Archivio del Tag ‘Consiglio di Stato’
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Brava Cina: capitalismo sociale, da noi inventato e perduto
Noi siamo abituati a pensare in termini eurocentrici, ma il mondo non è l’Europa, e lo sarà sempre meno se non capiamo politiche economiche che noi stessi abbiamo inventato, ma abbiamo abbandonato. In Cina c’è una “festa salariale”: il governo ha deciso di non tassare stipendi fino a 5.000 Yuan. Ha deciso di inserire detrazioni fiscali importanti se si hanno figli a scuola o genitori a carico. Ha deciso di poter detrarre spese mediche fino a 6.0000 Yuan l’anno (7.500 euro). Facciamo degli esempi: un operaio, da 4.500 Yuan ne prenderà 5.000 (prima era tassato al 10%). Un’impiegata, da 6.000 Yuan ne prenderà 8.000, perché ha figli a scuola e genitori a carico. Un responsabile da 9.300 Yuan che pagava il 25% di tasse avrà solo 31 Yuan di trattenute, perché ha un figlio a scuola e sta pagando un mutuo. Queste detrazioni diminuiranno se gli stipendi saranno accumulati oltre una certa misura, invogliando i lavoratori a fare spese per la propria famiglia. Cosa sta veramente facendo il governo cinese? Sta ponendo le basi per un welfare, attraverso la leva fiscale, che ha come scopo dare tranquillità salariale ai lavoratori cinesi.I cinesi non dovranno più preoccuparsi di aumentare il risparmio precauzionale. Stanno, in questo modo, orientando i consumi verso il mercato interno; e di conseguenza, anche il lavoro e la produzione saranno dedicati a questo mercato. Far crescere il salario sociale delle varie classi di lavoratori ha lo scopo di proteggersi dalle crisi sistemiche tipiche dell’Occidente, attraverso la crescita della domanda interna e un minor apporto di lavoro per le esportazioni. Cioè l’esatto contrario della strategia ordoliberista dell’Unione Europea. Il governo, con queste misure, aumenterà il rapporto deficit/Pil al 2,8%, ma molti analisti pensano che il Consiglio di Stato porterà il deficit/Pil al 5%, per rispondere alle crisi mondiali che sembrano convergere fra loro, in una specie di super-massa, o super-bolla.Aumentando il debito pubblico e diminuendo il risparmio precauzionale depositato dai cittadini, la banche pubbliche dirotteranno i loro enormi attivi verso la spesa pubblica e non più a investimenti privati che provocano, ormai da tempo, sovrapproduzione. L’impatto delle misure lo vedremo nei prossimi mesi. In buona sostanza, il governo cinese vuole evitare i danni che il capitalismo spinto produce, vuole distribuire i suoi frutti e armonizzarlo in un capitalismo più sociale, cosa che nel laboratorio-Italia si stava facendo, negli anni ‘60 del secolo scorso. Questa dinamica di crescita del mercato interno cinese potrebbe generare una crescita anche nel resto del mondo, in quota parte, per i prodotti che importeranno. Gli Usa hanno capito la posta in gioco, e non a caso premono per entrare in questo mercato. In Europa invece sono tutti intenti a varare norme e regole che strozzano i salariati: un continente che ormai vive in un altro mondo, e dallo stesso sarà buttato fuori.(Roberto Alice, “Mercato interno”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 marzo 2019. Appassionato studioso di economia e collaboratore del blog “Scenari Economici” diretto da Antonio Maria Rinaldi, Roberto Alice sarà tra i candidati del Movimento 5 Stelle alle elezioni regionali del Piemonte, maggio 2019).Noi siamo abituati a pensare in termini eurocentrici, ma il mondo non è l’Europa, e lo sarà sempre meno se non capiamo politiche economiche che noi stessi abbiamo inventato, ma abbiamo abbandonato. In Cina c’è una “festa salariale”: il governo ha deciso di non tassare stipendi fino a 5.000 Yuan. Ha deciso di inserire detrazioni fiscali importanti se si hanno figli a scuola o genitori a carico. Ha deciso di poter detrarre spese mediche fino a 6.0000 Yuan l’anno (7.500 euro). Facciamo degli esempi: un operaio, da 4.500 Yuan ne prenderà 5.000 (prima era tassato al 10%). Un’impiegata, da 6.000 Yuan ne prenderà 8.000, perché ha figli a scuola e genitori a carico. Un responsabile da 9.300 Yuan che pagava il 25% di tasse avrà solo 31 Yuan di trattenute, perché ha un figlio a scuola e sta pagando un mutuo. Queste detrazioni diminuiranno se gli stipendi saranno accumulati oltre una certa misura, invogliando i lavoratori a fare spese per la propria famiglia. Cosa sta veramente facendo il governo cinese? Sta ponendo le basi per un welfare, attraverso la leva fiscale, che ha come scopo dare tranquillità salariale ai lavoratori cinesi.
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L’Olanda lancia una commissione d’inchiesta sull’euro
Nel bel mezzo di un’ondata montante di scetticismo sulla moneta unica, l’Olanda è in procinto di avviare un’inchiesta parlamentare sul suo futuro rapporto con l’euro. Secondo quanto riportato dai deputati dell’opposizione, i politici olandesi hanno votato all’unanimità per l’inchiesta, che esaminerà tutte le opzioni sull’euro, inclusa la possibilità di uscire dalla moneta unica e, in caso affermativo, con quali modalità. La decisione di commissionare l’indagine al Consiglio di Stato, organo di consulenza legale del governo olandese, riflette la crescente ondata di euro-scetticismo in Europa, dove i partiti populisti sperano di piazzarsi bene nelle elezioni di quest’anno, anche nei paesi centrali della zona euro, Francia e Germania. Con l’inchiesta si richiede al Consiglio di esaminare tutte le “opzioni politiche e istituzionali” per il futuro dell’euro, elencandone i vantaggi e gli svantaggi, senza escludere e anzi prevedendo anche l’uscita. Pieter Omtzigt, il deputato euroscettico del partito di opposizione dei Cristiano-Democratici che ha presentato la mozione parlamentare per l’indagine sull’euro, è una tra le sempre più numerose voci dei paesi creditori del nord che attaccano le politiche monetarie della Banca Centrale Europea.
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Game over, l’orrida Europa non digerisce il pessimo Renzi
Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).E questa rigidezza dipende dal fatto che i nostri valenti alleati tedeschi e francesi hanno già forchette in pugno e tovagliolo al collo per banchettare suo beni italiani. Sul secondo punto, Renzi ha bisogno di fare qualcosa sul fisco per non arrivare alle elezioni con un bilancio fatto solo di promesse mancate. Magari, poi le tasse le raddoppierebbe un minuto dopo la vittoria elettorale. Ma anche qui gli europei non mollano: “Niente tagli fiscali, devi pagare gli interessi sul debito e non puoi fare altro disavanzo”. Ma perché tanta indisponibilità, mentre all’Inghilterra è stato concesso tutto o quasi? I soci di maggioranza della Ue non vogliono perdere Londra che (sbagliando) ritengono un punto di forza dell’alleanza, mentre non hanno alcuna particolare propensione a tenersi Roma che (ricordiamolo sempre) è il terzo debito pubblico mondiale. Se a minacciare un referendum sull’uscita dalla Ue fosse il governo italiano, a fare la campagna elettorale a favore dell’uscita, giungerebbe in Italia Juncker.In secondo luogo, proprio perché all’Uk è stato concesso tutto, poi non si può dare niente all’Italia, pena un assalto alla diligenza di tutti gli altri. L’Italia non è la Grecia, è uno dei 4 principali contraenti il patto e, dal punto di vista di Strasburgo ed Amburgo, sta dando un pessimo esempio agli altri. Se non si dà una lezione all’Italia, poi verranno la Spagna, il Portogallo, l’Estonia, Cipro, magari di nuovo la Grecia. In breve la Ue sarebbe solo una marmellata, mentre qui gli “alleati” intendono ribadire che nella Ue c’è chi comanda (la Germania), chi è capo in seconda (la Francia), chi ha diritto a privilegi (l’Inghilterra) e tutti gli altri che devono obbedire. Questo ordine interno non deve essere turbato per nessuna ragione e Renzi deve piantarla. Questo è il modo di vedere dei nostri ineffabili alleati. Beninteso: l’Italia se lo merita. Non si può mandare in giro per il mondo rappresentanti impresentabili come Berlusconi e Renzi, proni come Monti o Letta o deboli come Prodi e pretendere che gli altri ti prendano sul serio. O vigliamo parlare dei ministri degli esteri che abbiamo espresso?Lo scontro fra Renzi e la Commissione Europea è uno scontro fra un branco di squali feroci ed uno squalo scemo, impossibile fare il tifo per nessuno dei due. D’altro canto, ho l’impressione che l’elenco dei nemici di Renzi sia già molto lungo e cresce di giorno in giorno: la magistratura, le grandi banche italiane, ora la Farnesina, la tecnocrazia europea, il Consiglio di Stato, infine buona parte del mondo ecclesiale inviperito per la legge sulle unioni civili… E molto è dovuto all’arroganza personale dell’uomo, splendido esempio del “fiorentino spirito bizzarro” andato a male. Forse sono troppo ottimista ma ho l’impressione che, per Renzi, il cronometro della Ue abbia già iniziato a scorrere verso l’ora zero.(Aldo Giannuli, “Perché l’Europa non digerisce Renzi”, dal blog di Giannuli del 10 febbraio 2016).Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).
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Il giudice: l’euro condanna a morte l’Italia antifascista
Il trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».Una volta attuate, dichiara Barra Caracciolo ad “Abruzzo Web”, le democrazie costituzionali contemporanee portano a una crescita incrementata programmaticamente da un intervento pubblico «che è, prima di tutto, correttivo dell’assetto di forze che il capitalismo tende a creare». Un assetto «redistributivo verso la parte più debole, e largamente maggioritaria, della comunità sociale». L’effetto di questa correzione statale è che «tutti stanno meglio», perché la priorità indiscutibile è «la soddisfazione dei bisogni collettivi, non certo la stabilità finanziaria intesa come garanzia della intangibilità dei profitti del capitalismo finanziario». La democrazia moderna quindi “aiuta” la maggioranza, non i privilegiati, e questo «non sta bene a chi sta in cima alla piramide», anche perché la crescita del benessere diffuso «comporta una crescita culturale della massa e fa sì che questa abbia maggiore peso politico», contrastando le élite che tendono invece a condizionare i governi dall’alto del loro potere economico. Ed ecco spiegata l’attuale Ue con la sua Eurozona: sbaraccare lo Stato democratico e restituire il potere all’oligarchia, secondo uno schema pre-moderno, neofeudale.Certo, chi è a favore dell’euro spara a zero contro l’Italia, considerata incapace di intercettare al meglio i fondi europei. Errore, interviene il magistrato: i fondi europei sono nel bilancio dell’Ue ma non dell’unione monetaria, «che è stata deliberatamente creata senza un bilancio fiscale federale: i trattati non offrono strumenti compensativi degli squilibri interni all’area euro, e le dimensioni dei cosiddetti fondi Ue sono assolutamente inadeguate al Pil europeo». Ogni altro sistema federale al mondo – Usa, Canada, la stessa Germania – dispone di ben altro budget. Dato il peso economico dell’Europa, secondo l’economista francese Jacques Sapir servirebbe un bilancio federale europeo paragonabile a quello degli Stati Uniti. «Ma di questo bilancio, la Germania dovrebbe sopportare un peso pari a 8-9 punti del proprio prodotto interno lordo: un risultato semplicemente impensabile, e certamente respinto senza equivoci dalla stessa Germania».Dall’Unione Europea (non dall’area euro) si ripete che agli Stati come l’Italia viene semplicemente “restituita”, in parte, una somma che gli Stati hanno già versato. Per effettuare questa contribuzione netta, dati i vincoli di bilancio (drastica limitazione del deficit, fino all’attuale vincolo al pareggio di bilancio), «dobbiamo sostanzialmente rinunciare ai programmi pubblici previsti dalla nostra Costituzione» dice Caracciolo. «L’Unione Europea, in pratica, ne vieta la piena attuazione nei livelli solidaristici da essa previsti, non si scappa. Insomma, diamo dei soldi e ne riceviamo di meno, il meccanismo è questo. Le priorità, poi, vengono pianificate a livello eurocentrico, secondo finalità settoriali, ben diverse da quelle previste dalla nostra Costituzione». Cifre: ogni anno, secondo la Corte dei Conti, sono oltre 6 miliardi in meno che riceviamo rispetto alla nostra contribuzione. Inoltre, per la stabilizzazione della moneta unica – cioè degli squilibri creati dall’euro – solo negli ultimi tre anni abbiamo dovuto pagare, a vario titolo ed emettendo debito pubblico aggiuntivo (che ci viene poi rimproverato come “colpa”, costringendoci a ulteriori dosi di austerità) oltre 53 miliardi, tra cui i 10 miliardi di soccorsi bilaterali concessi a Spagna e Grecia.Ma anche spendendo per sostenere i paesi più deboli, l’Unione Europea non fa la cosa giusta, nel modo giusto: «I fondi accumulati per tenere su i sistemi bancari greci o spagnoli non sono stati usati per incrementare i bilanci di intervento sull’economia reale di quei paesi, ma vengono direttamente dati in pagamento alla Bce», che compra – da Francia e Germania – i titoli di Stato spagnoli e greci Parigi e Berlino avevano acquisito. Oppure, gli “aiuti” vengono immediatamente girati dagli Stati debitori al sistema bancario dei paesi creditori, quello tedesco in primis. In ogni caso, data la sua esiguità, per un vero “salvataggio” non sarebbe sufficiente neppure il fondo del Mes, il meccanismo europeo di stabilità. E così, nel frattempo le tasse aumentano: «Dall’assetto giuridico attuale non possiamo attenderci che una continua progressione della pressione fiscale», dice Barra Caracciolo. Una super-tassazione, «spesso artificiosa e contraria alla Costituzione», realizzata sia attraverso la moltiplicazione del tipo di imposte, sia attraverso «il continuo allargamento normativo delle basi imponibili», che però tendono a contrarsi dato che siamo in recessione.Uno dei drammi italiani è proprio il crollo della domanda interna di consumi, che aggrava il debito perché riduce il gettito fiscale e compromette il futuro: «Se non c’è più domanda interna, non c’è incentivo alcuno a fare nuovi investimenti in Italia. Chi vorrebbe produrre non lo fa perché non ci sono prospettive di vendere il prodotto, e il carico fiscale rende difficile immaginare anche la convenienza dell’esportazione». Per il magistrato, «siamo nel pieno della visione neoclassica dell’economia», quella della destra economica. «Siamo praticamente in stagnazione dal 1992». Già all’epoca del Trattato di Maastricht «era evidente che non si potesse tollerare un vincolo di cambio e di bilancio fiscale del genere e mantenerlo insieme alla crescita». L’euro – moneta rigida e non sovrana – non può che deprimere l’economia, tagliando le gambe all’unico possibile volano risolutivo, l’intervento statale: in una situazione di crisi, senza investimenti pubblici il settore privato crolla.«In un’economia liberista come quella dell’area euro, fondata sulla lotta all’inflazione e sulla limitazione dell’intervento pubblico, si finisce nella trappola della liquidità», spiega Luciano Barra Caracciolo. «Anche se i tassi praticati dalla banca centrale sono vicini allo zero, i soldi rimangono là, fermi. E i risparmi fermi non si trasformano in investimenti». Questo viene regolarmente imputato «alla mancanza di produttività del lavoro, che viene ulteriormente compresso nel salario: ciò che chiamano “riforme strutturali”», dalla riforma Fornero al Jobs Act di Renzi, dopo il pacchetto Treu del primo governo Prodi e poi la legge Biagi. Secondo Giulio Sapelli, siamo sull’orlo di una guerra. In realtà, la competizione tra Stati è già esplosa: avremmo dovuto cooperare, ma è lo stesso Trattato di Maastricht a parlare di “economia sociale di mercato fortemente competitiva”, prefigurando quindi «una competizione tra Stati per la supremazia sul mercato unico».Eccoci qua: «Privi di governo federale e di sovranità monetaria, stretti da vincoli di bilancio che escludono ogni autonoma politica economica e industriale nazionale, gli Stati non hanno più la parte essenziale della sovranità. Ma quella sovranità, sottrattagli ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione per consentire di aderire a un’organizzazione internazionale, non è poi esercitata da nessuno, in termini di politiche di interesse generale dei popoli. È come se ci fosse un buco nero in cui la sovranità si disperde». Gli Stati della nuova Europa? «Devono competere tra loro, altre vie non vengono indicate». Secondo Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia, tutto questo non porta sviluppo: si può anche vincere sulle esportazioni, ma nessuno vince se si vuole realizzare questo obbietivo tutti insieme simultaneamente. Risultato: zero crescita comune, proprio grazie alla perduta sovranità “dispersa nel nulla”. L’export in ogni caso non è la soluzione: «Le esportazioni si mandano avanti comprimendo domanda interna e salari: quindi, negli effetti sociali, siamo in guerra», sottolinea Caracciolo. «Chi perde si trova di fronte a perdite epocali e a un impoverimento che diviene irreversibile».Apriamo gli occhi, aggiunge il magistrato: «Non è l’euro ad aver garantito la pace: semmai è uscire dall’euro che porterebbe finalmente a una “pace”, intesa come armonizzazione cooperativa sul piano commerciale e industriale, che oggi non c’è perché è appunto incentivata una guerra commerciale-finanziaria dalla stessa struttura istituzionale della non-politica monetaria accentrata nella Bce». A questa analisi, la propaganda comune – e i mezzi di informazione di massa – replicano nel solito modo, cioè puntando il dito contro i presunti vizi italiani: non abbiamo mai saputo governarci bene, quindi non cresceremmo nemmeno in caso di uscita dall’euro. Il che è falso, puntualizza il giudice: «L’Italia se la cavava benissimo, riuscendo a stare almeno alla pari di Francia e Inghilterra, con una struttura industriale più dinamica». Fino all’irruzione dello Sme, il sistema monetario europeo e quindi il “vincolo esterno” alla spesa pubblica, «la realtà economico-industriale italiana non era affatto quella mostruosità che è stata dipinta ad arte da chi voleva “ridimensionare” l’Italia». Cifre alla mano, Bara Caracciolo smentisce i pro-euro: tra gli anni ‘70 e gli ‘80 l’Italia aveva una bassa spesa pubblica, inferiore di 10 punti alla spesa tedesca.C’era un deficit strutturale, certo, «ma il deficit non è un in sé un elemento negativo per il prodotto interno lordo», visto che corrisponde «all’immissione pubblica di moneta nel sistema», cosa che da noi «ha generato un grande risparmio privato», il primo d’Europa: gli italiani, in altre parole, si sono arricchiti anche grazie all’azione strategica dello Stato, che ha “speso a deficit per i cittadini”, aziende e famiglie, permettendo al sistema-paese di svilupparsi nel modo che abbiamo visto. Il debito pubblico? Altra mistificazione: nel 1981, al momento del divorzio fra Tesoro (Andreatta) e Banca d’Italia (Ciampi), il debito era appena al 58%, sottolinea Barra Caracciolo. Poi è esploso, quando è stato affidato ai titoli di Stato sul mercato finanziario privato, imbrigliando lo Stato prima con lo Sme – tassi di cambio a oscillazione limitata – e infine con l’euro, moneta iper-rigida che ci vincola «a realtà economiche come la Germania, strutturalmente inconciliabili con la nostra». Morale: «Sottraendo deficit e debito dalle mani dello Stato sovrano, si è avuta un’esplosione degli interessi». Non a caso, naturalmente: «Già in quel momento hanno cominciato ad arricchirsi minoranze di privati che sono diventati i sottoscrittori privilegiati di questo debito a interessi superiori al livello dell’inflazione, determinandosi un trasferimento a loro favore dei soldi dei contribuenti».Uno dei refrain del centrosinistra – da Prodi a Renzi – è la necessità di tagliare la spesa pubblica. E’ solo «una scusa», replica Luciano Barra Caracciolo. «In termini assoluti la spesa italiana non è mai stata alta, era sotto controllo: il problema del deficit era in realtà dovuto alla pressione fiscale relativamente bassa rispetto agli altri paesi europei come Francia e Germania», con in più una vasta evasione fiscale. Con Maastricht, si è cercato di “rimediare” aumentando la pressione fiscale su tutte le categorie produttive. Questo, insieme al cambio sfavorevole (l’euro troppo “forte”) e al venir meno del sostegno pubblico (il taglio del deficit) ha provocato «il blocco dello sviluppo industriale», cioè la grande crisi italiana, sottoposta allo choc improvviso della moneta unica, del rigore fiscale e della fine del sostegno pubblico. Il problema dunque non è l’Italia, ma questa Unione Europea. Il famoso malgoverno italiano? «Non era peggiore di altri ordinamenti in competizione, come Francia e Germania», e in ogni caso gli illustri tangentocrati del passato non hanno certo impedito al paese di svilupparsi rapidamente, arricchendo famiglie e aziende. «Capiamoci bene», insietre Caracciolo: «Con le attuali politiche fiscali, e specialmente col pareggio di bilancio, si azzererà il risparmio privato delle famiglie».«È un fatto di contabilità nazionale, non si può non capire un concetto così elementare», continua il magistrato. «Se devo tenere il deficit sotto un certo limite, si deve comprimere la domanda fino a provocare la recessione». Ma attenzione: il deficit non è un problema. Al contrario: «E’ il risparmio del settore privato». Sono soldi che lo Stato spende per cittadini e aziende. Se invece si taglia, e quindi si comprime la domanda interna di beni e servizi, il saldo arriva allo zero. Pareggio di bilancio, appunto. Così, l’onere degli interessi viene trasferito «nelle mani di chi detiene il debito pubblico», cioè «non certo le famiglie, ormai marginalizzate». Peggio ancora: «Col pareggio di bilancio si arriverà addirittura a un risparmio negativo: per fronteggiare la vita e le tasse, i cittadini dovranno vendere i propri beni patrimoniali, intaccando lo stock di risparmio. Questi beni andranno in sovraofferta, e i prezzi caleranno drammaticamente. Guardate i prezzi degli immobili, già in aperta flessione. In vent’anni di Fiscal Compact i valori reali saranno ridotti almeno a un terzo rispetto ai picchi della metà degli anni 2000. Alla fine del processo saremo tutti più poveri».E mentre il Pd continua a chiedere “più Europa”, proponendo il tedesco Martin Schulz alla guida dell’Ue, «si sta deindustrializzando l’Italia: la Germania su tutte vuole controllarla, in quanto sua principale concorrente industriale nell’area euro». Obiettivo: fare del nostro paese «una gigantesca fabbrica-cacciavite, a bassi salari, progressivamente decrescenti». Insiste il giudice: «La Germania non vuole un’Italia viva e vitale, proprio perché è il principale concorrente sul mercato unico. Fingendo di non volerci – come confermano le posizioni di Helmut Kohl durante la trattativa finale per l’introduzione dell’euro – costrinse l’Italia a entrare nella moneta unica, sapendo di poterla neutralizzare definitivamente nella sua competitività grazie al livello di cambio impostoci per sempre». Certo, televisioni e giornali non hanno certo aiutato gli italiani a capire quello che stava accadendo: «Gli editoriali italiani degli ultimi trent’anni sui più importanti quotidiani ci hanno detto enormi bugie, falsificando il senso economico del deficit e della spesa pubblica. Un lavoro ben orchestrato dai padroni finanziari. Colpevolizzando gli italiani e l’Italia spendacciona siamo arrivati alla povertà: dovevamo espiare i peccati e rinunciare a tutti i nostri diritti sociali. In Europa funziona così». Alla Bce è vietato espressamente di sostenere gli Stati e l’occupazione. «Se non cambiamo è la fine: di tutti».I trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».
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Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav
Si fingono avversari in televisione, ma dietro le quinte sono amici. Anzi: soci. Negli ambienti giudiziari la chiamano «larga intesa degli affari». Destra e sinistra: «Tutti insieme appassionatamente, in un gioco abilissimo e sotterraneo di nomi e prestanome», rivela Lirio Abbate in un reportage su “L’Espresso”. Professionisti e tecnici, segretari di partito e ministri, capi-corrente, deputati e senatori. «I pupari e le marionette. Per muovere affari di milioni, velocizzare pratiche di appalti pubblici, approvare decreti per favorire imprese amiche, cambiare componenti di commissioni di vigilanza e authority». Di fatto, questo significa «svuotare le istituzioni e piegare le regole democratiche in uno spoil system che genera un sistema viziato», che diventa «un magma rovente che fonde gli appetiti meno nobili, una suburra in cui tutti si scambiano favori e dialogano per concretizzare interessi senza badare a casacche e stemmi di partito», a cominciare dalla madre di tutti i subappalti, la famigerata Tav.
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Piemonte, bocciato il ricorso: il presidente resta Cota
«La Bresso è un tornado: ha fatto più danni della grandine». Così Luca Bottura qualche giorno fa su “Lateral”, il mattinale semiserio di Radio Capital, segnalando l’avvicinarsi dell’esito del fatidico riconteggio delle schede elettorali del Piemonte. Verdetto emesso il 19 ottobre dal Consiglio di Stato: il presidente della Regione resta il leghista Roberto Cota, il riconteggio deciso dal Tar piemontese va fermato. «Mi spiegate – ripeteva il neopresidente – perché per votare me sarebbe stato necessario mettere la croce due volte, sul mio nome e su una delle liste a me collegate, mentre per votare la Bresso sarebbe bastata una croce sola?». Ricorso accolto: fine dell’incubo post-elettorale per Roberto Cota.
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Da Alessandria ad Arcore, battaglia anti-nucleare
Assemblea nazionale contro il nucleare il 18 ottobre nella sede dei Cobas. Obiettivo, far crescere il coordinamento dei movimenti antinucleari contro il piano del governo. «Per il 21 novembre – annuncia Lino Balza di Medicina Democratica, portavoce della battaglia di Alessandria contro lo stoccaggio di scorie radioattive – si sta preparando una manifestazione antinucleare davanti alla villa di Berlusconi ad Arcore».
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Nucleare Alessandria, vittoria al Consiglio di Stato
Spetta al Tar del Piemonte l’ultima parola sulla contestata trasformazione della Sogin, ex Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria) nella prima discarica autorizzata di scorie radioattive d’Italia. Dopo le due sentenze del Tar piemontese, entrambe sfavorevoli alla Sogin, anche il Consiglio di Stato le dà torto, riconoscendo le ragioni degli ambientalisti alessandrini. La sentenza del tribunale romano, massimo organo di giustizia amministrativa, emanata il 30 giugno e depositata il 31 luglio, è stata pubblicata il 10 agosto, fra il tripudio degli ecologisti, che incassano la terza vittoria consecutiva.
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Nucleare Alessandria, l’allarme si estende ai fiumi
Tribunali, Regione, Europa. Nuova offensiva, giudiziaria e politica, degli ecologisti di Alessandria, che si battono contro la trasformazione della Sogin di Bosco Marengo (ex Fabbricazioni Nucleari, Enea) nella prima discarica radioattiva autorizzata d’Italia. Si teme che – a cascata – gli altri siti nucleari, dove sono custoditi materiali anche più pericolosi dei 550 fusti di combustibile atomico di Bosco, possano diventare anch’essi depositi nucleari, malgrado la legge imponga (dal 2003) che le scorie vengano custodite in un sito nazionale idoneo e protetto, in Italia non ancora individuato.
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Nucleare Alessandria, esposto sui lavori già avviati
In attesa che il Consiglio di Stato, dopo l’udienza del 30 giugno, si pronunci sulla competenza territoriale in base a cui giudicare la presunta illegittimità delle procedure di dismissione dell’impianto di Bosco Marengo, che diverrebbe la prima discarica nucleare autorizzata d’Italia, la questione potrebbe assumere anche un profilo penale: gli ecologisti hanno infatti presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Alessandria, per chiedere all’autorità giudiziaria di verificare eventuali violazioni della legge, nelle operazioni (già avviate) di smantellamento dell’impianto alessandrino.
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Nucleare Alessandria, il Tar: decide Torino, non Roma
Sembra ormai quasi un “legal thriller” la vicenda delle scorie nucleari di Alessandria che oppone governo e ambientalisti. Il Tar del Piemonte ha respinto il trasferimento a Roma della spinosa controversia: l’ultima parola spetta a Torino, il cui tribunale amministrativo si è già pronunciato a favore degli ecologisti. «Si tratta di una importante vittoria», annuncia Lino Balza di “Medicina democratica”, portavoce del ricorso contro la dismissione dell’impianto di Bosco Marengo che autorizzerebbe la prima discarica italiana per rifiuti radioattivi, aprendo così la strada al ritorno del nucleare in Italia.
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Nucleare Alessandria, l’udienza slitta al 30 giugno
Senza esito l’udienza del 16 giugno: il Consiglio di Stato riesaminerà il caso del nucleare ad Alessandria solo il 30 giugno, dopo aver visionato documenti forniti all’ultimo minuto. Nuovo colpo di scena, quindi, nella complessa battaglia politica e legale che oppone gli ambientalisti alessandrini, sostenuti da Beppe Grillo, alla Sogin di Bosco Marengo, società pubblica (ex Fabbricazioni Nucleari, Enea) attraverso cui il governo Berlusconi, con il consenso della Regione Piemonte, intende procedere alla dismissione dell’impianto, trasformandolo di fatto nel primo deposito autorizzato di materiale radioattivo d’Italia, sia pure “temporaneo”.