Archivio del Tag ‘Fabio Mini’
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Lo spassoso governo Santoro, con Zingales all’economia
C’è un pigia pigia impudico per inserirsi nel vuoto lasciato dalla tremenda spallata che il movimento di Beppe Grillo ha assestato al sistema dei partiti. Michele Santoro, che evidentemente ha un alto concetto di sé, ha proposto un suo governo che, a sentir lui, dovrebbe essere sostenuto dal M5S e dal Pd. Premier Stefano Rodotà, interni Anna Maria Cancellieri, difesa Fabio Mini, istruzione Milena Gabanelli, welfare Maurizio Landini, sviluppo Fabrizio Barca, economia Luigi Zingales e via elencando. Ancora un passo e Santoro si sarebbe autonominato premier o, almeno, ministro delle comunicazioni. A sentir questi nomi nel programma televisivo condotto da Paola Saluzzi, Paolo Flores d’Arcais si è illanguidito, inumidito quasi fino alla lacrime: «Sarebbe un governo meraviglioso», ha mormorato, in estasi. Invece la proposta di Santoro è grottesca, in sé e nei designati, peraltro incolpevoli.
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Bomba-tsunami: già testata, al largo della Nuova Zelanda
Gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda hanno condotto test segreti su una “bomba tsunami” progettata per distruggere le città costiere utilizzando esplosioni sottomarine per innescare enormi onde di marea. I test furono effettuati nelle acque circostanti la Nuova Caledonia e Auckland durante la seconda guerra mondiale e dimostrarono che l’arma era fattibile e che una serie di dieci grandi esplosioni in mare darebbero potenzialmente origine a uno tsunami alto dieci metri in grado di inondare una piccola città. L’operazione top secret, nome in codice “Progetto Seal”, servì a testare questo dispositivo da fine del mondo come un possibile rivale della bomba nucleare. Circa 3.700 bombe sono state esplose durante gli esperimenti, dapprima in Nuova Caledonia e poi nella penisola di Whangaparaoa, vicino a Auckland. I piani sono venuti alla luce nel corso della ricerca di un autore e regista neozelandese, Ray Waru, che ha esaminato i documenti militari sepolti negli archivi nazionali.
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La polizia violenta e l’agente che commuove New York
Si chiama Lawrence, ha 25 anni e ha scoperto di essere diventato ufficialmente un eroe: da quando, in una gelida sera di novembre, si è chinato su un barbone che giaceva scalzo sul marciapiede di Times Square. «Serve qualcosa? Scarpe?». Risposta: no, grazie. Proprio alle spalle dell’homeless, un negozio di calzature. Lawrence entra, ordina un paio di calzettoni e dei comodi stivali. Sarebbero 100 dollari, ma la commessa intuisce le sue intenzioni e gli fa un bello sconto. Lawrence torna dal senzatetto, che ha i piedi nudi piagati dalle vesciche e, nel rivederlo, sembra incredulo: «Che Dio ti benedica, figliolo». A due passi, la scena è immortalata dallo scatto fotografico del cellulare di una turista, Jennifer Foster. E la foto fa il giro del mondo: 350.000 link su Facebook, 80.000 condivisioni e quasi 20.000 commenti di stima ed elogio. Perché Lawrence non è solo un bravo ragazzo: indossa anche l’uniforme del Dipartimento di polizia di New York.
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Mini: tagliamo la spesa militare, serve solo agli Usa
Bilanci in rosso e niente più nemici alle frontiere: perché allora spendere montagne di soldi in armamenti? Se proprio bisogna tagliare la Difesa, lo si può fare in due mosse: creare un modello militare agile, a basso costo, e bloccare ogni nuova fornitura di armamenti. «Quando si parla di 90 aeroplani da qui a dieci anni, significa che si mette in piedi una capacità operativa che non avevamo neanche durante la guerra fredda», dice il generale Fabio Mini, che confessa: «Sono uno di quei militari che dalla tragedia della crisi speravano che almeno prendessero forma e sostanza delle forze armate ridotte, qualificate, ammodernate e soprattutto integrate a livello europeo, in modo che il peso degli interventi si distribuisse in maniera equa tra tutti i membri dell’Unione Europea e della Nato. Cosa che fino adesso non è mai successa perché sia le spese, sia gli interventi, gravano nella Nato soltanto su quattro paesi: Germania, Francia, Inghilterra e Italia».
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Dopo le scuse, la verità su Genova: perché quel massacro?
Antonio Manganelli si scusa con l’Italia e persino con la madre di Federico Aldrovandi, il giovane ucciso a Ferrara da quattro agenti nel 2005, ma il suo ex capo Gianni De Gennaro – promosso sottosegretario da Mario Monti – continua a tacere, anche se resta il massimo responsabile istituzionale delle operazioni di polizia che a Genova nel 2001 culminarono nel massacro della Diaz. Una mattanza, che Amnesty International definì la più grave sospensione della democrazia in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una pagina nera, nella storia della polizia italiana: 93 persone selvaggiamente picchiate e terrorizzate, quindi arrestate in massa per reati serissimi e poi tutte prosciolte. Tra queste, 60 feriti anche gravi, come il giornalista inglese Mark Covell, ridotto in fin di vita. E dal super-poliziotto De Gennaro silenzio totale: anche oggi, dopo la sentenza della Cassazione che terremota il vertice della polizia, con rimozioni a tappeto di altissimi dirigenti.
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Sangue e menzogne, scandalo mondiale senza fine
All’alba del fatidico 11 settembre 2001, la data che ha cambiato in peggio la storia del mondo scatenando una guerra dopo l’altra col pretesto della lotta al terrorismo internazionale, il cielo degli Stati Uniti era l’area più controllata del pianeta, ma in modo clamorosamente anomalo: qualcuno si era infatti premurato di organizzare ben 7 esercitazioni militari, tutte concentrate nello stesso giorno, in modo da allontanare l’aviazione e lasciar libero il corridoio aereo utilizzato dai dirottatori diretti alle Torri Gemelle. La sicurezza americana ha mentito su tutto: sono le ultime conclusioni del “Consensus Panel”, la commissione indipendente di esperti convocata sulla strage del secolo. Smentita, dati alla mano, l’incredibile versione ufficiale: una cortina di menzogne, stesa dal governo e dai media per impedire al pubblico di scoprire dove fossero e cosa stessero davvero facendo, in quelle ore, i quattro uomini-chiave dell’apparato Usa
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Il teorema della paura: la madre di tutte le preoccupazioni
Nuova emergenza-terrorismo, dopo l’attentato al manager dell’Ansaldo “gambizzato” in stile Bierre? Risposta: è la Tav, che è «madre di tutte le preoccupazioni». Non è la prima volta che il ministro dell’interno, Anna Maria Cancellieri, interviene sulla valle di Susa: mesi fa, dopo l’annuncio del “via libera” al mini-tunnel geognostico di Chiomonte, di fronte alle forti proteste della popolazione – scesa in strada a bloccare il traffico – si domandò, ad alta voce, se fosse proprio il caso di insistere con quella grande opera tanto controversa, generatrice di tensioni. Le rispose un minuto dopo il collega Passera: sì, è il caso. Motivo? Il solito: la Torino-Lione è un’opera strategica. Indiscutibile, punto e basta, anche se non spiegabile: 600 milioni di euro per ogni chilometro di binario, secondo Ivan Cicconi, e solo per creare un inutile doppione, nella stessa valle in cui l’attuale ferrovia italo-francese è ormai cronicamente disertata dalle merci.
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Strana violenza: se il potere ha paura, scatena i black bloc
Un mondo diverso è possibile? In teoria, sì. Ma appena la svolta si avvicina, ecco che arrivano loro: sfasciano tutto, devastano città, terrorizzano manifestanti e adesso scatenano anche la guerriglia con la polizia, dando al governo di turno il pretesto perfetto per seppellire sotto la repressione qualsiasi domanda di cambiamento. Loro sono i neri, gli incappucciati: da più di dieci anni, puntualissimi guastatori di qualsiasi “primavera” civile. Sono i migliori alleati del potere che dichiarano di voler combattere, dice senza esitazioni Franco Fracassi, che dopo il saggio “G8 Gate” sulla catastrofe genovese del 2001 ha dedicato ai black bloc un accurato studio monografico. Il libro prova a far luce sull’origine del più ambiguo fenomeno degli ultimi anni, regolarmente in campo ad inquinare qualsiasi pacifica contestazione sociale: molti di loro sono ragazzi ingenui, alcuni di estrema destra, manovrati però da un’abile regia.
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La diserzione della politica: cittadini sempre più indifesi
L’incredibile Bersani demolito in mondovisione da Marco Travaglio in soli 13 minuti, senza essere riuscito a dire una parola a giustificazione della Tav Torino-Lione. E poi Alfano che blatera contro il “pericolo rosso” e le nozze gay, mentre il suo capo Berlusconi festeggia l’assoluzione di Dell’Utri in Cassazione. Così, il dialogo con la popolazione italiana – dalla valle di Susa militarizzata alle retrovie dell’ultimo corteo romano della Fiom – è affidato ai reparti antisommossa, mandati “al fronte” da un governo di anonimi tecnocrati che nessuno ha eletto. Ormai, avverte Lorenzo Guadagnucci, stanno usando la polizia contro di noi, secondo lo schema inaugurato al famigerato G8 di Genova: per Andrea Camilleri, quelle erano «prove tecniche di colpo di Stato».
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Dovevamo arrenderci: lo decise la Cia già al G8 di Genova
Manovre lacrime e sangue per tutti tranne che per la “casta” mondiale, sovranità limitata o revocata, bavaglio universale all’informazione. Sindacati neutralizzati, banchieri al governo e partiti-fantasma ormai agli ordini dei signori dell’economia. Quello che oggi chiamiamo crisi era stato largamente previsto, dagli stessi super-poteri che, già nel 2001, prima ancora dell’11 Settembre, si preoccuparono di disinnescare sul nascere una potenziale bomba democratica planetaria, quella del movimento no-global. Diritti contro soprusi, cittadinanza contro privatizzazione. In altre parole: anticorpi civili per difendersi dalla globalizzazione selvaggia. Profeticamente, li pretendeva il “popolo di Seattle”. Fu fermato appena in tempo e nel modo più brutale, con il bagno di sangue noto come G8 di Genova.
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Mini: falliti tutti gli obiettivi dopo 10 anni in Afghanistan
DIECI ANNI DI GUERRA. L’ex comandante della missione Nato in Kosovo traccia un bilancio molto negativo della missione afgana ed esprime pessimismo per il futurodi Enrico Piovesana – peacereporter.net.Generale Mini, che bilancio traccia di questi dieci anni di guerra in Afghanistan?Un bilancio del tutto negativo, visto che non è stato conseguito nessuno dei grandi obiettivi con cui gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno giustificato l’intervento in Afghanistan: dalla sconfitta del terrorismo internazionale, che non è certo morto con Bin Laden, alla democratizzazione e ricostruzione del Paese, al contrasto al narcotraffico.Se la missione Isaf si fosse limitata al suo obiettivo iniziale stabilito a Bonn nel dicembre del 2001, ovvero alla stabilizzazione dell’area di Kabul e al supporto alla creazione di un governo transitorio, le cose sarebbero andate diversamente.Quando e perché sono cambiati gli scopi della missione afgana?Il fallimento afgano è iniziato quando nel 2003 gli Stati Uniti, per concentrarsi sull’Iraq, hanno lasciato la missione Isaf in mano alla Nato, che ne ha stravolto gli scopi allargandoli ai suddetti obiettivi di antiterrorismo, nation-building e antidroga, ma che poi non è stata in grado di gestire la situazione. La Nato ha voluto strafare, disperdendo le sue scarse forze su tutto il territorio e finendo così a fare da bersaglio senza riuscire a raggiungere nessuno di quegli ambiziosi convertiti. Il paradosso è che eravamo andati lì per difendere gli afgani, e oggi ci ritroviamo a difendere noi stessi dagli afgani.Quali sono le sue previsioni sul futuro dell’Afganistan e della missione internazionale?Riguardo al futuro sono altrettanto pessimista, perché in dieci anni non è stato affrontato nessuno dei problemi sociali e culturali che avrebbe potuto garantire un futuro diverso all’Afghanistan. In tutto questo tempo non abbiamo portato nessun miglioramento dal punto di vista dell’economia, dell’istruzione, delle leggi. Anzi, con la nostra inazione e i nostri errori abbiamo peggiorato le cose, allontanando sempre più la popolazione dal nuovo governo sostenuto dall’Occidente. Per riparare ai nostri danni dovremmo rimanere in Afghanistan per decenni!Quindi non crede che l’occupazione dell’Afganistan finirà nel 2014?Noi europei ce ne torneremo a casa nei prossimi anni senza aver risolto niente, ma gli americani rimarranno a tempo indeterminato, lasciando basi e forze speciali: loro non usciranno mai più dall’Afghanistan, esattamente come non usciranno mai più dall’Iraq. E già che ci sono, fanno di necessità virtù: dovendo rimanere per forza, ne approfittano per piantare degli avamposti contro potenziali nemici regionali e globali, Cina in primis, gettando i presupposti per nuove e ben più rischiose guerre globali. E per rimanerci sono prontissimi a scendere a patti con i talebani.Mantenere i nostri soldati in Afganistan costa a noi italiani 800 milioni l’anno: in tempi di crisi non sarebbe il caso di riportarli a casa subito?Se si considerano i pessimi risultati che abbiamo ottenuto finora potremmo andarcene anche domani, risparmiando un bel po’ di denaro. Ma per ragioni di politica interna italiana e di rapporti con gli alleati Nato, l’Italia non può permettersi un ritiro unilaterale.Terrorismo, democrazia, ricostruzione, narcotraffico: in dieci anni di guerra in Afghanistan, nessuno degli obiettivi è stato centrato: potremmo tornarcene a casa anche subito, se non fossimo così legati agli Usa – che invece resteranno a Kabul per chissà quanto, anche solo per presidiare la frontiera occidentale della Cina. Il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo, è pessimista. A partire dal bilancio di questo decennio: «Un bilancio del tutto negativo, visto che non è stato conseguito nessuno dei grandi obiettivi con cui gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno giustificato l’intervento in Afghanistan: dalla sconfitta del terrorismo internazionale, che non è certo morto con Bin Laden, alla democratizzazione e ricostruzione del Paese, al contrasto al narcotraffico».
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Scadeva ora la carta Osama, forse morto prima del 2009
Osama Bin Laden forse era già morto nel 2009, quando Barack Obama – tra lo stupore generale – lo indicò come obiettivo numero uno degli Usa in Afghanistan. A sostenerlo non è un “teorico della cospirazione” ma il generale Fabio Mini, già comandante delle forze Nato in Kosovo. Mentre infuria la polemica per la decisione della Casa Bianca di non divulgare immagini del cadavere, “fatto sparire in mare” dopo il blitz in Pakistan di cui ora l’Onu contesta la legalità, il generale Mini mette a fuoco lo scenario: vero o falso l’ultimo atto della saga di Bin Laden, l’uscita di scena del super-terrorista rilancia Obama, gli permette di archiviare l’Afghanistan e prefigura una svolta mondiale, la fine della “guerra al terrorismo”. Perché proprio adesso? Perché le rivolte arabe dimostrano che Al Qaeda non esiste più, riducendo Bin Laden a «una carta ormai scaduta, o in scadenza».