Archivio del Tag ‘condanna’
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Non credete a Obama, è pronto a usare la bomba atomica
«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».Secondo Roberts, la Casa Bianca si è fatta convincere dai neo-conservatori che le forze nucleari russe sono ferme e impreparate, quindi un ottimo bersaglio per un attacco. «Questa falsa opinione – scrive l’analista, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – si basa su informazioni vecchie di dieci anni», prima cioè del poderoso riarmo difensivo promosso da Putin, che ha permesso alla Russia di giocare un ruolo-chiave per impedire che la Siria diventasse la scintilla della possibile Terza Guerra Mondiale. In ogni caso, «indipendentemente dalle reali condizioni delle forze nucleari russe, dal successo del “primo attacco” di Washington e dal livello di protezione dello “shield” americano», uno studioso come Steven Starr conferma che «il carattere letale delle armi nucleari» non è arginabile: un conflitto atomico non avrebbe vincitori, perché tutti soccomberebbero nella catastrofe.Lo ribadiscono autorevoli scienziati atmosferici, in studi come quello pubblicato già nel 2008 da “Physics Today”: nonostante la riduzione degli arsenali nucleari programmata con Gorbaciov nel lontano 1986 (ridurre a circa 2.000 entro il 2012 le 70.000 testate dell’epoca) non si è ancora ridotta la minaccia che una guerra nucleare rappresenta per la vita umana sulla Terra. E’ scontata la distruzione simultanea di centinaia di milioni di persone, mentre il fumo atomico emanato dalle esplosioni nella stratosfera «causerebbe l’inverno nucleare e il collasso dell’agricoltura». Sicché, «gli esseri umani scampati alla morte e alle radiazioni morirebbero comunque di fame». Reagan e Gorbaciov l’avevano ben compreso, ma «purtroppo non c’e’ stato un degno successore tra i governi americani che seguirono», sostiene Craig Roberts. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, i 9 paesi dotati di armi nucleari ancora possiedono un totale di 16.300 testate atomiche.E il maggior pericolo viene proprio dagli Usa: «E’ ormai appurato che a Washington ci siano dei politici che pensano, erroneamente, che la guerra nucleare sia una guerra che si può vincere, e che sia un valido strumento per arrestare l’ascesa di Russia e Cina che mette a repentaglio l’egemonia americana nel mondo». Il governo degli Stati Uniti, indipendentemente dal partito in carica, è «una grossa minaccia per la vita sulla Terra», accusa Roberts. E i governi europei, «che si reputano civilizzati», in realtà «non lo sono affatto, poiché permettono a Washington di perseverare nella sua sete di egemonia». E’ quello il problema: «L’ideologia che concede all’eccezionale e indispensabile America questa supremazia è un’enorme minaccia per il mondo».Iraq e Afghanistan, Libia e Siria, Yemen e Somalia, per non parlare della Jugoslavia. «La distruzione parziale o totale di sette paesi del mondo operata dall’Occidente nel 21° secolo, con l’appoggio di altre “civiltà e mezzi d’informazione occidentali”, è la prova lampante che la leadership del mondo occidentale è completamente svuotata di coscienza morale e di compassione per il genere umano», dichiara Craig Roberts. «Ora che Washington è armata della sua falsa dottrina di “supremazia nucleare”, si prospetta un triste futuro per l’umanità». Secondo l’ex consigliere di Reagan, infatti, «Washington ha dato il via alla preparazione di una Terza Guerra Mondiale, e gli europei sembrano ben disposti a prenderne parte». A fine 2012, il danese Rasmussen a capo dell’Alleanza Atlantica aveva detto che la Nato non considerava la Russia come un nemico, ma «ora che la folle Casa Bianca insieme ai suoi folli vassalli ha dimostrato alla Russia che l’Occidente è ancora un nemico», Rasmussen ha cambiato posizione, dichiarando: «Dobbiamo accettare il fatto che la Russia ci considera suoi avversari», per aver sostenuto militarmente l’Ucraina (golpista) insieme agli altri paesi dell’Europa orientale.L’escalation è ormai avviata: per Alexander Vershbow, ex ambasciatore statunitense in Russia e attuale vicesegretario Nato, la Russia è «un nemico». Pertanto, «i contribuenti americani ed europei devono sostenere l’ammodernamento degli armamenti, non solo per Ucraina ma anche per Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaijan». L’apparato militare americano sta riesumando la guerra fredda, scrive Roberts, proprio perché ha appena perso la cosiddetta “guerra al terrore” in Iraq e Afghanistan. «Questo probabilmente è il punto di vista delle industrie di armamenti e di qualcuno a Washington». Ma i neocon sono ancora più ambiziosi: «Non perseguono solo il profitto nel sistema della sicurezza e degli armamenti, il loro scopo è l’egemonia degli Stati Uniti nel mondo, ovvero azioni sconsiderate come la minaccia strategica che il regime di Obama, con la complicità dei vassalli europei, ha lanciato contro la Russia in Ucraina».Dall’autunno scorso, continua Roberts, il governo americano «non ha fatto che mentire sull’Ucraina, dando la colpa alla Russia per le conseguenze delle azioni di Washington e demonizzando Putin nello stesso modo in cui Washington ha demonizzato Gheddafi, Saddam Hussein, Assad, i Talebani e l’Iran». Il governo conta su formidabili complici: «La stampa “prostituita” e le capitali dei paesi europei hanno assecondato queste menzogne e questa propaganda, ripetendole senza sosta». Così, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Russia è diventato apertamente negativo. «Come pensate che vedano tutto questo Russia e Cina? La Russia ha visto la Nato spingersi fino ai suoi confini, una violazione degli accordi sottoscritti da Reagan e Gorbaciov». Peggio: Mosca «ha visto gli Stati Uniti violare gli accordi del trattato “Shield” e costituire un proprio “scudo” da guerre stellari». Se poi questo “shield” funzioni o meno «è del tutto irrilevante: il suo scopo è quello di convincere i politici e l’opinione pubblica che gli americani sono al sicuro».La notizia peggiore, continua Craig Roberts, è che i russi hanno visto gli Stati Uniti cambiare il ruolo delle armi nucleari, da mezzi deterrenti a strumenti di attacco preventivo. «E ora la Russia sente ogni giorno fiumi di menzogne ripetute in Occidente e assiste al massacro di civili nell’Ucraina russa da parte del vassallo ucraino degli Stati Uniti». Civili che Washington definisce “terroristi”, e che invece vengono sterminati «con armi come il fosforo bianco». E tutto questo «senza alcuna protesta da parte dei paesi dell’Occidente». E’ cronaca, benché oscurata dai media mainstream: «Attacchi massicci di artiglieria e aerei sulle case dell’Ucraina russa si sono compiuti nel giorno del 25° anniversario di Piazza Tienanmen, mentre Washington e i suoi paesi-marionetta hanno condannato la Cina per un evento che non è mai accaduto». La farsa della presunta “strage” di Pechino è infatti stata smascherata da fonti diplomatiche Usa: il governo cinese non ha mai sparato sulla folla degli studenti, ma ha contrattato con loro l’abbandono della piazza.«Come oggi sappiamo, non c’era stato alcun massacro in piazza Tienanmen», sottolinea Craig Roberts. «Era solo un’altra bugia di Washington, come quella del Golfo del Tonchino, come le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, come l’uso di armi chimiche di Assad, come le armi nucleari iraniane». Si stupisce, l’ex viceministro di Reagan: «E’ davvero sorprendente vedere come il mondo stia vivendo una falsa realtà creata dalle bugie di Washington. Il film “Matrix” è una fedele rappresentazione della vita in Occidente: la popolazione vive in una falsa realtà creata dai suoi governanti». L’opinione pubblica è così assuefatta da non riuscire a distaccarsene, come spiega – in quel film – Morfeo, il capo dei ribelli “risvegliati”: «La maggior parte della gente non è pronta a staccare la spina», molti di loro sono «così completamente schiavi del sistema che lotteranno per proteggerlo».Confessa Craig Roberts: «Vivo quest’esperienza ogni volta che scrivo un articolo: ecco che arrivano le proteste di quelli che non sono disposti a staccare la spina, attraverso e-mail o dai quei siti che nella sezione dei commenti accusano gli scrittori di calunnia verso i loro governi-troll». Se non altro, aggiunge l’analista, ad abboccare è l’Occidente, ma non le popolazioni russe e cinesi, quelle che vedono benissimo il cappio che si sta stringendo giorno per giorno. «Come pensate che reagirà la Cina quando Washington dichiarerà che il Mar Cinese Meridionale è una zona di interesse nazionale degli Stati Uniti, e invierà il 60% della sua flotta nel Pacifico e costruirà nuove basi aeree e navali americane dalle Filippine al Vietnam?». Finora, aggiunge Roberts, russi e cinesi «si sono comportati in modo ragionevole». Sergej Lavrov, il ministro degli esteri di Putin, è estremamente chiaro: «In questa fase, vogliamo dare ai nostri partner la possibilità di calmare gli animi. Vedremo cosa succederà in seguito. Se continueranno le accuse contro la Russia e i tentativi di pressione su di noi attraverso la leva economica, allora potremo rivalutare la situazione».«Se la folle Casa Bianca, le prostitute mediatiche di Washington e i vassalli d’Europa convinceranno la Russia che la guerra è inevitabile, la guerra diventerà davvero inevitabile», avverte Craig Roberts. «E poiché non esiste possibilità alcuna che la Nato sia in grado di montare un’offensiva convenzionale contro la Russia nemmeno lontanamente vicina alle dimensioni e alla potenza delle forze d’invasione tedesche del 1941, che poi incontrarono la distruzione, la guerra non potrà che essere nucleare, e questo significa la fine per tutti. Tenetelo bene a mente, mentre Washington e i suoi canali d’informazione continuano a far rullare i tamburi di guerra». La storia è lì a dimostrare che, oltre ogni dubbio, «tutto quello che Washington e le sue prostitute mediatiche hanno detto e dicono, non sono che bugie al servizio di un fine non dichiarato». E la cosa, purtroppo, «non si risolve votando democratico invece che repubblicano». Thomas Jefferson suggerì una soluzione: «L’albero della libertà di tanto in tanto si deve bagnare con il sangue dei patrioti e dei tiranni. E’ il suo concime naturale». Per Roberts, il guaio è che oggi «a Washington ci sono pochi patrioti e molti tiranni».«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».
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Haaretz: studenti uccisi, Israele punisce palestinesi inermi
Il rapimento e l’omicidio dei tre studenti yeshiva della West Bank è stato interpretato dai palestinesi come un altro incidente in una routine di violenza, di cui Israele è il primo responsabile. Non c’è stata nemmeno una scintilla che somigliasse ad una opposizione o a una protesta, ma non c’è stata nemmeno una scintilla a favore del rapimento, nessuno che abbia chiesto “di più”. Migliaia di famiglie palestinesi sono rimaste per due settimane sotto il rullo del compressore militare israeliano, senza che ci fosse un solo motivo che collegasse questa gente al rapimento dei ragazzi ebrei, senza che fosse mostrata almeno quella naturale compassione che nasce a livello personale. E’ questo il motivo per cui i palestinesi fondamentalmente ritengono che gli israeliani in particolare, ed il mondo in generale, li discriminino quando si parla di violenza.La violenza dei palestinesi merita di essere condannata, e i due responsabili per questa violenza, insieme a tanti che non erano responsabili di nulla, sono stati puniti con grande severità, anche se questa severità ha assunto la natura di una rappresaglia. Al contrario, la continua violenza israeliana – messa in atto dal governo perché si tratta di violenza perpetrata da un governo straniero, dall’esercito e da privati cittadini come i coloni – non solo non viene punita, ma viene anche raccontata. Non la chiamano nemmeno “violenza”, non è qualcosa che interessa gli israeliani e certamente non risveglia in nessuno un sentimento di identificazione con le vittime. Le vittime israeliane della violenza – che sono meno di quelle palestinesi – hanno tutte un nome e una faccia, sia in Israele che nel mondo. Le molte vittime palestinesi, quando va bene, entrano nel conto delle statistiche.Questa affermazione non è solo il punto di vista espresso su un editoriale, ma è alla base della vita quotidiana dei palestinesi. La loro mancanza di compassione in casi particolari, come questo, è la risposta dei palestinesi a questa loro discriminazione. Fintanto che non erano ancora stati trovati i corpi, molti palestinesi non credevano nemmeno che il rapimento fosse mai avvenuto. Per loro, il rapimento era stata tutta una invenzione per ostacolare il governo di unità nazionale palestinese, per annullare i risultati (secondo il punto di vista palestinese) della negoziazione per liberare il soldato rapito Gilad Shalit e per danneggiare Hamas. I palestinesi hanno creduto che il rapimento avrebbe solo portato vantaggi al governo di Benjamin Netanyahu, che il rapimento fosse stato solo un artifizio diplomatico (per esempio, per giustificare il rifiuto europeo e americano e l’opposizione al governo di unità nazionale palestinese).Lo sciopero della fame dei palestinesi in detenzione amministrativa in Israele aveva cominciato a fare eco sui media, e l’omicidio (omicidio, è la parola usata dai palestinesi) di due ragazzi palestinesi a Beitunia fatto dai soldati israeliani aveva rivelato le menzogne esistenti nel resoconto israeliano sull’incidente e l’assoluto imbarazzo delle autorità israeliane. Per un po’, questo aveva fatto sì che anche l’esercito e la polizia di frontiera – sia secondo i manifestanti che secondo i giornalisti – si comportassero in modo stranamente più moderato in presenza di alcune manifestazioni. Così, invece di chiedersi «chi è il palestinese che, con questo atto, è riuscito a vanificare tutti gli ultimi successi palestinesi», si sono tutti rifugiati nelle teorie della cospirazione.Questo atteggiamento ha impedito che qualsiasi discussione pubblica portasse ad una conclusione diversa: non solo non esiste nessuna strategia palestinese unificata, ma è stato dimostrato ancora una volta che, anche all’interno di Hamas, non c’è nemmeno un coordinamento tra tattica e strategia. Il rapimento mette in pericolo il nuovo governo e va contro gli interessi del leader di Hamas e di molti rami del movimento. In questo momento c’era un immediato bisogno del governo di unità nazionale, per sopravvivere alla crisi e riuscire a pagare gli stipendi ai dipendenti di Hamas a Gaza e, a lungo termine, per sbarazzarsi del peso della cronica crisi economica creata dal blocco israeliano. Eppure, anche quelli che erano furiosi – soprattutto nel partito Fatah – contro quegli attori locali che hanno pianificato e messo in atto il rapimento, sono stati costretti a reprimere i loro sentimenti di rabbia alla luce dell’assalto israeliano lanciato contro una parte tanto grande della popolazione palestinese.Altri, tra cui gli oppositori di Hamas, stavano aspettando il momento in cui i rapitori avrebbero dettato le condizioni per la restituzione degli ostaggi (vivi). Nello sbilanciamento di potere tra palestinesi e israeliani, il rapimento è visto come uno strumento legittimo. Gli assassini dovevano aver previsto che i ragazzi rapiti restassero vivi, ma qualcosa è andato storto e questo attesta il dilettantismo e la mancanza di una preparazione adeguata. Ma un dubbio resta sempre vivo: Hamas non ripudia mai pubblicamente chiunque dei suoi membri fallisca o abbia agito di propria iniziativa. In questa atmosfera, quei palestinesi che credono che sia sbagliato uccidere dei ragazzi israeliani inermi, anche se sono coloni o se studiano negli insediamenti, non osano dirlo ad alta voce.Dopo che i palestinesi sono stati costretti ad ammettere che gli israeliani rapiti non erano dei soldati armati, ma solo ragazzi, più volte hanno voluto sottolineare che, comunque, erano dei coloni. Tra i palestinesi, l’opinione prevalente è che gli attacchi contro i coloni siano giustificati, e che dovrebbe essere fatta una distinzione tra i coloni e i cittadini israeliani che vivono al di là della Linea Verde. Un uomo, che dice che non sarebbe mai capace di uccidere personalmente un colono, ha dichiarato che l’attacco a questi coloni è stato interpretato come un segnale lanciato agli israeliani, per far capire che non dovrebbero mandare i propri figli in Cisgiordania, che in quel posto non dovrebbero sentirsi al sicuro, che dovrebbero sapere che la loro presenza significa una spoliazione per i palestinesi. E’ molto dubbio che questo possa essere stato il messaggio che avrebbero voluto mandare quelli che hanno rapito e ucciso i tre ragazzi. Quel che è certo, però, è che al momento non c’è nessun dibattito interno tra i palestinesi sul fatto se l’omicidio sia effettivamente servito per questo obiettivo.(Amira Haas, “I palestinesi reagiscono con indifferenza all’assassinio dei tre ragazzi israeliani”, editoriale pubblicato sul quotidiano israeliano “Haarez” il 2 luglio 2014, tradotto da Bosque Primario per “Come Don Chisciotte”).Il rapimento e l’omicidio dei tre studenti yeshiva della West Bank è stato interpretato dai palestinesi come un altro incidente in una routine di violenza, di cui Israele è il primo responsabile. Non c’è stata nemmeno una scintilla che somigliasse ad una opposizione o a una protesta, ma non c’è stata nemmeno una scintilla a favore del rapimento, nessuno che abbia chiesto “di più”. Migliaia di famiglie palestinesi sono rimaste per due settimane sotto il rullo del compressore militare israeliano, senza che ci fosse un solo motivo che collegasse questa gente al rapimento dei ragazzi ebrei, senza che fosse mostrata almeno quella naturale compassione che nasce a livello personale. E’ questo il motivo per cui i palestinesi fondamentalmente ritengono che gli israeliani in particolare, ed il mondo in generale, li discriminino quando si parla di violenza.
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Argentina, Washington difende gli sciacalli del debito
Fondi-avvoltoio: avevano speculato sull’agonia dell’Argentina nel 2001, acquistando a prezzi stracciati i titoli di Stato di Buenos Aires. Poi il governo democratico di Nestor Kirchner ha “ristrutturato” il debito tra il 2005 e il 2010, ma ora la Corte Suprema statunitense ha respinto il ricorso del governo argentino contro una sentenza che imponeva il pagamento di 1,3 miliardi di dollari, più interessi, agli obbligazionisti non avevano accettato i termini della ristrutturazione. Non si tratta di piccoli risparmiatori, ma di fondi speculativi che hanno messo in atto un’operazione già andata in porto in altre occasioni, rileva Alessia Lai. Il fondo Nml Capital del miliardario statunitense Paul Singer cerca di ottenere un risultato simile a quelli raggiunti anni addietro in Perù e in Congo. Nel primo caso, per alcuni buoni in default acquisiti per 11,4 milioni, il fondo ottenne 58 milioni. E nel paese africano, grazie a forti pressioni, riuscì a convertire in un pagamento di 90 milioni un debito comprato ad appena 20 milioni di dollari.«L’Argentina non intende fare lo stesso», scrive Alessia Lai su “Sponda Sud”: «Lo ha detto e ribadito in una lotta che va avanti da 12 anni». Dopo la sentenza di Washington, il caso tornerà in tribunale e, soprattutto, tornerà nelle mani di Thomas Griesa, giudice che ha già condannato due volte l’Argentina a pagare quanto richiesto dai fondi speculativi statunitensi. La “presidenta” argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, ha definito «un’estorsione» l’annuncio della Corte Suprema americana e, a caldo, ha ribadito che il governo porterà avanti «tutte le strategie necessarie affinché chi ha avuto fiducia nel paese riceva i propri soldi», riferendosi a quel 92,4% dei creditori post-default che hanno accettato la rinegoziazione dei tango-bond. Il quadro è tuttavia intricato: la Corte statunitense ha revocato la misura precauzionale che aveva permesso al governo argentino di non compiere i pagamenti in sospeso ai “fondi avvoltoio”, ostili alle ristrutturazioni del debito.Gli Usa non accettano le due istanze fondamentali presentate da Buenos Aires. La prima sosteneva che non si può considerare un paese colpevole di non ottemperare alla clausola che richiede la parità di trattamento dei creditori, se questo effettua periodici pagamenti degli interessi a coloro che hanno accettato la ristrutturazione. La seconda contestava la possibilità per un tribunale distrettuale come la corte di New York, di ordinare la disponibilità di beni di un paese quando questi sono coperti dalla legge di immunità sovrana. Thomas Griesa, infatti, aveva ordinato che il denaro usato da Buenos Aires per pagare gli obbligazionisti che avevano accettato la ristrutturazione venissero sequestrati e girati ai fondi creditori. Ora, col rifiuto della Corte di accogliere il ricorso argentino, è stata di fatto accolta la sentenza che ha favorito i “fondi avvoltoio”: entra quindi in vigore l’ordine di pagamento ai fondi speculativi disposta da Griesa.Secondo un alto funzionario del ministero argentino dell’economia, Jorge Capitanich, la revoca della sospensione dei pagamenti ai fondi-avvoltoio «impedisce all’Argentina di eseguire il pagamento della prossima trance di debito», a meno che non vengano pagati contemporaneamente anche i fondi speculativi, “premiati” con profitti astronomici (fino al 600.000%). L’imposizione del trattamento paritario potrebbe costare all’Argentina qualcosa come 30 miliardi di dollari, se il 93% dei creditori – quelli che hanno accettato la conversione del debito – rivendicassero a loro volta il pieno pagamento sulle obbligazioni sottoscritte. Da anni, aggiunge Alessia Lai, il governo argentino continua a esplorare tutte le istanze giudiziali possibili, mentre continua a proporre la rinegoziazione cercando di ottenere il rientro dei bond oggi in mano agli speculatori: «Così come stabilito dal nostro ordinamento, dai trattati internazionali e dal diritto comparato, il giudice nazionale può controllare che la decisione straniera non metta a repentaglio l’ordine pubblico», sostiene Alejandra Gils Carbò, procuratrice nazionale argentina.Per la procuratrice, «la prerogativa del governo argentino di ristrutturare il suo debito di fronte a una situazione di emergenza estrema attiene all’ordine pubblico locale e alla sovranità dello Stato: sono gli organi rappresentativi del governo designato per la Costituzione nazionale – e non un creditore individuale, o un tribunale straniero – a stabilire le politiche pubbliche». Un concetto ribadito da Jorge Capitanich, che nota come «il provvedimento del giudice Griesa, tecnicamente, incorre nei limiti dello Stato argentino». Capitanich aggiunge che l’Argentina è disposta a cancellare il debito mantenendo gli impegni assunti con la Banca Interamericana di Sviluppo, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e altre agenzie economiche. Tuttavia, in un’economia globale come quella attuale, «gli attori in campo sono le grandi entità finanziarie, i fondi speculativi capaci di mettere in ginocchio intere nazioni con le loro manovre». Entità per la grande maggioranza statunitensi, continua Alessia Lai, che godono di legami stretti con i governi nordamericani.L’Argentina, un paese risollevatosi da un default causato dalle politiche iperliberiste dei governi filo-Usa, negli anni recenti aveva registrato una importante crescita economica. Negli ultimi anni è stata vittima di attacchi speculativi sulla sua moneta, il peso, che hanno indebolito la valuta nazionale e fatto impennare il valore del dollaro al mercato nero. Il ministro dell’economia, Axel Kicillof, denuncia alcuni settori finanziari che, indebolendo la moneta nazionale, cercano di «destabilizzare il governo». Per il finanziere Paul Singer, quello dei fondi-avvoltoio “miracolati” dalla Corte Suprema Usa, la tempesta finanziaria che minaccia di abbattersi su Buenos Aires è frutto delle politiche «orrende» del governo. Oggi, la sentenza statunitense espone ancora una volta Buenos Aires agli attacchi del mondo finanziario: il Fmi – liquidato e cacciato dall’Argentina dal presidente Nestor Kirchner – si è detto «preoccupato» per le potenziali ripercussioni della sentenza sul sistema finanziario. E puntuale, l’agenzia “Standard & Poor’s” ha tagliato il rating dell’Argentina a CCC- da CCC+ evidenziando, con il downgrade, i maggiori rischi di default sul debito argentino in valuta estera. Cristina Kirchner resiste, convinta che a insidiare l’Argentina «non è un problema finanziario o giuridico», ma qualcosa che «riguarda un modello di business a scala globale» che potrebbe portare a «tragedie inimmaginabili». Così, la lotta di Buenos Aires contro la finanza speculativa va avanti.Fondi-avvoltoio: avevano speculato sull’agonia dell’Argentina nel 2001, acquistando a prezzi stracciati i titoli di Stato di Buenos Aires. Poi il governo democratico di Nestor Kirchner ha “ristrutturato” il debito tra il 2005 e il 2010, ma ora la Corte Suprema statunitense ha respinto il ricorso del governo argentino contro una sentenza che imponeva il pagamento di 1,3 miliardi di dollari, più interessi, agli obbligazionisti non avevano accettato i termini della ristrutturazione. Non si tratta di piccoli risparmiatori, ma di fondi speculativi che hanno messo in atto un’operazione già andata in porto in altre occasioni, rileva Alessia Lai. Il fondo Nml Capital del miliardario statunitense Paul Singer cerca di ottenere un risultato simile a quelli raggiunti anni addietro in Perù e in Congo. Nel primo caso, per alcuni buoni in default acquisiti per 11,4 milioni, il fondo ottenne 58 milioni. E nel paese africano, grazie a forti pressioni, riuscì a convertire in un pagamento di 90 milioni un debito comprato ad appena 20 milioni di dollari.
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Disastro Tsipras, una sinistra senza idee contro la crisi
«Compagni della base di Sel e di Rifondazione, ma che aspettate a darvi una mossa e ruzzolare dalle scale tutti i vostri dirigenti?». Per Aldo Giannuli, l’ennesima rovinosa sconfitta elettorale della cosiddetta sinistra radicale è una condanna senza appello: una sinistra senza idee e senza proposte. Per un motivo semplicissimo: non ha capito la crisi, non “vede” quello che sta succedendo, non sa articolare un’analisi. Ovvio, quindi, che non proponga rimedi credibili. Numeri impietosi: con la sola eccezione di Grecia e Portogallo, la sinistra radicale europea è ormai solo un voto di testimonianza. E tocca il fondo in Italia con la Lista Tsipras al 4%. «Il dato evidente e schiacciante è che la sinistra radicale non ha intercettato niente della protesta che monta». Le europee sono state un referendum sull’euro, e infatti «la protesta ha premiato i partiti che si sono dichiarati apertamente contro l’euro e la Ue». La sinistra? Non pervenuta: non ha nemmeno sfiorato il tema cruciale dell’insostenibilità della moneta unica “privatizzata” dalla Bce.Per Giannuli, quello della sinsitra radicale è un profilo «a dir poco ambiguo e sfumato», dal momento che «non ha avuto il coraggio di schierarsi contro l’euro, limitandosi a un generico appello alla fine dell’austerità». In sostanza, tutta la compagnia – Linke, comunisti francesi, Tsipras – ha «accettato il dogma europeista che identifica senza residuo l’unità europea con la Ue, salvo lanciare un fumosissimo slogan dell’“Altra Europa” che non si capisce in cosa si traduca sul piano politico». E anche volendo concedere che non siano l’euro e l’Unione Europea il nemico contro cui schierarsi, «la sinistra “radicale” non è riuscita a indicare nessun altro nemico, salvo le solite genericissime geremiadi contro la speculazione finanziaria, cui non ha fatto seguito alcuna proposta di lotta». La sinistra “radicale” è mancata completamente al suo ruolo nella crisi: «Non poteva avere nessuna proposta, perché non aveva alcuna analisi della crisi. Semplicemente non ha capito nulla di quello che stava e sta succedendo».Il punto è che da almeno un quarto di secolo questa sinistra “radicale” «non produce un grammo di cultura politica», aggiunge Giannuli: «In tutta Europa, non conosco una sola rivista di qualche spessore teorico prodotta da quest’area, né ricordo un convegno che abbia lasciato tracce durevoli». Quello che ancora viene etichettato come “radicale” è «un aggregato di organizzazioni residuali che hanno fuso rimasugli di partiti comunisti con pezzi di sinistra socialdemocratica e che ha cercato di sopperire alla débacle ideologica della socialdemocrazia: una sorta di “socialdemocrazia vicaria” che ha condotto solo battaglie difensive e spesso di retroguardia». E’ un ceto politico residuale, fatto di dirigenti «sempre più scadenti e opportunisti, spesso cooptati», che si è semplicemente adattato all’ondata neoliberista, limitandosi a una “resistenza passiva”. «E quando la crisi è arrivata a scuotere il sistema liberista, in cui si era scavata una confortevole nicchia, la sinistra “radicale” non ha avuto nulla da dire».La Lista Tsipras? Un progetto senza futuro. «Se raggiungeranno il quorum – profetizzava Giannuli alla vigilia – cominceranno a litigare tra loro già l’indomani». Detto fatto. «Non mi facevo illusioni – dice oggi Giannuli – ma sono riusciti ad andare al di là delle mie più pessimistiche previsioni», con la Spinelli che non mantiere la parola data (riunciare al seggio) e la rottura inevitabile con Sel. In pole position i “garanti”, che dovevano tutelare gli equilibri e armonizzate le varie anime: «Ovadia si è dimesso, ma solo per fare posto a Curzio Maltese (altro membro dell’area dei garanti), Rea si è dimesso a favore di Spinelli che, per parte sua, non si dimette affatto. Morale: i 2/3 degli eletti sono della redazione di “Repubblica”». La Spinelli inoltre è stata la compagna di Tommaso Padoa Schioppa, con il quale si è spesso accompagnata alle riunioni del Bilderberg. «Mi sapete dire che diavolo c’entra un frequentatore del Bilderberg con la sinistra radicale? Allo stesso modo, mi sapete dire che c’entra “Repubblica” con la sinistra radicale?».Se lo scopo era attrarre voti diversi e trasversali, quelli della società civile, il risultato è stato un disastro: un anno fa, Sel e Rivoluzione Civile ottennero quasi 2 milioni di voti, la Lista Tsipras appena 1 milione. Inoltre, «tutti hanno fatto quello che potevano per fare disastri: Sel ha mostrato di crederci molto poco (a proposito: non è che mi fossi inventato io la notizia della pronta confluenza di Migliore e dei suoi nel Pd: era nell’aria come le notizie più recenti confermano) e infatti Vendola ci ha messo il carico da undici, un minuto dopo i risultati, per dire che era una “lista di scopo” e che non se ne parla di Syriza italiana». Il che significa che la prospettiva è quella di entrare nel Pd, «sempre che Renzi ce li voglia». Quanto a Rifondazione, «si accontenta del seggio che è riuscita a portare a casa e non esiste politicamente». Giannuli non ha dubbi: «Il disegno complessivo è a pezzi: la decisione della Spinelli manda a pezzi tutto, perché induce Sel (tutta Sel, compreso Fratoianni, temo) a prendere il largo. E, senza Sel, questa lista è solo il residuo di Rifondazione + “Repubblica”, con “Repubblica” in posizione dominante». E non è tutto, infierisce Giannuli: «Ora vedrete le liti per la divisione dei rimborsi, dei funzionari, poi verranno quelle per l’attribuzione dei dossier». In altre parole: la sinistra radicale è tecnicamente finita.«Compagni della base di Sel e di Rifondazione, ma che aspettate a darvi una mossa e ruzzolare dalle scale tutti i vostri dirigenti?». Per Aldo Giannuli, l’ennesima rovinosa sconfitta elettorale della cosiddetta sinistra radicale è una condanna senza appello: una sinistra senza idee e senza proposte. Per un motivo semplicissimo: non ha capito la crisi, non “vede” quello che sta succedendo, non sa articolare un’analisi. Ovvio, quindi, che non proponga rimedi credibili. Numeri impietosi: con la sola eccezione di Grecia e Portogallo, la sinistra radicale europea è ormai solo un voto di testimonianza. E tocca il fondo in Italia con la Lista Tsipras al 4%. «Il dato evidente e schiacciante è che la sinistra radicale non ha intercettato niente della protesta che monta». Le europee sono state un referendum sull’euro, e infatti «la protesta ha premiato i partiti che si sono dichiarati apertamente contro l’euro e la Ue». La sinistra? Non pervenuta: non ha nemmeno sfiorato il tema cruciale dell’insostenibilità della moneta unica “privatizzata” dalla Bce.
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Stanno progettando di colpire la Russia con armi nucleari
Sorpresa: Washington pensa che in una guerra nucleare ci possa essere chi vince. E sta progettando un primo attacco alla Russia, o forse alla Cina, per evitare qualsiasi sfida alla sua egemonia sul mondo. Il piano è molto avanzato, avverte Paul Craig Roberts, citando “La letalità delle armi nucleari” di Steven Starr: «Basterebbe l’1% degli arsenali nucleari degli Usa o della Russia per provocare una “piccola guerra nucleare” che porterebbe a un disfacimento catastrofico del clima globale e alla distruzione massiccia dello strato di ozono, con conseguenti danni, tanto gravi per l’agricultura del mondo, che due miliardi di persone potrebbero morire di fame». La brutta notizia è che la dottrina strategica degli Stati Uniti è cambiata: con Obama, «il ruolo dei missili nucleari è stato portato da strumento di reazione ad arma offensiva, da usare al primo colpo». Per questo sono stati piazzati i missili anti-balistici Abm nelle basi americane in Polonia, e altri missili verranno dislocati nell’Est Europa. «Una volta completato il lavoro, la Russia sarà circondata da basi missilistiche americane».I missili anti-balistici, noti come “star wars”, sono armi progettate per intercettare e distruggere missili balistici intercontinentali, spiega Craig Roberts, già viceministro del Tesoro con Reagan e “associated editor” del “Wall Street Journal”. Secondo la nuova strategia di guerra di Washington, continua Roberts in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, gli Stati Uniti dovrebbero colpire la Russia per primi. Qualunque sia la capacità di risposta russa, l’artiglieria missilistica di Mosca non riuscirebbe più a raggiungere il territorio statunitense, perché i missili russi verrebbero intercettati dallo scudo degli Abm dislocati in Europa orientale. Il pretesto agitato da Washington è quello della minaccia terroristica: come se i terroristi fossero una nazione che disponga di un esercito minaccioso. Ufficialmente, i missili Abm sono in Polonia come “scudo” contro i missili intercontinentali iraniani: ma Washington, «come ogni altro governo europeo, sa bene che l’Iran non ha nessun Icnm e che l’Iran non ha mai detto di aver intenzione di attaccare l’Europa».Nessun governo crede nelle ragioni di Washington, continua Craig Roberts. Qualsiasi governo, invece, capisce che le motivazioni dell’America sono «deboli tentativi di nascondere il fatto che sta posizionando le sue basi per poter vincere una guerra nucleare». Il governo russo, naturalmente, è consapevole che questo cambio di strategia di guerra degli Stati Uniti e le basi Abm americane poste ai suoi confini siano orientate contro la Russia. «Sono segnali evidenti che Washington intende essere pronta per un primo attacco con armi nucleari contro la Russia». Anche la Cina, aggiunge l’analista statunitense, ha perfettamente capito che Washington ha le stesse intenzioni contro Pechino. Proprio in risposta alla minaccia di Washington, «la Cina ha attirato l’attenzione del mondo sulla sua capacità di distruggere gli Stati Uniti, nel caso che Washington dovesse intraprendere un conflitto di questo genere». Il peggio è che Obama «crede di poter vincere una guerra nucleare con pochi o senza danni per gli Stati Uniti: ed è questa convinzione che rende probabile una guerra nucleare».Secondo Steven Starr, questa convinzione è basata sull’ignoranza: una guerra nucleare non avrà nessun vincitore. «Anche se le città degli Stati Uniti fossero salvate dallo scudo contro gli Abm, le radiazioni e gli effetti prodotti dall’inverno nucleare delle armi che avranno colpito la Russia o la Cina distruggerebbero gli Stati Uniti allo stesso modo». Prosegue Craig Roberts: «I media, opportunamente concentrati in poche mani durante il corrotto regime di Clinton, sono complici perché stanno ignorando il problema. Anche i governi degli stati vassalli di Washington in Europa occidentale e orientale, del Canada, dell’Australia e del Giappone sono complici, perché accettano il piano di Washington e mettono a disposizione le basi militari per la sua attuazione. Un governo polacco demente, probabilmente, ha già firmato la condanna a morte per l’umanità». E’ corresponsabile anche il Congresso degli Stati Uniti, «perché non è stata presentata nessuna audizione contro il progetto esecutivo per l’avvio di una guerra nucleare». Per Roberts, Washington ha creato una situazione pericolosa: «Dato che Russia e Cina sono state chiaramente minacciate di un primo lancio nucleare, anche loro potrebbero decidere di colpire per prime: perché Russia e Cina dovrebbero restare sedute ad attendere l’inevitabile, mentre l’avversario sta creando i presupposti per proteggersi, sviluppando il suo scudo Abm?».Una volta che Washington abbia terminato lo scudo, Russia e Cina possono essere certe che «saranno attaccate, a meno che non si arrendano prima». Il network “Russia Today” spiega che il piano segreto di Washington per colpire la Russia per prima non è affatto un segreto: il reportage chiarisce anche che Washington è pronta a eliminare qualsiasi leader europeo che non si allineerà con gli Usa. Che fare, dunque? Innanzitutto, «non ascoltare il Ministero della Propaganda spegnendo Fox News, Cnn, Bbc , Abc, Nbc e Cbs, smettendo di leggere il “New York Times”, il “Washington Post”, il “Los Angeles Times”», scrive Craig Roberts. «Basta uscire dal circuito dell’informazione dei media ufficiali. Non credere una parola di quello che dice il governo. Non votare. Rendersi conto che il male è concentrato a Washington. Nel 21° secolo Washington ha distrutto in tutto o in parte sette paesi. Ha ucciso milioni di persone, li ha mutilati, li ha fatti fuggire dalle loro case e Washington non ha mai dato segni di rimorso. E nemmeno le chiese “cristiane”. Tutta la devastazione che Washington ha provocato nel mondo è raccontata come se fosse stato un grande successo: ha vinto Washington». Gli Usa sono determinati a vincere, conclude Craig Roberts. «Ma è lo stesso male, che Washington rappresenta, che sta portando il mondo verso la sua distruzione».Sorpresa: Washington pensa che in una guerra nucleare ci possa essere chi vince. E sta progettando un primo attacco alla Russia, o forse alla Cina, per evitare qualsiasi sfida alla sua egemonia sul mondo. Il piano è molto avanzato, avverte Paul Craig Roberts, citando “La letalità delle armi nucleari” di Steven Starr: «Basterebbe l’1% degli arsenali nucleari degli Usa o della Russia per provocare una “piccola guerra nucleare” che porterebbe a un disfacimento catastrofico del clima globale e alla distruzione massiccia dello strato di ozono, con conseguenti danni, tanto gravi per l’agricultura del mondo, che due miliardi di persone potrebbero morire di fame». La brutta notizia è che la dottrina strategica degli Stati Uniti è cambiata: con Obama, «il ruolo dei missili nucleari è stato portato da strumento di reazione ad arma offensiva, da usare al primo colpo». Per questo sono stati piazzati i missili anti-balistici Abm nelle basi americane in Polonia, e altri missili verranno dislocati nell’Est Europa. «Una volta completato il lavoro, la Russia sarà circondata da basi missilistiche americane».
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I leader Ue sono marci: tangenti da 120 miliardi l’anno
L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.Le forme di tale corruzione devono ancora trovare una tassonomia sistematica. C’è la corruzione pre-elettorale: il finanziamento di persone e partiti da fonti illegali – o legali – contro la promessa, esplicita o tacita, di futuri favori. C’è la corruzione post-elettorale: l’uso delle cariche per ottenere fondi mediante malversazioni sulle entrate o mazzette sui contratti. C’è l’acquisto di voci o voti nei parlamenti. C’è il furto puro e semplice dalle casse pubbliche. C’è la falsificazione di credenziali per vantaggi politici. C’è l’arricchimento dalla carica pubblica dopo l’evento, così come durante o prima di esso. Il panorama di questa malavita è impressionante. Un affresco di esso potrebbe cominciare con Helmut Kohl, governante della Germania per sedici anni, che accumulò due milioni di marchi di fondi neri da donatori illegali i cui nomi, quando fu denunciato, rifiutò di rivelare per timore che venissero alla luce i favori che aveva fatto loro. Oltre il Reno, Jacques Chirac, presidente della Repubblica Francese per dodici anni, fu condannato per appropriazione di fondi pubblici, abuso di ufficio e conflitti d’interesse, una volta caduta l’immunità. Nessuno dei due ha subito pene. Questi erano due dei più potenti politici dell’epoca in Europa.In Germania il governo di Gerhard Schroeder garantì un prestito da un miliardo di euro alla Gazprom per la costruzione di un gasdotto sul baltico poche settimane prima che egli si dimettesse da cancelliere e andasse a libro paga della Gazprom con uno stipendio maggiore di quello che aveva ricevuto governando il paese. Dopo la sua partenza, Angela Merkel ha visto due presidenti della repubblica, uno dietro l’altro, costretti a dimettersi da screditati: Horst Koehler, ex capo del Fmi, per aver spiegato che il contingente della Bundeswehr in Afghanistan stava proteggendo interessi commerciali tedeschi; e Christian Wulff, ex capo cristiano-democratico della Bassa Sassonia, per un prestito discutibile ricevuto da un affarista amico per la sua casa. Due ministri eminenti, uno della difesa e l’altro dell’istruzione, hanno dovuto andarsene quando sono stati privati dei loro dottorati – una credenziale importante per una carriera politica nella Repubblica Federale – per violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Quando il secondo, Annette Schavan, un’intima amica della Merkel (che aveva manifestato piena fiducia in lei) era ancora in carica, il “Bild Zeitung” ha osservato che avere un ministro dell’istruzione che aveva falsificato le sue ricerche era come avere un ministro delle finanze con un conto segreto in Svizzera.In Francia il ministro socialista del bilancio, il chirurgo plastico Jérôme Cahuzac, la cui direttiva era di difendere la probità e l’equità fiscale, è stato scoperto detenere qualcosa tra i 600.000 e i 15 milioni di euro in depositi segreti in Svizzera e a Singapore. Nicolas Sarkozy, nel frattempo, è accusato da testimoni concordi di aver ricevuto circa 20 milioni di dollari da Gheddafi per la campagna elettorale che lo portò alla presidenza. Christine Lagarde, il suo ministro delle finanze, che oggi dirige il Fmi, è sotto inchiesta per il suo ruolo nella concessione di 420 milioni di dollari di ‘risarcimento’ a Bernard Tapie, un ben noto truffatore con un passato in carcere, negli ultimi tempi amico di Sarkozy. Contiguità disinvolta con la criminalità è bipartisan. François Hollande, attuale presidente della repubblica, usava come pied-à-terre per gli incontri con la sua amante un appartamento della donna di un gangster corso, ucciso l’anno scorso in una sparatoria sull’isola.In Gran Bretagna, circa nello stesso periodo, l’ex premier Blair consigliava a Rebekah Brooks, che rischiava il carcere per cinque accuse di cospirazione criminale («Sii forte e prendi pastiglie per dormire. Passerà») e la sollecitava a «pubblicare un rapporto in stile Hutton», come aveva fatto lui per sterilizzare qualsiasi parte il suo governo potesse aver avuto nella morte di una fonte interna che aveva fatto rivelazioni sulla sua guerra in Iraq: un’invasione dalla quale ha poi proseguito a raccogliere – naturalmente per la sua Fondazione Faith – mance e contratti assortiti in giro per il mondo, considerevoli fondi in contanti da una compagnia petrolifera della Corea del Sud gestita da un delinquente condannato con interessi in Iraq e presso la dinastia feudale del Kuwait. Quali ricompense possa essersi guadagnato più a est resta da vedere («I progressi del Kazakistan sono splendidi. Comunque, signor Presidente, lei ha toccato nuovi vertici nel suo messaggio alla nazione». Alla lettera.).In patria, in uno scambio di favori a proposito dei quali ha mentito compuntamente al Parlamento, le sue mani sono state unte da un milione di sterline versate alle casse del partito dal magnate delle corse automobilistiche Bernie Ecclestone, attualmente sotto giudizio in Baviera per tangenti al ritmo di 33 milioni di euro. Nella cultura del New Labour, figure di spicco della cerchia di Blair, ministri di gabinetto un tempo – Byers, Hoon, Hewitt – non sono stati in grado di offrirsi in vendita al successore. Negli stessi anni, indipendentemente dal partito, la Camera dei Comuni è stata denunciata come un pozzo nero di meschine malversazioni di denaro dei contribuenti. In Irlanda, contemporaneamente, il leader del Fianna Fàil, Bertie Ahern, avendo canalizzato più di 400.000 euro di pagamenti non spiegati prima di diventare “taioseach”, si è votato lo stipendio più elevato di qualsiasi premier in Europa – 310.000 euro, più persino del presidente degli Stati Uniti – un anno prima di doversene andare con disonore per assoluta disonestà.In Spagna l’attuale primo ministro, Mariano Rajoy, alla guida di un governo di destra, è stato colto con le mani nel sacco mentre riceveva mazzette per contratti di costruzione e di altro genere per un totale di un quarto di milione di euro nel giro di un decennio, passategli da Luis Bàrcenas. Tesoriere del suo partito per vent’anni, Bàrcenas è oggi sotto arresto per aver accumulato un tesoro di 48 milioni di euro in conti svizzeri non dichiarati. I libri mastri, compilati a mano, contenenti i dettagli dei suoi versamenti a Rajoy e ad altri notabili del Partito del Popolo – tra cui Rodrigo Rato, altro ex capo del Fmi – sono apparsi in facsimile in abbondanza sulla stampa spagnola. Una volta scoppiato lo scandalo Rajoy ha inviato a Bàrcenas un messaggio con parole virtualmente identiche a quelle di Blair alla Brooks: «Luis, io capisco. Resta forte. Ti chiamerò domani. Un abbraccio». Pur con uno scandalo in cui l’85% del pubblico spagnolo ritiene che egli menta, resta incollato alla poltrona nel Palazzo della Moncloa.In Grecia, Akis Thochatzopoulos, del Pasok – ministro, in successione, dell’interno, della difesa e dello sviluppo – in un’occasione arrivato a un soffio dalla guida della socialdemocrazia greca, è stato meno fortunato: condannato l’autunno scorso a vent’anni di carcere per una formidabile carriera di estorsioni e di riciclaggi di denaro sporco. Oltre il mare Tayyip Erdogan, a lungo celebrato dai media e dall’establishment intellettuale dell’Europa come il più grande statista democratico della Turchia, la cui condotta ha virtualmente dato al paese il titolo di membro onorario della Ue ante diem, ha dimostrato di essere meritevole di essere incluso nei ranghi della dirigenza europea in un altro modo: in una conversazione registrata in cui dava al figlio istruzioni su dove nascondere decine di milioni in contanti, in un’altra in cui alzava il prezzo di una robusta tangente su un contratto di costruzioni. Tre ministri del governo sono caduti dopo scoperte analoghe, prima che Erdogan purgasse le forze della polizia e della magistratura per assicurarsi che non si spingessero oltre.Mentre egli faceva questo la Commissione Europea ha pubblicato il suo primo rapporto ufficiale sulla corruzione nell’Unione, la cui dimensione il commissario autore del rapporto l’ha descritta come “mozzafiato”: secondo una stima prudente, costa alla Ue quanto l’intero bilancio dell’Unione, circa 120 miliardi l’anno, ma la cifra reale è «probabilmente molto più alta». Prudentemente il rapporto si è occupato solo degli stati membri. La stessa Ue, la cui intera Commissione fu costretta in tempi non lontani a dimettersi screditata, è stata esclusa (la Commissione Santer fu costretta a dimettersi nel 1999 per accuse di corruzione contro alcuni suoi membri). Diffuso in un’Unione che si presenta come tutore morale del mondo, l’inquinamento del potere ad opera del denaro e della frode deriva dallo svuotamento di sostanza o dalla caduta del coinvolgimento nella democrazia. Le élite, liberate sia da una reale divisione in alto sia da un significativo dovere di rispondere in basso, possono permettersi di arricchirsi alla follia e impunite. La denuncia cessa di contare molto, poiché l’impunità diviene la regola. Come i banchieri, i politici di spicco non finiscono in carcere.Ma la corruzione non è solo una funzione del declino dell’ordine politico. E’ anche, ovviamente, un sintomo del regime economico che si è impossessato dell’Europa a partire dagli anni ’80. In un universo neoliberista dove i mercati sono il metro del valore, il denaro diventa, più platealmente che mai, la misura di tutte le cose. Se ospedali, scuole e carceri possono essere privatizzati a fini di profitto delle imprese, perché non anche le cariche politiche? Oltre alla ricaduta culturale del neoliberismo, tuttavia, vi è l’impatto del sistema socio-economico, la terza e, nell’esperienza del popolo, di gran lunga più acuta delle malarie che affliggono l’Europa. Che la crisi economica scatenate in occidente nel 2008 sia stata il risultato di decenni di liberalizzazioni nel settore finanziario e di espansione del credito lo ammettono, più o meno, i loro stessi architetti; si veda Alan Greenspan. Collegate oltre Atlantico, le banche e le attività immobiliari europee erano già coinvolte nel disastro tanto quanto le loro omologhe statunitensi. Nella Ue, tuttavia, questa crisi generale è stata aggravata da un altro fattore peculiare dell’Unione, le distorsioni create dalla moneta unica imposta a economie nazionali molto diverse tra loro, spingendo le più vulnerabili di esse sull’orlo della bancarotta quando sono state colpite dalla crisi generale.(Perry Anderson, estratto dall’intervento “Il disastro italiano”, pubblicato da “Sinistra in rete” il 29 maggio 2014).L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.
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Votiamo chi ci spolperà: siamo un paese di imbecilli?
«Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali». Così il Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Citazione perfetta, secondo Rosanna Spadini, per fotografare lo sconcertante voto italiano delle europee, che trasformano l’incolore Pd neoliberista nel primo partito europeo, ufficialmente ancora “di sinistra” benché renziano e ligio ai diktat della destra economica euro-atlantica, prontissimo anche ora alle larghe intese a Bruxelles coi popolari della Merkel e del navigato tecnocrate lussemburghese Juncker, ennesima controfigura del super-potere antidemocratico diretto dalla Troika.«Io però non credo all’esito di queste elezioni», protesta Spadini. «Non credo che gli italiani possano essere così imbecilli da rifiutare il cambiamento, o comunque barattarlo con un voto di scambio degli 80 euro. Non credo che siano state elezioni pienamente libere e democratiche, perché garantite da una casta politica che usa le garanzie solo per sé».La dissonanza dell’Italia è dolorosa, preoccupante. In Francia, il Front National di Marine Le Pen conquista il 25% e demolisce il socialista Hollande, in Spagna crollano i due grandi partiti del bipolarismo iberico, popolari e Psoe, che dimezzano la loro rappresentanza europea. E mentre in Gran Bretagna lo Ukip di Farage diventa primo partito stracciando il prenier Cameron relegato in terza posizione, in Grecia, con Syriza, Tispras arriva al 26,7%, staccando di quattro punti il partito del premier Antonis Samaras. «Che cos’ha l’Italia per essere diversa?». La mancanza di alternative credibili? Grillo ambiguo sull’euro? Non basta: con una posizione più netta sulla moneta unica, il M5S avrebbe recuperato «i 3 punti che sono andati alla Lega» e si sarebbe fermato a quota 24-25%, quella del febbraio 2013. Bravo Salvini, certo: ha «riesumato un partito-spazzatura», corresponsabile «di tutte le nefandezze euriste che hanno saccheggiato il paese», compresi «tutti i trattati-capestro europei che stanno trasformando l’Italia in economia da terzo mondo».«Oggi – continua Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’Italia ha perso tutte le proprie sovranità, quella monetaria con l’introduzione dell’euro, quella economica con la legge del divorzio tra il Tesoro e Bankitalia (Ciampi-Andreatta, 1981) e quella politica, da quando nel 2011 il governo Berlusconi è stato silurato dal “golpe bianco” dello spread e sostituito da “governi oligarchici” impostici da quei poteri finanziari che hanno commissariato l’Italia e la spolperanno fino all’osso. Io non credo – continua Spadini – che gli italiani abbiano capito cosa sta succedendo a loro e al loro paese, mentre il governo Renzi proseguirà nel progetto di svendita dei gioielli di Stato (Eni, Enel, Finmeccanica) alle lobby finanziarie straniere, e nella realizzazione del suo piano di lavoro Jobs Act, che precarizzerà a vita il lavoro delle giovani generazioni – se ne troveranno uno e retribuito decentemente». Gli italiani? «Non hanno capito la nuova proposta politica del M5S, un movimento di cittadini che si fanno Stato, cittadini comuni entrano nelle istituzioni, ma solo per due mandati».Una forma di democrazia diretta, quella dei 5 Stelle, che «risponde benissimo alle sfide del nostro tempo e si adatta perfettamente alla società dei consumatori, dove i grandi apparati politici si sono sgretolati sotto il crollo delle ideologie, dove le grandi fabbriche si stanno dissolvendo a vista d’occhio sotto i colpi della globalizzazione (vedi Fiat)». Il Movimento 5 Stelle non sparirà facilmente: «Si è confermato comunque come prima forza politica di opposizione e seconda forza in Italia», quindi «continuerà a restituire i soldi dello stipendio e a rifiutare i rimborsi elettorali, a difendere la Costituzione, i giovani dal precariato e gli imprenditori da Equitalia», mentre il Pd confluirà nel Partito Socialista Europeo che ha già annunciato che si alleerà con il Ppe della Merkel e di Berlusconi – possibile che gli elettori Pd non se ne siano “accorti”? Più facile, invece, che nel frattempo sparisca l’Italia, «condannata al declino inesorabile stabilito dagli oligarchi». E’ un destino di terzomondizzazione, «sancito da quelle lobby finanziarie che pilotano Renzi and company: l’Italia è destinata a diventare un’economia da terzo mondo – anzi, se vogliamo culturalmente lo è già, perché così ha stabilito il vero potere».«Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali». Così il Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Citazione perfetta, secondo Rosanna Spadini, per fotografare lo sconcertante voto italiano delle europee, che trasformano l’incolore Pd neoliberista nel primo partito europeo, ufficialmente ancora “di sinistra” benché renziano e ligio ai diktat della destra economica euro-atlantica, prontissimo anche ora alle larghe intese a Bruxelles coi popolari della Merkel e del navigato tecnocrate lussemburghese Juncker, ennesima controfigura del super-potere antidemocratico diretto dalla Troika.«Io però non credo all’esito di queste elezioni», protesta Spadini. «Non credo che gli italiani possano essere così imbecilli da rifiutare il cambiamento, o comunque barattarlo con un voto di scambio degli 80 euro. Non credo che siano state elezioni pienamente libere e democratiche, perché garantite da una casta politica che usa le garanzie solo per sé».
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I mercati: grazie Renzi, hai salvato l’euro-rigore tedesco
Marine Le Pen? Qualcuno le ha già “parlato”, chiedendole di ritirare la richiesta di scioglimento del Parlamento francese dopo il voto delle europee. Troppo pericoloso, per l’élite finanziaria, il credo politico democratico del Front National: via dall’euro, altrimenti usciamo dall’Unione Europea. Chi è stato a “consigliare” alla Le Pen di non radicalizzare lo scontro, in questo momento così delicato per la tenuta delle istituzioni europee? Loro, i “mercati”. Quelli che confidano che tutto si sistemerà alla svelta: dopo lo scossone euroscettico, proveniente da forze non omogenee (euro-perplessi, no-euro, anti-Ue), i popolari della Merkel e di Juncker riprenderanno il pieno controllo della situazione, grazie all’aiuto decisivo del Pd di Renzi, il cui exploit mette in salvo la socialdemocrazia europea stabilizzando il sistema. Insomma: grazie Renzi, dicono i mercati finanziari che sono i massimi responsabili della crisi che sta devastando i nostri paesi.Lo rivela Paolo Barnard, che dichiara di avere accesso a documenti riservati, quelli di «analisti top di due dei maggiori istituti d’investimento del mondo, quelli che consigliano i “mercati” su come muoversi». I famosi mercati, che avrebbero immediatamente “avvertito” (cioè minacciato) Marine Le Pen. «Non ho le prove di questo», ammette Barnard nel suo blog, «ma è risibile pensare di averle», aggiunge. «La certezza che questo è accaduto viene dalla consolidata prassi del Vero Potere da decenni, e oggi noi italiani sappiamo come questi “colloqui” non siano affatto complottismo», come insegna la spettacolare detronizzazione di Berlusconi nel 2011. E ora, dopo il voto europeo, i “mercati” «hanno tenuto il sangue freddo e hanno analizzato la situazione con le seguenti parole, che cito da documenti riservati di cui mi è stato chiesto di non divulgare la fonte». Illuminante il loro “giudizio”, che «assieme alla calata di capo della Le Pen, ha assicurato oggi la vita all’Eurozona», e quindi «la nostra condanna»: «Rimaniamo tranquilli – scrivono – perché è certo che il centrodestra dei Popolari rimarrà il partito di maggioranza», e collaborerà in modo ancora più stretto col centrosinistra grazie all’affermazione di Renzi in Italia.«Considerando i partiti anti-austerità, quelli anti-Eurozona e i nazionalisti anti-immigrazione», si legge nel documento, «il quadro che emerge è questo: in Grecia l’opposizione ha avuto un buon risultato, ma non sufficiente per impensierire il governo a breve. Syriza è anti-austerità ma non anti-Eurozona. Il Pasok non è collassato e il suo successo relativo ci dice che il governo ha superato il punto di maggior rischio. In Francia e Gran Bretagna abbiamo visto un significativo spostamento verso gli euroscettici, ma all’interno di un range che ci aspettavamo. Siamo certi che l’establishment politico saprà rispondere nel breve termine». Non fanno una piega, gli analisti, di fronte al voto europeo. E per loro le migliori notizie (le peggiori, per noi) vengono proprio dal nostro paese devastato dall’euro-rigore: «Il successo del Pd in Italia è la nota di maggior importanza. Ha portato stabilità in opposizione a tutto il fronte euroscettico europeo. La performance di Renzi apre la possibilità di una sua più stretta collaborazione con la Merkel sulla politica generale in Eurozona. L’Italia assume la presidenza Ue in luglio».«L’ottimismo del mercato – aggioungono gli analisti – viene dal fatto che, anche se l’aumento dei partiti anti-Ue può apportare maggiore imprevedibilità alla politica, paradossalmente ciò rafforzerà la determinazione dei tre maggiori gruppi pro-euro a votare per “più Europa” in Parlamento, e congelare così la compagine anti-euro». E non è finita: «Sappiamo che in ogni caso tutto il blocco anti-Ue rimane una cosa incoerente: molti non hanno esperienza di governo, sono gruppetti raffazzonati, con visioni spesso totalmente divergenti su Eurozona, immigrazione ed economia. Quindi i due gruppi mainstream continueranno a dominare». Per Barnard, la frase più inquietante è questa: «In Francia e Gran Bretagna abbiamo visto un significativo spostamento verso gli euroscettici, ma all’interno di un range che ci aspettavamo». Non è necessario commentare, aggiunge Barnard, «se non per ricordarvi che vi ho tante volte detto che il Vero Potere anticipa sempre tutto». La seconda frase-chiave è quella sull’exploit di Renzi, che stabilizza l’euro-sistema e accelera le larghe intese con la Merkel «sulla politica generale in Eurozona».Amarezza: «Che sia il mio paese, il suo popolo, oggi, a rappresentare la rete di sicurezza dell’economicidio e della chemiotassazione neofeudale da euro fa venire da piangere, perché siamo veramente il popolo più stupido del mondo», scrive Barnard, che accusa i grillini di essere «una sottospecie di stolti»: se invece di «sbavare da cefali dietro alla Casaleggio Associati» avessero adottato una linea decisa anti-eurozona, «oggi sarebbero una speranza, qui, invece di una vergogna internazionale». I mastini dei “mercati” infatti non li prendono nemmeno in considerazione: al di là del fatto che il Movimento 5 Stelle ha ottenuto la metà del punteggio elettorale di Renzi, la campagna elettorale di Grillo non hai impensierito neppure per un istante i “dominus” dell’Eurozona, quelli che ci infliggono l’austerity mediante iper-tassazione indotta dalla moneta unica. Il resto dell’euro-platea dei nuovi scettici? Brigate pasticcione, in ordine sparso. Solo Marine Le Pen si è mostrata all’altezza della sfida. «Nessuna delle forze anti-mercati, dalla Lega all’Ukip a Syriza», secondo Barnard possiede «un tipo di arma come la Mosler Economics Mmt», cioè un dispositivo tecnocratico sovranista da opporre agli oligarchi. Così, i “mercati” non si sono scomposti: sanno che potranno continuare a torturarci, come e più di prima.Marine Le Pen? Qualcuno le ha già “parlato”, chiedendole di ritirare la richiesta di scioglimento del Parlamento francese dopo il voto delle europee. Troppo pericoloso, per l’élite finanziaria, il credo politico democratico del Front National: via dall’euro, altrimenti usciamo dall’Unione Europea. Chi è stato a “consigliare” alla Le Pen di non radicalizzare lo scontro, in questo momento così delicato per la tenuta delle istituzioni europee? Loro, i “mercati”, i signori dello spread. Quelli che confidano che tutto si sistemerà alla svelta: dopo lo scossone euroscettico, proveniente da forze non omogenee (euro-perplessi, no-euro, anti-Ue), i popolari della Merkel e di Juncker riprenderanno il pieno controllo della situazione, grazie all’aiuto decisivo del Pd di Renzi, il cui exploit mette in salvo la socialdemocrazia europea stabilizzando il sistema. Insomma: grazie Renzi, dicono i mercati finanziari che sono i massimi responsabili della crisi che sta devastando i nostri paesi.
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Rodotà: se la politica dimentica il dovere dell’onore
In tempi di dilaganti spinte verso revisioni costituzionali, si deve malinconicamente concludere che una riforma è già stata realizzata con la pratica cancellazione dell’articolo 54 della Costituzione. Nella prima parte di questo articolo si dice qualcosa che può sembrare scontato: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Costituzione e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Ma leggiamo le parole successive. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Il bel linguaggio della Costituzione non dovrebbe lasciare dubbi. Chi svolge funzioni pubbliche, dunque i politici in primo luogo, non possono trincerarsi dietro l’affermazione di aver rispettato la legge penale, dunque di non aver commesso alcun reato. A tutti loro è imposto un “dovere” costituzionale ulteriore, indicato con parole forti, non equivoche – disciplina e onore. Nel momento in cui questo dovere non viene rispettato, i politici perdono l’onore, e con essi perde l’onore la politica.Di questo nessuno si preoccupa più, anzi ogni oligarchia, corporazione, grumo d’interesse fa quadrato intorno ai suoi “disonorati”, alza la voce e così certifica la concreta cancellazione di quella norma della Costituzione. Se così fan tutti, perché meravigliarsi se in una riunione sindacale della polizia si applaudono i condannati e se rimangono senza eco i richiami all’onore provenenti dalla moglie del commissario Raciti assassinato da un ultrà calcistico? Ma il riferimento all’onore sembra che abbia diritto di cittadinanza solo in questo ambito. L’Italia, infatti, continua a essere percorsa da condannati illustrissimi continuamente applauditi, che stipulano patti sul futuro del paese. In tempi di proclamata volontà di “innovazione” proprio di questo si dovrebbe tenere grandissimo conto. Il vuoto della politica, e la sfiducia che così si alimenta, trovano le loro radici profonde proprio nella scomparsa di un’etica pubblica.E invece cadono nell’indifferenza politica quei veri bollettini di guerra che, da anni ormai, sono divenute le cronache di giornali e televisioni, che registrano impietosamente, ma purtroppo anche inutilmente, vicende corruttive grandi, medie e piccole, testimonianza eloquente della devastazione sociale. Il ceto politico distoglie lo sguardo da questa realtà scomoda. E nessun richiamo sembra in grado di scuoterlo. Quando un bel pezzo dell’attuale classe dirigente è convenuta in pompa magna ad una udienza papale, ha dovuto ascoltare una dura reprimenda del Papa proprio sul tema della moralità pubblica. Ma pare che l’unica sua reazione sia stata quella dello sconcerto di fronte alla mancanza di ogni cordialità da parte del Pontefice alla fine di quell’incontro. Così, anche questa vicenda è stata rapidamente archiviata, e tutti sono tornati alle usate abitudini, senza dare il pur minimo segno di qualche intenzione di voler dare un’occhiata al dimenticato articolo 54.(Stefano Rodotà, estratti dell’intervento “Se la politica dimentica il dovere dell’onore”, pubblicato da “Repubblica” il 7 maggio 2014 e ripreso da “Micromega”).In tempi di dilaganti spinte verso revisioni costituzionali, si deve malinconicamente concludere che una riforma è già stata realizzata con la pratica cancellazione dell’articolo 54 della Costituzione. Nella prima parte di questo articolo si dice qualcosa che può sembrare scontato: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Costituzione e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Ma leggiamo le parole successive. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Il bel linguaggio della Costituzione non dovrebbe lasciare dubbi. Chi svolge funzioni pubbliche, dunque i politici in primo luogo, non possono trincerarsi dietro l’affermazione di aver rispettato la legge penale, dunque di non aver commesso alcun reato. A tutti loro è imposto un “dovere” costituzionale ulteriore, indicato con parole forti, non equivoche – disciplina e onore. Nel momento in cui questo dovere non viene rispettato, i politici perdono l’onore, e con essi perde l’onore la politica.
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Il Guardian: l’euro è fallito, l’Europa lo ammetta o è la fine
Umore nero alla vigilia delle europee: il quantitative easing della Fed ha dato respiro all’Eurozona, i cui debiti però sono superiori alla velocità di crescita. Così l’austerity ha messo in croce l’economia e la Bce non ha fatto nulla per compensare le perdite, sostiene il “Guardian”. «La disoccupazione è alta e gli elettori sono malati di austerità». Secondo il giornale inglese, sarebbe un errore aspettari miracoli dal voto per Strasburgo: «I partiti mainstream con il loro pensiero dominante saranno ancora in carica e la vita andrà avanti come prima». Come risultato, «l’Europa si condannerà a un periodo anche più lungo di stagnazione economica, disoccupazione di massa e austerità», al punto che «fiorirà l’estremismo». Un’alternativa a questo scenario deprimente? «Ammettere che adottare l’euro come un modo per promuovere la causa di un’unione sempre più stretta è stato un errore di proporzioni storiche», scrive Larry Elliot.L’euro, scrive Elliot in un servizio ripreso da “Voci dall’Estero”, potrebbe essere radicalmente riformato secondo le linee proposte da Charles Grant, direttore del “Centre for European Reform”: questo permetterebbe di ristrutturare i debiti sovrani, ridurre velocemente l’austerità e riconvertire l’economia tedesca per renderla meno concentrata sull’export. L’alternativa radicale è invece quella di «rompere il vincolo della moneta unica, restituire il potere alle singole nazioni o gruppi di Stati con economie convergenti, e ricominciare». Questo, secondo il “Guardian”, «non accadrà, almeno non ancora», visto che l’euro è il simbolo dell’eurocrazia a guida tedesca. Secondo l’economista Roger Bootle, «l’euro è stato un disastro economico, imposto all’Europa per ragioni politiche». Anziché unire l’Europa, la sta frantumando in modo pericoloso. Già negli anni ‘90 si sapeva che l’euro «avrebbe potuto rivelarsi una macchina che distrugge il lavoro», dato che tutti quei paesi «non erano pronti per un’unica politica monetaria».Dice Elliot: «Sembrava lampante che, in assenza di mobilità del lavoro e redistribuzioni su larga scala, i paesi, privati del potere di condurre la propria politica monetaria, avrebbero dovuto ricorrere all’austerità se fossero diventati non più competitivi». Tutto questo, ovviamente, è rimasto inascoltato. «Si prevedeva molto fiduciosamente che l’euro avrebbe reso l’Europa più prospera e così facendo avrebbe creato le condizioni per un’unione sempre più stretta. La realtà è stata una crescita lenta, alti tassi di disoccupazione, riforme strutturali pasticciate, deriva e crescente malcontento. I problemi sono sorti non solo nella periferia, ma anche al centro, dove dalla creazione della moneta unica la situazione è decisamente peggiorata». Quel che è successo è che l’euro ha significato «un tasso di interesse unico e un tasso di cambio unico: il tasso di interesse era troppo basso per alcuni paesi come l’Irlanda e la Spagna, che erano in rapida crescita, ed era troppo alto per paesi come la Germania e la Francia, che crescevano meno rapidamente».Prima della creazione dell’euro, i paesi della periferia economica avrebbero lasciato deprezzare le loro monete per restare competitivi rispetto alla Germania. «Per un decennio, i lavoratori tedeschi hanno avuto aumenti salariali al di sotto del livello di inflazione per vendere le loro merci a prezzi bassi nei mercati europei». Un grande successo, ma fino a un certo punto, aggiunge Elliot: «Il surplus commerciale della Germania è aumentato, ma il rovescio della medaglia è che i deficit commerciali in paesi come la Spagna, la Grecia e l’Italia sono peggiorati». Prima della crisi, il sistema reggeva perché la Germania esportava capitali verso i paesi della periferia. Con la crisi, Berlino ha cominciato a raccontare che, se i paesi del Sud Europa erano in difficoltà, era perché avevano “vissuto oltre le proprie possibilità”. «Un po’ eccessivo, dato che la Germania era stata complice nel permettere loro di farlo», pur di vendere il made in Germany.La Merkel ha detto che avrebbe aiutato i paesi in difficoltà, ma solo alle sue condizioni: tutti i partner europei dovrebbero «replicare la Germania, comprimendo la domanda interna e promuovendo le esportazioni». Questo è chiaramente un’impossibilità logica, obietta Elliot, perché il surplus di un paese è il deficit di un altro paese. Così, non potendo più restare competitivi attraverso la svalutazione, gli altri paesi «hanno dovuto farlo tramite l’austerità, tagliando i salari e la spesa pubblica in modo aggressivo». Con una sola eccezione: il mondo finanziario. «Su insistenza della Germania, per le banche non c’è stata nessuna austerità». Conclude Elliot: «I leader europei considerano l’euro “troppo grande per fallire”? Si sbagliano: è già fallito». Semplice: «E’ fallito perché non riesce a dare la prosperità economica promessa e non riesce a portare l’Europa a unirsi politicamente. L’euro è come il gold standard, ma peggio, è per questo che sarebbe un errore di proporzioni storiche ignorare le elezioni di questa settimana. Sappiamo come finisce questo film». L’ultima grande crisi europea – non c’è bisogno di dirlo – portò al potere un certo caporale Hitler.Umore nero alla vigilia delle europee: il quantitative easing della Fed ha dato respiro all’Eurozona, i cui debiti però sono superiori alla velocità di crescita. Così l’austerity ha messo in croce l’economia e la Bce non ha fatto nulla per compensare le perdite, sostiene il “Guardian”. «La disoccupazione è alta e gli elettori sono malati di austerità». Secondo il giornale inglese, sarebbe un errore aspettari miracoli dal voto per Strasburgo: «I partiti mainstream con il loro pensiero dominante saranno ancora in carica e la vita andrà avanti come prima». Come risultato, «l’Europa si condannerà a un periodo anche più lungo di stagnazione economica, disoccupazione di massa e austerità», al punto che «fiorirà l’estremismo». Un’alternativa a questo scenario deprimente? «Ammettere che adottare l’euro come un modo per promuovere la causa di un’unione sempre più stretta è stato un errore di proporzioni storiche», scrive Larry Elliott.
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Scarpinato: la crisi aumenta il potere del sistema-mafia
Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini. Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti. La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Gemania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la S maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.L’oscenità del potere? E’ l’impostura culturale che la mafia è solo una storia di brutti sporchi e cattivi, di cui sono protagonisti personaggi come Riina, Provenzano o i casalesi. La realtà è che, tranne un breve periodo che dura dal 1980 al 1990, i più grandi capi della mafia sono sempre stati borghesi. Il capo della mafia di Corleone, prima di Riina e Provenzano, era un medico chirurgo: il dottor Michele Navarra. La lezione della storia ci insegna che in questo paese nessuno – fosse di centro, destra o sinistra – ha mai potuto governare senza venire a patti con questo blocco sociale che è anche il principale responsabile del sottosviluppo del Mezzogiorno, della privazione sistematica delle risorse. Situazione che oggi è più grave: a causa di fattori macrosistemici come l’avanzare del federalismo fiscale, il tetto massimo stabilito alla spesa pubblica dopo il Trattato di Maastricht e altri fattori di crisi economica, il Sud precipita sempre di più in una situazione di degrado economico, la forbice del differenziale tra Nord e Sud aumenta, una parte del Nord tende a staccarsi per seguire la locomotiva del Nord Europa e abbandonare il Sud al suo destino.Questo Sud privato di risorse avrà il problema di garantire a milioni di persone di mettere insieme il pranzo e la cena. In assenza di spesa pubblica, il pericolo è che per evitare che il Sud diventi una polveriera sociale ci si affida all’economia alternativa del crimine, cioè che il Sud diventi un’enorme zona di no-tax, una sorta di Singapore del Mediterraneo, dove l’economia si genererà grazie al porto franco, all’afflusso di capitali sporchi, alle case da gioco, alla benzina defiscalizzata e quant’altro. Noi continuiamo ad avere un Parlamento, consigli regionali, governi e organi rappresentativi affollati di persone che sono state condannate per mafia, e che nonostante ciò restano degli “intoccabili”. Continuiamo ad avere quella che poco fa ho chiamato borghesia mafiosa, che è un pezzo importante di classe dirigente, ed è il vero terreno su cui si gioca il futuro della lotta alla mafia.Nel libro “Il ritorno del Principe” leggo il sistema di potere mafioso attraverso la lente dei “Promessi sposi”: non ci si può illudere di sconfiggere la mafia arrestando solo i Bravi. Rispetto a quella legale dello Stato, l’offerta sociale mafiosa prospera quando le persone non hanno la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti, quando sono costrette a piegarsi per avere un lavoro, per avere un minimo di dignità sociale, quando uno Stato non è in grado di offrire occupazione e pari dignità ai cittadini. È allora che molta gente è spinta a mettersi nelle mani della mafia, che quantomeno garantisce una sopravvivenza economica.(Roberto Scarpinato, dichiarazioni rilasciate ad Antonello Castellano per l’intervista “Il lato osceno del potere”, apparsa su “Narcomafie” e ripresa da “Megachip” il 22 aprile 2014. Magistrato antimafia, Scarpinato ha firmato con Saverio Lodato il libro “Il ritorno del Prinicipe”, edito da Chiarelettere).Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini. Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti. La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Germania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la S maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.
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No-Tav, non terroristi. Ma chi protesta resta nel mirino
La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di bottiglie molotov contro il cantiere Tav di Chiomonte? Non cantiamo vittoria, avverte Aldo Giannuli: certo viene alleggerita la posizione dei quattro imputati, arrestati con una accusa «tanto spropositata», ma – al processo – il crollo della costruzione accusatoria della Procura di Torino potrebbe essere interpretato come già “premiante” di per sé, scaricando sui quattro giovani il massimo della pena per reati più “realistici”, come “devastazione e saccheggio”. Inoltre, la vicenda dei No-Tav dimostra «quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione dei principi della “lex mercatoria” e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali». Nel mirino, dunque, si ritrova (virtualmente) chiunque protesti. «Prima di tutto, bisogna sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere».«Ovviamente», aggiunge Giannuli nel suo blog, «siamo soddisfatti di questo risultato per i quattro accusati che, speriamo, vengano trattati con equità e clemenza, sia in considerazione della loro giovane età, sia delle particolari condizioni in cui viene a trovarsi la lotta in val di Susa, di fronte all’assoluta sordità delle istituzioni e delle forze politiche verso le istanze della popolazione locale». Ma resta il fatto che i quattro «sono stati sottoposti ad un regime detentivo di massima sicurezza, con misure afflittive del tutto sproporzionate al fatto». Secondo alcuni media, i No-Tav denunciati sono ormai un migliaio, e il processo attualmente in corso non si svolge in tribunale, ma nell’aula-bunker del carcere torinese delle Vallette, secondo modalità proprie dei maxi-processi contro il terrorismo e la mafia. Oggi, la Cassazione dà ragione ai tanti giuristi che avevano protestato per la formulazione del reato di terrorismo contro i quattro giovani No-Tav, mentre resta tuttora senza colpevoli il terrorismo (vero) che colpì la valle di Susa negli anni ‘90, con una inquietante sequenza di attentati dinamitardi progettati per incolpare fantomatici “eco-terroristi”, mai individuati e probabilmente mai esistiti.Secondo Giannuli, i quattro ragazzi – fino a ieri sotto processo per terrorismo dopo una notte di “assedio” al cantiere di Chiomonte con lanci di molotov – ora dovranno affrontare il giudizio penale «in condizioni di svantaggio psicologico», perché «già la derubricazione del reato parrà una misura di clemenza», per cui «sarà più difficile ottenere quelle attenuanti di quanto sarebbe stato in diverse condizioni di partenza». Per Giannuli, storico dell’università di Milano e consulente di giustizia in tanti processi sulle “stragi impunite”, i problemi sono due: la norma giudiziaria italiana e i suoi utilizzatori. L’anomalia normativa risale all’articolo “270 sexies” del codice penale introdotto nel 2005, «nel clima certamente non sereno seguito al terribile attentato dell’11 settembre 2001», quello contro le Torri Gemelle. L’articolo considera “con finalità di terrorismo” le “condotte” che, “per la loro natura o contesto”, possono “arrecare grave danno ad un paese o ad un’organizzazione internazionale”, e sono compiute “allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici” a “compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” o “destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un paese”.Giannuli fa notare «il carattere eccessivamente vago e imprecisato della fattispecie penale: neppure si esplicita che sia necessario l’uso della violenza (che resta sottintesa)». Molto più genericamente, si parla solo di una “condotta” che possa condizionare i poteri pubblici in relazione a “qualsiasi atto”. «Cosa vuol, dire “qualsiasi atto”? Se un gruppo di cittadini cerca di impedire lo sgombero di case occupate, magari alzando barricate, certamente commette un reato, ma si può parlare di terrorismo per questo? E se il tentativo di indurre i pubblici poteri a recedere da una decisione fosse fatto con frode, potremmo parlare di terrorismo? La norma è così dilatabile che non si comprende bene dove debba arrestarsi». E’ comprensibile – fino a un certo punto – che, di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale, il legislatore possa essersi «fatto prendere la mano». Ma oggi, «ad un decennio da quei fatti e con una minaccia tanto ridimensionata», dobbiamo proprio «continuare a tenerci una norma così pericolosamente fluida?». Questi, sottolinea Giannuli, «sono i danni delle “norme di eccezione” che entrano nell’ordinamento per una emergenza e poi ci restano anche quando l’emergenza è passata».Tutto questo, accusa Giannuli, «contribuisce a plasmare la mentalità dei magistrati indirizzandoli verso un uso non garantista del diritto penale: come si in questo paese ce ne fosse bisogno, con la magistratura che ci ritroviamo!». Negli ultimi dieci anni, continua lo storico, abbiamo assistito «ad una tendenza della magistratura inquirente ad alzare il tiro, beninteso, quando si tratta di conflittualità sociale, mentre l’atteggiamento è ben più esastico per i reati finanziari o degli appartenenti ai corpi di polizia, nel qual caso passano in cavalleria addirittura gli omicidi». Ormai, «si contesta il reato di devastazione e saccheggio anche se qualcuno sfascia una vetrina o un altro tira giù un segnale stradale e le imputazioni per reati gravissimi sono seminate come noccioline. Neppure ci si pone il problema della commisurazione dell’atto rispetto ai possibili effetti». Vale anche per i No-Tav, ovviamente. In quel caso, secondo Giannuli, l’inquirente ha ragionato così: il lancio delle molotov era finalizzato a bloccare i lavori della linea ferroviaria programmata dallo Stato? Dunque, era rivolto a costringere i poteri pubblici a non attuare quel progetto, e pertanto siamo negli estremi previsti dall’articolo “270 sexies”.«In tutto questo ragionamento, non si prende neppure in considerazione se il gesto in questione fosse idoneo ad ottenere l’effetto in questione», continua Giannuli. «Insomma, se cerco di fare una rapina in banca armato di temperino, magari le mie intenzioni sono quelle, ma appare scarsamente realistico che la cosa possa sortire l’effetto voluto ed è probabile che qualcuno mi prenda per matto più che per rapinatore». L’intenzione soggettiva? «Non è criterio di per sé sufficiente a caratterizzare il reato». Specie in un caso come quello della valle di Susa, dove gli stessi imputati – che ammettono la loro volontà di boicottare i lavori – al tempo stesso negano decisamente di aver mai voluto arrecare danno alle persone. E’ bene ricordare che in valle di Susa si sono svolte centinaia di manifestazioni nel corso degli ultimi anni, largamente pacifiche. Solo dal 2011 si è avuto qualche scontro ai margini, coinvolgendo singole fazioni, a volte anche con dei feriti. Ma non è mai stata riscontrata la detenzione di armi da fuoco o, peggio, di arsenali (armi da guerra, bombe) tipici del terrorismo.La magistratura inquirente torinese – interpretando quella legge del 2005, nel modo oggi “bocciato” dalla Cassazione – ha alzato il tiro contro una parte dei manifestanti, armati di molotov, petardi, fionde e tubi per lanciare razzi pirotecnici. Mano pesante, insomma, contestando il rischio che quelle attrezzature potessero comunque mettere in pericolo l’incolumità delle persone, operai del cantiere e agenti di sorveglianza. «Questo atteggiamento della magistratura non è una tendenza solo italiana», dice ancora Giannuli, citando «il comportamento della magistratura inglese nel 2011 nei confronti della rivolta giovanile di quella estate». In valle di Susa, però, «mi pare che stiamo facendo gli straordinari». Per Giannuli, la verità è che «il tempo della crisi spinge a comportamenti repressivi anche al di là della legalità: la spropositata accusa di terrorismo ai giovani No-Tav è figlia di questa cultura giuridica e di questa funzione repressiva spinta al parossismo». Sicché, «al di là dei singoli casi, si rende necessaria e urgente una presa di coscienza dei termini reali del problema della giustizia penale».La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di bottiglie molotov contro il cantiere Tav di Chiomonte? Non cantiamo vittoria, avverte Aldo Giannuli: certo viene alleggerita la posizione dei quattro imputati, arrestati con una accusa «tanto spropositata», ma – al processo – il ridimensionamento dell’imputazione potrebbe essere interpretato come già “premiante” di per sé, scaricando sui quattro giovani il massimo della pena per reati di teppismo. La vicenda dei No-Tav dimostra «quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione dei principi della “lex mercatoria” e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali». Se nel mirino finisce (virtualmente) chiunque protesti, bisogna «sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere».