Archivio del Tag ‘demonio’
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Levy: persino Gandhi capirebbe la violenza dei palestinesi
Attraverso la nebbia del senso di superiorità, della propaganda dei media, dell’istigazione, della disattenzione, del lavaggio del cervello e della vittimizzazione degli ultimi giorni, ritorna pienamente d’attualità la semplice domanda: chi ha ragione? Nell’arsenale propagandistico israeliano non ci sono argomenti giustificati accettabili per una persona onesta. Persino il Mahatma Gandhi capirebbe le ragioni di questo scoppio di violenza palestinese. Persino quelli che rifiutano la violenza, che la vedono come immorale ed inutile, non possono fare a meno di capire come mai scoppia periodicamente. La domanda è perché non scoppi ancora più spesso. Dalla domanda su chi ha iniziato tutto ciò a quella su chi è da condannare, il dito è giustamente puntato contro Israele, solo contro Israele. Non è che i palestinesi siano incolpevoli, ma la responsabilità principale ricade sulle spalle di Israele. Finché Israele non si libererà di questa colpa, non avrà ragioni per fare uno straccio di richiesta ai palestinesi. Ogni altra cosa è falsa propaganda.Come ha scritto recentemente l’attivista palestinese di lunga data Hanan Ashrawi, i palestinesi solo l’unico popolo sulla terra a cui si chiede di garantire la sicurezza dell’occupante, mentre Israele è l’unico paese al mondo che pretende protezione alle sue vittime. E come possiamo rispondere? Come ha chiesto il presidente Mahmoud Abbas in un’intervista ad “Haaretz”: «Come vi aspettate che la piazza palestinese reagisse dopo che l’adolescente Mohammed Abu Khdeir è stato bruciato vivo [nel luglio 2014, dopo l’uccisione di tre giovani israeliani], l’incendio della casa dei Dawabsheh [nell’agosto 2015, in cui è morto carbonizzato un bambino di 18 mesi e, dopo qualche settimana, sono deceduti i suoi genitori], le aggressioni dei coloni e gli attacchi contro le proprietà [palestinesi] sotto gli occhi dei soldati?». E cos’abbiamo da rispondere?Ai cento anni di spoliazione ed ai 50 anni di oppressione possiamo aggiungere gli ultimi anni, segnati dall’intollerabile arroganza israeliana che ci sta esplodendo ancora una volta in faccia. Sono stati gli anni in cui Israele ha pensato di poter fare qualunque cosa senza pagarne il prezzo. Ha pensato che il ministro della difesa [Moshe Ya’alon, del Likud, il partito di Netanyahu] potesse vantarsi di conoscere l’identità degli assassini dei Dawabsheh senza arrestarli, e i palestinesi si sarebbero controllati. Ha pensato che quasi ogni settimana un ragazzo o adolescente potesse essere ucciso dai soldati e i palestinesi sarebbero rimasti tranquilli. Ha pensato che i soldati israeliani potessero irrompere nelle case dei palestinesi ogni notte e terrorizzare, umiliare ed arrestare la gente. Che a centinaia potessero essere arrestati senza un’accusa. Che lo Shin Bet, il sevizio di sicurezza, potesse continuare a torturare i sospetti con metodi satanici.Ha pensato che i prigionieri che fanno lo sciopero della fame e che sono stati liberati potessero essere riarrestati, spesso senza alcuna ragione. Che Israele potesse distruggere Gaza una volta ogni due o tre anni e che Gaza si sarebbe arresa e la Cisgiordania sarebbe rimasta tranquilla. Che l’opinione pubblica israeliana avrebbe applaudito tutto ciò, nella migliore delle ipotesi con sorrisi e nella peggiore con la richiesta di più sangue palestinese, con una sete che è difficile da comprendere. E i palestinesi lo avrebbero perdonato. Tutto ciò potrebbe continuare ancora per molti anni. Perché? Perchè Israele è più forte che mai e l’Occidente è indifferente e gli consente di scatenarsi come non mai. I palestinesi, nel contempo, sono deboli, divisi, isolati e colpiti come non mai dai tempi della Nakba. Così tutto ciò potrebbe continuare perché Israele lo può fare – e il popolo [israeliano] lo vuole. Nessuno potrà fermare ciò, se non l’opinione pubblica internazionale, che Israele rifiuta in quanto anti-ebraica.E non abbiamo detto niente in merito all’occupazione in quanto tale e l’incapacità di porvi termine. Siamo stanchi. Non abbiamo detto una parola sull’ingiustizia del 1948, che avrebbe dovuto finire allora e non continuata con ancor maggiore forza nel 1967, e continuata senza che se ne veda la fine. Non abbiamo parlato delle leggi internazionali, del diritto naturale e l’etica umana, che non può assolutamente accettare niente di simile. Quando giovani uccidono coloni, lanciano bottiglie molotov contro i soldati e scagliano pietre contro gli israeliani, questo è il contesto. Ci vuole una buona dose di ottusità, ignoranza, nazionalismo e arroganza – o di tutto ciò insieme – per ignorare tutto ciò.(Gideon Levy, “Perfino Gandhi capirebbe la violenza palestinese”, articolo pubblicato sul quotidiano israeliano “Haaretz” il 9 ottobre 2015 e tradotto da “Come Don Chisciotte”).Attraverso la nebbia del senso di superiorità, della propaganda dei media, dell’istigazione, della disattenzione, del lavaggio del cervello e della vittimizzazione degli ultimi giorni, ritorna pienamente d’attualità la semplice domanda: chi ha ragione? Nell’arsenale propagandistico israeliano non ci sono argomenti giustificati accettabili per una persona onesta. Persino il Mahatma Gandhi capirebbe le ragioni di questo scoppio di violenza palestinese. Persino quelli che rifiutano la violenza, che la vedono come immorale ed inutile, non possono fare a meno di capire come mai scoppia periodicamente. La domanda è perché non scoppi ancora più spesso. Dalla domanda su chi ha iniziato tutto ciò a quella su chi è da condannare, il dito è giustamente puntato contro Israele, solo contro Israele. Non è che i palestinesi siano incolpevoli, ma la responsabilità principale ricade sulle spalle di Israele. Finché Israele non si libererà di questa colpa, non avrà ragioni per fare uno straccio di richiesta ai palestinesi. Ogni altra cosa è falsa propaganda.
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Chi ha ucciso Sharon Tate, John Lennon e Michael Jackson
Prima la morte di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, massacrata in una villa in California. Un crimine costato l’ergastolo all’ambiguo Charles Manson, ritenuto il guru di una setta satanica. Poi la tragica fine di John Lennon, il leader dei Beatles, freddato a colpi di pistola da un fanatico. E infine quella di Michael Jackson, morto in circostanze mai del tutto chiarite, dopo un’iniezione praticatagli dal medico personale. Morti clamorose e in qualche modo collegate tra loro, anche se nessuno lo potrà dimostrare. Lo sostiene l’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di esoterismo e simbologia, massone con alle spalle importanti relazioni internazionali. Nella sua ipotesi di accusa, Carpeoro punta il dito contro il celeberrimo produttore musicale Phil Spector, attualmente in carcere per omicidio. E spiega: fu Spector ad allontanare Polanski dalla moglie, organizzandogli un viaggio in Europa, e poi a incastrare Manson, ritenuto il colpevole dell’omicidio. Spector era il produttore dei Beatles, voleva i loro diritti ma Lennon si oppose e lo cacciò. Divorzio fatale? Poi i diritti vennero acquistati da Michael Jackson, a cui proprio Spector fornì il medico che gli fu accanto al momento del decesso.Intervistato da “Forme d’onda”, trasmissione radio su web che si occupa di misteri irrisolti, Carpeoro punta il dito contro Phil Spector, di recente al centro di una scomoda ricostruzione cinematografica interpretata da Al Pacino. E’ stato il responsabile morale di tanti delitti eccellenti? «Spector è stato un satanista», sostiene Carpeoro, «nonché un produttore musicale straordinario, geniale». Il suo misterioso carisma avrebbe però spinto molte star – da Brian Ferry a David Bowie, da Freddy Mercury a Elton John – a respingere le sue offerte di collaborazione. Inventore della tecnica del “Wall of Sound”, Spector fu pioniere del suono dei gruppi femminili degli anni Sessanta come le Crystals e le Ronettes, e realizzò più di 25 singoli da classifica solo tra il 1960 e il 1965. Più tardi lavorò con Tina Turner e i Ramones, collaborò alla realizzazione di “Let it be” dei Beatles e al “Concert for Bangla Desh” di George Harrison, rispettivamente vincitori di Oscar e Grammy.«Phil Spector conosceva anche Charles Manson», l’ex giovane sbandato che – tra un arresto e l’altro – sognava di diventare una rockstar. «Sicuramente – aggiunge Carpeoro – gli avrà promesso di aiutarlo a coronare il suo sogno: per questo gli avrà chiesto di raggiungere la villa di Los Angeles, lasciando tracce della sua presenza, poco dopo la strage costata la vita a Sharon Tate». Lo stesso Spector, continua Carpeoro, «aveva organizzato il viaggio in Europa di Polanski, impegnato col film “Rosemary’s Baby”», che racconta di un “patto col diavolo” per avere successo: «In realtà era un film ispirato proprio a Spector, che aveva capito tutto». La moglie del regista, l’attrice Sharon Tate, fu massacrata a coltellate la sera dell’8 agosto 1969 insieme ad altre quattro persone, secondo la polizia da membri della “Charles Manson’s Family”, il gruppo di esaltati che circondava il guru.Sul posto furono rilevate le tracce dello stesso Manson, arrestato e condannato a morte (pena poi commutata in ergastolo con l’abrogazione della pena capitale in California). Secondo Carpeoro, a Manson fu chiesto un sacrificio, per depistare le indagini, in cambio del futuro aiuto per la sua ipotetica carriera musicale, non appena fosse stato scagionato. Una volta in carcere, completamente abbandonato a se stesso, Manson intuì di essere finito in trappola. «Eppure non parlò mai: finora si è ben guardato dall’accusare qualcun altro». Il suo avvocato morì in circostanze strane? «Forse, Manson gli aveva raccontato la verità. Ha visto la fine che ha fatto e quindi si è convinto a tenere la bocca chiusa».Dal mancato musicista Manson, sepolto vivo in una cella (per la giustizia americana è lui il colpevole della morte di Sharon Tate) ad una delle più famose popstar del secolo, John Lennon. «I Bealtles erano in crisi, da quando John Lennon e Yoko Ono avevano preso ad abusare dell’Lsd, che veniva fornita loro da Spector», racconta Carpeoro. «Le cose non facevano che peggiorare da quando, tra loro, era comparso il produttore: decisero di liquidarlo, dopo il duro scontro finale che proprio John Lennon ebbe con lui, anche perché Spector pretendeva di acquisire i diritti delle loro canzoni». Una decina d’anni dopo, Lennon è stato ucciso a colpi di pistola l’8 dicembre 1980 all’ingresso della sua casa di Manhattan. L’omicida, Mark David Chapman, appena tre ore dopo il fermo rilasciò una dichiarazione delirante, nella quale citava il protagonista del “Giovane Holden”, il capolavoro di Salinger, e il demonio. «Sono sicuro – disse – che una grossa parte di me sia Holden Caulfield, il resto di me dev’essere il diavolo».Fu sempre Spector, aggiunge Carpeoro, a introdurre a Hollywood il dottor Conrad Murray, condannato a 4 anni di carcere per “omicidio involontario” dopo le cure praticate al cantante la sera in cui morì, il 25 giugno 2009. «Michael Jackson era entrato nella massoneria di potere degli Stati Uniti», riferisce Caroeporo, «ma dopo un po’ si era allontanato da quel mondo e aveva lanciato segnali precisi, come la canzone “They don’t care about us” che denuncia l’incredibile sistema carcerario americano, e aveva fatto allusioni all’11 Settembre». Jackson, inoltre, si era rifiutato di cedere i diritti sulle canzoni dei Beatles, che aveva acquisito dopo lo scioglimento del gruppo inglese. E’ noto che Spector, quei diritti, li avrebbe voluti per sé, al punto da litigare violentemente con John Lennon. Oggi, Phil Spector, duramente provato dal carcere (è stato condannato nel 2009 per la morte della modella e attrice statunitense Lana Clarkson) avrebbe perso la facoltà di parola. Muto, come Charles Manson, in prigione ormai da decenni. Tragedie a catena, dalle quali alla fine non si salva nessuno: «E’ il tipico esito del satanismo», conclude Carpeoro, «che travolge chiunque pensi di stringere patti con chissà chi, facendo del male agli altri e alla fine a se stesso».Prima la morte di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, massacrata in una villa in California. Un crimine costato l’ergastolo all’ambiguo Charles Manson, ritenuto il guru di una setta satanica. Poi la tragica fine di John Lennon, il leader dei Beatles, freddato a colpi di pistola da un fanatico. E infine quella di Michael Jackson, deceduto in circostanze mai del tutto chiarite, dopo un’iniezione praticatagli dal medico personale. Morti clamorose e in qualche modo collegate tra loro, attraverso singolari “coincidenze”. Lo sostiene l’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di esoterismo e simbologia, massone con alle spalle importanti relazioni internazionali. Nella sua ricostruzione, Carpeoro evoca la figura del celeberrimo produttore musicale Phil Spector, attualmente in carcere per omicidio. E spiega: fu Spector ad allontanare Polanski dalla moglie, organizzandogli un viaggio in Europa. Nel delitto fu incastrato Manson, che era in contatto con Spector. Lo stesso Spector era il produttore dei Beatles, voleva i loro diritti ma Lennon si oppose e lo cacciò. Da allora, tra Spector e Lennon fu guerra. Poi i diritti vennero acquistati da Michael Jackson, a cui proprio Spector aveva fornito il medico che gli fu accanto nelle ultime ore, causandone il decesso.
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Biglino: ma nella Bibbia non c’è Dio né creazione del mondo
La Bibbia è uno dei tanti libri che l’umanità ha scritto nel corso della sua storia, quindi va letta come tale, secondo me. Parla del rapporto tra un popolo e un individuo, che noi conosciamo con il nome di Jahwè, e che poi successivamente ci è stato presentato come Dio. Leggo la Bibbia dai tempi del liceo e la trovo affascinante, più l’approfondisco e più mi piace. La Bibbia contiene moltissimi errori, contraddizioni e discrepanze. Di errori, i docenti israeliti ne hanno trovati almeno 1.500 (tra errori e sviste), e poi ci sono un sacco di contraddizioni e discrepanze, veramente tantissime. Sicuramente la contraddizione che mi ha colpito di più quella che è stata tradotta dall’esterno, cioè la volontà di vedere nella Bibbia la presenza di Dio, che assolutamente in realtà non c’è. Il modo corretto per affrontare la Bibbia? Leggerla, appunto, come uno dei tanti libri che l’umanità ha scritto nel corso della sua storia, cercando di dare credito a ciò che c’è scritto. Dobbiamo leggerla e studiarla perché, piaccia o non piaccia, almeno un paio di miliardi di persone hanno la vita condizionata, direttamente o indirettamente, da quel libro.Se la Bibbia viene da Dio? Assolutamente no – e per fortuna, direi. Se Dio ci ha fatto a sua immagine? Non Dio, ma gli Elohìm, cioè quel gruppo di individui di cui parla la Bibbia, che ci hanno costruiti – loro sì, a loro immagine. Cosa cambierei della Bibbia? Nulla. La Bibbia va presa così com’è, altrimenti non sarebbe più la Bibbia. Salverei la Genesi, perché è il libro che, essendo stato preso da libri più antichi di altri popoli del Medio Oriente – quindi, quello meno toccato dalla teologia, per certi aspetti – è quello che ha più probabilità di contenere delle verità, almeno dal punto di vista della cronaca e della storia. La prima volta che ho letto la Bibbia ho provato stupore, per le differenze che ci sono tra ciò che leggo nella Bibbia e ciò che della Bibbia avevo sempre sentito raccontare. I dubbi mi sono nati mentre ero alla mia scrivania, mentre facevo le mie traduzioni professionali della Bibbia per conto delle Edizioni San Paolo.Conosciamo tutto, del nostro passato? Per fortuna no, così abbiamo ancora un sacco di cose da studiare. Cosa sia la creazione non lo so, ovviamente penso che non lo sappia nessuno. Non so come sia nato l’universo. Di certo so che non se occupa neppure la Bibbia. Cioè, nemmeno la Bibbia parla di creazione. Né tantomeno del diavolo: il diavolo biblico non esiste, come non esistono né l’inferno né il paradiso biblico. Nella Bibbia non esistono neppure gli angeli. Esisterà l’Apocalisse? Se per Apocalisse intendiamo Rivelazione, allora io spero che prima o poi ci sia la rivelazione di una qualche forma di verità. Gli alieni? Mi stupirei se non esistessero. La Bibbia oggi è sicuramente ancora attuale: siamo in Italia, e la stessa politica italiana è comunque condizionata da ciò che da quel libro è stato ricavato. Quanto c’è di vero e quanto di falso? Stabilire percentuali è quasi impossibile. Direi che nella Bibbia c’è sicuramente una sostanza cronachistica e storica vera, su cui è stato costruito un castello di falsità.Se la Bibbia è in grado di rispondere a tutte le domande? Assolutamente no. Direi che non era neppure il suo obiettivo: la Bibbia si occupava solo del rapporto tra un popolo e un individuo di nome Jahwè. A un certo punto – parliamo della storia di Adamo ed Eva, ovviamente – questo gruppo di Elohìm ha avuto la necessità di fabbricarsi qualcuno che lavorasse per loro. Hanno fatto prima il maschio, un gruppo che noi conosciamo come l’Adàm, e con ogni probabilità lo hanno fatto con un intervento di ingegneria genetica. Dopo un po’ di tempo si sono accorti, bontà loro, che il maschietto da solo non stava tanto bene. E hanno deciso di fargli la femminuccia, e anche questa l’hanno fatta – stando a quel che racconta la Bibbia – compiendo un ulteriore intervento di ingegneria genetica. E di lì in avanti, poi, si è sviluppato il tutto.Penso che questo possa essere considerato l’inizio, perlomeno della specie che conosciamo come homo sapiens, perché prima probabilmente gli ominidi hanno seguito il loro normale processo evolutivo. Io penso che la vita, come espressione del Dna, chieda ad ogni essere vivente di realizzare se stesso al meglio e sviluppare al meglio i suoi talenti. Il senso della Bibbia è quello di raccontarci una storia, dalla quale probabilmente possiamo ricavare delle informazioni sulle nostre origini. A un religioso cristiano non ho da dire assolutamente nulla, anche perché non ho la necessità di convincere nessuno. Io a metto a disposizione le mie cose, poi ciascuno ne fa quello che vuole.(Mauro Biglino, affermazioni rilasciate a “Luoghi Misteriosi” per la video-intervista parallela con monsignor Avondios, arcivescovo della Chiesa Ortodossa di Milano, pubblicata su YouTube. Saggista e già traduttore per le Edizioni San Paolo di 19 libri dell’Antico Testamento, Biglino ha suscitato molto clamore con volumi recenti come “Il Dio alieno della Bibbia”, “Non c’è Creazione nella Bibbia” e “La Bibbia non è un libro sacro”, pubblicati da Uno Editori, nei quali si sostiene che – traduzione letterale alla mano – la Bibbia non fa cenno ad alcuna divinità, né tantomeno alla creazione del mondo).La Bibbia è uno dei tanti libri che l’umanità ha scritto nel corso della sua storia, quindi va letta come tale, secondo me. Parla del rapporto tra un popolo e un individuo, che noi conosciamo con il nome di Jahwè, e che poi successivamente ci è stato presentato come Dio. Leggo la Bibbia dai tempi del liceo e la trovo affascinante, più l’approfondisco e più mi piace. La Bibbia contiene moltissimi errori, contraddizioni e discrepanze. Di errori, i docenti israeliti ne hanno trovati almeno 1.500 (tra errori e sviste), e poi ci sono un sacco di contraddizioni e discrepanze, veramente tantissime. Sicuramente la contraddizione che mi ha colpito di più quella che è stata tradotta dall’esterno, cioè la volontà di vedere nella Bibbia la presenza di Dio, che assolutamente in realtà non c’è. Il modo corretto per affrontare la Bibbia? Leggerla, appunto, come uno dei tanti libri che l’umanità ha scritto nel corso della sua storia, cercando di dare credito a ciò che c’è scritto. Dobbiamo leggerla e studiarla perché, piaccia o non piaccia, almeno un paio di miliardi di persone hanno la vita condizionata, direttamente o indirettamente, da quel libro.
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Carpeoro: attenti alla magia, il potere la usa contro di noi
La “costruzione dell’effetto” è alla base della magia. Che cos’è la magia? Era la manipolazione antica. Era il modo di manipolare, magari dei sacerdoti egizi, che dovevano “costruire” i miracoli. La magia esiste, ma non la faccio io: la fa la mia “costruzione dell’effetto” sul soggetto passivo. E’ il soggetto passivo che attiva il mago: il mago è attivo se c’è un soggetto passivo. Chomsky lo spiega in cinque parolette. A seconda dell’ordine in cui le mettete, ottenete in effetto diverso. Lo vogliamo chiamare effetto di manipolazione? Effetto magico? Miracolo? Chiamiamolo come vogliamo. Le cinque parole sono: astrazione, estrazione, ostruzione, istruzione, distruzione. Il risultato cambia, a seconda dell’ordine in cui queste parole sono disposte. E il risultato finale è la costruzione dell’effetto magico. Chi era il mago? “Magia” viene da un termine sanscrito, “Mg”, che significa “conoscere”: così, “magia” ha la stessa radice di “magister”. Il mago poi diventa il maestro, cioè lo scienziato, perché conosce: costruisce l’effetto perché conosce i termini della produzione dell’effetto, che è l’effetto magico. Ma la magia quando nasce? Nasce quando l’uomo ha bisogno del potere.La magia è potere. Perché i grandi Rosacroce e i grandi filosofi hanno studiato la magia ma non l’hanno praticata? Perché non erano interessati al potere, erano interessati all’essere. Quindi, l’effetto magico è una costruzione di potere: serve a far fare a qualcuno quello che voglio io, in base a un percorso che io ho disegnato. Il vero esoterismo, la vera esperienza spirituale, non è un’esperienza di attività, è un’esperienza di complementarietà. Si è complementari al corso delle cose, non le si modifica. Tommaso da Kempis, che era un grande Rosacroce e viene invece spacciato dalla Chiesa cattolica per un insegnante di catechismo nelle scuole, scrive che il vero cristiano insegna con l’esempio, non con la predica. E non è una modalità attiva: non interferisco con quello che fai tu, ti faccio solo vedere quello che faccio io. Perché uno dovrebbe studiare la magia, astenendosi però dal praticarla? La magia è intesa come storia dell’esoterismo, come formazione di un pensiero. Noi siamo abituati a studiare una certa storia, sui libri di scuola, e non ci insegnano che c’è anche una meta-storia, come c’è una fisica e una metafisica.C’è una storia fatta di avvenimenti, di date, e c’è una storia fatta di ragionamenti – di pensieri, di mutamenti all’interno del corpo sociale, del costume, della spiritualità delle persone – che porta a dei mutamenti storici. Certo, quella di Hitler è una storia di nazismo, fatta di date. Ma ci sarebbe mai stata, quella storia di nazismo, se non ci fosse stata la storia di un pensiero antecedente, magari dettato da uno scienziato che si chiamava Gobineau, che 60-70 anni prima del nazismo scrisse un libro che si chiama “L’evoluzione delle razze”? Era l’anticamera della discriminazione razziale. Quindi, in realtà, come c’è una storia, c’è anche una meta-storia: quella di chi si occupa di studiare il pensiero, che è l’unica cosa che ci sopravvive, se è valido. Quando Cartesio dice “cogito, ergo sum”, non dice “cogito, ergo sum aeternum”, non ne fa un ragionamento di immortalità, ma di “essere”: io sono, in quanto penso, e non ho bisogno di essere immortale. Perché tutti gli esoteristi che si sono dedicati alla magia – e l’hanno praticata – sono andati incontro a una negatività? Perché la pratica della magia è il perseguimento del potere.Io, con la magia, modifico la tua vita, il corso delle cose. Lo modifico. Se invece pratichi l’essere, tu “sei”. Se vogliono imitarti ti imitano, però non imponi dei modelli comportamentali. Uno dei clichè dell’ufologia è quello dei “vigilanti”, degli “osservatori”, personaggi di una cultura superiore che hanno però il divieto di interferire. Si tratta di un archetipo, piuttosto che di uno stereotipo, presente anche nei fumetti. Anche nella Bibbia troviamo dei personaggi che devono osservare ma non intervenire. Se sono veramente di origine divina, non intervengono mai. E ci sono esempi assolutamente simbolici di non-intervento. Le ultime parole di Cristo in croce: Dio, perché mi hai abbandonato? Sono parole da uomo, non da Dio: Cristo muore da uomo. E quelle parole certificano il non-intervento del Dio che fa morire suo figlio. Potrebbe intervenire e impedire questa cosa tremenda, ma non lo fa. Perché il non-intervento è il divino: se dobbiamo concepire una presenza del divino, dobbiamo concepirla in termini di non-intervento. Invece, tutta la nostra cultura religiosa magica ci ha insegnato a chiederlo, l’intervento. Madonna, fammi vincere al Superenalotto. Ci hanno insegnato a chiedere la grazia. Ma la grazia non è una cosa che ti viene data, è un tuo stato: tu sei nella grazia, se scegli l’essere. E non sei nella grazia – il contrario di grazia si chiama disgrazia – se sei nel potere.La grazia è una condizione dell’essere, non è una cosa che ti viene concessa perché la chiedi. Mi spiace deludere tutti quei napoletani che si rivolgono alla statua di San Gennaro, ma purtroppo è così. Noi abbiamo immaginato la religione in termini magici, ed è solo in termini magici che andiano a Lourdes, a Medjugorje, aspettandoci di vedere le Madonne piangere, perché quello è un effetto magico. Direte: ma allora, i miracoli? I miracoli sono nelle pieghe di questa vita, sono nascosti; quando sono evidenti non sono miracoli. Il miracolo è il nascosto, la magia è il manifesto. Il nascosto è l’essere, il manifesto è il potere. Il potere non è mai occulto. A nascondersi sono i suoi agenti, che si nascondono per non essere individuati. Ma il potere, in quanto tale, è manifesto per sua autodefinizione. Parlare di poteri occulti è un ossimoro: il solo fatto che se ne parli dimostra che non sono occulti; se fossero occulti non se ne parlerebbe.Complottismo e massoneria? Ok. Come si chiama la loggia massonica più vituperata? P2. E perché si chiama P2? E’ la secondogenita, evidentemente. Ma della prima, chi parla? Nessuno. E come mai? Elementare: se c’era una P2, ci sarà stata anche una P1. Eppure i giornali sono arrivati fino alla P5, ma della P1 non parleranno mai. Perché? Nella P2 – o meglio: in quei 500 nomi indicati da Gelli – c’erano tutti “vice”, a livello militare e ministeriale. Vicepresidenti, sottosegretari. Quindi, se nella P2 c’erano i vice, nella P1 cosa c’era? Evidente: i numeri uno. E’ così difficile scriverlo? E allora perché non lo scrive nessuno? Dunque, la manipolazione che cos’è, veramente? E’ la costruzione di un effetto magico. Dato che vi devo sopraffare, devo quindi fare l’astrazione (quindi: togliervi dalla realtà), e devo fare l’estrazione, devo fare l’ostruzione, poi devo fare l’istruzione e infine la distruzione. Sono cinque parolette simpatiche da ricordare. A seconda di come le si mette in ordine, è possibile ricostruire tutti gli eventi del mondo degli ultimi cento anni.Tutte le operazioni che sono state fatte sono fondate su queste frasi. Stiamo parlando di magia, di cultura magica. E i grandi maghi non hanno mai operato la magia. Il più grande mago rinascimentale – per definizione non mia, ma di una grande studiosa di Oxford, Frances Yates – era Giordano Bruno. Era un mago: viene chiamato “magus”, ma non operava magie. Il mago dell’epoca si chiamava Geordie, prendeva un insetto di metallo a forma di scarabeo e lo faceva volare. L’insetto volava, c’era la magia. Poi bisogna capire perché volava – la costruzione dell’effetto magico. Il primo atto di magia che ricordiamo è quando Mosè separa le acque. E’ un atto magico, certo. Ma bisogna capire quanto questo atto sia costruito per una situazione gerarchica. E’ il potere, che irrompe nella storia solo quando, nella società nomade, compare la figura dell’uomo modificatore. Chi è il modificatore per eccellenza? Il coltivatore: che ha bisogno di razionalizzare, di stare sempre nello stesso posto, di difendere il territorio o di conquistarlo, quindi nasce la guerra. E ha bisogno di stabilire una gerarchia sociale, col controllo di chi lavora per lui. Quindi nasce la religione.Potere, guerra, religione: tutte componenti magiche, perché devono modificare, in base a delle conoscenze, il corso naturale degli eventi. Ecco perché, mentre l’essere è complementarietà, il potere è magia. La magia è finalizzata al potere. I grandi maghi che hanno praticato la magia non hanno fatto un bella fine. Il satanismo promette un potere straordinario, successo, ricchezza. Perché Faust si vende l’anima? Per il potere. Poi si accorge che non se ne fa niente, di quella roba lì. Prendiamo Oscar Wilde, che era un Rosacroce prima che un massone. Wilde costruisce un’intera sua opera, sul simbolismo del potere, “Il ritratto di Dorian Gray”. Quel ritratto è costruito su uno specchio magico: l’immagine allo specchio invecchia e Dorian Gray rimane giovane. E’ il cosiddetto capovolgimento iniziatico. E’ un effetto magico, no? Oscar Wilde dice: la magia ti dà il potere, ma il frutto di questo potere è che Dorian Gray diventa un infelice maligno, che cerca di creare il male.Noi però possiamo “essere” il male, se scegliamo il potere, ma non possiamo fare in modo che ogni nostra azione sia solo male. Quindi accade che quella che rimane giovane è la parte peggiore. Così alla fine Dorian Gray rompe lo specchio, invecchia improvvisamente e muore felice, perché distrugge il meccanismo di potere che lo aveva reso prigioniero di uno schema. Che lo schema si chiami eterna bellezza, eterna giovinezza o eterna ricchezza, non importa, non cambiano i termini del discorso, perché quello è il potere: il potere di essere eternamente belli, giovani, ricchi, capaci di influire sulla vita degli altri. E’ una trappola, un “maya” che ti rende infelice. E siccome ogni essere umano ha come prima aspirazione la felicità, per essere felici bisogna ritrovare la propria complementarietà e, appunto, “essere”.Io l’ho studiata, la magia, ma come storia del pensiero. E badate, a volte la magia produce anche degli effetti. Ricordo le vecchie del mio paese, che facevano riti per allontanare le malattie. Ma questi effetti sono la costruzione di volontà di potere: non sono mai quegli effetti che noi pensiamo, perché la costruzione dell’effetto magico è sempre un artificio. Qual è il problema? E’ un artificio di cui a volte conosciamo la costruzione, perché siamo in grado di ricostruire tutte le condizioni che l’hanno creato. La natura è dominata dalle sue leggi, ma noi non le conosciamo tutte. A volte si ottengono degli effetti dovuti a leggi che noi non conosciamo, ma che in quel momentio intervengono perché – senza volerlo – ne abbiamo creato le condizioni. Poi magari rifacciamo l’esperiemento, e non riesce. E non ci rendiamo conto che magari non siamo nello stesso posto alla stessa ora, che il magnetismo non è uguale, che magari abbiamo mangiato troppo maiale nei giorni precedenti e quindi il nostro modo di sprigionare energia cambia. Il gesto di riconoscimento dei Rosacroce era un indice rivolto verso l’alto e un indice rivolto verso il basso. E’ lo stesso del Padre Nostro, “come in cielo, così in terra”.Negli ultimi secoli, nella storia del pensiero, c’è stata una deriva magica. La magia è sempre una deriva: essendo una scelta di potere, che consiste nel modificare gli altri, la natura, il prossimo, gli ambienti, non può che portare lì. E’ a monte, il problema. Quando tu scegli il potere, e magari non hai ancora fatto niente di male, devi star sicuro che lo farai, perché la conseguenza del potere è quella. Si dice di un Papa: ha fatto questo e quello. Be’, ci sta. Perché dal momento in cui, ad esempio, diventi Papa nel 1963, e rimani Papa fino all’anno 1978, come fai a non parlare con Gelli? Scusate, ci parlavano presidenti della Repubblica, presidenti degli Stati Uniti, pure i cardinali – e tu che fai, non ci parli? Ma questo è legato al fatto che diventi Papa, non al fatto che ti chiami Mario Rossi. Quando i politici fanno determinate cose, sono conseguenti alla loro scelta di vita, che è quella che ti condiziona e ti cambia. Nel momento in cui capisci come la devi gestire, la tua vita, capisci che ti devi sottrarre al gioco del potere.L’homo faber è colui che ha creato l’alchimia. La magia ne è l’aspetto deteriore. La trasmutazione dei metalli degli alchimisti veri non riguarda il potere, ma l’essere, tant’è vero che quelli che volevano ottenere l’oro venivano chiamati, volgarmente, “soffiatori”, perché soffiavano nel mantice, mentre l’alchimista spirituale era quello che doveva trasformare il proprio “piombo” in “oro”. L’alchimista vero non insegna nulla agli altri, e scrive testi così ermetici di cui, nella maggior parte dei casi, nessuno ci capisce niente. Perché scrivono, allora? Perché, nel momento in cui capisci qual è la loro chiave, loro te l’hanno trasmessa. Ci sono due modi di trasmettere la conoscenza: uno si chiama iniziazione, l’altro si chiama tradizione. Quando io ti inizio, ti spiego: ti do la scatola e la chiave. Quando invece trasmetto soltanto la scatola, ma non la chiave, ti do lo stesso contenuto, ma tu non sai cosa c’è dentro, quando a tua volta lo trasmetti. E’ come quando si diceva la messa in latino: mia nonna quelle parole le sapeva perfettamente, ma non sapeva cosa significassero.I testi alchemici conservano quella conoscenza – per chi si sa procurare le chiavi. Credo che la ricerca della chiave faccia parte di un percorso formativo che è fondamentale. C’è da fare un percorso, che fa parte della formazione iniziatica. Compiere questo percorso è la migliore garanzia per difendersi dalla tentazione della magia. Perché il potere è tentatore. Ti tenta, approfittando delle tue debolezze contestualizzate: approfittando di quando sei povero e offrendoti del denaro, di quando sei solo offrendoti compagnia, di quando hai fame offrendoti del cibo. Perché l’altra componente che il potere ha costruito, rispetto a questa società – e questo non emerge sufficientemente dagli studi sulla manipolazione fatti finora – è l’incapacità dell’accettazione: diventi incapace di accettare quello che dovresti. Mago è chi usa la conoscenza per modificare la realtà, ma noi non dobbiamo modificare la realtà: dobbiamo modificare gli occhi con cui la guardiamo. Se avessimo la percezione della realtà totale, non avremmo bisogno di nulla. Ma al potere fa comodo quel tipo di cultura, quella che aiuta la sottomissione degli altri, la soggezione, la manipolazione. Non gli fa comodo la cultura della libertà.La libertà è: non aver bisogno. Se uno ha bisogno, non è libero. Se ho bisogno di conquistare le donne, gli uomini, le macchine, il denaro, il potere, il trono, l’ermellino, lo scettro, il maglietto del massone – se ne ho bisogno, non sarò mai un uomo libero. Per eliminare il bisogno occorre avere la consapevolezza dell’essere – la consapevolezza della nostra divinità, che è nel pensiero. Tutto quello in cui abbiamo creduto ci conduce a perseguire la magia, quindi il potere, invece dell’essere. La nostra storia politica, sociale, umana, è stata danneggiata da interpretazioni magiche, sempre. Tutta la cultura cristiana del miracolo, della retribuzione paradisiaca, ha effetti deleteri perché funzionali al potere: trasformare la religione cristiana in quella di Costantino. Ma Costantino non era cristiano, è stato battezzato solo in punto di morte. Non bisogna confondere la religione con la spiritualità. Io la spiritualità la chiamo religione individuale. Quando la religione è individuale non fa danni; quando diventa collettiva bisognare stare attenti, perché lì succedono i guai. La religione collettiva serve alla società, non all’uomo. Alla nostra società sono serviti i benedettini che hanno copiato (a modo loro) le cose, hanno conservato documenti e opere d’arte. Agli individui invece sarebbe servito, per esempio, non cominciare a combattere i Mori, che ai tempi erano molto più civili di noi: nella Terza Crociata, il “feroce Saladino” firma col suo nome, mentre Riccardo Cuor di Leone ci mette la croce, perché non sa scrivere.Quello tra magia, religione e potere è un rapporto drammatico, uno schema che bisogna rompere. Non bisogna praticare la magia, non bisogna praticare la religione come prassi e come struttura. E non bisogna assoggettarsi al potere – né come soggetti passivi, né tantomeno come soggetti attivi. Non vale la regola “se comando io sono il padrone”, perché se comando io sono prigioniero di quelli che comando, senza saperlo. Ovviamente non mi fanno compassione, i potentati del mondo, ma so che sono prigionieri come posso esserlo io. Sono prigionieri di un sistema di privilegi, non importa se goduti o subiti – sempre privilegi sono. Il grande sogno dei Rosacroce del ‘600 si manifesta quando Tommaso Moro scrive “Utopia”, quando Campanella scrive “La città di Dio”, quando Bacone scrive “La nuova Atlantide”, quando Johann Valentin Andreae (che è il rifondatore dei Rosacroce con questo nome) scrive “Cristianopolis”. Di cosa parlano? Di una società che non ha le regole del potere. Ognuno è utile, perché tutti condividono. Società che sarà l’anticamera di cosa? I Rosacroce sono i padri del socialismo, l’utopia di una società giusta.Poi il potere si impadronirà del socialismo, cioè dell’abolizione della proprietà privata. E nascerà anche il comunismo: una diagnosi giusta, che però mira a costruire un potere diverso, collettivo e non più individuale, ma sempre potere. Tutti questi passaggi ruotano attorno alla magia. Quella del mago è la figura più antica che possiate immaginare. Possono chiamarlo sciamano, stregone, ma sempre mago rimane. Poi il mago antico si scinde: diventa sacerdote, diventa medico e guaritore, diventa capo del villaggio. Ma in origine è il primo riferimento vero dei primi coltivatori che stanno creando la gerarchia, stanno creando la guerra (perché tutte le guerre nasceranno per il territorio), stanno creando il potere, stanno creando la religione. E nasce tutto dalla magia: nasce dal configurare la conoscenza come potere, e non più come essere. E questo avviene per necessità: perché serve, non perché è giusto; perché è utile a quell’evoluzione sociale, in quel momento. La magia è un archetipo fortissimo, tutti quanti ne siamo affascinati, soggiogati, in qualche modo coinvolti, pur rifiutandola. Dobbiamo averne consapevolezza: gli effetti magici sono storia, sono pensiero, ma non sono fatti – e non sono neanche vita.Dobbiamo conoscerla, la magia, per imparare a evitarla. Il cerchio magico tracciato dal mago non è mai reale, ma è efficace: la costruzione dell’effetto magico funziona sulle regole che detta il mago, o che il mago conosce ma non svela. Chomsky ha codificato 10 forme di manipolazione collettiva, ma non si è mai occupato di manipolazione individuale. E sappiate che la manipolazione individuale, nonostante quello che pensano i complottisti, è infinitamente più pericolosa, perché è infinitamente meno riconoscibile. C’è un Chomsky che spiega come funziona la manipolazione collettiva, mentre la manipolazione individuale non l’ha mai codificata nessuno. Sapete quante persone sono state danneggiate seriamente da gente che le ha manipolate? Massoni, esoteristi, maghi, Golden Dawn, stregoni da strapazzo, gente che voleva fare le orge. Sapete quanta gente finisce a farsi di pasticche, o in manicomio, o a pensare di essere posseduta dal demonio? Avete idea dei danni della manipolazione individuale? Contate le casistiche, andate nei reparti psicologici degli ospedali e scoprite quante persone sono finite in terapia.(Gianfranco Carpeoro, estratti dell’intervento alla conferenza su magia e manipolazione il 23-24 agosto 2014 a Subiaco. Massone, ex avvocato, giornalista e saggista, studioso di esoterismo e già “gran maestro” del Rito Scozzese, Carpeoro è uno dei massimi esperti di simbologia ermetica).La “costruzione dell’effetto” è alla base della magia. Che cos’è la magia? Era la manipolazione antica. Era il modo di manipolare, magari dei sacerdoti egizi, che dovevano “costruire” i miracoli. La magia esiste, ma non la faccio io: la fa la mia “costruzione dell’effetto” sul soggetto passivo. E’ il soggetto passivo che attiva il mago: il mago è attivo se c’è un soggetto passivo. Chomsky lo spiega in cinque parolette. A seconda dell’ordine in cui le mettete, ottenete un effetto diverso. Lo vogliamo chiamare effetto di manipolazione? Effetto magico? Miracolo? Chiamiamolo come vogliamo. Le cinque parole sono: astrazione, estrazione, ostruzione, istruzione, distruzione. Il risultato cambia, a seconda dell’ordine in cui queste parole sono disposte. E il risultato finale è la costruzione dell’effetto magico. Chi era il mago? “Magia” viene da un termine sanscrito, “Mg”, che significa “conoscere”: così, “magia” ha la stessa radice di “magister”. Il mago poi diventa il maestro, cioè lo scienziato, perché conosce: costruisce l’effetto perché conosce i termini della produzione dell’effetto, che è l’effetto magico. Ma la magia quando nasce? Nasce quando l’uomo ha bisogno del potere.
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Giannuli: non credo al Grande Complotto, fuori le prove
Cari complottisti, non esagerate: la «implausibiltà» delle vostre tesi è spesso così clamorosa da costituire il miglior regalo al potere che, «attraverso i suoi manutengoli nei mass media», potrà agevolmente provvedere a «ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”». Storico e politologo, esperto di servizi segreti e trame oscure, il professor Aldo Giannuli avverte il bisogno di mettere in guardia dall’eccesso di dietrologia i lettori del suo blog. Il web è inondato da milioni di informazioni su piste scomode, che il mainstream silenzia accuratamente? Non importa: per Giannuli il problema è la proliferazione incontrollata di tesi non dimostrate. La definisce «una moda», evidentemente preoccupante visto che in Italia «miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5 Stelle, degli ex “Italia dei Valori”, lettori del “Fatto” e del “Manifesto”». La colpa? E’ dell’attuale «processo di spoliticizzazione di massa», che secondo Giannuli «apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi».Eppure, annota il docente dell’ateneo milanese, il «paradigma “complottista”» nasce in ambienti di destra nel XIX secolo, «avendo a bersaglio fisso massoni ed ebrei», in diversi casi accomunati in un’unica congiura. «E’ il mondo cattolico – scrive Giannuli – il primo ventre fecondo di questo indirizzo, che vede la modernità stessa come il frutto della congiura diabolica dei massoni: dalla Rivoluzione Francese all’Unità d’Italia, dall’industrialismo allo sviluppo del capitale finanziario, dal modernismo alla rivoluzione sessuale è tutto il prodotto di essa». Non è difficile, in questo, scorgere l’eredità della Santa Inquisizione, «che spiegava eresie e rivolte con l’intervento del Maligno attraverso infedeli (ebrei in testa), streghe e indemoniati: il “Malleus maleficarum” è un testo di rara chiarezza a questo proposito». A questo filone principale, continua Giannuli, si aggiunse in seguito l’antisemitismo di destra, alimentato dai falsi della polizia politica zarista (i “Protocolli dei Savi di Sion”), poi sfociato nel nazismo. «La crisi del 1929 offrì una formidabile occasione per l’antisemitismo», e infatti si scaricò la catastrofe «sulle spalle della congiura finanziaria ebraica».Infine, ad alimentare e modernizzare l’immaginario complottista, giunse la crescita dello spionaggio dalla Prima Guerra Mondiale in poi: «L’ossessione della spia in agguato crebbe per tutti i decenni centrali del secolo scorso, producendo un genere letterario e cinematografico che contribuì non poco a socializzare le masse a questa “cultura del sospetto”». Secondo Giannuli, «il paradigma complottista è stato preparato in cucine di destra (cattolicesimo tradizionale, antisemitismo nazista, servizi segreti e derivazioni letterarie)», mentre poi «a “sdoganarlo” a sinistra fu lo stalinismo con le sue ossessioni e la sua caccia alle streghe trotzkjiste (manco a dirlo: ebrei anche quelli, come il loro capo)». Finita la guerra, scese in campo la “controinformazione”, con la missione di rompere il silenzio omertoso attorno al potere, partendo dall’analisi critica delle apparenze: «Spesso le apparenze ingannano, soprattutto nei casi più oscuri e drammatici come stragi, assassinii politici, colpi di Stato o scandali finanziari, per cui occorre indagare con spirito critico». E’ quello che si dovrebbe fare sempre, per esempio «su un “suicidio” dietro il quale si nasconde un omicidio». Il punto è, soprattutto nei casi “politici”, «la polizia non è una parte fuori del conflitto, ma un personaggio in commedia, che spesso falsifica, omette, depista, confonde le acque».Nei casi politici, la ricerca del movente politico è un pezzo decisivo dell’indagine. Ma la riflessione critica – secondo la scuola della controinformazione – deve sempre muoversi sul filo della razionalità. «Il fatto che una versione ufficiale “non quadri” logicamente, non significa che si possano dipingere gli scenari più fantasiosi e intimamente incoerenti». Quindi, primo passo: «Una versione falsificata dice solo che le cose non possono essere andate nel modo in cui essa le racconta, ma non ci dice ancora come è andata davvero». In secondo luogo, «l’apparenza va processata logicamente, non rimossa». Se emergono aspetti dubbi, incoerenti o anche spudoratamente falsi, questo «non autorizza a mettere da parte tutto il resto come falso e incoerente: ogni singolo aspetto di quel che ci appare va accolto come vero sino a prova contraria. Si può accettarlo “con beneficio di inventario” ma bisogna comunque accettarlo, perché ci si priverebbe degli elementi su cui lavorare». Infine, occorre distinguere sempre fra prove e indizi, certezze e semplici ipotesi. «L’importante è che la spiegazione “certa” (ovviamente “certa” solo sino a prova contraria che dimostri l’errore) non nasca troppo presto. E qui c’è l’errore classico dei dilettanti: prima formulare la ricostruzione d’insieme e dopo andare cercando prove e indizi a sostegno».A Giannuli non piace che si evochi – o si denunci – l’esistenza di «un vertice mondiale che tutto dirige e regola». Obiezione: «Se ci fosse questa “cupola mondiale” si dovrebbe registrare un quadro mondiale sostanzialmente aconflittuale o al massimo con limitatissimi conflitti periferici, mentre la nostra conoscenza ci indica un mondo attraversato da crescenti conflitti tutt’altro che periferici e una sostanziale assenza di ordine internazionale». Secondo quello che Giannuli definisce teorema “complottista pregiudiziale”, le crisi finanziarie non sono altro che fenomeni intenzionalmente manovrati per impoverire chi è già povero a spese dell’élite. «Può anche darsi che le cose stiano così, ma spetta a chi fa queste affermazioni produrre le prove a sostegno», replica il professore. «Ad esempio: constatare che la crisi ha lasciato come sedimento (almeno sinora) un aumento delle diseguaglianze, con ricchi ancor più ricchi e poveri sempre più poveri, non basta a dimostrare che quell’esito sia stato cercato sin dall’inizio e la crisi appositamente provocata, perché esso potrebbe essere stato solo il prodotto oggettivo, ma non prevedibile, di un processo innescato da altri fattori».Il guaio è che il “complottista pregiudiziale”, per Giannuli, «non avverte normalmente questa esigenza di rigore analitico», perché «obbedisce prima di tutto a uno stato d’animo, l’ansia per i pericoli da cui si sente minacciato, l’angoscia per la sua impotenza di fronte ad un mondo ostile e buio». Il professore si esprime con durezza: «La stupidità è sempre nemica dell’intelligenza e serva del potere», sentenzia. Trascurando il fatto – non proprio irrilevante – che se oggi il dibattito sulle “vere cause” della grande crisi appassiona milioni di persone, lo si deve essenzialmente a tanti “complottisi”, regolarmente denigrati, certamente spaventati da un mondo sempre più spietato e incomprensibile, ma soprattutto scandalizzati dal silenzio assordante del mainstream mediatico, televisivo, editoriale, accademico, politico, sindacale. La grande crisi sta facendo a pezzi l’Europa e quel che resta della pace del mondo. Chi doveva fornire spiegazioni, non l’ha fatto. Se non altro, i “complottisti” ci provano. L’alternativa è il silenzio sordo di un establishment marmoreo, muto anche di fronte alle denunce più serie e circostanziate.Cari complottisti, non esagerate: la «implausibiltà» delle vostre tesi è spesso così clamorosa da costituire il miglior regalo al potere che, «attraverso i suoi manutengoli nei mass media», potrà agevolmente provvedere a «ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”». Storico e politologo, esperto di servizi segreti e trame oscure, il professor Aldo Giannuli avverte il bisogno di mettere in guardia dall’eccesso di dietrologia i lettori del suo blog. Il web è inondato da milioni di informazioni su piste scomode, che il mainstream silenzia accuratamente? Non importa: per Giannuli il problema è la proliferazione incontrollata di tesi non dimostrate. La definisce «una moda», evidentemente preoccupante visto che in Italia «miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5 Stelle, degli ex “Italia dei Valori”, lettori del “Fatto” e del “Manifesto”». La colpa? E’ dell’attuale «processo di spoliticizzazione di massa», che secondo Giannuli «apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi».
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Chi tocca muore: fango su chiunque osi avvicinarsi a Putin
Come nel film il “Tocco del male” del 1998, interpretato da Denzel Washington e Donald Sutherland, chiunque viene sfiorato dai russi viene immediatamente posseduto da un demone che trasforma gli uomini in assassini della democrazia, persecutori di gay, violentatori di donne, violatori dei diritti umani e di tutte le altre amenità del politicamente corretto, tanto in voga nelle nostre culture decadenti. Le simpatie del Cremlino nei confronti di singoli personaggi politici europei o di interi raggruppamenti partitici che vengono incoraggiati o aiutati finanziariamente (si tratta di prestiti e non di regalie a fondo perduto) bastano e avanzano per dare la patente di impresentabili, di autoritari, di nemici della civiltà occidentale a tutti costoro. Poco importa se si tratta di amicizie e di legami che nascono da una comune visione del mondo e dalle riflessioni sulla situazione economico-politica in Europa, continente del quale anche Mosca fa parte.Così fan tutti, ma ai russi sono sempre precluse buona fede e sincerità. Qualità che, invece, vengono concesse automaticamente (a prescindere, direbbe Totò) alle Ong, alle fondazioni o alle banche americane che supportano individui, partiti, organismi e movimenti (anche sediziosi) in ogni angolo del pianeta, Italia compresa. Pecunia non olet, a meno che non sia in rubli. In questi giorni lo schema diabolico, questo sì davvero tale, si è ripetuto contro il Fn guidato da Marine Le Pen, colpevole di aver accettato un prestito di nove milioni di euro dalla First Czech Russian Bank, di proprietà di Roman Yakubovich Popov, il quale, si dice, sia vicino a Putin. Il tesoriere del partito non ha negato e, del resto, il Fn non aveva altra scelta, poiché gli istituti di credito francesi si sono rifiutati di concedere mutui ad una organizzazione che si dichiara apertamente contro l’euro e l’Europa dei potenti ed a favore di un recupero di prerogative sovrane.Il presidente dell’istituto di credito russo è stato prontamente definito dai giornali “l’oligarca dello Zar”. Essendo russo, il citato banchiere non può che essere un oligarca, almeno nella zucca vuota dei nostri scribacchini di regime. Nonostante Putin sia stato il primo vero nemico dell’oligarchia speculatrice nel suo paese, da Eltsin in poi, tanto da averla combattuta in ogni ambito, politico, economico, giudiziario e sociale, egli è e resta, per i nostri pennivendoli, il despota amico dei satrapi del denaro e del furto ai danni dello Stato. Invece, l’oligarca Poroshenko, vicino all’Occidente e arrivato al potere dopo un colpo di stato anticostituzionale, è un sincero democratico e liberale. Il tocco del bene, a regia obamiana.In Italia c’è un altro partito che sta seguendo le orme del Front National, almeno in termini di battaglie politiche e di nuove parole d’ordine che cozzano con quelle dei circuiti politici dominanti, spadroneggianti da destra a sinistra. E’ la Lega di Salvini, alla quale sono state repentinamente impresse le stimmate del partito antinazionale foraggiato da una potenza straniera. Salvini ha negato di aver mai preso soldi dall’estero ma poco importa, la campagna denigratoria è già cominciata e non si fermerà finché il movimento del Nord non sarà ridotto a più miti consigli (quelli che non si possono rifiutare, provenienti da Washington e da Bruxelles) o sprofondato nel fango. Fango che sta già sgorgando copiosamente ad ogni passo di avvicinamento che fanno questi leader per intendersi tra loro e per dare vita ad un fronte internazionale capace di produrre quella massa critica necessaria a combattere l’Europa dei banchieri e dei politici asserviti agli Stati Uniti. I delinquenti della stampa l’hanno già ribattezzata l’internazionale dell’odio o dei fasciocomunisti, perché oggi, anche solo parlare di sovranità nazionale e di mutamento dei rapporti di forza mondiali, ancora troppo sbilanciati a favore di una sola potenza, quella d’oltreatlantico, costituisce un reato di lesa maestà che può costare caro (qui penso alla malasorte di Christophe de Margerie).Salvini e Le Pen si guardino le spalle perché hanno toccato dei pericolosi fili scoperti sfidando i signori della prepotenza occidentale. Inoltre, il segretario del Carroccio si tenga pure a distanza dall’endorsement di Berlusconi perché non ha bisogno dell’imprimatur del Cavaliere per scalare un elettorato ormai stufo di questo gioco degli specchi tra schieramenti opposti ma uniti nel governo. Berlusconi ha consentito all’attuale obbrobrio istituzionale di consolidarsi, a nocumento del sistema-paese e dei suoi cittadini. Fa parte del problema, non delle eventuali soluzioni. Potremo anche capire i normali piccoli tatticismi per catalizzare i voti di Forza Italia, ma non un sodalizio organico con quest’ultima che sarebbe ferale per la Lega e per il notevole lavoro di opposizione, in “solitaria tenzone”, finora svolto. (Ps: oggi il “Fatto Quotidiano” è scatenato contro la Lega. Sono apparsi due o tre articoli di fuoco, ordinati espressamente da qualcuno. I giornalisti che li hanno scritti sono membri del “circolo atlantico”. Uno più uno fa ancora due. Uno di questi pezzi cita anche il nostro sito, “Conflitti e strategie”).(Gianni Petrosillo, “Il tocco del male, chi tocca i russi muore, da Salvini alla Le Pen”, da “Conflitti e Strategie” del 27 novembre 2014).Come nel film il “Tocco del male” del 1998, interpretato da Denzel Washington e Donald Sutherland, chiunque viene sfiorato dai russi viene immediatamente posseduto da un demone che trasforma gli uomini in assassini della democrazia, persecutori di gay, violentatori di donne, violatori dei diritti umani e di tutte le altre amenità del politicamente corretto, tanto in voga nelle nostre culture decadenti. Le simpatie del Cremlino nei confronti di singoli personaggi politici europei o di interi raggruppamenti partitici che vengono incoraggiati o aiutati finanziariamente (si tratta di prestiti e non di regalie a fondo perduto) bastano e avanzano per dare la patente di impresentabili, di autoritari, di nemici della civiltà occidentale a tutti costoro. Poco importa se si tratta di amicizie e di legami che nascono da una comune visione del mondo e dalle riflessioni sulla situazione economico-politica in Europa, continente del quale anche Mosca fa parte.
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Orsi: la disperazione di chi vorrebbe uccidere Putin
«La demonizzazione di Putin non è una politica – dice Kissinger – ma un alibi per l’assenza di una politica». Per quanto autorevole sia la fonte, sostiene Roberto Orsi, analista internazionale e docente all’università di Tokyo, l’ossessione collettiva contro il presidente russo ha raggiunto il record durante l’attuale crisi geopolitica in Ucraina: tra le élite occidentali si sta facendo strada l’idea che, se Putin potesse incontrare sul suo cammino, anche tramite mezzi violenti, una fine prematura, questo risolverebbe la crisi ucraina e il “problema” della rinascita della Russia. Illuminanti le parole di Herbert Meyer, già dirigente della Cia, secondo cui il capo del Cremlino «è una grave minaccia per la pace mondiale», quindi un criminale. Attenzione: «I teppisti come Putin non si fermano davanti a punizioni o restrizioni», come le sanzioni Ue, «hanno un’alta tolleranza al dolore e non cambiano il loro comportamento, vanno avanti finché qualcuno non gli assesta un colpo mortale». Quindi, i russi dovrebbero sbarazzarsi di Putin, magari «tirandolo fuori dal Cremlino in modo orizzontale, con un foro di proiettile dietro la testa», soluzione che «andrebbe bene anche a noi».Il pensiero di Meyer, scrive Orsi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, non è che uno sfogo esplicito e definitivo dopo anni di incessante propaganda occidentale: Putin come l’assassino di Anna Politkovskaya e dell’ex 007 Alexander Litvinenko, Putin come persecutore del gruppo rock delle “Pussy Riot”, Putin l’“omofobo”, Putin che «vive in un altro mondo» (secondo Angela Merkel), Putin che è chiaramente «un lato sbagliato della storia» (secondo Barack Obama). Insomma: Putin il malato di mente, il “nuovo Hitler”, come già Saddam Hussein. L’Anticristo, simbolo del male assoluto, annunciatore dell’imminente fine del mondo. «Molti sono stati gli europei etichettati come emissari del diavolo: Napoleone Bonaparte, Federico II di Prussia e Pietro il Grande», scrive Orsi. «L’identificazione di Putin come manifestazione di un male assoluto metafisico, che giustifica il ricorso a misure estreme, invece di essere semplicemente accennata attraverso semplici metafore e ridotta a una banale questione propagandistica di bassa lega, dovrebbe diventare il centro di una più profonda discussione».Il caso Putin evoca la pratica dell’omicidio politico, in tempo di pace oppure in guerra. La “decapitazione” del leader avversario, ovviamente, finisce sempre per «legittimare atti di ritorsione, aprendo scenari a spirale di violenze indiscriminate con conseguenze imprevedibili». In Occidente, continua Orsi, «c’è stata una sorprendente varietà di opinioni sulla corretta conduzione della “guerra giusta”». Per esempio, «le guerre tra nazioni cristiane dovevano essere altamente regolamentate, mentre erano ammessi diversi gradi di guerra senza restrizioni contro gli infedeli». L’assassinio del leader del nemico «sembra essere un atto di disperazione, di solito associato a guerre genocide definitive». Mentre nasceva una moderna concezione di politica internazionale e globale, che prendeva le distanze dalla dicotomia tra cristiani e non-cristiani, nel saggio “La pace perpetua” Immanuel Kant mise in guardia la società del suo tempo contro questo tipo di pratiche: il filosofo auspicò il divieto, nelle guerre, di tutte quelle pratiche che potrebbero rendere impossibile la reciproca fiducia nei futuri accordi di pace, come appunto l’assassinio, l’avvelenamento, la violazione della capitolazione, l’istigazione al tradimento.«Essere contrari alla demonizzazione del nemico e a un suo assassinio a sangue freddo non significa sostenere la totale assenza di odio o di conflitto», scrive Orsi. «Al contrario, secondo una vecchia teoria purtroppo troppo poco apprezzata, proprio la guerra senza restrizioni (fin troppo familiare) ad ogni forma di lotta, è in sé contraddittoria, poiché conduce ad una forma di guerra totale». E’ possibile evitare che uno scontro sia completamente distruttivo? «Il punto è quello di limitare e contenere il conflitto», conferendogli una legittimazione all’interno di argini precisi: «Ci può essere inimicizia tra la Nato e la Russia, ma non vi è alcuna ragione per trasformarla in una guerra totale globale». Proprio in questo quadro, aggiunge Orsi, «la denigrazione del nemico diminuisce la dignità di chi lo denigra e il valore dei suoi sforzi durante il conflitto». Invece di inventare nuove rappresentazioni denigratorie del nemico, «sarebbe bene non scendere in queste forme di demonizzazione, perché il compromesso politico e il dialogo diplomatico restino sempre un’opzione possibile». In che non significa sradicare l’ostilità, ma gestirla. Chi invece cede alla violenza della degradazione verbale, si condanna da sé: «Mentre Putin costituisce certamente un avversario temibile per le élite che attualmente governano il mondo occidentale, è proprio per questo che dovrebbero apprezzare l’occasione storica di poter dimostrare il loro valore».Una seconda linea di pensiero, continua Orsi, fa riferimento alla tradizione intellettuale che permette – o addirittura raccomanda – l’assassinio di un leader politico ogni volta che questi imponga un dominio tirannico. Storia lunga, da Pisistrato a Giulio Cesare. «Tuttavia, il tirannicidio solleva per lo meno due questioni: la prima riguarda la definizione stessa della tirannia, la seconda il suo rapporto con la politica internazionale». Tirannia, dittatura, autocrazia, autoritarismo, dispotismo, assolutismo: «Sono cose tra loro diverse, nonostante alcune comuni aree di sovrapposizione». La tirannia è «una forma autocratica degenerata, in cui il potere è esercitato contro il principio del bene comune, al di fuori e contro le regole costituzionali stabilite, e con una sistematica crudeltà nei confronti dei propri sudditi». Ora, non c’è dubbio che Putin sia l’individuo più potente nella Federazione Russa, ma questo non basta a farne a un “tiranno”. Al contrario, è il politico che ha risollevato il paese dopo il crollo dell’Urss e la “colonizzazione” occidentale.Certo, la nuova Russia di Putin resta «uno Stato autoritario, la cui classe dirigente – un’alleanza in qualche modo eterogenea di intelligence, militari, leader religiosi, magnati e influenti personaggi locali – è sufficientemente coesa da mantenere un efficace controllo del paese, ma non abbastanza ampia da promuovere una più sofisticata prospettiva pluralistica». Tuttavia, aggiunge Orsi, «nessuno sta dicendo che Putin sta esercitando il suo potere al di fuori del quadro costituzionale dello Stato russo, e tantomeno tenendo in ostaggio l’intera popolazione attraverso una violenza sadica e onnipresente». Inoltre, «Putin gode di un autentico sostegno popolare, pur tenendo conto dello stretto controllo dei principali mezzi d’informazione da parte del Cremlino». Senza contare che il presidente «rappresenta una figura moderata nel panorama della politica russa: la sua estromissione probabilmente aprirebbe la strada ad altre figure politiche significativamente più radicali».Infine, la responsabilità morale e politica della “detronizzazione” del leader «non può che essere presa da coloro che sono soggetti al potere tirannico, non da soggetti esterni». Sicché, «fatta esclusione del caso deprecabile di una guerra totale, non vi è alcun motivo per considerare tale atto come un’azione politica raccomandabile». Riguardo alla tentazione di accelerare l’eliminazione di Putin, quindi, «ci sono tanti motivi per respingere questo flusso di pensieri e ritenerli gravemente controproducenti». La demonizzazione del presidente russo? «Non è una politica sana, né una pratica moralmente onorevole». Quanto alla venuta dell’Anticristo e alla fine del mondo, «nessuno ne conosce l’ora». Per dirla con l’evangelista Matteo: «Di quel giorno e ora nessun uomo sa, né gli angeli del Cielo, né il Figlio, ma solo il Padre».«La demonizzazione di Putin non è una politica – dice Kissinger – ma un alibi per l’assenza di una politica». Per quanto autorevole sia la fonte, sostiene Roberto Orsi, analista internazionale e docente all’università di Tokyo, l’ossessione collettiva contro il presidente russo ha raggiunto il record durante l’attuale crisi geopolitica in Ucraina: tra le élite occidentali si sta facendo strada l’idea che, se Putin potesse incontrare sul suo cammino, anche tramite mezzi violenti, una fine prematura, questo risolverebbe la crisi ucraina e il “problema” della rinascita della Russia. Illuminanti le parole di Herbert Meyer, già dirigente della Cia, secondo cui il capo del Cremlino «è una grave minaccia per la pace mondiale», quindi un criminale. Attenzione: «I teppisti come Putin non si fermano davanti a punizioni o restrizioni», come le sanzioni Ue, «hanno un’alta tolleranza al dolore e non cambiano il loro comportamento, vanno avanti finché qualcuno non gli assesta un colpo mortale». Quindi, i russi dovrebbero sbarazzarsi di Putin, magari «tirandolo fuori dal Cremlino in modo orizzontale, con un foro di proiettile dietro la testa», soluzione che «andrebbe bene anche a noi».
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Guerra infinita, Foa: non è più possibile credere a Obama
Nel libro “L’arte della guerra”, Sun Tzu «ha spiegato l’arte della dissimulazione e del sotterfugio, ma qui si sta esagerando». Giù la maschera, mister Obama: «Fu la Cia ad armare i mujaheddin e Bin Laden contro i sovietici, poi Bin Laden è diventato il nemico numero uno degli Stati Uniti. E fu Washington a sostenere Saddam contro l’Iran, poi Saddam è diventato il nuovo Hitler». Ricorda Marcello Foa: «Quando i Talebani imponevano un regime orribile in Afghanistan, l’America ignorò a lungo le loro nefandezze mostrando una benevola negligenza al punto di finanziare quel regime addirittura pochi mesi prima dell’11 Settembre, come dimostrato da una fonte insospettabile quale l’Istituto Cato. Ora tocca all’Isis e a nuovi gruppi spuntati dal nulla, vedi il Khorasan, che sembra il nome di un farmaco contro il colesterolo, ma che, come spiega il “Corriere della Sera”, è la nuova sigla del terrore, il nuovo erede di Al-Qaeda». E ora gli Usa fingono di non conoscere i loro ex amici dell’Isis, nati come costola dell’Esercito Siriano Libero per rovesciare Assad, poi divenuti Isil, quindi semplicemente Is, Islamic State, Califfato Islamico. Bersaglio perfetto, per mantenere il Medio Oriente nel mirino.L’Isis, scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”, rappresenta l’ala più estremista dell’Islam integralista sunnita, «un’ala fanatica, pericolosa, impresentabile: gente da tenere alla larga». Dunque, «i bombardamenti avvengono in nome di una causa che pochi non condividono in Occidente, tanto più dopo le immagini delle decapitazioni». Tuttavia, «l’altra sconvolgente verità» è che l’Isis «è stato finanziato da paesi arabi come il Qatar e i sauditi e sostenuto militarmente negli Stati Uniti, fino ad alcuni mesi fa, in nome della lotta alla Siria, ben sapendo che la distinzione tra ribelli “moderati” e quelli dell’Isis anti-Assad è risibile, come emerso nelle analisi più competenti e oneste pubblicate anche dalla grande stampa anglosassone». Si trattasse di un singolo errore, concede Foa, l’indulgenza sarebbe ovvia. Analizzando invece le linee fondamentali della politica estera statunitense, «il bilancio non può che essere molto negativo, e con uno schema che tende a ripetersi».Riflessioni d’obbligo: «La guerra in Afghanistan non è stata risolutiva, quella in Iraq nemmeno: anzi, il paese sta molto peggio rispetto all’era Saddam». Il Maghreb? «Era molto più stabile quando c’erano i Mubarak, i Ben Ali e persino Gheddafi, considerato che la Libia vive in uno stato di guerra tribale permanente». Quanto alla Siria, il paese di Assad «prima era una garanzia di stabilità per la regione nonché un alleato prezioso degli stessi Stati Uniti nella lotta al terrorismo, vedi la collaborazione al programma di “rendition”». Ora invece è improvvisamente diventato «un regime diabolico, da abbattere ad ogni costo». A partire dal grande detonatore geopolitico dell’11 Settembre, «le guerre condotte negli ultimi 13 anni non hanno portato pace e nemmeno libertà e prosperità, ma crescente instabilità, morte, povertà, caos». Paradigmatico l’esempio dell’Iraq: «Saddam odiava i fondamentalisti e rifiutava qualunque collaborazione con Bin Laden». Oggi, invece, l’Iraq «è la nuova terra promessa, anzi il nuovo Califfato del peggior integralismo islamico». Le guerre americane? Hanno solo peggiorato il problema. «A cosa sono servite, davvero? E quale sarà l’effetto finale di quella appena iniziata contro l’Isis? Vedremo – conclude Foa – ma alle promesse di Obama e della sua squadra non credo più da un pezzo».Nel libro “L’arte della guerra”, Sun Tzu «ha spiegato l’arte della dissimulazione e del sotterfugio, ma qui si sta esagerando». Giù la maschera, mister Obama: «Fu la Cia ad armare i mujaheddin e Bin Laden contro i sovietici, poi Bin Laden è diventato il nemico numero uno degli Stati Uniti. E fu Washington a sostenere Saddam contro l’Iran, poi Saddam è diventato il nuovo Hitler». Ricorda Marcello Foa: «Quando i Talebani imponevano un regime orribile in Afghanistan, l’America ignorò a lungo le loro nefandezze mostrando una benevola negligenza al punto di finanziare quel regime addirittura pochi mesi prima dell’11 Settembre, come dimostrato da una fonte insospettabile quale l’Istituto Cato. Ora tocca all’Isis e a nuovi gruppi spuntati dal nulla, vedi il Khorasan, che sembra il nome di un farmaco contro il colesterolo, ma che, come spiega il “Corriere della Sera”, è la nuova sigla del terrore, il nuovo erede di Al-Qaeda». E ora gli Usa fingono di non conoscere i loro ex amici dell’Isis, nati come costola dell’Esercito Siriano Libero per rovesciare Assad, poi divenuti Isil, quindi semplicemente Is, Islamic State, Califfato Islamico. Bersaglio perfetto, per mantenere il Medio Oriente nel mirino.
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Torneremo sudditi: il piano del demonio, padrone d’Europa
Tagli al welfare. Si persegue quella che il mondo anglosassone da sempre considera l’essenza della democrazia moderna: una società di individui fondata sulla libertà d’impresa. Afferma un celebre adagio che nella pervicacia si annida il demonio. Se è vero, le leadership europee sono prigioniere di potenze infere. Da sette anni infliggono ai propri paesi e alle loro economie una terapia nel segno dell’austerity che dovrebbe debellare la crisi e rimettere in moto la crescita. Non solo questa cura non ha prodotto nessuno dei risultati attesi. Tutte le evidenze depongono in senso contrario, al punto che sempre più numerosi economisti mainstream si pronunciano a favore di politiche espansive. Ciò nonostante la musica non cambia, nemmeno ora che l’Istituto statistico nazionale della Germania federale ha reso noti i dati sul secondo semestre di quest’anno. Anzi, il mantra delle “riforme strutturali” imperversa più forte che mai. Insomma, il demonio sbanca. O c’è semplicemente un dio dispettoso che si diverte ad accecare gente che vuol perdere.Sta di fatto che a suon di “riforme” l’Europa si sta suicidando, come già avvenne nel secolo scorso dopo il crollo di Wall Street, nonostante il buon esempio degli Stati Uniti rooseveltiani, che pure di capitalismo ne capivano. Questa è una lettura possibile. I capi di Stato e di governo e i grandi banchieri starebbero sbagliando i conti. Per superbia e presunzione, forse per incapacità, come pare suggerire il ministro Padoan parlando di previsioni errate. Ma c’è un’altra ipotesi altrettanto plausibile. Anzi, a questo punto ben più verosimile. Che non si tratti di errori ma del pesante tributo imposto dal massimo potere oggi regnante. Nonché (di ciò troppo di rado si discute) del perseguimento di un lucido progetto. E di un calcolo costi benefici forse spericolato ma coerente, in base al quale la recessione, con i suoi devastanti effetti collaterali (deflazione, disoccupazione, deindustrializzazione), appare un prezzo conveniente a fronte del fine che ci si prefigge: la messa in sicurezza di un determinato modello sociale nei paesi dell’Eurozona.Quale modello è facile a dirsi, se leggiamo in chiave politica le “riforme strutturali” di cui si chiede a gran voce l’adozione. Costringere gli Stati a “far quadrare i conti” significa nei fatti imporre loro, spesso congiuntamente, tre cose. La prima: vendere (svendere) il proprio patrimonio industriale e demaniale. La seconda: accrescere la pressione fiscale sul lavoro dipendente (posto che ci si guarda bene – soprattutto ma non solo in Italia – dal colpire rendite, patrimoni e grandi evasori). La terza: tagliare la spesa sociale destinata al welfare (vedi le ultime esternazioni del ministro Poletti in tema di pensioni), al sistema scolastico pubblico e all’occupazione nel pubblico impiego (dato che altre voci del bilancio non sono mai in discussione). Non è difficile capire che tutto ciò significa affamare il lavoro e spostare enormi masse di ricchezza verso il capitale privato. Nel frattempo, accanto a questi provvedimenti, ci si impegna a modificare le cosiddette relazioni industriali. Così si varano “riforme del lavoro” che hanno tutte un denominatore comune: l’attacco ai diritti dei lavoratori (“rigidità”) al fine di fare della forza lavoro una variabile totalmente subordinata (“flessibile”) al cosiddetto “datore”, che deve poter decidere in libertà se, quanto e a quali condizioni utilizzarla.Ne emerge un progetto nitido, che rovescia di sana pianta non solo il sogno sovversivo degli anni della sommossa operaia ma anche quello dei nostri costituenti. Si vuole fare finalmente della vecchia Europa quello che il mondo anglosassone da sempre considera l’essenza della democrazia moderna: una società di individui fondata sulla libertà d’impresa, cioè sul potere pressoché assoluto del capitale privato. Dopodiché potrà forse spiacere che dilaghino disoccupazione e povertà mentre enormi ricchezze si concentrano nelle mani di pochi. Pazienza. La “libertà” è un bene sommo intangibile, al quale è senz’altro opportuno sacrificare un feticcio d’altri tempi come la giustizia sociale. A chi obiettasse che questa è una lettura tendenziosa, sarebbe facile replicare con un rapido cenno alla teoria economica. L’enfasi sulla disciplina di bilancio suppone il ruolo chiave del capitale finanziario nel processo di produzione, secondo quanto stabilito dalla teoria neoclassica. Nel nome della “democrazia” questa teoria affida la dinamica economica alle decisioni del capitale privato. Il processo produttivo si innesca soltanto se esso prevede di trarne un profitto, il che significa concepirlo non soltanto come dominus naturale della produzione ma anche come il sovrano sul terreno sociale e politico.Vi sono naturalmente altre teorie. Marx, per esempio (ma anche Keynes) vede nella produzione una funzione sociale determinata principalmente da due fattori: la domanda (i bisogni sociali, compresi quelli relativi a beni o servizi “fuori mercato”) e la forza lavoro disponibile a soddisfarli. In questa prospettiva la funzione del capitale (soprattutto di quello finanziario, il denaro) è solo quella di mettere in comunicazione la domanda col lavoro. Per questo non gli è riconosciuto alcun potere di veto, meno che meno la sovranità. Anzi: la disponibilità di capitale è interamente subordinata alla decisione politica, per quanto concerne sia la leva fiscale, sia la massa monetaria. Inutile dire che queste teorie sono tuttavia reiette, bollate come stravaganti e antimoderne. Si pensa alle teorie come cose astratte, ma, come si vede, esse in filigrana parlano di soggetti in carne e ossa e di concretissimi conflitti. Il che spiega in abbondanza la povertà logica delle resistenze alle critiche keynesiane e marxiste. Spiega il vergognoso servilismo dei media, fatto di ignoranza e opportunismo. E spiega soprattutto perché, per l’establishment europeo, le “riforme strutturali” propugnate nel nome della teoria neoclassica siano un valore in sé, benché non servano affatto a risolvere la crisi, anzi la stiano aggravando oltremisura.La questione, insomma, è solo in apparenza economica e in realtà squisitamente politica. Del resto, nella sovranità assoluta del capitale e nella totale subordinazione della classe lavoratrice risiede la sostanza dei trattati europei che in questi vent’anni hanno modificato i rapporti di forza tra Stati e istituzioni comunitarie, tra assemblee elettive e poteri tecnocratici. È questo il punto di caduta di provvedimenti in apparenza dettati dalla ragion pura economica come il famigerato Fiscal Compact; questa la ratio della sciagurata decisione, al tempo del “governo del presidente”, di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Non ve n’era bisogno, essendoci già Maastricht. Ma si sa, si prova un brivido particolare nel prosternarsi dinanzi ai primi della classe, nell’eccedere in espressioni servili. In altri tempi si sarebbe parlato di collaborazionismo.Un solo dubbio resta, nonostante tutto. È chiaro che alle leadership europee non interessa granché dell’equità sociale, né fa problema, ai loro occhi, l’instaurarsi di un’oligarchia. Ma a un certo momento (ormai prossimo) non sarà più tecnicamente possibile drenare risorse verso il capitale. Già oggi l’impoverimento di massa genera disfunzioni gravi, come dimostra l’imperiosa esigenza di “riformare” le Costituzioni per affrancare i governi dall’onere del consenso. Insomma, è sempre più evidente che il modello neoliberista urta contro limiti sociali e politici non facili a varcarsi. È vero che in un certo senso il capitale non conosce patria (è di casa ovunque riesca a valorizzarsi). Ma, a parte il fatto che gli equilibri geopolitici risentono del grado di forza interna delle compagini sociali (per cui l’Occidente rischia grosso nel confronto con l’«altro mondo», in vertiginosa crescita, ricco di capitali e di risorse umane), davvero è pensabile tenere a bada società già avvezze alla democrazia sociale (in questo l’Europa si distingue dagli Stati Uniti) a dispetto di una regressione ad assetti neofeudali? Abbiamo detto che non si capisce la discussione economica se non la si legge in chiave politica. Ma è proprio un problema politico quello che le leadership neoliberiste sembrano non porsi. Confermando tutta la distanza che corre tra gli statisti e i politicanti.(Alberto Burgio, “L’inchino europeo al capitale privato”, da “Il Manifesto” del 20 agosto 2014).Tagli al welfare. Si persegue quella che il mondo anglosassone da sempre considera l’essenza della democrazia moderna: una società di individui fondata sulla libertà d’impresa. Afferma un celebre adagio che nella pervicacia si annida il demonio. Se è vero, le leadership europee sono prigioniere di potenze infere. Da sette anni infliggono ai propri paesi e alle loro economie una terapia nel segno dell’austerity che dovrebbe debellare la crisi e rimettere in moto la crescita. Non solo questa cura non ha prodotto nessuno dei risultati attesi. Tutte le evidenze depongono in senso contrario, al punto che sempre più numerosi economisti mainstream si pronunciano a favore di politiche espansive. Ciò nonostante la musica non cambia, nemmeno ora che l’Istituto statistico nazionale della Germania federale ha reso noti i dati sul secondo semestre di quest’anno. Anzi, il mantra delle “riforme strutturali” imperversa più forte che mai. Insomma, il demonio sbanca. O c’è semplicemente un dio dispettoso che si diverte ad accecare gente che vuol perdere.
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Vaticanomics, l’Opus Dei a lezione dalla Goldman Sachs
Il diavolo e l’acqua santa. Il denaro sterco del demonio. Gli pseudo-opposti che si incontrano e si suggeriscono regole di comportamento. Con tanti saluti alla nuova linea della Chiesa attenta alla povertà, con la quale Francesco I ha voluto caratterizzare il suo pontificato. La Pontificia Università Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei, ha deciso che i suoi studenti, futuri sacerdoti, debbano conoscere l’economia e la finanza, per comprendere meglio il senso del proprio apostolato e dove esso debba indirizzarsi nel sociale. Fino a qui, niente di trascendentale. Non si vive di solo spirito e poi, come si dice in certi ambienti, il cibo materiale deve poter trasformarsi in cibo spirituale. Non sarà più sufficiente quindi agli studenti dell’Opera fondata da Escrivà de Balaguer essere in grado di maneggiare la teologia, la filosofia, il diritto canonico e la comunicazione. Da qui l’idea di creare un corso denominato “Economics for Ecclesiastic” grazie al quale, questo è l’intendimento, i futuri sacerdoti non si troveranno troppo isolati dal mondo reale.Il problema sta nella personalità del professore che erudirà le future tonache sul significato etico dell’economia e della finanza nel mondo contemporaneo. Sarà infatti Brian Griffiths of Fforestafch, un cognome impronunciabile che è tutto un programma, ad intrattenere gli studenti su “Le sfide etiche e culturali per la finanza contemporanea”. Il punto è che il signore in questione è stato vicepresidente esecutivo di Goldman Sachs International, ossia della banca di affari che nell’immaginario del cittadino medio Usa rappresenta il simbolo stesso della più schifosa speculazione che strozza i piccoli risparmiatori e crea le condizioni per portargli via la casa. In Italia, come in Europa, la Goldman Sachs è la banca che ha speculato a man bassa contro i titoli di Stato, i Bonos spagnoli e i Btp italiani, con l’intento di affossare l’euro. Insomma, Brian Griffiths of Fforestafch è un banchiere che vanta non poche responsabilità nell’aver contribuito ad aggravare una situazione interna, come quella italiana, già di per sé grave per l’altissimo debito pubblico.È quasi superfluo aggiungere che Griffiths è membro della Camera dei Lords (appartiene quindi alla nomenklatura inglese) ed è stato consigliere di Margareth Thatcher per le privatizzazioni e per deregolamentare il mercato interno. Si tratta di uno di quei tecnocrati che sostengono la creazione di un grande mercato globale senza vincoli di frontiere e di dazi doganali. Un mercato globale che implica la cancellazione degli Stati nazionali e la loro sottomissione ad un complesso di strutture sovranazionali, di fatto in mano all’Alta Finanza. Una strategia che il mondo cattolico dovrebbe teoricamente vedere con ostilità. Questo in teoria perché ci sono, e non sono pochi, banchieri cattolici che sognano lo stesso traguardo, sia pure con una attenzione paternalista verso i poveri e gli emarginati. E in Italia i banchieri legati all’Opus Dei sono molti e potenti, anche se spesso quasi sconosciuti al grande pubblico. Tra i più noti svetta Antonio Fazio, ex governatore della Banca d’Italia. In Spagna, fa parte dell’Opus Dei il presidente del Banco di Santander, Emilio Botin.Questo per dire che non esiste una finanza “laica” e una finanza “cattolica”, ma esiste soltanto una finanza che realizza affari e profitti e intende continuare a farli. Come dimostra l’enorme patrimonio mobiliare e immobiliare della chiesa cattolica e delle sue tante diramazioni. Ma nemmeno i protestanti scherzano, visto che Griffiths ha presieduto in passato il Lambeth Fund, controllato dall’arcivescovo di Canterbury. E allora questo connubio tra Opus Dei e Goldman Sachs trova la sua ragione di essere nel medesimo approccio universalista. Del resto il capitalismo liberista si è sempre fatto forte, basti vedere Max Weber, di una profonda impronta evangelica e biblica. Ma l’Opus Dei non è l’unica struttura in ambito cattolico a tenere buoni rapporti con certi ambienti e ad allevare futuri banchieri. Mario Draghi, anche lui un ex Goldman Sachs, ha studiato dai gesuiti. E questo non gli ha impedito di caratterizzare la sua attività nella direzione di rafforzare il potere delle banche e della finanza e al tempo stesso di impoverire i cittadini italiani ed europei, come sappiamo ormai a menadito.(Irene Sabeni, “L’etica di Opus Goldman Sachs Dei”, da “Il Nodo Gordiano” del 4 agosto 2014).Il diavolo e l’acqua santa. Il denaro sterco del demonio. Gli pseudo-opposti che si incontrano e si suggeriscono regole di comportamento. Con tanti saluti alla nuova linea della Chiesa attenta alla povertà, con la quale Francesco I ha voluto caratterizzare il suo pontificato. La Pontificia Università Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei, ha deciso che i suoi studenti, futuri sacerdoti, debbano conoscere l’economia e la finanza, per comprendere meglio il senso del proprio apostolato e dove esso debba indirizzarsi nel sociale. Fino a qui, niente di trascendentale. Non si vive di solo spirito e poi, come si dice in certi ambienti, il cibo materiale deve poter trasformarsi in cibo spirituale. Non sarà più sufficiente quindi agli studenti dell’Opera fondata da Escrivà de Balaguer essere in grado di maneggiare la teologia, la filosofia, il diritto canonico e la comunicazione. Da qui l’idea di creare un corso denominato “Economics for Ecclesiastic” grazie al quale, questo è l’intendimento, i futuri sacerdoti non si troveranno troppo isolati dal mondo reale.
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Hitler a spasso in Argentina, non muore la leggenda nera
Fantasia o realtà? Per ora, solo un mistero. Ma la stampa inglese rimette in discussione questo tema, sulla base dell’archivio riguardante la sorte di Adolf Hitler, desecretato dall’Fbi nel giugno 1998: il genocida nazista e la moglie Eva Braun non sarebbero morti nel loro bunker a Berlino il 30 aprile 1945, dando esecuzione al loro patto suicida, ma sarebbero scappati con un sottomarino verso l’Argentina. Secondo i documenti dell’Fbi, sui quali si basano le informazioni dei quotidiani “Daily Express” e “Sunday Express”, questa pista sarebbe stata indicata a un agente nordamericano da un cittadino argentino residente a Los Angeles, California, che nel settembre del 1945 gli avrebbe riferito che Hitler sarebbe sbarcato sulle coste della Patagonia, più precisamente presso il Golfo San Matias, nel mese di maggio dello stesso anno, un paio di settimane dopo la caduta di Berlino.Secondo tale testimonianza, due sottomarini lo avrebbero portato alla località nota come Caleta de los Loros, situata nel Golfo di San Matias, sulla costa atlantica argentina. Le due imbarcazioni sarebbero state affondate a circa 800 metri dalla costa e avvistate per anni dagli abitanti della zona nei periodi di bassa marea, nei quali erano visibili le sagome parzialmente coperte dalla sabbia; questo secondo la testimonianza di un pilota civile, Mario Chironi, che era solito sorvolare la zona negli anni Cinquanta, pubblicata dal quotidiano “La Nación” di Buenos Aires il 6 luglio 1998. Gli archivi dell’Fbi, una volta segreti, riferiscono che, dopo una notte passata in un hotel della città di San Antonio Oeste (piccola città la cui economia all’epoca dipendeva dalla fabbrica tedesca Sassenberg & Cia), Hitler e quelli che erano con lui furono trasferiti verso la Cordigliera delle Ande, stabilendosi per molto tempo nella proprietà di una famiglia tedesca residente a San Carlos de Bariloche, la Hacienda San Ramon.A partire da quel periodo, i dati sono diventati imprecisi e confusi. Un informatore afferma di aver visto Hitler che camminava per una via di Charlottesville, Virginia (Usa), il 18 luglio 1946. Un altro luogo dove il Führer sarebbe stato avvistato il 16 luglio 1947 è un casinò «tra Buenos Aires e Rio de Janeiro», città distanti 2.000 km l’una dall’altra, presumibilmente a “Rio Grande del Sur”, che non è una città, bensì uno Stato di più di 280.000 kmq. I rapporti di intelligence presentati al capo dell’Fbi, J. Edgar Hoover (1895-1972), raffigurano Hitler come un turista che passeggia tra il Sudamerica e gli Stati Uniti. Quelli che credono alla versione secondo cui il gerarca tedesco non morì a Berlino, sostengono che egli riuscì a scappare con l’aiuto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, prima che l’Unione Sovietica prendesse il controllo della capitale tedesca, in cambio di denaro e trasferimento di tecnologie.Le opinioni divergono, però, sul luogo e sulla data della sua morte: taluni affermano che sarebbe morto in Paraguay nel febbraio 1971, altri a Cordoba (Argentina) nel 1962, altri ancora a Nossa Senhora do Livramento (Brasile) nel 1984, stando alla pubblicazione, da parte di “O Globo”, con acclusa una foto di un Hitler abbracciato alla sua amante mora! Se è accertato che l’individuazione di Adolf Eichmann nella zona suburbana di Buenos Aires nel maggio 1960 e il suo sequestro da parte del Mossad sono stati resi possibili dalla soffiata di un vicino, mentre le precedenti operazioni di spionaggio erano fallite, sembra invece poco credibile che, se Hitler si muoveva veramente con tanta libertà su e giù per il continente americano, non venisse individuato dai servizi di intelligence israeliani per catturarlo e condurlo davanti alla corte marziale. Tuttavia, anche i corpi trovati nel bunker di Berlino, parzialmente calcinati, non poterono mai esser veramente identificati, secondo quanto riferito da Stalin a Churchill.Gli archivi segreti dell’Fbi che danno spazio a tutte queste congetture furono declassificati nel 1998. Ma cosa c’è di nuovo? Abel Basti, giornalista argentino residente dal 1978 a Bariloche, che ha anche lavorato come guarda forestale nella zona dove si dice che Hitler abbia vissuto almeno tra il 1945 e il 1955, ha finito di pubblicare la sua ricerca sulle tracce del Führer in Argentina (“Tras los pasos de Hitler”, Editorial Planeta, 2014), quinto libro di una saga iniziata con “Bariloche Nazi” (2004), “Hitler en la Argentina” (2006), “El exilio de Hitler” (2010) e “Los secretos de Hitler” (2011). Basti mette direttamente in relazione l’arrivo di Hitler in Argentina con l’esistenza dei due sottomarini affondati nel Golfo di San Matias, alla cui ricerca ha partecipato. Finora i tentativi di recupero delle due imbarcazioni non hanno avuto successo, anche perché, secondo il giornalista, la mancanza di coordinate esatte rende difficoltosa la loro individuazione; comunque, la ricerca continua ancora oggi mediante l’impiego di magnetografi.Basti sostiene che questi due sottomarini facevano parte di una dozzina di “U-Boote” che salparono dall’Europa alla fine della seconda guerra mondiale per portare in salvo ufficiali, beni, denaro e documentazione nazista, parte dell’operazione Paper Clip patteggiata tra tedeschi e alleati, e che gli altri due sottomarini che si recarono il 17 agosto 1945 a Mar del Plata (Argentina) facevano parte della stessa flotta che aveva condotto Hitler in Patagonia. Nel suo ultimo libro, Basti afferma che Hitler si mosse in totale libertà in diversi paesi del Sudamerica sotto false identità, come Adolf Schütelmayor o Kurt Bruno Kirchner (sì, Kirchner!), raccogliendo le supposte testimonianze della sua assaggiatrice di cibi, Eloisa Lujan, e della nipote della sua cuoca, Carmen Torrentegui, che sarebbero state sempre vicine al genocida tedesco.L’opera di Basti è contestata, accusata di plagio. Si dice sul web che sia una brutta copia di precedenti titoli (“Gestapo Chief” di Gregory Douglas, “Hitler’s escape” di Ron. T. Hansic, “Escape from the bunker” di Harry Cooper e “El escape de Hitler” de Patrick Burnside), tutti libri carenti di rigore storico e documentale. A sua volta, Basti ha accusato di plagio Simon Dunstan e Gerrard Williams, autori di “The Grey Wolf: The escape of Adolf”, con i quali afferma di aver firmato un contratto per la pubblicazione del suo libro in Inghilterra e ricavarne anche un film. Gli inglesi sono però spariti, per poi pubblicare il suo libro presso la casa editrice Sterling Publishing, anch’essa querelata da Basti. Misteri ancora irrisolti, dati da confermare e accuse incrociate continuano ad aleggiare sopra di noi, proiettando l’ombra del demone nazista.(Horacio Morel, “Hitler a spasso in Argentina: cosa c’è di vero nella leggenda nera?”, da “Il Sussidiario” del 3 maggio 2014).Fantasia o realtà? Per ora, solo un mistero. Ma la stampa inglese rimette in discussione questo tema, sulla base dell’archivio riguardante la sorte di Adolf Hitler, desecretato dall’Fbi nel giugno 1998: il genocida nazista e la moglie Eva Braun non sarebbero morti nel loro bunker a Berlino il 30 aprile 1945, dando esecuzione al loro patto suicida, ma sarebbero scappati con un sottomarino verso l’Argentina. Secondo i documenti dell’Fbi, sui quali si basano le informazioni dei quotidiani “Daily Express” e “Sunday Express”, questa pista sarebbe stata indicata a un agente nordamericano da un cittadino argentino residente a Los Angeles, California, che nel settembre del 1945 gli avrebbe riferito che Hitler sarebbe sbarcato sulle coste della Patagonia, più precisamente presso il Golfo San Matias, nel mese di maggio dello stesso anno, un paio di settimane dopo la caduta di Berlino.
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Kissinger: abbiamo vinto, i vostri Stati sono in bolletta
«Vedo in questa crisi globale una grande opportunità», perché «la crisi finanziaria ha fatto il trucco, cioè ha limitato i mezzi che ogni Stato aveva per affermare i propri interessi». Così Henry Kissinger, potentissimo profeta del super-potere mondiale, all’occorrenza anche golpista – ieri coi carri armati, oggi col dominio finanziario di una ristretta élite. «Non c’è neppure più bisogno d’inventarsi un nuovo ordine internazionale», dice l’ex segretario di Stato americano in un’intervista. «Già i problemi esistenti oggi costringono tutti a soluzioni comuni e globali». Li chiama “interessi comuni”, come fossero accordi amichevoli tra buoni vicini di casa, ma in realtà intende l’esatto contrario: «I vicini di casa, cioè gli Stati – scrive Paolo Barnard – vengono prima colonizzati da un unico sistema finanziario, poi sottoposti a crisi di quel sistema talmente devastanti da incatenarli l’uno all’altro, e così per salvarsi sono costretti a cedere tutte le sovranità e a trovare un unico regime politico, o un’unica gestione».Barnard la chiama “l’era degli interessi comuni”, ma ovviamente nell’accezione più orwelliana e ipocrita possibile: la nuova epoca «sarà dettata dalla nazione egemone, in particolare da una minuta élite di uomini». Per Kissinger, «uno dei sacerdoti occulti di questo complotto», l’attuale amministrazione Obama «deve saper cogliere nella crisi la scintilla per costruire un nuovo sistema internazionale». Lo scenario è favorevole: «Ci sono già importanti parallelismi d’interesse fra le grandi potenze, cioè Usa, Cina, Russia, India ed Europa». E aggiunge: «Conosco l’opinione secondo cui si comincia convertendo l’intero pianeta alla nostra filosofia politica». Il super-oligarca americano non vede grossi ostacoli: «Ho parlato a diversi leader mondiali. Ho cercato di capire fino a che punto la crisi finanziaria ha aumentato la loro disponibilità a cooperare con gli Usa».«Di nuovo: il Complotto è lampante, è di una semplicità diabolica», insiste Barnard. «Ripeto: negli scorsi 40 anni il sistema finanziario ha colonizzato tutti, dall’Iran all’Indonesia, dal Giappone alla Russia, dal Brasile a Europa, Cina, Africa. Wall Street e Eurozona fanno deflagrare la più potente crisi in quasi un secolo». L’Eurozona, in particolare, con l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, «la incancrenisce con le Austerità dell’Economicidio, che di rimbalzo mandano sempre più in crisi le potenze anche più distanti, come la Cina». Il sistema, aggiunge Barnard, funziona con degli shock che rimbalzano uno contro l’altro e ri-rimbalzano indietro per ri-sfasciare i paesi da cui si erano originati, in un domino, o cane che si morde la coda, senza fine.«I mezzi sovrani di ogni nazione vegono disabilitati dalle proporzioni immani di questi shock», come nel caso delle banche “too big to fail”, troppo grosse da affrontare coi mezzi tradizionali democratici. «E allora ecco che i cosiddetti leader mondiali vengono costretti a mettersi nella mani di élite di globocrati che sono gli unici oggi in possesso delle chiavi per spegnere questa macchina mostruosa». Interi blocchi continentali, vicini a divenire delle superpotenze economiche fino a pochi anni fa, «si consegnano a questa gestione “comune” in mano a pochissimi uomini: i Neofeudali. Ecco il Complotto». Il vero potere in mano a un’élite esigua, che ormai ha raggiunto l’obiettivo indicato quarant’anni fa dal memoriale di Lewis Powell: neutralizzare completamente lo Stato come governatore democratico del popolo. Togliendoli la linfa vitale: la possibilità di fare spesa pubblica per sostenere il sistema del benessere diffuso.«Vedo in questa crisi globale una grande opportunità», perché «la crisi finanziaria ha fatto il trucco, cioè ha limitato i mezzi che ogni Stato aveva per affermare i propri interessi». Così Henry Kissinger, potentissimo profeta del super-potere mondiale, all’occorrenza anche golpista – ieri coi carri armati, oggi col dominio finanziario di una ristretta élite. «Non c’è neppure più bisogno d’inventarsi un nuovo ordine internazionale», dice l’ex segretario di Stato americano in un’intervista. «Già i problemi esistenti oggi costringono tutti a soluzioni comuni e globali». Li chiama “interessi comuni”, come fossero accordi amichevoli tra buoni vicini di casa, ma in realtà intende l’esatto contrario: «I vicini di casa, cioè gli Stati – scrive Paolo Barnard – vengono prima colonizzati da un unico sistema finanziario, poi sottoposti a crisi di quel sistema talmente devastanti da incatenarli l’uno all’altro, e così per salvarsi sono costretti a cedere tutte le sovranità e a trovare un unico regime politico, o un’unica gestione».