Archivio del Tag ‘Giorgio Napolitano’
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Povera Italia: giù i salari, ai dipendenti 1000 euro in meno
L’austerity ha devastato i salari italiani, che hanno perso mille euro di potere d’acquisto negli ultimi sette anni. Se n’è accorta la Fondazione Di Vittorio, centro studi della Cgil che mette a confronto le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti italiani con quelle del passato, paragonandole a quelle degli altri grandi paesi europei. Risultato sconfortante: in Italia gli stipendi si sono “ristretti”, mentre all’estero – in particolare in Germania e Francia – sono saliti. Il report della Fondazione Di Vittorio rileva le retribuzioni lorde (dati Ocse) dal 2001 al 2017. Sorpresa: in Italia c’è stata una sostanziale “stazionarietà” dei salari, mentre dal 2010 al 2017 si è verificata una perdita di 1.059 euro, circa il 3,5%. L’analisi, scrive “Repubblica”, è basata sui salari reali, cioè «aumentando “virtualmente” le retribuzioni di allora, come se i prezzi del 2010 fossero stati gli stessi di oggi». Se nel 2010 la retribuzione media in Italia era di 30.272 euro, sette anni dopo è scesa a quota 29.214. Ovvero: possiamo comprare 1.000 euro di beni e servizi in meno. Tutt’altra musica in Germania: il lavoratore dipendente tedesco, che già nel 2010 era pagato meglio del collega italiano (35.621 euro), nel 2017 riceveva 39.446 euro, cioè 3.825 euro in più. In crescita anche i salari francesi: circa 2.000 euro in più: il 5,3% (da 35.724 euro a 37.622).Evidente che il sistema-Italia è quello che più ha sofferto delle politiche di rigore indotte dall’Eurozona. La fondazione della Cgil punta il dito contro i contratti-pirata che tengono i salari sotto al minino, ma l’analisi – firmata da Lorenzo Birindelli – denuncia soprattutto il part-time e i lavori discontinui, che l’Ocse include nella rilevazione, considerandoli come prestazioni full time. Le nostre retribuzioni per i lavoratori a tempo parziale sono più basse della media dell’Eurozona: da noi valgono il 70,1% del full time, mentre nel resto d’Europa l’83,6%. Grave la carenza di “capitale umano” nel nostro paese: in calo la quota di dirigenti e di professioni tecniche. In sostanza, «in Italia si è ridotta la presenza delle alte qualifiche (7 punti percentuali in meno in questo ultimo ventennio) mentre sono aumentate di 2 punti percentuali le basse qualifiche». Come rimediare? Secondo Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, serve un intervento su qualità e quantità dell’occupazione, ma anche «una nuova fase di contrattazione a tutti i livelli», nonché «una vera e propria riforma fiscale in senso progressivo, che recuperi risorse verso le retribuzioni».La radiografia complessiva realizzata dal rapporto della Fondazione non conforta, sottolinea “Repubblica”: su 15 milioni di lavoratori dipendenti, nel solo settore privato, ben 12 milioni hanno una retribuzione lorda sotto i 30.000 euro. Di questi, circa 4,3 milioni sono sotto i 10.000 euro annui lordi. «Del resto, altri recenti dati Eurostat confermano la caduta della quota dei salari sul Pil: nel 2019 siamo al 59,9%, uno dei rapporti più bassi in Europa, in discesa dal 2012». Avverte Maurizio Landini, neo-segretario della Cgil: «La stagione dei rinnovi contrattuali del 2109 deve affrontare, prima di tutto, la questione salariale». Evidente: «In Italia si continuano a pagare salari troppo bassi ai lavoratori». In questi anni, come leader della Fiom, Landini è stato l’unico – nella Cgil – ad alzare i toni, specie contro la Fiat di Marchionne. Largamente silente, invece, il resto della Cgil, così come Cisl e Uil, di fronte alla devastazione strutturale inferta all’economia dal governo tecnico di Mario Monti, imposto all’Italia nel 2011 dai poteri forti Ue con la collaborazione di Giorgio Napolitano. Operazione costata carissima, ai lavoratori: se ne accorge – nel 2019 – persino la Cgil, che tuttavia non ha mosso un dito per difendere il governo Conte nel momento in cui chiedeva di poter almeno innalzare al 2,4% il deficit, per sostenere l’occupazione.L’austerity ha devastato i salari italiani, che hanno perso mille euro di potere d’acquisto negli ultimi sette anni. Se n’è accorta la Fondazione Di Vittorio, centro studi della Cgil che mette a confronto le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti italiani con quelle del passato, paragonandole a quelle degli altri grandi paesi europei. Risultato sconfortante: in Italia gli stipendi si sono “ristretti”, mentre all’estero – in particolare in Germania e Francia – sono saliti. Il report della Fondazione Di Vittorio rileva le retribuzioni lorde (dati Ocse) dal 2001 al 2017. Sorpresa: in Italia c’è stata una sostanziale “stazionarietà” dei salari, mentre dal 2010 al 2017 si è verificata una perdita di 1.059 euro, circa il 3,5%. L’analisi, scrive “Repubblica”, è basata sui salari reali, cioè «aumentando “virtualmente” le retribuzioni di allora, come se i prezzi del 2010 fossero stati gli stessi di oggi». Se nel 2010 la retribuzione media in Italia era di 30.272 euro, sette anni dopo è scesa a quota 29.214. Ovvero: possiamo comprare 1.000 euro di beni e servizi in meno. Tutt’altra musica in Germania: il lavoratore dipendente tedesco, che già nel 2010 era pagato meglio del collega italiano (35.621 euro), nel 2017 riceveva 39.446 euro, cioè 3.825 euro in più. In crescita anche i salari francesi: circa 2.000 euro in più: il 5,3% (da 35.724 euro a 37.622).
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Quasi 2 milioni di italiani col Pd, rimasto all’Età della Pietra
Favoloso Pd: dopo Renzi e l’avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l’orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all’età della pietra, prigioniero di un’altra epoca, ancora ipnotizzato dall’illusione ottica dell’Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.Per il Pd, la storia è ferma al 1992, all’europeismo bancario e tecnocratico di Ciampi, tuttalpiù alla super-bufala ulivista dell’oligarca Prodi, asceso al cielo solo grazie alla guerra psicologica contro l’Uomo Nero. Sono passati 25 anni, e sembra che gli elettori Pd non abbiano ancora capito che il vero pericolo per l’Italia non era Berlusconi, ma i poteri oligarchici eurocratici che proprio nel centrosinistra hanno incessamente reclutato alleati docili e servizievoli, da D’Alema e Renzi, cui affidare lo smantellamento progressivo del welfare, la super-tassazione inferta alle aziende, la disoccupazione-choc e la chemio-economy eseguita dal duo tragico Monti-Fornero, cioè i mercenari che – attraverso Napolitano – hanno deformato la Costituzione, sfigurandola con l’inserimento proditorio del pareggio di bilancio approvato senza fiatare dall’infimo Bersani. Nulla di tutto ciò traspare, nemmeno in lontananza, dall’analisi post-sconfitta esalata a mezza voce dal Pd già renziano. Niente di vagamente paragonabile alle riflessioni prodotte in Francia dal gauchista Mélenchon, o in Gran Bretagna dal laburista Corbyn. La cosiddetta sinistra (nominale) italiana non va oltre Zingaretti, Giachetti e Martina. L’altra notizia è che la disfida, interamente disputata a colpi di sbadigli, ha attratto quasi due milioni di elettori sani di mente.Dov’era, in questi anni, il popolo del Pd? Dove si è informato? Cosa ha letto? Chi ha ascoltato? Non c’è stato un dirigente del partito – non uno – capace di indicare le cause del doloroso divorzio tra il Pd e gli italiani, messi in ginocchio da un’euro-crisi sapientemente pilotata grazie all’occhiuta regia di micidiali strateghi come Mario Draghi. Zero assoluto, dal Pd, sul rapporto con Bruxelles: la recessione è accettata come normalità fisiologica, la sottomissione viene subita come destino (anche quando Germania e Francia annunciano ad Aquisgrana il ritorno persino formale al Sacro Romano Impero). Facile, sparare su Di Maio e Toninelli. Comodo, prendersela con lo sgradevole Salvini. Ma se tornasse a Palazzo Chigi, il Pd cosa farebbe? Probabilmente, le stesse cose che ne hanno causato lo sfratto nel 2018. Cos’è cambiato, nell’ultimo anno? Niente. Basta ascoltare Zingaretti, Martina e Giachetti. I buoni sono all’opposizione perché i cattivi sono al governo. E i cattivi sono al governo perché evidentemente gli italiani sono cretini, oltre che un po’ fascisti e xenofobi. Le parole democrazia, sovranità e trasparenza non dicono niente, allo pseudo-europeismo del Pd, ancora e sempre a disposizione dei neoliberisti, i grandi privatizzatori universali. Pazienza per i nano-dirigenti, usi a obbedir tacendo, ma è decisamente sconcertante constatare come, in quel nulla, ripongano ancora una certa fiducia quasi due milioni di elettori italiani.(Giorgio Cattaneo, “Quasi 2 milioni di italiani con il Pd, il partito superstite che è rimasto all’Età della Pietra”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 marzo 2018).Favoloso Pd: dopo Renzi e l’avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l’orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all’età della pietra, prigioniero di un’altra epoca, ancora ipnotizzato dall’illusione ottica dell’Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.
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Contro il governo italiano, Fazio scatena il nemico Macron
Otto francesi su dieci lo prenderebbero cordialmente a calci nel sedere, invece Fabio Fazio si sloga il collo per annuire ginnicamente ad ogni singola parola pronunciata da sua santità Emmanuel Macron, nella non-intervista in cui il conduttore ha fatto più che mai da stuoino, in prima serata su RaiUno. Obiettivo dell’operazione: il nemico dell’Italia, per una volta travestito da amicone del Belpaese (e sodale di Sergio Mattarella, esplicitamente citato), ha tentato di conquistare gli italiani per spingerli a mollare il governo italiano, cioè il “vomitevole” Salvini e l’odiato Di Maio, quello che flirta apertamente coi Gilet Gialli in vista delle europee. A proposito: nella inevitabile domandina sui Gilet Jaunes, Fazio ha incorportato indebitamente il tema dell’antisemitismo: uscita di sicurezza immediatamente imboccata dal Presidentino, che ha potuto largheggiare in solenni insegnamenti morali, come se i Gilet Gialli non esistessero nemmeno. Tra inchini e sorrisi, Fabio Fazio ha letteralmente oscurato il presidente francese, trattato come una specie di rockstar cui strappare comunque un autografo, nonostante l’evidente declino. Una kermesse teatrale, a prescindere dalle non-risposte fornite alle non-domande. Il Trattato di Aquisgrana? Sappiano, gli italiani, che se la Francia fa accordi con la Germania scavalcando l’Ue lo fa per il bene dell’Italia. Così la vera star – Fazio – ha surclassato l’ectoplasma Macron, ormai ridotto a “morto che cammina” della politica francese.Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, Marcello Foa – fortemente osteggiato proprio dall’Amico dell’Italia nella sua ascesa alla presidenza della Rai – ha messo all’indice i vizi capitali del giornalismo odierno, che troppo spesso rinuncia a fare informazione ripiegando pavidamente sul gossip e sulla propaganda ispirata dai grandi decisori. Forse però non immaginava, Foa, che la televisione di Stato potesse scendere così in basso, offrendo – al potere europeo attualmente più ostile al nostro paese – un palcoscenico privilegiato per esibirsi, mentendo spudoratamente su tutto, senza uno straccio di contraddittorio. Abbiamo un problema, segnala Guido da Landriano su “Scenari Economici”: nell’informazione politica, il Tg1 parla al 60% del defunto Pd e della moribonda Forza Italia, lasciano meno del 15% di spazio ai 5 Stelle e meno del 5% alla Lega. Visto che adesso presiede la Rai, Marcello Foa – l’ex vittima di Macron – non potrebbe battere un colpo? Sempre sul newsmagazine creato da Antonio Maria Rinaldi, Francesco Carraro propone di studiare il “fazismo”, un vero proprio «prodotto ideologico», che quindi si può definire un «complesso di pregiudizi, tic, luoghi comuni, mappe mentali, filtri interpretativi, indotti filosofici, culturali e intellettuali nati per rispecchiare (e giustificare) la struttura dei rapporti di forza economico-sociali, tra le classi».In base a questa impostazione, sostiene Carraro, al di sopra della “sottostruttura” delle dinamiche sociali «si erge la sovrastruttura delle idee che consolidano, e legittimano, la prima». Oggi, la “sottostruttura” è chiarissima e si concreta «nel trionfo (definitivo?) delle élite finanziarie (rappresentate soprattutto dagli oligopoli bancari e assicurativi) su un’unica, sterminata classe di uomini-massa». Questa situazione «conduce a un precipitato di carattere politico-istituzionale sotto forma di nuovi metodi di governo (quale, ad esempio, l’euro) e plance di comando (quale, ad esempio, il ginepraio di burocrazie a-democratiche dell’attuale architettura Ue)». Ma seleziona anche «una ideologia di riferimento e una classe intellettuale in grado di veicolarla grazie alle bocche di fuoco dei media di regime». Questa intellighenzia «è vocata, per inesorabile inerzia, ad assecondare i padroni del vapore», scrive Carraro. «Da tutto ciò germina, tra l’altro, il “fazismo” e la sua prolifica propensione a farsi megafono del potere costituito». Tipiche le “lezioni” tenute a “Che tempo che fa” da Carlo Cottarelli, maestro indiscusso «della civiltà fondata sul complesso di colpa del debito pubblico e sul culto dell’austerity, sull’efficientissima manutenzione della macchina dello spread».Ancor più eclatante, aggiunge Carraro, è stata la chiacchierata con Macron, «l’uomo di Stato che per eccellenza incarna l’istrionica attitudine dei manovratori dietro le quinte», inventando «ingannevoli pifferai di Hamelin ad uso delle masse disorientate». Poi, persino le masse fiutano la fregatura e arrivano i Gilet Gialli. Gli ultimi – anzi, gli unici – a non accorgersi della natura ideologica dei propri pensieri e delle proprie azioni sono gli stessi ideologi di punta dell’Ancien Régime, chiosa Carraro: «Nella loro acritica custodia dello status quo risiede la quintessenza del “fazismo”». Può cambiare l’abito, a seconda della serata, ma non la sostanza: l’ometto dell’Eliseo, che ha scaricato clandestinamente migranti alla frontiera italiana, è il principale avversario dell’attuale governo italiano, al quale ha appena fatto saltare l’ultima commessa francese di Fincantieri. Mesi fa, durante i primi scambi polemici col “vomitevole” vicepremier leghista, provvide Papa Bargoglio a invitarlo in Vaticano, ad onta dei gialloverdi. Ora il testimone è passato al Quirinale, che tesse a sua volta la sua trama: così Macron vi si tuffa, scommettendo velenosamente sul Tav Torino-Lione, cioè sul tema che oggi, più di ogni altro, divide Lega e 5 Stelle. L’obiettivo non cambia: far male all’Italia. Fazio Fazio s’inchina e applaude (e la Rai paga).Arriva anche a menzionare la temeraria parola tecnocrazia, l’insaponatore Fazio, ma giusto per permettere all’Amico dell’Italia di avviluppare il tema nel confortante logos, bugiardissimo, che il mediocre attore Macron – tecnocrate, supermassone, banchiere di casa Rothschild – propina impunemente, la domenica sera, ai telespettatori della Rai, grazie alla servizievole disponibilità del presentatore-intrattenitore, per una volta mascherato da quasi-giornalista. Fazio, ovviamente, prende per buono il fatto che Macron parli a nome dei francesi, come se ne avesse la stima. Se il colloquio si fosse svolto in una piazza di Parigi, probabilmente, l’omino dell’Eliseo sarebbe stato interrotto dai fischi. Le sue frottole le ha potute cinguettare fino in fondo solo grazie all’amico Fabio, che ha usato la televisione di Stato per mettere sotto i riflettori il nostro maggiore avversario, travestito da elegante e generoso principe della poltica contemporanea. Non era riuscito, Macron, a impedire a Foa l’accesso alla Rai? Si è potuto consolare ampiamente, grazie alla squisita ospitalità del “fazismo”, alleato ideale – nei fatti – di qualunque potere anti-italiano, al lavoro per indebolire il nostro sistema-paese.Otto francesi su dieci lo prenderebbero cordialmente a calci nel sedere, invece Fabio Fazio si sloga il collo per annuire ginnicamente ad ogni singola parola pronunciata da sua santità Emmanuel Macron, nella non-intervista in cui il conduttore ha fatto più che mai da stuoino, il 3 marzo, in prima serata su RaiUno. Obiettivo dell’operazione: il nemico dell’Italia, per una volta travestito da amicone del Belpaese (e sodale di Sergio Mattarella, esplicitamente citato insieme a Giorgio Napolitano), ha tentato di conquistare gli italiani per spingerli a mollare il governo in carica, cioè il “vomitevole” Salvini e l’odiato Di Maio, quello che flirta apertamente coi Gilet Gialli in vista delle europee. A proposito: nella inevitabile domandina sui Gilet Jaunes, Fazio ha incorportato indebitamente il tema dell’antisemitismo: uscita di sicurezza immediatamente imboccata dal Presidentino, che ha potuto largheggiare in solenni insegnamenti morali, come se i Gilet Gialli non esistessero nemmeno. Tra inchini e sorrisi, Fabio Fazio ha letteralmente oscurato il presidente francese, trattato come una specie di rockstar cui strappare comunque un autografo, nonostante l’evidente declino. Una kermesse teatrale, a prescindere dalle non-risposte fornite alle non-domande. Il Trattato di Aquisgrana? Sappiano, gli italiani, che se la Francia fa accordi con la Germania scavalcando l’Ue lo fa per il bene dell’Italia. Così la vera star – Fazio – ha surclassato l’ectoplasma Macron, ormai ridotto a “morto che cammina” della politica francese.
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Casaleggio massone, ma guai a dirlo all’Italietta gialloverde
Cari amici 5 Stelle, prendete nota: il vostro amato fondatore e ideologo, Gianroberto Casaleggio, era massone. Chi lo afferma? Gioele Magaldi, naturalmente, cioè il “grembiulino” che più di ogni altro, in Italia, ha svelato l’identità liberomuratoria di moltissimi potenti, da Ciampi a Napolitano, da D’Alema a Draghi. Proprio sicuro, Magaldi, che Casaleggio senior indossasse il grembiulino? «Lo immaginavo, ma non ne ero certo. Ora invece ho acquisito la documentazione che lo comprova», afferma l’autore del saggio “Massoni”, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Beninteso: per Magaldi, severo giudice dei “cattivi massoni” al comando dell’Ue, stare in massoneria può essere un titolo di merito. L’importante è non essere ipocriti: il governo gialloverde ha addirittura messo al bando – a parole – la presenza dei massoni nell’esecutivo, pur sapendo che il club pullula di grembiulini (da Tria a Moavero, solo per citare alcuni ministri). Che faccia faranno, Di Maio e Di Battista, nello “scoprire” che anche il compianto Casaleggio era massone? Chi può dirlo: oggi staranno a leccarsi le ferite per la batosta alle regionali in Sardegna, che segue a ruota quella appena rimediata in Abruzzo. Inutile lamentarsi, dice Magaldi, è il minimo che gli potesse capitare: avevano promesso di tutto e non hanno mantenuto niente. Ma niente paura, sono in buona compagnia: con loro c’è Renzi, altro fanfarone, e presto anche Salvini vedrà sgonfiarsi la bolla che finora l’ha fatto volare.E’ una panoramica a tutto campo, quella che Magaldi offre nella video-chat settimanale con Frabetti. Tema: l’inconsistenza dei 5 Stelle come specchio dell’evanescenza generale del sistema politico italiano, dopo tante chiacchiere spese sul cambiamento di cui ancora non c’è traccia. Renzi? «Triste spettacolo, vederlo in televisione a “Non è l’Arena” con Giletti su “La7”: non una parola sui suoi errori, solo l’esecrazione per quella che considera la gogna mediatica alla quale è stato sottoposto per via della vicenda giudiziaria che ha coinvolto i suoi genitori». Parentesi: c’è da domandarsi se sia davvero il caso di infliggere gli arresti (sia pure domiciliari) per reati non terribili. Stesso dicasi per Roberto Formigoni, pessimo esponente del più retrivo clericalismo affaristico, che in Lombardia ha privatizzato ampie fasce di sanità. Di nuovo: è proprio indispensabile la punizione del carcere? Senza con questo contestare i magistrati, Magaldi precisa: «Sul piano politico, fa male vedere che solo qualcuno paga per tutti, mentre chi è troppo potente resta intoccabile». Ma se il declino del “Celeste” si accompagna a quello della Compagnia delle Opere, in auge con la Chiesa conservatrice di Wojtyla e Ratzinger, suona surreale la performance televisiva del Renzi vittimista, versione 2019. Tecnicamente: uno zombie, ormai osteggiato anche nel suo partito. E senza neppure l’onestà elementare – politica, intellettuale – di ammettere di aver fallito su tutta la linea.Il buon Matteo, dice Magaldi, avrebbe dovuto dire, sinceramente: come erede della sinistra italiana avrei dovuto trovare il coraggio di rompere con l’austerity di Bruxelles e quindi imporre la giusta quota di deficit per far ripartire l’occupazione, anziché vendere la fuffa del Jobs Act (insieme a un’orrida riforma della Costituzione). Il Chiacchierone di Rignano ricorda qualcuno: per la precisione, i giovani leoni che promettevano agli italiani un futuro di lusso, addirittura a 5 Stelle. Letteralmente, reddito di cittadinanza significa che l’essere italiani darebbe diritto, di per sé, a una somma di denaro – a prescindere dal reddito e dalle condizioni dei singoli e delle famiglie. Invece, il Di Maio che vende la “sconfitta della povertà” si riduce a elargire un magrissimo sussidio sotto forma di card per acquisti, ma solo dopo una folle trafila bizantina per selezionare i requisiti per i pochissimi “fortunati”. Molto meglio, sostiene Magaldi, il “diritto al lavoro” sancito per legge, in Costituzione, come chiede il Movimento Roosevelt: «Lo Stato sarebbe obbligato a trovare un lavoro a tutti, e questo consentirebbe ai giovani di non dipendere più finanziariamente dalle famiglie».Facile a dirsi: bello, il libro dei sogni firmato Magaldi. E i soldi? Appunto: quelli bisogna conquistarseli, insiste Magaldi, risolvendosi a portare fino in fondo il braccio di ferro con Bruxelles. Dove sta scritto che i paesi Ue debbano sottostare al diktat arbitrario del rigore di bilancio, sorvegliato da tecno-massoni neoliberisti per lo più agli ordini di potentati finanziari privatistici? I patti erano chiari, sembra dire Magaldi ai gialloverdi: non dovevate rovesciare il tavolo europeo, come promesso alle elezioni? Poi non lamentatevi, se non l’avete fatto: vi mancano i fondi per realizzare i programmi, quindi è logico che gli elettori vi stiano scaricando. Per ora tocca ai 5 Stelle, ma presto potrebbe venire il turno di Salvini, sostiene Magaldi: sul problema-migranti (reale, sentito) finora ha campato alla grande, ma attuando solo la “pars destruens”, senza curarsi troppo del futuro. E’ bastato, per ora, a deviare l’attenzione generale dal fallimento del governo nei confronti di Bruxelles. Ma domani il ballon d’essai potrebbe sgonfiarsi, quando anche gli elettori leghisti chiederanno conto, a Salvini, del mancato rispetto delle promesse elettorali più forti, come la radicale riforma fiscale giustamente ventilata. Il 30 marzo, a Londra, il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi farà sentire la voce degli economisti keynesiani nel convegno che chiede a gran voce “Un New Deal rooseveltiano per l’Europa”. Prendano appunti, i 5 Stelle: probabilmente il tema sarebbe piaciuto a Gianroberto Casaleggio, massone visionario.Cari amici 5 Stelle, prendete nota: il vostro amato fondatore e ideologo, Gianroberto Casaleggio, era massone. Chi lo afferma? Gioele Magaldi, naturalmente, cioè il “grembiulino” che più di ogni altro, in Italia, ha svelato l’identità liberomuratoria di moltissimi potenti, da Ciampi a Napolitano, da D’Alema a Draghi. Proprio sicuro, Magaldi, che Casaleggio senior avesse frequentato qualche loggia? «Lo immaginavo, ma non ne ero certo. Ora invece ho acquisito la documentazione che lo comprova», afferma l’autore del saggio “Massoni”, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Beninteso: per Magaldi, severo giudice dei “cattivi massoni” al comando dell’Ue, stare in massoneria può essere un titolo di merito. L’importante è non essere ipocriti: e invece il governo gialloverde ha addirittura messo al bando – a parole – la presenza dei massoni nell’esecutivo, pur sapendo che il club pullula di grembiulini (da Tria a Moavero, solo per citare alcuni ministri). Che faccia faranno, Di Maio e Di Battista, nello “scoprire” che anche il compianto Casaleggio era massone? Chi può dirlo: oggi staranno a leccarsi le ferite per la batosta alle regionali in Sardegna, che segue a ruota quella appena rimediata in Abruzzo. Inutile lamentarsi, dice Magaldi, è il minimo che gli potesse capitare: avevano promesso di tutto e non hanno mantenuto niente. Ma sono in buona compagnia: con loro c’è Renzi, altro fanfarone, e presto anche Salvini vedrà sgonfiarsi la bolla che finora l’ha fatto volare.
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I Tabligh, islamici: il terrorismo Isis viene da massoni Usa
Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).Le prove? Magaldi dichiara di disporre di 6.000 pagine di documenti da poter esibire. Ma nessuno, dal 2014, si è mai fatto avanti per contestare le sue rivelazioni, secondo cui alla “Three Eyes” apparterrebbero personaggi di primissimo piano, da Henry Kissinger a Giorgio Napolitano. Quanto all’Isis, è illuminante il saggio “Dalla massoneria al terrorismo” firmato da Gianfranco Carpeoro nel 2016: un libro che analizza il retroterra simbolico – non islamico, ma interamente massonico e “templarista” – dei sanguinosi attentati condotti in Europa negli ultimi anni. Stragi affidate a manovalanza islamista e finite tutte nello stesso modo, con l’uccisione dei killer da parte della polizia, prima che un interrogatorio potesse consentire agli inquirenti di risalire agli eventuali mandanti. Ora, a confermare che sarebbe stato il braccio oscuro dell’Occidente a passare “dalla massoneria al terrorismo” sono i Tabligh Eddawa, asceti islamici che battono anche le nostre strade, di moschea in moschea. «Gli studiosi – scrive De Lorenzo, sul “Giornale” – li chiamano i “testimoni di Geova dell’Islam”. E forse i Tabligh Eddawa lo sono. O se volete sono i “frati di Maometto” che islamizzano l’Italia».Missionari, itineranti e radicali. «Predicano il vero Islam, vivono imitando lo stile di vita del Profeta e su questa strada cercano di riportare tutti i musulmani dalla fede affievolita». Il movimento nacque cent’anni fa in Pakistan dall’idea di Muhammad Ilyas Kandhalawi. «Da allora si sono diffusi in tutto il mondo, Italia compresa». Ogni membro, spiega De Lorenzo, deve seguire sei principi fondamentali: la preghiera, il ricordo continuo di Dio, lo studio, la generosità, la predicazione e la missione. «Ognuno deve sforzarsi in un percorso di auto-riforma verso il “vero”, unico Islam». “Eddawa” significa “parlare di Dio”, “Tabligh” invece “andare a portare il messaggio”: per questo, il loro obiettivo ultimo è la predicazione. Nel mondo, ricorda il “Giornale”, ci sono tra i 70 e gli 80 milioni di musulmani itineranti. Ma di loro si sa poco: non ci sono elenchi ufficiali dei membri e non esistono bilanci scritti. Non esiste una sede centrale italiana, ma solo cellule – in ogni moschea – che scelgono i responsabili «in base alla saggezza e al percorso di crescita personale». Durante le missioni i partecipanti si auto-tassano per sostenere le attività e gli spostamenti. «Il più delle volte dormono a terra, nelle moschee delle città dove si recano a predicare».Di loro, l’antiterrorismo italiano sa molto: anche se rifiutano categoricamente la violenza, sono strettamente monitorati dall’apparato di sicurezza che finora ha impedito che in Italia si verificassero gravi fatti di sangue, come invece è accaduto nel resto d’Europa. Nel suo pregevolissimo reportage, Giuseppe De Lorenzo restituisce perfettamente il clima dei colloqui intrapresi durante i tre giorni trascorsi insieme ai Tabligh Eddawa. «Uccidere è il più grande dei peccati», spiega Maufakir: un fedele può impugnare le armi solo per «combattere chi ci impedisce di professare la nostra fede». E poiché in Italia non è vietato praticare il Ramadan, non è lecito sposare la causa terrorista. L’atteggiamento del gruppo islamico radicale è duplice, osserva De Lorenzo: da una parte condannano senza mezzi termini gli attentati, dall’altra non nascondono una vena di complottismo sull’origine del jihadismo. «Un comportamento – annota il reporter – che tende a spostare le responsabilità dal mondo islamico a quello occidentale. Negano, infatti, che le bombe siano diretta espressione di una ideologia che trova nel Corano il suo testo di riferimento». Lo confermano le parole di alcuni di loro, come Jaouad: «Gli attacchi non sono opera dei musulmani. È tutto costruito: c’è qualcuno dietro».Di fronte ai microfoni, scrive De Lorenzo, nessuno si sbilancia sugli autori di questo presunto complotto. E l’attenzione si sposta sui media, accusati dai Tabligh di falsificare i video degli attentati. Un altro esponente della comunità, Hamid, ripete che le eventuali colpe dei singoli non possono ricadere sulle spalle di tutta la religione. L’Isis? Secondo i Tabligh Eddawa non è opera di Allah, ma del demonio. Abu-Bakr Al-Bahdadi? Per Magadi è un supermassone, esponente – come già Bin Laden – della “Hathor Pentalpha”. «Un criminale da sconfiggere», lo giudicano i “frati di Maometto”. Osserva De Lorenzo: «Daesh non è visto come metastasi di un tumore nato all’interno dell’Islam, ma come qualcosa di eterodiretto». Letteralmente: una pedina politica delle potenze straniere. «Per me – sentenzia Jaouad – l’Isis è una organizzazione criminale organizzata da qualche furbetto che cerca di sporcare la faccia dei musulmani». Furbetto manovrato da chi? «Dovreste indagare», risponde con sicurezza Jaouad: «Daesh è una cellula americana». Tombola: così si spiegano meglio anche le foto che, qualche anno fa in Siria, ritraevano Al-Baghdadi con l’inviato di Obama, John McCain.E’ comunque la prima volta – grazie al quotidiano milanese diretto da Alessandro Sallusti – che i media italiani registrano la denuncia del complotto, per bocca di esponenti musulmani radicali: si scrive Isis, ma si legge massoneria Usa. O meglio: spezzoni occulti della massoneria di potere di stampo reazionario, quella che alimenta il Deep State e la strategia della tensione internazionale, con il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, regolarmente proposto al pubblico occidentale sotto mentite spoglie, a colpi di “fake news”. Al “Giornale” ha collaborato a lungo Marcello Foa, la cui elezione alla presidenza della Rai – sostiene Gianfranco Carproro – è stata a lungo ostacolata dal supermassone francese Jacques Attali, “padrino” di Macron. Ad Attali, addirittura Napolitano avrebbe consigliato di premere su Berlusconi, attraverso Tajani, per far mancare a Foa i numeri necessari. Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, lo stesso Foa spiega come la verità venga sistematicamente deformata. Non è un caso, probabilmente, che sia proprio il “Giornale” a firmare lo scoop che accusa di terrorismo la massoneria atlantica, attraverso la voce dei “missionari del Profeta”.Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).
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Viareggio, strage-vergogna: Moretti premiato dopo il rogo
Difficilmente mi occupo di questioni legate alla giustizia, ma quando si tratta della strage di Viareggio non posso tacere, essendo io nativo e abitante di quelle terre, e data la atrocità oggettiva di quanto accadde in quell’inferno esploso proprio nel centro cittadino. L’esplosione del convoglio avvenne sotto il sovrappasso che unisce via Ponchielli e Burlamacchi, percorso che fino a quel momento era legato ai ricordi delle moltissime persone che come me lo utilizzavano per recarsi ai rioni notturni di Carnevale. Toccato da tanto dolore e drammaticità scrissi anche una poesia quasi per sprigionare tutta l’emozione, il coinvolgimento, l’angoscia, l’incredulità: 31 morti carbonizzati, 11 dei quali “disciolti” all’istante, 2 infarti e 25 feriti, alcuni dei quali con lesioni gravissime). L’11 febbraio 2019 sono stati chiesti 15 anni e 6 mesi dalla Procura generale di Firenze (appello) per Mauro Moretti: la strage risale al 29 giugno 2009 quando egli era amministratore delegato di Fs e Rfi. Puntualmente gli organi della giustizia e del potere, perché Moretti di potere ne ha da vendere, mostrano una prevedibile resistenza, rispettivamente, a giudicare ed esser giudicati, soprattutto quando il soggetto in questione può disporre dei migliori avvocati e di enormi agganci politici. Presto saranno passati ben 10 anni.Non so se noi italiani ce ne rendiamo conto e se ci sta bene, ma i media italiani, chiacchieroni, a seconda dei propri interessi sono i più disinvolti nell’enfatizzare questioni pretestuose e inconsistenti, magari parlandone per mesi, sostanzialmente ignorando quelle notizie come QUESTA, che meriterebbero adeguato risalto. Segnalo solo alcune posizioni assunte dal Moretti: ha fatto carriera nella Cgil tra gli anni ’80 e gli anni ‘90 arrivando ai vertici del sindacato, dal 2006 al 2014 è stato Ad di Ferrovie dello Stato su nomina dell’ex ministro Pd Tommaso Padoa Schioppa (quello che definiva i giovani disoccupati “bamboccioni”) e dal 2014 al 2017 è stato “promosso” come direttore generale e Ad di Finmeccanica-Leonardo a 1,7 milioni di “salario”: il doppio, più o meno, rispetto ai tempi di Fs quando, nel 2012, si lamentava praticamente di guadagnare troppo poco, cioè quasi 900 mila euro all’anno, più i “premi”. Tutte “cosine” avvenute dopo la strage…Tra le varie posizioni assunte, anche ruoli internazionali come quello di presidente della Community of European Railway and Infrastructure Companies, sindaco di Mompeo per due mandati, presidente della Fondazione Ferrovie dello Stato, presidente dell’Associazione Europea delle Industrie per l’Aereospazio e la Difesa, membro del consiglio direttivo degli amici dell’Accademia dei Lincei. Per dire come funzionavano le cose all’epoca (nei meandri dello Stato profondo italiano ancora oggi) il 31 maggio 2010 Moretti fu nominato, dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cavaliere del lavoro. Una vergogna e una beffa, 11 mesi dopo la strage. Bene ha fatto il M5S (tramite Gianluca Ferrara, senatore di Viareggio da me criticato per altre questioni ma in questo caso molto opportuno) a farsi “ricevere” (dovremmo dire che si “sale” da lui?) dal presidente emerito (emerito…) per avere risposte. Risposte che, se si legge l’articolo linkato, hanno il sapore delle lacrime di coccodrillo (mi si perdoni il tono emotivo e meno “professionale” del solito), con un retrogusto di scaricabarile; sono certo che esse si trasformerebbero in tutt’altro, in sordità e arroganza, qualora il presidente ringiovanisse 20 anni e si ritrovasse al Colle.Presidente Napolitano che, ricordo bene, quando militavo nel M5S (2012-2017), “c’era da stare attenti” a chiamare in causa anche “solo” per chiedergli (inutilmente) di incontrare i familiari delle vittime, perché c’era il rischio di essere accusati da parte delle altre forze politiche di “strumentalizzare” la strage. Ebbene, una parte di italiani ricorda, io ricordo, e adesso che non faccio politica (ma anche all’epoca non mi tiravo indietro ed elaborai anche il testo di una mozione in merito) posso esprimere tutto il mio disprezzo, non solo contro questo pannolone mantenuto dallo Stato, ma anche verso quei politici locali che, anziché percorrere una strada di accusa, seguendo un impulso naturale umano, facevano un compromesso tra ciò che “si dovrebbe” e ciò che “non si poteva” (per non ledere la propria ambizione di poltrona) magari perché della stessa “ditta” della prima carica dello Stato.Perfino l’ex presidente del Consiglio Letta si macchiò di una grave colpa, non permettendo allo Stato di costituirsi parte civile. Ancora oggi, quando qualcuno descrive Napolitano per quello che è, viene sottoposto alla fanfara starnazzante di fango mediatico, al fuoco incrociato degli organi di “informazione” di destra e sinistra, come avvenuto per Di Battista recentemente. Gli italiani evidentemente dimenticano troppo in fretta, perfino cosa è stato Napolitano – e non mi riferisco alla carica che rivestiva…basta un po’ di alone, la consueta bolla mediatica di pensiero dominante e l’indottrinamento orwelliano porta a stigmatizzare (stigma = base del pregiudizio e della vergogna) chi si distingue solo perché dice la verità. Eppure qualcosa sta cambiando, molti tabù stanno emergendo dalla loro intoccabilità. Concludo con una richiesta al presidente Mattarella: vada in televisione e chieda la revoca di tutti i titoli di cavalierato a tal Moretti; e chieda una iniziativa di legge che determini, per i condannati in via definitiva per reati gravissimi quali strage, associazione mafiosa e stupro, un tetto massimo di pensione pari al minimo nazionale (780 euro).(Marco Giannini, “Viareggio, la strage della vergogna: almeno, si infligga a Moretti la pensione minima”, da “Libreidee” del 24 febbraio 2019).Difficilmente mi occupo di questioni legate alla giustizia, ma quando si tratta della strage di Viareggio non posso tacere, essendo io nativo e abitante di quelle terre, e data la atrocità oggettiva di quanto accadde in quell’inferno esploso proprio nel centro cittadino. L’esplosione del convoglio avvenne sotto il sovrappasso che unisce via Ponchielli e Burlamacchi, percorso che fino a quel momento era legato ai ricordi delle moltissime persone che come me lo utilizzavano per recarsi ai rioni notturni di Carnevale. Toccato da tanto dolore e drammaticità scrissi anche una poesia quasi per sprigionare tutta l’emozione, il coinvolgimento, l’angoscia, l’incredulità: 31 morti carbonizzati, 11 dei quali “disciolti” all’istante, 2 infarti e 25 feriti, alcuni dei quali con lesioni gravissime). L’11 febbraio 2019 sono stati chiesti 15 anni e 6 mesi dalla Procura generale di Firenze (appello) per Mauro Moretti: la strage risale al 29 giugno 2009 quando egli era amministratore delegato di Fs e Rfi. Puntualmente gli organi della giustizia e del potere, perché Moretti di potere ne ha da vendere, mostrano una prevedibile resistenza, rispettivamente, a giudicare ed esser giudicati, soprattutto quando il soggetto in questione può disporre dei migliori avvocati e di enormi agganci politici. Presto saranno passati ben 10 anni.
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Abruzzo, Caporetto 5 Stelle: più vicina la fine del governo
«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».Secondo il “Sussidiario”, la sconfitta in Abruzzo potrebbe avviare la resa dei conti dentro il Movimento 5 Stelle, con Di Maio sul banco degli imputati. «E una seconda solenne sconfitta in terra sarda potrebbe costituire per la sua leadership il colpo di grazia». Del resto, annota Del Duca, l’elenco dei fronti caldi per i grillini si allunga giorno dopo giorno: la Tav, la Francia e da ultimi la polemica di Di Battista contro Napolitano e quella contro la Banca d’Italia. «Per di più, solo in quest’ultimo caso si è registrata una perfetta identità di vedute con l’alleato leghista. Per il resto la distanza è siderale». Si pensi alla crisi venezuelana, all’autonomia delle Regioni del Nord, alla legittima difesa o all’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti. «Unica speranza di invertire il trend, il reddito di cittadinanza». Il Movimento 5 Stelle «vive con apprensione l’isolamento crescente che verifica intorno a sé, compreso il crescente pressing del Quirinale, che ormai non perdona passi falsi. «Alla Lega, al contrario, si rivolgono in tanti, ad esempio sindacati e imprenditori, come l’unica forza ragionevole, in grado di stoppare le leggerezze di un governo giudicato del tutto inadeguato».Finora, prosegue Del Duca, il rapporto personale fra Salvini e Di Maio ha puntellato il traballante governo Conte. Presto però potrebbe non bastare, «se l’ala dura dei grillini dovesse pretendere di più». Allo stesso modo, Salvini «potrebbe non riuscire più a resistere alle sirene di chi gli chiede di staccare la spina». Per prendere una decisione sul futuro il tempo stringe: a fine maggio ci sono le europee, ma soprattutto – in prospettiva – si preannuncia «una legge di bilancio drammatica, con la necessità di trovare una cifra enorme, 23 miliardi, solo per evitare l’aumento automatico dell’Iva». Sarà quindi una manovra “lacrime e sangue”, «di quelle che si possono fare solo in una fase immediatamente successiva a un turno elettorale, non subito prima». Secondo Del Duca, infatti, “zoppica” l’ipotesi che questo governo possa arrivare a fine anno, e poi portare il paese alle elezioni a inizio 2020. Mattarella si convincerà che il voto è il male minore per il paese? «Dall’Abruzzo però potrebbe davvero essere partita una valanga in grado di travolgere l’esecutivo gialloverde».«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».
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“Battisti mollato dai francesi: e ora tenteranno di ucciderlo”
I servizi segreti francesi hanno “mollato” Cesare Battisti, perché la loro responsabilità (nel coprirlo) è stata portata bruscamente sotto i riflettori. Lo afferma Gianfranco Capeoro, il primo – lo scorso 16 dicembre – a dirsi convinto che l’ex terrorista dei Pac, Proletari Armati per il Comunismo, ricercato per omicidio, fosse stato infiltrato in Italia dall’intelligence di Parigi negli anni di piombo, periodo in cui il nostro paese era ricattato dalla violenza quotidiana della stratregia della tensione. Un mese dopo, di fronte alla cattura di Battisti in Bolivia, sempre in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro rilancia i suoi sospetti: vista la sovraesposizione mediatica, dopo la sua denucia del presunto legame tra Battisti e i servizi francesi, questi ultimi non hanno potuto fare a meno di sbarazzarsi del loro ex agente, divenuto troppo ingombrante. Battisti era improvvisamente scomparso dal Brasile, dove il nuovo governo di Jair Bolsonaro (su richiesta di Salvini) aveva annunciato di apprestarsi a estradarlo in Italia. Ma poi, superato il confine con la Bolivia, evidentemente è stato abbandonato dai suoi “angeli custodi”. Secondo la stampa è stato arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz, dopo esser stato individuato dagli 007 italiani dell’Aise, che l’avrebbero segnalato all’Interpol. Carpeoro teme che ora Battisti sia in pericolo: se verrà estradato potrebbe essere ucciso, nel timore che riveli quello che sa.Carpeoro (vero nome, Pecoraro) ha alle spalle una lunga carriera di avvocato. Era vicino al leader del Psi, Bettino Craxi. «Un motivo di attrito fra Craxi e il presidente francese François Mitterrand, socialista pure lui, era la legge con cui la Francia dava protezione a terroristi italiani», ricorda Carpeoro, fuoriuscito dalla massoneria e iper-critico verso le attuali “obbedienze”. L’avvocato è autore del recente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela il ruolo occulto della “sovragestione” (massonica, di marca Cia) dietro al neo-terrorismo odierno, che proprio in Francia ha utilizzato la manovalanza islamista dell’Isis per colpire nel mucchio, spaventando la popolazione per indurla ad accettare pesanti restrizioni delle libertà personali. Proprio nella politica della Francia, Carpeoro individua le maggiori responsabilità dell’attuale destabilizzazione geopolitica nel Mediterraneo, dalla Libia alla Siria. Spesso è l’Italia a finire nel mirino delle trame francesi, se è vero che partirono proprio da Parigi – come rivelato sempre dall’avvocato milanese – le indebite pressioni per tentare di bloccare l’elezione di Marcello Foa alla presidenza della Rai.A “Border Nights”, Carpeoro riferì che fu l’eminenza grigia Jacques Attali, “padrino” di Macron, a interpellare nientemeno che Giorgio Napolitano per ottenere l’appoggio di Berlusconi, tramite Antonio Tajani, in modo da far mancare i voti necessari all’elezione di Foa. Dopo la clamorosa rivelazione, poi, il veto su Foa è caduto. Nel caso di Battisti sembra che lo schema si sia ripetuto: prima l’accusa alla Francia, indicata come protettrice occulta dell’ex terrorista, e quindi la sua cattura. Diceva Carpeoro, un mese fa: «Non è accettabile che la Francia protegga sottobanco un suo ex agente come Battisti, mentre da noi Alberto Torregiani ha trascorso la vita su una sedia a rotelle, reso paraplegico durante la rapina in cui Battisti uccise suo padre, Pierluigi, a Milano, il 16 febbraio 1979». Una denuncia precisa, da parte di Carpeoro: «Mi assumo la piena responsabilità di quello che dico. E insisto: Roma dovrebbe richiamare l’ambasciatore francese e chiedergli spiegazioni sull’operato dei servizi segreti transalpini, anche a costo di incrinare le relazioni diplomatiche con la Francia». E ora, appunto, la notizia dell’arresto di Battisti, sulla sui sorte Carpeoro avanza fondati timori: qualora venisse estradato in Italia, dice, la sua vita sarebbe in pericolo. Qualcuno potrebbe metterlo a tacere, prima che possa rivelare l’identità di chi lo ha protetto, in tutti questi anni, e il vero movente dei “sovragestori”: pilotare il terrorismo per indebolire l’Italia.I servizi segreti francesi hanno “mollato” Cesare Battisti, perché la loro responsabilità (nel coprirlo) è stata portata bruscamente sotto i riflettori. Lo afferma Gianfranco Capeoro, il primo – lo scorso 16 dicembre – a dirsi convinto che l’ex terrorista dei Pac, Proletari Armati per il Comunismo, ricercato per omicidio, fosse stato infiltrato in Italia dall’intelligence di Parigi negli anni di piombo, periodo in cui il nostro paese era ricattato dalla violenza quotidiana della stratregia della tensione. Un mese dopo, di fronte alla cattura di Battisti in Bolivia, sempre in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro rilancia i suoi sospetti: vista la sovraesposizione mediatica, dopo la sua denucia del presunto legame tra Battisti e i servizi francesi, questi ultimi non hanno potuto fare a meno di sbarazzarsi del loro ex agente, divenuto troppo ingombrante. Battisti era improvvisamente scomparso dal Brasile, dove il nuovo governo di Jair Bolsonaro (su richiesta di Salvini) aveva annunciato di apprestarsi a estradarlo in Italia. Ma poi, superato il confine con la Bolivia, evidentemente è stato abbandonato dai suoi “angeli custodi”. Secondo la stampa è stato arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz, dopo esser stato individuato dagli 007 italiani dell’Aise, che l’avrebbero segnalato all’Interpol. Carpeoro teme che ora Battisti sia in pericolo: una volta estradato potrebbe essere ucciso, nel timore che riveli quello che sa.
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Magaldi: la sinistra ignorante che vorrebbe spegnere Rinaldi
Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiedere l’allontanamento dell’economista dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’appartenenza supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?Nonostante lo sgangherato assalto al promotore del blog “Scenari Economici”, liquidato come «narcisista e caciarone», economista senza prestigio accademico e piccolo opportunista a caccia di poltrone, Magaldi invita lo stesso Steven Forti, e gli analoghi missionari neoliberali asserragliati tra i ranghi dell’ex sinistra, a farsi avanti in modo aperto: perché non intervistare lo stesso Magaldi, per parlare finalmente del suo libro e magari anche del Movimento Roosevelt e del “partito che serve all’Italia”, progetto al quale Antonio Maria Rinaldi si è accostato in modo interlocutorio, «come battitore libero e autonomo pensatore», per prendere nota di quanto si va discutendo? Scoprirebbero, Steven Forti e i suoi sodali, che i problemi del mondo hanno sempre almeno due spiegazioni, in democrazia. Sono le famose due campane, che un tempo i giornalisti si peritavano di ascoltare, non foss’altro che per un elementare rispetto dei loro lettori. Intanto prendano nota, alla redazione di “Rolling Stone”: sono tutti invitati alla London Metropolitan University, il 30 marzo, dove parleranno un bel po’ di economisti post-keynesiani, impegnati a spiegare come mai questa Europa è sempre in crisi, perde i pezzi (Gran Bretagna) ed è diventata una Disunione Europea dove tutti si fanno le scarpe a vicenda. Vuoi vedere che la politica di austerity introdotta dall’Eurozona è una catastrofe, e in ultima analisi si è trasformata in una fabbrica di sovranismi, nazionalisti, populismi e Gilet Gialli?Il mainstream che si trincera dietro il politically correct non perdona a Rinaldi di tifare per i gialloverdi: fa scialo del più convenzionale corredo squadristico a base di insulti (razzismo, xenofobia, fascismo) per infangare Salvini, il nuovo mostro da sbattere in prima pagina, ma si guarda bene dall’interrogarsi sulle ragioni del fenomeno. Pensiero magico: la demonizzazione dell’Uomo Nero a questo serve, a evitare di chiedersi il perché delle cose. Un consiglio? Tornare a essere laici, smettendo i panni del fanatismo religioso. E magari, cessare di considerare l’avversario un nemico da abbattere. In altre parole, converrebbe ragionare. A proposito, aggiunge Magaldi: hanno una proposta, i coristi “di sinistra” come Steven Forti, su come uscire dalla crisi? Sono bravissimi a censurare le idee altrui, e a demolirle in modo unilaterale, senza mai dialogo, quando non riescono più a soffocarle (come nel caso di Rinaldi, spesso ospitato in televisione). Ma ce l’hanno, in tasca, un Piano-B? E se ce l’hanno, perché non ne parlano mai? Non sarebbe ora di cominciare a farlo? «Informo Steven Forti che diversi esponenti di quella che immagino sia la sua area di riferimento, cioè il Pd e LeU, fanno parte del Movimento Roosevelt». Non solo, aggiunge Magaldi: «Alcuni di loro, come Rinaldi, guardano con interesse anche alla prospettiva del “partito che serve all’Italia”, dato che – dalle loro parti – vedono che si va verso il disfacimento».“Rolling Stone” definisce «un gruppetto», la pattuglia di intellettuali, da Nino Galloni a Ilaria Bifarini, aggregati per ora nelle prime riunioni convocate per valutare la possibilità del nuovo soggetto politico, «il cui sviluppo, a partire dal nome, sarà a cura dei costituenti, dato il rispetto che abbiamo per il metodo democratico». Gruppetto? Sui numeri sarà il tempo a dire la sua, perché siamo solo ai preliminari, assicura Magaldi. Che però aggiunge: anche se alla fine non fossimo in tantissimi, «informo Steven forti che un “gruppetto” di massoni riuniti intorno alla Loggia delle Nove Sorelle, alla fine del ‘700, determinò tanto i preparativi per la Rivoluzione Americana, quindi per la Guerra d’Indipendenza, che quelli per la Rivoluzione Francese: talvolta i gruppetti, se ben coesi e agguerriti, fanno le rivoluzioni». Se Steven Forti non afferra il concetto, prosegue Magaldi, forse è perché «non ha grande dimestichezza con lo studio della storia», benché il suo curruculum accademico lo accrediti come esperto in storia contemporanea. Iniste Magadi: «Steven Forti mi sembra carente di letture», se in qualche modo associa la massoneria al cospirazionismo. L’autore di “Massoni”, libro che smonta moltissime tesi complottistiche, cita il filosofo Gian Mario Cazzaniga, che nel saggio “La religione dei moderni” «spiega come la religione dei moderni sia la politica, e spiega anche che la politica, nel senso moderno e contemporaneo, l’hanno creata i proprio massoni».Altre letture consigliate alla redazione di “Rolling Stone”: le opere di un grande sociologo come Jürgen Habermas, «che ha spiegato come lo stesso concetto di opinione pubblica sia nato da ambienti massonici». E cioè: si prenda atto, meglio tardi che mai, che «la massoneria è un soggetto storico importante». Se poi il giovane Steven Forti leggesse pure il saggio di Magaldi, scoprirebbe che negli ultimi decenni un’élite massonica internazionale, reazionaria e neoaristocratica, ha progettatto e gestito la globalizzazione neoliberista che ha privatizzato il pianeta, rottamando i caposaldi del welfare tanto cari alla sinistra, a loro volta “fabbricati” sempre da massoni, ancorché progressisti, come il massimo economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes, e il connazionale William Beveridge, l’inventore del “welfare system”. Per inciso: il progressista Keynes era iscritto al partito liberale. I laburisti, invece – come i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e l’ex Pci italiano – sono stati i più zelanti esecutori, negli ultimi decenni, delle direttive antidemocratiche dell’élite globalista: è stata proprio la sedicente sinistra a obbedire alla peggiore destra economica. In Italia l’ha fatto prima con Prodi e Draghi, poi con il governo Monti: Fiscal Compact votato senza fiatare, così come la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio inserito proditoriamente nella Costituzione, con lo Stato terremotato dal ricatto dallo spread.Non la si vuole vedere, la realtà? E allora all’intellighenzia dell’ex sinistra non resta che godersi Salvini, dandogli ogni giorno del fascista. Almeno, puntualizza Magaldi, si eviti di scadere nella disinformazione più scorretta, rinfacciando come una colpa – a un uomo come Antonio Maria Rinaldi – la libertà intellettuale di cui gode: avrà diritto o no, di dirsi scontento della manovra economica del governo gialloverde? Proprio non glielo si vuole riconoscere, il diritto di aspettarsi di più dall’esecutivo Conte? Scherno, disprezzo e criminalizzazione di chi non la pensa come te, riassume Magaldi, non fanno parte dell’abc dell’informazione, che può essere anche fortemente critica, ma mai scorretta. I media mainstream sembrano lo specchio della politica italiana, basata su scontri quotidiani dal sapore tribale. Puoi anche farlo cadere, un avversario, ma poi sapresti come agire, al suo posto? Qualcuno ricorda un’idea – una sola – che negli ultimi vent’anni la sedicente sinistra abbia partorito, per migliorare la situazione, mentre passava il tempo a tuonare contro l’orrido Berlusconi – per poi fare persino peggio, una volta a Palazzo Chigi? Il punto è che c’è bisogno di tutti, sembra dire Magaldi. Oggi più che mai, nessuno deve sentirsi escluso. Lo gridano, gli elettori, quando votano per i cosiddetti populisti. Ormai vedono benissimo quant’è infame, la post-democrazia Ue. E’ tanto comodo, ricamare indignati elzeviri sui tweet di Salvini: serve a continuare a non vedere cosa sta succedendo, lassù, dove un pugno di decisori tiene in ostaggio mezzo miliardo di persone, in Europa. Fino a quando?Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiederne l’allontanamento dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’identità supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?
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Francia terrorista: fa strage a Strasburgo e protegge Battisti
Francia terrorista: i servizi segreti di Parigi hanno organizzato la strage di Strasburgo per aiutare Macron, messo in difficoltà dai Gilet Gialli, mentre in Brasile hanno reso improvvisamente irreperibile Cesare Battisti, un attimo prima che venisse arrestato. Perché la Francia dovrebbe proteggere Battisti, evitandogli di essere estradato in Italia, dove lo attenderebbe l’ergastolo per omicidio? Semplice: «All’epoca degli anni di piombo, sospetto che Battisti sia stato infiltrato dai francesi nel sottobosco dell’eversione italiana». Sono di questo tenore le dichiarazioni rilasciate il 16 dicembre dall’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Adesso basta», si sfoga Carpeoro: «Se qualcuno a Roma ha le palle, convochi l’ambasciatore francese e gli chieda conto dell’operato dei servizi segreti di Parigi. L’Italia ne ha titolo, anche perché a Strasburgo è morto un ragazzo italiano di 28 anni», Antonio Megalizzi, colpito dai proiettili esplosi all’impazzata, l’11 dicembre, dal giovane Cherif Chekatt, noto pregiudicato, con 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi. Classificato “islamico radicalizzato” dalla polizia francese, Chekatt ha ucciso sul colpo 3 persone (salite a 4, con Megalizzi) ferendone altre 16. Carpeoro accusa Parigi: il killer è stato appositamente reclutato attraverso le brigate Al-Nusra, eredi di Al-Qaeda in Siria, stanziate a Idlib e segretamente protette dalla Francia.Giornalista e scrittore, studioso di simbologia e già a capo della più tradizionale obbedienza massonica italiana del Rito Scozzese, non è la prima volta che Carpeoro fornisce clamorose rivelazioni. Di recente, tramite suoi rapporti con logge tedesche, ha svelato l’imbarazzante retroscena dietro alla prima bocciatura di Marcello Foa alla guida della Rai, ottenuta su pressione di Jacques Attali, “king maker” di Macron, che si sarebbe rivolto a Giorgio Napolitano e quindi ad Antonio Tajani per premere su Berlusconi affinché revocasse il consenso sulla nomina di Foa che in prima battuta il Cavaliere aveva già assicurato a Salvini. Non è escluso che la retromarcia di Berlusconi, grazie a cui oggi Foa ha raggiunto la presidenza Rai, sia dovuta anche alle scomode rivelazioni di Carpeoro. Fuoriuscito dalla massoneria, nel 2016 l’avvocato ha pubblicato il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la regia occidentale (non islamica) del “neoterrorismo” europeo targato Isis: opera di manovalanza islamista reclutata da servizi segreti Nato al soldo della “sovragestione” di potere, che interseca trasversalmente governi e apparti di polizia tramite superlogge internazionali come la “Hathor Pentalpha”. Schema classico: strategia della tensione, alimentata da attentati “false flag”, sotto falsa bandiera (attribuiti all’Isis). «Così come già Al-Qaeda, anche l’Isis è il prodotto della medesima sovragestione occidentale», sottolinea Carpeoro. «E l’ultimo attentato, quello di Strasburgo, ne è un esempio perfetto». Obiettivo? «Politico: aiutare Macron a resistere all’assedio dei Gilet Gialli, depistando l’opinione pubblica e indirizzandola verso un nemico esterno».Mai come nel caso di Strasburgo, dichiara Carpeoro in video-chat con Frabetti, è apparso chiaro il carattere artificioso della strage, progettata dai servizi segreti a poche ore dalla clamorosa “resa” televisiva di Macron, messo in croce dai Gilet Gialli. L’attentatore è stato presentato come “islamico radicalizzato”, ma testimoni raccontano di averlo visto ubriaco fradicio, qualche sera prima, in una birreria. «Il sindaco di Strasburgo ha dichiarato di non riuscire a spiegarsi come Cherif Chekatt, pregiudicato e schedato dalla polizia come sospetto terrorista islamico, possa essere riuscito a inoltrarsi – armato – nel perimetro super-vigilato del centro di Strasburgo, giungendo indisturbato fino al mercatino di Natale dove poi ha compiuto la strage». Ma peggio: «Poco prima – aggiunge Carpeoro – Chekatt era sfuggito all’arresto. Strano, che qualcuno compia una strage (anziché sparire) poco dopo esser sfuggito all’arresto. E ancora più strano è che la polizia non si attivi per braccarlo, non diffonda foto segnaletiche, non disponga posti di blocco». Attenzione: «Chi c’era, a proteggere il centro di Strasburgo? Le forze speciali antiterrorismo». In altre parole: qualcuno che, il killer, “doveva” lasciarlo passare – armato – evitando di perquisirlo?Il tentato arresto, aggiunge Carpeoro, è chiaramente un alibi per allontanare i sospetti dalle forze di sicurezza. E non è tutto: «Da una perquisizione domiciliare, il killer è risultato essere in possesso di un’altra pistola, diversa da quella usata per la strage, e addirittura di una granata». Domanda: «Se voleva fare una carneficina, perché non ha portato con sé anche le altre armi?». E soprattutto: «Perché ancora oggi non sappiamo che tipo di pistola fosse, quella usata per sparare sulla folla?». Stranezze su stranezze: subito, era corsa voce che Chekatt si fosse rifugiato in Germania. Invece, stranamente, non si era allontanato da Strasburgo. Nessuno si stupisce più che sia stato ucciso, alla fine, come tutti gli altri killer che negli ultimi anni hanno insanguinato l’Europa: nessun magistrato ha mai potuto interrogarli, sono tutti stati messi a tacere dai cecchini. Carpeoro insiste sull’arma della strage: «Dato che non è stata fatta circolare nessuna informazione, su quella pistola, è altamente probabile che sia di importanza decisiva per risalire alla verità». Un’arma fornita al killer direttamente dai servizi segreti francesi?Dopo la strage della redazione di Charlie Hebdo, l’Eliseo insabbiò le indagini – apponendo il segreto di Stato (segreto militare) – nel momento in cui un magistrato aveva scoperto che le armi del commando kamizake erano state acquistate, in Belgio, da agenti della Dgse, l’intelligence di Parigi. Uno degli 007 era in contatto con la fidanzata di uno dei giovani attentatori (anch’essi poi freddati dai cecchini, esattamente come Cherif Chekatt). Per Carpeoro, ormai il gioco è spudorato: non si era mai vista tanta tempestività nel fare ricorso al terrorismo per motivi di stringente necessità politica. «Temo che all’attentato di Strasburgo ne possano seguire altri», aggiunge Carpeoro, secondo cui – intanto – un risultato è stato ottenuto: è vero che il Gilet Gialli sono tornati in piazza, ma intanto si sono divisi politicamente. «L’attentato ha prodotto questo effetto: ha costretto i manifestanti a dividersi». Da una parte quelli intenzionati a protestare a oltranza, e dall’altra chi pensa sia meglio una pausa di riflessione, un gesto di solidarietà nazionale. Carpeoro è indignato: i cittadini francesi, dice, dovrebbero sapere che il loro governo protegge in Siria le milizie terroristiche di Al-Nusra, asserragliate a Idlib. «Al-Nusra è la filiazione diretta di Al-Qaeda, e il governo di Damasco vorrebbe cacciarla da Idlib. Ma non ci riesce, perché Al-Nusra è protetta dalla Francia».Non è un caso che il killer di Strasburgo abbia rivendicato la strage facendo riferimento ai “caduti siriani”. E, dato che tra le vittime c’è anche un italiano, si rivolge direttamente agli inquirenti italiani: proprio la pistola “fantasma” di Chekatt, sparita nel nulla, potrebbe essere la chiave per collegare l’esecutore ai mandanti. Servizi-colabrodo, alle prese con relazioni pericolose? Dipende: «E’ normale che i servizi segreti infiltrino loro uomini anche nelle strutture terroristiche, è il loro mestiere. L’importante è il fine: un conto è se collaborano per evitarli, gli attentati (come avvenuto in Italia in questi anni), e un altro è se invece collaborano per farli». Quanto all’Italia, appunto, forse è giunta l’ora di ribellarsi ai soprusi dell’intelligence “sovragestita” di Parigi: «Non è accettabile che la Francia protegga sottobanco un suo ex agente come Battisti, mentre da noi Alberto Torregiani ha trascorso la vita su una sedia a rotelle, reso paraplegico durante la rapina in cui Battisti uccise suo padre, Pierluigi, a Milano, il 16 febbraio 1979». Insiste, Carpeoro: «Mi assumo la piena responsabilità di quello che dico. E insisto: Roma dovrebbe richiamare l’ambasciatore francese e chiedergli spiegazioni sull’operato dei servizi segreti transalpini, anche a costo di incrinare le relazioni diplomatiche con la Francia».Francia terrorista: i servizi segreti di Parigi hanno organizzato la strage di Strasburgo per aiutare Macron, messo in difficoltà dai Gilet Gialli, mentre in Brasile hanno reso improvvisamente irreperibile Cesare Battisti, un attimo prima che venisse arrestato. Perché la Francia dovrebbe proteggere Battisti, evitandogli di essere estradato in Italia, dove lo attenderebbe l’ergastolo per omicidio? Semplice: «Sono convinto che, all’epoca degli anni di piombo, Battisti sia stato infiltrato dai francesi nel sottobosco dell’eversione italiana». Sono di questo tenore le dichiarazioni rilasciate il 16 dicembre dall’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Adesso basta», si sfoga Carpeoro: «Se qualcuno a Roma ha le palle, convochi l’ambasciatore francese e gli chieda conto dell’operato dei servizi segreti di Parigi. L’Italia ne ha titolo, anche perché a Strasburgo è morto un ragazzo italiano di 28 anni», Antonio Megalizzi, colpito dai proiettili esplosi all’impazzata, l’11 dicembre, dal giovane Cherif Chekatt, noto pregiudicato, con 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi. Classificato “islamico radicalizzato” dalla polizia francese, Chekatt ha ucciso sul colpo 3 persone (salite a 4, con Megalizzi) ferendone altre 16. Carpeoro accusa Parigi: il killer è stato appositamente reclutato attraverso le brigate Al-Nusra, eredi di Al-Qaeda in Siria, stanziate a Idlib e segretamente protette dalla Francia.
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Carpeoro: viene dall’estero l’attacco personale a Di Maio
Tutti a sbranare Di Maio a reti unificate per la vicenda del padre, piccolo imprenditore, accusato di aver fatto lavorare in nero alcuni dipendenti. Scatenati i giornalisti nei talkshow, ma anche politici come Renzi e Maria Elena Boschi, che usò i suoi canali per aiutare la banca di famiglia (Di Maio invece sarebbe completamente estraneo all’incidente paterno). Inutile far finta che l’offensiva contro il capo dei 5 Stelle sia casuale: l’attacco personale al vicepremier gialloverde è palesemente orchestrato dai super-poteri europei ai quali il governo Conte ha tentato di opporsi, provando a difendere il deficit al 2,4% nel Def 2019. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Dalla massoneria al terrorismo” e acuto osservatore, anche tramite canali privilegiati, dell’attualità italiana: mesi fa denunciò il siluramento di Marcello Foa alla presidenza della Rai imputandolo a pressioni francesi su Berlusconi tramite Antonio Tajani, contattato da Jacques Attali (padrino di Macron) su consiglio di Giorgio Napolitano. Ora ci risiamo: se il governo gialloverde sfida il rigore di Bruxelles, è dall’estero che proviene l’attacco – durissimo, personale – a Luigi Di Maio: un boccone da gettare in pasto alla grande stampa, allineata col vecchio establishment.Ecco spiegata, probabilmente, l’improvvisa distensione nei toni tra Roma e Bruxelles: «I mezzi coercitivi di un certo potere sono molto forti», dichiara Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. I gialloverdi sotto attacco? «Forse questa classe politica non è sufficientemente forte da poter affrontare questo tipo di situazione: lo vedremo, nei prossimi giorni». Di certo, sottolinea Carpeoro, la difesa del deficit 2019 – in controtendenza rispetto all’austerity imposta dall’Ue – non era una messinscena: Lega e 5 Stelle ci hanno provato davvero, a rompere la consegna neoliberista dei tagli ciechi alla spesa pubblica. Ora però devono vedersela con quelli che Carpeoro definisce “mezzi coercitivi”, ovvero «ricatti personali, manovre: ti buttano fango addosso». Per esempio, «nell’operazione “papà di Di Maio” io vedo mani fuori dai confini». Assurdo attaccare il figlio per un’accusa come il lavoro nero a carico del padre, d’accordo. Ma chi la fa, l’aspetti: «Gli attacchi dei 5 Stelle, grazie a cui sono andati al potere, non erano molto diversi».Per affondare Di Maio «si attaccano dove possono», aggiunge Carpeoro, che ribadisce: «Questa manovra viene dall’estero. Di Maio non è stato attaccato per una questione di moralismo, è stato attaccato per fiaccargli le reni su una cosa che stava facendo». Ovvero: far indietraggiare l’Italia sulla manovra col deficit al 2,4%. «E pare ci siano riusciti – o meglio, vedremo». Di Maio è stato dunque ritenuto più attaccabile di Salvini? Non è detto: «Forse, a quei poteri, Salvini aveva già detto di sì: del resto, attacchi chi hai bisogno di attaccare». Aggiunge Carpeoro: «Con chi si è sentito, negli ultimi giorni, Salvini? Con Berlusconi. Probabilmente lo hanno fatto ragionare in un certo modo. Di Maio era più difficile farlo ragionale, e allora gli hanno preparato il “piattino”». Sempre secondo Carpeoro, per Di Maio ormai questa non è più una battaglia politica: «E’ una battaglia per capire se vive o muore, politicamente. C’è chi dice che nel Movimento 5 Stelle sia accerchiato? Sono cose che si accavallano. Ci sono altri cavalli che scalpitano, nei 5 Stelle, per cui ognuno cerca di fare il “piattino” all’altro. Dall’estero, Di Battista gli ha già detto “stai sereno”», come Renzi disse a Letta. Se non altro, possiamo star certi che non ci saranno elezioni anticipate in primavera: «Sarebbe pazzo, Di Maio, ad andare alle elezioni in questa situazione».Tutti a sbranare Di Maio a reti unificate per la vicenda del padre, piccolo imprenditore, accusato di aver fatto lavorare in nero alcuni dipendenti. Scatenati i giornalisti nei talkshow, ma anche politici come Renzi e Maria Elena Boschi, che usò i suoi canali per aiutare la banca di famiglia (Di Maio invece sarebbe completamente estraneo all’incidente paterno). Inutile far finta che l’offensiva contro il capo dei 5 Stelle sia casuale: l’attacco personale al vicepremier gialloverde è palesemente orchestrato dai super-poteri europei ai quali il governo Conte ha tentato di opporsi, provando a difendere il deficit al 2,4% nel Def 2019. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Dalla massoneria al terrorismo” e acuto osservatore, anche grazie a fonti privilegiate, dell’attualità italiana: mesi fa denunciò il siluramento di Marcello Foa alla presidenza della Rai imputandolo a pressioni francesi su Berlusconi tramite Antonio Tajani, contattato da Jacques Attali (padrino di Macron) su consiglio di Giorgio Napolitano. Ora ci risiamo: se il governo gialloverde sfida il rigore di Bruxelles, è dall’estero che proviene l’attacco – durissimo, personale – a Luigi Di Maio: un boccone da gettare in pasto alla grande stampa, allineata col vecchio establishment.
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Santo Tav, a Torino il culto arancione del Serpente d’acciaio
L’animalone mitologico chiamato Tav Torino-Lione è riapparso – in purezza, per evocazione – nel cuore sabaudo di Torino, la città-Stato transitata senza colpo ferire dai Savoia alla Fiat e quindi al Pd, prima di smarrirsi (per un caso tuttora misterioso) tra i proclami palingenetici dei 5 Stelle, guidati addirittura da una donna. Riappare a comando, il mitico Serpentone superveloce, a beneficio delle telecamere: un’epifania mediatica lunga circa un’oretta, sinistramente addobbata in arancione come le tante farlocche “rivoluzioni colorate” che hanno depistato l’Occidente negli ultimi anni, in televisione, tra una fake news e l’altra. Ricompare innaturalmente, l’ipotetico l’animalone su rotaia, in forma di archetipo: qualcosa che esiste solo nell’iperurario, nel mondo delle idee, e dopo più di vent’anni ancora attende qualcuno che lo traduca finalmente in un evento materiale spiegabile, sensato, ragionevole, oltre che desiderabile. Per i comizianti convocati dal vecchio establishment torinese, infatti, l’entità miracolosa che nei loro sogni miliardari salverebbe la città è sempre intangibile come la fede, impalpabile come la felicità. Il rettilone sputa-amianto è semplicemente la gioia, il bene, la storia, il progresso, la civiltà. Impossibile chiedere agli arancioni la decenza di una spiegazione: ai fedeli non serve.Non serve nemmeno ai giornali, una spiegazione. Quali meraviglie potrebbe mai portare in dono, il drago metallico che i bene informati non vogliono? Forse non è il caso di chiarirlo neppure stavolta, di fronte agli “oltre 30.000” manifestanti in piazza Castello, che sono “25.000” per la questura ma restano “oltre 30.000, forse 40.000” per tutti i grandi media, ennesima dimostrazione del carattere prodigioso dell’evocazione. Perfettamente inutile sfogliare la “Stampa”, i titoli parlano da soli: “Torino, in piazza i 30.000 del popolo del Sì”. Trentamila eroi (sempre gli stessi 25.000 per la questura): “Piazza piena, ma civile”. Le voci: “Perché SìTav: non siamo madamin che stanno a casa a cucire, vogliamo un futuro”. Già: perché SìTav? Mistero della fede: guai a svelarlo, pena il crollo carismatico del clero officiante. Per l’occasione, molto solenne, se ne occupa – citando De Gasperi, nientemeno, come suscitatore di folle torinesi – l’ex sottosegretario berlusconiano Mino Giachino, esponente del Rito Unificato (Pd e Forza Italia) che il Serpentone ha saputo creare, riunendo sotto un’unica bandiera l’affarismo italico. «In questi vent’anni è stato bloccato lo sviluppo del paese», proclama monsignor Giachino, uno che quindi in questi ultimi vent’anni non stava al governo, ma in vacanza permanente alle Hawaii.Diciamo sì al Tav, insiste il reverendo, «perché negli ultimi vent’anni l’Italia ha perso 20 punti di Pil rispetto alla media europea, e Torino di più». L’Italia è arretrata, è vero: ma perché? Colpa della globalizzazione, del neoliberismo, della deindustrializzazione? Delle delocalizzazioni e del regime di austerity a base di tagli e tasse, e quindi di licenziamenti? Colpa della guerra anti-italiana scatenata dall’oligarchia franco-tedesca grazie all’Unione Europea con il fondamentale contributo dei collaborazionisti nostrani? Colpa della crisi finanziaria? Colpa dell’élite speculativa che ha precarizzato il lavoro e demolito i consumi? Ma no, suvvia: Prodi e Draghi non contano niente, l’Eurozona è una leggenda, Mario Monti resta un personaggio letterario come Giorgio Napolitano. La disgrazia piovuta sull’Italia, inclusa Torino (con l’eccezione dell’Impero Juventus, prontamente trasferito a Detroit) ha un’unica causa evidente, mitologicamente impeccabile: la pervicace resistenza dell’Impero del Male, popolato dai farabutti NoTav, nel consentire alla Luce di rischiarare finalmente le tenebre, il funereo abisso nel quale le “madamin” in arancione raggruppate in piazza Castello sono certe di rischiare di sprofondare. «Siamo tutti qui per dire sì al futuro e sì al lavoro», chiosa il cardinal Giachino, tra le ovazioni.Il magico Serpentone scaccia-malocchio ha anche il potere taumaturgico di ridisegnare la geografia: «Sì alla Tav, che collega il Piemonte all’Europa e all’Asia», si sente cantare dal palco, come se il povero Piemonte fosse una terra di pastorelli costretti ad arrancare a dorso di mulo. «Sì a Torino come centro di scambi, porta aperta verso gli altri paesi, snodo sulla rete ferroviaria internazionale». Percepito da piazza Castello, il Serpentone perde il suo colore arancione e si tinge di giallo, come la coda del Dragone cinese. Eccolo, il futuro: Torino come “centro si scambi” sulla Nuova Via della Seta, destinata a trasformare l’Eurasia in un mercato viaggiante di vagoni e container. Ah, se solo ci fosse una ferrovia capace di collegare Torino a Lione… C’è già, nel mondo reale: si chiama Torino-Modane e utilizza il traforo del Fréjus appena riammodernato con quasi mezzo miliardo di euro per farvi transitare anche i container più grandi. Ma è noto che la realtà non giova al pensiero magico che si nutre del soprannaturale. Che fine farebbe, il fenomenale Serpentone, se per sbaglio deragliasse dalle usuali rotaie metafisiche? Meglio le fiabe soavemente narrate, ancora una volta, dal celebrante televisivo, magnificamente riproposte a reti unificate dagli stessi media che, l’8 dicembre, quando la città sarà invasa dai barbari NoTav, spegneranno come al solito i microfoni. Il Serpentone, del resto, è pura trascendenza: tentare di spiegarne l’utilità, oltre che impossibile, sarebbe un atto sacrilego.L’animalone mitologico chiamato Tav Torino-Lione è riapparso – in purezza, per evocazione – nel cuore sabaudo di Torino, la città-Stato transitata senza colpo ferire dai Savoia alla Fiat e quindi al Pd, prima di smarrirsi (per un caso tuttora misterioso) tra i proclami palingenetici dei 5 Stelle, guidati addirittura da una donna. Riappare a comando, il mitico Serpentone superveloce, a beneficio delle telecamere: un’epifania mediatica lunga circa un’oretta, sinistramente addobbata in arancione come le tante farlocche “rivoluzioni colorate” che hanno depistato l’Occidente negli ultimi anni, in televisione, tra una fake news e l’altra. Ricompare innaturalmente, l’ipotetico l’animalone su rotaia, in forma di archetipo: qualcosa che esiste solo nell’iperurario, nel mondo delle idee, e dopo più di vent’anni ancora attende qualcuno che lo traduca finalmente in un evento materiale spiegabile, sensato, ragionevole, oltre che desiderabile. Per i comizianti convocati dal vecchio establishment torinese, infatti, l’entità miracolosa che nei loro sogni miliardari salverebbe la città è sempre intangibile come la fede, impalpabile come la felicità. Il rettilone sputa-amianto è semplicemente la gioia, il bene, la storia, il progresso, la civiltà. Impossibile chiedere agli arancioni la decenza di una spiegazione: ai fedeli non serve.