Archivio del Tag ‘dollaro’
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Il mondo ha fame: benvenuti nell’era degli agro-dollari
Se ci chiediamo quale valuta sia servita per l’acquisto delle materie prime o per rafforzare i sistemi nel corso del secolo passato della storia umana, non possiamo che pensare ai petrodollari: non è sbagliato dire che niente ha plasmato il mondo moderno quanto i 2.300 miliardi di dollari l’anno per l’esportazione di energia. Vera e propria “valuta di riserva”: tutti dollari Usa, anche se ora emergono alternative come quella della Turchia, che ha cominciato a pagare in oro il petrolio dell’Iran, mettendo in forse lo status quo dei petrodollari. Ma se le nuove tecnologie per le rinnovabili e il gas soppianteranno il petrolio, segneranno anche la fine dei petrodollari? Prima o poi potrebbe cominciare l’era degli agro-dollari, se – come si comincia ad osservare – lo squilibrio più evidente che definirà il profilo del commercio globale nei prossimi anni non sarà più quello energetico, ma quello alimentare.
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L’Olanda: chi vuole, lasci l’euro. Cadrà il Muro di Bruxelles?
Il governo olandese vuole consentire l’abbandono dell’euro ai paesi in crisi con le regole dell’unione monetaria ed economica. Una svolta annunciata da un’intervista del premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a “Süddeutsche Zeitung” e “Financial Times”, la prima effettuata dal leader dei liberali dopo la formazione del nuovo governo. L’esecutivo olandese, scrive il blog di Gad Lerner, si è contraddistinto finora per essere uno dei più fedeli alleati di Angela Merkel nella difesa dell’austerity come politica economica per risolvere la crisi dei debiti sovrani. E nonostante il recente cambio di maggioranza – al posto del centrodestra ora i Paesi Bassi sono governati da un’alleanza tra liberali e sinistra riformista – questa posizione non cambierà, almeno secondo Rutte. I paesi dell’eurozona che sono in difficoltà con i programmi di austerità però potrebbero lasciare la moneta unica, se lo volessero.
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Noi, riserva aurea mondiale: e dov’è finito l’oro dell’Italia?
Dov’è finito l’oro dell’Italia? Pochi lo sanno, ma il nostro paese detiene la quarta riserva aurea del mondo, dopo Usa, Germania e Fmi. Qualcosa come 2.450 tonnellate di lingotti, pari a 110 miliardi di euro. Bankitalia potrebbe usarli per ridurre il debito e contrastare attacchi speculativi, ma non lo fa. E poi: siamo sicuri di sapere esattamente dove si trovi quella montagna d’oro? E’ il bene-rifugio per antonomasia, quello che «tesaurizza le aspettative di crisi». In suo nome, scrive Mauro Bottarelli su “Il Sussidiario”, sono accadute molte cose strane e in apparenza inspiegabili. Come nella guerra in Libia, trasformatasi in un incredibile Vietnam. Poi, lo stallo militare fu sbloccato in soli tre giorni. Armi dall’Occidente? Servizi segreti? Forze speciali francesi e britanniche a fianco dei ribelli? Ma no: oro. Per la precisione, i lingotti che il Venezuela aveva parcheggiato a Londra: Hugo Chávez chiese il rimpatrio di quell’oro, ma la Banca d’Inghilterra l’aveva “movimentato”, non ce l’aveva più nei suoi caveau. Quale occasione migliore, allora, per arraffare le 150 tonnellate di riserve auree di Gheddafi?
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Il Fmi: moneta sovrana, non più monopolio delle banche
Eliminare il debito pubblico degli Usa in un colpo solo, e fare lo stesso con Gran Bretagna, Italia, Germania, Giappone, Grecia. E nello stesso tempo rilanciare l’economia, stabilizzare i prezzi e spodestare i banchieri. In modo pulito e indolore, e più rapidamente di quel che si può immaginare. Con una bacchetta magica? No. Con una legge semplice, ma capace di sostituire l’attuale sistema, in cui a creare denaro dal nulla sono le banche private. Basterebbe un provvedimento che obblighi gli istituti di credito a detenere una riserva finanziaria reale, del 100%. A proporlo sono due economisti del Fondo Monetario Internazionale, Jaromir Beneš e Michael Kumhof. Tu, banca, vuoi lucrare sul prestito di denaro? Prima devi dimostrare di averlo davvero, quel denaro. Troppo comodo farselo dare dalla banca centrale (che lo fabbrica dal nulla) per poi “taglieggiare” famiglie, aziende e interi Stati, imponendo interessi esorbitanti.
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Arriva una guerra mondiale: lo dicono i guru della finanza
Mentre Israele bombarda Gaza per colpire Hamas, alleato di ferro dell’Iran, all’indomani dello scandalo Petraeus che ha azzoppato la Cia e con essa il generale più prestigioso del Pentagono, i guru della finanza mondiale vedono ormai la guerra come destino imminente dell’umanità, o almeno dell’Occidente stritolato dai debiti: «Crediamo che la guerra sia un’inevitabile conseguenza della attuale situazione economica mondiale», avverte Kyle Bass, super-manager di hedge funds americani e fondatore di “Hayman Capital”. «Trilioni di dollari di debiti saranno ristrutturati – scrive Bass sul “Washington’s Blog” – e milioni di risparmiatori finanziariamente prudenti perderanno una percentuale rilevante del loro potere d’acquisto reale, esattamente al momento sbagliato nella loro vita: ancora una volta, il mondo non finirà, ma il tessuto sociale delle nazioni dilapidatrici sarà sfilacciato e in alcuni casi strappato. Purtroppo, guardando indietro nella storia economica, troppo spesso la guerra è la manifestazione di una semplice entropia economica sostenuta fino alla sua logica conclusione».
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Delusioni: il fantasma di Obama, un triste destino da ex
La vittoria elettorale di Barack Obama somiglia a quelle cene preparate con gli avanzi della festa del giorno prima: cibo magari saporito, se ben ricucinato, ma in ogni caso non consumato nei bagordi del giorno precedente. Speculazioni? Parlano le cifre: in quattro anni, Obama ha perso quasi 20 milioni di elettori e una dozzina di punti percentuali. Un crollo, che si è fermato appena un punto sopra lo sfidante repubblicano: un punto esiguo, sufficiente a mettere insieme una larga maggioranza di “grandi elettori”, secondo la particolare legge elettorale americana, ma non certo ad affrancare il vincitore – almeno per i prossimi due anni – dai condizionamenti di un Parlamento che resta al 50% in mano agli avversari. Uno scenario infelice, osserva “Nique La Police” sul blog “Senza Soste”, che mantiene Barack Obama nella condizione poco invidiabile di “anatra zoppa”.
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“Loro” lo sanno che il debito pubblico si può cancellare
Assorbire il debito pubblico con complesse manovre? No, più semplice: basterebbe cancellarloe farlo sparire per sempre dai bilanci delle banche centrali – non la Bce, ovviamente, ma quelle dei paesi liberi, dotati cioè di moneta sovrana. Ne parlano, qua e là, le pubblicazioni economiche più importanti al mondo: fine dell’austerity, delle super-tasse, dei “sacrifici”. La soluzione: una “semplice manovra contabile”. «Lo sanno tutti, sotto sotto, a Londra e a New York, al Fondo Monetario, al “Wall Street Journal”, al “Telegraph”, al “Financial Times”, alla City di Londra che il debito pubblico è un gioco di prestigio, un imbroglio e il governo lo potrebbe cancellare quando vuole», scrive il blog “Come don Chisciotte” in un intervento ripreso da “Megachip”. Il 16 ottobre il “Wall Street Journal” parla della “tentazione” della Gran Bretagna: «Cosa succederebbe se la Banca d’Inghilterra cancellasse semplicemente i 400 miliardi di debito pubblico che ora detiene?». Fa eco Gavyn Davies sul “Financial Times”: «La banca centrale cancellerà il debito pubblico?».
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Tringali: a chi conviene l’euro, la nostra grande rovina
Debito pubblico, Berlusconi e la casta, la corruzione, la mafia? Aggravanti, ma non certo la causa della crisi, nonostante le chiacchiere di chi ripete che non saremmo “capaci di stare al pari con gli altri paesi dell’Europa migliori di noi”. Ormai, sostiene Fabrizio Tringali, anche l’opinione pubblica l’ha capito: l’origine della crisi, italiana ed europea, sta tutta nell’adozione della moneta unica, l’euro, che «ha unito economie molto diverse tra di loro». Così quelle più forti, Germania in primis, hanno finito per schiacciare quelle più deboli. Verità palese, ancorché negata, anche se «le criticità dell’unione monetaria europea erano assolutamente note già trent’anni fa». Nessun mistero: se la crisi finanziaria americana esplosa nel 2007-2008 era stata ben poco prevista, quella dell’euro era invece chiaramente segnalata sui radar degli economisti. In Italia, già durante il regno di Giulio Andreotti.
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Parguez: l’euro creato per azzopparci, ecco come e perché
In questo mio contributo dedicato ai coraggiosi esponenti della Modern Money Theory in Italia, intendo enfatizzare la straordinaria natura della crisi dell’eurozona. Siamo al termine di un modo di produrre, del capitalismo dinamico inteso in termini marxiani. È la regressione verso un sistema parassitario e decadente, un’economia di puri “rentier” che si alimentano attraverso le banche e le altre istituzioni finanziarie che estraggono risorse dall’economia reale grazie alle permanenti politiche di deflazione applicate dagli Stati. Una regressione simile appare ovvia nel momento in cui si osservano i livelli di disoccupazione in Europa, in particolare in Francia, Belgio e Olanda. Per esempio, in Olanda la disoccupazione effettiva eccede il 50, 60% della forza lavoro! Questo condurrà al drammatico collasso dei redditi anche per chi ancora gode di un normale lavoro
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Petrolio alle stelle: ormai la crescita è bloccata per sempre
Jeff Rubin, celeberrimo economista canadese esperto di cose energetiche, ha qualche giorno fa pubblicato un inquietante articolo su “Bloomberg”, dal titolo “Come l’alto prezzo del petrolio bloccherà permanentemente la crescita economica”. Brutta notizia, ma non così sorprendente per noi che seguiamo il problema delle risorse. Dice Rubin: gli Usa non sono il solo Paese a soffrire. Dall’Europa al Giappone, i governi combattono per far ripartire la crescita. Ma i rimedi usati fanno più danno che altro, perché basati sulla credenza che la crescita possa ritornare alla sua precedente forza. I banchieri centrali e i politici non riescono a comprendere l’impatto soffocante del barile a 100 dollari.
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Moneta sovrana: così l’America crea posti di lavoro
Due milioni di posti di lavoro creati: è il frutto della politica monetaria americana, di cui l’Europa avrebbe bisogno. «Due milioni di assunzioni aggiuntive, dal 2009 ad oggi, fanno la differenza tra la situazione sociale dell’Eurozona e quella degli Usa», spiega Federico Rampini. «Nonostante questo, la Federal Reserve non considera di avere esaurito il suo compito». Ma come può una banca centrale “creare” lavoro, e per di più in misura così consistente? Quali sono i meccanismi con cui agisce, e perché lo fa? «L’ultima di queste tre domande racchiude una differenza costituzionale tra la Fed e la Bce», aggiunge Rampini. «La banca centrale americana ha l’obbligo di perseguire il pieno impiego, non solo di lottare contro l’inflazione». E si vede: anche dall’attenzione che il governatore Ben Bernanke dedica all’analisi della disoccupazione.
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Il bottino segreto dei super-ricchi, protetto dalle banche
Sono 21.000 miliardi di dollari: è la cifra che gli uomini più ricchi del mondo nascondono nei paradisi fiscali sparsi per il pianeta. C’è chi parla addirittura di 32.000 miliardi, ma l’ammontare complessivo è quasi impossibile da calcolare. Si stima che il solo rientro dei super-capitali evasi basterebbe ad azzerare l’attuale crisi europea del debito. Mentre i governi tagliano la spesa e licenziano lavoratori sotto la scure dell’austerity, gli ultra-ricchi (meno di dieci milioni di persone) hanno nascosto al fisco un “bottino” pari alla somma del prodotto interno lordo degli Stati Uniti e di quello del Giappone. Lo rivela il nuovo rapporto del “Tax Justice Network”, secondo cui «le entrate perse a causa dei paradisi fiscali sono talmente ampie da costituire una differenza significativa secondo tutti i nostri indici convenzionali di diseguaglianza», visto che «la maggior parte della ricchezza finanziaria mancante appartiene a una piccola élite».