guardia Montesquieu. Il drammatico dubbio è quindi che con il pretesto della emergenza, si tenti di cambiare il volto stesso della democrazia occidentale, andando verso una democrazia autoritaria, ossimoro che cela una nuova forma di Stato autoritario».Proprio per la paura dilagante in queste settimane tutto un popolo ha accettato senza la minima obiezione qualcosa che sarebbe stato impensabile fino a pochi giorni fa: la forte limitazione della nostra libertà personale, la rinuncia ai nostri legami sociali e addirittura la prospettiva prossima del baratro economico. Il paese vive questa generale condizione di paralisi come ipnotizzato. Senza ancora rendersi conto precisamente di cosa sta accadendo. Ma perché Conte ha deciso quella forzatura? La via naturale sarebbe stato un serio dibattito parlamentare con il coinvolgimento di tutte le forze politiche nel governo per avere l’unità del paese e renderlo più forte in questa battaglia terribile. Ma questo avrebbe significato rimettere in gioco il centrodestra (che è maggioranza nel paese) e Salvini (che Conte detesta) e probabilmente avrebbe portato pure all’accantonamento di Conte. Perciò l’attuale premier – che sta a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare – con i suoi strateghi ha scelto la via opposta, intravedendo in questa emergenza nazionale la grande occasione per darsi un’immagine da leader.Ha dunque varato una sorprendente operazione politica. Si è preso un ruolo esorbitante invadendo Tv e altri media e diventando l’unico attore sulla scena, non avendo voluto neanche nominare un Bertolaso per l’emergenza (pure il Consiglio dei ministri è evaporato). È diventato un uomo solo al comando e si è proposto come il Grande Rassicuratore della gente impaurita dall’epidemia. Gli errori fatti da lui e dal suo governo da fine gennaio, quando è scattato l’allarme, nella gestione dell’emergenza, sono davvero grandi (da quelli sulla Lombardia, alle preziose settimane di febbraio perse senza far nulla, dalla mancanza di attrezzature di protezione, perfino negli ospedali, fino alla carenza di cure a domicilio per i positivi). Ma paradossalmente e inspiegabilmente tutto questo non sembra suscitare (ancora) indignazione. Perché fra la gente la ragione critica è oggi totalmente soffocata dalla paura. Infatti – nonostante questi errori – nei sondaggi pare che il consenso attorno a Conte e questo governo – al momento – sia cresciuto. Perché? E perché l’opposizione – che ha cercato di dare il suo contributo critico evidenziando gli errori del governo, viene – a quanto – pare penalizzata?Lo ha spiegato bene Marco Gervasoni nel suo pamphlet, “Coronavirus: fine della globalizzazione” (con Corrado Ocone): «Quando c’è la paura – e l’epidemia è uno dei fattori che più la scatena – l’essere umano è pronto a rinunciare a tutto, pur di salvare la vita. Quando l’uomo ha paura ha bisogno sì di un capo. Ma di un capo che lo rassicuri, non che crei ulteriore paura o ansia… quando l’uomo ha paura di morire si affida a chi può dargli maggiore certezze. Per questo inevitabilmente, sul breve periodo (che però non sappiamo quanto potrà essere lungo) la crisi mondiale favorirà chi al potere già ci sta». Il bisogno collettivo di rassicurazione si vede bene nel successo del più sciocco slogan del secolo: “Andrà tutto bene”. Si contano i morti a migliaia ogni giorno, ma la gente ha bisogno di qualcuno che – come ai bambini – ripeta: non preoccuparti, andrà tutto bene. Contro ogni evidenza, perché questo non è il momento della razionalità. Conte si è inserito in questa ondata di paura, per rispondere a tale bisogno di rassicurazione, come unica autorità in campo (sostenuto da Mattarella e Bergoglio) e lo ha fatto ostentando appunto paterna protezione. Così è cresciuto in popolarità. Il suo progetto politico punta al Quirinale. Ma è difficile che un governicchio così debole e minoritario possa superare l’enorme scoglio rappresentato dal crollo della nostra economia (a fine aprile arriveranno i primi dati e saranno terrificanti).Di fronte a quella situazione drammatica s’imporrebbe la necessità di un governo di unità nazionale, che fosse largamente maggioritario in Parlamento e nel paese, ma sicuramente si accamperanno le solite scuse: «Non si può fare una crisi di governo in questa situazione di emergenza e tanto meno si possono fare le elezioni». Allora potrebbe saltar fuori dal cilindro l’idea di un direttorio di illuminati che affiancherebbero il premier per “salvare” il paese dal tracollo totale. Nei giorni scorsi una falsa notizia attribuita all’Ansa (che ha subito fatto denuncia), parlava di colloqui fra le alte istituzioni su una «task force per la ricostruzione» e si facevano i soliti nomi di Draghi, di Cassese e di Amato. «Notizia falsa, ma in fondo verosimile», ha commentato “Lettera 43″. Chi l’ha fabbricata potrebbe aver orecchiato idee che circolano nell’aria. Qualcuno sospetta che alcuni di quei nomi siano stati fatti per essere “bruciati”. Se si percorresse quella via sarebbe una sorta di commissariamento della Repubblica, che forse passerebbe in modo indolore fra la gente attanagliata dalla paura e – anche – dal dramma economico. La paura e l’emergenza permettono tante cose. In fondo le prove generali sono appena state fatte in questi giorni. Il rischio, come scrive Zucchelli, è che «con il pretesto della emergenza, si tenti di cambiare il volto stesso della democrazia occidentale, andando verso una democrazia autoritaria».(Antonio Socci, “Meno democrazia e più paura, così il premier prova a diventare leader”, da “Libero” del 7 aprile 2020).Il problema è l’uso politico della paura. Perché oggi, padrona incontrastata della scena pubblica e dei sentimenti privati, è la paura della pandemia, del contagio, di questo nemico invisibile e feroce che si può nascondere dovunque e d’improvviso può assalirti e condannarti in poche ore a una morte atroce, solo come un cane. Una paura di tutto un popolo (e di quasi tutto il mondo) come mai si era vista serpeggiare fra la gente. Ma, attenzione, c’è un’operazione politica in corso in Italia che fa leva proprio su questa ansia collettiva. La tentazione del potere di usare la paura c’è sempre stata, come spiegava anni fa Zygmunt Bauman: «Di sicuro la costante sensazione di allerta incide sull’idea di cittadinanza nonché sui compiti ad essa legati, che finiscono per essere liquidati o rimodellati. La paura è una risorsa molto invitante per sostituire la demagogia all’argomentazione e la politica autoritaria alla democrazia. E i richiami sempre più insistiti alla necessità di uno stato di eccezione vanno in questa direzione». Queste parole di Bauman fanno pensare all’Italia oggi alle prese con l’epidemia da coronavirus. Ieri un insigne giurista, Claudio Zucchelli (fino a pochi mesi fa presidente della sezione normativa del Consiglio di Stato), in un suo intervento, giudicava «molto dubbia» la «costituzionalità» dei Dpcm e delle ordinanze emanate a causa del Covid-19, «avendo essi limitato diritti fondamentali costituzionali».