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Dieudonné e le reti dell’orrore: bambini uccisi dai potenti
Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».Non è difficile mettere fuori gioco Dieudonné, che è «dichiaratamente antisemita». La stessa Francesconi premette: «Non condivido tutto quello che il comico sostiene sugli ebrei». Ma il punto è un altro: la questione non riguarda “gli ebrei”, o meglio i sionisti, ma i bambini. Spesso sequestrati, violati e abusati. Torturati, e infine “sacrificati”. «Durante i suoi spettacoli il comico francese ha parlato più volte dei bambini che vengono violati durante disgustosi rituali sessuali praticati dai “grandi” di questo mondo», avverte la blogger. Per cui, «vi è il legittimo sospetto che questa possa essere la vera ragione dell’interdizione dei suoi spettacoli». In particolare, Dieudonné si è occupato del caso dei fratelli Roche: un caso di malagiustizia che in anni recenti ha suscitato molto clamore in Francia e ha fatto venire allo scoperto le strette connessioni tra pedofilia e magistratura deviata. I due fratelli, Charles-Louis e Diane Roche, hanno denunciato il coinvolgimento di politici e magistrati francesi in pratiche pedofile “controiniziatiche”, a cui pare fosse legato anche il loro padre, il magistrato di Tolosa Pierre Roche. La rivelazione: il potere di una magistratura “nera”, incaricata di insabbiare le indagini e proteggere gli “orchi”, tutti insospettabili.Poco prima di morire di cancro, l’uomo aveva confidato ai figli il terribile segreto che per anni aveva custodito: l’esistenza di una costola deviata della magistratura, «il cui obiettivo segreto è di insabbiare tutte le inchieste e le indagini che provano l’esistenza delle reti pedocriminali e che tentano di fare luce sulle coperture istituzionali di cui i pedofili godono». Bingo: nel suo spettacolo, Dieudonné aveva ospitato uno dei due fratelli, Charles-Louis, «che ha potuto esprimersi liberamente in una sorta di monologo durante il quale ha denunciato i loschi traffici di cui è a conoscenza e in cui pare fosse implicato anche il padre». Il comico ha bollato senza mezzi termini le reti pedofile dell’orrore, definendole «reti sataniste», a capo delle quali vi sarebbe un «gruppo segreto», meglio conosciuto come «élite mondialista». Che cosa ha rivelato di così destabilizzante per i poteri occulti il figlio del defunto magistrato Pierre Roche? Durante lo spettacolo di Dieudonné, «Charles-Louis ha testimoniato sulle confessioni fattegli dal padre che riguardavano i crimini di cui si era macchiato durante l’esercizio della sua carica».In particolare, in punto di morte, Pierre Roche avrebbe «rivelato al figlio di aver partecipato a delle orge nella regione di Tolosa, in compagnia di altre personalità francesi altolocate». Durante queste orge «i partecipanti abusavano di prostitute, di vagabondi rapiti per strada e di bambini». Attenzione: erano «orge che finivano sempre con l’uccisione rituale delle piccole vittime, dopo averle sottoposte a ogni tipo di tortura». Federica Francesconi definisce quelle atroci serate «cerimonie controiniziatiche». Un’allusione precisa: viene chiamato “contro-iniziato” un soggetto che abbia ricevuto un’iniziazione esoterica (per esempio massonica) e che poi faccia un uso distorto, capolvolto, delle conoscenze che gli sono state trasmesse. Per la massoneria democratico-progressista sono “contro-iniziati” gli uomini del massimo potere, aderenti a superlogge internazionali che nei fatti rinnegano gli ideali della stessa tradizione massonica (libertà, uguaglianza, fratellanza) per “pervertire” in senso neo-oligarchico l’ordine mondiale, retto da una casta più o meno occulta di super-potenti, assolutamente reazionari, contrari cioè ai diritti, al benessere e al progresso del 99% della popolazione.Per alcuni di essi si tratta di una vera e propria forma di religione, scrive Gianfranco Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui illustra la dottrina ottocentesca del marchese Saint-Yves d’Alveidre: in base alla teoria della “sinarchia”, l’élite (“illuminata” per auto-elezione) ha il diritto-dovere di governare le masse, visto che il popolo – rozzo e ignorante – non avrebbe gli strumenti per decidere da sé. In altre parole, la democrazia è una bestemmia. E proprio allo svuotamento sostanziale della democrazia si è dedicata l’élite eurocratica, che secondo Dieudonné è anche rigorosamente pedofila. Uccidere un bambino mediante un sacrificio rituale significa “uccidere” il futuro che non ti piace, quello degli altri, al tempo stesso propiziando il tuo: lo sostiene Giuseppe Genna, tra le pagine del romanzo “Nel nome di Ishmael” che svela una realtà abominevole: quella dell’omicidio “rituale” dei bambini, abusati dai pedofili, come viatico “magico” per sanguinosi attentati politici organizzati dall’oligarchia tramite settori deviati dei servizi segreti. Un incubo, simile a quello descritto da Charles-Louis Roche nello spettacolo di Dieudonné. E quelle orge francesi, dice il figlio del giudice, erano quasi sempre filmate, «verosimilmente per ricattare a vita i partecipanti», ne deduce la Francesconi.«I partecipanti alle serate orgiastiche erano tutti membri della massoneria deviata francese la quale, tramite i filmati, teneva sotto scacco i suoi affiliati per obbligarli a lasciarsi manovrare nell’esercizio dei rispettivi ruoli pubblici», aggiunge la blogger. «La testimonianza dei due fratelli Roche è molto importante perché per la prima volta, tramite i suoi figli, un notabile, uno dei membri di questi gruppi occulti che governano i sistemi istituzionali di quasi tutti gli Stati, viola il voto di segretezza e omertà a cui è obbligato per rivelare al mondo i segreti inconfessabili dell’élite satanista». La terribile ricostruzione è proposta anche da un documentario su Dieudonné ripreso da YouTube. Il documento conferma che Charles-Louis Roche ha approfittato dell’ospitalità del comico per rendere pubblica la testimonianza del genitore, e quindi denunciare l’esisternza delle «reti dell’orrore» delle quali padre, magistrato di alto grado, è stato membro, prima di morire. O meglio: «Prima di essere assassinato», si afferma, sostenendo che il giurista non sarebbe morto in modo naturale. E dai media «silenzio totale», visto che gli organi di stampa «eseguono gli ordini».Secondo Charles Louis-Roche, l’ideologia del gruppo cui aveva appartenuto il padre «consiste in un progetto culturale, a cominciare dalla legge, dalla morale e dalla discendenza che ha come scopo la violazione, la tortura e la morte di bambini di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 10 anni». Ne parla anche la sorella, Diane Roche: «Reti pedofile, sataniste e mafiose all’interno delle quali dei bambini vengono filmati e contemporaneamente torturati, violati e uccisi». Nello spettacolo di Dieudonné, Charles-Louis Roche ha dichiarato che il padre gli aveva rivelato che a tali reti pedofile «appartengono esponenti del mondo della politica, gli editori, la finanza, i medici». Quali sono le attività di questi circoli? «Consistono nell’organizzare serate estreme, alcune delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, che sono di due tipi». Il primo tipo consiste in una “storia della pesca di Cristo”, forse un rituale controiniziatico: «Per festeggiare la Natura, la serata degenera nel sadomasochismo e nel consumo di stupefancenti, che servono per aumentare il piacere dei partecipanti e che costituiscono un doppio premio». Vengono utilizzate anche prostitute e ragazze provenienti da famiglie disagiate: «Sono le candidate ideali per sparire senza lasciare traccia».E chi sarebbero i protettori di queste reti pedofile? Charles-Louis Roche elenca i nomi di 71 magistrati francesi attualmente in carica: li definisce «corrotti» e sostiene che facciano «esattamente ciò che il potere politico ordina loro di fare». Dentro a queste reti esisterebbe un metodo comune di dissuasione, per evitare che troppe verità scomode vengano divulgate. «Questo metodo – denuncia il documentario – consiste nell’ostacolare e nel ricorrere a minacce molto dissuasive per ridurre al silenzio grandi uomini come Dieudonné, il belga Marc Vervloesem ed altri, che hanno rivelato alcune verità e che quindi costituiscono per questi mostri, questi assassini di bambini, un pericolo». Costoro avrebbero «minacciato di rapire i figli di Dieudonné, che ha contribuito a denunciare queste reti pedofile sataniche». Aggiungono gli autori del video: «Sono perfettamente al corrente che Dieudonné conosce l’esistenza di queste reti pedofile, che ha contribuito a denunciare». Si parla di personaggi potentissimi e protetti da impunità assoluta: «Sono coloro che attualmente detengono il potere sulla Terra». Le chiavi del potere, per loro, sarebbero «l’adorazione di Moloch, una delle rappresentazioni di Lucifero simboleggiato da un gufo o da una civetta», nonché il più prosaico «controllo privato della moneta».«Secondo i loro precetti satanici – continuano i documentaristi francesi – l’adorazione del diavolo deve manifestarsi attraverso rituali e cerimonie che coinvolgono bambini, rituali che si rivelano alla presenza di alcuni simboli che li rappresentano». Il filmato accusa in particolare un prestigioso avvocato di origine ebraica, Alain Jacubowicz, che avrebbe minacciato Dieudonné, invitandolo (sinistramente) a «ridere bene con i suoi figli». Jacubowicz è il presidente della Licra, la Lega antirazzista francese, specializzata nella lotta contro l’antisemitismo, che «ha fatto di Dieudonné il bersaglio preferito di una diffamazione mediatica imbastita per screditare il comico e le sue denunce pubbliche contro i poteri occulti», scrive Federica Francesconi. «Jacubowicz è anche colui che ha difeso il B’nai B’rith e il Concistoro israelita durante i processi “Barbie”, “Touvier” e “Papon”, criminali e torturatori nazisti che durante la Seconda Guerra Mondiale si resero responsabili dell’uccisione di migliaia di ebrei». Il B’nai B’rith è un’associazione ebraica di stampo massonico, mentre il Concistoro israelita è l’istituzione rappresentativa degli ebrei di Francia.Quindi Jacubowicz è uno dei massini rappresentanti della comunità ebraica francese, «ma non un personaggio esattamente limpido se, come denunciato da Dieudonné, in un’aula del tribunale, davanti a decine di persone, ha minacciato di nuocere ai suoi figli pronunciando quell’inequivocabile frase dal sapore satanista», aggiunge Francesconi: “ridere bene coi propri figli” può essere un’allusione ai riti infernali di chi “ride” uccidendo bambini? «Ma si sa: a certi personaggi è permesso dire di tutto», aggiunge Francesconi. Certi big «godono dell’immunità pressoché integrale della magistratura», quindi non temono che il loro prestigio sociale possano essere scalfito. «E’ curioso che pochi mesi prima della strage del presunto commando jihadista contro la redazione di Charlie Ebdo, in Francia un disegnatore satirico, Plantu, sia stato assolto in un processo che lo vedeva accusato di incitamento all’odio religioso e alla violenza», aggiunge la blogger, dopo aver disegnato in una vignetta l’allora pontefice Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino. Palntu era stato assolto: quella vignetta «era soltanto una denuncia dell’omertà e del silenzio dei vertici ecclesiastici sul fenomeno sommerso della pedofilia nella Chiesa», e non già un atto di accusa indiscriminato contro tutti i cattolici. «Peccato che la stessa libertà di espressione non venga riconosciuta anche a Dieudonné, forse perché, a differenza di Plantu, punta il dito contro l’onnipotente e tentacolare comunità ebraica? A voi la risposta».Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».
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Mundell, il genio malvagio dell’euro: così vi rovineremo
L’idea che l’euro abbia “fallito” è pericolosamente ingenua. L’euro sta facendo esattamente quello che il suo progenitore – e il ricco 1% che l’ha adottato – hanno previsto e progettato che facesse. Il progenitore è un ex economista dell’università di Chicago, Robert Mundell. L’architetto dell’“economia dell’offerta” è ora un professore presso la Columbia University, ma io ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi rapporti con il mio professore di Chicago, Milton Friedman, ben prima che le ricerche di Mundell su valute e tassi di cambio avessero dato vita al progetto di un’unione monetaria europea e di una valuta europea comune. Mundell, allora, era più preoccupato dei lavori di ristrutturazione del suo bagno. Il professor Mundell, che ha sia un Premio Nobel sia un’antica villa in Toscana, mi disse furibondo: «Non mi permettono nemmeno di avere un gabinetto. Hanno regole per cui mi dicono che non posso avere un bagno in questa stanza! Ti rendi conto?». In effetti no, non posso rendermi conto. Ma io non ho una villa italiana, quindi non riesco a immaginare le frustrazioni per le norme edilizie che disciplinano il posizionamento dei gabinetti.Ma Mundell, da intraprendente canadese-americano, aveva intenzione di fare qualcosa: trovare un’arma che spazzasse via regole governative e norme sul lavoro (odiava veramente gli idraulici sindacalizzati che gli avevano fatto pagare un fracco di soldi per spostare il suo trono). «È molto difficile licenziare lavoratori in Europa», si era lamentato. La sua risposta fu l’euro. L’euro avrebbe realmente fatto il suo dovere quando sarebbero arrivate le crisi economiche, aveva spiegato Mundell. Togliere al governo il controllo sulla valuta avrebbe impedito agli odiosi, piccoli funzionari eletti di usare “estratti” di politiche monetarie e fiscali keynesiane per tirare un paese fuori dalla recessione. L’euro «mette la politica monetaria fuori dalla portata dei politici», disse. E «senza politica fiscale, l’unico modo in cui le nazioni possono mantenere i posti di lavoro è la riduzione competitiva delle regole sugli affari». Citò leggi sul lavoro, norme di tutela ambientale e, naturalmente, le tasse. L’euro avrebbe spazzato via tutto. Non si sarebbe permesso alla democrazia di interferire con il mercato – o con l’impianto idraulico!Come osserva un altro Nobel, Paul Krugman, la creazione dell’Eurozona ha violato la regola economica di base conosciuta come “area valutaria ottimale”. Era una regola inventata da Bob Mundell, ma questo non preoccupa Mundell: per lui, l’euro non riguardava la trasformazione dell’Europa in una potente unità economica unificata. Si trattava di Reagan e Thatcher. «Reagan non sarebbe stato eletto presidente senza l’influenza di Mundell», scrisse Jude Wanniski sul “Wall Street Journal”. L’economia dell’offerta pionieristica di Mundell è divenuta il modello teorico per la Reaganomics – o “economia voodoo”, come l’ha definita George Bush senior: la magica convinzione nella panacea del libero mercato che ha ispirato che le politiche della signora Thatcher. Mundell mi ha spiegato che, infatti, l’euro fa parte delle Reaganomics: «La disciplina monetaria impone la disciplina fiscale anche ai politici». E quando si verificano crisi, le nazioni economicamente disarmate hanno poco da fare, ma cancellano i regolamenti governativi all’ingrosso, privatizzano in modo massiccio le industrie statali, riducono le tasse e gettano lo stato sociale europeo nella discarica.Così, vediamo che il primo ministro Mario Monti (non eletto) ha preteso la “riforma” del diritto del lavoro in Italia per rendere più facile, per i datori di lavoro come Mundell, sparare agli idraulici toscani. Mario Draghi, capo (non eletto) della Banca Centrale Europea, chiede “riforme strutturali” – un eufemismo per i sistemi di frantumazione dei lavoratori. Cita la teoria nebulosa che questa “svalutazione interna” di ogni nazione li renderà tutti più competitivi. Monti e Draghi non possono credibilmente spiegare come, se ogni paese del continente riduce la propria forza lavoro, chiunque può ottenere un vantaggio competitivo. Ma non devono spiegare le proprie politiche; devono solo lasciare che i mercati agiscano sui titoli di Stato di ogni nazione. Quindi, l’unione monetaria è la guerra di classe con altri mezzi.La crisi in Europa e le fiamme della Grecia hanno prodotto il bagliore di ciò che il sommo filosofo Joseph Schumpeter ha chiamato “distruzione creativa”. L’apologeta del libero mercato Thomas Friedman, seguace di Schumpeter, volò ad Atene per visitare il “tempio improvvisato” della banca bruciata dove tre persone erano morte dopo esser state bombardate dai manifestanti anarchici, e ha usato l’occasione per condurre un’omelia sulla globalizzazione e l’“irresponsabilità” greca. Le fiamme, la disoccupazione di massa, la svendita delle risorse nazionali porterebbero ciò che Friedman definiva “rigenerazione” della Grecia e, in ultima analisi, di tutta l’Eurozona. Così che Mundell e gli altri con ville possono ben mettere i loro bagni ovunque vogliono. Lungi dall’essere un fallimento, l’euro, che era il figlio di Mundell, è riuscito probabilmente ad andare al di là dei sogni più selvaggi del suo progenitore.(Greg Palast, “Robert Mundell, il genio malvagio dell’euro”, dal “Guardian” del 26 giugno 2012).L’idea che l’euro abbia “fallito” è pericolosamente ingenua. L’euro sta facendo esattamente quello che il suo progenitore – e il ricco 1% che l’ha adottato – hanno previsto e progettato che facesse. Il progenitore è un ex economista dell’università di Chicago, Robert Mundell. L’architetto dell’“economia dell’offerta” è ora un professore presso la Columbia University, ma io ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi rapporti con il mio professore di Chicago, Milton Friedman, ben prima che le ricerche di Mundell su valute e tassi di cambio avessero dato vita al progetto di un’unione monetaria europea e di una valuta europea comune. Mundell, allora, era più preoccupato dei lavori di ristrutturazione del suo bagno. Il professor Mundell, che ha sia un Premio Nobel sia un’antica villa in Toscana, mi disse furibondo: «Non mi permettono nemmeno di avere un gabinetto. Hanno regole per cui mi dicono che non posso avere un bagno in questa stanza! Ti rendi conto?». In effetti no, non posso rendermi conto. Ma io non ho una villa italiana, quindi non riesco a immaginare le frustrazioni per le norme edilizie che disciplinano il posizionamento dei gabinetti.
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Bufera su Visco, ma silenzio sul retroscena (supermassonico)
Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro anche lo strano “suicidio” di David Rossi.«Anziché attaccare il Grande Oriente per le vicende provinciali di Banca Etruria – afferma Magaldi, oggi presidente del Movimento Roosevelt – giornali e televisioni farebbero meglio a interrogarsi sul ruolo di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, poi ministra di Monti: erano al vertice di Bankitalia quando la banca centrale avrebbe dovuto vigilare sull’operato del Montepaschi». Analoga polemica con Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”: «Si parla genericamente di massoneria, in relazione a piccole vicende locali, mentre si continua a ignorare il ruolo supermassonico di primo piano rivestito in Italia, per conto di reti internazionali, da personalità come Monti, Draghi, la stessa Tarantola, l’ex presidente Napolitano e l’attuale ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan». Sotto il fuoco renziano è ora finito Ignazio Visco? Non una parola, dal mainstream, sul possibile retroterra comune dei contendenti, legati a influenti “salotti” non italiani. Silenzio anche sul ruolo della banca centrale, a cui un altro supermassone, l’eurocrate Carlo Azeglio Ciampi, “staccò la spina” nel 1980, facendo in modo che Bankitalia cessasse di fungere da “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo lo Stato – per finanziare il debito pubblico – a rivolgersi all’esosa finanza internazionale, mettendo all’asta i propri bond. Risultato: una falla rovinosa nel debito italiano, perfetta per indebolire il paese di fronte all’eurocrazia.«La messa alla berlina del governatore Visco ad opera della maggioranza piddina rappresenta un patetico scaricabarile politico», scrive Alberto Bagnai sul blog “Goofynomics”, che parla di «modus paraculandi». Bankitalia non vigilava adeguatamente sulla crisi delle banche italiane? Consob neppure? Chi, onestamente, può dire il contrario? «Ma pensiamo davvero che Visco e Fazio fossero degli incompetenti, dei dilettanti? Se così fosse – aggiunge Bagnai – la loro nomina ad opera della classe dirigente che ancora oggi si ripropone come insostituibile oligarchia dovrebbe suscitare alcune domande anche nell’elettore più superficiale». Forse, continua Bagnai, la causa di tante “sviste” ad opera degli organismi di controllo esterni e interni alle banche italiane «era imputabile non all’umana pochezza ma ad un’altra causa: ad un vincolo esterno». Più precisamente «a un chiaro e inequivocabile ordine di scuderia», emanato in sede europea. «Un ordine al quale tutti, ma proprio tutti, dai vertici Bce fin al più passivo sindaco e revisore della più piccola banca territoriale», dovevano sottostare. Ovvero: «Non intralciare l’enorme arbitraggio finanziario reso possibile dal Trattato di Maastricht e dall’unione monetaria».Arbitraggio? «Così si chiama il prendere a prestito nel nucleo e prestare con spread ai mal-investitori della periferia senza subire rischi di cambio e senza alcun controllo sui movimenti dei capitali», spiega l’economista. «Una colossale macchina da soldi, la cui già enorme potenza era ulteriormente amplificata dal mercato dei derivati, grazie al quale si diluivano i rischi di credito nell’oceano degli ignari e polverizzati investitori globali». In pratica, una droga: «Come nel narcotraffico fisico, nel narcotraffico finanziario tutti si sono sporcati le mani: i coltivatori (ingegneri e top manager finanziari), i cartelli dei trafficanti (le grandi banche del nucleo, cresciute in “Germagna” sino a diventare uno Stato nello Stato), i cartelli degli spacciatori e la loro rete di “down the line dealers” (le grandi banche commerciali periferiche e le numerose banchette che le contornano)». E poi anche «i governi, i responsabili dei controlli a tutti i livelli: pubblici e privati, nazionali e internazionali, i partiti e le forze politiche, tutti pro-Maastricht e pro-euro (ricordo che la “Costituzione europea” da noi fu votata all’unanimità e il Fiscal Compact con dibattito praticamente zero»).E’ stato questo il “miracolo” dell’euro, sintetizza Bagnai con sarcasmo: «È stata questa la fonte di accumulo di capitale finanziario che ora permette la fase due: sfruttare la mobilità incontrollata del lavoro». Quindi, «cari moralisti falliti e vigliacchi – chiosa l’economista – chi di voi è senza Maastricht scagli la prima pietra». Se è difficile leggere analisi di questo tenore sulla grande stampa, o tantomeno ascoltarle in televisione, è addirittura impensabile imbattersi in spiegazioni dettagliate su quello che Bagnai chiama “vincolo esterno”. La piaga del neoliberismo finanziario in versione europea ha drasticamente impoverito centinaia di milioni di persone? Certamente, osserva Magaldi, ma bisogna pur sapere che ogni piano – compreso questo – cammina sulle gambe di individui precisi, accuratamente selezionati da un’élite occulta per occupare posti-chiave. Rarissimo che l’oligarchia si dichiari: è accaduto di recente in Francia, quando il supermassone reazionario Jacques Attali ha rivendicato la partenità del progetto che ha portato all’Eliseo la sua creatura, Emmanuel Macron, già dirigente della Banca Rothschild. In Italia, invece, si sorvola regolarmente anche su un altro difensore di Ignazio Visco: Romano Prodi. «Ne parlerò nel sequel di “Massoni”, di prossima uscita», annuncia Magaldi.«Pessimo interprete di questa globalizzazione privatizzatrice», l’ex premier ulivista, ex presidente della Commissione Europea nonché advisor di Goldman Sachs: benché ufficialmente “progressista” sarebbe anch’esso «affiliato a quelle potenti reti supermassoniche internazionali che hanno progettato la grande crisi, in termini di svuotamento della democrazia e colossale trasferimento della ricchezza dal basso verso l’alto», sostiene Magaldi. La stampa ne coglie sempre e solo gli effetti terminali – la disoccupazione, la crisi dei risparmiatori colpiti dai crack bancari – evitando però sempre di inquadrare il disegno, i suoi architetti occulti e i relativi interpreti locali. Non stupisce che giornali e televisioni continuino a ignorare le rivelazioni di Magaldi, che forniscono un’inedita geografia del vero potere. Tra le 36 superlogge mondiali, da cui dipendono entità paramassoniche come il Bilderberg e la stessa Trilaterale, spicca il ruolo nefasto svolto negli ultimi decenni dalle Ur-Lodges neoaristocratiche e oligarchiche, come la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose”, la “Leviathan”, la “White Eagle”, senza contare la potentissima “Three Eyes” (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) e la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, secondo Magaldi con intenti addirittura terroristici (11 Settembre, Al-Qaeda, Isis).A valle, la mappa del back-office del potere si rifletterebbe in Italia – come in ogni altro paese, non solo occidentale – nel reticolo dei leader locali: Magaldi ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali). Della “Three Eyes” farebbero parte anche Padoan e Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da uomini affiliati a Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia). Ignazio Visco, l’attuale governatore di Bankitalia, sarebbe invece legato alla “Edmund Burke” (insieme all’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco). Ma non c’è caso che ne si faccia cenno, nelle cronache: tutto finirà, come sempre, attorno alle chiacchiere di Renzi, più quelle su Renzi e quelle contro Renzi, senza spiegare verso quali scogli sta andando la nave, e per ordine di chi.Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro lo strano “suicidio” di David Rossi.
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Esercito europeo, cioè tedesco: via gli inglesi, Berlino trama
Un putsch silenzioso è in corso nelle istituzioni europee, con la brutale velocità di un blitzkrieg, per mutare la Ue in Quarto Reich. Così sussurrano le voci ben informate del Deep Superstate a Bruxelles, raccolte dal sito belga “Dedefensa”, che ha nell’ambiente buone entrature, assicura Maurizio Blondet. «Con il Brexit – racconta “Dedefensa” – i funzionari britannici stanno lasciando posti strategici nel labirinto istituzionale e burocratico che hanno occupato, da abili tattici, per una trentina d’anni». E invece di aprire «una procedura trasparente di ripartizione fra i funzionari degli Stati membri», ecco che «i tedeschi li occupano praticamente tutti loro, approfondendo il loro potere su queste retrovie strategiche decisive e dando la loro impronta alla Ue». Il punto è che i britannici, da quei posti-chiave, «erano riusciti a bloccare i più ambiziosi progetti sovrannazionali e oligarchici delle tecno-eurocrazie». Partiti loro, e «dato l’incredibile stato di deliquescenza della Francia ormai subalterna a Berlino», la via è ormai aperta «alla chiusura in gabbia degli europei in un sistema che corrisponde all’ideologia e agli istinti profondi dello Stato più grosso e pesante economicamente».Sempre “Dedefensa” ricorda che la Prussia «non unificò la Germania proponendo gli altri staterelli germanofoni un esplicito progetto politico, bensì una pacifistica unione doganale (Zollwerein)». Il concetto di Reich esprime qualcosa di più che uno Stato, ma non arriva a esprimere un’idea propriamente imperiale, «perché ogni impero è multinazionale, mentre il Reich del Kaiser puntò alla omogeneità del Volk e della Kultur». Di fatto, divenne una struttura di comando e obbedienza, ossia l’estensione del prussianesimo dalla Baviera ad Hannover. «Su questa pericolosa forma che l’Unione Europea tende a prendere di per sé sotto il dominio delle tecnoburocrazie a-politiche e sovrannazionali, John Laughland ha scritto un saggio la cui lettura andrebbe resa obbligatoria ai politici, “The Tainted Source” (La fonte inquinata)». I politici d’oggi, rileva Blondet, «non avendo la levatura di un Andreotti», l’uomo che disse «amo a tal punto la Germania che ne preferisco due», non sono capaci di capire il rischio riassunto nello slogan “ci vuole più Europa”, un’Europa «a cui il Quarto Reich somiglia», anche se «i servi mediatici ci parleranno di una Merkel che “avanza verso il federalismo europeo”».Intanto, continua Blondet, i tedeschi ci annetteranno «alla loro già smodata potenza economica e finanziaria, che governano coi diktat nel più brutale disprezzo delle regole che loro stessi impongono (vedasi il loro demenziale surplus)». Si “mangeranno” «anche la politica estera comune e a difesa “europea”: allora sarà davvero il Quarto Reich». La dipartita dei britannici, secondo Blondet, lascia in balia della Germania lo European External Action Service (Eeas), cioè «il colossale sub-ministero (scommetto che pochi ne avrete sentito parlare) i cui burocrati dettano la politica estera europoide, forte d 3.400 dipendenti e di 140 delegazioni estere». Fatto «aggravato dalla vera e propria incredibile e sospetta dimissione francese, quando il segretario generale di questo servizio estero, Alain Le Roy, s’è dimesso per “motivi personali” senza che l’Eliseo di Hollande reclamasse il posto», poi «immediatamente occupato per cooptazione da Helga Schmidt, tedesca, fatta salire da n.2 del servizio a n. 1 senza che i francesi né alcun altro “latino” chiedessero almeno questo n.2 liberatosi».Così ora la Schmidt «spadroneggia con mano pesante germanica sul servizio», mettendo in ombra la già ectoplasmatica Federica Mogherini, “alto rappresentante” Ue per la politica estera. Una sudditanza che la Germania «vuole rendere eterna, avendo chiesto a Berlusconi (che ha eliminato come sappiamo nel 2011) di formare dopo le elezioni un governo col Pd, per non dare il potere ai “populisti”; inutile dire che il Cavaliere, scodinzolando, ha detto sì». Sempre secondo Blondet, oggi la Germania punta sulla difesa comune europea, progetto ieri frenato da Charles de Gaulle e poi dagli inglesi. «Adesso la Merkel lo vuole fortemente, l’esercito europeo. Il che significa, retorica a parte, che siano i francesi a conferire al Reich le forze armate», dato che quella di Parigi è la maggior forza armata in ambito Ue. Un nuovo euro-caccia, prodotto dalla francese Dassault (l’industria dello storico Mirage) potrebbe accelerare «l’annessione di fatto». Dopodiché «si porrà la questione della potenza nucleare di dissuasione, che la Germania vorrà sia conferita all’esercito europeo, ossia alla Germania». Blondet sottolinea un indizio: «Non è improbabile che quando Macron ha sbattuto fuori il generale De Villiers, il capo di stato maggiore, sia stato perché costui obiettava alla “fusione-acquisizione” delle armate francesi da parte di Berlino. E il saluto corale e silenzioso che tutto il personale ha tributato al generale dimissionario, è forse la sola ultima speranza che che il Quarto Reich mercantile e brutale venga impedito».Un putsch silenzioso è in corso nelle istituzioni europee, con la brutale velocità di un blitzkrieg, per mutare la Ue in Quarto Reich. Così sussurrano le voci ben informate del Deep Superstate a Bruxelles, raccolte dal sito belga “Dedefensa”, che ha nell’ambiente buone entrature, assicura Maurizio Blondet. «Con il Brexit – racconta “Dedefensa” – i funzionari britannici stanno lasciando posti strategici nel labirinto istituzionale e burocratico che hanno occupato, da abili tattici, per una trentina d’anni». E invece di aprire «una procedura trasparente di ripartizione fra i funzionari degli Stati membri», ecco che «i tedeschi li occupano praticamente tutti loro, approfondendo il loro potere su queste retrovie strategiche decisive e dando la loro impronta alla Ue». Il punto è che i britannici, da quei posti-chiave, «erano riusciti a bloccare i più ambiziosi progetti sovrannazionali e oligarchici delle tecno-eurocrazie». Partiti loro, e «dato l’incredibile stato di deliquescenza della Francia ormai subalterna a Berlino», la via è ormai aperta «alla chiusura in gabbia degli europei in un sistema che corrisponde all’ideologia e agli istinti profondi dello Stato più grosso e pesante economicamente».
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Bukovskij: l’Ue coniata con l’Urss, aspettatevi Kgb e Gulag
Nel 1992 ho avuto un accesso senza precedenti ai documenti del Politburo e del Comitato Centrale, documenti che sono stati classificati per 30 anni, e lo sono ancora oggi. Questi documenti dimostrano molto chiaramente che l’idea di trasformare il mercato comune europeo in uno Stato federale è stata concordata tra i partiti di sinistra dell’Europa e Mosca come un progetto congiunto che [il leader sovietico Mikhail] Gorbaciov nel 1988-89 chiamò la nostra “casa comune europea”. L’idea era molto semplice. È emersa per la prima volta nel 1985-86, quando i comunisti italiani visitarono Gorbaciov, seguiti dai socialdemocratici tedeschi. Tutti loro si lamentarono che i cambiamenti nel mondo, in particolare dopo che [il primo ministro britannico Margaret] Thatcher introdusse la privatizzazione e la liberalizzazione economica, stessero minacciando di eliminare le conquiste (come le definivano) di generazioni di socialisti e socialdemocratici, minacciando di annullarle completamente. Quindi l’unico modo per resistere a questo attacco del capitalismo selvaggio (come lo definivano) era cercare di introdurre contemporaneamente gli stessi obiettivi socialisti in tutti i paesi.Precedentemente, i partiti di sinistra e l’Unione Sovietica si erano molto opposti all’integrazione europea, perché la percepivano come un mezzo per bloccare i loro obiettivi socialisti. Dal 1985 in poi hanno completamente cambiato idea. I sovietici giunsero a un accordo con i partiti di sinistra e alla conclusione che, se avessero lavorato insieme, avrebbero potuto dirottare l’intero progetto europeo e ribaltarlo. Invece che in un mercato aperto, lo avrebbero trasformato in uno Stato federale. Secondo i documenti [segreti sovietici], il 1985-86 è il punto di svolta. Ho pubblicato la maggior parte di questi documenti. Potete trovarli anche su Internet. Ma le conversazioni che hanno avuto aprono veramente gli occhi. Per la prima volta si capisce che c’è una cospirazione – abbastanza comprensibile per loro, perché cercavano di salvarsi politicamente la pelle. A Est, i sovietici avevano bisogno di un cambiamento di relazioni con l’Europa, perché stavano entrando in una crisi strutturale protratta e profonda; a Occidente, i partiti di sinistra temevano di essere spazzati via e di perdere la loro influenza e il loro prestigio. Quindi era una cospirazione, apertamente fatta, concordata e elaborata da loro.Nel gennaio del 1989, per esempio, una delegazione della Commissione Trilaterale è venuta in visita a Gorbaciov. Ha incluso [l’ex primo ministro giapponese Yasuhiro] Nakasone, [l’ex presidente francese Valéry] Giscard d’Estaing, [il banchiere americano David] Rockefeller e [l’ex segretario di Stato americano Henry] Kissinger. Hanno avuto una bella conversazione dove hanno cercato di spiegare a Gorbaciov che la Russia sovietica doveva integrarsi nelle istituzioni finanziarie del mondo, come il Gatt, il Fmi e la Banca Mondiale. Nel mezzo della conversazione, Giscard d’Estaing prende improvvisamente la parola: «Signor presidente, non posso dirvi esattamente quando accadrà, probabilmente entro 15 anni, ma l’Europa diventerà uno Stato federale e dovete prepararvi a questo. Dovete lavorare con noi, e coi leader europei, e dovete essere preparati, su come reagireste, come permettereste agli altri paesi dell’Europa dell’Est di interagirvi o farne parte».Questo era il gennaio 1989, in un momento in cui il trattato di Maastricht [1992] non era nemmeno stato redatto. Come diavolo faceva Giscard d’Estaing a sapere cosa sarebbe avvenuto in 15 anni? E – sorpresa, sorpresa – come è diventato l’autore della Costituzione Europea [nel 2002-03]? Un’ottima domanda. Odora di cospirazione, vero? Fortunatamente per noi, la parte sovietica di questa cospirazione era crollata in precedenza e non raggiunse il punto in cui Mosca poteva influenzare il corso degli eventi. Ma l’idea originaria era quella di avere quella che chiamavano una convergenza, per cui l’Unione Sovietica si sarebbe addolcita diventando più socialdemocratica, mentre l’Europa occidentale sarebbe diventata socialdemocratica e socialista. Allora ci sarebbe stata la convergenza. Le strutture si sarebbero divute adattare tra loro. Ecco perché le strutture dell’Unione Europea sono state originariamente costruite allo scopo di adattarsi alla struttura sovietica. Ecco perché sono così simili nel funzionamento e nella struttura.Non è un caso che il Parlamento Europeo, ad esempio, mi ricordi il Soviet Supremo. Sembra il Soviet Supremo perché è stato progettato come il Soviet Supremo. Allo stesso modo, quando si guarda alla Commissione Europea, sembra il Politburo. Voglio dire, è esattamente il Politburo, salvo il fatto che la Commissione adesso ha 25 membri e il Politburo ha soltanto 13 o 15 membri. A parte questo, sono esattamente gli stessi, non devono rendere conto a nessuno, non sono eletti direttamente da nessuno. Quando si guarda a tutta questa bizzarra attività dell’Unione Europea con le sue 80.000 pagine di regolamenti, sembra il Gosplan. Noi eravamo abituati ad avere un’organizzazione che pianificava tutto nell’economia, fino all’ultimo dado e bullone, in anticipo per cinque anni. Esattamente la stessa cosa sta avvenendo nell’Ue. Quando si guarda al tipo di corruzione dell’Ue, è esattamente il tipo di corruzione sovietico, che procede dall’alto verso il basso piuttosto che dal basso verso l’alto.Se si passano in rassegna tutte le strutture e le caratteristiche di questo emergente mostro europeo, si noterà che assomiglia sempre di più all’Unione Sovietica. Naturalmente, è una versione più mite dell’Unione Sovietica. Per favore, non fraintendetemi. Non sto dicendo che ha i Gulag. Non ha nessun Kgb – non ancora – ma sto osservando molto attentamente ad esempio strutture come Europol. Ciò mi preoccupa molto, perché questa organizzazione probabilmente avrà poteri più grandi di quelli del Kgb. Avranno l’immunità diplomatica. Potete immaginare un Kgb con immunità diplomatica? Dovranno sorvegliarci su 32 tipi di reati – due dei quali sono particolarmente preoccupanti, uno è chiamato razzismo, l’altro è chiamato xenofobia. Nessun tribunale penale sulla terra definisce qualcosa del genere come un crimine [questo non è del tutto vero, perché il Belgio già procede in questo modo]. Quindi è un nuovo crimine, e siamo già stati avvertiti. Qualcuno nel governo britannico ci ha detto che coloro che si oppongono all’immigrazione incontrollata dal Terzo Mondo saranno considerati razzisti e quelli che si oppongono all’integrazione europea saranno considerati xenofobi. Penso che Patricia Hewitt lo abbia detto in pubblico.Di conseguenza, siamo stati avvertiti. Nel frattempo introducono sempre più ideologia. L’Unione Sovietica era uno Stato governato dall’ideologia. L’ideologia odierna dell’Unione Europea è socialdemocratica, statalistica, e una gran parte di essa è il politically correct. Osservo con molta attenzione come il politicamente corretto si diffonda e diventi un’ideologia oppressiva, per non parlare del fatto che vietano di fumare quasi ovunque. Guardate questa persecuzione delle persone come il pastore svedese che è stato perseguitato per diversi mesi perché ha detto che la Bibbia non approva l’omosessualità. La Francia ha approvato la stessa legge contro l’incitamento all’odio sui gay. La Gran Bretagna sta introducendo leggi contro l’incitamento all’odio nelle relazioni razziali e ora anche nelle questioni religiose, e così via. Quello che si osserva, preso in prospettiva, è l’introduzione sistematica di ideologia, che potrebbe essere successivamente fatta rispettare con misure oppressive. A quanto pare questo è l’intero scopo dell’Europol. Altrimenti perché ne abbiamo bisogno? L’Europol mi sembra molto sospetta. Osservo con molta attenzione chi viene perseguito per cosa e cosa sta succedendo, perché è un campo in cui sono un esperto. So come nascono i Gulag.Sembra che viviamo in un periodo di rapido, sistematico e molto consistente smantellamento della democrazia. Guarda questo disegno di legge per la riforma legislativa e normativa. Rende i ministri dei legislatori che possono introdurre nuove leggi senza preoccuparsi di dirlo al Parlamento né a nessun altro. La mia reazione immediata è: perché ci serve? La Gran Bretagna è sopravvissuta a due guerre mondiali, alla guerra con Napoleone, all’Armada spagnola, per non parlare della Guerra Fredda, quando ci veniva detto che in qualsiasi momento potevamo avere una guerra mondiale nucleare, senza necessità di introdurre questa legislazione, senza bisogno di sospendere le nostre libertà civili e introdurre poteri emergenziali. Perché ne abbiamo bisogno adesso? Questo può trasformare il vostro paese in una dittatura in pochissimo tempo. La situazione di oggi è veramente triste. I principali partiti politici sono stati completamente catturati dal nuovo progetto comunitario. Nessuno di loro vi si oppone veramente. Sono diventati molto corrotti. Chi difenderà le nostre libertà?Sembra che stiamo andando verso una specie di collasso, una sorta di crisi. L’esito più probabile è che ci sarà un collasso economico, in Europa, che a tempo debito dovrà accadere con questa crescita delle spese e delle tasse. L’incapacità di creare un ambiente competitivo, l’eccessiva regolamentazione dell’economia, la burocratizzazione, porterà al crollo economico. In particolare l’introduzione dell’euro è stata un’idea folle. La valuta non dovrebbe essere una questione politica. Non ne ho dubbi. Ci sarà un crollo dell’Unione Europea, quasi simile al modo in cui è collassata l’Unione Sovietica. Ma non dimenticate che quando queste cose crollano lasciano una tale devastazione che ci vuole una generazione per recuperare. Basta pensare che cosa accadrà se si tratterà di una crisi economica. Le recriminazioni tra le nazioni saranno enormi. Si potrebbe arrivare alla guerra.Guardate l’enorme numero di immigrati provenienti dai paesi del Terzo Mondo che ora vivono in Europa. Questa immigrazione è stata promossa dall’Unione Europea. Cosa succederà se c’è un crollo economico? Probabilmente avremo tanti conflitti etnici che la mente ne rimane sconvolta, come è avvenuto con la fine dell’Unione Sovietica. In nessun altro paese vi erano tensioni etniche come nell’Unione Sovietica, tranne probabilmente in Jugoslavia. Quindi è esattamente ciò che accadrà anche qui. Dobbiamo essere preparati a questo. Questo enorme edificio di burocrazia crollerà sulle nostre teste. Ecco perché, e sono molto sincero, quanto prima chiuderemo con l’Ue, meglio è. Quanto prima crolla, meno danni avrà fatto a noi e ad altri paesi. Ma dobbiamo essere rapidi, perché gli eurocrati stanno muovendosi molto velocemente. Sarà difficile sconfiggerli. Oggi è ancora semplice. Se oggi un milione di persone marcia a Bruxelles, questi personaggi scapperanno alle Bahamas.Se domani metà della popolazione britannica rifiuterà di pagare le proprie tasse, non accadrà nulla e nessuno andrà in prigione. Oggi puoi ancora farlo. Ma non so quale sarà la situazione domani, con un Europol completamente sviluppata, con personale preso da ex-funzionari della Stasi o della Securitate. Potrebbe succedere di tutto. Stiamo perdendo tempo. Dobbiamo sconfiggerli. Dobbiamo sederci e pensare, elaborare una strategia per ottenere il massimo effetto possibile nel modo più breve possibile. Altrimenti sarà troppo tardi. Quindi cosa dovrei dire? La mia conclusione non è ottimista. Finora, malgrado il fatto che in quasi tutti i paesi abbiamo delle forze anti-Ue, ciò non è sufficiente. Stiamo perdendo e stiamo sprecando tempo.(Vladimir Bukovskij, testo del discorso pronunciato a Bruxelles nel 2006 e ancora drammaticamente attuale, ripreso da “Voci dall’Estero”. Già dissidente politico in Urss, lo scrittore riparò in Gran Bretagna dopo la prigionia nei Gulag. Tra le sue opere “Una nuova malattia mentale in Urss, l’opposizione”, Etas Kompass, “Guida psichiatrica per dissidenti”, L’erba voglio, “Il vento va e poi ritorna”, Feltrinelli, “Urss, dall’utopia al disastro”, Spirali, e “Gli archivi segreti di Mosca”, Spirali).Nel 1992 ho avuto un accesso senza precedenti ai documenti del Politburo e del Comitato Centrale, documenti che sono stati classificati per 30 anni, e lo sono ancora oggi. Questi documenti dimostrano molto chiaramente che l’idea di trasformare il mercato comune europeo in uno Stato federale è stata concordata tra i partiti di sinistra dell’Europa e Mosca come un progetto congiunto che [il leader sovietico Mikhail] Gorbaciov nel 1988-89 chiamò la nostra “casa comune europea”. L’idea era molto semplice. È emersa per la prima volta nel 1985-86, quando i comunisti italiani visitarono Gorbaciov, seguiti dai socialdemocratici tedeschi. Tutti loro si lamentarono che i cambiamenti nel mondo, in particolare dopo che [il primo ministro britannico Margaret] Thatcher introdusse la privatizzazione e la liberalizzazione economica, stessero minacciando di eliminare le conquiste (come le definivano) di generazioni di socialisti e socialdemocratici, minacciando di annullarle completamente. Quindi l’unico modo per resistere a questo attacco del capitalismo selvaggio (come lo definivano) era cercare di introdurre contemporaneamente gli stessi obiettivi socialisti in tutti i paesi.
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Il “fratello” Romano Prodi, globalizzatore in grembiulino
Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo ricevuto nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.Nel “primo round” delle sue clamorose rivelazioni – silenziate dal mainstrem in modo tombale – Magaldi ha scontato una critica ricorrente: non aver documentato le sue affermazioni, spesso esplosive, al punto da ridisegnare la mappa del vero potere, mettendo in relazione personaggi come Monti, Draghi e Napolitano con il mondo internazionale delle 36 Ur-Lodges che rappresentano il supremo vertice delle grandi decisioni. In realtà, Magaldi è stato chiaro dal principio: «Ogni mia affermazione è documentabile, dispongo di 6.000 pagine di dossier. Sono pronto a esibirle, se qualcuno contesterà quanto ho scritto». Ma gli interessati, naturalmente, si sono ben guardati dal fiatare: molto meglio la congiura del silenzio. E ora, dopo “La scoperta delle Ur-Lodges”, si avvicina la pubblicazione del sequel, “Globalizzazione e massoneria”, con retroscena sulla svolta oligarchica che ha svuotato le democrazie occidentali, imponendo politiche di rigore (e oggi anche terrorismo targato Isis) affidate a docili esecutori: come lo stesso Prodi, la cui vera identità – secondo Magaldi – è sfuggita alla maggior parte degli italiani. Un uomo di potere, in grembiulino. L’elettorato di sinistra lo ricorda con nostalgia? Sbaglia: il primo a metterlo in croce, quand’era a capo della Commissione Ue, fu Paolo Barnard su “Report”, che presentò il ritratto di un cinico tecnocrate, schierato con i peggiori oligarchi.Prodi è stato l’unico a battere Berlusconi, due volte su due? Vero, ammette Magaldi, parlando a “Colors Radio”: all’inizio, «quel grande carrozzone che è stato l’Ulivo individuò in modo perfetto, in Prodi, il suo leader». E Berlusconi, «grazie ai buoni uffici della Lega di Bossi, fu defenestrato, nel ‘94». Poi l’interregno di Lamberto Dini e quindi l’arrivo di Prodi nel ‘96. Con che esito? «L’effetto del governo Prodi è stato così ottimo, traghettandoci così bene in Europa, che nel 2001 Berlusconi ha rivinto». Poi c’è stata la seconda vittoria prodiana del 2006, di stretta misura, presto naufragata tra il Pd veltroniano, Bertinotti e Mastella, fino a rimettere Berlusconi al potere nel 2008. Certo, «Berlusconi si è rovinato con le sue mani: non è stato all’altezza della situazione». Ma a pesare, nel fallimento di Prodi, «sono state le pessime azioni di governo, da parte di Prodi e di tutti coloro che l’hanno accompagnato: il centrosinistra italiano, con Prodi e gli altri, non ha saputo produrre una politica lungimirante per questo paese». In altre parole, per Magaldi, «Prodi non ha saputo interpretare il post-1992 in un senso utile a costruire benessere, non dico uguale ma almeno di poco inferiore a quello della Prima Repubblica».Al pari del centrodestra di Berlusconi, il centrosinistra «ha fatto scempio dell’interesse del popolo italiano», piegandosi all’élite eurocratica. E quindi, «che benemerenza c’è nel fatto che Prodi si sia alternato a Berlusconi, battendolo?». In pratica, «sono due facce della stessa medaglia: centrodestra e centrosinistra si sono alternati senza nessuna vera differenza nella gestione di un paese che dipendeva da linee progettate altrove: costoro hanno soltanto fatto da esecutori, secondo una commedia dell’arte per cui, magari, apparentemente, mettevano ingredienti diversi, ma la sostanza rimaneva la medesima». Linee progettate altrove: nei santuari dell’oligarchia finanziaria, industriale, militare, che – partendo dai circuiti esclusivi delle superlogge internazionali – dirama vere e proprie direttive, declinate attraverso think-tank e organismi paramassonici (Trilaterale, Bilderberg, World Bank, Fmi) per poi scendere, a cascata, fino ai governi nazionali, ai leader come D’Alema, Prodi, Renzi. A volte, poi, l’élite supermassonica “commissaria” direttamente un paese: è accaduto con il “fratello” Monti, «che rappresenta quanto di peggio può offrire la rete massonica sovranazionale in senso neo-aristocratico».«Ho più rispetto e stima per un Mario Draghi, che reputo più pericoloso», dice Magaldi. «Monti è un massone che è stato vittima della propria tracotanza, della propria retorica manipolatoria. E appena ha avuto l’occasione di passare dal “back-office” al “front-office”, ha fallito miseramente per eccesso di narcisismo, avendo creduto lui stesso alla retorica che i media italiani avevano creato attorno alla sua figura e alle meraviglie presunte del suo governo». Per Magaldi, Mario Monti è comunque «un grande sconfitto, in questo tentativo di devastazione industriale, economica e sociale dell’Italia: ci ha provato, ha fatto dei danni, ma poi è stato preso a calci nel sedere dall’elettorato». Dopo di lui, è arrivato Enrico Letta, che secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, è un “paramassone”, in realtà in quota all’Opus Dei. «Non ne sentiamo la mancanza», assicura Magaldi. «Nessun rimpianto: se c’è una cosa buona che ha fatto Renzi, a parte la legge sulle unioni civili, è stata quella di aver mandato a casa Enrico Letta e il suo soporifero governo, che peraltro riprendeva e ricalcava pienamente le politiche di Monti». Quanto alle tentazioni massoniche dell’ex premier, Magaldi si è già espresso più volte: «Renzi ha ripetutamente bussato alle porte della supermassoneria reazionaria, attraverso il Council on Foreign Relations, ma non gli è stato aperto». A differenza del “fratello” Romano Prodi, che invece – secondo Magaldi – siede da lunghi anni nel salotto buono della super-massoneria di potere.Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa, tra le tante: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo “ricevuto” nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.
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Barnard: leggete a chi vanno i miliardi della Bce. E vomitate
Mi prenderei a sberle. Avevo un documento agghiacciante in scrivania e non l’ho aperto per mesi. Dentro c’è la verità su chi Mario Draghi sta veramente finanziando coi miliardi del Quantitative Easing (Qe) mentre storce il naso se Roma chiede 20 euro per gli abruzzesi in ipotermia, sfollati da mesi, con morti in casa e la vita devastata, o per mettere 11 euro in più nel Job Act infame di Renzi e Poletti. Quando io gridavo a La7 “Criminali!” contro gli eurocrati, l’autore del programma, Alessandro Montanari, mi si avvinghiava alla giacca dietro le quinte e mi rampognava fino alla diarrea. Quel genio di Oliviero Beha mi rampognò in diretta, è in video. Ma voi leggete sotto, mentre pensate ai sofferenti d’Italia. Bacinella del vomito a portata di mano, raccomando. Il pdf in questione mi arrivò a fine ottobre via mail da Amsterdam, fonte autorevole oltre ogni dubbio. M’ingannò, porcaputtana, il subject mail che era “Draghi finanzia il Climate Change”. Pensai, ok, ci arrivo, un attimo, c’è la Siria, Trump, il referendum… Ma dentro quel pdf c’era ben di peggio. Ora alcuni fatti spiegati alla nonna per capire il resto dell’incubo Ue.La Banca Centrale Europea crea tutti gli euro che esistono. E’ una specie di governo di questa Ue. Dopo appena 13 anni la moneta unica aveva letteralmente fatto a pezzi ogni singolo paese dell’Eurozona, Germania inclusa (diedi i dati in Tv 3.000 volte). Tutto il mondo finanziario extra europeo sapeva (e sa) che l’euro è fallito. A quel punto l’unico modo perché l’unione monetaria non crollasse in una catastrofe economica da libri di storia era se il creatore dell’euro, la Bce, si metteva a comprare una gran massa dei beni finanziari emessi dagli Stati-euro che ormai erano visti come semi-spazzatura dal mondo. Questo per artificialmente tenerne i prezzi e gli interessi a un livello di decenza. Draghi con la Bce lo fece: l’operazione si chiama Quantitative Easing (Qe). Ma non bastò, anzi, le cose andarono anche peggio per motivi che già scrissi 3 milioni di volte. Il problema era che anche le aziende private nell’Eurozona andavano da vomitare.Dovete sapere che anche le aziende emettono beni finanziari, cioè titoli. E allora Draghi alla disperazione si presentò l’anno scorso a giugno e annunciò un altro Qe, però questa volta per le aziende, col nome di Cspp. E si mise a comprare miliardi in titoli di aziende per puntellarle anche se semidecomposte. Dovete capire che un’azienda ha in pratica due modi di finanziarsi con prestiti: chiedere in banca o emettere titoli. E Draghi annuncia che ora la Bce gli compra i titoli. Ok. Uno dice: be’, se serve a salvare il mobilificio di Ancona con 80 operai, perché no? La risposta è tragica e ci apre sulle porte dell’infamia della Bce. Le piccole aziende non possono emettere titoli, sono condannate alla gogna del prestito da banche, fine. Infatti la Bce di Draghi precisò che avrebbe acquistato titoli di aziende “corporate”. Che significa? Che avrebbe comprato i titoli dei cani grossi, come Telecom, o Vw. Ops! Ma per noi italiani già questa è una sciagura, perché da noi le piccole medie aziende sono il 98% delle imprese e creano il 78% della ricchezza dell’Italia. Sfiga. Crepate. Titoli Benetton? Certo che li compriamo, dice Draghi.E allora uno apre il pdf che mi arrivò a fine ottobre per mail, e scopre, transazioni bancarie alla mano, a chi stanno andando i 125 miliardi che Draghi ha programmato di sborsare per ‘puntellare’ le aziende. E uno vomita. Petrolieri, mega imprese di servizi, industrie di armi, auto di stralusso, nucleare, colossi delle privatizzazioni, giganti dal fashion o del farmaco, persino casinò e produttori di champagne. Centoventicinque miliardi di regali a ’sti tizi. Operaio, commessa, crepate in Liguria, Marche, Puglia… L’ipotermico di Teramo? Ma scherziamo? Mille eurooooo? Ma cosa pretende? Palate di miliardi di euro invece a Shell, Eni, Repsol, Total, una trentina di aziende spagnole di servizi del gas, produttori di centrali nucleari come Teollisuuden, come Siemens, e Urenco. Poi gli Agnelli con la finanziaria Fiat Exor (Ferrari), Renault, Mercedes, Vw. Poi criminali di guerra come Thales, che hanno venduto armi in Africa sulla puzza di milioni di cadaveri. Poi i nemici giurati dell’acqua pubblica, cioè i colossi francesi Vivendi e Suèz. E ancora i super-colossi: Solvay, Nestlé, Coca Cola, Unilever, Novartis, Michelin, Ryanair, Luis Vuitton, Danone, assicurazioni Allianz, Deutsche Telekom, Bayer, Telefonica, Moët & Chandon, e il mostro delle scommesse Novomatic…Soldiiiiiiiiiiiiii yes! La Bce fa proprio l’interesse del pubblico, con qualcosa come 17.900 piccole medie aziende europee che sono il cuore dell’impiego in Ue totalmente fuori dal festino. Ecco cosa dovete rispondere a chi vi rampogna “Ci vuole più Europa”. Basterebbe questo articolo per tagliargli la gola, a ’sti assassini. In Italia ’sta porcata vede fiumi di soldi versati in prima fila ai super big dell’energia, ma nessuno becca palate di liquidi come l’Eni; seguono Snam, Enel, Terna, Hera, e altri minori. Poi: Atlantia (Mediobanca, Goldman Sachs, BlackRock e Cassa Risp. Torino), le Generali, Telecom Italia, Luxottica, e i soliti Agnelli con Exor. E tu che cazzo vuoi? Tu chi sei, cittadino? Chi sei, sfigato piccolo imprenditore? Chi siamo noi, eh?, da quando Jaques Attali, uno dei padri della Bce, ci definì «la plebaglia europea»? Eccovi una notizia. Anche se, mi si perdoni, non sono immani tragedie come i 104 indagati del Pd di Travaglio-Gomez, la Raggi e la Cgil che fa i ruttini sul Job Act. Good luck Italians, good luck piccoli imprenditori e dipendenti che mai avete capito un cazzo.(Paolo Barnard, “A chi vanno i miliardi della Bce – zitta centrItalia, crepa”, dal blog di Barnard del 30 gennaio 2017).Mi prenderei a sberle. Avevo un documento agghiacciante in scrivania e non l’ho aperto per mesi. Dentro c’è la verità su chi Mario Draghi sta veramente finanziando coi miliardi del Quantitative Easing (Qe) mentre storce il naso se Roma chiede 20 euro per gli abruzzesi in ipotermia, sfollati da mesi, con morti in casa e la vita devastata, o per mettere 11 euro in più nel Job Act infame di Renzi e Poletti. Quando io gridavo a La7 “Criminali!” contro gli eurocrati, l’autore del programma, Alessandro Montanari, mi si avvinghiava alla giacca dietro le quinte e mi rampognava fino alla diarrea. Quel genio di Oliviero Beha mi rampognò in diretta, è in video. Ma voi leggete sotto, mentre pensate ai sofferenti d’Italia. Bacinella del vomito a portata di mano, raccomando. Il pdf in questione mi arrivò a fine ottobre via mail da Amsterdam, fonte autorevole oltre ogni dubbio. M’ingannò, porcaputtana, il subject mail che era “Draghi finanzia il Climate Change”. Pensai, ok, ci arrivo, un attimo, c’è la Siria, Trump, il referendum… Ma dentro quel pdf c’era ben di peggio. Ora alcuni fatti spiegati alla nonna per capire il resto dell’incubo Ue.
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Paragone: Trump, una dura lezione per Merkel e Juncker
Oddio, già non li sopporto. Quelli che ora sono diventati trumpiani. Quelli che l’avevano detto. Quelli che “bisogna capire cosa c’è dietro questo voto americano”. Non li sopporto. Perché quasi peggio della Clinton ci sono i trumpiani convertiti. I quali ci vogliono spiegare. Non c’è niente da spiegare. Trump con noi non c’entra nulla. La sua vittoria è stata salutare perché ha rotto un percorso perverso, al pari della Brexit; ma per nulla al mondo avrei voglia di avere Trump comandante in capo. Gli americani sono divertenti se li guardi da fuori, per il resto… no grazie. La mia posizione resta quella splendidamente sintetizzata da Vasco: non siamo mica gli americani. La dico tutta: chi s’illude che Trump diventi un supereroe della Marvel, un nuovo Capitan America, secondo me si sbaglia. Trump è un imprenditore americano, è roba loro, ha una testa da americano. Quindi, per quel che mi riguarda, ‘ sti americani se ne restino pure a casa propria. Che poi è l’unico motivo per cui alla fine ho considerato il repubblicano meno peggio della Clinton: perché ha detto che non andrà a rompere le scatole in giro per il mondo. Ecco, sarebbe già qualcosa.Stiamo facendo di tutto per scrollarci di dosso le catene tedesche e vogliamo già indossare di nuovo la giubba americana? E perché? La crisi europea si sta producendo perché i cittadini non hanno più voglia di essere qualcosa d’altro rispetto a quello che sono. L’elemento centrale della disgregazione eurocratica è il senso di identità, il senso di appartenenza. La nostra cultura è ancora pregna di civiltà mediterranea, cioè di un luogo stupendo dove il tempo si è evoluto in storia e la storia è diventata adulta. Quel Mediterraneo è il nostro orgoglio, il nostro punto d’appoggio dove ripartire, è il nostro fulcro dove piazzare la leva e scardinare quanto di stupido questa eurofollia ha materializzato con l’aiuto di imbroglioni travestiti da analisti, esperti o, peggio, da sognatori. L’Europa non sarà mai la nostra casa fintanto che non torna a Canossa, cioè nel suo mar Mediterraneo, crocevia di imbroglioni e geni.Lo scrivo da troppo tempo per poter adesso crogiolarmi nella vittoria di uno che resta lontano anni luce da me. Spero per gli americani che faccia quel bene che ha promesso loro (ho dei dubbi…) ma Trump non è un modello che posso permettermi per ricostruire. Avevamo bisogno del superbowl elettorale per intuire che il ceto medio è in profonda difficoltà? Avevamo bisogno del successo del candidato repubblicano per certificare l’arroganza dell’establishment? O che la gente si è rotta dei politici? Stiamo freschi se così fosse. La crisi del ceto medio è colpa del modello di sviluppo esportato dagli americani, un modello a debito. Noi non siamo gli americani; meno male, aggiungo. Noi siamo qua, in un’altra parte del globo che è un mondo a parte. Un mondo che resta centrale. Che guarda alla sponda americana ma non può fare a meno di escludere il Nordafrica o quel Medio Oriente i cui codici fanno parte della nostra storia (Palermo, Venezia, Ravenna…). E non può fare a meno di intrecciare alleanze con la Russia, più vicina di quanto pensiamo.Noi insomma dovremmo imparare a ributtare lo sguardo su noi stessi. La vittoria di Trump è una occasione d’oro perché indebolisce i burocrati di Bruxelles, la Merkel, toglie alla Francia gauchista quell’alleato stupido che ha incasinato il Maghreb, Libia in testa. Trump rafforza l’asse naturale con la Gran Bretagna così che i britannici post Brexit avranno un mercato privilegiato da opporre ai ricattini di Juncker. Insomma, Trump è il perfetto inciampo che può rimettere in ordine le caselle. E’ quell’impazzimento della politica che rende possibile persino l’impossibile rovesciamento della prima legge dell’entropia.Ma da qui a definirci trumpiani no.(Gianluigi Paragone, “Trump presidente Usa, con il cavolo che mi sento trumpiano!”, dal “Fatto Quotidiano” del 14 novembre 2016).Oddio, già non li sopporto. Quelli che ora sono diventati trumpiani. Quelli che l’avevano detto. Quelli che “bisogna capire cosa c’è dietro questo voto americano”. Non li sopporto. Perché quasi peggio della Clinton ci sono i trumpiani convertiti. I quali ci vogliono spiegare. Non c’è niente da spiegare. Trump con noi non c’entra nulla. La sua vittoria è stata salutare perché ha rotto un percorso perverso, al pari della Brexit; ma per nulla al mondo avrei voglia di avere Trump comandante in capo. Gli americani sono divertenti se li guardi da fuori, per il resto… no grazie. La mia posizione resta quella splendidamente sintetizzata da Vasco: non siamo mica gli americani. La dico tutta: chi s’illude che Trump diventi un supereroe della Marvel, un nuovo Capitan America, secondo me si sbaglia. Trump è un imprenditore americano, è roba loro, ha una testa da americano. Quindi, per quel che mi riguarda, ‘ sti americani se ne restino pure a casa propria. Che poi è l’unico motivo per cui alla fine ho considerato il repubblicano meno peggio della Clinton: perché ha detto che non andrà a rompere le scatole in giro per il mondo. Ecco, sarebbe già qualcosa.
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Euro, chi tocca muore: Finlandia ko, salve Svezia e Norvegia
Ora sappiamo che la Finlandia è nei guai. Una serie di forti shock dal lato dell’offerta ha devastato l’economia. Quando Nokia è crollata sulla scia della crisi finanziaria del 2007-2008, creando un buco enorme nel Pil del paese, il governo ha risposto con un sostanziale sostegno fiscale. Questo ha rovinato la sua già virtuosa posizione fiscale: in un anno è passata da un surplus del 6% a un deficit del 4%, e anche se il suo deficit da allora è leggermente migliorato, è ancora al di fuori dei parametri di Maastricht. A causa di questo, l’attuale governo – sotto la pressione degli eurocrati folli – sta attuando l’austerità fiscale, per portare il deficit al di sotto del 3% del Pil. Per un’economia che ha subito una grave diminuzione della sua capacità produttiva, questo è disastroso, scrive Frances Coppola, in un post ripreso su “Luogo Comune”. Che svela una verità drammatica: in Scandinavia, si salva solo chi sta lontano dall’euro, come la Svezia. E meglio ancora la Norvegia, che non è neppure nell’Ue.In Finlandia, le misure di austerità non saranno in grado né di ridurre il deficit né di far ripartire l’economia, scrive Coppola. «Al contrario, provocheranno un’ulteriore riduzione dell’economia e, di conseguenza – è una questione di semplice aritmetica – provocheranno un aumento del deficit in percentuale sul Pil». La Finlandia è stata in recessione per quasi tutti gli ultimi quattro anni: «Quello di cui ha bisogno è una politica fiscale espansiva, non di salassi». L’austerità? «E’ una strategia del tutto controproducente per un’economia che ha avuto danni sul fronte dell’offerta a causa di shock esogeni». L’unica cosa che sta impedendo all’economia finlandese di crollare è la politica monetaria espansiva della Bce: «Tassi negativi e “quantitative easing” possono essere uno stimolo debole, ma sono meglio di niente». Ma la verità è che la Finlandia, fatta passare per un paese prospero, «è molto più simile agli Stati deboli del sud Europa». E se la Finlandia sta male, neppure la Danimarca si sente molto bene.La Danimarca ha subito una profonda recessione dopo la crisi finanziaria, toccando il fondo nel secondo trimestre del 2010. Ma, a differenza della Svezia, non ha recuperato: il modello dell’andamento del suo Pil è molto più simile a quello della Finlandia, anche se non ha avuto gli shock sull’offerta subiti da Helsinki. Perché è rimasta stagnante per gran parte degli ultimi sette anni? Molte spiegazioni tendono a incolpare il welfare danese, “troppo generoso” e costoso: una tassazione elevata soffocherebbe le imprese, mentre lo stato sociale scoraggerebbe il lavoro produttivo. Tagliare il welfare, quindi? Ma no: «Anche la Svezia ha un generoso stato sociale e una tassazione relativamente elevata. E anche la Norvegia. E in effetti anche la Finlandia. Tutti gli stati nordici sono così. E tutti, negli ultimi anni, hanno fatto seri sforzi per migliorare l’efficienza dei loro sistemi di welfare e ridurne il costo». La Danimarca è addirittura in testa alla classifica dell’Ocse tra i paesi scandinavi per lo sforzo nell’azione riformatrice. Eppure i suoi risultati economici differiscono enormemente da quelli di Svezia e Norvegia.La vera ragione di questa profonda differenza non è difficile da trovare, scrive Frances Coppola: la Finlandia, quella che tra questi paesi ha le peggiori prestazioni, è un membro dell’euro. «Questo non solo le impedisce di gestire la propria politica monetaria, compresa la possibilità di svalutare per proteggere la sua economia dagli shock esogeni, ma anche incatena la sua politica fiscale alle regole del Patto di Stabilità e Crescita. La Finlandia è soggetta alla procedura prevista in caso di deficit eccessivo e, in quanto membro dell’euro, questo significa che deve conformarsi alle azioni richieste o affrontare le sanzioni – anche se le azioni previste sono direttamente nocive per la sua economia». A Parte la Finlandia, nessuno degli altri paesi scandinavi ha l’euro, ma la Danimarca è un membro del meccanismo di cambio Erm II, che è un precursore dell’euro: «E’ obbligata a mantenere il valore della propria moneta entro fasce stabilite rispetto al valore all’euro».Anche la politica monetaria danese è quindi determinata in larga misura non dalle condizioni locali, ma dalle decisioni della Bce – siano o meno appropriate per l’economia danese. «La Danimarca ha anche accettato di essere vincolata dalla forma più rigorosa del Patto di Stabilità e Crescita, il Fiscal Compact, il che significa che è soggetta alle stesse regole fiscali e alle stesse sanzioni di un membro della zona euro». Al contrario, la Svezia non è un membro dell’Erm II. «Avrebbe dovuto aderire all’euro, a un certo punto, ma – misteriosamente – persiste nel non soddisfare i criteri di convergenza. La corona svedese fluttua rispetto alle valute di tutto il mondo, tra cui l’euro, consentendo alla Svezia un controllo molto maggiore della propria politica monetaria rispetto alla Danimarca o alla Finlandia». Sul versante fiscale, «anche se la Svezia ha ratificato il Fiscal Compact, ha rifiutato di lasciarsi vincolare dalle disposizioni previste finché rimane al di fuori dell’euro. Quindi, anche se dovrebbe mantenersi entro i parametri di Maastricht, non incorre in sanzioni se non lo fa».Quanto alla Norvegia, notoriamente, non è neppure un membro dell’Ue. Dal momento che il paese è un esportatore di petrolio, la corona norvegese è una “petrovaluta”. «La Norvegia ha usato efficacemente il suo fondo sovrano per assorbire le entrate derivanti dalla produzione di petrolio e impedire che la sua moneta si apprezzasse eccessivamente», spiega Coppola. Il recente crollo del prezzo del petrolio l’ha colpita duramente? Certo: la crescita del Pil di gennaio è stata negativa. Ma attualmente la Norvegia sta attingendo al suo fondo sovrano per mantenere i programmi di bilancio. Le difficoltà momentanee sono dovute alla congiuntura globale, «non a legami con un’Eurozona depressa e ossessionata dall’austerità». Attenzione: «La capacità di gestire la propria politica monetaria e di bilancio è preziosa. Le banche centrali dell’Eurozona, bloccate in una politica monetaria uguale per tutti, hanno scarsa capacità di proteggere le loro economie dagli shock locali; con la centralizzazione della vigilanza bancaria, hanno anche in gran parte perso il controllo delle politiche di vigilanza a livello sistemico».Le autorità fiscali dell’Eurozona, a loro volta, hanno poca autonomia se un paese è entrato nella procedura per disavanzo eccessivo; mentre per quelli che ne sono rimasti fuori, evitare la supervisione di Bruxelles può diventare la preoccupazione principale. Per i paesi della zona euro, il vero obiettivo di politica monetaria non è l’inflazione, ma il rapporto deficit-Pil. «La Bce sta combattendo una battaglia persa per alzare l’inflazione, contro la determinazione della burocrazia di Bruxelles nel forzare 19 autorità fiscali a deprimere la domanda in nome dei conti in regola. E così il disastro economico della Finlandia è, almeno in parte, una conseguenza della sua appartenenza all’euro». La Danimarca, invece, «soffre per la perdita dell’autonomia monetaria a causa della sua appartenenza all’Erm II, e della perdita dell’autonomia di bilancio perché ha scelto di essere vincolata al Fiscal Compact». Al contrario, la Svezia «ha il controllo sia della politica monetaria sia di bilancio», mentre la Norvegia «non solo ha il controllo della sua politica monetaria e fiscale, ma è ulteriormente ammortizzata dal suo ampio fondo sovrano». Altro che iper-welfare: «La Grande Divergenza scandinava è principalmente causata dall’euro».Ora sappiamo che la Finlandia è nei guai. Una serie di forti shock dal lato dell’offerta ha devastato l’economia. Quando Nokia è crollata sulla scia della crisi finanziaria del 2007-2008, creando un buco enorme nel Pil del paese, il governo ha risposto con un sostanziale sostegno fiscale. Questo ha rovinato la sua già virtuosa posizione fiscale: in un anno è passata da un surplus del 6% a un deficit del 4%, e anche se il suo deficit da allora è leggermente migliorato, è ancora al di fuori dei parametri di Maastricht. A causa di questo, l’attuale governo – sotto la pressione degli eurocrati folli – sta attuando l’austerità fiscale, per portare il deficit al di sotto del 3% del Pil. Per un’economia che ha subito una grave diminuzione della sua capacità produttiva, questo è disastroso, scrive Frances Coppola, in un post ripreso su “Luogo Comune”. Che svela una verità drammatica: in Scandinavia, si salva solo chi sta lontano dall’euro, come la Svezia. E meglio ancora la Norvegia, che non è neppure nell’Ue.
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Italiani buoni a nulla, così l’Ulivo ci ha svenduto ai tedeschi
Si chiama “foreign dominance”, dominio esterno: a partire dal Trattato di Maastricht, attraverso l’adesione all’euro e la direzione politica dell’Ulivo di Romano Prodi, ha decretato il declino dell’Italia, come nel Seicento. Il paese è nelle mani di potentati stranieri, in questo caso tedeschi, che stanno letteralmente deindustrializzando il paese, gettandolo in una crisi senza uscita. E’ la tesi di un economista di prestigio come il professor Giulio Sapelli: «La politica economico-monetaria dell’Ulivo ha disarmato le menti e, nel mentre, ha armato nuove classi economico-politiche cosmopolite (i Padoa Schioppa ne sono l’esempio più sconcertante), a cominciare dai Ciampi e dai Draghi e per finire con i Monti, costruiti dai quotidiani e dai poteri situazionali di fatto filo-teutonici e anti-Usa, che già Gramsci aveva ben descritto, seguendo Machiavelli e parlando del “cosmopolitismo”, ossia del servilismo internazionale degli intellettuali italiani». Abbiamo a che fare con «ragionieri del mondo, affascinati dal mito umiliante che narra che gli italiani nulla san far da sé e hanno quindi bisogno, per bene agire, di choc esterni: l’ordoliberalismus teutonico appunto, mito che in qualsivoglia altra nazione farebbe sfidare a duello colui che accusa il suo interlocutore di sostenere tale tesi».Si dovrà fare la storia dell’Ulivo che ne affronti la teoria economica prevalente, scrive Sapelli in un’analisi su “Il Sussidiario”. La politica monetaria intrapresa con Maastricht? «Va inserita nella specificità della vicenda monetaria italiana che è sempre stata – come sappiamo – determinata da un’oscillazione e da un intreccio continuo tra “fiscal dominance” e “foreign dominance”». Sapelli sgombra il campo da un presupposto “mitologico” come quello dell’indipendenza delle banche centrali dal Tesoro («per dipendere da chi, se non dalle burocrazie o dalle euroburocrazie spartite in basi a criteri di potenza nazionale?»). Problema che «non incide sui temi della “foreign dominance”», non è determinante. «Ciò che è e fu determinante a partire dai tempi dell’Ulivo (sino a oggi) è il fatto che l’indipendenza delle banche centrali europee dell’Eurozona e quindi dell’Italia fu lo strumento più idoneo allorché si ritenne di potere e voler fare la volontà della nazione accettando, anzi, invocando, il dominio estero sulle nostre scelte di politica monetaria ed economica non in una condizione di condivisione ma, invece, di crescente sottrazione di sovranità».La tesi di Sapelli è che proprio l’Ulivo «ha rappresentato l’acme della “foreign dominance” e l’ha reso pressoché irreversibile – almeno nel breve periodo – con l’entrata nell’euro e quindi con la definitiva perdita della sovranità monetaria». Ciò che è stata una delle fasi della “foreign dominance”, ossia l’egemonia tedesca sul sistema economico e su quello monetario in primis italiano grazie all’Europa a dominazione germanica, è ormai divenuta una delle caratteristiche della stessa nazione italiana, continua Sapelli. Non ne ucsiremo, «se l’Europa non muterà volto», ossia se non si riscriverà il Trattato di Maastricht e non cadranno tutti i suoi presupposti: «Essi hanno condannato alla decadenza l’Italia, come fu nella crisi del Seicento. I mezzi furono diversi, gli esiti saranno e già sono assai simili: de-industrializzazione, depauperamento del capitale umano con la sua emigrazione da un lato e la sua emasculazione emotiva dall’altro».In parallelo, scontiamo anche la “fiscal dominance”, cioè il ruolo del Tesoro nella creazione monetaria. «Determinare la quantità di moneta e dei tassi d’interesse – scrive Sapelli – è un compito che rimane nelle mani della politica e delle istituzioni finanziarie: oppongono il principio di gerarchia a quello di mercato e allocano le risorse in questo con sistematica prevalenza». In questo senso, «il ruolo del mercato è subalterno e sottoposto al controllo politico anche in un contesto internazionale che può renderlo difficile. Ma questa è stata fondamentalmente la condizione in cui l’Italia si è trovata a operare per la sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro durante tutta la sua storia sino ai primi anni Novanta del Novecento. Proprio gli anni in cui inizia l’esperienza dell’Ulivo». Una storia «contrassegnata da una diversità della “foreign dominance” anche in condizioni ben precedenti l’Ulivo», cioè sin dai tempi di Cavour, «passando per il predominio inglese e francese e poi quello tedesco che fu decisivo per la creazione del sistema bancario italiano e per inverare poi durante il fascismo paradossalmente il predomino nordamericano, con un ruolo decisivo esercitato dalla banca Morgan». Oggi, l’attuale assetto è presentato come non riformabile: dall’Ulivo in poi comanda “l’Europa”, e l’Italia affonda.Si chiama “foreign dominance”, dominio esterno: a partire dal Trattato di Maastricht, attraverso l’adesione all’euro e la direzione politica dell’Ulivo di Romano Prodi, ha decretato il declino dell’Italia, come nel Seicento. Il paese è nelle mani di potentati stranieri, in questo caso tedeschi, che stanno letteralmente deindustrializzando il paese, gettandolo in una crisi senza uscita. E’ la tesi di un economista di prestigio come il professor Giulio Sapelli: «La politica economico-monetaria dell’Ulivo ha disarmato le menti e, nel mentre, ha armato nuove classi economico-politiche cosmopolite (i Padoa Schioppa ne sono l’esempio più sconcertante), a cominciare dai Ciampi e dai Draghi e per finire con i Monti, costruiti dai quotidiani e dai poteri situazionali di fatto filo-teutonici e anti-Usa, che già Gramsci aveva ben descritto, seguendo Machiavelli e parlando del “cosmopolitismo”, ossia del servilismo internazionale degli intellettuali italiani». Abbiamo a che fare con «ragionieri del mondo, affascinati dal mito umiliante che narra che gli italiani nulla san far da sé e hanno quindi bisogno, per bene agire, di choc esterni: l’ordoliberalismus teutonico appunto, mito che in qualsivoglia altra nazione farebbe sfidare a duello colui che accusa il suo interlocutore di sostenere tale tesi».
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L’agenda news e i figli del Capitano Merryl, fedeli a Londra
Abbiamo più volte spiegato come l’attuale dittatura eurocratica produca i suoi malsani effetti al riparo di un sistema mediatico complessivamente addomesticato alla bisogna. Senza inseguire fesserie e complotti non provati, spesso veicolati con l’obiettivo di distogliere l’attenzione dalle porcherie effettivamente verificate e verificabili, è facile notare come il connubio tra grande finanza e grande informazione (con magistratura a traino, pronta cioè ad azzannare i nemici del sistema indicati dalla stampa) influenzi e determini le scelte di indirizzo politico che condizionano poi nei fatti la vita di milioni di persone. Prima domanda: chi seleziona le notizie che il “mainstream” quotidianamente propone? Seconda domanda: chi sceglie il taglio informativo da offrire rispetto ai diversi fatti che giornalmente nel mondo si verificano? Sembrerebbero domande banali e scontate, e invece non lo sono affatto.Rispetto al primo quesito le anime candide sono propense a ritenere che la scelta delle notizie da valorizzare rientri nei poteri di indirizzo esercitati da un qualsiasi direttore responsabile posto a capo di un giornale o di una rete televisiva; sul “taglio” da dare alle notizie, poi, i più pensano altrettanto ingenuamente che dipenda in larga misura dalla specifica sensibilità del singolo giornalista che scrive il pezzo. Entrambe le risposte sono sbagliate. Avete mai notato come i grandi giornali, con sfumature minime, propongano sempre le stesse notizie nonostante la varietà pressoché infinita di fatti ipoteticamente raccontabili? Avete mai notato come l’operato di alcune figure, vedi Mario Draghi, non venga mai criticato neppure per sbaglio da nessuno dei tanti “giornali liberi” che affollano inutilmente le nostre edicole?Di fronte a due premesse certe come quelle appena evidenziate, esistono solo due risposte possibili. Una, irrazionale, così sfacciata da voler far credere ai cittadini che la sostanziale omogeneità di scelte e vedute che accomuna tutta l’informazione sia frutto del caso o del libero convincimento stranamente coincidente dei diversi direttori; la seconda, più verosimile e razionale, spiega come dietro il paravento di un pluralismo informativo che serve solo ad ingannare i tonti, si muovano con perizia alcune note centrali di intelligence che “imboccano” gli editorialisti più prestigiosi, sempre felici di farsi teleguidare dall’esterno nella certezza di ricevere in prospettiva sicuri vantaggi in termini di denaro o di carriera. Fantasie? Calunnie complottiste? Non direi. Se avete la pazienza di leggere l’ottimo libro “Colonia Italia”, scritto da Cereghino e Fasanella per Chiarelettere editore, troverete nomi, cognomi, prassi e documenti che finiranno per insinuare un sacrosanto dubbio perfino nel piddino più incallito.Scoprirete un mondo, fatto di spie e penne compiacenti, che non lascia nulla al caso; un mondo popolato da uomini spregiudicati e senza scrupoli, pronti a scrivere senza pudore che “il bianco è nero” e “il nero è bianco” per difendere i padroni. Fasanella e Cereghino, avendo avuto la bontà di leggere e studiare una serie di documenti di recente desecretati dal governo inglese, si sono imbattuti in una sfilza di nomi, fatti e storie del passato che, rivalutati alla luce di una consapevolezza finalmente matura, assumono ora un significato diverso. Ma le storie di ieri ci parlano dell’Italia e dell’Europa di oggi. Nulla induce a ritenere che le atmosfere e i compromessi raccontati nel libro di Cereghino e Fasanella, precisi nello spiegare ratio e genesi di alcune campagna di stampa così aggressive da deviare dolosamente il corso degli eventi politici (si pensi al “caso Montesi” o alla violenza strumentale e fasulla di alcune inchieste pensate per colpire Enrico Mattei), riguardino soltanto il passato. Perché oggi le cose dovrebbero funzionare diversamente? Magari tra trenta o quaranta anni, spulciando le carte immagazzinate dai diversi servizi di intelligence, capiremo come mai alcuni “illuminati” intellettuali nostrani continuino con sommo sprezzo del ridicolo a proporre analisi già smentite dalla realtà fattuale e dal buon senso.Ieri, in conclusione, ho casualmente ascoltato Mario Monti e Paolo Mieli ospiti negli studi de la7. Paolo Mieli, giorni fa, pubblicò un editoriale sulle pagine del “Corriere della Sera” titolato “Le accuse di troppo all’Europa”. Mieli propone alcune chiavi di lettura palesemente sgangherate che non meriterebbero troppa attenzione. Infatti, alla luce di quanto premesso,più che entrare nel merito delle cose dette e scritte, sarebbe forse più importante capire quali siano i mondi di riferimento di personaggi alla Paolo Mieli, figlio del leggendario “capitano Meryll”– al secolo Renato Mieli – già “press officer” dello “Psychological Warfare Branch” (Divisione per la guerra psicologica, ndm), allestito al tempo della seconda guerra mondiale dal “Comando generale delle forze alleate” per deviare, condizionare e indirizzare le scelte italiane in direzione del raggiungimento degli interessi inglesi. Chi può escludere che anche oggi predominino, mutatis mutandis, le stesse identiche dinamiche? Nessuno onesto intellettualmente, ritengo. E’ arrivato quindi il momento di ricostruire carte alla mano vicende che, pur sembrando antiche, sono quanto mai attuali.(Francesco Maria Toscano, “Ascoltando il figlio Capitano Merryl si capisce come la Divisione per la Guerra Psicologica non abbia mai levato le tende dall’Italia”, dal blog “Il Moralista” del 17 febbraio 2016).Abbiamo più volte spiegato come l’attuale dittatura eurocratica produca i suoi malsani effetti al riparo di un sistema mediatico complessivamente addomesticato alla bisogna. Senza inseguire fesserie e complotti non provati, spesso veicolati con l’obiettivo di distogliere l’attenzione dalle porcherie effettivamente verificate e verificabili, è facile notare come il connubio tra grande finanza e grande informazione (con magistratura a traino, pronta cioè ad azzannare i nemici del sistema indicati dalla stampa) influenzi e determini le scelte di indirizzo politico che condizionano poi nei fatti la vita di milioni di persone. Prima domanda: chi seleziona le notizie che il “mainstream” quotidianamente propone? Seconda domanda: chi sceglie il taglio informativo da offrire rispetto ai diversi fatti che giornalmente nel mondo si verificano? Sembrerebbero domande banali e scontate, e invece non lo sono affatto.
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Colonia Italia, i media pro-austerity controllati da Londra
Un bel libro di Fasanella e Cereghino, “Colonia Italia” edito da Chiarelettere, offre uno squarcio decisivo per comprendere il rapporto che lega politica e informazione. Dietro il paravento di una libertà di stampa brandita a mo’ di slogan si cela sempre una realtà differente e puzzolente, fatta di corruzione, manipolazione e compromessi che nulla hanno a che vedere conl’informazione. Non si tratta, badate bene, di singole devianze ma di un sistema rodato e collaudato: solo chi è disposto a prostituirsi intellettualmente può sperare di entrare nell’empireo del giornalismo. Partendo dallo spaccato preciso e puntuale preparato da Fasanella, offrirò un affresco del panorama informativo italiano, dominato da dinastie di “venduti con la penna” che mentono di generazione in generazione per indole, sport, interesse, malvagità e pavidità. Ma, badate bene di nuovo, non si tratta di storie del passato raccontate solo ora a bocce ferme. Tutt’altro. I metodi svelati nel libro in argomento sono attualissimi e tutt’ora dominanti.Ma per davvero c’è ancora in giro qualcuno che può credere alla buona fede di chi predica il “successo delle politiche di austerità” volute dalla Merkel? Fino a qualche anno fa, prima dello scempio assoluto che oggi è sotto gli occhi di tutti, qualche allocco intimamente convinto del fatto che Monti e quelli come lui lavorassero al “risanamento dei conti nell’interesse dell’Italia e degli italiani” esisteva per davvero. Ora no. Nessuno è così stupido da non accorgersi che il fuoco brucia dopo avere visto per dieci volte di fila qualcuno ustionarsi maneggiando lo stesso braciere. I giornali italiani sono in malafede. Peggio: sono etero-diretti da centrali di intelligence occulte e deviate che tengono a libro paga la gran parte dei principali editorialisti nostrani, lautamente retribuiti in denaro o altre utilità in misura direttamente proporzionale alla mancanza di scrupoli, amore di verità e deontologia professionale ripetutamente dimostrata. I giornali italiani, da destra a sinistra, scrivono tutti le stesse cose.Ricordate i fiumi di bava che accompagnarono nel 2011 l’ascesa al potere di Monti per volontà del divino Napolitano? Ci vuole molto a capire che il nostro sistema informativo, formalmente plurale, si abbevera in realtà nascostamente presso le stesse identiche e velenose fonti? Una volta sedimentata simile ovvietà sarà allora giusto e possibile riconoscere l’esistenza di due categorie principali che separano i maggiori “intellettuali” italiani. Da un lato esistono quelli che scrivono a pagamento sotto dettatura del sistema massonico dominante; dall’altro ci sono quelli che raccontano le stesse cose gratis, per mero servilismo o innata subalternità nei confronti del potere. Mi viene difficile capire quale delle due categorie faccia più schifo. E’ pur vero che è possibile manipolare solo gli ingenui e gli ignoranti. Un popolo colto e fiero non si farà facilmente impressionare dalle tante menzogne scritte solo perché ripetute all’infinito da un manipolo di giullari al servizio dell’oligarchia finanziaria di comando.Paradossalmente, dopo avere aperto gli occhi ai troppi ciechi ancora in circolazione, le manipolazioni pacchiane cucinate nelle redazioni de “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, e “La Repubblica”– solo per citare i manganelli più grossi usati dai padroni – finiranno per agevolare il nostro compito. Quando tutti sapranno che simili quotidiani difendono costitutivamente interessi malvagi e privati, esperti nell’arte della bugia e del raggiro per meglio realizzare i sottesi obiettivi massonici perseguiti nell’ombra, la credibilità di ciascuno di loro finirà necessariamente sottoterra, rendendo automaticamente più forti e preganti le posizioni di tutti quelli che sostengono il contrario, divenuti adesso degni di attenzione e di rispetto per il solo fatto di non condividere – neppure casualmente e sporadicamente – le linee di indirizzo sposate da note centrali di disinformazione finalmente smascherate e offerte al pubblico ludibrio e all’ignominia eterna.La dittatura eurocratica imposta dai vari Merkel, Schaueble e Draghi – quest’ultimo così ridicolo da denunciare la presenza di complotti globali che ne ostacolerebbero l’operato – non potrebbe reggersi senza il sostegno indispensabile dell’informazione corrotta e prezzolata. Nulla viene lasciato al caso. E’ bello tuttavia constatare come oggettivamente aumenti il livello di consapevolezza di tanti cittadini non più disposti ad accettare acriticamente l’interessato punto di vista offerto dalle élite. Siamo dentro un passaggio storico decisivo. Troppi lestofanti cercano disperatamente di salvare uno schema che non regge più. E’ solo questione di tempo, ma la perfida piramide costruita dagli apprendisti stregoni che ancora (per poco) guidano l’Europa è destinata ad affondare. Ognuno di loro raccoglierà quanto seminato e a nulla varranno i cambi di casacca dell’ultima ora. I ripetuti attentati contro le democrazie dei diversi Stati europei costituiscono una prassi pericolosissima da sanzionare con la massima severità a scopo paradigmatico. Cosicché nessuno, nel prossimo futuro, immagini di poter a cuor leggero rispolverare le gesta di Merkel, Schaueble e Draghi, tristi epigoni del reich autentico, finiti anch’essi nella polvere e nel disonore nonostante le maggiori cautele adottate rispetto ai più truci predecessori.(Francesco Maria Toscano, “L’informazione putrida e corrotta tiene in piedi ancora per poco il tecnonazismo di Draghi e Schaeuble”, dal blog “Il Moralista” sel 6 gennaio 2016. Il libro: Mario Cereghino e Giovanni Fasanella, “Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra”, Chiarelettere, 483 pagine, euro 18,60).Un bel libro di Fasanella e Cereghino, “Colonia Italia” edito da Chiarelettere, offre uno squarcio decisivo per comprendere il rapporto che lega politica e informazione. Dietro il paravento di una libertà di stampa brandita a mo’ di slogan si cela sempre una realtà differente e puzzolente, fatta di corruzione, manipolazione e compromessi che nulla hanno a che vedere conl’informazione. Non si tratta, badate bene, di singole devianze ma di un sistema rodato e collaudato: solo chi è disposto a prostituirsi intellettualmente può sperare di entrare nell’empireo del giornalismo. Partendo dallo spaccato preciso e puntuale preparato da Fasanella, offrirò un affresco del panorama informativo italiano, dominato da dinastie di “venduti con la penna” che mentono di generazione in generazione per indole, sport, interesse, malvagità e pavidità. Ma, badate bene di nuovo, non si tratta di storie del passato raccontate solo ora a bocce ferme. Tutt’altro. I metodi svelati nel libro in argomento sono attualissimi e tutt’ora dominanti.