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Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
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Ipazia, la filosofa martire a cui i cristiani cavarono gli occhi
Nella primavera di sedici secoli fa, ad Alessandria d’Egitto, una donna fu assassinata. Fu aggredita per strada, spogliata nuda e trascinata nella chiesa «che prendeva il nome dal cesare imperatore», il Cesareo, come riferisce una delle fonti contemporanee ai fatti, lo storico ecclesiastico costantinopolitano Socrate Scolastico. Qui fu dilaniata con cocci aguzzi. Mentre ancora respirava le furono cavati gli occhi. Poi i resti del suo corpo smembrato vennero dati alle fiamme. A massacrarla furono fanatici cristiani, i cosiddetti parabalani, monaci-barellieri venuti dal deserto di Nitria, di fatto miliziani al servizio di Cirillo, allora potente e bellicoso vescovo della megalopoli d’Egitto fertile di grano e di intelletti, di matematica e poesia, musica, gnosi e filosofia. Il nome di quella donna era Ipazia e quel nome in greco evocava un’idea di “eminenza”. Chi fosse nei lati più segreti della sua eminente personalità e cosa avesse fatto per attirare su di sé la sadica violenza collettiva maschile che la uccise, non lo sappiamo quasi più. Sappiamo meglio chi non era, e di cosa certamente era incolpevole. Conosciamo le maschere che la propaganda o la fantasia o semplicemente l’incoercibile tendenza umana alla manipolazione e alla bugia hanno sovrapposto alla sua pura sembianza di filosofa platonica.La storiografia l’ha strumentalizzata, la letteratura l’ha trasfigurata e tradita: scienziata punita per le sue scoperte, eroina protofemminista, martire della libertà di pensiero, illuminista e romantica, libera pensatrice e socialista, protestante, massone, agnostica, vestale neopagana e perfino santa cristiana. Ma Ipazia non era nulla di tutto questo. Nell’Alessandria del V secolo, Ipazia apparteneva all’aristocrazia intellettuale della scuola di Plotino e dalla tradizione familiare aveva ereditato la successione (diadoché) del suo insegnamento. Una cattedra pubblica, in cui insegnava «a chiunque volesse ascoltarla il pensiero di Platone e di Aristotele e di altri filosofi», come narrano le fonti antiche. In questo senso era anche una scienziata: la sapienza impartita nelle scuole platoniche includeva la scienza dei numeri e lo studio degli astri. Era dunque anche una matematica e un’astronoma, ma nel senso antico e prescientifico. Non fece alcuna scoperta, non anticipò nessuna rivoluzione copernicana, non fu un Galileo donna. Tutto quello che sappiamo è che costituì devotamente il testo critico del terzo libro dell’Almagesto di Tolomeo, perché suo padre Teone potesse svolgerne il commento, e compose di persona commentari didattici a quelli che erano i libri di testo dell’epoca: le Coniche di Apollonio di Perga e l’Algebra di Diofanto. Non certo per questo fu assassinata.Oltre che una filosofa platonica Ipazia era una carismatica. C’era, nelle accademie platoniche, un risvolto esoterico, che implicava la trasmissione di conoscenze “segrete” – nel senso di non accessibili ai principianti – che riguardavano il divino. Oltre all’insegnamento pubblico (demosia), che teneva presso il Museo o altrove nel centro della città, sappiamo di riunioni “private” (idia), che teneva nella sua dimora, in un quartiere residenziale fuori mano, verde di giardini. Fu nel tragitto in carrozza tra l’uno e l’altra che venne aggredita e uccisa. La furia di Cirillo, che secondo la testimonianza delle fonti coeve fu il mandante del suo assassinio, venne scatenata proprio dalla scoperta di queste riunioni. Perché queste riunioni portavano Ipazia al centro della vita non solo culturale ma anche politica di Alessandria. Perché stringevano in un sodalizio non solo intellettuale ma anche politico le élite pagane della città, convertite al cristianesimo per necessità, dopo che i decreti teodosiani lo avevano proclamato religione di Stato, ma unite dalla volontà di conservare le proprie tradizioni e convinzioni: quell’“educazione ellenica” che si chiamava ancora paideia, quel “modo di vita greco” che il discepolo prediletto di Ipazia, Sinesio, definiva «il metodo più fertile ed efficace per coltivare la mente».Alle riunioni di questa sorta di massoneria in cui la classe dirigente alessandrina, pagana, cristiana e forse anche ebraica, si stringeva per fare fronte al cambiamento e tutelare i propri interessi nel trapasso dall’una all’altra egemonia di culto e pensiero, partecipavano anche i membri della classe dirigente inviati dal governo centrale di Costantinopoli. «I capi politici venuti ad amministrare la polis erano i primi ad andare ad ascoltarla a casa sua. Perché, anche se il paganesimo era finito, il nome della filosofia sembrava ancora grande e venerabile a quanti avevano le massime cariche della città». Anche il prefetto augustale Oreste apparteneva a quella cerchia più riservata, se non segreta, in cui Ipazia prodigava insegnamenti che le valevano gli appellativi sacerdotali di “madre, sorella, maestra, patrona”, “supremo giudice”, “signora beata dall’anima divinissima” che leggiamo riferiti a lei nell’epistolario di Sinesio. A quella cerchia Ipazia impartiva, insieme agli altri tipici delle accademie platoniche, un insegnamento sommesso particolarmente utile in quei tempi di transizione. Non era necessario tradire la propria fede o buona fede per convertirsi. L’Uno di Plotino e il Dio dei cristiani potevano identificarsi. Le religioni non dovevano lottare tra loro perché non differivano l’una dall’altra se non in dettagli fiabeschi destinati ai più semplici.I miti degli dèi dell’olimpo pagano, i dogmata o credenze “vulgate” dell’insegnamento cristiano, tra cui quella sulla resurrezione della carne, erano destinati a chi non era “filosofo”. «Riguardo alla resurrezione di cui tanto si parla sono ben lontano dal conformarmi alle opinioni del volgo», scrive in una delle sue lettere Sinesio, allievo di Ipazia ma anche vescovo cristiano di Tolemaide. Ipazia non era solo maestra e direttrice di coscienza dei quadri politici. Era una politica lei stessa. Le fonti la descrivono «eloquente e persuasiva (dialektike) nel parlare, ponderata e politica (politike) nell’agire, così che tutta la città aveva per lei un’autentica venerazione e le rendeva omaggio». Lo stile dei suoi discorsi era così franco da essere secondo alcuni elegantemente insolente. Era spesso la sola donna in riunioni riservate agli uomini, ma la compagnia maschile non la metteva in imbarazzo né la rendeva meno impassibile e lucida nella sua dialettica. Ipazia interveniva in senso pacificatore negli affari della città e principalmente nelle lotte religiose che la insanguinavano. Difendeva, influenzando direttamente in questo il prefetto augustale Oreste, i diversi gruppi dai tentativi delle fasce fondamentaliste di ciascuno di sopraffare gli altri.In particolare, poco prima di venire assassinata, aveva difeso l’antica comunità ebraica di Alessandria dal devastante pogrom ordinato da Cirillo, la cui azione politica aveva due linee ben precise: la lotta economica contro gli ebrei, che dominavano il trasporto del grano da Alessandria a Costantinopoli, e la tendenza a «erodere e condizionare il potere dello Stato oltre ogni limite mai concesso alla sfera sacerdotale», come riportano le fonti. Solo questo la tolleranza filosofica di Ipazia non tollerava, e su questo l’Ipazia politica era inflessibile quanto era flessibile l’Ipazia filosofa: l’ingerenza di qualunque chiesa sul potere laico dello Stato. Bastò questo, con ogni probabilità, a motivare il suo assassinio, che fu a tutti gli effetti un assassinio politico. Nulla a che fare con la scienza o con il femminismo o con gli altri vari feticci in cui la storia del pensiero o della letteratura o della poesia, sempre guidata dal demone dell’attualizzazione e dal fantasma dell’ideologia, ha via via trasformato in sedici secoli il suo volto, irrigidendolo in tratti tanto schematici quanto lontani dalla verità, sovrapponendo un intrico di definizioni a quell’unica ancorché non universalmente accessibile parola che gli antichi riferivano a lei: filosofia.Il rogo di Ipazia è stato da alcuni considerato il primo esempio di caccia alle streghe dell’inquisizione cristiana. In effetti il proselitismo armato di Cirillo contraddiceva in pieno la pur astratta idea di tolleranza propugnata cento anni prima dall’editto di Costantino del 313, così come la tendenza conciliatoria del cristianesimo con il paganesimo d’élite che il primo imperatore cristiano aveva appoggiato politicamente e sancito giuridicamente. Cirillo, rivendicando l’accesso della chiesa alla conduzione della politica, aspirava a un vero e proprio potere temporale, più vicino al promiscuo modello del papato romano che alla rigorosa separazione dei poteri sancita dal cesaropapismo bizantino. Anche per questo, forse, la posizione ufficiale della chiesa di Roma, malgrado la gravità e la natura quasi terroristica dell’antico assassinio di Ipazia, non ha mai voluto mettere in discussione Cirillo, la sua santità, la sua probità. Ancora a fine Ottocento Leone XIII lo ha proclamato dottore della chiesa.Nella celebrazione che ne ha fatto nel 2007 Benedetto XVI ha elogiato «la grande energia» del suo governo ecclesiastico. Più recentemente, una chiesa di San Cirillo Alessandrino è stata edificata a Roma nel quartiere di Tor Sapienza. Oggi nelle vicinanze di quella chiesa si inaugura il giardino che l’Ufficio Toponomastico del Comune di Roma ha dedicato a Ipazia, accogliendo una petizione che non solo chiedeva di intitolarle uno spazio pubblico, ma di individuarlo proprio in quell’area. Perché la tolleranza laica non impedisce certo di continuare ad annoverare tra i santi del calendario un integralista condannato come assassino dal tribunale della storia. Ma i fedeli cristiani hanno il diritto di ricordare la sua antica vittima e la spirale di conseguenze dell’intolleranza religiosa.(Silvia Ronchey, profilo storico di Ipazia d’Alessandria pubblicato da “Repubblica” l’8 marzo 2017. Storica e filologa, come ricorda il “Post”, Silvia Ronchey è una delle massime studiose di Ipazia; alla filosofa-martire, massacrata dal fondamentalismo cristiano, ha dedicato, tra gli altri, il libro “Ipazia. La vera storia”, che uscì nel 2011 per Bur-Rizzoli e ottenne grande successo anche tra il pubblico non specializzato. Sempre a Ipazia è dedicato il recente volume “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, di Nicola Bizzi, pubblicato nel 2018 da Aurora Boreale. Ancora: a Ipazia è dedicato il film “Agora” di Alejandro Amenábar, con Rachel Weisz, Max Minghella e Oscar Isaac. Girato in inglese, il film ha ottenuto un vasto consenso, aggiudicandosi 7 Premi Goya 2010 – sceneggiatura, fotografia, scenografia, costumi, trucco, produzione ed effetti speciali – nonché il Nastro d’Argento 2010 per i migliori costumi e il Premio Lumia per la migliore storia. Presentato al Festival di Cannes 2009 come film fuori concorso e al Festival internazionale del film di Toronto del 2009, era uscito il 9 ottobre 2009 in Spagna. Uscì però solo il 23 aprile 2010 in Italia, dove la distribuzione sarebbe stata ostacolata da ambienti vaticani. La Chiesa cattolica ha ancora «un rapporto ambiguo con Cirillo, vescovo di Alessandria che ordinò l’assassinio di Ipazia», rammenta il “Post”: «Cirillo è stato fatto santo ed è ancora celebrato della Chiesa: l’ultima volta è stato ricordato nel 2007 da Papa Benedetto XVI, mentre i suoi crimini sono in gran parte dimenticati»).Nella primavera di sedici secoli fa, ad Alessandria d’Egitto, una donna fu assassinata. Fu aggredita per strada, spogliata nuda e trascinata nella chiesa «che prendeva il nome dal cesare imperatore», il Cesareo, come riferisce una delle fonti contemporanee ai fatti, lo storico ecclesiastico costantinopolitano Socrate Scolastico. Qui fu dilaniata con cocci aguzzi. Mentre ancora respirava le furono cavati gli occhi. Poi i resti del suo corpo smembrato vennero dati alle fiamme. A massacrarla furono fanatici cristiani, i cosiddetti parabalani, monaci-barellieri venuti dal deserto di Nitria, di fatto miliziani al servizio di Cirillo, allora potente e bellicoso vescovo della megalopoli d’Egitto fertile di grano e di intelletti, di matematica e poesia, musica, gnosi e filosofia. Il nome di quella donna era Ipazia e quel nome in greco evocava un’idea di “eminenza”. Chi fosse nei lati più segreti della sua eminente personalità e cosa avesse fatto per attirare su di sé la sadica violenza collettiva maschile che la uccise, non lo sappiamo quasi più. Sappiamo meglio chi non era, e di cosa certamente era incolpevole. Conosciamo le maschere che la propaganda o la fantasia o semplicemente l’incoercibile tendenza umana alla manipolazione e alla bugia hanno sovrapposto alla sua pura sembianza di filosofa platonica.
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Torino, il Salone della Censura anticipa il governo Pd-M5S?
Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.Torino è sempre tristemente bella, misteriosamente inerte, lievemente depressiva. Ha inanellato un piccolo record italiano di sciagure altamente evocative, dalla tragedia del Grande Torino al rogo del cinema Statuto, fino alla carneficina in piazza San Carlo scatenata dal panico tra la folla che assisteva, dal maxischermo, a una partita della squadra bianconera (ancora lei). A due passi dall’ex cinema, nell’omonima piazza, torreggia il lugubre monumento che commemora i lavoratori caduti nell’800 al cantiere del Traforo del Fréjus voluto da Cavour. Il Fréjus esiste ancora, ci passa il velocissimo Tgv francese sulla linea valsusina Torino-Modane, ma forse i torinesi se ne dimenticano. Non sanno che esiste già, una Torino-Lione, e che l’Italia ha appena speso quasi mezzo miliardo di euro per ammodernare quel traforo, rendendolo perfettamente adatto al transito dei treni con a bordo i Tir e i grandi container navali? Dove hanno la testa, i torinesi, quando si lasciano trasformare in docile gregge (sotto la guida carismatica delle “madamine” di Chiamparino) da chi ha tutta l’aria di volersi aggrappare, come un parassita senza speranza, al miraggio miliardario dell’inutile ferrovia-doppione in valle di Susa? E’ lontanamente immaginabile che qualcosa del genere possa accadere nella vicinissima Milano, che dopo l’Expo è balzata al secondo posto (dietro a Roma) tra le mete turistiche italiane?A illuminare indirettamente il male oscuro di Torino ha provveduto, di recente, un giornalista di razza come Gigi Moncalvo, autore di saggi esplosivi (“Agnelli segreti” e “I lupi e gli agnelli”) subito spariti, misteriosamente, dalle librerie. In due diverse puntate della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, una sugli Agnelli e l’altra sui Caracciolo, Moncalvo si domanda come sia possibile che la grande stampa italiana ignori completamente le notizie-bomba che provengono dalla collina torinese, dove gli eredi dell’Avvocato si lacerano in guerre all’ultimo sangue per contendersi il tesoro dell’ex patron della Fiat: miliardi di euro “riparati” all’estero, lontano dal fisco italiano (nonostante i fiumi di denaro statale concessi per la cassa integrazione). C’è anche il forziere – 9 miliardi in lingotti d’oro – custodito nel blindatissimo Freeport di Ginevra, insieme ai “risparmi” – dice sempre Moncalvo – dei migliori galantuomini del pianeta, narcos sudamericani e oligarchi russi. Possibile che nessuno ne parli? Ebbene sì: solo in Italia il kolossal tratto dal romanzo “The silence of the lambs” uscì col titolo taroccato (il silenzio degli innocenti, anziché degli agnelli) per un riflesso di autocensura preventiva, nel timore che la parola proibita – agnelli – potesse turbare la quiete sabauda della real casa.E se ora Torino fa notizia come sempre, cioè con qualcosa di sgradevole (il conformismo da parata, in salsa “antifascista”, per mettere al bando un editore che lo Stato considera perfettamente legale), c’è chi si mette addirittura in sospetto: vuoi vedere che dietro la manfrina anti-Salvini, inscenata da Chiamparino in tandem con la sindachessa pentastellata Chiara Appendino, si nascondono i prodromi della prossima, possibile manovra di palazzo per “sposare” i 5 Stelle con l’incolore Pd di Zingaretti? Non che ne manchino le premesse, dopo le entrate a gamba tesa di Roberto Fico sui migranti, l’allineamento di Giulia Grillo sul decreto Lorenzin (obbligo vaccinale), quindi la genuflessione di Di Maio alla Merkel e, soprattutto, la clamorosa cacciata di Armando Siri dal governo Conte. In compenso, Salvini – nel mirino – risponde da par suo, aprendo la più tragicomica caccia alle streghe della storia, quella contro i negozi di cannabis “light”. Con buona pace delle speranze dell’Italia gialloverde, morte e sepolte dopo la resa a Bruxelles. Nel 2008, Veltroni scelse proprio Torino per lanciare il formidabile Pd, il partito che avrebbe sorretto il governo Monti e varato la legge Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione. Sarà ancora l’ambigua e depressa Torino, capitale della censura, a inaugurare l’ennesima non-svolta concepita per consegnare il paese all’orizzonte dell’austerity eterna?(Giorgio Cattaneo, “Fatale Torino, capitale della censura: il bavaglio a CasaPound (contro Salvini) prepara un’intesa di governo tra Pd e 5 Stelle?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 12 maggio 2019).Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.
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Guai a chi parla: l’arresto di Assange minaccia i giornalisti
L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.L’arresto scioccante di Assange porta con sé un avvertimento per tutti coloro che, come scrisse Oscar Wilde, «seminano il seme del malcontento [senza il quale] non ci sarebbe alcun progresso verso la civiltà». L’avvertimento è esplicito nei confronti dei giornalisti. Quello che è successo al fondatore ed editore di WikiLeaks può capitare a voi su un giornale, in uno studio televisivo, alla radio, quando fate un podcast. Il principale persecutore mediatico di Assange, il “Guardian”, un collaboratore dello Stato segreto, questa settimana ha dimostrato il suo nervosismo con un editoriale che ha raggiunto vette finora inviolate di subdola astuzia. Il “Guardian” ha sfruttato il lavoro di Assange e WikiLeaks in quello che il suo precedente direttore chiamava «il più grande scoop degli ultimi 30 anni». Il giornale ha decantato le rivelazioni di WikiLeaks e ha rivendicato i riconoscimenti e le ricchezze che gliene sono derivate. Senza che un solo penny sia andato a Julian Assange o a WikiLeaks, un libro pubblicato dal “Guardian” ha portato poi a un fruttoso film di Hollywood. Gli autori del libro, Luke Harding e David Leigh, hanno abusato della loro fonte rivelando la password segreta che Assange aveva dato in confidenza al giornale, il quale avrebbe dovuto proteggere un file digitale contenente documenti trapelati dell’ambasciata Usa.Mentre Assange era intrappolato nell’ambasciata ecuadoriana, Harding ha raggiunto la polizia che stava là fuori e ha gongolato sul suo blog, dicendo che «Scotland Yard potrebbe essere quello che ride per ultimo». Da allora il “Guardian” ha pubblicato una serie di falsità su Assange, non ultimo una dichiarazione poi smentita che un gruppo di russi e l’uomo di Trump, Paul Manafort, avevano fatto visita ad Assange nell’ambasciata. Gli incontri non sono mai avvenuti; era falso. Il tono ora è cambiato. «Il caso Assange è una intricata questione morale», commenta il giornale. «Lui (Assange) crede nella pubblicazione di cose che non si dovrebbero pubblicare… Ma ha sempre gettato luce su cose che non avrebbero mai dovuto essere nascoste». Queste “cose” sono la verità sul sistema omicida con cui l’America conduce le sue guerre coloniali, le menzogne del Foreign Office britannico sulla privazione dei diritti delle persone vulnerabili, come gli Chagos Islanders, l’esposizione di Hillary Clinton come sostenitrice e beneficiaria dello jihadismo in Medio Oriente, la descrizione dettagliata da parte degli ambasciatori americani su come riuscire a rovesciare i governi in Siria e in Venezuela, e molto altro ancora. È tutto disponibile sul sito WikiLeaks.Il “Guardian” è comprensibilmente nervoso. La polizia segreta ha già visitato il giornale e ha chiesto e ottenuto la distruzione rituale di un disco rigido. Su questo, il giornale ha il documento della richiesta. Nel 1983, un funzionario del Foreign Office, Sarah Tisdall, fece trapelare alcuni documenti del governo britannico che mostravano quando sarebbero arrivate in Europa le armi nucleari Cruise americane. Il “Guardian” fu inondato di elogi. Quando un’ingiunzione del tribunale chiese di conoscere la fonte, non è stato il direttore a farsi arrestare in nome del fondamentale principio di proteggere la sua fonte, ma la Tisdall è stata tradita, perseguita e ha scontato sei mesi in carcere. Se Assange viene estradato in America per aver pubblicato ciò che il “Guardian” definisce “cose” veritiere, cosa impedisce che lo segua l’attuale direttore, Katherine Viner, o il precedente direttore, Alan Rusbridger, o il prolifico propagandista Luke Harding? Che cosa deve impedire [che lo seguano] i direttori del “New York Times” e del “Washington Post”, che hanno anche loro pubblicato pezzi di quella verità che ha avuto origine da WikiLeaks, e il direttore di “El Pais” in Spagna, e “Der Spiegel” in Germania e del “Sydney Morning Herald” in Australia? L’elenco è lungo.David McCraw, legale del “New York Times”, ha scritto: «Penso che l’azione penale [contro Assange] sarebbe un pessimo precedente per gli editori… a quanto posso capire, egli si trova in qualche modo nella stessa posizione di un editore classico e sarebbe molto difficile da un punto di vista legale distinguere tra il “New York Times” e WikiLeaks». Anche se i giornalisti che hanno pubblicato i documenti trapelati da WikiLeaks non sono stati convocati da un gran giurì americano, l’intimidazione di Julian Assange e Chelsea Manning sarà sufficiente. Il vero giornalismo viene criminalizzato da delinquenti alla luce del sole. Il dissenso è diventato una debolezza. In Australia, l’attuale governo filo-americano sta perseguendo due informatori che hanno rivelato che delle spie di Canberra hanno installato microspie nella sala delle riunioni del nuovo governo di Timor Est, con il preciso scopo di sottrarre con l’inganno alla piccola e povera nazione la sua giusta quota di petrolio e le risorse di gas nel mare di Timor. Il loro processo si terrà in segreto. Il primo ministro australiano, Scott Morrison, è tristemente famoso per aver contribuito alla creazione di campi di concentramento per rifugiati nelle isole del Pacifico di Nauru e Manus, dove i bambini si feriscono e si suicidano. Nel 2014, Morrison ha proposto campi di detenzione di massa per 30.000 persone.Il vero giornalismo è il nemico di queste disgrazie. Una decina di anni fa, il ministero della difesa a Londra ha prodotto un documento segreto che descriveva le tre «principali minacce» all’ordine pubblico: terroristi, spie russe e giornalisti investigativi. Questi ultimi erano considerati la minaccia più grave. Il documento è stato debitamente divulgato da WikiLeaks, che lo ha pubblicato. «Non avevamo scelta», mi ha detto Assange. «È molto semplice: le persone hanno il diritto di sapere e il diritto di mettere in discussione e sfidare il potere: questa è la vera democrazia». Cosa succederebbe se Assange e Manning ed altri sull’onda – se ce ne fossero altri – fossero messi a tacere e «il diritto di conoscere, mettere in discussione e sfidare» fosse eliminato? Negli anni ’70 incontrai Leni Reifenstahl, intima amica di Adolf Hitler, i cui film contribuirono a lanciare l’incantesimo nazista sulla Germania. Mi disse che il messaggio nei suoi film, la propaganda, non dipendeva da «ordini dall’alto», ma da quello che lei chiamava la «vuota sottomissione» del pubblico. «Questa vuota sottomissione include la borghesia liberale e istruita?», le chiesi. «Certamente», disse lei, «specialmente l’intellighenzia… Quando le persone non si pongono più domande serie, diventano sottomesse e malleabili. Tutto può succedere». Ed è successo. Il resto, avrebbe potuto aggiungere, è storia.(John Pilger, “L’arresto di Assange è un avvertimento della storia”, dal blog di Pilger del 13 aprile 2019; articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.
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Ogni volta che la verità fa notizia, ma solo su Border Nights
Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio nella futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non tra le pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.La fonte si chiama “Border Nights”, trasmissione web-radio in onda il martedì sera, con appendici in streaming su YouTube attorno al weekend. Una comunità di almeno 30.000 persone, in continua crescita e sempre in ascolto. Motivo: quello è il canale che spiega, in modo tempestivo, cosa ci sta succedendo. L’anima di “Border Nights” è il giovane conduttore Fabio Frabetti, giornalista di “Cronaca Vera”, grande appassionato di radiofonia. Accanto ai temi che esplorano tendenze, ricerche e curiosità culturali, scienze di confine e conoscenze non ufficiali – testimonianze affidate a medici coraggiosi e giornalisti indipendenti, saggisti, sociologi, esperti delle materie più disparate che ormai aggregano migliaia di persone, sul web e non solo – sta acquisendo grande rilevanza l’appuntamento web-radiofonico settimanale con ospiti fissi, a partire dalla trasmissione notturna: le segnalazioni di Tom Bosco sulla geopolitica e la storia “proibita”, le analisi politologiche in versione spiritualistica di Fausto Carotenuto e l’imperdibile “a ruota libera” con lo stesso Franceschetti. Un fenomeno in ascesa, quello delle voci settimanalmente chiamate a esprimersi sull’attualità, che esplode letteralmente nelle video-chat su YouTube: Massimo Mazzucco il sabato, Gianfranco Carpeoro la domenica e Gioele Magaldi il lunedì.Polifonia di accenti e vasto assortimento di sensibilità diversissime: vaccini, politica, giustizia, misteri italiani e crisi internazionali. Cosa offre, “Border Nights”? La possibilità di leggere quel che si muove dietro le quinte. E a innescare le rivelazioni più interessanti è proprio l’interazione col pubblico: domande a bruciapelo, a cui gli ospiti non si sottraggono. Così fa notizia, la piattaforma di Frabetti. Memorabile, l’estate scorsa, la “bomba” sparata dal saggista e simbologo Carpeoro sulla crisi in Rai, con l’improvviso veto di Berlusconi sulla presidenza Foa. Lo scoop: da Parigi, Jacques Attali (padrino di Macron) avrebbe telefonato addirittura a Napolitano, quindi a Tajani e a Berlusconi, per cercare di stoppare il candidato di Salvini, giornalista scomodo e autore del saggio “Gli stregoni della notizia”, che denuncia l’omertà dei media mainstream. Se poi Marcello Foa ce l’ha fatta, a diventare presidente della Rai, probabilmente lo si deve anche alla clamorosa esternazione di “Border Nights”, che ha messo allo scoperto il complotto e i suoi presunti autori. Sempre Carpeoro ha “sparato” contro la Francia anche di recente, accusando Parigi di aver protetto l’esilio brasiliano di Cesare Battisti, dopo averlo infiltrato in Italia – negli anni di piombo – per contribuire a manipolare il terrorismo italiano, indebolendo il nostro paese.Notizie esplosive, che avrebbero dovuto scatenare i media – rimasti invece silenziosi, come sempre. Rarissimi i casi in cui “Border Nights” riesce a perforare il muro di gomma: è successo di recente, quando Magaldi ha svelato l’identità massonica di Gianroberto Casaleggio. Immediata la replica del figlio, Davide: «Mio padre non era massone». A strettissimo giro la contro-replica di Magaldi: «Accetti un pubblico confronto con me, e gli spiegherò perché suo padre non voleva si sapesse che fosse massone». E’ importante, il dettaglio? Eccome: è lo stesso Luigi Di Maio (che poi in segreto bussa alla porta della massoneria internazionale, secondo Magaldi) a pretendere che gli aderenti alle logge non possano accostarsi ai 5 Stelle: bell’ipocrisia, visto che il divieto colpisce solo i massoni manifesti (non gli iniziati occulti). Ma il “rumor” su Casaleggio – da “Border Nights” ai grandi media – è davvero un’eccezione. Silenzio di tomba, per esempio, quando Mazzucco ha chiesto alla Procura di Genova di rendere pubblico il video del crollo del viadotto Morandi, visionato a quanto pare soltanto dai giornalisti del “New York Times” e non dai colleghi italiani, poco propensi a maltrattare la famiglia Benetton: nessuno di loro ha fiatato, neppure dopo la denuncia di Mazzucco.Siamo ammorbati da un mainstream di regime, reticente, distratto, pronto all’autocensura. Un caso clamoroso? Lo racconta il giornalista Gigi Moncalvo, autore dei saggi “Agnelli segreti” e “I lupi e gli Agnelli”, misteriosamente spariti dalle librerie. Quando uscì il film-capolavoro “The silence of the lambs”, solo in Italia alla traduzione letterale – il silenzio degli agnelli – si preferì il meno rischioso “Il silenzio degli innocenti”, giusto per non correre il pericolo di turbare la corte torinese dell’Avvocato. Nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, quasi gemella di “Border Nights” (condotta da Rudy Seery e Stefania Nicoletti) lo stesso Moncalvo si sfoga: Margherita Agnelli, figlia dello storico patron della Fiat, ha sottratto due bambini a una delle sue figlie, ridotta in miseria, e la stampa italiana preferisce tacere. Non solo: la figlia dell’Avvocato ha appena riaperto la devastante guerra per l’eredità, facendo emergere – dalle carte giudiziarie – un autentico giacimento di denaro trafugato dall’Italia e nascosto all’estero. Un tesoro che era rimasto nascosto, alla morte dell’Avvocato: cinque miliardi di euro in Svizzera più altri cinque a Panama, saltati fuori dallo scandalo “Panama Papers”, senza contare i 9 miliardi di euro – in lingotti d’oro – stipati dalla famiglia Agnelli al Freeport, il bunker super-sorvegliato allo scalo aeroportuale di Ginevra, che custodisce il denaro sporco dei narcotrafficanti colombiani e degli oligarchi russi.Tuona Moncalvo: sono tutti soldi sottratti al fisco italiano, nonostante il fiume di denaro statale elargito alla Fiat. Ma i media – giornali e televisioni – non se ne occupano minimanente: scelgono invece di rintronare il pubblico con il gossip più frivolo, come quello sulle finte nozze della starlette Pamela Prati. Perché “Chi l’ha visto” non parla della stranissima sparizione (e morte) di Edoardo Agnelli, il figlio “eretico” dell’Avvocato che si era permesso di contestare la designazione di John Elkann? Viviamo in una bolla mediatica, dice Magaldi a “Border Nights”: persino una fonte brillante come “Dagospia”, in fondo, non va oltre il chiacchiericcio e lo scandalismo innocuo. Mai che si sbilanci, il newsmagazine di Roberto D’Agostino, nel denunciare i micidiali complotti dell’unica, vera massoneria di potere. Un caso esemplare? Quello di Pino Cabras, deputato 5 Stelle: in un convegno promosso a Londra dal Movimento Roosevelt, ha detto chiaro e tondo che leghisti e grillini sono divisi su tutto, ma tengono duro per resistere al Deep State che condiziona il governo gialloverde fin dall’inizio, quando Sergio Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Cabras è un parlamentare autorevole, vicino a Di Maio. Vista la fonte, la notizia era più che solida. Ma nessuno l’ha raccolta.Vietato scandalizzarsi, naturalmente, anche se ce ne sarebbe motivo. Altro capitolo, l’obbligo vaccinale (i media: latitanti). Primo atto: a fine 2017, la commissione parlamentare difesa parla di 5.000 militari italiani, di cui 1.000 già morti, colpiti da gravissime malattie (al 50% causate, secondo i medici, da vaccinazioni somministrate in modo incauto). Poi: la Regione Puglia – l’unica a istituire la farmacovigilanza attiva – rivela che, su 10 bambini pugliesi vaccinati, ben 4 hanno sofferto reazioni avverse. Terza notizia: l’ordine dei biologi scopre vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti tossici nelle dosi, nonché vaccini privi degli agenti immunizzanti. Qualche eco di queste notizie affiora, in sordina, sul “Fatto”, su “Libero” e su “La Verità”, mentre è solo “Il Tempo” di Franco Bechis a sparare con decisione sullo scandalo dei vaccini inquinati. Silenzio assoluto, dalle grandi testate cartacee e radiotelevisive. Per questo ormai conquista audience la super-nicchia del web informativo: un video di “ByoBlu” può far registrare anche 200.000 visualizzazioni, mentre molte testate considerate autorevoli – i cui direttori bivaccano nei talkshow – spesso non superano le decina di migliaia di copie vendute. Non è un caso che l’Ue abbia imposto un bavaglio di sapore medievale, al web, con la scusa del copyright. Né è casuale il successo crescente di “Border Nights”, dove a innescare le rivelazioni più clamorose, molto spesso, sono proprio le domande del pubblico, direttamente in chat. Voglia di esserci, di partecipare, di sapere: c’è un’Italia in movimento, che non ne può più di omissioni e bugie.Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio sulla futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non dalle pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.
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Si fa scudo dei bambini, la sinistra sconfitta dagli elettori
Ramy e Adam, Greta, Nora, la bambina di dieci anni usata come testimonial contro la legge Pillon, Marius, il bambino protagonista del film “C’è tempo” di Walter Veltroni (che aveva già realizzato un film infantile intitolato “I bambini sanno”); e “La paranza dei bambini”, il film-libro di Roberto Saviano, ma soprattutto i bambini esibiti nei congressi, nelle manifestazioni di piazza del Pd, usati nelle scuole o nei programmi alla Fazio per campagne anti-mafia, cortei anti-razzismo, anti-omofobia, anti-inquinamento, meglio se neri, rom, migranti o disabili. È finita in mano ai ragazzini l’utopia di un mondo migliore. Se vogliono far sbarcare immigrati o sostenere lo ius soli, mostrano le immagini di un bambino, raccontano una storia straziante, come quella del bambino annegato con la pagella cucita sul petto; cercano di far passare gli sbarchi e i flussi migratori tramite il caso pietoso, la storia struggente, la tenerezza a cui è da bestie dire di no. Si fanno scudo dei bambini, li usano come cavalli di Troia. La sinistra italiana sarà abortista, poco incline verso la famiglia naturale e la maternità, propenderà per le coppie omosessuali, strizzando l’occhio agli uteri in affitto, ma da qualche tempo si è data alla puericultura e all’uso dei bambini come testimonial delle sue battaglie o di quelle che vuole strumentalizzare.In quel modo vuol confermare la sua superiorità sul piano morale, civile e sentimentale e la sua sensibilità speciale nei confronti del futuro e delle generazioni che verranno. Vogliono ipotecare il futuro, monopolizzando il pensiero “puerilmente corretto” dei bambini, ritenuto naturaliter di sinistra. Una forma politica di pedofilia, in senso etimologico, s’intende. Certo, l’uso dei bambini fa parte non da oggi del repertorio della politica, per non risalire ai tempi remoti, basti pensare al Novecento: l’uso che ne hanno fatto i presidenti americani, i papi, i sovrani e i regimi totalitari rossi e neri, è stato massiccio e mai casuale. Esibire la carezza di un leader a un bambino, fotografare un quadretto di famiglia, farsi rubare con apparente casualità un’immagine puerile o una scena privata, fa parte da tempo del gergo politico e delle sue strategie di comunicazione. Anche Sandro Pertini, che pure non aveva avuto figli e nipoti, voleva apparire come un nonno che amava i bambini. Pure Sergio Mattarella, appena può, pertineggia. Associare la propria immagine ai bambini rende più affabili e affidabili.Ma ora con l’uso politico-emozionale che ne fa la sinistra, c’è stato un salto di qualità preoccupante: il bimbo non si limita più a rendere tenera e positiva la sfera privata e sentimentale dei leader politici, non serve più allo storytelling ma fa un passo ulteriore. Il bambino viene usato come veicolo, testimonial e portatore diretto di messaggi ideologici e politici, promessa di un mondo nuovo e slancio puro per realizzarlo; esprime la rivolta ideale contro il cinismo dei “grandi” che sono al suo cospetto reazionari, retrivi, cattivisti burberi e barbogi. L’uso politico dell’infanzia è sfacciato e demagogico come mai era accaduto prima. Il bambinismo ormai è una categoria politica. I bambini godono di una franchigia speciale, un sottinteso di genuinità se non di verità che li rende credibili e inconfutabili anche quando esprimono banalissime considerazioni stucchevoli e glassate, ed è evidente che sono ammaestrati.C’è un puer-populismo radical che innaffia con la propaganda piccole creature e le scaglia contro il regno arcigno dei grandi. E se tu adulto ti metti in competizione con loro, sei ridicolo, parti svantaggiato, impacciato, ti chiamano bimbominkia, non puoi criticarli e tantomeno contestarli mentre loro possono farlo con candore e immunità. Ecco dove si è rifugiata l’utopia di un mondo migliore, dove tutti sono fratelli e si danno la mano come all’asilo arcobaleno della propaganda Pace & Benetton, senza distinzione di sesso e di omosesso, di razze, di civiltà; migranti, esuli, residenti. È la parabola della sinistra, dal Palazzo d’Inverno al Giardino d’Infanzia. È la Bimbocrazia, ma per finta.Il bambino è inattaccabile, se provi a farlo squilla il telefono azzurro, ha lo statuto anagrafico d’innocenza, il suo piccolissimo, immaturo passato è privo di scheletrini nell’armadietto. Se provi a ironizzare sul puer come hanno fatto taluni con Greta o Ramy, vieni trattato come pedofobo, stupratore di bambini, senza-cuore.È una distorsione del “sinite parvulos venire ad me” di Gesù Cristo, una riedizione politica del fanciullino di Pascoli, ma anche una forma sottile di pedagogia totalitaria, inclusiva di plagio e sfruttamento di minori. Dietro lo schermo dei bambini è possibile negare il principio di realtà, vellicare i desideri, i sogni, le utopie e perfino i capricci eticamente corretti. Con l’illusione che una fiaccolata, un corteo di ragazzini, uno striscione siano un rimedio alla criminalità organizzata, alle uccisioni, le violenze e le guerre. Ma le preghiere, i sacrifici e i fioretti in uso nel mondo antico erano forse più irrazionali di queste credenze che una fiaccolata, uno slogan gridato in piazza, una marcia della pace possano realmente cambiare il corso delle cose? Entrate nel favoloso mondo della sinistra puerile, quest’universo di nani da giardino, di fatine ed eroine, il soviet dei Puffi come un nuovo comunismo d’infanzia, somministrato nella scuola dell’obbligo. Avanti il prossimo, piccolo eroe.(Marcello Veneziani, “Si fanno scudo dei bambini”, da “La Verità” del 26 marzo 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Ramy e Adam, Greta, Nora, la bambina di dieci anni usata come testimonial contro la legge Pillon, Marius, il bambino protagonista del film “C’è tempo” di Walter Veltroni (che aveva già realizzato un film infantile intitolato “I bambini sanno”); e “La paranza dei bambini”, il film-libro di Roberto Saviano, ma soprattutto i bambini esibiti nei congressi, nelle manifestazioni di piazza del Pd, usati nelle scuole o nei programmi alla Fazio per campagne anti-mafia, cortei anti-razzismo, anti-omofobia, anti-inquinamento, meglio se neri, rom, migranti o disabili. È finita in mano ai ragazzini l’utopia di un mondo migliore. Se vogliono far sbarcare immigrati o sostenere lo ius soli, mostrano le immagini di un bambino, raccontano una storia straziante, come quella del bambino annegato con la pagella cucita sul petto; cercano di far passare gli sbarchi e i flussi migratori tramite il caso pietoso, la storia struggente, la tenerezza a cui è da bestie dire di no. Si fanno scudo dei bambini, li usano come cavalli di Troia. La sinistra italiana sarà abortista, poco incline verso la famiglia naturale e la maternità, propenderà per le coppie omosessuali, strizzando l’occhio agli uteri in affitto, ma da qualche tempo si è data alla puericultura e all’uso dei bambini come testimonial delle sue battaglie o di quelle che vuole strumentalizzare.
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Magaldi: Michael Jackson massone, ucciso per una canzone
«Se ci fossero ancora Roosevelt e Martin Luther King, queste cose non succederebbero». Chi l’ha detto? Michael Jackson, nientemeno. Anzi: lo ha cantato, nel brano “They don’t care about us” (non gliene frega niente, di noi). «Era il 1995, e probabilmente quei versi gli sono costati la vita», avverte Gioele Magaldi, esponente italiano del network massonico progressista internazionale nonché presidente del Movimento Roosevelt. “Testa scuoiata, testa morta: cibo per cani, tutti”. Noi e loro, l’élite. Osò ribellarsi, l’ex divo di plastica, intonando un martellante inno alla rivolta – memorabile il videoclip girato in una favela brasiliana, tra gli ultimi della terra, sotto l’occhiuta sorveglianza della polizia, presentata come il braccio armato degli oligarchi. Tema, l’ingiustizia sociale planetaria. Ovvia la citazione del reverendo King. Assai meno scontata – in bocca a “Jacko” – la seconda citazione: quella di Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New Deal. Svelare l’arcano è meno difficile del previsto, se si tiene conto che l’autore di “Thriller” e “Billie Jean” faceva parte – addirittura dal 1975, pare – della massoneria di Prince Hall, la comunione iniziatica dei grandi artisti afroamericani, da James Brown a Ray Charles, incluso l’immenso Louis Armstrong.Sul tema è intervenuto anche Gianfranco Carperoro, “rooseveltiano” quanto Magaldi, per spiegare un paio di cose. La prima: Prince Hall fu la risposta massonica dei neri, esclusi dalla massoneria bianca americana. «E cosa potevano fare per esprimersi, i neri, nell’America segregazionista? Cantare, naturalmente: far parlare la loro musica». Seconda notizia: Jackson fu assassinato perché il potere aveva capito che l’ex Peter Pan del pop mondiale poteva diventare pericoloso, se avesse convertito i suoi milioni di fan alla causa sociale contro questa globalizzazione a senso unico, dei ricchi contro i poveri. Michael Jackson massone? Ebbene sì, rivelano Magaldi e Carpeoro: fu avvicinato dal grande produttore Quincy Jones. Motore culturale della black music, la leggendaria Motown Records di Detroit: la vera fonte della Prince Hall Freemansonry. «Difenderemo la sua memoria», avverte Magaldi, «di fronte a una denigrazione spregevole come quella del documentario “Leaving Neverland”, che Robert Redford ha purtroppo presentato al Sundance Festival». Il regista, Dan Reed, si concentra solo sui presunti abusi sessuali che Michael Jackson avrebbe perpetrato nei confronti di due bambini di 7 e 10 anni, oggi trentenni: Wade Robson e James Safechuck. Conferma Gabriele Antonucci, su “Panorama”: «Lascia davvero perplessi la scelta di intervistare solo i due protagonisti e i loro stretti familiari, con primi piani, lacrime di prammatica e musichette d’atmosfera».Il film, scrive Antonucci, «non offre quella pluralità di voci e quell’approfondimento che sono elementi indispensabili a ogni documentario degno di questo nome». Inoltre, aggiunge “Panorama”, «a fronte di accuse gravissime, appare davvero incredibile che il regista non si sia premurato di ascoltare o di riportare la versione dei fatti di uno dei rappresentanti legali o della fondazione che cura gli interessi di Jackson: il diritto alla difesa, in caso di accuse penalmente rilevanti, è costituzionalmente garantito in ogni Stato occidentale, in Usa come in Italia». Dal lungometraggio, di una durata parossistica (4 ore), «non sono emerse prove concrete che diano credibilità alle testimonianze», aggiunge Antonucci. C’è solo «uno sfilacciato taglia e cuci di immagini e dichiarazioni, il cui unico obiettivo è screditare Michael Jackson». Il regista Marcos Cabotà, presente alla “prima”, stronca il lavoro di Reed con queste parole: «Non riesco a credere a una sola parola delle due “vittime”. Cattiva recitazione. A volte, vergognosa. La regia e i testi sono addirittura peggio». Jackson uscì indenne dai processi per pedofilia: innocente, per la giustizia Usa. Ma i giornali ridussero l’happy end a poche righe: niente a che vedere con l’inferno di titoli a tutta pagina, “sparati” per dare risalto alle infamanti accuse.La prima piovve addosso all’eccentrico artista nel 1993, quando Evan Chandler, un ex dentista di Los Angeles (radiato dall’albo), raccontò che Jackson avrebbe abusato di suo figlio Jordan. Lo scandalo costò carissimo al cantante, impegnato in un tour planetario: anziché denunciarlo per tentata estorsione, “Jacko” sborsò a Chandler una cifra imprecisata, ma il suo sponsor – la Pepsi – rescisse il contratto. Poi l’accusa crollò: Evans, al telefono con l’avvocato, spiegò che voleva semplicemete vendicarsi: la sua ex moglie e Michael Jackson, che erano molto amici, si erano rifiutati di prestargli dei soldi. Non era finita: il piccolo Jordan denunciò suo padre per tentato omicidio. E nel 2009, cinque mesi dopo la morte di Jackson, Evan Chandler si uccise sparandosi alla testa, in una camera d’albergo. Ma i guai per il re del pop riesplosero nel 2003, quando Jackson fu addirittura arrestato per molestie ai danni del giovanissimo Gavin Anzo, malato di cancro e assistito dalla popstar. Nel 2005, però, Jackson fu assolto con formula piena (mai commesso reati), mentre la madre di Gavin fu condannata per frode fiscale. Ma intanto la demolizione pubblica era stata devastante: Michael Jackson era ridotto a un fantasma. E proprio mentre si stava finalmente riprendendo, con in programma il grande rientro sulle scene, a Londra, fu improvvisamente tolto di mezzo.Lo stesso Carpeoro mette in relazione il caso Jackson con l’ex produttore dei Beatles, il geniale Phil Spector. Fu lui, dice, a presentare a Michael Jackson il dottor Conrad Murray, cioè il medico poi condannato per avergli somministrato la dose letale di Propofol, il 25 giugno 2009, a tre settimane dai concerti di Londra. Murray era in contatto con Spector, assicura Carpeoro, e lo stesso Spector aveva inutilmente chiesto a “Jacko” che gli cedesse i diritti dei Beatles, che Michael aveva acquisito. Dopo una lunga lite proprio su quei diritti era stato ucciso John Lennon: l’assassino, Mark David Chapman, dichiarò di aver agito obbedendo “al demonio”. Satanismo? Sempre Carpeoro collega Spector anche alla morte di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, uccisa alla vigilia della presentazione del film “Rosemary’s baby”. E’ la storia – terribile – di un bambino “consacrato a Satana”. «Il film – rivela Carpeoro – era la trasposizione dell’infanzia dello stesso Spector, figlio di genitori satanisti. Spector l’aveva confidata a Polanski, che però non avrebbe mai dovuto farne un film». Per l’omicidio di Sharon Tate finì all’ergastolo Charles Manson, anche lui in contatto con Spector: il produttore gli aveva promesso di farne una rockstar. Prima di morire, Manson chiese di incontrare Spector. Ma il produttore (a sua volta in carcere, per l’omicidio della sua compagna) si rifiutò di riceverlo.Michael Jackson era davvero diventato così ingombrante? Qualcuno decise di causarne addirittura la morte, dopo aver tentato di distruggerlo sul piano dell’immagine con accuse devastanti, poi rivelatesi infondate? Ne è convinto Gioele Magaldi, che avvisa: alla fine la verità verrà a galla, sul complotto di cui è rimasto vittima il “fratello” Michael Jackson. Movente: la paura che “Jacko” mettesse in piazza gli abusi dell’élite globalista. Una macchinazione di cui il documentario “Leaving Neverland” sembra l’ennesimo capitolo, postumo, per provare – ancora una volta – a spegnere la memoria dell’artista che 24 anni fa gettò il suo guanto di sfida al potere neoliberista, con quelle parole indimenticabili. “They don’t care about us”: viviamo in un mondo dominato da oligarchi; gente a cui non importa niente, di tutti noi. “E questo non succederebbe, se fossero vivi Roosevelt e Martin Luther King”. Magaldi l’ha precisato nel suo saggio “Massoni”: l’apostolo nero della lotta antisegregazionista, assassinato due mesi prima di Bob Kennedy, era un massone progressista esattamente come Roosevelt, di estrazione rosacrociana come il “Papa buono”, Giovanni XXIII. Ed è proprio allo spirito dei Rosa+Croce che Magaldi si ispira, anche in nome del “fratello” Michael, nel ribadire che il nostro mondo ha bisogno di una rivoluzione dell’uguaglianza fondata sui diritti, come quella invocata nel ‘600 negli storici appelli rosacrociani, da cui poi nacque il socialismo europeo. Prima o poi, verrano fuori anche i nomi di chi ha deciso che Michael Jackson dovesse morire, dopo aver citato Roosevelt e King?«Se ci fossero ancora Roosevelt e Martin Luther King, queste cose non succederebbero». Chi l’ha detto? Michael Jackson, nientemeno. Anzi: lo ha cantato, nel brano “They don’t care about us” (non gliene frega niente, di noi). «Era il 1995, e probabilmente quei versi gli sono costati la vita», avverte Gioele Magaldi, esponente italiano del network massonico progressista internazionale nonché presidente del Movimento Roosevelt. “Testa scuoiata, testa morta: cibo per cani, tutti”. Noi e loro, l’élite. Osò ribellarsi, l’ex divo di plastica, intonando un martellante inno alla rivolta – memorabile il videoclip girato in una favela brasiliana, tra gli ultimi della terra, sotto l’occhiuta sorveglianza della polizia, presentata come il braccio armato degli oligarchi. Tema, l’ingiustizia sociale planetaria. Ovvia la citazione del reverendo King. Assai meno scontata – in bocca a “Jacko” – la seconda citazione: quella di Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New Deal. Svelare l’arcano è meno difficile del previsto, se si tiene conto che l’autore di “Thriller” e “Billie Jean” faceva parte – addirittura dal 1975, pare – della massoneria di Prince Hall, la comunione iniziatica dei grandi artisti afroamericani, da James Brown a Ray Charles, incluso l’immenso Louis Armstrong.
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Ricatto: vogliono vaccinarci tutti. E’ una guerra, fermiamoli
Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.Questo rende chiaro che i vaccini, la salute pubblica, la scienza, in questa vicenda alla fine non c’entrano un cazzo. Sono un alibi, uno strumento con cui produrre un cambiamento percettivo di massa. Produrre a tavolino una popolazione che accetta, anzi festeggia, la demolizione controllata dei propri diritti, la cancellazione della propria sovranità. Sul proprio corpo, sulla propria famiglia, sul proprio Stato. Non so voi, io non ci sto. Io nel mio corpo ci vivo e nessuno, per nessun motivo, potrà mai decidere di farci cose senza il mio consapevole, libero e indipendente consenso. Quindi non mi basta che questo obbligo venga cancellato. Ogni trattamento sanitario obbligatorio deve essere dichiarato illegale. Le leggi devono venire cambiate. Il principio della sovranità deve venire ristabilito e garantito in modo chiaro e inequivocabile: sovranità dell’individuo sul proprio corpo e sulla propria mente, di cui è unico proprietario e responsabile; sovranità della famiglia, comunque essa venga intesa, sovranità prioritaria rispetto allo Stato nelle decisioni sui propri figli minorenni; sovranità dello Stato nelle proprie decisioni economiche, sociali, culturali, che devono rispecchiare la volontà del popolo, non quelle di arroganti élite sovranazionali che si credono una razza superiore.Questo deve essere l’obiettivo, chiaro e inequivocabile. Ogni altro obiettivo di minore ampiezza sarebbe comunque una finta vittoria: una concessione temporanea da parte di chi detiene il vero potere dentro cui viviamo oggi prigionieri, che un domani verrà ritirata. Non so voi, ma io non mi sono svegliato a metà: ho gli occhi bene aperti e non li chiuderò di nuovo. La seconda cosa che ho da dirvi riguarda il metodo. In questi due anni abbiamo protestato in ogni modo ragionevole, cercato ogni tipo di dialogo possibile, e non ha funzionato: perché, molto semplicemente, quando non ci hanno insultato, accusato di colpe odiose e immaginarie o preso in giro, ci hanno totalmente ignorato. Quindi è tempo che noi si prenda una decisione fondamentale: se vogliamo soltanto continuare a ribadire le nostre ragioni restando inascoltati, o se invece vogliamo tradurle in realtà. Credo che l’esperienza del governo in vigore lo abbia chiarito a tutti: non cambieranno nulla. Non importa cosa hanno promesso, non importa nemmeno cosa stanno ancora promettendo: non cambieranno nulla perché non vogliono cambiare nulla. Che costi troppo politicamente, che temano ritorsioni delle controparti o che si siano fatti conquistare da qualche lusinga non cambia un emerito cazzo: non cambieranno nulla.Se vogliamo che questo obbligo scompaia, non basta più chiederlo, e non basta nemmeno più pretenderlo: dobbiamo costringerli. Dobbiamo costringere lo Stato a cancellare questo abuso. E come li possiamo costringere? Con azioni: pratiche e concrete azioni di pressione. Facciamo parte del paese Italia. Bene, ci sono migliaia di modi in cui possiamo ostacolare il paese Italia. Possiamo boicottarne settori, piccoli e grandi, con azioni di gruppo mirate e specifiche. Possiamo infilare tanti di quei bastoni negli ingranaggi di questo paese da arrivare persino a bloccarlo del tutto. Ma se lo facciamo, smettiamo di essere un fenomeno da baraccone, dei rompiscatole folkloristici i cui voti cercare di fottersi con qualche promessina, o da prendere per il culo sui giornali di regime, e comunque di cui ignorare costantemente le richieste: diventiamo un pericolo concreto. E se diventiamo un pericolo concreto, ci combatteranno seriamente. Non come succede oggi.Oggi violano i nostri diritti, i diritti dei nostri figli, ma non ci stanno affatto combattendo; perché gli serviamo, dopotutto. Siamo gli untori contro cui motivare fanatismo. Ma se diventiamo una minaccia concreta al sistema, il sistema ci colpirà con tutta la sua forza. Saremo denunciati, anche con reati inventati su misura. Perseguiti, arrestati, condannati. Come lo sono stati tutti coloro che hanno combattuto per i loro diritti, per i diritti del loro popolo. Che fosse il diritto di voto delle donne o la fine dell’apartheid, la abolizione della schiavitù o la fine della discriminazione dell’orientamento sessuale, persone hanno combattuto, sono state perseguitate, imprigionate, persino torturate o uccise. Questa battaglia non ha nulla di differente: vuole cancellare delle imposizioni, sostenute da una struttura che è insieme economica, culturale e militare e che non ha la minima intenzione di riconoscere questi diritti – anzi, lavora attivamente per cancellarli definitivamente dalla storia. Quindi, se combattiamo davvero, queste cose succederanno anche ad alcuni tra noi.La cosa importante è capire, mettere bene a fuoco che non stiamo parlando di una passeggiata. Tutti vogliamo sentirci gli eroi dei film che abbiamo visto, impavidi e pronti a tutto contro i potenti cattivi. Ma qui, nel mondo reale, si pagano costi alti anche solo a provarci. Questo dobbiamo per prima cosa capire a fondo, per poi decidere se vogliamo farlo o meno. La domanda è: siete pronti a questo? Perché se preferite onestamente continuare a fare battaglia solo a parole, a livello di principi, per me va anche bene: basta esser chiari sul fatto che non cambieremo un cazzo, perlomeno non per i prossimi trecento anni. Se è così, diciamocelo chiaro e smettiamo di illuderci con speranze inutili. Io scriverò altri libri, pubblicherò post e articoli, voi farete un po’ quel che vi pare. I bambini continueranno a venire esclusi dagli asili, poi dalle scuole, poi dalle mense, e così gli adulti. Le nostre Sovranità continueranno a venire violate, compresse, cancellate. Oppure, raccogliamo il coraggio e combattiamo. Sapendo che pagheremo prezzi alti, che verremo colpiti duramente, personalmente. Che le nostre vite potrebbero venire stravolte, spezzate.Fatemelo dire chiaro: la battaglia sarà lunga, non durerà meno di un decennio. E lo sappiamo benissimo: i mezzi a disposizione del nemico sono enormi rispetto ai nostri. Eppure, possiamo vincere. Vi sembra impossibile? Beh, Gandhi ha combattuto contro un impero. Equipaggiato soltanto un paio di sandali ha fronteggiato un esercito. Ha chiesto, gentilmente, a quell’esercito di andarsene dalla sua terra, dal suo Stato. Ha insistito, ha promosso scioperi e sabotaggi, ci sono voluti oltre trent’anni costellati da centinaia di morti, migliaia di feriti e decine di migliaia di imprigionati. Ma alla fine ha vinto. Io di fare passerella a ribadire soltanto concetti teorici ne ho francamente avuto abbastanza. Se vogliamo iniziare a combattere davvero, ci sono. Voi, sul serio, ci siete? Pensateci e decidete, liberamente e responsabilmente.Io la mia decisione la ho presa: si chiama Rete Nazionale di Sostegno per la Libertà, in breve ReNaSoLi. Ne ho già parlato anche a Bologna il 23 settembre del 2018. Molto in breve, ha la finalità ideologica di ristabilire la piena sovranità, in ordine di importanza, dell’individuo, della famiglia e dello Stato. E si pone come obiettivi due finalità concrete: 1. avviare una rete di agevolazioni reciproche volontarie; 2. creare una struttura operativa di difesa e reazione. Dedicherò altri post a descriverne meglio sia l’impianto teorico che la struttura organizzativa; per ora posso dire che sta già sommando le forze di molte realtà e di molti individui. Il sito di riferimento, ancora assolutamente temporaneo, è http://www.renasoli.it. Io la mia decisione la ho presa. Adesso la scelta sta a voi.(Stefano Re, intervento pronunciato alla manifestazione contro l’obbligo vaccinale svoltasi a Torino il 23 marzo 2019, ripreso in video su YouTube e trascritto da “Luogo Comune”).Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.
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Ombre cinesi, in svendita l’Italia del Marchese del Grillo
L’imperatore Xi Jinping è venuto in Italia a dare un’occhiata ai suoi nuovi possedimenti, e tutta la politica nostrana sullo sfondo è apparsa tristemente per quel patetico agitarsi di moschini della merda che è sempre stata. L’Italia è una colonia (colonialista) che passa periodicamente da un padrone all’altro a seconda della convenienza, vera o presunta. I suoi governanti di facciata non sono che passacarte, pataccari, squallidi traffichini interessati solo a concimare il loro orticello di voti, privilegi, tangenti e like, capaci solo di fare la voce grossa con sfrattati e naufraghi, e lanciare qualche monetina (arroventata) dal balcone come il Marchese del Grillo, ridendo di chi s’affanna a raccattarle. Quali sono le regole per chiedere il reddito di cittadinanza questa settimana? Non ha importanza, la settimana prossima cambieranno di nuovo.Il capitalismo di Stato cinese è venuto a comprarsi l’Italia in saldo, però Unione Europea e Stati Uniti non molleranno facilmente la presa. L’asse di Aquisgrana teme particolarmente che la Cina usi l’Italia come backdoor per invadere e controllare tutto il mercato europeo. Gli Usa, che ci spiano, temono particolarmente che i cinesi, spiando noi, possano spiare anche loro che spiano noi. E loro. Entrambi i blocchi occidentali sanno bene che la “belt” della Belt and Road Initiative è concepita per strangolarli. Il governo Grilloverde continuerà a recitare l’Arlecchino servitore di due padroni (anzi quattro, contando anche Putin) finché potrà. Poi finirà cotto al vapore. È particolarmente grottesco (cioè italiano) che il governo che si definisce “sovranista” in realtà non sappia a quale potenza straniera svendersi prima. Chiude i porti ai profughi, li svende ai miliardari: questa maggioranza ci tiene a dimostrare che non è razzista. È classista.Non c’è da meravigliarsi che sempre meno italiani credano alla farsa del contratto Grilloverde, come dimostreranno anche i risultati delle elezioni in Basilicata (Lega 19% e M5S 20%: calcolata l’astensione al 47%, un totale di 2 elettori su 10). Sono comunque ancora troppi. Troppi credono ancora che votare possa servire a qualcosa. La bandiera a cinque stelle che sventola oggi sulla penisola è quella cinese. E Mattarella approva. Se i nuovi padroni d’Italia sostituiranno l’assemblea parlamentare con un teatrino delle ombre e delle sagome di cartone, nessuno s’accorgerà della differenza.(Alessandra Daniele, “Ombre cinesi”, da “Carmilla” del 24 narzo 2019).L’imperatore Xi Jinping è venuto in Italia a dare un’occhiata ai suoi nuovi possedimenti, e tutta la politica nostrana sullo sfondo è apparsa tristemente per quel patetico agitarsi di moschini della merda che è sempre stata. L’Italia è una colonia (colonialista) che passa periodicamente da un padrone all’altro a seconda della convenienza, vera o presunta. I suoi governanti di facciata non sono che passacarte, pataccari, squallidi traffichini interessati solo a concimare il loro orticello di voti, privilegi, tangenti e like, capaci solo di fare la voce grossa con sfrattati e naufraghi, e lanciare qualche monetina (arroventata) dal balcone come il Marchese del Grillo, ridendo di chi s’affanna a raccattarle. Quali sono le regole per chiedere il reddito di cittadinanza questa settimana? Non ha importanza, la settimana prossima cambieranno di nuovo.
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Pietà per Michael Jackson, viveva come se fosse già morto
A dieci anni dalla morte di Michael Jackson, un film in uscita mette a soqquadro la memoria della pop star e getta lunghe ombre di pedofilia sulla sua controversa figura. Due ex-adolescenti lo accusano di abusi sessuali e il mondo nuovamente si divide tra i suoi perduranti fan e i suoi detrattori, i suoi famigliari e i suoi accusatori, mentre fioccano denunce e querele. Non entrerò nel merito della questione, ma mi soffermerò sul mito di questo cantante. Quando morì, nel 2009, Michael Jackson era già morto da tempo immemorabile e passava la sua vita di cadavere ad amministrare la sua sontuosa decomposizione, il suo mito e le sue apparizioni. Mandava videoclip dall’aldilà, a volte canzoni, spargeva aneddoti e immagini sconcertanti, in una danza scatenata, musicale e farmaceutica, sanitaria e giudiziaria, intorno alla sua bara. Studiava da morto da parecchi anni, annunciava tumori e paralisi, simulava morti e resurrezioni, e dissimulava le malattie troppo banali come la vitiligine, esibiva mutazioni raccapriccianti e malattie genetiche esclusive, come si addice agli dei; ma la sua divinità non sprigionava l’aura dell’immortalità, era una morte prolungata per ripararsi dalla vita, le sue offese e le sue invadenze.Non era mai capitato ma ci fu un mercato nero per procurarsi a caro prezzo un invito ai suoi funerali; e mai espressione come mercato nero fu più azzeccata per indicare un traffico di soldi illeciti intorno al funerale di un nero pentito. Funerali rinviati per gestire la gigantesca dimensione del cordoglio, a più di dieci giorni dalla morte. Fu un’icona e un prototipo di chi si rivolge alla tecnica e ai farmaci per manipolare la vita e risolvere i problemi che un tempo affidava alla religione, alla filosofia e al mito. Non esprimo giudizi morali di condanna per la sua vita né giudizi musicali di celebrazione davanti al suo corpo irriconoscibile, al suo naso ridotto ad una presa elettrica, alle sue labbra simili alla fessura di un bancomat, a un viso sfigurato che perde quel che Lévinas riteneva essere l’inalterabile specificità di una persona: il volto. Non aveva volto, Jackson. Quel che gli era rimasto addosso era una specie di mascherina estetico-funeraria, un incrocio tra il visage dall’estetista e la cera mortuaria da obitorio. Non voglio soffermarmi sulle accuse di pedofilia che lo hanno accompagnato anche in vita e tantomeno abbracciare gli alibi dei suoi fan che ebbe un’infanzia difficile e da ricco finanziò opere benefiche in favore dell’infanzia.Sbianchettandosi in quel modo orrendo tradì la sua identità e quella di tutti i neri della terra. Offese la negritudine. Quel suo essere un Ogm umano, geneticamente modificato per sfuggire alla sua identità, quel suo razzismo biologico, masochista, contro la sua origine, suscita un’infinita, irredimibile pietà. Quel suo stuprarsi la vita, resettare l’origine e la memoria, rivelava pena e strazio di vivere. E la sua immensa ricchezza, la sua straordinaria fama, non alleviavano quella pena, semmai la ingigantivano, la facevano più clamorosa e cosmica, fino a renderlo il testimonial planetario della condizione umana che volta le spalle al cielo e alla terra, cioè alla vita e all’immortalità, per vivere una gloriosa parodia di morte prolungata, uno spettacolo di agonia anestetizzata. Alla sua morte pensarono di asportargli il cervello per capire di che era morto. Ma al di là del referto medico, chi studia l’animo umano in rapporto alla vita e al suo svanire già lo sa. Jackson è morto di rifiuto della condizione umana e terrena, rifiuto della realtà, del mondo, orrore della vita e dei suoi limiti, ricusazione del fato.È martire della società postumana, transgenica e transumana, che si illude di sopravvivere alla vita rinunciando a viverla, che si sottrae agli urti, all’invecchiamento e alla realtà per preservarsi pura e incontaminata in una surreale esistenza asettica che coincide con un’eutanasia. Fuori dall’età che avanza, fuori dal mondo. Terrore di contatti con gli umani. Odori umani troppo umani, schifo per le cose e per i cibi, cordone sanitario per ripararsi dalla vita e da quella rude e primitiva verità che è la natura. Figli nati senza incontro carnale, senza eros; della vita resta solo un’icona incorporea. E per sottrarsi alle passioni umane, analgesici e anoressia. Jackson era la proiezione su maxischermo di una condizione mentale diffusa tra chi vuol modificare la sua vita e allontanarsi dalla natura, dalla finitudine, dal declino: tatuaggi e chirurgie, pillole e lifting, alcol e droga, diete e radicali modifiche del proprio look, perché si soffre la propria identità, voglia di autocrearsi e di sottrarsi al carcere del proprio corpo. Antiche eresie, religioni gnostiche degenerate, paradisi artificiali che somigliano all’inferno. La cura di sé sfocia nell’imbalsamazione già da vivo.Il suo simulacro è quella cassa a ossigeno scelta per la toilette funeraria. E la sua location più appropriata era quella sua villa che si chiamava non a caso Neverland e che, non a caso, non riescono a vendere. La terra che non c’è per una vita che non c’era. Neverlife. Il simbolo più efferato di questa condizione postumana è il suo stomaco: era vuoto di cibi e pieno di pillole e sostanze contro il dolore, contro la depressione, contro l’ansia, contro i contagi. Nel suo stomaco si raccoglieva come un’urna il male occidentale, i suoi fantasmi, la sua paura di invecchiare, di morire, di soffrire, di contagiarsi, di finire in solitudine e di restare incarcerati nei limiti della condizione umana. Un rifiuto del destino, un odio del fato, che è stato fatale. Neverlife è l’epitaffio più sensato per titolare la compilation della sua vita. Ha speso la vita a organizzare il suo funerale. Non infierite ora a dieci anni dalla morte riesumando la sua vera o presunta pedofilia. Abbiate pietà di quell’uomo che si inflisse già da morto la pena di una vita sontuosa in fuga da se stesso, dal mondo, dagli umani.(Marcello Veneziani, “Michael Jackson, il nero pentito”, da “La Verità” del 17 marzo 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).A dieci anni dalla morte di Michael Jackson, un film in uscita mette a soqquadro la memoria della pop star e getta lunghe ombre di pedofilia sulla sua controversa figura. Due ex-adolescenti lo accusano di abusi sessuali e il mondo nuovamente si divide tra i suoi perduranti fan e i suoi detrattori, i suoi famigliari e i suoi accusatori, mentre fioccano denunce e querele. Non entrerò nel merito della questione, ma mi soffermerò sul mito di questo cantante. Quando morì, nel 2009, Michael Jackson era già morto da tempo immemorabile e passava la sua vita di cadavere ad amministrare la sua sontuosa decomposizione, il suo mito e le sue apparizioni. Mandava videoclip dall’aldilà, a volte canzoni, spargeva aneddoti e immagini sconcertanti, in una danza scatenata, musicale e farmaceutica, sanitaria e giudiziaria, intorno alla sua bara. Studiava da morto da parecchi anni, annunciava tumori e paralisi, simulava morti e resurrezioni, e dissimulava le malattie troppo banali come la vitiligine, esibiva mutazioni raccapriccianti e malattie genetiche esclusive, come si addice agli dei; ma la sua divinità non sprigionava l’aura dell’immortalità, era una morte prolungata per ripararsi dalla vita, le sue offese e le sue invadenze.
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Galloni: Greta e i Gretini sono come la Corazzata Potemkin
Vi ricordate Fantozzi con la Corazzata Potemkin? Alla cinquantesima proiezione del noto film di Eisenstein al circolo dei nostalgici della Rivoluzione Russa ebbe il coraggio di urlare: è una boiata pazzesca! Con ciò nessuno voleva insultare né la rivoluzione né i bolscevichi, ma solo il culto, il rito che niente ha a che fare con lotte e rivendicazioni. Del pari, oggi, tutti abbiamo piena consapevolezza della centralità della questione ambientale; ma la piccola scienziata, che improvvisamente raggiunge l’attenzione di centinaia di televisioni e giornali, non l’ha bevuta quasi nessuno. O meglio, nessuno che abbia un minimo di esperienza in materia ignora che dietro c’è ben altro. Prima di cercare di capire cosa è questo ben altro, vediamo di fare il punto su due aspetti: la situazione ambientale e cosa potrebbe bollire nella pentola di chi controlla mass media e non solo. Allora: il surriscaldamento del pianeta c’è, ma varia notevolmente da zona a zona; inoltre, ciascuno sa che il pianeta stesso ha affrontato numerosissime volte surriscaldamenti e raffreddamenti estremi. Meno noto, ma non ignoto, è che l’anidride carbonica prodotta dall’azione dell’uomo (che è raddoppiata dalla rivoluzione industriale a oggi) rappresenta circa il 2% del totale dei gas serra, che con l’uomo c’entrano ben poco, ma senza i quali la vita sulla Terra non sarebbe possibile.Il surriscaldamento, quindi, non attenta alla vita sulla Terra e non è causato dall’uomo, ma attenta alla vita dell’uomo perché la cosiddetta antropizzazione ha raggiunto livelli e intensità e caratteristiche che non si erano mai registrate in precedenza. Quindi non si tratterà di fermare il surriscaldamento (cosa impossibile) come dicono Greta e i suoi seguaci Gretini, ma di affrontarlo coordinando e predisponendo tutta la immensa strumentazione tecnologica disponibile senza farci perdere altro tempo, cosa che stanno facendo Greta, Gretini e vari pseudoscienziati candidati a qualche improbabile premio internazionale. Al contrario, è molto grave che latitino le iniziative contro l’invasione delle plastiche e l’inquinamento, così nocivo per la salute (speriamo che l’esempio della Puglia e di altri che stanno bandendo le plastiche sia seguito); né è accettabile che ancora si parli di rifiuti invece che di risorse, e che l’economia circolare sia guardata solo come una curiosità. Eppoi di che parliamo, se da decenni case e uffici vengono costruiti utilizzando materiali che si surriscaldano al primo raggio di sole e gelano al primo vento freddo? Non dico di tornare ai trulli e ai nuraghi, ma insomma…E veniamo all’altro aspetto. Visto che a nessuno è sfuggita la concomitanza tra successo mediatico dell’operazione Greta e momento-prospettive di crisi del sistema economico finanziario (crisi che richiede cambi di paradigma che metterebbero all’angolo i poteri forti), perché non pensare che questi ultimi temano l’introduzione di tecniche che produrrebbero energia, cibo e quant’altro a costo zero? Anche l’ultimo velo della scarsità monetaria sta per saltare e, con esso, la supremazia dei potenti; allora risulta chiaro che il freno allo sviluppo appare un utile diversivo, per chi vuole contrastare un’evoluzione della dinamica storica che pone le basi per il superamento dei vecchi equilibri tra popoli sottomesssi e oligarchie dominanti.(Nino Galloni, “Greta, Gretini e la Corazzata Potemkin”, da “Scenari Economici” del 16 marzo 2019).Vi ricordate Fantozzi con la Corazzata Potemkin? Alla cinquantesima proiezione del noto film di Eisenstein al circolo dei nostalgici della Rivoluzione Russa ebbe il coraggio di urlare: è una boiata pazzesca! Con ciò nessuno voleva insultare né la rivoluzione né i bolscevichi, ma solo il culto, il rito che niente ha a che fare con lotte e rivendicazioni. Del pari, oggi, tutti abbiamo piena consapevolezza della centralità della questione ambientale; ma la piccola scienziata, che improvvisamente raggiunge l’attenzione di centinaia di televisioni e giornali, non l’ha bevuta quasi nessuno. O meglio, nessuno che abbia un minimo di esperienza in materia ignora che dietro c’è ben altro. Prima di cercare di capire cosa è questo ben altro, vediamo di fare il punto su due aspetti: la situazione ambientale e cosa potrebbe bollire nella pentola di chi controlla mass media e non solo. Allora: il surriscaldamento del pianeta c’è, ma varia notevolmente da zona a zona; inoltre, ciascuno sa che il pianeta stesso ha affrontato numerosissime volte surriscaldamenti e raffreddamenti estremi. Meno noto, ma non ignoto, è che l’anidride carbonica prodotta dall’azione dell’uomo (che è raddoppiata dalla rivoluzione industriale a oggi) rappresenta circa il 2% del totale dei gas serra, che con l’uomo c’entrano ben poco, ma senza i quali la vita sulla Terra non sarebbe possibile.
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La fantasia al potere, per davvero: cent’anni fa, a Fiume
Vi propongo la trama di un film per celebrare un fantasioso centenario. Un poeta rimasto orbo, reduce da imprese eroiche e spettacolari come la trasvolata su Vienna o la Beffa di Buccari, marcia su Fiume con poeti, letterati, musicisti, donne e soldati. Il mondo lo osserva curioso. Lui progetta la marcia su Fiume dalla casetta rossa di Venezia, dove riceve donne e ufficiali, e poi arriva in Istria nel settembre del 1919 con un’auto scoperta, il monocolo e i legionari al seguito. La compagnia che lo segue è di personaggi straordinari. Giovani letterati come Giovanni Comisso, Henri Furst, Raffaele Carrieri, ufficiali come l’ebreo russo polacco Leòn Kochnitsky, di nascita belga, nordico affascinato dalla solarità mediterranea, musicista e letterato; o un ufficiale che ha compiuto imprese folli come Guido Keller che lanciò in una trasvolata un pitale su Montecitorio e fiori sul Vaticano e per la regina sul Quirinale; vive nudo e sfrenato a Fiume, defeca da un albero, ha una dieta assurda, fa amore di gruppo. A Fiume nasce lo Yoga, associazione trasgressiva di spiriti liberi, tra ladri, prostitute, tossicomani. Ha come simbolo la svastica ma nel verso tradizionale, opposta a quella che sarà poi del nazismo. E progetta il castello d’Amore, dove simulare feste medievali con donne e soldati.Il rituale politico-cameratesco annuncia il fascismo ma Mussolini è freddo e scettico sull’impresa fiumana perché la considera velleitaria; e il poeta lo attacca sul suo stesso “Popolo d’Italia”, lo accusa d’avere paura e di tradire la Vittoria. A Fiume arrivano un po’ tutti, Guglielmo Marconi a bordo del suo bianco yacht Elettra, e poi torna per divorziare, consigliato da Mussolini, perché a Fiume è facile separarsi: Toscanini con la sua orchestra fa concerti devolvendo gli incassi ai poveri; Filippo Tommaso Marinetti, accolto trionfalmente, si produce in vari discorsi show; arrivano ufficiali giapponesi, belgi e ungheresi che diventano legionari fiumani. Difende Fiume anche Gramsci da chi lo presenta come «un luogo di bestialità, prepotenza, possesso di donne»; anche Lenin è affascinato da Fiume. Per la prima volta partecipano all’impresa alcune donne, come Fiammetta, pseudonimo di una nobildonna milanese, Margherita Besozzi; o donna Ninetta, splendida moglie dell’aviatore Casagrande, bionda ed elegante contessa; ragazze in grigioverde e qualche prostituta. A Fiume si svolgono convegni suggestivi notturni al chiarore delle fiaccole, baccanali in spiaggia, feste dionisiache con vino, donne, sesso e cocaina, “la polvere folle” del Poeta.Battaglie simulate, orge in costume, soldati inghirlandati, che danzano e vestono in modo stravagante, si fanno crescere barba e capelli o se li rasano a zero, e fondano la Congregazione del Pelo. Lui guerrafondaio inventa lo slogan pacifista “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, infilando un fiore nel moschetto e parlando di fiori e libero amore. Ci sono gli animalisti, un ufficiale gira con una volpe al guinzaglio, Keller vive con un’aquila e si presenta alla mensa con un pappagallo sul petto; una volta carica sul velivolo un asino… Spopola a Fiume un romanzo futurista, “L’isola dei baci”, ambientato a Capri, di Corra e Marinetti, dove si immagina il primo gay pride, un congresso di omosessuali il cui motto è “raffinati di tutto il mondo unitevi”. Importanti sono i diari fiumani, come quello di Comisso che descrive Fiume come «una città in amore», in cui «tutti si diedero a un godimento irruente». Il Comandante rimprovera gli eccessi sessuali dei legionari, ma ha varie avventure erotiche a Fiume (si auto-definì “porco con le ali”, antesignano di Lidia Ravera).Da una porticina segreta faceva entrare una canzonettista chiamata Lilì di Montresor, che poi ripartiva con ben 500 lire in borsetta; o una donna sensuale e selvaggia chiamata Barbarella nei suoi Taccuini, una quindicenne per lui 53enne, “Bianca, la piccola”, “Gr, Bruna e molle”, una maestrina di Merano. Nella sala del comando, racconta Nino d’Aroma, passarono «molte donne di tutta Europa, vecchi amori, spente fiamme e nuove conquiste». Leggendaria la nascita del profilattico a Fiume battezzato Habemus Tutorem, poi noto come Hatù (ma un’altra versione attribuisce il nome nientemeno che al cardinal Nasalli Rocca). Arrivano a Ronchi pure i frati modernisti, che disobbediscono alla chiesa per seguire il patriottismo del Comandante, espongono alla finestra del monastero il motto dannunziano “Hic manebimus optime” e alla fine sette cappuccini abbandonano il saio. L’amministratore apostolico di Fiume, don Celso Costantini, accusa il poeta di paganesimo. La reggenza del Carnaro, col sindacalista Alceste de Ambris, dura sedici mesi, da settembre al Natale dell’anno dopo. Poi sarà cannoneggiata.Provano prima con le trattative e le promesse – c’è anche Badoglio, mandato dal presidente del consiglio Nitti, detto dal Poeta il “Cagoja” – poi sarà Giolitti a far bombardare Fiume e costringere alla resa. L’ultimo discorso del Comandante a Fiume si conclude con un Viva l’Amore. Quasi un promo del ’68, degli hippy e un riassunto delle rivoluzioni, da quella fascista a quella sovietica, che allora il Vate ammirava (sognava un comunismo senza dittatura, libertario, aristocratico, anarchico e nazionalista). Insomma un microcosmo-manicomio di utopisti, sognatori e velleitari. Un film d’immaginazione, ma la storia è vera, come il mitico Comandante-Poeta. Cent’anni fa la fantasia andò davvero al potere, ma non vi restò molto. Ps: il poeta in questione, l’avrete capito, è Gabriele d’Annunzio, su cui ieri si è aperta una mostra al Vittoriale. Sulla sua impresa fiumana uscirà tra un paio di settimane un’opera ponderosa di Giordano Bruno Guerri. Anni fa Tinto Brass e Pasquale Squitieri mi proposero di scrivere la sceneggiatura di un film dedicato a D’Annunzio a Fiume. Eccone l’abbozzo postumo…(Marcello Veneziani, “La fantasia al potere, cent’anni fa”, da “La Verità” del 10 marzo 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani. Nell’appendice storiografica del romanzo “Il volo del pellicano”, pubblicato da Melchisedek nel 2016, Gianfranco Carpeoro svela la profonda motivazione dell’impegno civile di D’Annunzio, grande poeta e fine letterato: è stato il terz’ultimo “Ormùs” – gran maestro – dei Rosa+Croce, leggendaria confraternita sapienziale di natura iniziatica; i successori di D’Annunzio sarebbero stati l’artista francese Jean Cocteau e poi il genio surrealista spagnolo Salvador Dalì; poi i Rosa+Croce si sarebbero eclissati, in realtà per effetto di una decisione programmata già dai tempi della conferenza di Yalta, dove emersero i germi della futura guerra fredda e del conflitto israelo-palestinese, concepito per colonizzare militarmente il Medio Oriente petrolifero. L’ispirazione “rosacrociana” è evidente nella Carta del Carnaro, in vigore nell’effimera reggenza dannunziana di Fiume: a detta degli storici resta la Costituzione più avanzata – la più moderna, democratica e rivoluzionariamente libertaria che sia mai stata varata, nel mondo. Non è strano, sottolinea Carpeoro: i Rosa+Croce sono i progenitori culturali del socialismo, avendo “firmato” già nel ‘600 opere come “Christianopolis” di Johann Valentin Andreae, “Utopia” di Tommaso Moro e “La Città del Sole” di Tommaso Campanella, tutte ispirate dal sogno di un mondo più giusto).Vi propongo la trama di un film per celebrare un fantasioso centenario. Un poeta rimasto orbo, reduce da imprese eroiche e spettacolari come la trasvolata su Vienna o la Beffa di Buccari, marcia su Fiume con poeti, letterati, musicisti, donne e soldati. Il mondo lo osserva curioso. Lui progetta la marcia su Fiume dalla casetta rossa di Venezia, dove riceve donne e ufficiali, e poi arriva in Istria nel settembre del 1919 con un’auto scoperta, il monocolo e i legionari al seguito. La compagnia che lo segue è di personaggi straordinari. Giovani letterati come Giovanni Comisso, Henri Furst, Raffaele Carrieri, ufficiali come l’ebreo russo polacco Leòn Kochnitsky, di nascita belga, nordico affascinato dalla solarità mediterranea, musicista e letterato; o un ufficiale che ha compiuto imprese folli come Guido Keller che lanciò in una trasvolata un pitale su Montecitorio e fiori sul Vaticano e per la regina sul Quirinale; vive nudo e sfrenato a Fiume, defeca da un albero, ha una dieta assurda, fa amore di gruppo. A Fiume nasce lo Yoga, associazione trasgressiva di spiriti liberi, tra ladri, prostitute, tossicomani. Ha come simbolo la svastica ma nel verso tradizionale, opposta a quella che sarà poi del nazismo. E progetta il castello d’Amore, dove simulare feste medievali con donne e soldati.